f. berto - un'interpretazione analitica della dialettica hegeliana

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«Iride», a. XVII, n. 43, settembre-dicembre 2004 Un’interpretazione analitica della dialettica hegeliana Francesco Berto 1. Prospetto In quest’articolo 1 cerco di illustrare in che senso sia possibile derivare dall’idealismo hegeliano una teoria olistica del significato, proficuamente comparabile con alcuni aspetti dell’odierna filosofia del linguaggio. L’in- terpretazione proposta è basata su un’idea molto semplice: l’idea per cui comprendere un concetto (e saperlo applicare a un oggetto, in un enun- ciato) è comprendere i nessi che lo legano ai concetti da cui segue e che seguono da esso – nessi che sono espressi da postulati di significato. Come si vedrà, la mia lettura è largamente indebitata verso gli studi di hegelismo analitico prodotti da Diego Marconi e Robert Brandom 2 . Se io dico: «tutti gli animali», queste parole non potranno mai valere come una zoologia; con altret- tanta evidenza balza a gli occhi che le parole: «di- vino», «assoluto», «eterno», ecc. non esprimono ciò che quivi è contenuto; e tali parole in effetto non esprimono che l’intuizione, intesa come l’im- mediato. Ciò che è più di tali parole, e sia pure il passaggio a una sola proposizione, contiene un di- venir-altro che deve venire ripreso, ossia una me- diazione. Hegel, Fenomenologia dello spirito 1 Ringrazio Diego Marconi, Luigi Vero Tarca, Luigi Perissinotto, Luca Illetterati, Alessandro Pagnini, i quali hanno letto varie versioni di questo lavoro e mi hanno aiutato e consigliato in molti modi. 2 Il principale lavoro del primo sulla questione della dialettica hegeliana è D. Marconi, Contradiction and the Language of Hegel’s Dialectic: a Study of the Science of Logic (tesi di dottorato), Pittsburgh, University Microfilms International, 1980, in parte anticipato nell’In- troduzione a Id. (a cura di), La formalizzazione della dialettica. Hegel, Marx e la logica contem- poranea, Torino, Rosenberg & Sellier, 1978, e alcuni temi del quale sono ripresi in Id., Logi- que et dialectique. Sur la justification de certaines argumentations hégéliennes, in «Revue phi- losophique de Louvain», 81, 1983. Brandom ha sviluppato l’ inferential semantics cui mi rifac- cio anzitutto in R.B. Brandom, Making It Explicit, Cambridge (Mass.), Harvard University Press, 1994, e in forma più succinta in Id., Articulating Reasons, Cambridge (Mass.), Harvard University Press, trad. it. Articolare le ragioni, Milano, Il Saggiatore, 2002; si è confrontato direttamente col pensiero hegeliano in Id., Some Pragmatist Themes in Hegel’s Idealism: Ne- gotiation and Administration in Hegel’s Account of the Structure and Content of Conceptual Norms, in «European Journal of Philosophy», 2, 1999 e Id., Olismo e idealismo nella Feno- menologia di Hegel , in Hegel contemporaneo. La ricezione americana di Hegel a confronto con la tradizione europea, a cura di L. Ruggiu e I. Testa, Milano, Guerini, 2003, pp. 247-289.

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Francesco Berto interpreta la dialettica hegeliana (e soprattutto il concetto di contraddizione) da un punto di vista analitico, seguendo la lezione dell'americano Robert Brandom.

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«Iride», a. XVII, n. 43, settembre-dicembre 2004

Un’interpretazione analitica della dialettica hegelianaFrancesco Berto

1. Prospetto

In quest’articolo1 cerco di illustrare in che senso sia possibile derivaredall’idealismo hegeliano una teoria olistica del significato, proficuamentecomparabile con alcuni aspetti dell’odierna filosofia del linguaggio. L’in-terpretazione proposta è basata su un’idea molto semplice: l’idea per cuicomprendere un concetto (e saperlo applicare a un oggetto, in un enun-ciato) è comprendere i nessi che lo legano ai concetti da cui segue e cheseguono da esso – nessi che sono espressi da postulati di significato.Come si vedrà, la mia lettura è largamente indebitata verso gli studi dihegelismo analitico prodotti da Diego Marconi e Robert Brandom2.

Se io dico: «tutti gli animali», queste parole nonpotranno mai valere come una zoologia; con altret-tanta evidenza balza a gli occhi che le parole: «di-vino», «assoluto», «eterno», ecc. non esprimonociò che quivi è contenuto; e tali parole in effettonon esprimono che l’intuizione, intesa come l’im-mediato. Ciò che è più di tali parole, e sia pure ilpassaggio a una sola proposizione, contiene un di-venir-altro che deve venire ripreso, ossia una me-diazione.Hegel, Fenomenologia dello spirito

1 Ringrazio Diego Marconi, Luigi Vero Tarca, Luigi Perissinotto, Luca Illetterati,Alessandro Pagnini, i quali hanno letto varie versioni di questo lavoro e mi hanno aiutatoe consigliato in molti modi.

2 Il principale lavoro del primo sulla questione della dialettica hegeliana è D. Marconi,Contradiction and the Language of Hegel’s Dialectic: a Study of the Science of Logic (tesi didottorato), Pittsburgh, University Microfilms International, 1980, in parte anticipato nell’In-troduzione a Id. (a cura di), La formalizzazione della dialettica. Hegel, Marx e la logica contem-poranea, Torino, Rosenberg & Sellier, 1978, e alcuni temi del quale sono ripresi in Id., Logi-que et dialectique. Sur la justification de certaines argumentations hégéliennes, in «Revue phi-losophique de Louvain», 81, 1983. Brandom ha sviluppato l’inferential semantics cui mi rifac-cio anzitutto in R.B. Brandom, Making It Explicit, Cambridge (Mass.), Harvard UniversityPress, 1994, e in forma più succinta in Id., Articulating Reasons, Cambridge (Mass.), HarvardUniversity Press, trad. it. Articolare le ragioni, Milano, Il Saggiatore, 2002; si è confrontatodirettamente col pensiero hegeliano in Id., Some Pragmatist Themes in Hegel’s Idealism: Ne-gotiation and Administration in Hegel’s Account of the Structure and Content of ConceptualNorms, in «European Journal of Philosophy», 2, 1999 e Id., Olismo e idealismo nella Feno-menologia di Hegel, in Hegel contemporaneo. La ricezione americana di Hegel a confronto conla tradizione europea, a cura di L. Ruggiu e I. Testa, Milano, Guerini, 2003, pp. 247-289.

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L’idea che la dialettica hegeliana operi su postulati di significato è inte-ramente dovuta a Marconi e anche se, per quanto ne so, è passata quasiinosservata fra gli interpreti tradizionali di Hegel, a mio parere fornisceuna prospettiva ermeneutica molto promettente. La dialettica muovereb-be dal linguaggio ordinario e dotto, dai sensi in esso depositati, condivisidai parlanti, e in cui consiste la loro competenza linguistica. Come Hegelci dice nella Prefazione alla seconda edizione della grande Logica:

Le forme del pensiero sono anzitutto esposte e consegnate nel linguaggioumano. Ai nostri giorni non si può mai ricordare abbastanza spesso che quello,per cui l’uomo si distingue dall’animale, è il pensiero. In tutto ciò che diventaper lui un interno, in generale una rappresentazione, in tutto ciò che l’uomo fasuo, si è insinuato il linguaggio; e quello di cui l’uomo fa linguaggio e ch’egliestrinseca come linguaggio, contiene, in una forma più inviluppata e meno pura,oppure all’incontro elaborata, una categoria. Tanto è naturale all’uomo la logica,o, meglio, tanto è vero che questa è la sua peculiare natura3.

Secondo Marconi, questo è il terminus a quo della dialettica: il lin-guaggio ordinario è carico di teoria, e la dialettica esplicita (come vedre-mo, appunto nella forma dei postulati) proprio i presupposti e nessi te-orici sottostanti alla sistemazione sintattica e semantica dei termini con-cettuali, e che ne governano l’uso4.

Quest’idea di «esplicitazione logica dell’implicito» è anche di matriceschiettamente brandomiana. In Making It Explicit, Brandom sostiene chela logica dovrebbe avere la funzione espressiva di organo dell’autocoscien-za semantica5: «il compito della logica è principalmente quello di aiutarcia dire qualcosa sui contenuti concettuali espressi utilizzando il vocabola-rio non logico»; il vocabolario logico – tipicamente, quello elementaredei connettivi e dei quantificatori – ha il ruolo di «rendere espliciti gliimpegni inferenziali impliciti in cui si articola il contenuto dei concetti».Ora, a detta di Brandom (e non solo sua)6 la «struttura della spiegazioneche ne risulta è palesemente hegeliana»7. Poco dopo il passo della Logicaappena citato, infatti, Hegel avvisa che le determinazioni categoriali della

3 G.W.F. Hegel, Wissenschaft der Logik, in Gesammelte Werke, Hamburg, FelixMeiner Verlag (in Verbindung mit der Deutschen Forschungsgemeinschaft – hrsg. vonder Rheinisch-Westfälischen Akademie der Wissenschaften), voll. 11 (1978) e 12 (1981),trad. it. Scienza della logica, Bari, Laterza, 19944, p. 10.

4 Cfr. D. Marconi, Contradiction and the Language of Hegel’s Dialectic, cit., pp. 179-180.

5 Cfr. R.B. Brandom, Making It Explicit, cit., p. 384.6 Cfr. ad es. V. Hösle, Inferenzialismo in Brandom e olismo in Hegel. Una risposta a

Richard Rorty e alcune domande per Robert Brandom, in Hegel contemporaneo, cit., pp.290-317.

7 R.B. Brandom, Articolare le ragioni, cit., p. 29 e p. 31.

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logica sono «un che di universalmente noto», anzi di esse «facciamo usoin ogni occasione, e […] ci vengono alla bocca in ogni proposizione chepronunciamo». E tuttavia «nella cultura, quello che è noto […] non ègià perciò conosciuto»8. La logica filosofica è la conoscenza di questonoto, o l’espressione di questo inespresso, o – per usare il lessico hege-liano – l’esplicitazione dell’an sich nell’an und für sich. Se, come Hegelafferma due pagine dopo, la «logica naturale» fa un «uso inconsciodelle categorie», la logica speculativa è l’esplicitazione degli impegniteorici impliciti nel nostro linguaggio ordinario; in esso ha luogo «l’ope-rare istintivo del pensiero», e «depurare pertanto queste categorie, cheoperano soltanto istintivamente come impulsi» è «il più alto compitologico»9.

2. Il «giudizio qualitativo», o dell’essere determinato

Nell’ontologia atomistica del Tractatus «Qualcosa può accadere o nonaccadere e tutto il resto rimanere eguale» (1.21), e siccome ciò che acca-de è il fatto, che è il sussistere di stati di cose (2), «Gli stati di cose sonoindipendenti l’uno dall’altro» (2.061) e «in nessun modo può concludersidal sussistere d’una qualsiasi situazione al sussistere d’una situazione af-fatto differente da essa» (5.135). La conseguenza logico-semantica di ciòè che gli enunciati elementari, in quanto immagini di stati di cose e con-nessioni di nomi che stanno per oggetti semplici, sono semanticamenteisolati, ossia non ammettono alcun tipo di nesso o mediazione logica: «unsegno della proposizione elementare è che nessuna proposizione puòessere in contraddizione con essa» (4.211); «da una proposizione elemen-tare non può inferirsene un’altra» (5.134). Vi può essere un nesso se-mantico (di contraddizione, conseguenza, presupposizione etc.) fra enun-ciati soltanto se essi non sono elementari – il che per il Tractatus vuoldire che sono funzioni di verità di enunciati elementari. «Se due propo-sizioni si contraddicono, lo mostra la loro struttura; analogamente sel’una segue dall’altra. E così via» (4.1211)10.

Il Tractatus, com’è noto, non fornisce esempi di enunciato elementare,né di oggetto semplice – e sappiamo che proprio sulla questione deglienunciati elementari il neopositivismo ha giocato il proprio destino. Frai candidati più autorevoli al rango protocollare nella tradizione neoposi-

8 G.W.F. Hegel, Scienza della logica, cit., pp. 11-12.9 Cfr. ibidem, pp. 16-17.10 Cfr. L. Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus, London, Routledge & Kegan

Paul, 1922, trad. it. Tractatus logico-philosophicus e Quaderni 1914-1916, Torino, Einaudi,1998.

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tivistica vi erano quei tipi di enunciato che Hegel avrebbe chiamato i«giudizi dell’esserci», o «qualitativi», o «dell’essere determinato»11, ossiain cui una qualità sensibile, immediata nel senso hegeliano, è attribuitaimmediatamente a un individuo. L’esempio dell’Enciclopedia è: «La rosaè rossa»12. Forse suonerebbe meno fuorviante qualcosa come: «questarosa è rossa», o semplicemente: «questo è rosso», accompagnato da ungesto ostensivo. Sembra che un enunciato del genere sia compreso senzaparticolare bisogno di riflessione o mediazione. Le sue condizioni di ve-rità, potremmo dire, sono tutte qui: nel gesto che esibisce l’estensionerossa, nella nostra percezione del rosso. Eppure, Hegel afferma:

È una delle idee essenziali della logica ordinaria che giudizi qualitativi come«la rosa è rossa», o «non è rossa», possono contener verità. Essi possono esse-re esatti, vale a dire nella cerchia limitata della percezione, del rappresentare edel pensare finiti: ciò dipende dal contenuto, il quale è altresì un qualcosa di fi-nito, di non vero per sé. Ma la verità riposa solo sulla forma, cioè sul concettoche si pone, e sulla realtà, che gli corrisponde: e siffatta verità, nel giudizio qua-litativo, non si trova13.

Cos’ha di «esatto, ma non vero», il giudizio qualitativo-immediato?Una delle acquisizioni essenziali nella transizione dal Tractatus al cosid-detto secondo Wittgenstein è la comprensione di come questi candidatiesemplari al rango di enunciato elementare non siano logicamente isolati.Wittgenstein si accorge che la semantica di predicati come «x è rosso» aitempi del Tractatus non gli era affatto chiara come credeva14, e compren-de che «l’idea di costruire proposizioni elementari (per esempio come hatentato di fare Carnap) si basa su una falsa concezione dell’analisi logi-ca»15. Ora, l’esempio wittgensteiniano della Grammatica filosofica è lostesso usato da Hegel:

Si può chiamare elementare la proposizione «Qui c’è una rosa rossa». Ciòvuol dire che questa proposizione non contiene nessuna funzione di verità, enon è definita da un’espressione che contenga una funzione di verità. Dire peròche una proposizione è elementare solo quando anche la sua analisi logica com-

11 Cfr. G.W.F. Hegel, Scienza della logica, cit., pp. 714 ss.12 Cfr. G.W.F. Hegel, Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften im Grundrisse

(1830), Hamburg, Meiner (Band 33 della Philosophische Bibliothek, siebente, durchge-sehene Auflage), 1969, trad. it. Enciclopedia delle scienze filosofiche, Bari, Laterza, 1989,p. 169.

13 Ibidem.14 Cfr. L. Wittgenstein, Big Typescript, Wien, Springer-Verlag, trad. it. The Big Type-

script, Torino, Einaudi, 2000, p. 465.15 Ibidem, p. 111.

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pleta mostra che non è composta di altre proposizioni mediante funzioni diverità presuppone che si abbia un’idea di tale «analisi»16.

Ma una simile analisi semantica non esiste. È del massimo rilievo cheil motivo per cui questa analisi non esiste sia, nelle parole di Wittgen-stein, che «da “a ora è rosso” segue “a ora non è verde”, e quindi inquesto senso le proposizioni elementari non sono indipendenti l’una dal-l’altra»17. Ciò che Wittgenstein qui enfatizza è un nesso olistico inferen-ziale fra concetti: anche quei predicati i cui significati sono maggiormenteradicati nell’esperienza immediata – tipicamente, le qualità sensibili –,hanno un contenuto che si determina solo nella relazione (la Vermittlungdi Hegel) con altri concetti.

Per capire il tipo di olismo che qui entra in gioco, potremmo chieder-ci: cosa vuol dire comprendere un concetto come quello espresso dalpredicato «x è rosso»? Come ha rilevato Brandom18, non solo l’indigenoquineano di Parola e oggetto, ma anche un pappagallo può rispondere inmodo comportamentisticamente adeguato alla stimolazione sensoriale chegli sottopone del rosso, ad esempio pigiando un bottone, o anzi dicendo:«rosso!», tutte e sole le volte che una superficie rossa di una certa esten-sione entra nel suo campo visivo. Eppure potremmo sostenere, con He-gel, che ciò non ha nulla a che fare col concetto, perché si arresta alla«cerchia limitata della percezione». Noi non diremmo che il pappagallocomprende davvero enunciati come «questa rosa è rossa», o che com-prende il concetto rosso. Cogliere questo concetto vuol dire sapere che sequesta rosa è rossa, allora questa rosa non è verde: che dalla verità di«questa rosa è rossa» (nel tempo t, etc. etc.) segue la falsità di una quan-tità d’altri enunciati come «questa rosa è verde», «questa rosa è gialla»,ecc.; e segue la verità di altri enunciati come «questa rosa ha colore»;che quell’enunciato, a sua volta, segue da altri quali «questa rosa è scar-latta». La comprensione del significato di un termine concettuale esige lacomprensione dei nessi olistici che lo legano a molti altri termini concet-tuali; nessi che, se seguiamo il modello brandomiano, si esplicano nellerelazioni inferenziali, di implicazione-esclusione, fra gli enunciati checontengono tali termini. Come Brandom afferma in Making It Explicit:

Per avere un qualunque concetto, occorre avere molti. Infatti, cogliere unconcetto implica la padronanza delle proprietà dei nessi inferenziali che lo lega-no a molti altri concetti: quelli la cui applicabilità segue dall’applicabilità del

16 L. Wittgenstein, Philosophische Grammatik, Oxford, Blackwell, 1969, trad. it.Grammatica filosofica, Firenze, La Nuova Italia, 1990, p. 173.

17 L. Wittgenstein, The Big Typescript, cit., p. 112.18 Cfr. R.B. Brandom, Making It Explicit, cit., pp. 88 ss., e Id., Articolare le ragioni,

cit., pp. 55-56.

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concetto in questione [«se x è rosso, allora x è colorato»], quelli dalla cui appli-cabilità l’applicabilità del concetto in questione segue [«se x è scarlatto, allora xè rosso»], quelli la cui applicabilità preclude o è preclusa da esso [«se x è rosso,allora x non è verde»]. Non si può avere un solo concetto. Questo olismo con-cettuale contrasta con l’atomismo che risulterebbe se si identificassero i concetticon disposizioni alla risposta differenziale19.

Brandom fa esplicitamente risalire quest’olismo, oltre che a WilfridSellars, a Hegel20. A detta di Hegel il rinvio inferenziale si manifesta, adesempio, nel giudizio che egli chiama «della riflessione». La determina-zione delle condizioni di verità di questo genere di enunciati secondoHegel implica un riferimento ai contenuti di altri enunciati, perché leproprietà, i concetti qui in gioco, sono dei mediati:

L’universale è in pari tempo non più una universalità astratta o una proprietàsingola, ma posto come un universale che si è come raccolto in uno mediante larelazione di diversi, ovvero considerato in generale secondo il contenuto di di-verse determinazioni, è l’assommarsi di molteplici proprietà ed esistenze. […]Cotesti predicati […] esprimono una essenzialità, che è però una determinazio-ne nel rapporto, ovvero una universalità comprensiva21.

L’esempio contenuto nell’Aggiunta al § 174 dell’Enciclopedia è: «que-sta pianta è curativa», e la proprietà di essere curativo, naturalmente,non è qualcosa che si vede osservando la pianta. Si può invece dire se-condo verità che la pianta è curativa, perché ha certe altre proprietà spe-cifiche (ad esempio, di aver disinfettato certe ferite su cui è stata applica-ta), il cui possesso legittima l’inferenza al più astratto concetto di curati-vo, ossia media l’applicazione di questo all’oggetto. Altri esempi fornitinella grande Logica sono: «questa cosa è utile», «questa cosa è nociva»;e il classico: «l’uomo è mortale»22.

19 R.B. Brandom, Making It Explicit, cit., p. 89 (corsivi miei).20 «Una delle lezioni più importanti che possiamo ricavare dal capolavoro di Sellars,

«Empiricism and the Philosophy of Mind» (come pure dalla sezione sulla «Certezza sen-sibile o il questo e l’opinione» della Fenomenologia dello Spirito di Hegel) è la lezioneinferenzialista che anche tali resoconti non inferenziali devono essere articolati inferenzial-mente. Senza questo requisito, non possiamo indicare la differenza tra esseri che profe-riscono resoconti non inferenziali e meccanismi automatici come i termostati e le fotocel-lule, che possiedono anch’essi disposizioni affidabili a rispondere differenzialmente a sti-moli» (R.B. Brandom, Articolare le ragioni, cit., p. 55).

21 G.W.F. Hegel, Scienza della logica, cit., p. 729.22 Cfr. ibidem.

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3. Ascesa semantica, inferenza materiale

Secondo Fulda quasi la metà degli enunciati teorici della grande Logicasono della forma: «der (die, das) t1 ist der (die, das) t2», o «der (die, das) t1

ist t2»23. Qui, «t1» e «t2» sono termini generali in varia forma: nomi come«differenza» («Differenz»), «riflessione» («Reflexion»), «limite» («Grenze»);talvolta, nella forma di verbi o aggettivi sostantivati, come «divenire»(«Werden»), «essere» («Sein»), «infinito» («Unendliche»), «immediato»(«Unmittelbare»), etc. Ma quel che conta è che si tratta sempre di nomi diconcetti: come ha sottolineato Marconi, «il t1» (ad es. «il fenomeno») è unmodo abbreviato per dire: «il concetto t1» («il concetto fenomeno»), o: «ilconcetto chiamato “t1”» («il concetto chiamato: “fenomeno”»)24.

Se Fulda ha ragione, allora la logica di Hegel ci parla continuamentedi relazioni fra concetti. Relazioni che, nelle intenzioni hegeliane, dovreb-bero produrre la determinazione, o la codeterminazione, degli stessi con-cetti in gioco. Alcuni esempi dalle prime parti della Logica: «La realtà[…] è esserci» (Die Realität […] ist Dasein)25; «L’esser per altro […] è[…] negazione della semplice relazione dell’essere a sé» (Das Sein-für-Anderes […] ist […] Negation der einfachen Beziehung des Seins aufsich)26; «L’idealità […] è […] il processo del divenire» (Die Idealität […]ist […] der Prozess des Werdens)27. Altri esempi dall’Enciclopedia: «Lamisura è il quanto qualitativo» (Das maß ist das qualitative Quantum)28;«l’essenza è l’essere che si è profondato in sé» (das Wesen das in sichgegangene Sein ist)29; «l’esistente è cosa» (ist das Existierende Ding)30.

Mettere a tema questi concetti esprimendone le relazioni ad altri con-cetti secondo Hegel è, per l’appunto, il compito della logica filosoficacome «organo dell’autocoscienza semantica». E poiché i concetti, che nellinguaggio comune vengono adoperati in modo irriflesso per parlare dioggetti, diventano essi stessi oggetto della trattazione speculativa, abbia-mo qui – per dirla con Quine – una sorta di ascesa semantica. Ciò è deltutto chiaro in molti passi della grande Logica. Ad esempio, nella tratta-zione del Qualcosa nel capitolo dell’Essere determinato, Hegel affermache «a buon diritto qualcosa ha per la rappresentazione il significato diun reale» (Etwas gilt der Vorstellung mit Recht als ein Reelles); ma subito

23 Cfr. H.F. Fulda, Unzulängliche Bemerkungen zur Dialektik, in Hegel-Bilanz, a curadi R. Heede e J. Ritter, Frankfurt a.M., Klostermann, 1973, p. 252.

24 Cfr. D. Marconi, Contradiction and the Language of Hegel’s Dialectic, cit., pp. 67 ss.25 G.W.F. Hegel, Scienza della logica, cit., p. 109.26 Ibidem, p. 116.27 Ibidem, p. 154.28 G.W.F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche, cit., p. 120.29 Ibidem, p. 123.30 Ibidem, p. 134.

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31 G.W.F. Hegel, Scienza della logica, cit., p. 110.

aggiunge che «quella di qualcosa è una determinazione ancora moltosuperficiale» (Etwas ist noch eine sehr oberflächliche Bestimmung)31. Nellaprima occorrenza di «Etwas» ci si riferisce a un oggetto che ha una certaimportanza per la Vorstellung: la cosa dell’esperienza comune, che è ap-punto il reale cui il pensiero rappresentativo si attiene. Nella seconda sipassa a parlare del concetto qualcosa. Qui la riflessione speculativa com-pie un’ascesa semantica rispetto al pensiero rappresentativo. Il linguaggiocomune usa espressioni come «qualcosa», «etwas», per riferirsi in gene-rale agli oggetti della propria esperienza ordinaria. La logica filosofica as-sume come oggetto di trattazione il concetto qualcosa, das Etwas, di cui illinguaggio comune fa uso in modo irriflesso.

Vediamo ora meglio come l’ascesa semantica abbia luogo nella teoriahegeliana del giudizio. Come primo caso generico di «der t1 ist t2» pren-diamo proprio l’esempio di giudizio della riflessione proposto da Hegelnella Logica:

(1) L’uomo è mortale.

Chi proferisce l’enunciato (1) non attribuisce una proprietà (quella diessere mortale) a un concetto (il concetto uomo), ossia non fa cadereimmediatamente quel concetto sotto uno di ordine superiore – comeaccade, invece, quando si dice

(2) Quello di uomo è un concetto, che è mutato nel corso della storia.

Non sono i concetti a essere mortali (pur mutando nel corso dellastoria), bensì gli uomini. Dicendo (1) si starebbe dunque affermando che

(3) Tutti gli uomini sono mortali.

Ma se in (3) «tutti gli uomini» appare come termine che funge dasoggetto grammaticale, questo tipo di soggetto nell’analisi freghiana deglienunciati quantificati sparisce. Avremo, invece, una quantificazione uni-versale su una funzione enunciativa che ha la forma di un condizionale:

(4) x(U(x) → M(x))

e, dice Frege in Concetto e oggetto,

si deve osservare che le parole «tutti», «ognuno», «nessuno», stanno davanti atermini denotanti concetti. Negli enunciati particolari e universali, sia affermativi

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che negativi, esprimiamo relazioni tra concetti e indichiamo con le parole suddet-te il tipo particolare di questa relazione32.

Se, come afferma Frege, ciò che qui esprimiamo sono relazioni fraconcetti, allora affermando che tutti gli uomini sono mortali manifestia-mo una certa relazione fra il concetto di uomo e quello di mortale. Ebbe-ne, nella trattazione dell’ultima forma del giudizio della riflessione, ossiaappunto il giudizio universale, Hegel concede certamente che la formagrammaticale di tale giudizio abbia a che fare con un insieme di indivi-dui (oggi diremmo: gli oggetti del dominio dell’interpretazione). Ma ciòche qui implicitamente si esprime è una relazione fra concetti:

L’universalità, qual è nel soggetto del giudizio universale, è l’universalitàesterna della riflessione, la totalità. Tutti son tutti gl’individui; l’individuo vi restainvariato. Questa universalità non è quindi che una raccolta degl’individui sus-sistenti per sé. […] In cotesto però sta in maniera oscura dinanzi alla mentel’universalità, in sé e per sé, del concetto; è il concetto, quello che spinge violen-temente al di là della persistente individualità, cui la rappresentazione sta attac-cata, e al di là dell’estrinseco della riflessione, sostituisce qui il tutti come totalità[…]. Il resultato è quindi in verità l’universalità oggettiva. Il soggetto [scil. ilsoggetto grammaticale: «tutti gli uomini»] si è così spogliato della determinazio-ne di forma [grammaticale] del giudizio della riflessione, determinazione di for-ma che dal questo [il giudizio singolare] attraverso l’alcuno [il giudizio partico-lare: es. «alcuni uomini sono calvi»] procedeva alla totalità. Invece di tutti gliuomini si deve ormai dire: l’uomo33.

Come si vede, ciò che qui Hegel ci sta invitando a compiere è, perl’appunto, una sorta di ascesa semantica intensionale: come c’è (per ripe-tere un esempio di Quine) l’ascesa dal parlare di miglia al parlare delmiglio34, così c’è l’ascesa dal parlare di qualcosa al parlare del qualcosa,dal parlare di uomini al parlare dell’uomo, ecc. A differenza di Quine,tuttavia, in Hegel una tale ascesa implica l’impegno ontologico verso unaforma di realismo concettuale35: «Ciò che conviene a tutti gl’individui di

32 G. Frege, Über Begriff und Gegenstand, in «Vierteljahrsschrift für wissenschaftlichePhilosophie», 16, 1892, trad. it. Concetto e oggetto, in La struttura logica del linguaggio, acura di A. Bonomi, Milano, Bompiani, 1973, p. 379, corsivo mio.

33 G.W.F. Hegel, Scienza della logica, cit., pp. 733-736; ho corsivato le espressionidelle quali Hegel sembra fare un uso autonimo.

34 Cfr. W.V.O. Quine, Word and Object, Cambridge (Mass.), M.I.T. Press, 1960, trad.it. Parola e oggetto, Milano, Il Saggiatore, 1970, p. 332.

35 Che il linguaggio della dialettica hegeliana si impegni in una tale forma di astrazio-ne o ascesa semantica è argomentato in E.M. Barth, Reconstruction of Hegelian and otherIdealist Logic in Germany around 1810, in Konzepte der Dialektik, a cura di W. Becker eW.K. Essler, Frankfurt a.M., Klostermann, 1981, pp. 58 ss., e in J.N. Findlay, Dialecticsas Metabasis, in Konzepte der Dialektik, cit., p. 132 e p. 140.

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un genere – sostiene Hegel – conviene per sua natura al genere», sicché«il soggetto, p. es. tutti gli uomini, si spoglia della sua determinazione diforma [grammaticale]», e «bisogna dire invece: l’uomo»36. Quindi, è l’af-fermazione (3), sostenendo che a tutti gli individui del genere uomo con-viene la proprietà di essere mortali, a diventare un’affermazione sul gene-re, nel senso che afferma una relazione fra il concetto di uomo e quellodi mortale. E l’ascesa, essendo di tipo intensionale, inverte la relazioned’inclusione: estensionalmente, dire che tutti gli uomini sono mortali èaffermare che l’insieme degli uomini è incluso in, o è un sottoinsiemeproprio di, quello dei mortali. Ma quando si passa a parlare del concettouomo, è questo a includere in sé come sua nota concettuale, o come suomomento semantico, il concetto mortale.

Queste relazioni fra concetti sono la materia prima della dialetticahegeliana come semantica olistica. I contenuti concettuali sono determi-nati solo in quanto intrattengono svariate relazioni con altri contenuti. Laconoscenza di queste relazioni costituisce (l’aspetto inferenziale del) lacompetenza lessicale dei parlanti, e la dialettica, come abbiamo detto, èl’esplicitazione di questi nessi olistici fra significati. Questa esplicitazionenon è molto diversa da uno dei modi più comuni e diffusi con cui neimoderni manuali di semantica per il linguaggio ordinario si tratta la que-stione della semantica lessicale: attraverso postulati di significato, chesono appunto enunciati di forma implicativa, o implicativo-negativa.

Come ha rilevato Marconi37, la copula «ist», negli enunciati tipica-mente hegeliani della forma il «t1 è (il) t2» esprime una relazione riflessi-va e transitiva, ma non simmetrica. Naturalmente, la riflessività della re-lazione è ciò che meno interessa, anzi, più scontenta Hegel, appuntoperché non fornisce alcuna determinazione del concetto in gioco: direche «l’uomo è … l’uomo» contraddice la promessa del nesso proposizio-nale: «una proposizione promette anche una distinzione tra soggetto epredicato, e quella proposizione non effettua ciò che la sua forma richie-de»38, afferma Hegel. Tuttavia, talvolta noi troviamo negli scritti hegelianiespressioni come «Il soggettivo è soltanto soggettivo»39, o «il finito è sol-tanto il finito» (das Endliche ist nur das Endliche)40: e questo accade sem-pre nei contesti in cui Hegel critica il Verstand astraente. L’intelletto è,tipicamente, il pensiero che non riesce a procedere oltre il concetto stes-so, mettendolo in relazione ad altro. Perciò, a detta di Marconi, nel pro-cedimento hegeliano:

36 Cfr. G.W.F. Hegel, Scienza della logica, cit., p. 737.37 Cfr. D. Marconi, Contradiction and the Language of Hegel’s Dialectic, cit., pp. 71 ss.38 G.W.F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche, cit., p. 127.39 Ibidem, pp. 199-200.40 G.W.F. Hegel, Scienza della logica, cit., p. 129.

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Enunciati della forma «il t1 è il t1» sono usati in effetti per esprimere la no-stra (eventualmente temporanea) incapacità di procedere oltre una determinazio-ne concettuale, dove questo «procedere oltre» è la ratio essendi della forma pro-posizionale. […] Enunciati di questa forma sono dunque veri, ma banali. Nelcontesto di un libro scientifico, hanno soltanto un ruolo retorico. Sono lì soloper essere oltrepassati da un genuino avanzamento concettuale41.

Che la relazione sia transitiva, poi, emerge dal fatto che molti argo-menti hegeliani hanno la forma: «se il t1 è (il) t2, e il t2 è (il) t3, allora il t1

è (il) t3» (su questo tornerò più avanti, fornendo anche qualche esempio,nell’esposizione del passaggio hegeliano dal giudizio al sillogismo). Cheinfine la relazione espressa dalla copula non sia in generale simmetrica, èchiaramente manifestato dal rifiuto hegeliano della convertibilità di sog-getto e predicato. Nella trattazione della proposizione speculativa dellaFenomenologia, Hegel avvisa che quando si dice «l’effettuale è l’Univer-sale» (das Wirkliche ist das Allgemeine), «das Allgemeine» non è soltantoun altro nome per lo stesso concetto designato da «das Wirkliche». Inve-ce, «l’universale deve esprimere l’essenza dell’effettuale»42, ovvero deveesserne una determinazione interna, una nota concettuale necessaria. E seil predicato esprime – almeno, in quanto sono in gioco proposizioni spe-culative – un momento dell’essenza del (significato del) soggetto, natural-mente, l’inverso non vale in generale.

Ora, queste sono le proprietà formali della relazione di implicazione,intesa nella sua accezione più generale, la quale è appunto un preordine(riflessiva e transitiva, ma non simmetrica). E il condizionale è ciò cheutilizziamo per esplicitare i nessi concettuali implicativi mediante postu-lati di significato. In prima approssimazione: per un parlante della linguaitaliana, una parte della competenza richiesta per comprendere il signifi-cato della parola «uomo», ossia il concetto uomo, e applicare quindi cor-rettamente il predicato «[…] è un uomo», potrebbe essere l’impegnocirca un condizionale come quello espresso da (4). Si sa cosa vuol direche qualcosa è un uomo – ossia, la parola «uomo» ha un significato de-terminato – solo se si conoscono i nessi semantici che legano quel conte-nuto ad altri contenuti concettuali: ad esempio, il nesso col concettomortale.

Ma fin dai tempi di Carnap, i postulati di significato vengono assuntiin semantica come asserzioni modali. Ad esempio, una parte dell’implici-to nel significato condiviso del termine «padre» può venire esplicitatamanifestando i nessi inferenziali in cui è coinvolta la relazione espressa

41 D. Marconi, Contradiction and the Language of Hegel’s Dialectic, cit., p. 79.42 G.W.F. Hegel, Phänomenologie des Geistes, in Gesammelte Werke, cit., vol. 9

(1980), trad. it. Fenomenologia dello spirito, Firenze, La Nuova Italia, 199311, p. 52.

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43 «Per esempio, consideriamo l’inferenza da “Pittsburgh è a ovest di Princeton” a“Princeton è a est di Pittsburgh”, e quella da “Vedo un lampo” a “Fra poco sentirò untuono”. È il contenuto dei concetti ovest ed est che fa della prima una buona inferenza,e sono i concetti di lampo e tuono, insieme con i concetti temporali, a rendere appropria-ta la seconda. L’adesione a queste inferenze costituisce parte della comprensione o pa-dronanza di quei concetti» (R.B. Brandom, Articolare le ragioni, cit., p. 60). D’altra parte,che qualcosa del genere abbia luogo in Hegel, ossia che la dialettica giochi su relazioni dideterminazione e codeterminazione fra concetti espresse da schemi d’inferenza materiale,era già stato anticipato da Findlay: «Vorrei ora porre l’accento sull’uso, costante in He-gel, del richiamo a delle implicazioni, a dei rapporti interni tra concetti, che non sono irapporti di implicazione che dominano nella logica formale. Hegel assume costantementeche, mentre possiamo e dobbiamo mutare prospettiva, ogni volta che usiamo ciascunconcetto diverso limitatamente ad esso […] tuttavia le nostre nozioni non sono prive diuna profonda e necessaria significatività rispetto ad altre nozioni non incluse nel campovisivo delle prime, ed esigono queste altre nozioni per avere un senso, e questa esigenzasi rivela nella dialettica» (J.N. Findlay, Hegel: a Re-examination, Allen & Unwin, 1958,trad. it. Hegel oggi, Milano, Istituto Librario Internazionale, 1972, pp. 412-413).

dal predicato «[…] è padre di […]» (sia «P(x, y)») come segue (con«M(x)», «D(x)» e «G(x, y)» a designare rispettivamente le proprietà diessere maschio e di essere una donna, e la relazione genitore-figlio):

(5) x y(P(x, y) → M(x))(6) x y(P(x, y) → D(x))(7) x y(P(x, y) → G(x, y))

Necessariamente, chiunque sia padre è un maschio, non è una donna,è genitore di qualcuno. I postulati possono essere intesi come vincoli suimodelli ammissibili, ossia formule del linguaggio intese come vere inogni interpretazione accettabile del linguaggio stesso. Ciò vuol dire che illoro ruolo è di escludere alcune interpretazioni: assumere in base allacompetenza lessicale condivisa che necessariamente nessuno scapolo èsposato, equivale a prendere per buone solo interpretazioni in cui «[…]è scapolo» ed «[…] è sposato» hanno estensioni disgiunte in tutti i mon-di del modello. Accettare (6) vuol dire escludere che in qualche mondodel modello qualcuno sia padre e donna. I nessi impliciti nella compren-sione di cosa vogliano dire in italiano parole come «scapolo», «padre» o«donna», sono ciò che viene esplicitato, usando il vocabolario logico dibase (connettivi, quantificatori), in espressioni come (5)-(7).

Questo genere di esplicitazione ha a che fare con ciò che Brandomchiama «inferenza materiale»43. Mentre le usuali nozioni di validità, im-plicazione, conseguenza logica, etc., riguardano tutte le interpretazionipossibili, e in tal senso sono nozioni formali, perché si fondano solo sulvocabolario logico, i postulati esprimono implicazioni, inferenze e conse-guenze coinvolgenti il vocabolario non logico, il contenuto dei termini

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descrittivi del linguaggio. E lo fanno ponendo vincoli sull’interpretazionesemantica stessa: non si può dire di comprendere il termine «padre»nell’usuale significato condiviso, se si accetta di applicare il concetto dipadre a qualcuno, e al tempo stesso si rifiuta di applicargli anche quellodi genitore. Ciò è proibito dal postulato (7). Su questa base, si può defi-nire una nozione di conseguenza semantica, intesa come conseguenzalogica ristretta ai modelli ammissibili, ossia non esclusi dai postulati.

La procedura di determinazione semantica espressa da relazioni ne-cessarie fra concetti vale in generale per i sensi dei termini concettuali.In particolare, vale quindi per le categorie del pensiero, le «pure essen-zialità» di cui si occupa la logica hegeliana. L’«autocoscienza semantica»prodotta dalla logica speculativa consiste anzitutto nell’illuminare il con-tenuto intensionale dei termini concettuali che esprimono tali categoriegenerali (termini come «esser determinato», «qualcosa», «essenza», «limi-te», «finito», etc.), attraverso il contenuto intensionale di altri termini,ossia esplicitando i nessi olistici fra i sensi in gioco con le espressionidella forma «il t1 è (il) t2». Queste asserzioni costituiscono determinazioniparziali dei concetti di cui si parla: dire che «il t1 è (il) t2» è dire che l’in-tensione di «t2» è un costituente necessario dell’intensione di «t1», ovveroun suo momento semantico, una sua essenziale nota concettuale, sicché ilconcetto nominato da «t1» va pensato (e, eventualmente, ripensato) neitermini del concetto nominato da «t2», cui viene essenzialmente riferito.Abbiamo una determinazione parziale del concetto di essenza, quando civien detto che essa è l’essere che si è profondato in sé. Nel contempo,approfondiamo anche la nostra comprensione del concetto di essere, inquanto opposto a essenza, quando sappiamo che questa è la verità del-l’essere44. Ancora, si suppone che noi si sappia qualcosa di più intorno alconcetto di idealità, quando comprendiamo che, e perché, essa è il pro-cesso del divenire. Accostiamo la nozione, così generica e vaga, di cosa(Ding) comprendendo che essa, in prima battuta, non esprime che l’esi-stente in generale45.

4. Negazione dialettica

Questo tipo di approccio alla dialettica come teoria semantica può aiu-tarci a capire perché Hegel abbia affermato che l’essenza del metododialettico sta in una certa concezione della negazione: quella secondo cui«la negazione, in quanto è negazione determinata, ha un contenuto»; eanzi, la comprensione della «proposizione logica» di «semplicissima intel-

44 Secondo la nota affermazione di G.W.F. Hegel, Scienza della logica, cit., p. 433.45 G.W.F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche, cit., p. 134.

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ligenza», secondo cui «il negativo è insieme anche positivo», è tutto ciòche serve per capire la dialettica46. Vediamo perché.

Gli odierni postulati sono gli eredi delle espressioni come «der (die,das) t1 ist der (die, das) t2», o «der (die, das) t1 ist t2», in cui la logicadi Hegel articola olisticamente i termini concettuali su cui indaga. Main particolare, la necessità espressiva su cui insiste la dialettica hegelia-na come semantica olistica gioca sulla determinazione delle proprietàattraverso relazioni di esclusione modalmente forte; e cioè, sul tipo direlazione fra concetti che può essere espressa da enunciati modali im-plicativo-negativi: postulati in cui si dice che necessariamente, se qual-cosa ha una proprietà, non può averne una cert’altra. In questo tipo direlazioni fra i significati di termini concettuali si manifesta l’idea hege-liana di negazione determinata, che è una nozione dai forti connotatiintensionali.

La determinazione è espressa dalla predicazione, dall’attribuzione diproprietà a qualcosa. Ma lo è davvero, solo se la predicazione è eo ipsol’esclusione che alcunché abbia una qualche altra proprietà (e ciò vuoldire non solo che di fatto non ne gode, come un oggetto quadrato manon rosso potrebbe tuttavia esser rosso; vuol dire che è impossibile chene goda, come un oggetto quadrato non può eo ipso esser triangolare).La cosa per Hegel è cosa determinata, è un Dasein o bestimmtes Sein, enon il vuoto Sein che non è altro che Nichts, solo in quanto ha proprie-tà. Ma a sua volta, che qualcosa abbia una certa proprietà è un fattodeterminato se e solo se la sua sussistenza esclude la sussistenza di certialtri stati di cose. Ciò implica la determinatezza della proprietà stessa – equesta determinatezza, secondo la prospettiva olistica, è possibile solo inquanto la proprietà in questione è un concetto, che sta in relazioni diesclusione modalmente forte con altri concetti, con altre proprietà. Noiaffermiamo di qualcosa, di un a, che gode di una certa proprietà P; que-sta è l’asserzione di alcunché di determinato, e ci dice qualcosa su a, solose l’attribuzione di proprietà è eo ipso esclusione della possibilità che lacosa goda, simul, sub eodem, di altre proprietà a loro volta determinate.Detto in termini di semantica a mondi possibili: un enunciato «P(a)» èdeterminatamente significante nella misura in cui esso spartisce la totalitàdei mondi possibili in due: quelli in cui è vero, e quelli in cui è falso. Maquesto può accadere solo se il significato del predicato «P(x)» è a suavolta determinato – il che è appunto come dire: se e solo se il concettoche esso esprime, la proprietà che esso designa, è tale che il goderne daparte della cosa preclude alla cosa la possibilità di godere di una cert’al-tra proprietà. Questa «altra» proprietà per Hegel ne è, appunto, una ne-gazione determinata.

46 Cfr. G.W.F. Hegel, Scienza della logica, cit., pp. 36-37.

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Hegel concorderebbe dunque col suo critico Carnap nell’osservareche l’introduzione ex nihilo nel linguaggio di un predicato «[…] è bebi-co», o del concetto di bebicità che esso vorrebbe esprimere, di per séproduce espressioni che non significano nulla, come «Socrate è bebico».Ma sosterrebbe che quest’insignificanza non è dovuta, come credevaCarnap, alla mancanza di una procedura di verificazione o falsificazioneempirica, o a questioni di protocolli. Al contrario, Hegel direbbe che sitratta non di un concetto, ma di una vuota rappresentazione, perché èuna nozione semanticamente isolata, e quindi totalmente indeterminata.Non sta in relazione di implicazione-esclusione con alcun altro concetto,non ha dipendenza di senso con alcunché: non è la negazione (determi-nata) di nulla, e non è (determinatamente) negata da nulla. L’enunciato«Socrate è bebico» non determina Socrate in alcun modo, perché nonesclude, non nega la possibilità che gli convenga alcuna altra proprietà asua volta determinata, sicché quando viene proferito noi ne sappiamo, suSocrate, tanto quanto prima. Quell’enunciato non ha un senso deter-minato perché non esclude alcuno stato di cose a sua volta determinato.Non sappiamo da che cosa quell’enunciato segua, né cosa ne segua, masoprattutto cosa non possa seguirne. Esso dunque non determina il mon-do in alcun modo, perché la sua verità non esclude alcun determinatostato di cose possibile dal mondo attuale.

Naturalmente, «Socrate è bebico» in realtà esclude qualcosa dal pun-to di vista astrattamente formale: esclude che Socrate non sia, simul, subeodem, bebico. Ma quanto il significato di quel predicato «[…] è bebi-co» è vuoto, tanto lo è la sua complementazione. Non abbiamo una ne-gazione determinata di esso. Invece, un enunciato come «Socrate è unuomo» determina predicativamente Socrate, perché il predicato «[…] èun uomo» non designa una nozione semanticamente isolata, bensì intrat-tenente una quantità di nessi olistici con altri concetti, e in particolare –ciò che stava più a cuore a Hegel – nessi di incompatibilità intensionale,ossia di negazione determinata. «Socrate è un uomo» (sia: «U(s)») deter-mina Socrate, perché esclude che Socrate, essendo uomo, possa goderedi proprietà determinate quali l’essere una pietra, o l’essere oviparo).Avere la proprietà di essere uomo preclude a Socrate la possibilità digodere di altre proprietà, e così lo determina: omnis determinatio estnegatio.

I postulati di significato in cui si articola olisticamente, attraversonessi di mediazione logica, o negazione determinata, il contenuto deiconcetti, come si è detto sono vincoli sui modelli ammissibili all’interpre-tazione semantica. Ad esempio (con «U(x)», «P(x)», «C(x)», «O(x)» de-signanti rispettivamente le proprietà di essere un uomo, una pietra, uncane, un oviparo):

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47 G.W.F. Hegel, Scienza della logica, cit., p. 723.48 Ibidem.

(8) x(U(x) → P(x))(9) x(U(x) → C(x))(10) x(U(x) → O(x)).

Non solo, se qualcosa è un uomo, allora è un mortale; ma anche,necessariamente se qualcosa è un uomo, allora non è un cane, e non èuna pietra, e non è un oviparo – e il possesso di principi come (8)-(10)costituisce una parte della comprensione del concetto uomo come con-cetto determinato.

Cos’ha allora di speciale la «negazione dialettica», come negazionedeterminata, rispetto alla normale negazione logica? Nei passi della gran-de Logica dedicati al giudizio negativo Hegel sostiene che l’opposto con-traddittorio di un concetto non può restare fermo al vuoto non-A di A,ma deve evolversi nel concetto dell’opposto come concetto determinato(il «negativo che è positivo», appunto). Critica l’idea secondo cui «nelnegativo di un concetto ci si deve attenere soltanto al negativo, e questodev’essere preso come la semplice estensione indeterminata dell’altro delconcetto positivo»47:

Quando ci si ferma al bianco, al rosso etc. come rappresentazioni sensibili, sichiama concetto, al solito, qualcosa che non è se non una determinazione dellarappresentazione, e allora certamente il non bianco, il non rosso etc. non sonoun positivo, come anche il non triangolare è un che di affatto indeterminato,poiché la determinazione basata in generale sul numero e sul quanto è la deter-minazione essenzialmente indifferente, vuota di concetto. Ma come il non esserestesso, così anche cotesto contenuto sensibile dev’essere concepito, e deve per-dere quella differenza e quell’astratta immediatezza che ha nella cieca ed immo-bile rappresentazione48.

Se restassimo fermi all’opposizione di uomo e non-uomo, ossia sequesto fosse l’unico nesso concettuale che affetta la nozione di uomo,esso sarebbe un concetto vuoto: esattamente come bebico, che esclude dasé solo un non-bebico altrettanto vuoto quanto esso è. Ciò può esserespiegato in base al modello olistico qui presentato. Il contraddittoriogenerico di uomo è ottenuto astraendo dai concetti che costituiscononegazioni determinate di quel concetto, e a loro volta lo determinano.Ad esempio:

(11) x(P(x) → U(x))(12) x(C(x) → U(x))(13) x(O(x) → U(x)).

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Necessariamente, se qualcosa è una pietra, un cane, un oviparo, alloranon è un uomo. Il possesso di una qualunque di quelle proprietà preclu-de la possibilità di godere della proprietà di essere uomo. Il cadere sottouno dei concetti pietra, cane, oviparo, implica il non poter cadere sotto ilconcetto uomo. Il generico non-uomo, la negazione astratta del fatto cheun x goda della proprietà di essere uomo, è appunto il minimo incompa-tibile con U(x), col fatto che un x sia uomo: è ciò che segue da tutto ciòche è intensionalmente incompatibile col fatto che x abbia la proprietàU. E cioè, è un’astrazione da tutte le relazioni di negazione determinatache un concetto come uomo intrattiene con gli altri concetti determinatia cui è opposto, nel senso che è implicata da uno qualunque di questi.

Ora, Hegel ha consapevolmente teorizzato l’istanza espressiva secondocui il contenuto dei termini concettuali dev’essere determinato esplicitan-dolo attraverso relazioni olistico-inferenziali di incompatibilità intensiona-le con altri concetti. Nel capitolo dedicato alla Percezione della Fenome-nologia, egli sostiene infatti che un mondo determinato non può esserearticolato in relazioni di mera (gleichgültige) differenza, e deve invecesvilupparsi in differenze escludenti (ausschließende) o, appunto, negazionideterminate.

Al termine del capitolo dedicato alla Certezza sensibile nella Fenome-nologia dovremmo aver appreso che la cosa non è un dato sensibile eimmediato ma un già-mediato. Questo è il modo in cui la successiva fi-gura fenomenologica, ossia la coscienza percettiva, assume il propriooggetto d’esperienza. Essa incomincia a concepire l’oggetto come un in-dividuo che è già un universale: ossia, non come un bare particular, macome un oggetto che cade sotto concetti, che ha proprietà. La cosa è ciòche unifica le molteplici proprietà di cui gode:

Il principio dell’oggetto, l’universale, è, nella sua semplicità, un mediato; ciòl’oggetto dovrà esprimere in lui come natura sua; così esso mostrasi come lacosa dalle molte proprietà. […] Perciò il sensibile è esso stesso ancora presente,ma non come dovrebbe essere nella certezza immediata, ossia come il singolodell’opinione, bensì come universale, o come ciò che si determinerà come pro-prietà49.

Ora, sostiene Hegel, la coscienza percettiva tende dapprincipio a con-cepire le «determinatezze che […] sono proprietà» come «indifferentil’una verso l’altra, ciascuna per sé, libera dalle altre», e quindi la cosache ne gode come «il mezzo dove quelle determinatezze, tutte quante,sono», come una unità semplice in cui «esse [le proprietà] sono indiffe-rentemente per sé»:

49 G.W.F. Hegel, Fenomenologia dello spirito, cit., pp. 93-94.

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Questo sale è un qui semplice ed è in pari tempo molteplice; è bianco ed èanche sapido, ed è anche cubico di forma, e anche di un peso determinato ecc.Tutte queste molte proprietà sono in un qui semplice […] in questa compene-trazione esse non si affèttano; il bianco non affètta né altera il cubico, entrambinon toccano il sapido ecc.; anzi ciascuna, poiché è un semplice rapportarsi a sestessa, lascia in pace le altre e a loro si rapporta solo mediante un indifferenteanche50.

Come Hegel ripete qualche pagina più avanti, «Le cose stesse dunqueson determinate in sé e per sé; esse hanno delle proprietà mediante lequali si distinguono dalle altre», e «la proprietà è la proprietà propriadella cosa o è una determinatezza nella cosa stessa»51. Ma ora la seman-tica dialettica esige che a loro volta le proprietà siano determinate me-diante relazioni di incompatibilità o negazione determinata con altre pro-prietà. La cosa può quindi essere una cosa determinata, un bestimmtesSein, in quanto è un centro di esclusione di proprietà incompatibili conquelle di cui gode: e quindi, questa concezione iniziale della coscienzapercettiva, in cui la cosa è esprimibile come una mera congiunzioneestensionale di enunciati che le attribuiscono le proprietà che ha(l’«indifferente anche»), va oltrepassata:

Dato che le molte proprietà fossero senz’altro indifferenti e si rapportasserosolamente ciascuna a se stessa, non sarebbero proprietà determinate; esse infattilo sono in quanto si distinguono e si rapportano ad altre proprietà come opposte.Esse però, secondo questa opposizione, non possono stare insieme nell’unitàsemplice del loro mezzo, la quale è loro essenziale quanto la negazione; la di-stinzione di quest’unità, in quanto essa non è un’unità indifferente, anzi un’unitàche esclude e nega altro, cade dunque oltre questo mezzo semplice. E perciòquesto non è soltanto un anche, unità indifferente, ma altresì un Uno, un’unitàesclusiva52.

5. «Vermittlung» e sillogismo

La cosa è determinata predicativamente, ossia è quella cosa che essa èperché si differenzia da altre cose attraverso le sue proprietà e relazioni.Per lo Hegel dell’Enciclopedia, «tutte le cose sono un giudizio, – cioèsono individui, che sono in sé una universalità o natura interna; o ununiversale che è individualizzato»53. Ciò vuol dire che le cose non sonodegli atomi semantici, dei bare particulars, in quanto sono cose che han-

50 Ibidem, p. 95.51 Ibidem, p. 100.52 Ibidem, pp. 95-96.53 G.W.F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche, cit., p. 166.

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no proprietà: sono oggetti («individui») che cadono sotto concetti («uni-versali»), oggetti che istanziano proprietà («universali che sono individua-lizzati»). Ma a loro volta le proprietà, i concetti, sono concetti determina-ti, ossia sono quei concetti che essi sono, e non altri concetti, perché stan-no in certe relazioni inferenziali con altri concetti: quelle relazioni che,come abbiamo visto, sono espresse dagli enunciati implicativi – e per He-gel anzitutto dagli enunciati implicativo-negativi che esprimono i rapportidi negazione determinata. Ciò vuol dire che i contenuti concettuali che unenunciato esprime possono essere intesi come determinati, soltanto inquanto correlati a una molteplicità di altri contenuti concettuali espressi daaltri enunciati. Noi esplicitiamo queste relazioni fra concetti, in quantoconsideriamo le inferenze in essi implicite: questa esplicitazione è ciò chesi mostra nelle relazioni fra enunciati in cui si articolano le argomentazio-ni. Ed ecco l’hegeliana necessità che il giudizio si dilati in sillogismo,l’idea secondo cui «la verità del giudizio è il sillogismo»54.

Ciò emerge in particolare nella già menzionata trattazione dell’ultimafigura del giudizio, il giudizio del concetto. Questa è appunto la figurache nelle intenzioni di Hegel deve attuare il passaggio dal giudizio al sil-logismo: e lo fa, perché in essa l’unilateralità delle forme precedenti èsuperata da un giudizio (quello apodittico), che si rivela contenente unasorta di inferenza interna. Al giudizio assertorio, ad esempio «questa casaè buona», afferma Hegel, «sta di fronte, con pari diritto o torto, l’asser-zione opposta», quindi esso non può essere neppure assertorio, se non inquanto è una mera asseverazione, ed «è perciò […] solo un giudizioproblematico». Ma trova il proprio fondamento in quanto viene svilup-pato in giudizio apodittico: «questa – l’individualità immediata, – casa –genere, – così e così fatta –, specificazione – è buona o cattiva»55; dove il«così e così fatta» è il medio, che fonda il convenire del predicato alsoggetto o, se si preferisce, è il concetto che media l’applicazione delconcetto buono a questa casa, sulla base di una premessa implicita: seuna casa ha la proprietà di essere così e così fatta (ad esempio con certicriteri costruttivi, con l’impiego di certi materiali etc. etc.), allora è unabuona casa; ma questa casa è così e così fatta; quindi è una buona casa56.

In un certo senso, qui Hegel si colloca nel solco della tradizione sillo-gistica e della questione dell’inventio medii. Per altro verso, si tratta di

54 G.W.F. Hegel, Scienza della logica, cit., p. 763.55 Cfr. G.W.F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche, cit., p. 173.56 «Questo giudizio apodittico, il cui terzo termine mediatore fornisce i fondamenti del

giudizio, esplicitando perché la casa è buona, è essenzialmente un sillogismo. Ciò vale aillustrare per noi l’idea inferenzialista di Hegel per cui è in virtù dell’appartenenza aschemi di giustificazione inferenziali che un giudizio è un giudizio: idea che Hegel espri-me con l’affermazione che il sillogismo è la verità del giudizio» (P. Redding, Esplicitarel’inferenzialismo di Hegel, in Hegel contemporaneo, cit., p. 508).

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una tesi che ha qualche analogo nella metalogica contemporanea. Adesempio, il teorema di Craig o di interpolazione per la logica elementa-re stabilisce che se − α → β e l’implicazione è non banale (ossia non− α e non − β), c’è sempre nel vocabolario comune ad α e β una for-mula γ, detta interpolante, tale che − α → γ e − γ → β . Intuitivamente,ciò vuol dire che in un’implicazione non banale devono sempre contareinformazioni su concetti implicati dall’antecedente, e implicanti il conse-guente57: e questo è per l’appunto ciò che è a tema nel nostro modelloolistico.

Ho accennato in precedenza al fatto che la relazione fra concetti,espressa dagli enunciati hegeliani della forma «der (die, das) t1 ist der(die, das) t2» e «der (die, das) t1 ist t2», è transitiva. È interessante notareche la transitività è solitamente sfruttata da Hegel proprio enfatizzandola posizione del medio. La forma in cui Hegel mette argomenti del gene-re: «se il t1 è (il) t2, e il t2 è (il) t3, allora il t1 è (il) t3», di solito è: «il t1 è,come t2, il t3» (ad esempio: «[l’] indipendenza [della proprietà] è in paritempo come questa unità negativa il ristabilito qualcosa della forma dicosa»)58. Oppure: «il t1, in quanto è il t2, è il t3» (ad esempio: «[La] cosa,in quanto si è determinata come il nesso semplicemente quantitativodelle materie libere, è l’assolutamente mutabile»)59.

Ma la nozione hegeliana di mediazione (Vermittlung) è chiaramenteconnessa a quella di negazione determinata. Le relazioni che mediano iconcetti sono anzitutto i rapporti di codeterminazione olistica attraversoesclusione intensionale, o modalmente forte: il concetto che è mediato èquello che è determinato attraverso un altro concetto, in quanto è «altrorispetto ad esso», ossia ne è la negazione, ma è altro dell’altro, ossia ne ènegazione determinata. Il paradigma della Vermittlung è proprio il termi-ne medio del sillogismo. Si capisce allora perché, per Hegel, non solo sideve dire che «tutte le cose sono un giudizio», ma anche che «ogni cosaè un sillogismo» (Alles ist ein Schluß)60. E lo schließen, il passaggio allaconclusione del sillogismo, è un ausschließen, un escludere. La determina-zione degli oggetti mediante predicazione, attribuzione di proprietà chesi manifesta nel giudizio, si lega alla determinazione delle proprietà attra-verso le relazioni inferenziali fra i giudizi che si manifestano nel sillogi-smo: e questa determinazione consiste anzitutto nell’esclusione intensio-nale, nelle relazioni di negazione determinata, fra i concetti in cui le pro-prietà consistono. Concludere (determinare) è escludere, perché determi-natio est negatio.

57 Cfr. E. Casari, Introduzione alla logica, Torino, Utet, p. 194 e p. 244.58 G.W.F. Hegel, Scienza della logica, cit., p. 551.59 Ibidem, p. 553.60 G.W.F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche, cit., p. 174.

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Infine, la determinazione del significato dei termini concettuali, cosìcome la loro padronanza, è questione di gradi. Come ha affermato Bran-dom, in questo modello inferenzialista «la comprensione di un contenutoproposizionale (l’afferrarlo) non viene presentata come l’accensione diuna luce cartesiana», ossia «non è una situazione tutto-o-niente»61. Ciòvale sia per i concetti categoriali che Hegel ha anzitutto in vista, che peri concetti ordinari. Per l’esperto di metallurgia il concetto empirico ditellurio è assai più determinato che per il profano: egli, cioè, possiedeuna quantità di postulati di significato che connettono variamente quelconcetto ad altri, sicché sa cosa segue dal fatto che una certa porzione dimateria è qualificabile come del tellurio, e cosa non ne segue: conosce leproprietà chimico-fisiche di quel metallo, sa come lo si può impiegare,etc. Similmente, il filosofo che si occupa a tempo pieno di teorie dellaverità possiede una quantità di specificazioni del concetto categoriale-fi-losofico di verità, a ognuna delle quali può far corrispondere una teoriapiuttosto articolata. Sa che, in una certa accezione, «vero» designa unaproprietà di enunciati, e in una certa altra una proprietà di intere teoriei cui enunciati costituenti hanno certe relazioni di connessità o interde-ducibilità interna. In un’altra accezione ancora, «vero» è un modificatorenominale che esprime un certo grado di vicinanza o conformità di unoggetto a un concetto che esso istanzia; e così via. La nozione di verità èmolto più articolata e precisa per lui che non per il parlante comune.Eppure, egli stesso sa che le teorie da lui studiate muovono dall’uso del-l’espressione «vero» nel parlare ordinario, dove, come direbbe Hegel, ilconcetto filosofico di verità «opera in modo istintivo», è presente comeun «noto [che] non è già perciò conosciuto»62.

Tutto ciò potrebbe ricordare qualcosa di vagamente prossimo allaprospettiva putnamiana sulla divisione del lavoro linguistico. In generale,si tratta di una posizione semantica secondo la quale il grado di indivi-duazione del concetto può variare, in base alle differenti competenze lin-guistiche in gioco; ossia, in base alla padronanza delle relazioni olistiche-inferenziali che connettono quel concetto ad altri; ossia ancora, in base alnumero e alla varietà di postulati di significato condivisi di cui il parlanteè consapevole. Hegel avrebbe probabilmente trovato molto interessantel’idea che il significato dei termini concettuali, come «uomo», «tigre»,«olmo», «faggio», sia determinato olisticamente, nelle relazioni semanti-che esplicitate dalle nostre teorie condivise. Ma avrebbe aggiunto che laconsapevolezza di ciò è l’aspetto peculiarmente filosofico della cosa. Chesolo questa consapevolezza assegna un posto non casuale alle varie pro-duzioni del Geist. E che l’acquisizione di tale consapevolezza è l’ufficio

61 R.B. Brandom, Articolare le ragioni, cit., p. 70.62 G.W.F. Hegel, Scienza della logica, cit., pp. 11-12.

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63 N. Goodman, Problems and Projects, Indianapolis, Bobbs Merrill, 1972, p. 168.

della logica speculativa, anzi «il più alto compito logico». Come unavolta ha detto Nelson Goodman: «lo scienziato pratico fa il lavoro, ma èil filosofo che tiene i libri»63.