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Anno XI n.40 giugno 2012 Sped. Abb. Post. D.L. 353/2003, conv. L. 46/2004, art.1, c.1 DCB Milano Reg. Tribunale Milano N.941 del 16 dicembre 2005 In caso di mancato recapito restituire al mittente C.M.P. Roserio - Milano, detentore del conto Foglio di formazione e informazione dell’Associazione Maria Immacolata I l distacco è parte integrante della vita a cui l’uomo non può sottrarsi. È presente nell’atto creatore di Dio e nel- l’atto salvatore di Gesù Cristo: “Per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne” (Gen 2,24). “Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi” (Mt 19,6b). Nel progetto di Dio la famiglia, dunque, nasce da un distacco e da una indisso- lubile coesione che danno origine alla storia dell’umanità nel suo percorso di redenzione. La parola di Dio intreccia la storia contrassegnata, per la “durezza dei cuori” e per la fragilità delle relazioni, nel tempo, da costumi e leggi, diversi. La Chiesa oggi si trova spesso a difendere la legge naturale contro quelle leggi civili, riduttive nella valutazione del bene della coppia e snaturanti lo spessore originario. Il prolificare di leggi e sen- tenze ne esaspera il limite, l’incapacità e accentua, per i cristiani, il senso di peccato. Credo che anche il modo di procedere della giustizia sottragga qual- cosa a questa unione, favorisca gli egoi- smi, e protegga le “distrazioni” colpevoli. A questo proposito vorrei citare il giurista e scrittore Giuseppe Della Torre che, in un articolo pubblicato su Avvenire do- menica 29 aprile u.s., ha parlato della “famiglia spogliata: un indebolimento anche e soprattutto per via giuridica:” “I legislatori civili non hanno sostan- zialmente reso un buon servizio alla fa- miglia, dal momento che l’hanno sotto- posta a una continua e progressiva spo- gliazione di funzioni e caratteri suoi propri. Il processo iniziato con lo sradi- camento dal suo essere un istituto na- turale, che cioè il legislatore positivo non può plasmare a piacimento fino a stravolgerne gli elementi costitutivi”. Dopo questa parentesi riprendo i due verbi, citati sopra “unire” e “non sepa- rare”, per la forza che hanno di additare alla coppia la loro vocazione alla comu- nione, in quanto Dio non rinuncia ad offrire il suo Paradiso, quello originario, della comunione reale e concreta con Lui. Non è questa la tensione interiore che ogni uomo sperimenta, già su questa terra, come frammento della totalità? La società umana, civile, ecclesiale ha il compito di dare voce a questi frammenti di comunione per contribuire a realizzare nella coppia quella gioia che si apre alla pienezza e che è garanzia di sicurezza e serenità. Con questo sguardo siamo invitati a non soffermarci nel rimpiangere i costumi e le tradizioni del passato né a denigrare le abitudini del tempo pre- sente, ma a porre mano a nuovi pensieri, progetti, modelli che favoriscano i valori duraturi con cui costruire le proprie esi- stenze. Questo processo chiede di di- fendersi dai buonismi e dai troppo facili e semplificativi “vogliamoci bene” per affrontare i distacchi dai propri egoismi, dal proprio senso di possesso, dal pre- tendere l’unità su misura di sé. Il discorso, ora, si allarga al verbo: “se- guire”. Un Qualcuno che sa leggere il cuore di ogni uomo nell’aspirazione al- l’unità, alla comunione, alla felicità e che chiama e guida su un territorio carico di fascino e di speranza in cui si intravede la realizzazione di sé stessi. È il tema della sequela che affiora incisivo nelle pagine della Scrittura e in parti- colare del Vangelo, che non riguarda al- cune categorie di persone ma tutti quegli uomini che sono consapevoli di quello che hanno nel profondo del cuore. Nell’ambito di queste riflessioni si in- travede la portata di questa parola “di- stacco” che coniuga i vari momenti del- l’esistenza umana, la dove c’è sempre qualcosa da cui distaccarsi per aspirare a qualcosa di più grande. Questo vale fino alla fine della vita. Ricevuta come dono. Perseguita con responsabilità. In- travista, già qui e ora, nella sua dimen- sione di eternità. Don Carlo in questo numero La famiglia: il distacco IL DISTACCO PER LA COMUNIONE EDITORIALE EDITORIALE EDITORIALE EDITORIALE EDITORIALE EDITORIALE EDITORIALE

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Anno XI • n.40 • giugno 2012

Sped. Abb. Post. D.L. 353/2003, conv. L. 46/2004, art.1, c.1 DCB Milano Reg. Tribunale Milano N.941 del 16 dicembre 2005In caso di mancato recapito restituire al mittente C.M.P. Roserio - Milano, detentore del conto

Foglio di formazione e informazionedell’AssociazioneMaria Immacolata

Il distacco è parte integrante dellavita a cui l’uomo non può sottrarsi. È

presente nell’atto creatore di Dio e nel-l’atto salvatore di Gesù Cristo: “Perquesto l’uomo abbandonerà suo padre esua madre e si unirà a sua moglie e idue saranno una sola carne” (Gen 2,24).“Quello dunque che Dio ha congiunto,l’uomo non lo separi” (Mt 19,6b). Nel progetto di Dio la famiglia, dunque,nasce da un distacco e da una indisso-lubile coesione che danno origine allastoria dell’umanità nel suo percorso diredenzione. La parola di Dio intreccia lastoria contrassegnata, per la “durezzadei cuori” e per la fragilità delle relazioni,nel tempo, da costumi e leggi, diversi. La Chiesa oggi si trova spesso a difenderela legge naturale contro quelle leggicivili, riduttive nella valutazione delbene della coppia e snaturanti lo spessoreoriginario. Il prolificare di leggi e sen-tenze ne esaspera il limite, l’incapacitàe accentua, per i cristiani, il senso dipeccato. Credo che anche il modo diprocedere della giustizia sottragga qual-cosa a questa unione, favorisca gli egoi-smi, e protegga le “distrazioni” colpevoli.A questo proposito vorrei citare il giuristae scrittore Giuseppe Della Torre che, inun articolo pubblicato su Avvenire do-menica 29 aprile u.s., ha parlato della“famiglia spogliata: un indebolimentoanche e soprattutto per via giuridica:”“I legislatori civili non hanno sostan-zialmente reso un buon servizio alla fa-miglia, dal momento che l’hanno sotto-

posta a una continua e progressiva spo-gliazione di funzioni e caratteri suoipropri. Il processo iniziato con lo sradi-camento dal suo essere un istituto na-turale, che cioè il legislatore positivonon può plasmare a piacimento fino astravolgerne gli elementi costitutivi”.Dopo questa parentesi riprendo i dueverbi, citati sopra “unire” e “non sepa-rare”, per la forza che hanno di additarealla coppia la loro vocazione alla comu-nione, in quanto Dio non rinuncia adoffrire il suo Paradiso, quello originario,della comunione reale e concreta conLui. Non è questa la tensione interioreche ogni uomo sperimenta, già su questaterra, come frammento della totalità?La società umana, civile, ecclesiale hail compito di dare voce a questi frammentidi comunione per contribuire a realizzarenella coppia quella gioia che si aprealla pienezza e che è garanzia di sicurezzae serenità. Con questo sguardo siamo

invitati a non soffermarci nel rimpiangerei costumi e le tradizioni del passato néa denigrare le abitudini del tempo pre-sente, ma a porre mano a nuovi pensieri,progetti, modelli che favoriscano i valoriduraturi con cui costruire le proprie esi-stenze. Questo processo chiede di di-fendersi dai buonismi e dai troppo facilie semplificativi “vogliamoci bene” peraffrontare i distacchi dai propri egoismi,dal proprio senso di possesso, dal pre-tendere l’unità su misura di sé.Il discorso, ora, si allarga al verbo: “se-guire”. Un Qualcuno che sa leggere ilcuore di ogni uomo nell’aspirazione al-l’unità, alla comunione, alla felicità eche chiama e guida su un territoriocarico di fascino e di speranza in cui siintravede la realizzazione di sé stessi. Èil tema della sequela che affiora incisivonelle pagine della Scrittura e in parti-colare del Vangelo, che non riguarda al-cune categorie di persone ma tuttiquegli uomini che sono consapevoli diquello che hanno nel profondo del cuore. Nell’ambito di queste riflessioni si in-travede la portata di questa parola “di-stacco” che coniuga i vari momenti del-l’esistenza umana, la dove c’è semprequalcosa da cui distaccarsi per aspirarea qualcosa di più grande. Questo valefino alla fine della vita. Ricevuta comedono. Perseguita con responsabilità. In-travista, già qui e ora, nella sua dimen-sione di eternità.

Don Carlo

in questo numeroLa famiglia:il distacco

IL DISTACCO PERLA COMUNIONE

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L’Hospice e la “cura del distacco”.L’ascolto al di là del farmaco.Si potrebbe dire che il fatto stesso che ilpaziente e la famiglia debbano confrontarsicon la malattia terminale non è un pre-supposto che ha in sé la richiesta, la ne-cessità di un aiuto psicologico in quantotale, cioè in quanto visto come applica-zione a una disfunzione, come qualcosache fa riferimento a un disadattamentoalla dimensione psicologica. Mentre invecei nostri operatori sono più fondati su unadinamica classica dell’assistenza religiosao innovativa di una visione di analisi filo-sofica, questo prescinde da una visione pa-tologica, psicologica, psicoterapeutica. Inrealtà tende a offrire, un po’ come fatevoi, da quanto ho capito, una dimensionenormale, una condizione umana che ha bi-sogno di essere ascoltata, nella diversitàdei propri punti di vista, rispetto alla con-dizione in cui si trova; può anche essereaiutata, a volte, se ci sono dei canali chelo permettono. Con i limiti di quella che èl’offerta che noi abbiamo. Perché appuntoc’è l’analisi filosofica, c’è l’operatoreShiatzu, che ha una sua dimensione di in-tervento, c’è il cappellano, che ha il suomodo di potersi interfacciare. Poi più im-portante forse sarebbe il fatto che tuttiquesti, che hanno le competenze “specia-listiche”, dovrebbero integrarsi con il restodell’équipe, cioè creare una capacità ditutti di mettersi in gioco, di formare ununico. Questo fa più parte del mito, chedella realtà. Però è un bel mito. Senza mitonon si può neanche andare avanti, credo.

Come è nata la sua vocazione per leCure Palliative e come ha incontrato lastruttura Hospice che lei dirige?Diciamo che la parola “vocazione” è un po’impegnativa. Però possiamo recuperarla nelsenso che io sono partito, giovane, quandoho iniziato a lavorare qui e mi occupavo didolore, di ricerca del dolore e qui c’era ilprof. Ventafridda che aveva aperto un cen-

tro dedicato alla terapia del dolore, cheera abbastanza innovativo per allora. Percui era interessante per un medico giovane.E dall’interesse sul dolore, il prof. Venta-fridda iniziò le cure palliative: penso chequesto sia stato uno dei primi centri, forseil primo centro in Italia che si è occupatodi cure palliative ed è stato anche l’unicoper un bel po’. E quindi è stata un’evolu-zione naturale nei confronti della tematica“attenzione al dolore”, “cura del dolore”,valutazione, studio del dolore, compren-sione, risposte terapeutiche, tecniche, far-macologiche e via via allargandosi alla di-mensione cure palliative. Trattandosi di undolore legato alla malattia terminale: nonè un dolore genericamente inteso. E quindic’è la necessità di comprendere tutte que-ste dimensioni e in queste dimensioni legrandi persone che hanno contribuito acreare questo ambito della medicina: primafra tutti Cicely Saunders, che abbiamo in-

crociato qua e compreso. Allora direi chela vocazione si costruisce nel tempo, credo.Salvo che qualsiasi attività basata sull’aiuto degli altri, basata sulla terapia, sul-l’intervento sanitario assistenziale, comeminimo deve avere una spinta di aperturaverso l’accoglienza ai problemi degli altriuna sorta di nucleo vocazionale che è in-dispensabile. Però più specificamente ri-spetto a queste tematiche, che sono ca-ratterizzate dalla ineluttabilità dellamalattia e quindi dall’accettazione di unpercorso che inevitabilmente conduce allamorte, ognuno deve farsi un pochino l’ideadi saper cogliere in questo quegli elementidi positività, personali e soggettivi, maanche proiettati sulla possibilità di dareaiuto agli altri, senza i quali non si puòfare questo lavoro. Cicely Saunders, cheaveva delle battute un po’ secche e un po’anche inglesi su queste tematiche, dicevache “se a qualcuno dà fastidio il caldo,esca dalla cucina e ci lasci lavorare”.

Come affronta con la sua equipe il di-stacco del paziente dalla propria vita?Direi che questo elemento è molto impor-tante. Non tutti i pazienti sono uguali: al-cuni passano rapidamente e non si fa atempo ad avere un rapporto personale; intaluni casi siamo sovraccaricati dalle ne-cessità di rispondere praticamente alle si-tuazioni e questo “fare” aiuta anche ad

AUGUSTO CARACENI• É nato a Milano nel 1960.• É direttore dell’Hospice “Virgilio Floriani”e dell’unità cure palliative all’Istituto Tu-mori di Milano.• Laureato in medicina all’Università degliStudi di Milano nel1985, ha conseguito laspecializzazione in Neurologia e in Neu-rofisiologia Clinica dall’Università di Pa-via.Con Vittorio Ventafridda, all’Istituto Tu-mori di Milano, nel 1986 inizia la sua at-tività nell’ambito della terapia del doloree delle cure palliative; partecipando con-temporaneamente al programma dell’Or-ganizzazione Mondiale della Sanità per lavalutazione dell’efficacia della scala anal-gesica OMS per la gestione del dolore on-cologico e per la sua diffusione.• Nel 1994 è Clinical fellow in Neurologiae Cure Palliative al Memorial Sloan Kette-ring Cancer Center di New York; è profes-sore associato di medicina palliativa allaNorwegian University of Science and Tec-

nology di Trondheim, e vicepresidentedel Research Network della dell’Associa-zione Europea di Cure Palliative.• È stato Editor della Rivista Italiana diCure Palliative e membro del direttivoCommissione sulla terapia del dolore, curepalliative e dignità alla fine vita presso ilMinistero della Salute.• La sua esperienza sia clinica che di ri-cerca riguarda le complicazioni neurolo-giche del cancro, gli analgesici oppioidi,la rilevazione e la misurazione del dolore,il controllo dei sintomi nelle fasi avanzatedel cancro, con un interesse speciale peril delirio.• Ha pubblicatolibri, circa 110articoli su rivistescientifiche in-dicizzate e nu-merose pubbli-cazioni, sia initaliano che ininglese.

IL DISTACCO ACCOGLIENTEPer questo numero Adriana e Sara della Redazione hanno in-tervistato il Dottor Augusto Caraceni, direttore dell’HospiceFloriani, presso L’Istituto dei Tumori di Milano. A lui va il no-stro sentito ringraziamento per la gentile e sensibile dispo-nibilità, la calorosa umanità e l’intelligente contributo.

PARLIAMO CON • PARLIAMO CON • PARLIAMO CON • PARLIAMO CON • PARLIAMO CON • PARLIAMO

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andare un po’ al di là. Però è evidente chesi arriva a conoscere e a incontrare tantepersone, con le quali c’è un rapporto si-gnificativo, si instaurano dei rapporti im-portanti e significativi. Con loro e con lefamiglie. Allora il fatto di doversi confron-tare col termine del rapporto, della vita diqualcuno, è sempre di volta in volta abba-stanza doloroso. E’ sempre doloroso, è sem-pre emozionante. E’ anche sempre moltosolenne, se si vuole, perché c’è una solen-nità. Per cui direi che fortunatamente nellamaggior parte dei casi si riesce a trovareun certo compimento del proprio ruolo, inquello che si è potuto fare – senza essereparanoici, onnipotenti, senza esagerare –però nel senso che ci si ritrova relativa-mente adeguati a quello che era possibilefare e questo, cioè il fatto di aver trovatonell’assistenza delle ragioni coerenti conun certo progetto, programma, di aver po-tuto dare risposte, di aver potuto in qual-che maniera aiutare anche la famiglia delpaziente, se non gratifica, aiuta a dare unsenso a quello che è stato il nostro esserelì e il nostro poi dover accettare il distacco.Di cui d’altra parte noi sapevamo già, per-ché noi ci facciamo un’idea abbastanzaprecisa di come le cose vanno dal primomomento che vediamo il paziente. C’è laconsapevolezza di aver fatto il possibile,anche da parte dei parenti, e anche l’avercompreso qual’è il possibile ruolo che unoha, il che fa parte di quella vocazione dicui si diceva prima. Cioè l’essere realisti-camente dentro questo lavoro permette an-che di cogliere gli aspetti positivi. Per cuila positività è sempre da sottolineare, amio modo di vedere, e forse anche l’avereanche una visione del fatto che c’è qualcosadi molto misterioso, di molto grandequando noi ci confrontiamo con il mo-mento culmine della vita di queste persone.Di certo colpisce, può creare emozioni, puòcreare dolore, però spinge anche verso unacerta riflessione, che non è completamentenegativa. D’altra parte è il problema che siporrebbe per chiunque. Quando parliamodi questo: com’è stato quel signore, comesono andate le cose: malissimo, è morto!Peggio di così! Se ci si ferma a questo!Questo è il modo di porsi dell’uomo dellastrada: la malattia non si poteva curare, laprognosi era di sei mesi, ha avuto un saccodi dolori, è stato male e alla fine è morto,per fortuna ha finito di soffrire. Noi dob-biamo invece fare l’operazione opposta:siamo chiamati ad intervenire lì per dei

motivi che evidentemente ci sono, darequalche risposta, cercare delle vie.

Come medico, al di là dei supporti psi-cologici della sua equipe, riesce adaiutare i familiari ad elaborare il lutto?Anche sul lutto abbiamofatto un programma spe-cifico. L’aiuto al lutto faparte dei requisiti per lecure palliative e biso-gnerebbe attrezzarsi unpo’ a dare qualche ri-sposta. Abbiamo qual-che programma congli psicologi e conl’unità filosofica didare possibilità alparente di essere ri-visto dopo che illoro congiunto èmancato, per de-gli incontri al finedi dare un po’ dicontinuità, disollievo anche: ne ab-biamo fatti alcuni di gruppo, poi persona-lizzati, perché sembrava che i parenti lipreferissero. Poi ci sono tante occasioni.

Ed infine, una domanda tecnica. Comeè strutturata la sua equipe? Ci sono alsuo interno problematiche che lei vor-rebbe migliorare o correggere? Ne èsoddisfatto? La struttura risponde ap-pieno alle esigenze dei suoi pazienti?Noi abbiamo una struttura che è abba-stanza completa, perché c’è l’hospice, c’èl’assistenza a domicilio, c’è l’ambulatorio,ci sono le consulenze negli altri reparti.Quindi questa è una struttura abbastanzaarticolata, che ha un certo numero di ri-sorse. Per fare un discorso pragmatico ser-virebbero per esempio più risorse per l’as-sistenza domiciliare, per fare delle équipesdi assistenza domiciliare ben strutturate,con buona capacità di interevento a domi-cilio. Qualcosa c’è, perché nel nostro pro-gramma, regione Lombardia ecc. abbiamofatto una programmazione che già ci rico-nosce un certo modo di operare, certi rim-borsi. Però la maggiore strutturazione diquesta parte, con qualche fondo in più peril personale dedicato, per rendere più facilela strutturazione del personale sarebbe digrande importanza. E poi penso che siauno dei punti fondamentali generali, perchéquando si chiede alla gente (quando è in

buona salute, perché quando poi si ammalail discorso cambia), dove preferirebbe mo-rire, rispondono tutti: “a casa”. Le condi-zioni poi sono tali per cui a volte questonon è possibile, però questo può essereoggettivamente difficile oppure può esseredifficile perché mancano i mezzi per ren-

derlo più facile oppurefattibile. Questo sarebbecorreggibile, in parte. Poici sono le questioni cheriguardano la famiglia ela società che purtropposono quelle che sono. Avolte è difficile perchénon c’è una famiglia che sene occupa in maniera sod-disfacente o che facilita lafase ultima delle persone.Cosa manca e cosa si può mi-gliorare? A volte la frustra-zione degli operatori, quelloè un punto difficile da supe-rare, di tipo professionale, per-ché magari non ci sono risorseper dare risposte alle necessità.A volte la incapacità di tro-

varsi su questa lunghezza d’onda di questaassistenza che può essere non condivisibileda tutti al 100%. Per cui dovrebbe essercila possibilità di orientarsi, di capire cheun’attività non è confacente e di potercambiare il proprio percorso, cosa che danoi non è possibile perché le scelte e leopportunità sono un po’ rigide, precosti-tuite, non permettono di orientarsi pro-fessionalmente.

Dottor Caraceni, ha un ricordo nellasua esperienza all’Hospice che porteràcon sé per l’intera vita?Ci sono tanti piccoli “cammei”. Per esem-pio, spesso i parenti interpretano con noio ci riportano quello che dai loro cari èstato vissuto qui, anche in modo abba-stanza insospettabile. Si ricordano molto iprimi pazienti, di quando abbiamo aperto.Alcuni parenti dei primi pazienti, che ven-gono costantemente alla Messa per i mortiche celebriamo ogni anno; ci sono alcuniche vengono da molto tempo, che sonomolto simpatici. Alcuni hanno vissutoesperienze molto difficili, che quindi sonorimaste impresse. La quantità di sofferenzache le persone sono in grado di patire col-pisce molto. E credo che ci sono differentilivelli di sofferenza e situazioni. Perchénoi selezioniamo casi più complessi e

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Ci sono alcuni eventi che costituisconodelle costanti nella vita e il distacco è

uno di questi. Il termine distacco indicarealtà apparentemente molto diverse traloro e che incontriamo, una dopo l’altra,nella storia di ogni singolo e di ogni fami-glia. Il primo distacco che viviamo è quellodella nascita: il neonato si «separa» dallamadre e prende il suo posto nel mondodopo il nascondimento della gestazione. Ildistacco della nascita è il momento in cui,fisicamente, la persona venuta alla luce sipone come un «altro in relazione». Cominciain quel momento l’affascinante camminodell’esistenza e della crescita che coinvolgesia il figlio sia i genitori, che dovrannopasso passo assumersi e vivere il loro ruolo.Evoluzione e conseguenza del distacco dellanascita è il momento in cui i figli lascianoil «nido» famigliare per fare la propria espe-rienza di vita, da soli o in un nuovo conte-sto (nuovo nucleo famigliare, vocazione sa-cerdotale o religiosa, esperienza lavorativao formativa). Il figlio, formato nella propriaindividualità, è maturato psicologicamentee spiritualmente preparandosi a esprimerepienamente il suo «essere nel mondo» inrelazione col padre e la madre, ma separa-tamente da essi. Sia i genitori che i figlidevono imparare il modo di «fare da soli»pur nella consapevolezza di poter contaresempre sui congiunti. Il distacco comportaanche, per i genitori, la rinuncia a propriprogetti sui figli; accettare che i figli se-guano la loro strada nella ricerca della pro-pria vocazione non è sempre facile e ri-chiede disponibilità. L’ultimo distacco cheil singolo e la famiglia vivono è quello del

lutto: la morte dei genitori attraverso laquale la seconda generazione si accorge diessere ormai «in prima linea» e ripensa lapropria collocazione esistenziale. La fami-glia, purtroppo, talvolta si trova a dovervivere anche altri distacchi, meno naturalie più dolorosi: la morte prematura di un fi-glio, la separazione tra coniugi e l’abban-dono del tetto coniugale, la malattia disa-bilitante che isola chi ne è colpito. Inquesti casi il distacco pone di fronte a unadolorosa assenza ed è avvertito come qual-cosa di ingiusto e di insensato. Possiamoallora dire che il distacco è una realtà in séambigua. È un evento della vita naturale enecessario, attraverso il quale l’esistenza èritmata e prende forma di generazione ingenerazione. D’altro lato esso non avvienesenza dolore, comporta uno sforzo da partedi chi lo vive per rendersi disponibili a cam-biare. Con un’ottica di fede, nella dinamicadel distacco possiamo vedere espresse insenso esistenziale le esigenze della con-versione e della maturazione spirituale. Essecomportano la capacità di «morire a sestessi» abbandonando le proprie idee pre-concette e i propri comportamenti nonevangelici. La Pasqua stessa di Gesù si con-figura agli occhi degli Apostoli come undistacco: «Ora vado da Colui che mi ha man-dato e nessuno di voi mi domanda: “Dovevai?”. Anzi, perché vi ho detto questo, latristezza ha riempito il vostro cuore» (Gv16, 5-6). E Gesù conforta i suoi discepolisvelando loro il senso profondo del distacco,che si può incontrare anche nel misterodella nascita e della morte: «State inda-gando tra voi perché ho detto: “Un poco enon mi vedrete; un poco ancora e mi ve-drete”? In verità, in verità io vi dico: voipiangerete e gemerete, ma il mondo si ralle-grerà. Voi sarete nella tristezza, ma la vostratristezza si cambierà in gioia. La donna,quando partorisce, è nel dolore perché è ve-nuta la sua ora; ma, quando ha dato allaluce il bambino, non si ricorda più della sof-ferenza, per la gioia che è venuto al mondoun uomo. Così anche voi ora siete nel dolore;ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si ral-legrerà e nessuno potrà togliervi la vostragioia. Quel giorno non mi domanderete piùnulla» (Gv 16, 19-23).

Fra Andrea Gasparini

NOLI ME TANGERELA COSTANTE DEL DISTACCO

IL VOLONTARIATO RACCONTA • IL VOLONTARIATO RAC-

quindi è anche errato utilizzare il nostroosservatorio per presentarlo all’esternocirca la visione di quello che può essere lamalattia e la morte (perché anche la ma-lattia e la morte possono essere anche ab-bastanza serene, curabili, gestibili, in mol-tissimi casi, mentre noi qui ne vediamo icasi più duri, più difficili da guardare, comediceva anche la frase di Cicely Saunders );però certamente certe situazioni ci inter-rogano fortemente sul perché, sul comemai, su cosa ha fatto di male questo pove-retto: perché esistono dei modi più tran-quilli di affrontare la malattia. Ricordo casidi famiglie molto unite, ma anche casi dipersone sostenute da comunità di grandecontenuto spirituale, di grande fede, dovearriva quello che dice: “Non ti sembra cheGesù sia qui con noi”? e l’altro: “Non direc...”. Oppure quello che va con il manuale.Colpisce molto quello che riferiscono alcuniparenti, che asseriscono che i loro con-giunti si sentono al sicuro qui: questo ri-calca una frase famosa di una paziente diCicely Saunders in hospice: “Qui mi sentodi nuovo al sicuro”. Secondo me è un ele-mento di grande forza, perché fa vederecome in condizioni che sarebbero le piùdisastrose immaginabili, il disporsi intornoai problemi, con una serie di modi diffe-renti di stare vicino, sia positivo.Un altro signore, un pittore cileno (MarioTapia) molto simpatico, una persona feno-menale, era qui. La moglie è tornata, ci haregalato una stampa del marito, e ci hadetto che per lei era stato difficile tornaresul posto (qui lo fanno perché voglionoringraziare ecc.) e ha detto che Mario erafelice quando era qui da noi. Quindi il ten-tativo scolastico è quello di avere l’équipeche si occupa degli aspetti fisici, infer-mieristici e medici e si struttura intorno aquesto tentativo di rispondere e che ha unsuo fondamento su qualche oggettiva in-tuizione che nella realtà si è tradotta nel-l’hospice. Secondo me soprattutto quelladi Cicely Saunders, che è la fondatrice delprimo hospice moderno e soprattutto quelledei pazienti. Poi le persone che ci si tro-vano devono avere quella volontà, che faparte del concetto di vocazione, di inte-resse speciale per questo aspetto dell’assi-stenza, e generalmente funziona piuttostobene.

A cura di Adriana Giussani K

e Sara Esposito

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Una madre non può, e soprattuttonon deve, anteporre il suo amore

alle esigenze di vita dei figli, al bi-sogno di soddisfare le loro aspira-zioni, alle loro prospettive di lavoro.Anche se queste vogliono dire ve-derli partire, andare lontano e cre-scere fuori dall’ambito familiare epoi magari creare la loro famiglialontano da te.Non è facile da accettare e quellalontananza sarà sempre una feritanel cuore anche se non lo dici, nonlo denunci mai e un figlio lo accoglicome se non ci fossero stati mesi emesi solo di comunicazioni telefo-niche. Era il 1981 quando mio figlio si lau-reò a 23 anni in ingegneria. Ne fummo molto, molto orgogliosi. Ma non pensammo che sarebbe statoil primo passo per una lontananzamai più recuperata. Dopo cinquemesi fu assunto in una importantesocietà che costruisce grandi opereall’estero. Lavorò per qualche mesea Milano e poi gli proposero di an-dare a lavorare in un cantiere in Ar-gentina dove si costruiva una diga. Una bella esperienza per un giovane!Pensammo. E ne fummo molto, molto orgogliosi.

Lo accompagnammo tutti in aero-porto sicuri di vederlo rientrare entroqualche mese. Ci restò undici anni, solo in Argen-tina. Dopo il primo cantiere, distante 250Km dal più vicino centro abitato contelefono disponibile per chiamarel’Italia, si trasferì in un altro can-tiere, in una località chiamata Piedradell’Aquila, dove si costruiva un’al-tra diga. L’ambiente era molto simileal primo: deserto intorno, case pre-fabbricate, mancanza di normale vitae di rapporti. Isolamento insommae anche dei più abbrutenti, specieper un giovane uomo.A mio figlio, solo, fu assegnata unadelle abitazioni piccole lasciandoalle famiglie le abitazioni più con-fortevoli. “Confortevole”, per defi-nire quelle case, è una parola spro-porzionata, ma in quel contesto, cosìerano vissute le case per le famiglie. Nel 1986 andai a trovarlo scoprendouna realtà che mi lasciò scioccata.Lui non si lamentò, non si dimostròstanco e non mi fece pesare assolu-tamente la sua vita. Capii che sistava mettendo alla prova, che stavadosando le sue possibilità di resi-stenza, che voleva imparare a lavo-

QUANDO UNA MADRE…L’ASC0LTO DELLA SOFFERENZA • L’ASCOLTO DELLA SOFFERENZA • L’ASCOLTO DELLA SOFFERENZA

rare e a vivere. Sintomatico fuquando recuperò un bastardino ab-bandonato. Mi scrisse per raccon-tarmi cosa voleva dire condividere ipochi tempi liberi con un cane, cosavoleva dire educarsi a quella convi-venza. Purtroppo il bastardino finìsotto un camion, ma il rapporto conun essere vivente accanto era statoimportante. Un giorno ci arrivò la richiesta dicertificato integrale di nascita: cosavoleva dire? Ci interrogammo e con-cludemmo che si stava sposando.Naturalmente fu un vero choc. Lon-tano da tutti, senza averci fatto se-guire uno dei momenti più determi-nanti della vita. Senza averci fattocondividere una scelta. Pensammoal peggio. Pensammo a un matrimo-nio riparatore. Chi poteva mai essereuna ragazza in quel deserto? Mi misia riflettere: se quel matrimonio vo-leva dire cancellare la solitudineumana di mio figlio, beh, andavatutto bene.E invece una storia d’amore era nataper una serie di felici coincidenze. Emia nuora è la donna che avrei vo-luta per lui. E i due figli che sononati dal loro amore sono i miei ama-tissimi nipoti. Un lieto fine, penserete tutti. E lalontananza? Ormai mio figlio, da quel 1982 è dasempre all’estero: dall’Argentina allaCina, all’America, al Brazile. Io glisono corsa dietro per cercare di nonperdere i contatti, le atmosfere, lacrescita dei bambini. Ma mi rendoconto che niente potrà compensaremille e mille cose che non ho vissutecon lui, con loro. Con tutti loro. Mirendo conto che in realtà non li co-nosco veramente perché è solo laquotidianità che ti dà la conoscenza,l’approfondimento dei caratteri edelle reazioni. Sono rassegnata a nonaverli mai accanto e il “mio” tempoche passa non mi fa sperare di po-terli seguire ancora come una volta. Una madre non può, e soprattuttonon deve, anteporre il suo amore.

Maria Grazia Mezzadri

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6 • AscoltAmi n.40 • giugno 2012

Se parliamo di distacco, voglio rac-contarvene uno. Che non è un

lutto, e nemmeno una malattia, nonè un figlio che si allontana, che sisposa, che si fa prete o suora, non ènemmeno una separazione definitiva,un abbandono, la fine di una storia.Ma è davvero un distacco, un’emozioneforte, che segna e che dà la consape-volezza di un tempo che finisce: chefinisce per sempre e che non torneràpiù, anche se ne inizierà uno nuovo ecertamente vitale…e creativo, ma di-verso e “distaccato”.Ho cresciuto anche il mio secondo ni-potino, Lorenzo, da quando mia figliaha ripreso a lavorare e me l’ha affi-dato. Era un bambolotto, un classicobambino da dépliant, con i ricciolibiondi e gli occhi chiari, rotondo, ro-seo e di buon carattere. Non perchéfosse mio, ma era davvero bellissimoe per la strada mi fermavano, tantoche una volta, ai giardinetti, venneun tipo della Chicco che me lo chieseper una pubblicità: che non permet-temmo mai.Con Lorenzo, detto Lo, io vissi in sim-biosi per un anno e mezzo, tutti igiorni di tutta la settimana, dalle ottodi mattina alla sera alle sei, quandouno dei genitori, trafelato, se lo ve-niva a riprendere. Poi, d’un tratto, asettembre, si decise che una nonna (inonni, perché talvolta c’erano ancheloro) non poteva bastare. Il bambino

doveva socializzare. Non importa sepoi alla sera a casa c’erano mamma,papà e un fratellino. Si doveva socia-lizzare e non alla scuola materna, maal nido.Avete visto un nido? Pappa, nanna,pianti, pannolini, ciucciotti e canzon-cine tamburellanti e chiassose: cia-scuno per conto suo o insieme a diecialtri che si strappano giocattoli e mu-tandine.Bene. Al nido bisogna andare per so-cializzare. Non importa se pappa,nanna e pannolini, e baci e giardinettili trovi anche, gratuiti e conditid’amore, dalla tua nonna. Da lei non“socializzi” e le canzoni che ti cantanon sono abbastanza rumorose o sin-copate.Bene. Così fu deciso e così fu fatto. Ecosì cominciò l’inserimento. Perchétale è il nome che si dà a questa pra-tica.Non mi dilungo sui primi cinquegiorni. Lo era attaccato alle mie brac-cia come un piccolo polipo. Una pre-murosa maestra me lo staccava a forzae per i primi due giorni, stando in unastanzetta con altre mamme e nonne,riconoscevo i suoi singhiozzi fra quellidi tutti gi altri.Dopo un’ora o poco più me lo resti-tuivano disfatto, i riccioli acciaccatie il visino tumefatto, dicendomi cheil giorno dopo sarebbe andata meglio,che non mi preoccupassi, che nonstessi lì ad aspettare. “Vada a farsi ungiro,” mi dicevano. “ Si compri unaborsetta, non ci pensi.”I giorni seguenti uscivo per non sen-tirlo piangere, piangevo anch’io fa-cendo il giro dell’isolato e mi rifugiavoin una vicina chiesa per non farmi ve-dere da nessuno.Lo fu tosto, resistette più di tutti glialtri. L’inserimento durò dieci giornie gli ultimi due li fece un’altra deimiei figli, una zia, perché io non ce lafacevo più. Alla fine si inserì. Lo do-marono.Ma dentro di me quell’inutile strappocosì precoce e dettato dalla moda deitempi fu una ferita che ancora fa male.Ma a un anno e mezzo bisogna socia-lizzare. Forse è un po’ presto, forse… Che nedite?

Adriana Giussani K.

L’INSERIMENTOLA VOCE DEI FAMILIARI • LA VOCE DEI FAMILIARI • LA VOCE DEI

Tra gli itinerari di riflessione sullafamiglia e sul suo stile di vita in pre-parazione all’incontro mondiale (Mi-lano, dal 30 maggio al 3 giugno) se-gnalo quello proposto dallaCommissione per i Gruppi di Ascoltodella Parola: “Il rotolo di Rut. La fa-miglia, il lavoro, la speranza” (in dia-logo, Milano, 2011).Pur essendo ambientata nel mondoantico, la storia di Rut si rivela par-ticolarmente interessante per noioggi: i suoi personaggi, infatti, nelloro vissuto quotidiano affrontanoquestioni decisive quali la solida-rietà, l’emigrazione, il lavoro, la for-mazione della famiglia, la festa. Ilcommento al testo biblico permettedi cogliere il senso vero e profondodella vicenda narrata e le domandesuggerite al termine aiutano a riflet-tere sulla nostra storia, in un mo-mento in cui i problemi di sempresono resi più acuti dalla generalecrisi del lavoro e dalle migrazioni, ea impegnarci per ritrovare nel diffi-cile presente i segni del progetto diDio, che non viene mai meno.

****In un recente convegno svoltosi alPio Albergo Trivulzio sulle demenzesono stati letti brevi testi, compostidai familiari degli ospiti, che hannovoluto così condividere la tenerezzae il dolore della loro esperienza. E’stato un momento molto intenso dipartecipazione. Segnalo ancora un racconto, desti-nato alla rappresentazione teatrale:“La Casa di Ninetta”, scritto da LinaSastri. Qui l’attrice narra il difficiletempo trascorso dalla mamma nel-l’Alzheimer, ma riconosce anchequale grande lezione la malattia diNinetta sia stata per lei.

A cura di Sara Esposito

• VISTI E LETTI PER VOI •

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7• AscoltAmi n.40 • giugno 2012

“L'indulgenza è la forma piùcortese del distacco”.(Abel

Bonnard,L'amicizia, 1928) “Questa,o monaci, la nobile verità sulla ces-sazione del dolore: l'eliminazionedella bramosia attraverso l'annul-lamento dei desideri, la rinunciatotale al desiderio, il distacco as-soluto da tutto ciò che si desi-dera”. (Buddha, Discorso dellamessa in moto della ruota delDharma, 528 a.e.c.) Da questa seriedi aforismi risulta evidente quantevariabili e modi di sentire e di rap-portarci con il distacco esistano,tutto ciò dipende dal nostro vis-suto, dall’ambiente, dalle nostrerelazioni, dal linguaggio del librodella nostra identità, che esploraed esprime il poco conosciutomondo dei sentimenti e delle im-magine da noi rielaborate per es-sere poi rappresentate. Si intrave-dono fondamentalmente duedifferenti modi di vivere il distaccocome ricerca di quella pace e sa-zietà di spirito che in parte dannosenso e significato agli accadi-menti del nostro quotidiano pergustare momenti ricchi di quel si-lenzio che ci predispone all’ascolto;finalmente siamo noi soli con noistessi, nomadi in un deserto e inuno spazio magico, dove acqui-stiamo una lucidità di pensieroquasi arcaica, recettivi nell’analisidelle nostre esperienze e relazioniumane e nella più chiara e pacatavisione dei nostri percorsi e dellenostre verità. Tutto ciò dona un’ebbrezza infinita, uno stato di soa-vità profonda dove corpo ed animacollaborano intimamente perché li-beri da ogni paura, autentici e di-

sposti a dare più che a ricevere e,il dono di noi stessi, delle nostreindividuali sensibilità, possonooperare il miracolo rendendoci im-muni da egoismi e sensi di colpa,capaci di riversare negli altri il mi-stero della gioia e della consola-zione perché il bene esiste e si fabontà, bellezza e verità. E poi ildistacco della paura: il buio, il ti-more del vivere, della fine di unaesistenza senza uno scopo appa-rente, dove l’angoscia che se col-tivata e coccolata, a volte gelosa-mente, costituisce un alibi per ilnostro egocentrismo e riesce ad in-nescare una serie di sentimenti al-tamente lesivi perche ci limitanoin uno spazio sempre più ristretto,fra sbarre virtuali, ma che bene

esprimono quella costrizione fisicae spirituale di non libertà e diestrema difficoltà. Tutto ciò’ e’ unatentazione, un sentire aberrante,proiettati in un mondo apparente-mente ostile lungo itinerari auto-punitivi di non verità e di non li-bertà, ma proprio perché siamo noii principali artefici del nostro ve-dere, del nostro udire e del nostrosentire, la realtà, che si fa isola-mento, ci coinvolge totalmentesenza apparenti vie e nicchie di si-curezza ed è qui che l’attenzione ala vigilanza devono essere massimeper non scivolare nella ristagnantemalattia del “mal di vivere,” dellasofferenza della croce senza lagioia immensa della resurrezione e“Colui che abbia la forza di distac-carsi da qualsiasi contenuto deter-minato, facendo opera di rimozionecrea spazio affinché Dio venga fi-nalmente a risiedere in lui”. La mi-stica speculativa di Meister Ec-khart.

Ersilia Dolfini

IL PUNTO DI VISTA • IL PUNTO DI VISTA • IL PUNTO DI VISTA • IL PUNTO DI VISTA • IL PUNTO DI

DISTACCO: UNA DEFINIZIONEDistacco: esclusione da ogni rapporto di presenza o vicinanzaaltrui ricercata come motivo di pace o sofferta per mancanzadi affetto, conforto, sostegno.

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8 • AscoltAmi n.40 • giugno 2012

Nello scrivere questo pezzo la parola“distacco”, non so per quali ra-

gioni recondite, mi ha rimandato a quelpasso del Vangelo che dice “Se vuoiessere perfetto, và, vendi tutto quelloche possiedi, dallo ai poveri e avrai untesoro nel cielo; poi vieni e seguimi”…. “Il giovane se ne andò triste; poichéaveva molte ricchezze”. (Mt 19,21-22).La parola di Gesù va dritta al cuore delgiovane, alla sua sete di felicità. Ma ilgiovane vede solo le sue ricchezze ma-teriali che gli lasciano un senso diamaro. Forse pensa alla saggezza dichi dice “metti da parte i soldi per lavecchiaia…, non si sa mai che cosa tipuò accadere in futuro”. Come se pos-sedere dei beni sia una fonte inequi-vocabile di tranquillità. E’ bastato quelverbo “lasciare” per renderlo triste. Tri-ste perché, pur anelando alla perfe-zione, non è riuscito a fare il passoverso quel bene più grande che Gesùgli ha indicato come “tesoro nel cielo”.Gli è mancata quella lucidità di discer-nimento, di valutazione tra il tesorodella terra e quello del cielo, che loponeva al seguito di Gesù.Mi pare di intravedere in questo fattoevangelico l’incapacità di elaborare concoraggio il distacco da ciò che appe-santisce la vita - detto meglio con iltermine “sradicamento” -, che ha comeconseguenza un sottofondo di insod-disfazione e, per dirla con il Vangelo,di tristezza, che ci sottraggono alla li-bertà dello spirito.Sperimento anche in me il difficilecammino della sequela, che dovrebbedonare gioia più grande e libertà più

vasta. Preferisco invece rimanere nelle“piccole gioie” dei miei tesoretti e nella“libertà” delle cose che posseggo. Lafigura di questo giovane mi è simpaticaper il suo porsi schietto e autentico difronte alla proposta di Gesù. Anche senon ha capito che lo stare con luiavrebbe rivelato quell’orizzonte di com-prensione che gli offriva una gioia piùalta e vera.Il distacco è la condizione evangelicache risponde ai molteplici strappi, tal-volta violenti, delle relazioni e dellecose. “Chiunque avrà lasciato case, ofratelli, o sorelle, o padre, o madre, ofigli, o campi per il mio nome, riceveràcento volte tanto e avrà in eredità lavita eterna”. (Mt 19,29). Anche perquelle cose che riteniamo sacrosanteperché naturalmente ci appartengono.Mi sembra di vedere qui la legge natu-

rale che ci impone dei distacchi ne-cessari e Gesù che vuole educare ilcuore ad elaborare le perdite in vistadel destino di felicità. Nella mia rifles-sione ho capito che la durezza evan-gelica è apparente perché apre a pro-spettive umanamente più grandi.E’ inevitabile che il discorso a questopunto riguardi i nostri ospiti e pazientiche la condizione di vita ha posto den-tro a questo distacco, sradicamentodalla casa, dagli affetti, dal non poterepartecipare ai funerali dei propri cari“lasciate che i morti seppelliscano iloro morti”. (Lc 9,60). Mi fa una certatristezza pensare che ci siano ricoveratequi persone incapaci di elaborare luttie distacco da persone e cose. Questaparola del Vangelo si offre generosa eprecisa senza sbavature e sdolcinatureai volontari chiamati a vivere una re-lazione d’aiuto. E l’aiuto più vero nonè quello consolatorio nell’offrire distra-zioni o surrogati ma quello della parolavera per il cuore dell’uomo che è sapervivere in maniera coraggiosa e correttai propri distacchi.Il Papa ai volontari cattolici europeinell’udienza dell’11 novembre fece que-sta affermazione in un passaggio delsuo discorso: “Se le radici spirituali(che hanno origine nel Vangelo) ven-gono negate o oscurate e i criteri dellanostra collaborazione divengono me-ramente utilitaristici, quel che c’è dipiù caratteristico nel servizio, che vieneofferto, rischia di andare perduto, adetrimento della società nella sua in-terezza”.

Marina Di Marco

LE NOSTRE SEDI

SEDE CENTRALE: Milano, Volontariato AMI , via Trivulzio 15, 20146,tel. e fax 02 4035756, e-mail: [email protected], [email protected] http://volontariatoami.altervista.orgVIMODRONE: Istituto Redaelli, via Leopardi, 3, tel. 02 25032361MILANO: Ospedale San Raffaele, Via Olgettina 60,tel. 02 26432460, fax 02 26432576,MILANO Associaz.Aurlindin: Viale Murillo 46 - 20149 - Tel. e Fax 0248100757 MERATE Istituto Frisia: Via Don Carlo Gnocchi 4 - 23807, Tel. 0399900141 - Fax 0395981810MILANO Residenza Bicchierai: Via Mose Bianchi, 90 - 20149, Tel. 0261911 - Fax 02619112204

Direttore responsabile: don Carlo StucchiDirettore di redazione: Marina di MarcoGruppo redazionale: Ersilia Dolfini, Sara Esposito, Adriana Giussani K., Maria Grazia MezzadriFoto: Arch. AMI, Vetrina T. MavriciEditing: Adriana Giussani K.Progetto grafico e impaginazione: Raul MartinelloStampa: NAVA SpA, Via Breda 98, 20136 MilanoChiuso in redazione: 10 maggio 2012

MEMORANDUM • MEMORANDUM • MEMORANDUM • MEMORANDUM • MEMORANDUM • MEMO

IL DISTACCO IN SENSO EVANGELICO

nel prossimo numeroLa famiglia:il ritorno

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