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ONCOEMATOLOGIA PEDIATRICA Nei Paesi industrializzati il cancro in età pediatrica (al di sopra dell’anno di età), pur essendo una patologia rara, è la seconda causa di morte, specialmente da quando sono venute meno le infezioni (grazie agli antibiotici). Questo vale anche nell’adolescenza (15-19 aa): solo recentemente, specialmente nel Nord America, la morte per tumore è diventata la terza causa, preceduta da suicidio ed omicidio. La prima causa di morte è data dagli incidenti, le condizioni più varie cui l’età pediatrica va incontro. Sopra l’anno di età, dopo avvelenamenti e traumatismi, si ha la morte per neoplasia. Le neoplasie del bambino sono diverse da quelle dell’adulto, per prima cosa nel bambino prevalgono le neoplasie del sistema emolinfoproliferativo: leucemie, sia linfatiche sia non linfatiche (cioè le mieloidi), rappresentano più di 1/3 delle neoplasie del bambino linfoma di Hodgkin e non Hodgkin, con questi si arriva circa al 50% delle neoplasie del bambino I tumori solidi rappresentano il restante 50% (a volte anche 55%). Tra questi, quelli del SNC sono i più rappresentati. Poi c’è una serie di neoplasie peculiari dell’età pediatrica e che sono una rarità nell’adulto: neuroblastoma: a partire dai gangli simpatici retinoblastoma: tumore della retina feocromocitoma tumore di Wilms o nefroblastoma: rappresenta il 95% dei casi di tumore del rene del bambino (l’altro 5% è dato da tumori a cellule chiare) epatoblastoma rabdomiosarcoma. Questi sono tumori mesenchimali e che originano da cellule primordiali, blastomatose; nel bambino sono invece molto rari i tumori che derivano da cellule epiteliali, i carcinomi. Nell’ambito dei tumori solidi, la linea più frequente di derivazione della neoplasia è quella delle cellule mesenchimali indifferenziate.

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ONCOEMATOLOGIA PEDIATRICA

Nei Paesi industrializzati il cancro in età pediatrica (al di sopra dell’anno di età), pur essendo una patologia rara, è la seconda causa di morte, specialmente da quando sono venute meno le infezioni (grazie agli antibiotici).Questo vale anche nell’adolescenza (15-19 aa): solo recentemente, specialmente nel Nord America, la morte per tumore è diventata la terza causa, preceduta da suicidio ed omicidio.La prima causa di morte è data dagli incidenti, le condizioni più varie cui l’età pediatrica va incontro. Sopra l’anno di età, dopo avvelenamenti e traumatismi, si ha la morte per neoplasia.

Le neoplasie del bambino sono diverse da quelle dell’adulto, per prima cosa nel bambino prevalgono le neoplasie del sistema emolinfoproliferativo: leucemie, sia linfatiche sia non linfatiche (cioè le mieloidi), rappresentano più di 1/3 delle

neoplasie del bambino linfoma di Hodgkin e non Hodgkin, con questi si arriva circa al 50% delle neoplasie del

bambinoI tumori solidi rappresentano il restante 50% (a volte anche 55%). Tra questi, quelli del SNC sono i più rappresentati.

Poi c’è una serie di neoplasie peculiari dell’età pediatrica e che sono una rarità nell’adulto: neuroblastoma: a partire dai gangli simpatici retinoblastoma: tumore della retina feocromocitoma tumore di Wilms o nefroblastoma: rappresenta il 95% dei casi di tumore del rene del bambino

(l’altro 5% è dato da tumori a cellule chiare) epatoblastoma rabdomiosarcoma.Questi sono tumori mesenchimali e che originano da cellule primordiali, blastomatose; nel bambino sono invece molto rari i tumori che derivano da cellule epiteliali, i carcinomi. Nell’ambito dei tumori solidi, la linea più frequente di derivazione della neoplasia è quella delle cellule mesenchimali indifferenziate.

Nel bambino le neoplasie tendono ad essere malattie per lo più sistemiche, come ad esempio la leucemia: nasce dal midollo e diffonde per via ematica. Il linfoma non Hodgkin nel bambino è una malattia che ha un comportamento biologico molto simile alla leucemia acuta. I linfomi nel bambino tendono ad essere malattie sistemiche, raramente localizzate e sono tutti ad alto grado.Un linfoma che ha, in un certo senso, la stessa storia naturale di quello dell’adulto è il linfoma di Hodgkin: ha la stessa classificazione, stadiazione, medesimi criteri per la terapia. Si è visto però che il trattamento classico che si faceva nell’adulto comportava dei problemi nel bambino, essendo ancora in evoluzione: ecco perché si è passati, nel bambino, dalla radioterapia alla chemioterapia.

I tumori ossei sono a metà strada tra l’età pediatrica e l’adolescenza, spesso si hanno nel momento di crescita rapida. Il sarcoma di Ewing ha un comportamento abbastanza simile nelle due fasce d’età, pur avendo una prognosi migliore al di sotto dei 15 anni. Tra i sarcomi delle parti molli, il rabdomiosarcoma è una neoplasia classica del bambino, mentre negli adulti prevalgono gli altri sarcomi (leiomiosarcoma, liposarcoma, ecc).Ci sono i tumori a cellule germinali, che possono avere una componente carcinomatosa.I carcinomi della tiroide sono molto rari.

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EPIDEMIOLOGIA

L’adolescenza rappresenta una fascia grigia in cui non si è ancora adulti, ma non si è più bambini. È un periodo in cui si hanno ancora neoplasie più tipiche del bambino piuttosto che dell’adulto.Si è visto che i protocolli pediatrici, specie nelle leucemie e nei sarcomi (compreso quello di Ewing), hanno dei risultati migliori rispetto a quelli dell’adulto.Ci sono comunque dei cambiamenti tra età pediatrica ed adolescenza: si riduce il numero delle leucemie linfatiche aumentano i linfomi, in particolare quello di Hodgkin, ma anche il non Hodgkin aumentano i tumori dell’osso, specie l’osteosarcoma tumori parti molli: aumentano i sarcomi non rabdo aumentano i tumori a cellule germinali: rappresentano il secondo tumore per incidenza nei

giovani adulti (tumori gonadici, prevalentemente).Questi dati si riferiscono all’esperienza americana, ma lo stesso vale nell’ambito nazionale.

Se noi vediamo i tassi d’incidenza a metà degli anni ’90, si parlava di 140 nuovi casi all’anno per milione di pazienti pediatrici. Ci possono essere minime variazioni tra i vari registri, però in linea di massima il tasso d’incidenza per i soggetti sotto i 15 anni era quello; nell’ambito degli adolescenti, poco più di 200 nuovi casi all’anno.In Italia ci siamo sempre riferiti al registro tumori della provincia di Torino, che sicuramente è un territorio piccolo ma che ha una storia lunga, essendo nato negli anni ’60, e di qualità. Sulla base di questo, che è l’unico registro dei tumori pediatrico, si sono fatte le previsioni a livello nazionale del tasso d’incidenza di neoplasie e anche della distribuzione per tipo. Secondo questo registro, quindi, si hanno 147 nuovi casi all’anno per milione di abitanti pediatrici. Se vogliamo il tasso d’incidenza per fascia d’età, vediamo che, per i soggetti sotto l’anno di età, è di 199 nuovi casi all’anno per milione e per quelli nella fascia 1-4 anni è di 193 nuovi casi all’anno per milione. Si nota che il picco d’incidenza si ha dalla nascita ai 4 anni, poi diminuisce per salire nuovamente nell’adolescenza: più del 70% dei tumori si ha al di sotto dei 10 anni.

In base ai dati ISTAT del 2001, che mostravano all’incirca 8 milioni di soggetti in età pediatrica, e al tasso di incidenza (147 nuovi casi all’anno per milione), la previsione era che ci fossero 1221 nuovi casi all’anno, con le rispettive numerosità specifiche delle neoplasie.Questi dati su cui ci si basava negli anni ’90 non sono stabili: le valutazioni sui vari registri tumori segnalavano, specialmente in Italia, un aumento di incidenza pari a circa il 2% annuo, superiore a quello del Nord America o del resto d’Europa. Questo aumento vale per molti tumori: leucemie acute, linfomi, neuroblastoma, un po’ meno per i tumori cerebrali. Sulla base di questi dati, alla fine degli anni ‘90/inizi 2000, la previsione era che si passasse dai 147 nuovi casi all’anno (degli inizi anni ’90) a 176 nuovi casi all’anno. Per cui le previsioni su questi dati sono di 1500 nuovi casi all’anno di tumori pediatrici. Questo aumento si riscontra anche nell’adolescenza: si passava da poco più di 200 nuovi casi a circa 270 nuovi casi all’anno per milione.Addirittura ci sono dei dati epidemiologici, che sono da confermare, dei primi anni 2000 che mostravano, almeno nel registro tumori del Piemonte, il passaggio a 190 nuovi casi all’anno, nella fascia 0-14 : per cui le previsioni sarebbero di 1700 nuovi casi all’anno e di 750 nuovi casi nella fascia 15-19.N.B. Il dato da tener presente è quello fornito dalla Agenzia Italiana Registro Tumori di 175 nuovi casi all’anno per milione, in quanto è un dato confermato.

Nel Veneto abbiamo circa 650.000 soggetti in età pediatrica e abbiamo 110 nuovi casi all’anno nella fascia 0-14 e 35 nuovi casi all’anno nella fascia 15-19.

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Neoplasia Distribuzione per etàLeucemia linfatica acuta Picco tra 2-4 anniLeucemia mieloide acuta Picco <1 anno, poi cala e aumenta di nuovo di

incidenza fra gli adolescentiLinfomi non-Hodgkin Incidenza pressoché stabile, soprattutto in

adolescenzaLinfoma di Hodgkin Aumenta negli adolescentiNeuroblastoma Picco <1 anno, per poi calare e scomparire nella

popolazione al di sopra dei 6 anni d’etàRabdomiosarcoma 70% nei <10 anniSarcomi non rabdo <1 anno e >15 anniEpatoblastoma Entro gli 8-10 anniTumore di Wilms Entro gli 8-10 anni, oltre è lecito sospettare

piuttosto un carcinoma a cellule chiare del reneRetinoblastoma Incidenza massima <1 anno, di norma

comunque entro gli 8-10 anniTumori a cellule germinali Aumenta negli adolescentiMelanoma A partire dall’adolescenza

Per quanto riguarda l’oncologia pediatrica, dagli anni ’60 ad oggi ci sono stati notevoli progressi: oggi il 75% dei bambini con malattie neoplastiche ha possibilità di guarigione. Siamo stati anche fortunati perché ad esempio la leucemia è una malattia sensibile ai farmaci tradizionali. [Molti parlano di lungo sopravviventi, il prof preferisce parlare di guariti dalla malattia pediatrica. Alcuni potrebbero avere effetti collaterali o altri eventi, però sono comunque guariti dalla neoplasia pediatricaGuarisce: Il 90% dei bambini con tumori solidi o tumore di Wilms. L’80% dei bambini con leucemia linfatica. Il 70/75% dei bambini con linfomi. Circa il 50/60% dei bambini con tumori del SNC. Intorno al 60% dei bambini con leucemia mieloide acuta.Questi sono dati statistici, in Italia si è beneficiato di questo cambiamento prognostico e la mortalità per tumore dagli anni ’70 alla fine degli anni ’90 si è ridotta del 50%. Dagli anni ’90 ad oggi decresce del 2% ogni anno.Dagli inizi degli anni ’70, in cui si avevano guarigioni sporadiche, si è arrivati, alla seconda metà degli anni ’70, al 50% di sopravvivenza; la proiezione degli anni 2000 per la sopravvivenza è superiore all’80%.È migliorata l’assistenza del bambino anche perché si è raggiunta una multidisciplinarietà che aiuta sia nella diagnostica sia nella cura e nei possibili effetti collaterali.La sopravvivenza cambia in base alle caratteristiche biologiche della malattia e allo stadio, chiaramente.Le previsioni degli inizi del 2000, su base epidemiologica, affermavano che 1/900 giovani adulti (18-35 anni) potesse essere un soggetto trattato per una neoplasia in età pediatrica. La previsione per il 2015 è che si arrivi a 1/350 giovani adulti: questo è un segnale del miglioramento prognostico.

FATTORI DI RISCHIO

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Quelli che sono i fattori ambientali per l’adulto non hanno grande peso nel bambino a parte l’esposizione alle radiazioni ionizzanti: ora le donne in gravidanza vengono esposte solo in caso di esigenze particolari.

Nell’ambito della leucemia acuta, delle leucemie linfatiche, ci sono delle anomalie genetiche come la S. di Down, la Atassia-teleangectasia, la Sindrome di Bloom, le Neurofibromatosi che si associano ad una maggiore incidenza di sviluppo di leucemia: un bambino con la S. di Down ha circa 20 volte più probabilità di sviluppare la leucemia di un suo coetaneo senza anomalia genetica.

Per la leucemia mieloide, la S. di Down, la Monosomia 7 o la Neurofinromatosi I; alcune forme sono anche indotte da farmaci, come alchilanti o epidopodofilotossine (sono quindi seconde neoplasie).

Soggetti con immunodeficienze congenite o acquisite hanno maggior rischio di sviluppare linfomi, come linfoma B o linfoma di Burkitt (infezione da virus di Epstein-Barr).

Anche i Linfomi di Hodgkin sono spesso associati ad infezione da virus di Epstein-Barr. I tumori del SNC sono associati a Neurofibromatosi I (in particolare i Gliomi del nervo

ottico), Sclerosi tuberosa o all’esposizione a radiazioni ionizzanti. Per le radiazioni ionizzanti ci si basava su uno studio epidemiologico, fatto subito dopo la II Guerra Mondiale, sulle migrazioni in Israele: all’interno delle navi cariche di soggetti, molti avevano la Tinea Capitis ed è stata usata come terapia profilattica una radiazione a circa 150 rad. Si è visto un eccesso di tumori cerebrali.

L’osteosarcoma può essere favorito dalle radiazioni ionizzanti, da alchilanti oppure sindromi congenite, come la Sindrome di Li-Fraumeni, che presenta una mutazione di p53 cui si associano tumori ossei, tumori cerebrali, tumori mammari.

Per il retinoblastoma ci possono essere fattori ereditari, circa il 45% dei retinoblastomi riconosce una familiarità, ma anche la Sindromw di Beckwith-Wiedemann/Emipertrofia*

Il Tumore di Wilms si associa ad aniridria, alla S. di Beckwith-Wiedemann/emipertrofia e a malformazioni genitourinarie, quali ipospadia, doppio distretto renale o duplicazione renale

Il Rabdomiosarcoma si associa alla Sindrome di Li-Fraumeni o alla Neurofibromatosi I, ad esempio

L’Epatoblastoma si può associare alla S. di Beckwith-Wiedemann/emipertrofia o alla Poliposi famigliare del colon

I tumori a cellule germinali sono più frequenti in associazione a criptorchidismo, ad esempio

Abbiamo neoplasie che si associano ad anomalie genetiche (mutazioni, traslocazioni): ovviamente queste anomalie costituiscono una parte dell’evento che ha determinato la neoplasia, la quale è causata da diversi eventi genetici che vanno ad alterare i meccanismi di controllo, o attivando gli oncogeni o riducendo l’attività degli oncosoppressori. Noi abbiamo tanti interruttori che si accendono e si spengono, alcuni erano attivi in epoca fetale o embrionale e sono importanti per la differenziazione; dopo la nascita, si spengono e se ne accendono altri che favoriscono la maturazione del tessuto e la crescita.Quando c’è la traslocazione, c’è lo spostamento di geni da una sede ad un’altra, si formano dei prodotti di fusione che possono agire in modo anomalo, favorendo lo sviluppo delle neoplasie.

Ci sono delle anomalie congenite che si associano a maggior rischio di neoplasie: *Sindrome di Becwith-Wiedeman: è una sindrome di crescita eccessiva per cui il bambino

presenta macroglossia, visceromegalia e alla nascita linfocele, ernia inguinale ed ipoglicemie; un aspetto particolare potrebbe essere l’Emipertrofia, caratterizzata dalla ipertrofia di un emisoma rispetto al controlaterale.

Neurofibromatosi di tipo I si associa ad un maggior rischio di tumori cerebrali e dei sarcomi.

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Neoplasie congeniteSi parla di neoplasie congenite quando insorgano al di sotto dei 6-12 mesi di età.

Bambino che alla nascita presenta una massa ovalare alla spalla dx. L’ecografia mostrava una massa espansiva di circa 6 cm di diametro. La RM lo stesso: una massa di struttura muscolare che si estendeva dalla regione scapolare fino alla fossa claveare. Alla nascita si è visto essere, in seguito ad agoaspirato, un miofibroma con apparenza benigna. A distanza di due mesi, dal momento che non era un quadro ben definito, è stata fatta una biopsia che ha mostrato trattarsi di un rabdomiosarcoma. È quindi un rabdomiosarcoma congenito. Il bambino ha fatto la chemioterapia. Dovete sapere che anche i neonati e i lattanti fanno il trattamento chemioterapico, ovviamente a dosi e con farmaci adeguati.

Bambina che alla nascita mostra un nodulino bluastro al labbro. Era stato considerato di tipo angiomatoso e quindi i genitori erano stati rassicurati. Con la crescita della bambina è cresciuto anche il nodulino, fino ad arrivare a queste dimensioni considerevoli: è stato biopsiato ed è risultato essere un rabdomiosarcoma.

Neonato che alla nascita presentai noduli diffusi a tutto il corpo, sottocutanei, submuscolari, intramuscolari. In questo caso non occorre fare la biopsia, sembra un neuroblastoma: un tipo particolare di neuroblastoma multifocale che, pur avendo un aspetto disseminato, ha una prognosi favorevole.

CLINICA

Purtroppo non ci sono segni specifici. Spesso la neoplasia pediatrica si manifesta per i segni di diffusione: anche una neoplasia solida, a volte, dà segni di sé con la compromissione delle condizioni generali, per la diffusione della malattia piuttosto che per il tumore di per sé. Qualche volta il tumore primitivo può essere piccolo, oppure fortunatamente si può sentire la massa.La leucemia, che di per sé è una malattia sistemica, viene diagnosticata mettendo insieme gli elementi e mettendo nella diagnosi differenziale patologie non semplicissime.Spesso la malattia oncologica esordisce con segni e sintomi aspecifici, propri della comune patologia ambulatoriale pediatrica: Febbre Pallore Astenia Anoressia Tosse secca persistente Dolori agli arti Dolori addominali ricorrenti Zoppia Cefalea Linfoadenomegalia: le adenomegalie nel bambino sono tipiche dei linfomi Hodgkin e non

Hodgkin. Sono prevalentemente superficiali (laterocervicali, sopraclaveari, inguinale, mediastinici); bisogna distinguere la sede sopraclaveare, sita nella fossetta dietro la clavicola, dalla zona laterocervicale

Epistassi

La mancata regressione di una massa in assenza di sicura causa patogenetica, dopo un breve periodo di osservazione, porta all’esecuzione di una biopsia o almeno di un agoaspirato. Tuttavia una citologia negativa non esclude la malattia.

La leucemia nel bambino è acuta per cui non c’è una lunga storia, si parla di 4-6 al massimo 8 settimane. Sono bambini che vengono portati dal medico perché la mamma ha notato un

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cambiamento: è pallido, svogliato, ha poca voglia di mangiare, ha poca voglia di giocare, ma soprattutto ha febbre ricorrente.Questa febbre potrebbe spiegare i segni, come il pallore, e può anche rispondere alla terapia antibiotica. Tuttavia il ripresentarsi della febbre associato a segni come il pallore ingravescente e magari alla comparsa di petecchie, ecchimosi, epistassi in un bambino che ha cambiato il suo modo d’essere e che all’esame obiettivo presenta una epatosplenomegalia, ci deve far pensare alla leucemia.L’adenopatia non è l’elemento essenziale per fare diagnosi di leucemia, però può essere parte del quadro di leucemia. Nella leucemia non linfatica i segni possono essere diversi: spesso c’è ipertrofia gengivale, oltre al pallore e all’anoressia.

Il neuroblastoma, nel 50% dei casi, si presenta con sintomi di già avvenuta disseminazione, spesso anche con compromissione delle condizioni generali.

Il nefroblastoma tende invece a restare localizzato, dando sintomi genito-urinari o come reperto casuale.

In condizioni particolari come le anomalie genetiche, ad esempio la sindrome di Beckwith-Wiedemann, il pediatra deve tener conto che c’è un aumentato rischio di neoplasia ed è per questo che viene programmato un follow up metodico e accurato: Valutazione medica con l’esame obiettivo, con attenta valutazione addominale, almeno ogni 2-3

mesi Esame delle urine Dosaggio della alfafetoproteina Ecografia addominale,Vanno fatti ogni 3 mesi fino ai 6 anni (è il periodo a più alto rischio) e ogni 6 mesi dai 7 anni all’adolescenza.

Bambina di 5 anni: LEUCEMIA MIELOIDE ACUTA. Si è presentata come una adenopatia mediastinica: è stata una manifestazione rara, di solito c’è una componente ematologia più importante.

Bambino di 8 anni: NEUROBLASTOMA che ha dato segni di sé con la marcia incerta; Matteo 3 anni: NEUROBLASTOMA che si è manifestato con la disseminazione, cioè con le

metastasi a livello osseo. Spesso si fa diagnosi di neuroblastoma come malattia disseminata, se si è fortunati si riesce a fare diagnosi di malattia localizzata. Nel bambino spesso si localizza a livello addominale, non sempre si riesce però a visitare bene l’addome di un bambino.

S.F. 6 anni: i dolori addominali sono molto frequenti nel bambino, è difficile fare diagnosi differenziale. La dimensione del tumore era piccolo per cui era difficile, anche se si ha collaborazione, riscontrarlo alla palpazione.

Alessandra 4 anni: NEFROBLASTOMA. Contrariamente al neuroblastoma, in cui il bambino è compromesso in generale, si presenta come una malattia localizzata in un bambino in buone condizioni generali. Spesso ci si accorge della tumefazione in seguito ad un trauma che però non ha nessuna responsabilità nella malattia, anche se può accelerare la situazione

D.I. 17 anni: SARCOMA DI EWING. È la biopsia che determina la diagnosi. S.S. 4 anni: RABDOMIOSARCOMA PARAMENINGEO, ha una prognosi intermedia, del

50-60%. Vanessa 15 anni: TUMORE A CELLULE GERMINALI. Bisogna far attenzione ai vomiti

mattutini, specie se preceduti da nausea; il bambino dopo il vomito può star bene, però sono

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vomiti che si ripetono, si hanno nei tumori del IV ventricolo (medulloblastoma).

Si è cercato di vedere in quanti casi si ha un ritardo nella diagnosi e circa il 50-60% dei bambini ha avuto effettivamente un ritardo nella diagnosi e si è cercato di capire il perché: 14 bambini perché si era sospettata una infezione 9 bambini perché c’è stato un ritardo, da parte dei genitori, nella richiesta di consulenza medica 21 bambini perché c’è stata una sottostima del problema da parte del medico 7 bambini perché avevano subito precedentemente un trauma cui si è imputata la lesione 10 bambini perché si è attesa la diagnosi istologica.

In caso di diagnosi clinica incerta, di evoluzione o severità dei sintomi, di percezione da parte dei genitori di un cambiamento nel bambino bisogna tenere in considerazione, nella diagnosi differenziale, la possibilità della presenza di una neoplasia.

NEUROBLASTOMA

Il neuroblastoma nasce dai gangli simpatici o dalla midollare del surrene: può avere quindi localizzazione lungo l’asse vertebrale (cervicale, mediastinico, addominale) o surrenalica.

Segni e sintomiSpesso si manifesta come conseguenza della diffusione, della disseminazione della malattia agli altri organi e apparati (midollo, ossa): infatti nel 50% dei casi si presenta con segni indiretti della massa.

Sede Manifestazione MetastatizzazioneLaterocervicale All’EO, si rileva adenopatia

indolente, dovuta in realtà alla massa

Eccezionale

Pelvi Stipsi, disuria, presenza di massa alla palpazione

RaraMediastino Tosse, dispneaTorace Segni radiologici di massa ad

un Rx casualeAddome (65% dei casi) Reperto di massa alla

palpazione, pallore, febbre, dolori ossei

Nei ⅔ dei casi

Tac a livello lombo aortico: il rene sx è compresso, lateralizzato e le vie escretrici sono infiltrate da una massa che infiltra il rene superando la linea mediana, facendo capire la complessità di un eventuale approccio chirurgico.

Foto di neonato con marcata distensione addominale; i 2/3 dell’addome sono occupati da un fegato ingrandito con nodularità simili a quelle della foto della volta scorsa, che si presentavano però a livello cutaneo.

Il neuroblastoma, anche nelle forme disseminate, non è necessariamente fatale, infatti sotto9 l’anmo d’età ha prognosi migliore.Possono verificarsi remissioni spontanee, come spesso accade nella forma disseminata, lo stadio 4s [s= speciale, cioè < 1 anno di età; 4=localizzazione diffusa (fegato, cute), può avere minima

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localizzazione midollare ma non deve interessare ossa e polmoni]. Sono assenti le alterazioni genetiche tipiche della forma classica e un eventuale intervento terapeutico è volto a facilitare la differenziazione.

In alcuni casi all’autopsia di soggetti adulti si può riscontrare un neuroblastoma in situ: non ha mai originato la malattia, è stato controllato ed è andato incontro a maturazione; si tratta quindi di un neuroblastoma potenziale che non si è mai sviluppato.

La maggior parte dei neuroblastomi pediatrici però si manifesta per il coinvolgimento di altri organi come ossa, cute, con ecchimosi periorbitali, dolori alla deambulazione, progressiva anemizzazione.Il 50% dei bambini affetti da questa patologia presenta manifestazioni disseminate.

Riassumendone le peculiarità:- È un tumore caratteristico dell’età pediatrica (< 4 anni), con alta incidenza < 1 anno.

- Ha caratteristiche biologiche peculiari: o Può presentarsi come NB in situ;

o Può avere remissione spontanea anche allo stadio 4s;

o La metà dei casi ha metastasi o è regionalmente estesa;

o Esiste la possibilità di fare diagnosi precoce.

DiagnosiC’è stato un grande progresso nella conoscenza delle caratteristiche biologiche utili alla prognosi e alla terapia, con l’individuazione di marker che sono i metaboliti di adrenalina e noradrenalina, ovvero: acido vanilmandelico, acido omovanillico, dopamine. I livelli di adrenalina e noradrenalina sono invece normali.

Basandosi su questi, è stato messo in moto dal Giappone il tentativo di screening al fine di effettuare una diagnosi precoce, essendo questo tumore frequente prima dell’anno di età.L’idea era di identificare, con diagnosi precoce, lattanti con neuroblastoma localizzato e quindi ridurre l’incidenza di bambini in fase metastatica.Lo screening si basava sulla ricerca urinaria dei marker, a intervalli di tempo stabiliti. Lo screening ha evidenziato un numero maggiore di affetti rispetto ai dati epidemiologici precedenti, dato confermato in Giappone e poi anche in certe regioni degli USA ed europee.La conclusione è stata che si riscontrano più bambini affetti ma non si riduce il numero di bambini con metastasi. C’è quindi un beneficio relativo, dato che venivano identificati anche bambini che mai avrebbero sviluppato la malattia. In Europa e USA, dopo studi prolungati, si è deciso di non adottare questo screening.Sul neuroblastoma c’è un’altissima ricerca di base specie sull’aspetto genetico, per identificare le anomalie a questo livello.

È una delle neoplasie in cui i programmi terapeutici sono pesati anche in rapporto ad alcuni aspetti biologici, che sono parte della diagnosi, come la ricerca dell’amplificazione del gene n-myc (oltre ad altre anomalie genetiche meno importanti); la determinazione della presenza dell’amplificazione di MYCN è mandatoria: la sua presenza è fatto prognostico altamente sfavorevole, anche nel caso la malattia sia localizzata e quindi richieda trattamento più aggressivo.

Forme cliniche

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La presentazione clinica è variabile, le forme localizzate sono spesso reperti occasionali, conseguenti ad esempio a una banale visita medica, o a un Rx del torace.Nell’ambito del neuroblastoma esistono più tipi:

- Neuroblastoma indifferenziato;

- Ganglioneuroblastoma: presenta dei segni di maturazione; nelle forme in cui le cellule indifferenziate sono frammiste alle cellule mature, la prognosi è migliore rispetto alle forme nodulari;

- Ganglioneuroma: è maturo, quindi benigno.Nell’indifferenziato, forma maligna, bisogna valutare il grado di differenziazione (es. 4s) e l’ età bambino; nel ganglioneuroblastoma la presenza di tessuto indifferenziato e le caratteristiche delle cellule che lo caratterizzano.Quel che pesa nella terapia sono le caratteristiche delle cellule immature, indifferenziate.

Prognosi e stadiazioneFattori prognostici:

- Età: > o < 1 anno;

- Stadio INSS (International Neuroblastoma Staging System): se localizzato, se supera linea mediana (colonna vertebrale). Si è visto che la malattia a cavallo della linea mediana ha prognosi peggiore, maggior aggressività, maggior complessità chirurgica. Significa che dal ganglio di origine si è espansa molto.

- Fattori biologici, che entrano pesantemente nella scelta terapeutica:o Amplificazione di n-myc

o Istopatologia

o DNA index

o Loss of Heterozigosity di 1p36

o Umbalanced 17q gain

o Espressione di TRK-A

Stadiazione:- Stadio I: interessa solo il ganglio di origine;

- Stadio II: interessa un emiaddome;

- Stadio III: supera la linea mediana;

- Stadio IV: ha metastasi;

- Stadio IVs: lattante senza lesioni ossee, pleuriche, e qualora avesse interessamento midollare, questo è < 10%. Un tempo si credeva fosse una malattia metastatica con evoluzione positiva con minima terapia (es. caso di addome occupato dal fegato per 4/5, c’è ingombro meccanico, compressione meccanica sul diaframma, disprotidemia, perchè il fegato non funziona bene). Poi si è andato a definire che più che metastasi si tratta di multifocalità. Mancano aspetti di aggressività, è raro che ci sia una amplificazione di MYCN nel lattante; avendo meno di 1 anno, il bambino ha prognosi migliore. Questo limite viene spesso spostato a 18 mesi, dato che si è visto i 6 mesi in più non hanno influenza significativa sulla prognosi, ma per definire uno stadio come 4s il bambino deve essere < 1 anno.

La prognosi è negli anni migliorata, oggi è del 60-65%.Si definiscono così:

- Forme a basso rischio, in cui l’atto chirurgico è l’unico atto terapeutico: < 1 anno di età, ma senza amplificazione di n-myc, istologia favorevole, assenza di delezione 1p.

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- Forme ad alto rischio: tutti i bambini con metastasi, tutti i bambini con amplificazione di n-myc indipendentemente dall’età, tutti i bambini > a 1 anno con stadio 4.Queste ultime situazioni rappresentano alla diagnosi il 50% dei casi, e hanno prognosi severa nel 30-35%. Richiedono impegno terapeutico aggressivo, importanti intensificazioni, megaterapie anche con staminali ematopoietiche autologhe o allogeniche.

- Forme a rischio intermedio richiedono trattamento chemio-radio terapico e chirurgico standard. Queste sono forme non operate, senza amplificazione di n-myc ma magari LDH elevata, > 18 mesi di età, delezione del cromosoma 1p.

TerapiaC’è differenziazione nel trattamento multidisciplinare; il trattamento terapeutico può essere importante, ma esistono anche trattamenti lievi e intermedi.Per l’alto rischio esistono protocolli con intensificazione, megaterapie, cellule staminali autologhe o eterologhe. Ciò ha portato a un miglioramento prognostico dopo gli anni ’80, con successiva “normalizzazione” delle curve di sopravvivenza.Già allora si sono cercati approcci biologici. Si è visto che l’acido cis-retinoico e i derivati della vitamina A favoriscono la differenziazione delle cellule del neuroblastoma (es. fenretinide) e sono entrati nella pratica clinica.Come anche mAb anti ganglioside GD2, usati in bambini senza malattia clinica evidente o minima che, se lasciati senza terapia specifica, hanno progressione della stessa.Nello studio dell’acido cis-retinoico a fine anni ’90 si è dimostrata l’utilità dello stesso nella pratica clinica come anche dei mAb.Sono terapie con l’obiettivo di colpire la malattia minima, evidenziata clinicamente o radiologicamente, con aspirati midollari, in cui sappiamo essere presente la possibilità di ripresa della stessa. L’obiettivo è di cercare di indurre differenziazione delle cellule neuroblastiche residue e con l’mAb indurne la distruzione.L’mAb in Europa si utilizza da poco tempo. Ha avuto dei problemi di preparazione, si è cambiata ditta, è ripartita la sperimentazione con tutte le problematiche tecniche che ciò ha comportato. Negli Usa si usa da circa 5 anni e sembra avere buoni risultati.Durante la terapia c’è rischio di shock, il bambino sta male, è richiesta molta attenzione e professionalità, e il tutto è reso possibile da un approccio multidisciplinare organizzato ad hoc.

TUMORE DI WILMS(si dice “Vilms” e non “Uilms”)

Classico tumore del bambino che, a differenza del neuroblastoma, difficilmente presenta segni sistemici di malattia. In genere il genitore nota la presenza di una tumefazione addominale, o si accorge di un lieve dolore addominale riferito dal bambino o di ematuria.C’è quindi una tumefazione, una massa, in un bambino che sta sostanzialmente bene; è bene non trascurarlo nella diagnosi differenziale, anche se traumi, frequentissimi nei bambini, possono tranquillizzarci nel corso dell’anamnesi. Il 70% dei casi insorge prima dei 5 anni di età.

Alterazioni genetiche e patologie associateDal punto di vista genetico è di solito sporadico ma nel 1-2% dei casi c’è familiarità e, nell’ambito della genetica molecolare, c’è coinvolgimento dell’oncosoppressore WT1 che mappa sul cromosoma 11p.Ci sono malformazioni che si associano a questo tumore:

- ipospadia, - criptorchidismo, - rene a ferro di cavallo;

Patologie genetiche associate:

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- sindrome di Beckwith-Wiedemann.- l’emiipertrofia: non si manifesta alla nascita ma si evidenzia dopo qualche mese (es. le

scarpe che vanno bene in un piede e non nell’altro, una gamba è più sviluppata dell’altra).- la sindrome WAGR: aniridia, anomalie genitourinarie, ritardo mentale; - la sindrome di Denys-Drash: genitali ambigui, ritardo mentale, insufficienza renale.

DisseminazioneEssendo una malattia neoplastica può diffondere per:

- Via linfatica: ai linfonodi regionali: ilorenali, lombo aortici, o a distanza.- Via ematica: metastasi ai polmoni (85%).

Altre localizzazione possibili sono fegato (7%), fegato+polmone (8%) osso e cervello (raramente).

StadiazionePer la stadiazione si ricorre alla TAC che permette di vedere anche piccoli noduli metastatici (l’Rx non ha risoluzione sufficiente).La classica stadiazione è post-chirurgica. In linea di massima:

- Stadio I: limitato al rene, è stato quindi asportato completamente;

- Stadio II: infiltra la capsula ma viene asportato completamente e i linfonodi regionali sono negativi;

- Stadio III: il tumore sconfina oltre la capsula e il chirurgo lascia dei residui, o ci sono linfonodi regionali positivi, infiltrati, o nel corso dell’atto chirurgico c’è stata rottura intraoperatoria con spandimento di materiale neoplastico (anche qualora fosse in un “potenziale” stadio I o II);

- Stadio IV: presenza di metastasi ematogene;

- Stadio V: bilateralità.

Prognosi e terapiaIl tumore di Wilms è stato un modello di approccio multidisciplinare e del suo successo. Attualmente è uno dei modelli impiegati per valutare la riduzione del costo terapeutico, dell’aggressività terapeutica.Negli anni ’30 la possibilità di sopravvivenza e guarigione era occasionale (c’era solo la chirurgia come atto terapeutico). Ci sono stati poi miglioramenti chirurgici, anestesiologici, delle tecniche, la possibilità di controllo della malattia ma senza mai raggiungere vertici elevati. L’introduzione della radioterapia a fine anni ’40 ha permesso l’aumento dei possibili guariti. A fine anni ‘60 con l’introduzione dell’associazione radio-chemioterapia ci sono stati ulteriori benefici.Oggi il 90% dei bambini guarisce.Il tutto ha comportato studi randomizzati, su radioterapia, chemioterapia, fattori prognostici, differenziazione terapeutica in rapporto ai fattori prognostici, passaggi che hanno richiesto cooperazioni nazionali e sovranazionali per raggiungere un’adeguata numerosità.Nell’ambito di questi trials clinici e dell’identificazione di fattori prognostici si è riusciti a differenziare intensità e durata della terapia, identificando gruppi di pazienti a prognosi favorevole, sfavorevole, intermedia. Questo processo si fa con tutte le neoplasie. Lo sforzo attuale è identificare e poter sfruttare fattori prognostici clinici (tipo e modalità di presentazione della malattia: dimensione, estensione, metastasi, età, caratteristiche istologiche) ma anche di genetica molecolare.Dall’insieme di tutto questo si cerca di identificare l’intensità della malattia. Si cerca di assicurare una buona qualità di vita, perché il piccolo paziente diventi un giovane adulto che si possa integrare nella società.I fattori prognostici sono:

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- Stadio postchirurgico della malattia: più è localizzata (stadio I, II, ecc) migliore è la prognosi. Se ci sono linfonodi positivi si è in stadio III, indipendentemente dall’entità dell’asportazione chirurgica;

- Istologia: può essere favorevole o sfavorevole;

- Caratteristiche: il rene può presentare abbozzi embrionali, differenziazione epiteliale, carattere blastomatoso, muscolare.

- Genetica: esistono degli elementi peculiari, come la perdita di eterozigosità del cromosoma (LOH) 16; in USA si è visto che la presenza contemporanea di LOH del cromosoma 1 e 16 ha prognosi più sfavorevole.Anche nel caso del tumore di Wilms quindi la genetica molecolare entrerà presto a caratterizzare i pazienti a rischio più elevato.

All’interno di uno stesso tumore di Wilms possono esserci più componenti: epiteliale, stromale, e cellule indifferenziate.Ciò che caratterizza la favorevolezza della prognosi è il grado di anaplasia, caratterizzata da cellule molto gradi, con più nucleoli, atipici, ipercromatici, con mitosi importanti. Nell’ambito dell’anaplasia si distingue se è focale o diffusa (la focale ha peso inferiore alla diffusa). Ma anche la presenza di cellule blastematose. Se c’è anaplasia si ha istologia sfavorevole e quindi si va alla chirurgia in USA, subito, d’èmbleé.L’istologia è sfavorevole in base alla presenza di anaplasia e alla presenza di residui di cellule blastomatose. In Europa viene fatto un trattamento preoperatorio (chemioterapico, mai radioterapico) senza che venga fatta diagnosi istologica quindi, ma solo radiologica.Se viene fatto trattamento preoperatorio chemioterapico e residua più del 66% di cellule blastematose, questa presenza di blastema è aspetto altrettanto sfavorevole oltre all’anaplasia.La logica del trattamento preoperatorio è di ridurre i rischi di rottura intraoperatoria, per evitare in quel caso di dover ricorrere poi alla radioterapia. Mentre in Usa si fa solo diagnosi istologica, in Europa si fa solo diagnosi radiologica. I due gruppi si sono confrontati per anni. In conclusione, confrontando gli studi, si è visto il vantaggio di fare un trattamento preoperatorio di 4 settimane, di 6 nel caso di metastasi; trattamento che riduce l’impegno chirurgico, aumenta i pazienti in stadio I o II, e in termini di peso terapeutico riduce il trattamento chemioterapico. Nei bambini < 6 mesi non si fa comunque il trattamento preoperatorio.Ndr al corso opzionale, il prof Cecchetto ha detto che, di fatto, non c’è evidenza del fatto che un approccio sia migliore dell’altro, motivo per cui USA ed Europa agiscono diversamente.La % di identificazione di anaplasia è lievemente inferiore all’istologia dopo chirurgia d’èmbleé rispetto ai casi di precedente trattamento preoperatorio (in sostanza aumenta lievemente la componente anaplastica, motivo per cui in USA si esegue la chirurgia d’èmbleé).

I farmaci di base nell’ambito del Wilms: actinomicina-D + vincristina, associati o meno alla doxorubicina.Pazienti con metastasi o anaplasia vanno incontro a trattamenti più aggressivi con impiego anche di 4 farmaci. Nel caso di stadio V bisogna cercare di salvare un rene, e favorire quindi rimozioni parziali e il salvataggio di quello meno compromesso.

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SARCOMI DELLE PARTI MOLLI

Derivano da cellule mesenchimali, non epiteliali. La caratterizzazione si fa in base alle caratteristiche differenziative. Possono colpire qualsiasi tessuto di origine mesenchimale.Epidemiologicamente, si parla di 4-5 nuovi casi/milione/anno.

Il rabdomiosarcoma, il più frequente, deriva dal muscolo extrascheletrico striato. Diversi sono invece i sarcomi “non rabdo-“ come il leiomiosarcoma (sarcoma del muscolo liscio).Possono insorgere in qualsiasi sede anatomica ma la maggior parte dei rabdomiosarcomi, il 70%, colpisce soggetti < 10 anni e poi ha un secondo picco nell’adolescente.Per quanto riguarda i bambini, i sarcomi principali sono i rabdomiosarcomi, poi ci sono altri sarcomi, come quello sinoviale, il fibrosarcoma, l’istiocitoma fibroso maligno, il leiomiosarcoma, lo Schwannoma maligno, e altri.Negli adulti il rabdomiosarcoma occupa una piccola percentuale e prevalgono le altre forme.Anche per questa classe di tumori si associano altri quadri: malformazioni, Neurofibromatosi I, malattie congenite (del SNC, genito-urinarie, cardiovascolari), Sindrome di Li-Fraumeni.

Diagnosi Anche nel rabdomiosarcoma si hanno alterazioni a livello cromosomico: al cromosoma 11p, la traslocazione 1-13, prevalentemente date da traslocazioni con formazione di prodotti di fusione.Si stanno identificando alterazioni che entrino nella definizione diagnostica e che allo stesso tempo siano importanti per la definizione dell’aspetto prognostico della malattia, aiutando e la ricerca della malattia minima disseminata o residua.I prodotti di fusione possono essere il marker biologico per evidenziare una malattia minima che funga da bersaglio terapeutico, nell’ambito dei “farmaci intelligenti”, nelle nuove ricerche di farmaci target.

Sono attualmente importanti per l’aspetto diagnostico: l’estensione di malattia, la presenza di malattia minima residua.Foto di ragazzo con esoftalmo, alla RM si vede che c’è una massa nel cono orbitario ma è interessato anche il seno mascellare e parte delle coane nasali. In questo caso, visto l’interessamento delle meningi, si tratta di sarcoma parameningeo.

Disseminazione Qualche volta anche i sarcomi delle parti molli possono dare importante disseminazione e infiltrazione midollare. Diffondono per via linfatica ed ematica anche ad ossa e midollo.

Prognosi I fattori prognostici, per fare terapia, si basano su diversi aspetti che possono essere favorevoli o sfavorevoli.

- Istologia: nel rabdomiosarcoma, ad esempio, se c’è interessamento alveolare è sfavorevole- Sedi favorevoli: orbita, apparato genitourinario (tranne vescica e prostata, sedi sfavorevoli),

testa-collo (non parameningee: rinofaringe, seni), sfavorevoli tutte le altre.- Dimensione: sfavorevole se > 5 cm.- Età: sfavorevole <1 e > 10 anni (a differenza di Neuroblastoma e Wilms).- Rischio: è basso nel 6-8%, standard nel 25-35%, elevato nel 55-60%, molto alto nel 4-7 %

dei casi.L’approccio è anche in questo caso multidisciplinare.

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LEUCEMIE ACUTE

In età pediatrica si parla quasi esclusivamente di leucemie acute, i casi di leucemia mieloide cronica sono rari, e quasi inesistenti quelli di linfoide cronica. La leucemia è un processo di origine clonale in cui si verifica un arresto della differenziazione e della maturazione di una determinata linea cellulare (linfatica o non linfatica). Origina a livello del compartimento midollare, dove avviene la sintesi emopoietica. Le manifestazioni sono quindi riconducibili al fatto che si sviluppa una popolazione indifferenziata che, crescendo, sostituisce la normale emopoiesi con progressiva riduzione della sintesi della serie eritroide, mieloide e megacariocitaria. Queste cellule poi entrano nel circolo periferico, colonizzano e invadono organi e apparati (fegato, timo, linfonodi ecc).

Segni e sintomiI segni e i sintomi più frequenti sono dovuti alla riduzione della sintesi della serie mieloide: neutropenia progressiva che porta un abbassamento delle difese con infezioni frequenti o che rispondono alla terapia antibiotica e poi riprendono, febbri (segno di infezione) ricorrenti, persistenti o resistenti. La riduzione dei globuli rossi comporta un pallore progressivo. Conseguenza della ridotta sintesi megariocitaria, invece, sono manifestazioni emorragiche spontanee, come petecchie, ecchimosi anche conseguenti a traumi di lieve entità: il genitore vede una differenza rispetto alla normalità, sono ecchimosi più pronunciate, più resistenti, un ematoma più importante, o piccole epistassi o petecchie per piccole emorragie spontanee. Inoltre compare astenia, il bambino cambia il suo comportamento, ha meno vitalità, rimane di più seduto, ha dolore agli arti. Si riscontrano inoltre epatomegalia e splenomegalia, mentre cuore e reni sono più difficili da osservare. La differenza fra leucemia linfatica e non linfatica non è sempre così evidente, ma situazioni come l’ipertrofia gengivale, noduli e infiltrati cutanei sono più frequenti nelle non linfatiche.

DiagnosiUna diagnosi clinica si può sospettare in caso di un quadro sintomatologico completo. Si passa da un sospetto clinico a una diagnosi sommando elementi sintomatologici e valutazioni del cambiamento di esami emocromocitometrici (pallore, anemizzazione, riduzione delle piastrine, comparsa successiva di tutti questi sintomi di cui abbiamo parlato). Da un punto di vista laboratoristico la leucemia può manifestarsi sia con leucocitosi sia con leucopenia sia con leucociti nella norma. Già in uno striscio di sangue periferico si possono trovare cellule blastiche, ma per una diagnosi e per uno studio completo, si esegue sempre un aspirato midollare, il quale si preferisce rispetto alla biopsia osteomidollare, necessaria solo in caso di grave leucopenia o di una fibrosi midollare che non permette di aspirare un adeguato quantitativo di cellule, ma sono casi rari. Con l’aspirato midollare si aspira il sangue midollare: si fa lo striscio, la citogenetica classica, lo studio immunologico e indagini di genetica molecolare e biologia molecolare. E’ una malattia sistemica, quindi l’estensione già si conosce, a differenza di un tumore solido che può dare mestastasi; nonostante ciò, fino a qualche anno fa, la voluminosità, cioè l’entità dell’epatomegalia e della splenomegalia e il numero di globuli bianchi nel sangue periferico, erano parametri che venivano considerati per definire il rischio e il programma terapeutico. Anche oggi bisogna comunque definire, nell’ambito di un inquadramento generale, di quanto sporge il fegato, la splenomegalia, la presenza o meno di infiltrato nel mediastino, di interessamento del sistema nervoso centrale o testicolare o renale; quindi dati citologici vanno ricavati anche dal prelievo di liquor.Il bambino con una leucemia acuta è in una situazione di emergenza ematologica perché presenta una situazione metabolica e infettivologica di rischio: è un bambino piastrinopenico a rischio di emorragie, può esserci una CID favorita da alcuni elementi della cellula mieloide, con febbre (si fanno terapia antibiotica e indagini colturali; il più delle volte sono a eziologia batterica, mentre più

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rare sono le forme fungine presenti alla diagnosi, insorgono piuttosto dopo prolungate neutropenie e sono molto severe) e neutropenia, è anemico ed è un bambino in cui sono in atto processi catabolici, con conseguente rischio di iper potassiemia, ipokaliemia, iperfosfatemia, iperuricemia (raramente gravi, ma prima di iniziare la terapia bisogna raggiugere un equilibrio metabolico). Nel linfoma di Burkitt (quando supera il 25% di cellule blastiche nel midollo si parla di leucemia, quindi un Burkitt in cui c’è un’infiltrazione del 30% è una leucemia di Burkitt, altrimenti si parla di linfoma di Burkitt) il rischio metabolico per interessamento renale è elevato, così come il rischio di dover ricorrere a dialisi renale. Nell’ambito della definizione della malattia, oltre al prelievo e all’aspirato midollare, bisogna valutare anche il sistema nervoso centrale attraverso una rachicentesi, la quale fa parte della diagnostica e della terapia: si esegue in sedazione, come tutte le altre procedure, usando anche una pomata anestetica locale. L’aspirato midollare viene fatto di solito a livello della spina iliaca posteriore; con il sangue midollare aspirato, si fa poi uno striscio, simile a quello del sangue periferico, cercando di eliminare la parte liquida e vedere dei frustoli. La prima diagnosi è quella morfologica (almeno fino a un certo numero di anni fa), corroborata da indagini immunoistochimiche, immunologiche,ecc…In uno striscio di sangue midollare normale ci sono più componenti cellulari: componente eritroblastica, megacarioblastica, mieloide, è quindi un quadro misto. Il midollo va guardato a piccolo, medio e grande ingrandimento per avere una visione dell’insieme, e poi anche a immersione per valutare meglio le cellule. In una leucemia il quadro è prevalentemente monomorfo con sostituzione della mielopioesi normale con cellule abnormi, nell’ambito del quale si possono riscontrare cellule della mielopoiesi normale. In base alla morfologia vanno distinte leucemie linfoblastiche e mieloidi: la leucemia linfoblastica è formata da cellule che assomigliano ai linfociti, sono cellule più grandi, più atipiche con cromatina reticolata, presenza di nucleoli, citoplasma scarsissimo o assente, non ci sono granuli; le cellule della serie mieloide sono più grandi, con granulazioni azzurrofile nel citoplasma, corpi di Auer che sono addensamenti di granulazioni. Di fronte a una leucemia linfoblastica, bisogna cercare di caratterizzare, cioè non è più sufficiente dire che è una leucemia linfoblastica, ma bisogna vedere se la linea di sviluppo è a precursori B o T, oltre al grado di immaturità, in base alle caratteristiche e ai marcatori presenti. La classificazione di una leucemia prevede l’analisi della morfologia, l’immunofenotipo, la citogenetica e la biologia molecolare.

BLASTI MIELOIDI BLASTI LINFOIDIRapporto nucleo/citoplasma ↓ ↑Citoplasma Granuli azzurrofili e corpi di

AuerAgranulare

Nucleo Cromatina lassa; 1-4 nucleoli Cromatina densa; 1-3 nucleoli indistinti

Altro ± alterazioni displastiche Assenza di displasia granulocitaria

Forme linfoidiNell’ambito della morfologia si usa la classificazione FAB, basata sulle caratteristiche morfologiche:

L1 sono i linfociti più piccoli, più densi, scarso citoplasma, raramente qualche nucleolo o vacuolo

L2 sono cellule più grandi, con presenza di citoplasma basofilo, incisure a livello del nucleo, nucleoli

L3 sono le cellule B mature; questa è l’unica morfologia che si correla con l’immunofenotipo. Si vedono nell’ambito del Burkitt (sono cellule grandi, con citoplasma basofilo, presenza di vacuoli citoplasmatici e nel nucleo, nucleoli);

L1 o L2 invece non si correlano con un immunofenotipo B o T, perch§è troppo sdifferenziate.

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Questa classificazione morfologica serviva insieme a altri fattori clinici per indicare l’impatto prognostico e l’indirizzo terapeutico.

Per la classificazione immunologica, cioè l’immunofenotipo, si utilizzano una serie di monoclonali. Linea B CD19 CD79a

LLA proB + Non altri Ag BLLA common + CD10

LLA preB + IgM citoplasmaticheLLA B + catene κ e λ citoplasmatiche e di superficie

Anche nella linea T si va dalla forma più indifferenziata a quelle più differenziate (CD3). Quindi con l’immunocitofluorimetria si usa un pannello di monoclonali che indirizzano la classificazione immunologica.

Ma non è sufficiente, ci sono anche indagini di citogenetica e genetica molecolare. Il 70% delle leucemie linfoblastiche e l’80% delle non linfoblastiche presentano anomalie genetiche. Le più frequenti, con impatto prognostico e su cui si deve indagare perché ci sono indirizzi terapeutici ad hoc, sono:

traslocazione 9-22 (il cromosoma Philadelphia; è frequente nell’adulto e più rara nel bambino (5%), ed è sfavorevole dal punto di vista prognostico con conseguente impatto terapeutico più severo)

traslocazione 4-11 (molto frequente nei bambini al di sotto di un anno; ha impatto prognostico sfavorevole, si prevede già trapianto di midollo nel loro decorso)

anomalie dell’11 e del 9 traslocazione 12-21 (favorevole, frequente nei bambini 13%, rara negli adulti) traslocazione 1-19, ma non ha impatto sfavorevole. Traslocazioni 8-14, tipica delle leucemie mature.

Oltre alle traslocazioni e alle anomalie genetiche, è importante anche lo studio del DNA index: la presenza di iperploidie (>50 cromosomi, è favorevole) e ipoploidie. La valutazione genetica è il must, sia nella linfatica che nella mieloide, perché sono i fattori prognostici che determinano gli indirizzi terapeutici.

TerapiaLa leucemia linfatica del bambino è stata uno dei più grossi successi terapeutici della medicina moderna. Uno studio di un gruppo nord americano del Children’s Hospital di Memphis, che è il centro di riferimento per le leucemie, ha rilevato che a metà anni ‘60 le guarigioni erano il 10%, a metà anni ’70 si è fatto il gran balzo sopra il 50%, poi il miglior utilizzo di farmaci noti, l’introduzione di nuovi, l’individuazione di fattori prognostici, la divisione in fasce di rischio e quindi diversi approcci terapeutici, hanno determinato un miglioramento della sopravvivenza, tanto che l’80% dei bambini con LLA hanno la possibilità di sopravvivere. La sopravvivenza può prevedere anche una ripresa di malattia e un risalvataggio. Anche in Italia si è visto il miglioramento nel corso degli anni: con il protocollo del 2000 la sopravvivenza è >80% e l’event free survival è >70%.E’ importante che conosciate la storia naturale e le tappe terapeutiche. Il periodo di terapia è di due anni: questo è un termine internazionale a cui si è arrivati dopo studi di confronto. All’inizio non si sapeva quando sospenderla, si andava avanti per due anni e mezzo-tre, poi si sono fatti confronti fra due e mezzo e tre anni e si è visto che chi faceva due anni e mezzo non aveva eventi sfavorevoli; poi due anni e mezzo verso i due anni e si è visto che questi ultimi erano un termine adeguato. A metà anni ‘80 si sono confrontati i 18 mesi e i 24 mesi, ma lo studio è stato interrotto per eccesso di eventi sfavorevoli nei 18.Nel corso dei due anni cambia l’intensità della terapia. Le fasi cruciali sono i primi 6-7 mesi dove la terapia è intensa, si cercano di usare i dosaggi più intensi adeguati al protocollo. Richiede terapia antibiotica di supporto e trasfusionale e va proseguita anche con valori ematologici bassi (ad

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esempio 200 neutrofili, impensabile invece nell’adulto). Si è visto che l’intensità della terapia in questi sei mesi gioca nella qualità della risposta terapeutica, il che significa avere delle basi solide per l’obiettivo finale ossia la guarigione.

1. La prima fase ha come scopo l’induzione della remissione, cioè un’apparente scomparsa della malattia, e consentire una mielopoiesi regolare. Comprende due fasi, 1a e 1b. L’induzione è preceduta da una prefase. Si usa il cortisone, farmaco tanto importante nella leucemia al punto che, nella prefase, si valuta la risposta al cortisone dopo 8 giorni di terapia, e questo è un fattore prognostico; poi al giorno 8 si aggiungono i farmaci antiblastici (4) classici associati al cortisone: vincristina, daunorubicina, un antienzima e L-asparaginasi. Una remissione clinica si può ottenere anche con 3, ma il quarto permette una migliore qualità della remissione. La fase 1a dell’induzione termina al giorno 33, quando viene valutato il midollo e l’entità della remissione. Segue la fase 1b, con altri farmaci (ciclofosfamide, 6mercaptopurina,ecc…), fino al giorno 78, quando si fa un’altra valutazione importante per la determinazione del rischio terapeutico.

2. All’induzione segue la fase del consolidamento che mira a potenziare la risposta terapeutica ottenuta ed eliminare le cellule blastiche nelle meningi (alla diagnosi si fa la rachicentesi e si vede se ci sono cellule leucemiche; è raro trovarle, però il SNC è una delle sedi principali di recidiva, quindi si è inserito nella terapia un programma di profilassi della leucemia del SNC). Per il consolidamento si usa methotrexate a dosi medio alte.

3. La terza fase è un’intensificazione ritardata: ripete l’induzione usando gli stessi farmaci o modificandoli (invece che la daunorubicina l’adriamicina, invece che il prednisolone il desametasone, ecc…). Questa tappa ha giocato in senso positivo, insieme alla profilassi del SNC, nel miglioramento della prognosi. Questa fase va dal settimo mese ai due anni; la terapia è orale con dosi quotidiane di 6-mercaptopurina 50mg/m2 e settimanali di methotrexate fino a 20mg/m2, quindi permette una terapia a domicilio con controlli periodici dell’emocromo. Il bambino e la famiglia tornano a vivere una vita quasi normale, ripresa della scuola, frequentazione degli amici.

La valutazione della risposta terapeutica si fa morfologicamemte: se si riscontra meno del 5% di blasti nel sangue midollare, si parla di remissione clinica completa e è un M0, mentre è un M1 fra 5 e 25%, M3 sopra il 25%. Grazie al riarrangiamento dei geni delle Ig e del T cell receptor si possono identificare delle sequenze che servono per avere markers specifici per ogni bambino per valutare la risposta terapeutica, non più su100 o 500 cellule ma su 1000 o anche 10000. Una buona risposta si definisce quindi se siamo marker negativi per un valore di 1/10000 o 1/100000, cioè assenza del DNA della cellula blastica su 10000 cellule o su 100000.La definizione del quadro e del programma terapeutico si basano dunque su:

alterazioni genetiche presenti risposta terapeutica al prednisone nei primi 7 giorni (la risposta è buona se il numero di

blasti nel sangue periferico va sotto i 1000, indipendentemente dal numero di partenza. Una cattiva risposta al cortisone pone verso una fascia a rischio maggiore e di conseguenza verso una terapia più intensa. Questa è la prima tappa di valutazione della risposta terapeutica, seguita da una al giorno 33 e 78)

rapidità della risposta (si è visto essere anch’essa un fattore prognostico e quindi una valutazione al giorno 15, dopo terapia con cortisone per 14 giorni e una dose di vincristina, dacriomicina e N-aspariginasi, sarà introdotta nel nuovo protocollo).

Quindi fattori prognostici sono la presentazione clinica B o T, presenza di alterazioni genetiche, DNA index e la risposta terapeutica. Ha perso significato il numero di blasti nel sangue periferico, la valutazione del volume della splenomegalia e dell’epatomegalia, mentre pesa la presenza di blasti nel SNC.

La terapia genica ha un ruolo? Si cercano dei targets per i farmaci, ad esempio nella leucemia promielocitica con traslocazione 15-17, l’acido trans retinoico si pone sulla tasca della

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tirosinchinasi ed è un fattore terapeutico prognostico molto importante che determina una remissione. Si cercano quindi dei bersagli molecolari contro cui sviluppare i farmaci, come antitirosinchinasici o farmaci monoclonali, ecc. La terapia genica però non ha ancora sostituito il trapianto di midollo. In ogni caso, la ricerca dei bersagli molecolari è stata la base per il trattamento della malattia residua minima: quelli che al giorno 33 e 78 erano negativi a valori di 1/10000, vengono classificati come low risk, mentre rischio intermedio se c’è la presenza ancora di qualche blasto al giorno 33 ma assente al 78, high risk se i blasti superano l’1/1000 al giorno 78.I programmi sono molto complessi, con studi di confronto per definire il programma terapeutico successivo.

Forme non-linfoidiM0: blasti indifferenziati dove la mieloperossidasi è assente o <3%M1: mieloblasti con presenza di un certo numero di cellule differenziate, granulazioni, mieloperossidasi>3%M2: mieloblasti con maturazione mieloide e granulazioni nel citoplasma nel sangue periferico; spesso si associa a traslocazione 8-21M3 è la promielocitica: cellule con granulazioni citoplasmatiche e nucleari intense e che assomigliano ai pro mielociti; associata a 15-17 che consente l’utilizzo dell’acido cis-retinoico o più raramente alla 5-17 o 11-17; può causare CID perche la degranulazione favorisce la coagulazione intravascolareM4: a cellule miste con componenti di mieloblasti e monoblasti; la variante eosinofila si associa all’inversione del 16M5: cellule monoblastiche con nucleoli prominentiM6 è l’eritroblastica: cellule apparentemente normali ma sono eritroblastiM7 è la megacarioblastica: grandi cellule con estroflessioni citoplasmatiche; si associa spesso a fibrosi midollare; è rara.

Ci sono marcatori monoclonali usati per la diagnosi immunofenotipica di leucemia: CD45 è l’antigene leucocitario generale, CD33, CD34, ecc…

Fattori prognostici favorevoli sono la traslocazione 8-21 e l’inversione del 16, che interessano fattori trascrizionali che implicati nella maturazione delle cellule mieloidi; altre invece sono più sfavorevoli come la 7-11, la monosomia del 7,ecc…. In generale le complesse sono sfavorevoli.Prognosticamente ci sono stati miglioramenti, anche se meno della linfatica: a metà anni ‘90 la sopravvivenza totale era del 35% e quella libera da malattia del 20-30%, anche se l’80% otteneva remissioni cliniche complete alla fine della prima fase terapeutica, ma poi la malattia non rispondeva o recidivava. Quindi la remissione completa è meno duratura.

Programma terapeuticoÈ diversificato e, mentre nella linfoide si attua una terapia continuativa, nella mieloide è previsto un trattamento intensivo a cicli.Proprio a causa della prognosi sfavorevole, ha trovato più campo il trapianto di midollo, soprattutto in presenza di un donatore. Purtroppo i donatori famigliari sono pochi, la probabilità di trovarli è di circa il 25%. Quindi si utilizzano anche altre tecniche come il trapianto autologo, cioè l’utilizzo di “cellule autologhe purgate”, in cui siano state eliminate le cellule blastiche, oppure altre fonti, come il sangue placentare oppure un donatore non familiare compatibile (solo negli infants, in soggetti con monosomia 6 o con leucemie mieloidi secondarie a mielodisplasie).

Si distinguono due fasce di rischio:

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1. rischio standard, che comprende leucemie con traslocazioni favorevoli (8-21, inversione del 16, presenza di core binding factor CBF) e in cui sia conseguita una remissione completa con la terapia per cui non è necessaria un’intensificazione terapeutica che preveda l’uso di cellule staminali ematopoietiche;

2. in presenza di citogenetica favorevole, ma risposta terapeutica non favorevole, il soggetto rientra nella fascia a alto rischio, in cui si prevede trapianto di midollo da fratello o cellule staminali ematopoietiche autologhe, donatore non familiare.

Si fa diagnosi morfologica, immunoistochimica, con la genetica molecolare, e si valutano i fattori prognostici come l’ottenimento della remissione completa dopo il primo blocco di terapia.La terapia termina dopo tre cicli successivi nel caso in cui ci sia rischio standard, quindi è una terapia relativamente breve, perché ci possono essere importanti mielodepressioni e complicanze; è necessaria una terapia di supporto, antinfettiva, antimicotica, ecc…Se invece la genetica è complessa o c’è una cattiva risposta all’induzione, si procede a un consolidamento, il quale prevede trapianto ematopoietico di donatore familiare o autologo. Il programma terapeutico ha portato a un miglioramento: sopravvivenza totale >65% e libera da malattia del 55%.