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Emile Zola L'AssommoirPREFAZIONE

I Rougon-Macquart dovranno comprendere una ventina di romanzi. Il piano generale fissato fin dal 1869, ed io lo seguo con estremo rigore. Arrivato il momento dell'Assommoir, l'ho scritto, cos come scriver gli altri, senza deviare nemmeno per un attimo dalla mia linea retta. Ecco da cosa deriva la mia forza. Ho un obiettivo cui tendere. Quando L'Assommoir apparso su un giornale, stato attaccato con una violenza senza precedenti. stato imputato di tutti i crimini. Occorre dunque ch'io spieghi qui, in poche righe, le mie intenzioni di scrittore? Quello che ho voluto dipingere il fatale decadimento d'una famiglia operaia nell'ambiente appestato dei nostri sobborghi. Al fondo dell'ubriachezza e della poltroneria, troviamo l'allentamento dei legami familiari, gli orrori della promiscuit, il progressivo oblio d'ogni onesto sentimento; quindi, come scioglimento, la vergogna e la morte. Non altro che morale in atto. L'Assommoir senza dubbio il pi casto dei miei libri. Ho dovuto spesso toccare delle piaghe ben altrimenti spaventose. Soltanto la forma ha scandalizzato. Se la son presa con le parole. Il mio crimine stato quello d'aver avuto la curiosit letteraria di raccogliere e fondere in uno stampo adeguatamente elaborato la lingua del popolo. Ah! la forma, ecco il pi grande dei crimini! Eppure, di tale lingua, esistono dei dizionari. Gli eruditi la studiano e ne apprezzano il vigore, l'imprevedibilit e la forza delle immagini. un boccone prelibato per i grammatici ficcanaso. Non conta. Nessuno si accorto che volevo fare un lavoro puramente filologico, un lavoro che credo del pi vivo interesse storico e sociale. Ma nemmeno mi difendo. La mia opera mi difender. un'opera di verit, il primo romanzo sul popolo che non menta e abbia lo stesso odore del popolo. Ma non bisogna affatto concluderne che il popolo per intero sia cattivo: i miei personaggi non sono infatti cattivi, sono soltanto ignoranti e corrotti dall'ambiente di dura fatica e di miseria in cui vivono. Si dovrebbe comunque leggere i miei romanzi, capirli, valutarli lucidamente nel loro insieme, prima d'emettere i giudizi bell'e fatti, ridicoli e odiosi che circolano sulla mia persona e sulle mie opere. Ah! se si sapesse fino a che punto i miei amici se la spassano alla sorprendente leggenda con cui la folla si diverte! Se si sapesse che l'assetato di sangue, l'implacabile romanziere, non altro che un degno borghese, un uomo di studio e di arte, che vive sobriamente nel suo cantuccio e la cui unica ambizione quella di lasciare un'opera il pi possibile ampia e viva! Non mi curo di smentire alcun racconto. Lavoro, e mi affido al tempo e alla buona fede del pubblico perch mi si possa alla fine scoprire

al di l del mucchio di sciocchezze che si sono nel frattempo accumulate. Emile Zola Parigi, 1 gennaio 1877 CAPITOLO PRIMO

Gervaise aveva aspettato Lantier fino alle due del mattino. Poi, tutta in brividi per essere rimasta in camicia all'aria frizzante della finestra, s'era assopita, gettata di traverso sul letto, febbricitante, le guance inondate di lacrime. Da otto giorni. appena uscivano dal Veau Deux Ttes, dove mangiavano, lui la mandava a dormire con i bambini e ricompariva soltanto a notte fonda, raccontandole che andava a cercar lavoro. Quella sera, mentre spiava il suo ritorno, le era sembrato di vederlo entrare al ballo del Grand-Balcon, le cui dieci finestre fiammeggianti illuminavano come in un manto d'incendio la nera colata dei boulevards esterni; e dietro di lui, a cinque o sei passi di distanza, le mani penzoloni, come se gli avesse appena lasciato il braccio per non passare insieme sotto il crudo chiarore dei globi del portone, aveva visto avanzare la piccola Adle, una brunitrice che mangiava al loro stesso ristorante. Quando Gervaise si svegli, verso le cinque, irrigidita, le reni a pezzi, scoppi in singhiozzi. Lantier non era tornato. Era la prima volta che dormiva fuori casa. Rest seduta sulla sponda del letto, sotto il brandello di perse sbiadita che pendeva da un braccio attaccato al soffitto con una cordicella. E lentamente, i suoi occhi velati di lacrime facevano il giro della misera camera ammobiliata: un cassettone di noce cui mancava un cassetto, tre sedie di paglia e un tavolino bisunto, su cui languiva una brocca slabbrata. Era stato aggiunto, per i bambini, un lettino di ferro che bloccava il cassettone e occupava i due terzi della stanza. Il baule di Gervaise e Lantier, spalancato in un angolo, mostrava i suoi fianchi vuoti e, sul fondo, un vecchio cappello d'uomo, nascosto sotto un mucchio di camicie e di calzini sporchi. Lungo le pareti, sulle spalliere dei mobili, pendevano uno scialle bucato, un paio di pantaloni mangiati dal fango, gli ultimi stracci rifiutati perfino dai rigattieri. Al centro del camino, fra due candelieri di zinco spaiati, c'era un pacchetto di bollette del Monte dei pegni, d'un rosa tenue. Era la camera migliore della locanda, la camera del primo piano, che dava sul boulevard. Coricati l'uno accanto all'altro sullo stesso guanciale, i due bambini intanto dormivano. Claude, che aveva otto anni, con le manine distese fuori della coperta, respirava lentamente, mentre Etienne, di soli quattro anni, sorrideva, un braccio passato attorno al collo del fratello. Lo sguardo smarrito della madre si ferm su di loro: scoppi allora nuovamente in singhiozzi, si schiacci un fazzoletto sulla bocca per soffocare le piccole grida che le sfuggivano. E a piedi nudi, senza curarsi di rimettere le ciabatte cadute a terra, torn ad affacciarsi alla

finestra, ricominci la stessa attesa della notte, frugando con lo sguardo i marciapiedi, in lontananza. La locanda si trovava sul boulevard de la Chapelle, a sinistra della barriera Poissonnire. Era una catapecchia a due piani, dipinta di color rosso vino fino al secondo, con persiane infradiciate dalla pioggia. Al di sopra d'un lampione dai vetri incrinati, si poteva leggere, fra le due finestre, in grandi lettere gialle da cui la muffa del gesso aveva portato via qualche frammento: Locanda Boncoeur, tenuta da Marsouillier. Gervaise, ostacolata dal lampione, doveva sporgersi, con il fazzoletto sempre sulle labbra. Guardava a destra, dalla parte del boulevard de Rochechouart, dove gruppi di beccai, davanti ai mattatoi, parevano immobili nei loro grembiali insanguinati: e il vento fresco trascinava con s, a tratti, un fetore, un odore selvaggio di bestie massacrate. Guardava a sinistra, abbracciando d'infilata il lungo nastro del viale, per arrestarsi quasi dirimpetto a s, alla massa bianca dell'ospedale di Lariboisire, allora in costruzione. Lentamente, da un capo all'altro dell'orizzonte, seguiva il muro del dazio, al di l del quale, la notte, sentiva a volte delle grida come di assassinati: e frugava allora con gli occhi gli angoli pi appartati, i punti pi oscuri, neri di umidit e lerciume, con la paura di scoprirvi il corpo di Lantier, crivellato nel ventre dalle coltellate. Quando sollevava lo sguardo, oltre la grigia e interminabile muraglia che circondava la citt come in una fascia di deserto, intravedeva un immenso chiarore, un pulviscolo di sole, gi riempito del chiasso mattutino di Parigi. Ma era pur sempre alla barriera Poissonnire che tornava, con il collo teso, sentendosi stordita dal veder scorrere, fra i due tozzi padiglioni del dazio, il flusso ininterrotto di uomini, bestie e carri, che calava dalle alture di Montmartre e della Chapelle. Era tutto uno scalpiccio d'armenti, una folla che arrestandosi all'improvviso s'allargava in pozzanghere sulla via, uno sfilare senza fine di operai che andavano al lavoro, con i loro arnesi sulla schiena e il loro pane sotto braccio. E quella folla si lasciava inghiottire da Parigi, per annegarvi, continuamente. Quando Gervaise, fra tutta quella gente, credeva di riconoscere Lantier, si sporgeva ancora di pi, rischiando di cadere. Si premeva poi ancora pi forte il fazzoletto sulla bocca, come per ricacciare indietro il suo dolore. Una voce giovane e allegra fece s che lasciasse la finestra. Vostro marito non dunque in casa, signora Lantier?. No, signor Coupeau, rispose sforzandosi di sorridere. Era un operaio zincatore che occupava, proprio in cima alla locanda, una stanzetta da dieci franchi. Aveva il suo sacco sulla spalla. Avendo trovato la chiave nella porta, era entrato, come un amico. Sapete, riprese, adesso lavoro l, all'ospedale... Eh! proprio un bel maggio! Picchia forte, stamattina. E guardava il viso di Gervaise, arrossato dalle lacrime. Quando s'accorse che il letto era intatto, scroll dolcemente il capo; poi, si port accanto al letto dei bambini, che continuavano a dormire con le loro rosee facce da cherubini, e abbassando la voce: Coraggio! vostro marito non si comporta saggiamente,

vero?... Non v'affliggete, signora Lantier. tutto preso dalla politica. L'altro giorno, quando si votato per Eugne Sue, uno perbene, almeno pare, sembrava come impazzito. Probabilmente, avr passato la notte con qualche amico a parlar male di quel crapulone di Bonaparte. No, no, mormor Gervaise con sforzo, non come credete. So bene dov' Lantier... Abbiamo anche noi i nostri dispiaceri, come tutti, mio Dio!. Coupeau ammicc, per farle capire che non si lasciava imbrogliare da quella menzogna. E se ne and, dopo essersi offerto d'andarle a comprare il latte, se lei non voleva uscire: era una brava e bella donna, e poteva sempre contare su di lui, il giorno che si fosse trovata in difficolt. Appena l'altro si fu allontanato, Gervaise si rimise alla finestra. Alla barriera, lo scalpiccio d'armenti continuava, nel freddo del mattino. Si riconoscevano i magnani con le loro casacche da lavoro in tela azzurra, i muratori con le loro tute bianche, i pittori con i loro cappotti, al di sotto dei quali comparivano dei lunghi camiciotti. Quella folla, da lungi, conservava una sua compattezza gessosa, una tonalit neutra, in cui dominavano l'azzurro sbiadito e il grigio sporco. A tratti, un operaio si fermava di colpo, riaccendeva la pipa, mentre attorno a lui gli altri continuavano a camminare, senza un sorriso, senza che una parola venisse detta a un compagno, le guance terree, il volto proteso verso Parigi che, uno a uno, li divorava attraverso la bocca spalancata del faubourg Poissonnire. Ai due angoli di rue des Poissonnires, alla porta dei due vinaioli che stavano levando le imposte, degli uomini rallentavano il passo e, prima d'entrare, restavano per un attimo sul bordo del marciapiede, con sguardi obliqui verso Parigi, le braccia abbandonate, gi guadagnati a un giorno di poltroneria. Davanti ai banconi, a gruppi si offrivano da bere, perdevano coscienza di se stessi, ritti in piedi, riempiendo le sale, sputando, tossendo, schiarendosi la gola a forza di bicchierini. Gervaise stava tenendo d'occhio, a sinistra della via, la sala di pap Colombe, dove credeva d'aver visto Lantier, quando si sent interpellare dal centro della strada da un donnone in grembiale e a testa nuda. Beh! com' che siete tanto mattiniera, signora Lantier?. Gervaise si sporse di pi. Toh! siete voi, signora Boche!.. Oh! ho un sacco di cose da fare, oggi!. Gi, proprio cos, le cose non si fanno certo da sole!. E cominci allora una conversazione dalla finestra al marciapiede. La signora Boche era la portinaia del caseggiato di cui il ristorante del Veau Deux Ttes occupava il pianterreno. Diverse volte, non volendo sedersi a tavola da sola con tutti gli uomini che le mangiavano accanto, Gervaise aveva aspettato Lantier nella sua guardiola. La portinaia raccont che stava andando a due passi da l, in rue de la Charbonnire, per sorprendere a letto un impiegato da cui il marito non riusciva a farsi saldare l'accomodatura d'una redingote. Parl poi d'uno dei suoi inquilini che, la sera prima, s'era portato a casa una donna e aveva impedito a tutti di dormire, fino alle tre del mattino. Ma

pur continuando a chiacchierare, studiava la giovane donna con un'espressione d'intensa curiosit: come se fosse venuta a mettersi sotto la finestra soprattutto per sapere. Il signor Lantier ancora a letto?, domand all'improvviso. S, dorme, rispose Gervaise, che non pot evitare d'arrossire. La signora Boche s'accorse delle lacrime che le riempivano gli occhi, e certo soddisfatta, stava gi per allontanarsi trattando gli uomini da maledetti fannulloni, quando torn indietro gridando: Andate stamattina al lavatoio, vero?... Ho anch'io qualcosa da lavare, vi terr un posto vicino a me, potremo chiacchierare. Poi, come presa da un improvviso senso di pena: Ma fareste meglio a togliervi di l, o finirete per ammalarvi... Siete tutta viola!. Ma Gervaise si ostin a restare alla finestra per altre due orribili ore, fino alle otto. Le botteghe erano ormai aperte. Il flusso d'operai che calava dalle alture s'era interrotto, solo qualche ritardatario superava la barriera a grandi falcate. Dai vinaioli, gli stessi uomini, sempre ritti in piedi, continuavano a bere, a tossire e a sputare. Dopo gli operai, era stata la volta delle operaie, delle brunitrici, delle modiste, delle fioriste, tutte strette nei loro miseri abitucci, trotterellanti lungo i boulevards esterni: camminavano a gruppi di tre o quattro, chiacchieravano allegramente, con dei gridolini e certe occhiate di fuoco gettate d'intorno. A tratti, una, solitaria, magra, l'aria pallida e austera, seguiva il muro del dazio, evitando le colate di lerciume. Erano poi passati gli impiegati, riscaldandosi le dita con il fiato e mangiando il loro pane da un soldo lungo la via: giovani affaticati, dai vestiti troppo corti, gli occhi cerchiati, ancora annebbiati dal sonno; vecchietti che si trascinavano sulle gambe, la faccia illividita, logorata dalle lunghe ore d'ufficio, che guardavano l'orologio per regolare il loro passo con l'approssimazione d'un secondo. I boulevards avevano alla fine assunto il loro aspetto pacifico del mattino: i benestanti del vicinato passeggiavano al sole; le madri, a capo scoperto, con sporche sottane, cullavano bambini in fasce, li cambiavano sulle panchine, tutta una marmaglia moccolosa, sbrindellata, si agitava, si buttava per terra, in mezzo a piagnucolii, risate e pianti. Gervaise si sent allora soffocare, in preda alla vertigine dell'angoscia. Si sent al termine d'ogni speranza, le sembrava che tutto fosse finito, che i tempi fossero finiti, che Lantier non sarebbe mai pi tornato. Il suo sguardo smarrito vagava dai vecchi mattatoi, anneriti dai massacri e dai fetori, al nuovo ospedale, cupissimo, che lasciava intravedere, attraverso le ferite ancora aperte delle sue file di finestre, le sale nude dove la morte sarebbe venuta con la sua falce. Di fronte a lei, dietro il muro del dazio, il cielo smagliante e il levarsi del sole, che ingigantiva sopra il grandioso risveglio di Parigi, l'abbagliavano. La giovane era seduta su una sedia, le mani abbandonate, e senza nemmeno pi piangere, quando Lantier entr tranquillamente. Sei tu! Sei tu!, grid Gervaise gettandoglisi al collo. S, sono io. E allora?, rispose l'altro. Non vorrai per caso

ricominciare con le tue solite sciocchezze!. L'aveva allontanata da s. Poi, con un moto di malumore, lanci al volo sul cassettone il suo cappello di feltro nero. Era un giovane di ventisei anni, Piccolo di statura, brunissimo, di bell'aspetto, con dei sottili mustacchi che aveva l'abitudine d'arricciare con un gesto meccanico della mano. Indossava una casacca da operaio, una vecchia redingote tutta macchiata che stringeva all'altezza della vita, e parlando aveva un accento provenzale assai spiccato. Gervaise, lasciatasi ricadere sulla sedia, si lamentava sommessamente con frasi interrotte. Non sono riuscita a chiudere occhio... Credevo che t'avessero giocato un brutto tiro... Dove sei stato? Dove hai passato la notte? Mio Dio, non ricominciare, diventer pazza... Dimmi, Auguste, dove sei andato?. Dove avevo qualcosa da fare, che diamine!, rispose alzando le spalle. Alle otto mi trovavo alla Glacire, da quel mio amico che vuole metter su una fabbrica di cappelli. Si fatto tardi. Allora, ho preferito dormire... Insomma, lo sai, non mi piace esser controllato. Lasciami in pace!. La giovane ricominci a singhiozzare. Gli sbalzi di voce e i movimenti inconsulti di Lantier, che andava a sbattere contro le sedie, avevano svegliato i bambini. Si levarono a sedere nel letto, seminudi, sbrogliandosi i capelli con le loro manine, e sentendo piangere la madre, lanciarono grida terribili, mentre i loro occhi appena riaperti si riempivano a loro volta di lacrime. Ecco! la solita musica!, url Lantier furibondo. Vi avverto, posso anche andarmene di nuovo, io! E me la svigno sul serio, stavolta!... Volete o no tacere! Addio! Torno da dove son venuto. Aveva gi ripreso il cappello sul cassettone. Ma Gervaise si precipit balbettando: No, no!. E soffoc con mille carezze le lacrime dei piccoli. Ne baciava i capelli, li ricoricava con tenere paroline. I piccoli, calmatisi di botto, ridendo sul guanciale, si divertirono a pizzicarsi l'un l'altro. Il padre, intanto, senza nemmeno sfilarsi gli stivali, s'era buttato sul letto, con l'aria affranta, la faccia terrea come per una notte passata in bianco. Non s'addorment, rimase con gli occhi spalancati, guardandosi in giro per la camera. davvero pulito, qui!, mormor. Poi, dopo aver guardato Gervaise per un attimo, aggiunse con cattiveria: Potresti anche sistemarti un po'!. Gervaise aveva solo ventidue anni. Era alta, un po' minuta, con dei lineamenti delicati, ma gi tirati dalle durezze della vita. Spettinata, in ciabatte, tremante di freddo sotto la camicia bianca su cui i mobili avevano lasciato un po' della loro polvere e del loro grasso, sembrava invecchiata di dieci anni dalle ore di angoscia e di pianto che aveva appena passato. La frase di Lantier la fece uscire dal suo atteggiamento impaurito e rassegnato. Sei ingiusto, disse animandosi. Sai bene che faccio tutto quello che posso. Non colpa mia se siamo finiti qui... Vorrei

veder te, con i due bambini, in una stanza dove non c' nemmeno un fornello per scaldare l'acqua... Appena arrivati a Parigi, avremmo dovuto trovar subito una sistemazione, come avevi promesso, invece di far fuori tutto il tuo denaro. Beh! senti un po'!, si mise a gridare Lantier, anche tu ti sei pappata il gruzzolo insieme a me! Non dovresti adesso sputare su quei buoni bocconi!. Ma Gervaise sembr non intenderlo, e continu: Insomma, con un po' di coraggio, potremmo comunque venirne fuori... Ieri sera ho incontrato la signora Fauconnier, la lavandaia di rue Neuve: andr da lei luned. Se tu ti metti con quell'amico della Glacire, potremo tornare a galla entro sei mesi, il tempo di farci qualche nuovo vestito e d'affittare un buco da qualche parte, dove saremo finalmente a casa nostra... Oh! certo, si dovr lavorare, lavorare.... Lantier si gir verso il muro con aria annoiata. Gervaise allora si lasci trascinare. S, cos, ma sappiamo bene che l'amore per il lavoro certo non ti opprime. Sei gonfio d'ambizione, vorresti esser vestito come un gran signore e portare a spasso qualche sgualdrina in abito di seta. Non forse cos? Non mi trovi pi abbastanza carina, da quando mi hai fatto portare tutti i miei vestiti al Monte dei pegni... Ecco, Auguste, non volevo nemmeno parlartene, avrei aspettato ancora, ma so dove hai passato la notte, ti ho visto entrare al Grand-Balcon con quella puttana di Adle. Ah! le scegli davvero bene! Lei s che tutta ripulita! Fa bene a prendere quelle sue arie da principessa... andata a letto con tutto il ristorante. Con un balzo, Lantier salt gi dal letto. Nel suo volto illividito, gli occhi erano adesso d'un nero inchiostro. In quell'ometto, l'ira suscitava come una tempesta. S, s, con tutto il ristorante!, ripet la giovane. La signora Boche finir per darle lo sfratto, a lei e a quella spilungona della sorella, perch sulle scale c' sempre una fila di uomini. Lantier sollev i pugni. Poi, resistendo alla voglia di batterla, l'afferr per le braccia, la scosse con violenza, la mand a cadere sul letto dei bambini che, di nuovo, si misero a gridare. E torn a coricarsi, bofonchiando, con l'espressione implacabile d'un uomo che prende una risoluzione di fronte alla quale ancora esitava. Non sai quello che hai appena fatto, Gervaise... Hai avuto torto, te ne accorgerai. I bambini continuarono a singhiozzare per qualche istante. La madre, ancora protesa verso di loro dalla sponda del letto, li stringeva in un unico abbraccio, ripetendo all'infinito, con voce monotona, quest'unica frase: Ah! se non ci foste voi, miei poveri piccoli! Se non ci foste voi!... Se non ci foste voi!.... Sdraiato tranquillamente, gli occhi levati sopra di s, sul brandello di perse sbiadita, Lantier non l'ascoltava nemmeno pi, immerso in qualche sua idea fissa. Rimase cos per quasi un'ora, senza cedere al sonno, malgrado la stanchezza che gli appesantiva le palpebre. Quando si rigir, poggiando su un

gomito, la faccia dura e determinata, Gervaise stava finendo di riordinare la camera. Rifaceva il letto dei bambini, che aveva appena lavato e vestito. Lantier la vide spazzare, spolverare i mobili: la stanza rimaneva pur sempre cupa e miserevole, con il soffitto fumoso, la carta scollata dall'umidit, le tre sedie e il cassettone zoppicanti, su cui il sudiciume resisteva ed anzi s'estendeva sotto lo strofinaccio. Poi, mentre lei si lavava con acqua abbondante, dopo essersi raccolta i capelli davanti allo specchietto rotondo, appeso alla spagnoletta della finestra, che gli serviva per radersi, sembr passarle in rassegna le braccia nude, il collo nudo, tutto il nudo che lei mostrava, come se nella sua mente avessero luogo dei confronti. E fece una smorfia con le labbra. Gervaise zoppicava dalla gamba destra, ma nessuno se ne accorgeva se non nelle giornate pi faticose, quando s'accasciava, le anche affrante. Quella mattina, distrutta dalla sua notte, trascinava la gamba, si appoggiava ai muri. Regnava il silenzio, non si erano pi scambiati una parola. Lantier sembrava attendere. Gervaise, macerandosi nel suo dolore, cercava d'assumere un'espressione indifferente, di far le cose in fretta. Stava facendo un involto della biancheria sporca gettata in un angolo, dietro al baule, quando l'altro si decise finalmente a parlare: Che stai facendo? Dove vai?, domand. Gervaise non rispose subito. Poi, quando Lantier ripet la sua domanda con furore, si decise: Lo vedi anche tu... Vado a lavare tutte queste cose... I bambini non possono vivere in mezzo allo sporco. Aspett che lei raccogliesse due o tre fazzoletti. Quindi, dopo un altro silenzio, riprese: Hai del denaro?. Gervaise si risollev di colpo, lo guard in faccia, senza lasciar cadere le camicie sporche dei bambini che teneva in mano. Del denaro? Dove pensi che l'abbia rubato?... Lo sai che l'altroieri ho avuto tre franchi per la mia gonna nera. Abbiamo mangiato due volte, e ci vuol poco a spendere quando si va dal pizzicagnolo... No, no, non ho del denaro. Ho quattro soldi per il lavatoio... Non ne guadagno come certe femmine. Lantier finse di non cogliere l'allusione. Era sceso dal letto e stava adesso esaminando i pochi stracci appesi in giro per la stanza. Alla fine, prese i pantaloni e lo scialle, apri il cassettone e aggiunse all'involto una camiciola e due camicie da donna. Quindi, gettando il tutto sulle braccia di Gervaise: Tieni, porta queste cose al Monte. Non vuoi che ci porti anche i bambini?, domand la giovane. Eh! se si desse a prestito anche sui figli, sarebbe proprio un bel modo di sbarazzarsene!. E tuttavia and al Monte dei pegni. In capo a mezz'ora, era gi di ritorno: mise una moneta da cento soldi sul camino e aggiunse la bolletta alle altre, fra i due candelieri. tutto quello che m'hanno dato, disse. Volevo sei franchi, ma non c' stato verso. Oh! non andranno certo in rovina... E c' sempre tanta di quella gente, l dentro!. Lantier non prese subito la moneta da cento soldi. Avrebbe

voluto che Gervaise la cambiasse in spiccioli, per lasciarle qualcosa. Ma si decise a infilarsela nel taschino del panciotto, vedendo sul cassettone un avanzo di prosciutto in un cartoccio e un pezzo di pane. Non sono andata dalla lattaia, le dobbiamo gi otto giorni, spieg Gervaise. Ma torner presto: in mia assenza, scendi a comprare del pane e delle cotolette impanate. Poi pranzeremo. Prendi anche un litro di vino. Non le disse di no. Pareva che la pace fosse tornata. La giovane stava finendo d'ammucchiare la biancheria sporca. Ma quando fece per prendere dal fondo del baule le camicie e i calzini di Lantier, questi le grid di non toccare le sue cose. Lascia la mia biancheria, mi senti! Non voglio!. Cos' che non vuoi?, domand Gervaise raddrizzandosi. Non penserai certo di rimetterti addosso queste porcherie! Bisogna pur lavarle. E lo scrutava, inquieta, ritrovando sul suo volto di bel ragazzo quella stessa durezza che nulla, ormai, sembrava poter piegare. Lantier s'infuri, le strapp dalle mani la biancheria e la ricacci in fondo al baule. Dio santo! Ubbidiscimi almeno una volta! Se ti dico che non voglio!. Ma perch?, riprese Gervaise, impallidendo, sfiorata da un orribile sospetto. Adesso non hai bisogno delle tue camicie, non stai per uscire... Che t'importa se le prendo?. L'altro esit per un attimo, a disagio sotto gli sguardi ardenti con cui la giovane lo fissava. Perch? Perch?, bofonchiava Che diamine! Vai dicendo in giro dappertutto che mi mantieni, che lavi, che rammendi. Ebbene! una cosa che mi fa andare in bestia! Fa' le tue faccende, io penser a fare le mie... Le lavandaie non lavorano per i cani. Lo supplic, neg d'essersi mai lamentata. Ma Lantier chiuse il baule bruscamente, vi si mise a sedere sopra, gridandole un bel no! sul muso. Era o no padrone delle cose che gli appartenevano? Poi, per sfuggire agli sguardi con cui l'altra lo inseguiva, torn a distendersi sul letto, dicendo d'aver sonno e che la smettesse di rompergli il cervello. E questa volta, infatti, sembr addormentarsi. Gervaise rest per un attimo indecisa. Era tentata di dare un bel calcio all'involto della biancheria, per poi mettersi seduta a cucire. Il respiro regolare di Lantier fin per rassicurarla. Prese il turchinetto e il pezzo di sapone che le erano rimasti dopo l'ultimo bucato, e avvicinandosi ai bambini che giocavano tranquillamente con dei vecchi turaccioli, davanti alla finestra, li baci, dicendo loro sottovoce: State buoni, non fate rumore. Pap dorme. Quando lasci la camera, soltanto le risate soffocate di Claude e di Etienne risuonavano nel grande silenzio, sotto il soffitto annerito. Erano le dieci. Un raggio di sole entrava dalla finestra semiaperta. Sul boulevard, Gervaise prese a sinistra e segu rue Neuve de la Goutte d'Or. Passando davanti alla bottega della signora Fauconnier, salut con un cenno del capo. Il lavatoio si trovava

quasi a met della via, nel punto in cui la strada cominciava a salire. Al di sopra d'un piatto edificio, tre enormi serbatoi d'acqua, dei cilindri di zinco saldamente bullonati, si mostravano nelle loro grigie rotondit, mentre un po' indietro s'innalzava lo stenditoio, un secondo piano abbastanza elevato e chiuso su ogni lato da persiane dalle stecche sottili, che lasciavano vedere i capi di biancheria posti ad asciugare sui fili d'ottone, e attraverso le quali l'aria entrava dall'esterno. Sulla destra dei serbatoi, la stretta canna della macchina a vapore sbuffava, un soffio forte e regolare, lanciando getti di fumo bianco. Gervaise, senza nemmeno raccogliersi le sottane, da donna abituata alle pozzanghere, oltrepass la porta ingombra di boccali d'acqua di candeggina. Conosceva gi la padrona del lavatoio, una donnetta delicata, dagli occhi malati, sempre seduta nel suo stanzino a vetri, con registri davanti a s, pani di sapone sulle mensole, vasi di turchinetto, libbre di bicarbonato di soda in pacchetti. Passando, le domand la mestola e il bruschino che le aveva affidato in occasione del suo ultimo bucato. Quindi, prese il suo numero ed entr. Era un immenso capannone dal soffitto piatto, con travi a vista, montato su pilastri di ghisa, chiuso da ampie finestre luminose. Un chiarore smorzato filtrava liberamente attraverso il caldo vapore sospeso come una nebbia lattiginosa. Dei fumi salivano da certi angoli, si dilatavano, coprendo il fondo con un velo azzurrognolo. Pioveva un'umidit opprimente, gonfia d'un odore saponoso, un odore slavato, madido, continuo. A tratti, dominavano aliti pi forti d'acqua di candeggina. Lungo le batterie, ai due lati della corsia centrale, c'erano file e file di donne, le braccia nude fino alle spalle, il collo nudo, le sottane raccolte in alto a mostrare le calze colorate e grandi scarpe a lacci. Battevano furiosamente, ridevano, s'arrovesciavano per gridare qualche parola in quel frastuono, si curvavano sul fondo dei loro mastelli, volgari, brutali, ondeggianti, infradiciate come da un acquazzone, le carni arrossate e fumanti. Attorno a loro, sotto di loro, scorreva come un torrente continuo: i secchi d'acqua calda passati e svuotati d'un tratto, i rubinetti aperti dell'acqua fredda, che colavano dall'alto, gli schizzi delle mestole, gli sgocciolii dei panni risciacquati, le pozzanghere in cui sguazzavano; e tutto scivolava via in tanti piccoli ruscelli sulle lastre inclinate. E in mezzo alle grida, ai colpi cadenzati, allo scroscio mormorante come di pioggia, a quel clamore da temporale che andava soffocandosi contro il soffitto inumidito, la macchina a vapore, a destra, tutta imbiancata come da una sottile rugiada, sbuffava e brontolava senza tregua, con l'armoniosa trepidazione del suo volantino che sembrava regolare l'immensit di quel chiasso. Gervaise, a piccoli passi, seguiva il corridoio, gettando lo sguardo a destra e a sinistra. Portava l'involto della biancheria sotto il braccio, l'anca un po' rialzata, zoppicando pi del solito, in mezzo al viavai delle lavandaie che la urtavano da ogni parte. Ehi, da questa parte, piccola!, grid il vocione della signora Boche. Poi, quando la giovane l'ebbe raggiunta, a sinistra, proprio in fondo, la portinaia, che stava sfregando energicamente un

calzino, cominci a parlare con frasi veloci, senza lasciare il suo lavoro. Mettetevi l, vi ho tenuto un posto... Oh! non ne ho per molto. Boche sporca cos poco la sua biancheria... E voi? Neanche per voi andr troppo per le lunghe, vero?... davvero piccolo, il vostro involto. Prima di mezzogiorno, avremo finito e potremo andare a mangiare... Un tempo, davo la mia biancheria a una lavandaia di rue Poulet, ma me la rovinava tutta a forza di cloro e colpi di spazzola. Allora ho deciso di lavarmela da sola. tanto di guadagnato. Costa solo il prezzo del sapone... Ma dite un po', ecco delle camicie che avreste dovuto mettere a mollo. Questi sporcaccioni di bambini, in fede mia, sembrano avere della fuliggine sul didietro!. Gervaise sciolse il suo involto, dispieg le camicie dei bambini. E poich la signora Boche le consigliava di prendere un secchio d'acqua di liscivia, rispose: Oh! no, baster l'acqua calda... So il fatto mio. Aveva gi separato la biancheria, mettendo da parte i pochi capi colorati. Poi, dopo aver riempito il suo mastello con quattro secchi d'acqua fredda, presa al rubinetto che era dietro di lei, vi immerse il mucchio di panni bianchi, e rialzandosi la sottana fino a stringersela fra le cosce, entr in una specie di bidoncino, sistemato per il dritto, che le arrivava fino al ventre. Sapete il fatto vostro, vero?, ripet la signora Boche. Facevate la lavandaia al vostro paese, cos, piccola?. Gervaise, con le maniche rimboccate a mostrare le sue belle braccia da bionda, ancora giovani, appena arrossate sui gomiti, cominciava a mettere in ammollo la sua biancheria. Dopo aver disteso una camicia sull'assicella della batteria, corrosa e imbiancata dall'usura dell'acqua, la sfregava con il sapone, la rigirava, la sfregava dall'altro lato. Prima di rispondere, impugn la sua mestola, si mise a battere, gridando queste frasi, punteggiandole con colpi secchi e cadenzati: S, si, lavandaia... A dieci anni... Sono passati dodici anni da allora... Andavamo al fiume... C'era un odore pi buono che qui... Avreste dovuto vedere, c'era un angolo sotto gli alberi... con dell'acqua limpida che scorreva... Sapete, a Plassans... Non conoscete Plassans?... vicino a Marsiglia?. Forte come una bestia!, esclam la signora Boche, meravigliata dall'energia di quei colpi di mestola. Che briccona! Schiaccerebbe il ferro con quelle sue braccine da signorina. La conversazione continu ad alta voce. La portinaia, a volte, era costretta a protendersi di pi, non riuscendo a sentire. I panni bianchi vennero battuti, e con che forza! Gervaise li rimise nel mastello, li riprese uno a uno per sfregarli una seconda volta con il sapone e strigliarli. Con una mano, teneva fermo il capo di biancheria sulla batteria, mentre con l'altra, che stringeva il corto bruschino di gramigna, faceva uscire dal panno una schiuma sporca, che scivolava in lunghe colate. Allora, nel minimo rumore del bruschino, si fecero pi vicine, chiacchierarono in modo pi intimo. No, non siamo sposati, riprese Gervaise. Non me ne vergogno. Lantier non cos garbato da far desiderare di essergli moglie. Se non ci fossero i bambini, allora!... Avevo

quattordici anni e lui diciotto, quando abbiamo avuto il primo. L'altro venuto quattro anni dopo... successo come succede sempre, lo sapete anche voi. Non ero felice in casa nostra. Pap Macquart, per un nonnulla, era capace di prendermi a calci nelle reni. E allora, proprio vero, uno cerca di divertirsi un po' fuori... Ci saremmo anche sposati, ma i nostri genitori, chiss poi perch, non hanno voluto. Scosse le mani, che si facevano rosse sotto la schiuma bianca. L'acqua davvero fredda, a Parigi, disse. La signora Boche continuava a lavare, ma lentamente. S'interrompeva, facendo durare pi a lungo il suo bucato, per rimaner l a conoscere quella storia che da quindici giorni tormentava la sua curiosit. Nel suo gran faccione, la bocca era quasi spalancata e gli occhi, a fior di testa, scintillavano. Pensava fra s, soddisfatta d'aver indovinato: Gi, la poverina chiacchiera troppo. Ci deve essere stato qualche battibecco. Poi, ad alta voce: Dunque, non si comporta bene con voi?. Non me ne parlate!, rispose Gervaise. Finch stavamo l, andava tutto bene per me, ma da quando siamo arrivati a Parigi, non riesco pi a venire a capo di nulla... Dovete sapere che sua madre morta l'anno scorso, lasciandogli qualcosa come mille e settecento franchi. Aveva deciso di venire a Parigi. Allora, anche perch pap Macquart continuava a prendermi a schiaffi senza nemmeno degnarsi d'aprir bocca, ho acconsentito ad andarmene con lui. Abbiamo fatto il viaggio con i due bambini. Doveva mettermi su una bottega da lavandaia, e lui si sarebbe dedicato al suo mestiere di cappellaio. Saremmo stati felici... Ma, vedete, Lantier un ambizioso, uno spendaccione, un uomo che non si cura che del proprio divertimento. Non vale granch, insomma... Siamo scesi alla locanda Montmartre, in rue Montmartre. E poi stato tutto un susseguirsi di pranzi, carrozze, il teatro, un orologio per lui, un vestito di seta per me: perch non di cattivo cuore, quando ha del denaro... E tutto il resto, capite... In capo a due mesi, eravamo all'asciutto. Ed stato allora che siamo venuti ad abitare alla locanda Boncoeur e che cominciata questa vita maledetta.... S'interruppe, la gola improvvisamente serrata, trattenendo le lacrime. Aveva intanto finito di strigliare la biancheria. Devo andare a prendere dell'acqua calda, mormor. Ma la signora Boche, decisamente contrariata dall'interrompersi di quelle confidenze, chiam l'inserviente del lavatoio che stava passando. Mio caro Charles, siate gentile, andate a prendere un secchio d'acqua calda per la signora, che ha fretta. L'inserviente prese il secchio e lo riport pieno. Gervaise pag: veniva un soldo al secchio. Vers l'acqua calda nel mastello e insapon la biancheria un'ultima volta, con le mani, sporgendosi al di sopra della batteria, immersa in un vapore che intrecciava fili di fumo grigio al biondo dei suoi capelli. Tenete, metteteci un po' di soda, ce l'ho io,. disse gentilmente la portinaia.

E svuot nel mastello di Gervaise il fondo d'un sacchetto di carbonato di soda, che aveva portato con s. Le offr anche dell'acqua di candeggina, ma la giovane la rifiut: andava bene per le macchie di grasso e le macchie di vino. Lo si direbbe un po' donnaiolo, riprese la signora Boche, ritornando a Lantier pur senza nominarlo. Gervaise, piegata in due, le mani affondate e contratte nella biancheria, si limit a scuotere la testa. S, s, continu l'altra, mi sono accorta di tante piccole cose.... Ma poi cos protest vedendo l'improvvisto moto di Gervaise, che si era raddrizzata, pallidissima, fissandola in volto: Oh! no, non so nulla! Gli piace scherzare, credo, ecco tutto... Per esempio, le due ragazze che abitano da noi, Adle e Virginie, le conoscete, ebbene! si diverte con loro, ma non si spinge certo pi in l, ne sono sicura. La giovane, ritta davanti a lei, il volto madido di sudore, le braccia che grondavano, continuava a fissarla con uno sguardo fermo e profondo. Allora la portinaia si adombr, si picchi il petto dando la sua parola d'onore. Gridava: Non ne so nulla! Se vi dico che non ne so nulla!. Poi, calmandosi, aggiunse con voce mielata, come si parla a una persona per cui la verit non varrebbe nulla: A me sembra che abbia degli occhi onesti... Vi sposer, piccola, potrei scommetterci!. Gervaise si asciug la fronte con la mano bagnata. Poi, trasse dall'acqua un altro capo di biancheria, scrollando di nuovo la testa. Rimasero entrambe in silenzio per un momento. Attorno a loro, il lavatoio s'era calmato. Battevano le undici. Met delle lavandaie, sedute a cavalcioni sul bordo dei loro mastelli, con un litro di vino stappato ai loro piedi, mangiavano salsicce in pezzi di pane tagliati in due. Soltanto le massaie, venute a lavare i loro piccoli involti di biancheria, facevano in modo d'affrettarsi, guardando l'orologio a occhio di bue appeso al di sopra dell'ufficio. Si sentiva ancora qualche colpo di mestola, intervallato, fra le risate addolcite, fra le conversazioni che si perdevano in un rumore di ghiotte mascelle; mentre la macchina a vapore, marciando al suo solito passo, senza riposo n tregua, sembrava alzare la voce, vibrando, sbuffando, riempiendo l'immensit della sala. Ma nessuna delle donne l'ascoltava: era come il respiro stesso del lavatoio, un fiato ardente che ammassava sotto le travi del soffitto l'eterno e fluttuante vapore. Il calore si faceva intollerabile. Raggi di sole penetravano a sinistra dalle alte finestre, accendendo i vapori fumanti in strisce opalescenti d'un grigio rosato e d'un grigio azzurro tenuissimi. E poich alcune se ne lagnavano, Charles, l'inserviente, andava da una finestra all'altra, tirava delle tende di tela grossolana; quindi, passava dall'altro lato, dal lato dell'ombra, e apriva dei vasistas. Lo acclamavano, gli battevano le mani: c'era una grande allegria nell'aria. Ben presto, anche le ultime mestole rimasero mute. Le lavandaie, a bocca piena, non facevano altro che gesti con i coltelli aperti che stringevano in mano. Il silenzio era ormai tale che si sentiva regolarmente, proprio in fondo alla sala, il raspare della pala del fuochista che

prendeva il carbon fossile e lo gettava nel forno della macchina. Gervaise stava intanto lavando i suoi capi colorati nell'acqua calda e grassa di sapone che aveva conservato. Quando ebbe finito, trasse a s un cavalletto e vi sistem di traverso tutti i panni, che andavano formando a terra delle chiazze azzurrognole. Cominci a risciacquare. Alle sue spalle, il rubinetto dell'acqua fredda colava su un ampio mastello fissato al suolo e attraversato da due sbarre di legno, destinate a reggere la biancheria. Pi in alto, in aria, passavano altre due sbarre, su cui la biancheria finiva di sgocciolare. Siete quasi alla fine, per fortuna, disse la signora Boche. Mi trattengo anch'io per aiutarvi a strizzare. Oh! non ne vale la pena, vi ringrazio molto, rispose la giovane, che stava strofinando e disguazzando nell'acqua chiara i suoi capi colorati. Se fossero delle lenzuola, capirei!. Ma fu comunque costretta ad accettare l'aiuto della portinaia. Stavano strizzando insieme, ognuna da un capo, una sottana, una lanetta d'un orribile color marrone da cui veniva fuori un'acqua giallastra, quando la signora Boche esclam: Ma guarda un po', la bella Virginie!... Cosa mai verr a lavare, quella l, con i suoi quattro stracci in un fazzoletto?. Gervaise aveva risollevato energicamente la testa. Virginie era una giovane della sua et, pi alta di lei, bruna, graziosa nonostante un volto un po' troppo lungo. Portava un vecchio abito nero a balze e un nastro rosso al collo. Si era pettinata con cura, la crocchia stretta in una reticella di ciniglia azzurra. Per un momento rimase immobile in mezzo al corridoio centrale, strizzando gli occhi con l'aria di cercare qualcuno; poi, avendo visto Gervaise, le pass accanto tutta impettita, insolente, dimenando i fianchi, e and a sistemarsi nella stessa fila, a cinque mastelli di distanza. Ma guarda che capriccio!, riprese la signora Boche abbassando la voce. Non si lava mai neanche un paio di maniche... Ah! una gran fannullona, ve lo dico io! Una rammendatrice che non rammenda nemmeno i suoi stivaletti! come la sorella, la brunitrice, quella scioperata di Adle, che manca in officina due giorni su tre! Non se ne conoscono n il padre n la madre, non si sa bene di cosa vivano, e se solo si volesse parlare... Ma cosa sta strigliando? Ah! una sottogonna! Mi sembra davvero disgustosa, deve averne viste di porcherie, quella sottogonna!. |[continua]| |[CAPITOLO PRIMO, 2]| La signora Boche voleva evidentemente far cosa gradita a Gervaise. In realt, prendeva spesso il caff con Adle e Virginie, quando le due giovani avevano del denaro. Gervaise non rispondeva, cercava di sbrigarsi, con gesti febbrili. Aveva finito di fare il suo turchinetto in un piccolo mastello montato su tre piedi. Vi immergeva i capi di bianco, li agitava velocemente nell'acqua colorata, il cui riflesso andava assumendo una sfumatura di lacca; e dopo averli leggermente strizzati, li sistemava in fila sulle sbarre di legno, in alto. Nel portare a

termine il suo lavoro, volgeva con affettazione le spalle a Virginie. Ma ne sentiva le risatacce, ne avvertiva su di s gli sguardi obliqui. Virginie sembrava esser venuta con il solo scopo di provocarla. Per un attimo, essendosi Gervaise rigirata, si fissarono negli occhi a vicenda. Lasciatela perdere, mormor la signora Boche. Non vorrete finire per prendervi per i capelli... Se vi dico che non c' nulla! E poi non lei!. In quello stesso momento, mentre la giovane stava appendendo l'ultimo capo di biancheria, si sentirono delle risate alla porta del lavatoio. Ci sono due bambini che chiedono della mamma!, grid Charles. Tutte le donne si rigirarono verso la porta. Gervaise riconobbe Claude ed Etienne, che vedendola le corsero incontro, in mezzo alle pozzanghere, battendo sulle lastre i tacchi delle loro scarpe slacciate. Claude, il maggiore, teneva per mano il fratellino. Le lavandaie, al loro passaggio, lanciavano piccole grida di tenerezza, vedendoli un po' spaventati, eppure sorridenti. Si fermarono davanti alla madre, senza separarsi, alzando le loro bionde testoline. Vi manda pap?, domand Gervaise. Ma abbassandosi per riallacciare le scarpe di Etienne, s'accorse della chiave della camera con il suo numero di rame, che Claude teneva con un dito facendola dondolare. Toh! mi porti la chiave!, disse assai meravigliata. Come mai?. Il bambino, vedendo la chiave che aveva dimenticato al dito, sembr ricordarsi di qualcosa e grid con voce chiara: Pap se n' andato. andato a comprare da mangiare, e vi ha detto di venirmi a cercare qui?. Claude guard il fratello, esit, non sapendo pi che dire. Ma riprese d'un tratto: Pap se n' andato... saltato gi dal letto, ha messo tutte le sue cose nel baule, ha caricato il baule su una carrozza... Se n' andato. Gervaise, accovacciata, si risollev lentamente, il volto bianco, portandosi le mani alle guance e alle tempie, come se si sentisse la testa scoppiare. E non riusc a trovare che queste sole parole, ripetendole all'infinito con voce monotona: Ah! mio Dio!... ah! mio Dio!. ah! mio Dio!.... La signora Boche stava intanto interrogando a sua volta il bambino, eccitatissima nel trovarsi immischiata in quella storia. Coraggio, piccolino, racconta un po' meglio come stanno le cose... E stato lui a chiudere la porta e a dirvi di portare la chiave, vero?. E abbassando la voce, all'orecchio di Claude: C'era forse una signora nella carrozza?. Il bambino si confuse di nuovo. Ricominci la sua storia con aria trionfante: saltato gi dal letto, ha messo tutte le sue cose nel baule, se n' andato.... Quindi, lasciato libero dalla signora Boche, port il fratello

davanti al rubinetto, e si divertirono insieme a far scorrere l'acqua. Gervaise non riusciva nemmeno a piangere. Soffocava, poggiandosi con i fianchi contro il suo mastello, con il viso sempre stretto fra le mani. Era scossa da piccoli brividi. A tratti, se ne usciva in un lungo sospiro, mentre si premeva ancora pi forte i pugni sugli occhi, come per annullarsi nelle tenebre del suo abbandono. Era una voragine tenebrosa in cui le sembrava di precipitare. Via, piccola, che diamine!, mormorava la signora Boche. Se sapeste! Se sapeste!, disse Gervaise a bassa voce. Stamattina mi ha mandato al Monte dei pegni con il mio scialle e le mie camicie, e tutto per pagare la carrozza!. E pianse. Il ricordo di quella corsa al Monte dei pegni, precisando un fatto della mattinata, le aveva strappato quei singhiozzi che le si strangolavano in gola. Quella corsa era una vergogna, il dolore pi grande nella sua disperazione. Le lacrime le colavano sul mento, gi inumidito dalle mani, ma non si curava nemmeno di prendere il fazzoletto. Siate ragionevole, tacete, vi guardano, ripeteva la signora Boche, che le s'affacendava d'intorno. mai possibile star tanto male per un uomo!... Lo amate ancora, vero, mia povera cara? Poco fa, sembrava proprio che ce l'aveste con lui. E adesso, eccovi qua a piangere, a farvi scoppiare il cuore... Mio Dio, siamo davvero delle stupide!. Volle poi mostrarsi materna. Una bella ragazza come voi! Se me lo consentite... Vi posso raccontare tutto, adesso, vero? Ebbene! vi ricordate, quando sono passata sotto la vostra finestra, gi m'immaginavo qualcosa... Dovete sapere che stanotte, quando Adle tornata, ho sentito un passo d'uomo insieme al suo. Allora, ho cercato di sapere, ho guardato su per le scale. L'uomo era gi al secondo piano, ma ho ugualmente riconosciuto la redingote di Lantier. Boche, che stamattina stava di guardia, lo ha visto ridiscendere tranquillamente... Era con Adle, capite. Virginie ha adesso un signore da cui va due volte alla settimana. La faccenda non comunque molto pulita, perch hanno solo una camera e un'alcova, e non so proprio immaginare dove Virginie abbia potuto dormire. S'interruppe per un istante, si rigir, riprendendo poi con il suo vocione soffocante: Si diverte a vedervi piangere, quella donna senza cuore. Metterei la mano sul fuoco che il suo bucato tutta una commedia... Ha imbarcato gli altri due, ed venuta qui per raccontar loro il diavolo a quattro che farete. Gervaise scost le mani, guard. Quando vide davanti a s Virginie, in mezzo a un gruppo di tre o quattro donne che parlavano sottovoce, fissandola, fu colta da un furore incontenibile. Le braccia protese in avanti, cercando per terra, girandosi attorno, in un tremore di tutte le membra, avanz di qualche passo, trov un secchio pieno, l'afferr con entrambe le mani e lo lanci in aria svuotandolo in un getto. Baldracca!, grid la bella Virginie. Aveva fatto un balzo all'indietro, e soltanto i suoi stivaletti

s'erano bagnati. Il lavatoio, tutto in scompiglio da qualche istante per le lacrime della giovane, si stringeva ondeggiando per assistere alla battaglia. Alcune lavandaie, finendo di mangiare il loro pane, salirono sui mastelli; altre si precipitarono con le mani ancora piene di sapone. Si form un cerchio. Ah, che baldracca!, ripet la bella Virginie. Che diavolo le prende, a questa cagna arrabbiata!. Gervaise, immobile, il mento proteso, la faccia convulsa, non rispondeva, non avendo ancora la facilit di parola delle parigine. L'altra continu: Ecco qua! stanca di battere la provincia, non aveva nemmeno dodici anni e gi faceva da pagliericcio a tutta la soldataglia, ha lasciato una gamba al suo paese... caduta gi marcia, la gamba.... Si sentirono delle risate. Virginie, visto il successo, avanz di due passi, si sollev in tutta la sua imponente statura e grid pi forte: Coraggio! fatti un po' avanti, ti voglio proprio dare una bella lezione! Cos impari a venire a darci fastidio... E chi la conosce, poi, questa baldracca!... Per fortuna che non mi ha preso, altrimenti le avrei tirate su le sottane, pensate un po' che spettacolo! Che dica almeno cosa le ho fatto... Allora, puttana, cosa ti ho fatto?. Non parlate tanto, balbett Gervaise. Lo sapete bene... Hanno visto mio marito, ieri sera... E tacete, che mi vien voglia di strangolarvi, proprio cos!. Suo marito! Ah! questa s che bella!... Il marito della signora! Come se si potesse avere un marito con un grugno del genere!... Non colpa mia se ti ha mollato. Non sono stata io a portartelo via. Potete frugarmi addosso... Vuoi proprio che te lo dica? l'asfissiavi, quell'uomo! Era troppo carino per te... Ma gliel'avevi messo il collare, almeno?... Qualcuno ha trovato il marito della signora? Si offre una ricompensa.... Ricominciarono le risate. Gervaise, quasi sottovoce, si limitava a mormorare: Lo sapete bene, lo sapete bene... Vostra sorella, la strozzer, vostra sorella.... Ma s, va pure a stuzzicare mia sorella, riprese Virginie sogghignando. Ah! mia sorella! Certo, possibile, mia sorella ha sicuramente pi classe di te... Ma forse che la cosa mi riguarda? Non si pu nemmeno lavare la biancheria in pace! Lasciami stare, mi senti, ne ho abbastanza!. Ma fu lei a tornare alla carica, dopo aver dato cinque o sei colpi di mestola, inebriata dalle ingiurie, fuori di s. Tacque e ricominci cos a pi riprese: Ebbene! S, mia sorella. Beh, sei contenta?... Si vogliono tutti e due un bene dell'anima. Bisogna vederli come si sbaciucchiano!... E ti ha mollato con i tuoi bastardi! quei mostriciattoli con la faccia piena di croste! Uno dei due figlio d'una guardia, vero? e altri tre li hai fatti crepare per alleggerirti il bagaglio quando siete venuti qui. stato Lantier a raccontarcelo! Ah! ne dice delle belle sul tuo conto, non ne poteva pi della tua carcassa!. Puttana! puttana! puttana!, grid Gervaise fuori di s,

ripresa da un tremito incontenibile. Si volt, cerc per terra ancora una volta, e non trovando altro che il piccolo mastello, l'afferr per i piedi, gett l'acqua del turchinetto in faccia a Virginie. Disgraziata! m'ha rovinato il vestito!, strill l'altra, che aveva una spalla tutta bagnata e la mano sinistra tinta d'azzurro. Aspetta un po', troia!. Afferr a sua volta un secchio e lo rovesci sulla giovane. Cominci allora una magnifica battaglia. Correvano entrambe lungo le file dei mastelli, si impadronivano dei secchi pieni d'acqua, tornavano a rovesciarseli sulla testa. E ogni inondazione era accompagnata da uno scoppio di voce. Ormai anche Gervaise replicava: Prendi, sporcacciona!... Te lo sei beccato, questo. Ti rinfrescher il deretano!. Ah! brutto ronzino! Prendi questo per il tuo lerciume. Lavati almeno una volta nella vita!. S, s, ti voglio togliere il sale di dosso, gran baccal!. Eccone un altro!... Sciacquati i denti, fa la tua toeletta per quando stasera andrai a battere all'angolo di rue Belhomme!. Alla fine, andavano a riempire i secchi ai rubinetti. E mentre aspettavano che si riempissero, continuavano a scambiarsi sconcezze. I primi secchi, lanciati male, le sfioravano appena, ma ben presto vi fecero la mano. Fu Virginie la prima a riceverne uno in piena faccia: entrandole dal collo, l'acqua le col lungo la schiena e il petto, sgocciol sotto il vestito. Ne era ancora tutta stordita, quando un secondo secchio la colse di striscio, colpendola forte sull'orecchio sinistro e infradiciandole la crocchia, che si sciolse come una cordicella. Gervaise fu dapprima raggiunta alle gambe, un secchio le riemp d'acqua le scarpe, schizzandola fino alle cosce; altri due la inondarono ai fianchi. Alla fine non fu pi possibile valutare i colpi. Erano entrambe sgocciolanti dalla testa ai piedi, i corsetti appiccicati alle spalle, le sottane incollate sulle reni, stecchite, intirizzite, tremanti di freddo, colando da tutte le parti come degli ombrelli durante un acquazzone. Non sono per niente divertenti!, disse la voce roca d'una lavandaia. Ma il lavatoio si divertiva enormemente. Le donne si eran messe da parte, per non esser colpite dagli schizzi. In mezzo al rumore come di cascata che facevano i secchi svuotati al volo, si sentivano degli applausi, delle prese in giro. Per terra, s'allargavano delle pozzanghere, e le due donne vi sguazzavano fino alle caviglie. Intanto Virginie, immaginando un colpo a tradimento, s'era impadronita d'un secchio d'acqua di liscivia bollente, che una delle sue vicine aveva domandato. E lo gett: ci fu un grido. Si pens che Gervaise ne fosse rimasta ustionata, ma solo il piede sinistro s'era leggermente scottato. Allora, esasperata dal dolore, con tutte le sue forze, senza nemmeno riempirlo, lanci un secchio fra le gambe di Virginie, che cadde. Tutte le lavandaie parlavano insieme. Le ha rotto una zampa!. Diamine! l'altra voleva farla cuocere!. Beh, dopo tutto la bionda ha ragione, se le hanno portato

via il suo uomo!. La signora Boche levava le braccia al cielo, lanciandosi in esclamazioni. Si era nascosta prudentemente fra due mastelli, mentre i due bambini, Claude ed Etienne, piangendo a singulti soffocati, impauriti, le si aggrappavano alle sottane con un unico grido continuo: Mamma! mamma!, che si spezzava fra i singhiozzi. Vedendo Virginie a terra, la signora Boche si precipit, tir Gervaise per le sottane, ripetendo: Basta, andatevene! Siate ragionevole!... Ho il sangue tutto rimescolato, parola mia! Non s' mai visto un simile massacro!. Ma fu costretta a indietreggiare, e torn a ripararsi fra i due mastelli con i bambini. Virginie s'era gettata alla gola di Gervaise. La stringeva al collo, cercava di strangolarla. Con un violento scossone, Gervaise riusc a liberarsi, s'appese alla coda della sua crocchia, come se avesse voluto strapparle la testa. La battaglia ricominci, questa volta muta, senza un grido, senza un'ingiuria. Non s'afferravano al corpo, ma miravano alla faccia con le mani aperte e adunche, pizzicando e graffiando dovunque arrivassero. Il nastro rosso e la reticella di ciniglia azzurra della bella bruna vennero strappati, e il suo corsetto, lacerato all'altezza del collo, ne lasci vedere la pelle in alto sulla spalla; mentre la bionda, seminuda, con una manica della camiciola bianca cavata via chiss come, aveva uno squarcio nella camicia che le metteva a nudo la piega della vita. Volavano in aria brandelli di stoffa. Gervaise fu la prima su cui si vide il sangue, tre lunghi graffi che le scendevano dalla bocca al mento. E cerc allora di proteggersi gli occhi, chiudendoli ad ogni colpo, per paura d'essere accecata. Virginie non sanguinava ancora. Gervaise mirava alle orecchie, s'infuriava non riuscendo a raggiungerle. Poi finalmente riusc a stringere uno degli orecchini, una pera di vetro giallo, tir a s con forza, lacer l'orecchio: ne usc del sangue. Si uccidono! Separate quelle scimmie!, gridarono in molte. Le lavandaie s'eran fatte pi vicine. Si formarono due schieramenti: le une incitavano le due donne come cagne che si battono, mentre le altre, pi nervose, tutte tremanti, volgevano il capo, ne avevano abbastanza, ripetevano che avrebbero finito per sentirsi male. E manc poco che la battaglia non si facesse generale: si trattavano l'un l'altra da senza cuore, da buone a nulla; le braccia nude si protendevano, si sent il suono di tre schiaffi. La signora Boche cercava intanto l'inserviente del lavatoio. Charles! Charles!... Ma dove s' ficcato?. Lo trov finalmente in prima fila, che guardava a braccia incrociate. Era alto e poderoso, con un collo enorme. Rideva, godendo alla vista dei pezzi di pelle che le due donne mostravano. La piccola bionda era grassoccia come una quaglia: sarebbe stato divertente, se la camicia le si fosse rotta! Toh!, mormor ammiccando, ha una voglia sotto il braccio!. Come! Siete qui!, grid la signora Boche scorgendolo. Ma aiutatemi invece a separarle... Voi potete certo separarle!. Ah, no! grazie! se devo farlo da solo!, rispose l'altro tranquillamente. Per farmi graffiare gli occhi come l'altro

giorno, vero? Non son qui per questo, avrei troppo da fare... Ma non abbiate paura! Un piccolo salasso non pu far loro che del bene. Le far pi tenere. La portinaia minacci allora d'andare a chiamare le guardie. Ma la padrona del lavatoio, la giovane delicata e dagli occhi malati, vi si oppose formalmente. Ripet a pi riprese: No, no, non voglio, comprometterebbe il mio esercizio. In terra, la lotta continuava. Virginie si risollev di colpo sulle ginocchia. Aveva preso una mestola, la brandiva. La sua voce era cambiata, e rantolava: Attenta a te, cagna! Fammi un po' vedere la tua biancheria sporca!. Gervaise allung velocemente una mano, afferr a sua volta una mestola, la tenne levata in alto come una mazza. Anche la sua voce s'era fatta pi roca. Ah! vuoi fare un gran bucato... Mostrami la pelle, che ne voglio fare degli strofinacci!. Rimasero per qualche attimo in ginocchio, a minacciarsi. Con i capelli sul viso, il petto affannoso, inzaccherate, tumefatte, si sorvegliavano, attendendo, riprendendo fiato. Gervaise assest il primo colpo: la sua mestola scivol sulla spalla di Virginie. Si gett allora di lato per evitare la mestola dell'altra, che le sfior l'anca. Poi, preso l'abbrivio, cominciarono a battersi come le lavandaie battono la loro biancheria, con colpi forti e cadenzati. Quando riuscivano a colpirsi, l'impatto sembrava attutirsi, come quello di una mano in un mastello pieno d'acqua. Attorno a loro, le lavandaie avevano smesso di ridere. Molte erano andate via, dicendo che cose del genere le facevano star male allo stomaco; le altre, quelle che rimanevano, allungavano il collo, gli occhi infiammati da una luce crudele, trovavano coraggiose le due guerriere. La signora Boche aveva allontanato Claude ed Etienne, e si sentiva all'altra estremit della sala lo scoppio dei loro singhiozzi, insieme ai colpi sonori delle due mestole. Ma all'improvviso, Gervaise si mise a urlare. Virginie l'aveva colpita sul braccio nudo, poco pi in alto del gomito, e una macchia rossa affior, la carne si gonfi all'istante. Allora s'avvent. Sembrava che volesse accoppare l'altra. Basta! Basta!, qualcuna grid. Ma la sua espressione era cos terribile, che nessuna os avvicinarsi. Dieci volte pi forte di prima, Gervaise afferr Virginie alla vita, la pieg, le incoll la faccia contro le lastre, le reni in aria, e nonostante i suoi scossoni, le sollev per bene le sottane. Virginie aveva sotto un calzoncino. Gervaise le pass la mano nello spacco, lo strapp, mostr tutto, le cosce nude, le natiche nude, e levata in alto la mestola, cominci a battere, come batteva in altri tempi a Plassans, sul bordo della Viorne, quando la sua padrona lavava la biancheria di tutta la guarnigione. Il legno affondava nelle carni con un rumore soffocato, mentre a ogni colpo una striscia rossa marezzava il bianco della pelle. Oh! oh!, mormorava Charles, l'inserviente, esterrefatto, gli occhi sgranati. Si erano sentite di nuovo delle risate. Ma ben presto il grido:

Basta! basta! ricominci. Gervaise non ascoltava, n sembrava stancarsi. Si dedicava al suo lavoro con impegno, tutta protesa, con l'unica preoccupazione di non lasciare un solo punto intatto. Voleva tutta quella pelle battuta e ribattuta, un'unica lividura. E parlottava, colta da una feroce allegria, ricordando una canzone da lavandaia: Pam! pam! Margot va a lavare... Pam! pam! con la mestola a colpire... Pam! pam! va a lavarsi il cuore... Pam! pam! tutto nero dal dolore.... E riprendeva: E questo per te, questo per tua sorella, questo per Lantier... Quando li vedi, d loro questo da parte mia... Attenta! ricomincio... Questo per Lantier, questo per tua sorella, questo per te... Pam! pam! Margot va a lavare... Pam! pam! con la mestola a colpire.... Le dovettero strappare Virginie dalle mani. La bella bruna, il volto rigato di lacrime, imporporata, confusa, riprese la sua biancheria e si mise in salvo: era sconfitta. Gervaise si riaggiustava intanto la manica della camiciola, si risistemava le sottane. Il braccio la faceva soffrire, e preg la signora Boche di metterle la biancheria sulla spalla. La portinaia rievocava la battaglia, diceva le sue emozioni e voleva esaminarle il corpo, per controllare. Potreste anche avere qualcosa di rotto... Ho sentito un colpo.... Ma la giovane voleva soprattutto andarsene. Non rispondeva alle parole di compassione o alle ovazioni chiassose delle lavandaie che la circondavano, ritte nei loro grembiali. Quando ebbe il suo carico, s'affrett verso la porta, dove i bambini l'aspettavano. Sono due ore, fanno due soldi, le disse fermandola la padrona del lavatoio, gi reinstallata nello stanzino a vetri. Perch due soldi? Gervaise non capiva che le veniva richiesto il prezzo del posto. Ma diede poi i due soldi. E zoppicando visibilmente sotto il peso della biancheria bagnata appesa alla spalla, sgocciolante, il gomito illividito e la guancia insanguinata, se ne and trascinandosi dietro con le braccia nude Etienne e Claude, che le trotterellavano di fianco, ancora scossi e bagnati in volto dai loro singhiozzi. Alle sue spalle, il lavatoio ricominciava a rumoreggiare come un'enorme cascata. Le lavandaie avevano mangiato il loro pane, bevuto il loro vino, e battevano adesso ancora pi forte, i volti accesi, messe in allegria dai fieri colpi di Gervaise e Virginie. Lungo le file dei mastelli, si agitavano di nuovo in una furia di braccia profili angolosi di marionette dalle reni spezzate e dalle spalle sbilenche, che si piegavano violentemente come attorno a delle cerniere. Le conversazioni continuavano da un'estremit all'altra dei corridoi. Le voci, le risate, le parole volgari, si amalgamavano al frastornante gorgoglio dell'acqua. I rubinetti sputavano, i secchi spruzzavano d'intorno, un fiume scorreva sotto le batterie. Era la fatica del pomeriggio, la biancheria battuta a colpi di mestola. Nell'immensa sala, i vapori si facevano rossastri, lacerati soltanto da qualche squarcio tondeggiante di sole, come delle palle d'oro che le tende

strappate lasciavano passare. Si respirava il soffocante tepore degli odori saponosi. All'improvviso, il capannone si riemp d'un bianco vapore: l'enorme coperchio della tinozza in cui ribolliva la liscivia saliva meccanicamente lungo un fusto centrale a cremagliera, e la bocca spalancata del rame, in fondo alla sua muratura di mattoni, esalava turbini di fumo dal dolce sapore di potassa. Di fianco erano in funzione gli strizzatoi: a ogni giro di ruota della macchina, ansimante, fumante, che faceva vibrare ancora pi forte il lavatoio con il continuo lavoro delle sue braccia d'acciaio, i mucchi di biancheria nei cilindri di ghisa risputavano tutta la loro acqua. Entrando nel viale della locanda Boncoeur, Gervaise si rimise a piangere. Era un viale stretto e scuro, con un rigagnolo che costeggiava il muro, per le acque sporche. Nel ritrovare quel fetore, non pot non pensare ai quindici giorni che vi aveva passato con Lantier, quindici giorni di miseria e di litigi, il cui ricordo, in quel momento, era venato da un cocente rimpianto. Le sembr d'entrare nel suo stesso abbandono. In alto, la camera era nuda e piena di sole, con la finestra aperta. Quella striscia di sole, quello sprazzo ondeggiante di pulviscolo d'oro, faceva sembrare ancora pi tristi il soffitto annerito e le pareti dalla carta strappata. Rimaneva soltanto, appeso a un chiodo del camino, un piccolo fisci da donna, attorcigliato come una corda. Il letto dei bambini, tirato al centro della stanza, lasciava adesso libero il cassettone i cui cassetti, rimasti aperti, mostravano i loro fianchi vuoti. Lantier si era lavato e aveva finito la pomata, due soldi di pomata in una carta da gioco: l'acqua resa grassa dalle sue mani riempiva il catino. E non aveva dimenticato nulla, l'angolo occupato un tempo dal baule pareva a Gervaise un'immensa voragine. Non ritrov pi nemmeno lo specchietto rotondo, appeso alla spagnoletta della finestra. Ebbe allora un presentimento, and a guardare sul camino: Lantier aveva portato via anche le bollette, il mucchietto rosa non era pi fra i due candelieri di zinco spaiati. Dopo aver appeso la biancheria alla spalliera d'una sedia, rimase ritta in piedi, guardando i mobili, colpita da un tale stupore da non essere nemmeno in grado di piangere. Le restava un soldo dei quattro soldi tenuti da parte per il lavatoio. Sentendo poi ridere alla finestra Etienne e Claude, ormai consolati, si avvicin, ne prese le teste sotto il braccio, perse per un attimo ogni coscienza di se stessa davanti a quella strada grigia in cui aveva visto, la mattina, il risveglio del popolo operaio, l'immenso lavoro di Parigi. La via, riscaldata dall'affaccendarsi del giorno, s'accendeva adesso in un riverbero ardente al di sopra della citt, dietro il muro del dazio. Ed era appunto in mezzo a quella via, a quell'aria da fornace, che veniva gettata da sola con i bambini. E il suo sguardo prese d'infilata i boulevards esterni, a destra, a sinistra, indugiando alle due estremit, sentendosi cogliere da un sordo spavento, come se ormai la sua vita fosse destinata a svolgersi tutta l, fra un mattatoio e un ospedale. CAPITOLO SECONDO

Tre settimane pi tardi, verso le undici e mezza d'un bel giorno di sole, Gervaise e Coupeau, l'operaio zincatore, stavano mangiando insieme una prugna in acquavite all'Assommoir di pap Colombe. Coupeau, che fumava una sigaretta sul marciapiede, l'aveva obbligata ad entrare, dopo averla fermata mentre attraversava la strada, al ritorno da una consegna di biancheria; e la sua grande cesta quadrata da lavandaia era a terra accanto a lei, dietro il tavolino di zinco. L'Assommoir di pap Colombe si trovava all'angolo fra rue des Poissonniers e boulevard de Rochechouart. L'insegna portava da un capo all'altro e in lunghe lettere azzurre una sola parola: Distillazione. Sulla porta, in due mezzi fusti, si vedevano degli oleandri polverosi. L'enorme bancone s'allungava sulla sinistra di chi entrava, con le sue file di bicchieri, la fontana e i misurini di stagno, mentre la vasta sala tutt'attorno era adornata di grosse botti dipinte di giallo chiaro, luccicanti di vernice, con i cerchi e le cannelle di rame risplendenti. Pi in alto, su delle mensole, bottiglie di liquori, boccali di frutta, ogni sorta di fiale disposte in bell'ordine, nascondevano le pareti, riflettendosi nello specchio dietro al bancone con le loro macchie vivaci, verde mela, oro pallido, lacca tenera. Ma la curiosit della casa era, in fondo, dall'altro lato d'uno steccato di quercia, in un cortile a vetri, la macchina da distillazione, che gli avventori potevano veder funzionare: alambicchi dai lunghi colli, serpentine che s'inabissavano sottoterra, tutta una cucina del diavolo dinnanzi alla quale venivano a sognare gli operai ubriaconi. A quell'ora, l'ora del pranzo, l'Assommoir era in genere vuoto. Un omaccione sui quarant'anni, pap Colombe, in panciotto con maniche, stava servendo una fanciullina d'una decina d'anni, che gli domandava quattro soldi d'acquavite in una scodella. Una striscia di sole entrava dalla porta, scaldando il pavimento di legno sempre inzuppato dagli scaracchi dei fumatori. Dal bancone, dalle botti, da tutta la sala, veniva su un odore liquoroso, un fumo d'alcool, che sembrava inspessire e ubriacare il pulviscolo ondeggiante del sole. Coupeau si stava intanto arrotolando un'altra sigaretta. Aveva un aspetto assai pulito, con il suo camiciotto da lavoro e il piccolo berretto di tela azzurra; sorridendo, mostrava dei denti bianchissimi. Aveva la mascella inferiore un po' sporgente, il naso leggermente schiacciato, degli occhi belli e castani, e una faccia da cagnolino allegro e bonaccione. La sua folta capigliatura arricciata si manteneva perfettamente dritta. Conservava ancora la pelle delicata dei suoi ventisei anni. Dirimpetto a lui, Gervaise, in una casacchina d'orlans nera, a testa scoperta, stava finendo di mangiare la sua prugna, che reggeva in punta di dita per il gambo. Erano vicini alla strada, nel primo dei quattro tavolini schierati lungo le botti, davanti al bancone. Subito dopo aver acceso la sigaretta, lo zincatore s'appoggi con i gomiti sul tavolino, si protese con il volto e guard per un

attimo senza parlare la giovane, il cui grazioso viso di bionda aveva quel giorno una trasparenza lattea di fine porcellana. Poi, alludendo a una questione che solo loro due conoscevano, e che gi avevano dibattuto, domand semplicemente sottovoce: Allora, no? dite di no?. Oh! certo che no, signor Coupeau, rispose tranquillamente Gervaise sorridendo. Non vorrete parlarmi di queste cose proprio qui. M'avevate pur promesso d'essere ragionevole... Se l'avessi saputo, avrei rifiutato il vostro invito. L'altro non aggiunse una parola, ma continu a guardarla sempre da vicino, con il tenero ardimento di chi si offre, affascinato soprattutto dagli angoli delle sue labbra, piccoli angoli d'un rosa pallido, un po' inumiditi, che lasciavano vedere il rosso acceso della bocca, quando sorrideva. Gervaise non si faceva comunque indietro, restava placida e affettuosa. Dopo un breve silenzio, fu ancora lei a parlare: Davvero, non ci pensate pi. Sono una vecchia, ho un figlio grande di otto anni... Che cosa faremmo insieme?. Perdinci!, mormor Coupeau sbattendo gli occhi. Quello che fanno tutti gli altri!. Ma Gervaise ebbe un piccolo gesto di noia. Ah! se credete che sia sempre piacevole! Si vede proprio che non avete mai avuto una famiglia... No, signor Coupeau, devo occuparmi di faccende ben pi serie. Spassarsela non porta a nulla, sapete! Ho due bocche da sfamare, a casa, e macinano forte! Come volete che riesca a tirar su la mia piccola gente, se perdo tempo con le frivolezze?... E poi, sentite, la mia disgrazia mi servita da lezione. Capite, adesso gli uomini non fanno pi per me. Non mi lascer riacciuffare per un bel po'!. Si spiegava senza collera, con grande saggezza, freddissima, come se stesse trattando una questione di lavoro, i motivi che le impedivano, per esempio, d'inamidare un fisci. Era evidentemente convinta di quanto diceva, come se ci fosse arrivata dopo mature riflessioni. Coupeau ripeteva intenerito: Mi date un gran dolore, un gran dolore.... S, lo vedo, riprese Gervaise, e me ne dispiace per voi, signor Coupeau... Ma non dovete sentirvene ferito. Se mi venisse in mente di spassarmela, mio Dio! sarebbe certo con voi piuttosto che con un altro. Sembrate un gran bravo ragazzo, siete gentile. Ci potremmo mettere insieme, vero? e andrebbe avanti finch andrebbe avanti. Non mi do certo delle arie da principessa, non dico che non avrebbe potuto accadere... E poi, perch mai dovrei farlo, se non ne ho voglia?... Da quindici giorni vado dalla signora Fauconnier. I bambini vanno a scuola. Lavoro, sono contenta... E quindi? non forse meglio rimanere cos come siamo?. E si chin per riprendere la sua cesta. Mi fate chiacchierare troppo, dalla padrona mi stanno certo gi aspettando... Ve ne troverete un'altra, che diamine! signor Coupeau, e sicuramente pi carina di me, e che non abbia due marmocchi da tirar su. Coupeau guard l'orologio a occhio di bue inquadrato nello specchio. La fece rimettere a sedere, gridando:

Ma aspettate ancora un po'! Sono solo le undici e trentacinque... Ho ancora venticinque minuti... Non dovete aver paura ch'io faccia chiss quale sciocchezza: c' anche il tavolino che ci separa... Oppure vi disgusto a tal punto che non volete nemmeno fare quattro chiacchiere con me?. Pos di nuovo la sua cesta, per non fargli dispiacere, e parlarono da buoni amici. Gervaise aveva pranzato prima d'andare a consegnare la biancheria, Coupeau aveva mangiato in fretta un po' di zuppa e di carne di manzo, per attenderla al varco. Pur rispondendogli con compiacenza, la giovane continuava ad osservare attraverso i vetri, fra i boccali di frutta sotto spirito, la grande animazione della via, in cui l'ora del pranzo faceva concentrare uno straordinario accalcarsi di folla. Sui due marciapiedi, nella soffocante strozzatura delle case, era tutto un affrettarsi di passi, di braccia penzoloni, un continuo urtarsi di gomiti. Alcuni ritardatari, operai trattenuti al lavoro, i lineamenti induriti dalla fame, attraversavano la strada a grandi falcate, entravano dal panettiere di fronte, e quando ripassavano con la loro libbra di pane sotto il braccio, andavano tre porte pi in su, al Veau Deux Ttes, a consumare un pasto da sei soldi. Accanto al panettiere, c'era anche una fruttivendola che vendeva patate fritte e cozze al prezzemolo: in una fila ininterrotta, operaie in lunghi grembiali portavan via cartocci di patate e scodelle di cozze, mentre altre, delle graziose fanciulle a capo scoperto e dall'aria delicata, compravano mazzi di ravanelli. Piegandosi un po' di lato, Gervaise poteva anche vedere una bottega di pizzicagnolo stracolma di gente, da cui uscivano ragazzini che tenevano in mano, avvolta in una carta bisunta, una cotoletta impanata, una salsiccia o un pezzo di sanguinaccio caldo caldo. Intanto, lungo la strada sempre inzaccherata di nera fanghiglia, anche nei giorni di bel tempo, nello scalpiccio della folla che avanzava, alcuni operai abbandonavano gi le bettole, scendevano a bande, bighellonando, con le mani aperte che battevano contro le cosce, appesantiti dal cibo, placidi e lenti in mezzo agli spintoni di quella calca. S'era formato un gruppo davanti alla porta dell'Assommoir. Senti un po', Bibi-la Grillade, domand una voce arrochita, sta dunque a te d'offrire un giro d'acquavite?. Cinque operai entrarono, rimasero in piedi. Ah! quel ladro di pap Colombe!, riprese la stessa voce. Sapete, ne vogliamo di quella vecchia, e non gusci di noce, dei veri bicchieri!. Pap Colombe serviva imperturbabile. Sopraggiunse un altro gruppo d'operai. A poco a poco le loro casacche si ammucchiavano all'angolo del marciapiede, facevano una breve sosta, finivano per entrare nella sala, passando fra i due oleandri grigi di polvere. Siete una bestia! Non pensate ad altro che a quelle porcherie!, stava dicendo Gervaise a Coupeau. Certo che lo amavo... Ma dopo il modo orribile con cui mi ha lasciato.... Parlavano di Lantier. Gervaise non l'aveva pi rivisto, era convinta che vivesse alla Glacire insieme alla sorella di Virginie, presso l'amico che voleva impiantare una fabbrica di cappelli. Ma

nemmeno si sognava di corrergli appresso. Sulle prime, la cosa le aveva cagionato un gran dolore, aveva perfino pensato d'annegarsi; ma ormai se n'era fatta una ragione, e tutto andava per il meglio. Probabilmente con Lantier non sarebbe mai riuscita a tirar su i bambini, con tutto il denaro che quello si mangiava. Certo, poteva sempre venire ad abbracciare Claude ed Etienne, non gli avrebbe chiuso la porta in faccia. Ma quanto a lei, si sarebbe fatta fare a pezzi prima di lasciarsi toccare da lui anche solo con un dito. E diceva tutte queste cose da donna ben determinata, mentre Coupeau, che non rinunciava al suo desiderio d'averla, volgeva tutto con fare scherzoso in oscenit, le faceva su Lantier delle domande anche assai crude, ma cos allegramente e con dei denti cos bianchi, che la giovane non pensava minimamente a lasciarsene ferire. Insomma, eravate voi a batterlo!, disse alla fine Coupeau. Oh! non siete certo buona! Prendete tutti a colpi di frusta!. Gervaise lo interruppe con una lunga risata. Del resto era vero, aveva pur preso a frustate quella gran carcassa di Virginie. Sarebbe stata cos felice, quel giorno, di strangolare qualcuno! E scoppi a ridere ancora pi forte, mentre Coupeau le raccontava che Virginie, umiliata dall'aver messo in mostra ogni parte di s, s'era decisa a lasciare il quartiere. Il viso di Gervaise conservava comunque una dolcezza infantile: spingeva innanzi a s le mani paffute, ripetendo che non avrebbe fatto male a una mosca; non conosceva le botte se non per averne gi ricevute molte in vita sua. Fin cos per parlare della sua giovinezza a Plassans. Non era certo il tipo da correre dietro agli uomini, gli uomini anzi l'annoiavano. Quando Lantier l'aveva presa, a quattordici anni, le era sembrato bello, perch lui si diceva suo marito, mentre a lei sembrava che giocassero a far gli sposini. Il suo unico difetto, assicurava, era quello d'essere fin troppo sensibile, di voler bene a tutti, d'entusiasmarsi per persone che le facevano poi mille angherie. Cos, quando amava un uomo, non stava a pensare alle sciocchezze, sognava soltanto di poter vivere sempre insieme, di poter essere sempre felice. E poich Coupeau sogghignava ricordandole i due figli, che non aveva certo trovato sotto un cavolo, gli diede dei buffetti sulle dita, e aggiunse che anche lei, naturalmente, era fatta dello stesso stampo delle altre donne, ma che tuttavia si aveva torto a credere le donne sempre intente a correr dietro a quelle cose: le donne pensavano alla famiglia, si facevano in quattro per la loro casa, e si coricavano troppo stanche, la sera, per non mettersi a dormire all'istante. Lei rassomigliava del resto alla madre, una gran lavoratrice, morta dalla fatica, che aveva fatto da bestia da soma a pap Macquart per pi di vent'anni. Era ancora un po' mingherlina, lei, mentre la madre aveva certe spalle da buttar gi le porte quando passava. Ma questo non contava, le rassomigliava soprattutto per la sua mania d'affezionarsi alle persone. Anche il fatto che zoppicava un po' le veniva da quella povera donna, che pap Macquart picchiava a sangue. Mille volte la madre le aveva raccontato delle notti in cui il padre, tornando a casa ubriaco, si mostrava d'una galanteria cos brutale da fracassarle le membra; e di certo lei doveva esser spuntata fuori in una di quelle notti, con la sua gamba in ritardo.

Oh! ma non quasi nulla, non si vede nemmeno, disse Coupeau per farle la corte. Gervaise sollev il mento: sapeva bene che invece si vedeva, a quarant'anni sarebbe stata rotta in due. Poi, dolcemente, con un piccolo sorriso: Avete proprio degli strani gusti, se amate una zoppa!. Allora Coupeau, sempre con i gomiti sul tavolino, facendosi ancora pi vicino con la faccia, cominci a farle dei complimenti con parole pi audaci, come per inebriarla. Ma Gervaise continuava sempre a rispondere di no con la testa, senza lasciarsi tentare, bench lusingata da quella voce carezzevole. Ascoltando, guardava all'esterno, sembrava interessarsi di nuovo alla folla che aumentava. Adesso, nelle botteghe deserte si stava dando un colpo di scopa; la fruttivendola ritirava la sua ultima padellata di patate fritte, mentre il pizzicagnolo rimetteva in ordine i piatti sparpagliati sul suo bancone. Da tutte le bettole uscivano frotte di operai: omaccioni con tanto di barba si spingevano l'un l'altro a manate, giocavano come ragazzini, con il frastuono delle loro grosse scarpe chiodate, graffiando il selciato in una scivolata; altri, con le mani affondate nelle tasche fumavano con aria pensosa, gli occhi rivolti verso il sole, le palpebre che sbattevano. Era una vera invasione del marciapiede, della carreggiata, dei rigagnoli, un flusso pigro che scorreva dalle porte aperte, si fermava in mezzo alle carrozze, formava una scia di casacche, di camiciotti e di vecchi cappotti; e tutto impallidiva e si scoloriva sotto la striscia di luce bionda che prendeva d'infilato la via. Si sentivano suonare in lontananza le campane delle officine; ma gli operai non s'affrettavano, riaccendevano le pipe, rialzavano le spalle, e dopo essersi richiamati a vicenda da un vinaiolo all'altro, si decidevano a riprendere la via che li portava al lavoro, strascicando i piedi. Gervaise si divert a seguire con lo sguardo tre operai, il primo alto e gli altri due bassi, che si voltavano indietro ogni dieci passi: finirono per scendere la via e vennero diritti all'Assommoir di pap Colombe. Ah! bene, mormor Gervaise, ecco tre veri fannulloni!. Toh!, disse Coupeau, quello alto lo conosco, MesBottes, un mio compagno. L'Assommoir si era riempito. Si parlava gridando, con scoppi di voce che squarciavano il grasso mormorio delle raucedini. Di quando in quando, dei pugni lasciati cadere sul bancone facevano tintinnare i bicchieri. Tutti in piedi, le mani incrociate sul ventre o dietro la schiena, i bevitori formavano dei piccoli gruppi, stretti gli uni agli altri; alcune compagnie, accanto alle botti, dovevano aspettare anche un quarto d'ora prima di poter ordinare il loro giro a pap Colombe. Come! quell'aristocratico di Cadet-Cassis!, si mise a gridare Mes-Bottes, dando una gran manata sulla spalla di Coupeau. Un bel signorino che si fa le sigarette con le cartine e ha certa biancheria!... Vogliamo dunque far colpo sull'amichetta, offrendole delle prelibatezze!. Eh! non mi scocciare!, rispose Coupeau, assai contrariato. Ma l'altro sghignazzava. Basta! siamo all'altezza della situazione, mio caro

buonuomo... I cafoni restano pur sempre dei cafoni, ecco!. E volse di nuovo le spalle, dopo aver lanciato un'orribile occhiata a Gervaise. La giovane si ritrasse alquanto spaventata. Il fumo delle pipe, l'acre sentore di tutti quegli uomini, montavano nell'aria satura di alcool. Si sentiva soffocare, scossa da piccoli colpi di tosse. Oh! che brutta cosa il bere!, disse sottovoce. E raccont che un tempo beveva l'anissette con la madre, a Plassans. Ma un giorno per poco non ne era morta, e la cosa l'aveva disgustata per sempre: adesso non sopportava pi nessun liquore. Vedete!, aggiunse indicando il suo bicchiere, ho mangiato la prugna, ma lascer il sugo, mi farebbe male. Nemmeno Coupeau riusciva a capire come si potessero bere tanti bicchieri pieni d'acquavite. Una prugna ogni tanto certo non poteva far male. Ma quanto all'acquavite, all'assenzio e a tutte le altre porcherie del genere, buona notte! davvero non se ne sentiva il bisogno. I suoi compagni potevano anche prenderlo in giro: lui continuava a rimanere sulla porta, quando quegli ubriaconi andavano a ficcarsi in qualche distilleria. Pap Coupeau, ch'era stato zincatore come lui, s'era sfracellato la testa sul selciato di rue Coquenard, un giorno di bisboccia, precipitando dalla grondaia del n. 25: un ricordo che, nella sua famiglia, li rendeva tutti sobri. Ogni volta che passava per rue Coquenard e rivedeva quel punto, avrebbe bevuto l'acqua dei rigagnolo piuttosto che mandar gi anche solo un bicchiere di vino offertogli gratis da qualche vinaiolo. E cos concluse: In un mestiere come il nostro, bisogna avere le gambe ben salde. Gervaise aveva ripreso la cesta, ma non si alzava: la teneva sulle ginocchia, con gli occhi smarriti, sognante, come se le parole del giovane operaio avessero risvegliato in lei chiss quali lontani pensieri di un'altra esistenza. E riprese a parlare, lentamente, senza nesso apparente: Mio Dio! non sono certo un'ambiziosa, non domando granch... Il mio ideale sarebbe di poter lavorare tranquillamente, aver sempre di che mangiare, un buco il pi possibile pulito per dormire, sapete! un letto, un tavolo e due sedie, nulla di pi... Ah! vorrei anche poter allevare come si deve i miei bambini, fare di loro dei bravi cittadini, se fosse possibile... Avrei anche un altro ideale: di non esser battuta, s, se mai rimettessi su famiglia, no, non mi piacerebbe certo d'essere battuta... Ecco tutto, vedete? ecco tutto.... Analizzava se stessa, interrogava i suoi desideri, non trovava null'altro di serio che la tentasse. Ma dopo una piccola esitazione, riprese: S, si pu alla fine desiderare di morire nel proprio letto... Dopo aver sfacchinato per tutta la vita, morirei volentieri nel mio letto, a casa mia. E si alz. Coupeau, che approvava con calore le sue aspirazioni, era gi in piedi, un po' in pensiero per l'ora. Ma non uscirono immediatamente. Gervaise, per semplice curiosit, volle andare a vedere, in fondo, oltre lo steccato di quercia, il grande alambicco di rame rosso, in piena attivit sotto i chiari

vetri del piccolo cortile; e lo zincatore, che l'aveva seguita, le illustr in che modo funzionava, indicandole con il dito i diversi pezzi dell'apparecchio, mostrandole la gigantesca storta da cui colava un limpido filo d'alcool. Con i suoi vasi dalla forma pi strana, le sue spirali senza fine di tubi, l'alambicco aveva un aspetto quanto mai cupo: non ne usciva nemmeno un soffio di fumo, si sentiva a malapena una sorta di respiro interiore, un russare sotterraneo. Sembrava la fatica notturna compiuta in pieno giorno da un lavoratore ombroso, possente e muto. Intanto Mes-Bottes, seguito dai suoi compagni, era venuto ad appoggiarsi con il gomito sullo steccato, nell'attesa che un angolo del bancone si liberasse. La sua risata rassomigliava allo stridere d'una puleggia male ingrassata: scrollava il capo, con gli occhi commossi e fissi sulla macchina fatta apposta per gli ubriaconi. Fulmini di Dio! com'era bella! C'era, in quel gran ventre di rame, di che rinfrescare l'ugola per almeno otto giorni. Avrebbe voluto che gli saldassero fra i denti uno dei capi della serpentina, per sentire l'acquavite ancora calda che lo riempiva, gli scendeva fino ai talloni, ancora, ancora, come un ruscelletto senza fine. Che diamine! non si sarebbe pi mosso da l: altro che i bicchierini piccoli come dei ditali di quell'avaraccio di pap Colombe! E i suoi compagni sogghignavano, dicevano che quel bestione di Mes-Bottes aveva perlomeno un modo tutto suo di parlare. Sordamente, senza una fiamma, senza nemmeno un guizzo nei riflessi spenti dei suoi rami, l'alambicco continuava a lavorare, lasciava colare il suo sudore d'alcool, simile a una sorgente lenta e ostinata che sembrava, a lungo andare, voler invadere tutta la sala, riversarsi sui boulevards esterni, inondare l'immensa fossa di Parigi. Gervaise, colta da un fremito, indietreggi; e si sforz di sorridere, mormorando: Lo so, sciocco, ma mi d i brividi, questa macchina... il bere mi d i brividi.... Poi, tornando sulla vagheggiata idea d'una perfetta felicit: Eh, non ho ragione? non sarebbe meglio cos: lavorare, aver sempre di che mangiare, avere un buco tutto per s, allevare i bambini, morire nel proprio letto.... E non essere battuta, aggiunse Coupeau allegramente. Ma certo non vi batterei io, se solo voi voleste, signora Gervaise... Non dovete aver paura, non bevo mai, e poi vi amo troppo... Allora, per stasera, ci terremo al caldo. Aveva abbassato la voce, le parlava quasi all'orecchio, mentre Gervaise si faceva strada spingendo la cesta in avanti. Ma disse ancora di no con la testa, a pi riprese. E tuttavia si voltava verso di lui, gli sorrideva, sembrava felice di sapere che l'altro non beveva. Certo, gli avrebbe detto volentieri di s, ma aveva giurato a se stessa di non rimettersi mai pi con un uomo. Guadagnarono alla fine la porta, uscirono. Alle loro spalle, l'Assommoir era ancora pieno e faceva arrivare fin sulla strada il frastuono delle voci arrochite e l'odore liquoroso dei giri d'acquavite. Si sentiva Mes-Bottes trattare pap Colombe da farabutto, accusandolo di avergli riempito il bicchiere soltanto a met. Lui era troppo per bene, un allocco, una vittima. Ah! accidenti! il capo poteva anche venirlo a stanare, lui non sarebbe tornato in officina, aveva la fiacca. E proponeva ai due

compagni d'andare al Petit Bonhomme qui tousse, una gran bella distilleria della barriera Saint-Denis, dove si poteva bere dell'alcool purissimo. Ah! si respira, disse Gervaise sul marciapiede. Ebbene! addio, e grazie, signor Coupeau... Torno subito a casa. S'incamminava gi lungo il boulevard, ma Coupeau, che le aveva preso la mano, non la lasciava andar via e ripeteva: Fate il giro insieme a me, passate per rue de la Goutted'Or... Non allungate nemmeno... Devo andare da mia sorella, prima di tornare al cantiere... Ci faremo compagnia. Gervaise fini per acconsentire, e risalirono insieme lungo rue des Poissonniers, fianco a fianco, senza nemmeno prendersi per il braccio. Coupeau le parlava della sua famiglia. La madre, mamma Coupeau, un tempo lavorante in panciotti, doveva adesso far la donna delle pulizie, per colpa degli occhi che le si andavano sempre pi indebolendo. Aveva appena compiuto sessantadue anni, il 3 del mese trascorso. Lui era il pi giovane. Una delle sue due sorelle, la signora Lerat, una vedova di trentasei anni, lavorava nei fiori e abitava in rue des Moines, a Batignolles. L'altra, di trent'anni, aveva sposato un fabbricante di catenelle, quell'acquacheta di Lorilleux. Era da quest'ultima che stava andando, in rue de la Goutte-d'Or. Abitava nel gran caseggiato a sinistra. Tutte le sere, mangiava in casa dai Lorilleux, era un risparmio per tutti e tre. Passava quindi da loro per avvertirli di non aspettarlo: quel giorno, era stato invitato da un amico. Gervaise, pur ascoltandolo, l'interruppe improvvisamente per domandargli sorridendo: E cos, vi chiamate Cadet-Cassis, signor Coupeau?. Oh!, rispose l'altro, un soprannome che mi hanno dato i compagni, perch prendo sempre del cassis, quando mi trascinano a forza da qualche vinaiolo... Sempre meglio chiamarsi Cadet-Cassis che Mes-Bottes, vero?. Certo, non male, Cadet-Cassis, conferm la giovane. E gli chiese poi del suo lavoro. Coupeau continuava a lavorare dietro il dazio, al nuovo ospedale. Oh! il lavoro non ma