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Elide Pittarello

RAMÓN GÓMEZ DE LA SERNA:EL RASTRO O LE NOVITÀ DEL RIGATTIERE

La imagen lo es todo.

Azorín

1. L'abisso fuori porta.

Senza venir meno alle convenzioni narrative più tradizionali che per prima cosa mo-strano attraverso la descrizione l'oggetto del proprio racconto, nel 1915 Ramón Gómez dela Serna inaugura il primo capitolo de El Rastro (1) -significativamente intitolato Panora-ma real - con un pittoresco cumulo di notizie che stanno a mezza strada tra la nota antropo-logica e l'osservazione urbanistica. Di povera gente e povere case è costituito infatti lo spazio

(1) Ramón Gómez de la Serna, El Rastro, Valencia, Sociedad Editorial Prometeo, s.d. (1915). Le citazioni deltesto si riferiscono a questa prima edizione. Per quanto riguarda la bibliografía specifica, El Rastro non si trova cer-to fra le opere che godono di maggiore attenzione presso i critici. Ve ne sono comunque alcuni che lo ritengono untesto importante, come p. es. Alfonso Reyes, Ramón Gómez de la Serna, Obras Completas, México, Fondo deCultura Económica, 1956, IV, p. 189; Julián Marías, Ramón y la realidad, in Al margen de estos clásicos, Madrid,Afrodisio Aguado Editores-Libreros, 1967, pp. 301-309; José Camón Aznar, Ramón Gómez de la Serna en susobras, Madrid, Espasa-Calpe, 1972, pp. 116-121; Francisco Umbral, Ramón y las vanguardias, Madrid, Espasa-Cal-pe, 1978, pp. 165-166; Gaspar Gómez de la Serna, Ramón. (Vida y Obra), Madrid, Taurus, 1963, p. 65. Per quantoriguarda l'imponente bibliografía dell'autore, il panorama più articolato delle sue edizioni e riedizioni si può consul-tare nella singolare opera a carattere biografico di Rafael Flórez, Ramón de Ramones, Madrid, Editorial Bitácora,1988, pp. 449-469. Per una selezione della bibliografia critica, v. invece Gaspar Gómez de la Sema, Ramón cit., pp.295-305, da integrare con Teodoro Llanos Alvarez, Aportación al estudio de las greguerías de Ramón Gómez de laSerna. Origen y evolución, Tesis doctoral, Facultad de Filología, Universidad Complutense de Madrid, 1980,pp.748-768. A cura di vari autori v. inoltre: Ramón en cuatro entregas, 4 voli., Madrid, Museo Municipal, 1980; ildossier dedicato all'autore dalla rivista "Quimera", nn. 27 e 31, 1983; VHommage a Ramón Gómez de la Serna(1888-1963), Paris, Centre Georges Pompidou, Novembre 1983. Esistono poi anche molti inediti, in differenti stadidi elaborazione, per la cui descrizione v. Rodolfo Cardona, Del archivo de Ramón en la universidad de Pittsburgh:El hombre de alambre, in "Boletín de la Fundación Federico García Lorca", 5, junio de 1989, pp. 11-20.

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Elide Pittarello

che occupa il caratteristico mercato delle pulci di Madrid, intuito da lontano come luogo pros-simo al caos. Scrive l'autore che

brota el Rastro en larga vertiente, en desfiladero,con un frontis acerado y violento de luz y cielo, uncielo bajo, acostado, concentrado, desgarrado, quese abisma en el fondo, allá abajo, como detrás deuna empalizada sobre el abismo.

(P-21)

Abbiamo conferma che si tratta di un posto diverso dal normale anche dal fatto che Gó-mez de la Serna ne immagina l'accesso come una sorta di passaggio accidentale tra luoghidi diversa natura, contigui ma di per sé non affini né comunicanti. Perduta presto ogni deno-tazione veridica, l'entrata al Rastro si materializza in forma inaspettata, come per effetto diuna rivelazione che preannuncia un evento inatteso:

Así se hace el transbordo en el Rastro, que escomo una salida de túnel, con esa luz como dadade improviso, esa luz agria, esa luz blancuzca delas afueras en rampa, desniveladas, bajetonas, esaluz con que se abren las ciudades que son obs-curas entre sus altos edificios. Es un transbordoimprevisto como al encontrar en un cercado envez de la puerta viable la brecha furtiva, esa heri-da de las tapias tan visionaria, tan luminosa, tandesahogada, tan liberadora.

(p.22)

Così, quello che per l'autore doveva essere un panorama reale diventa subito uno sce-nario simbolico, prima contemplato e poi conquistato varcando la soglia immaginaria diuna immaginaria frontiera, oltre la quale comincia l'avventura di due grandi "continentes decosas, largos de recorrer, vastos, llenos de malezas interesantísimas"(p.31). Per colui che,fin da giovanissimo, in città si sentiva tanto stranito da doversi considerare un selvaggio(2), quella breccia segreta, quella ferita nascosta segna un preciso confine: da un lato resta

(2) E' quanto afferma l'autore in Morbideces, Madrid, Imprenta "El trabajo", 1908, p. 74. L'organizzazionedella città, infatti, non permette a chi vi abita un pensiero "evasivo y rebelde" (ivi, p. 73), consecuente alla svaluta-zione della razionalità occidentale e dei suoi prodotti culturali (cfr. ivi, pp. 26-27). Lo sguardo primitivo, non cere-brale, dovrebbe dare a tutte le cose "un nuevo aspecto manso, silvestre, ácueo, ecléctico..." (ÍVÍ, p. 27). E pure al-trove, in quello stesso periodo, esclama l'autore: "¡Fantàstico sueño de ser un Robinson Crusoe!"(Ramón Gómezde la Serna, Mis siete palabras (Pastoral), in Una teoría personal del arte. Antologia de textos de estetica y teoriadel arte. Edición de Ana Martínez-Collado, Madrid, Tecnos, 1988, p. 91).

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Ramón Gómez de la Serna: El Rastro o le novità del rigattiere

in alto il territorio strutturato del centro metropolitano, dall'altro si apre in basso uno spac-cato scomposto della sua periferia, quasi una incolta terra di nessuno che divide la civiltàdalla sua negazione (3), il mondo conosciuto dall'ignoto naturale, una specie di ultimaspiaggia "cerrada y sucia en que la gran ciudad -mejor dicho-, las grandes ciudades y lospueblecillos desconocidos mueren, se abaten, se laminan" (p.XI).

La geografia diventa dunque allegoria: il moto discensionale che caratterizza le rappre-sentazioni di questo pittoresco mercato assume il senso mitico della caduta contemplata nel-la sua fase ultima, immediatamente prima dell'abisso, quando l'annientamento è prossimoma non ancora compiuto (4). Il luogo che era stato per anni la meta prediletta del girovagarecittadino di Gómez de la Serna, è dunque elevato a tema letterario da cui prende forma uneterodosso breviario di etica e di estetica.

Sicuramente la definizione non sarebbe piaciuta all'autore, che fra le molte e disperseistruzioni di lettura affidate al "Pròlogo", sottolinea con enfasi come questo sia un libro"idiota, dramático y regocijante" (p. XVIII), il logico prodotto, cioè, di un neofita del nichi-lismo (5) che era convinto di dover approdare, attraverso la pratica di una impietosa autoi-ronia, alla "idiotez final, desenlazada y maligna, la idiotez inevitable y liberadora" (p.XVIII).

Lungi dal proporsi come una guida turistica di pubblica utilità o una commemorazione la-crimevole ad uso privato, El Rastro intende mostrare il malessere di un'epoca di crisi, apparen-temente incapace di dare nuove risposte a vecchie domande. Non si tratta, quindi, della sempli-ce cronaca di una passeggiata fuori dal centro urbano, ma della costruzione di un viaggioesemplare in un luogo modello. Ne deriva uno speciale apprendistato, perché speciale è anchequella "viva lección de cosas" (p. XIX), racchiusa da Gómez de la Serna in una formula lingui-stica dalla sintassi ellittica che ben rappresenta, in modo mimetico, il vissuto altrettanto ellitticodel suo referente:

"El objeto y sus greguerías: el objeto y su nimboestricto. El objeto espontáneo, crudo, plástico, cí-nico, abundante, irónico, animoso ante la muertey bastándose a sí mismo".

(p.VIII)

(3) Sulle configurazioni di mondi diversi dal nostro, cfr. Cesare Segre, Fuori dal mondo. I modelli nella fol-lia e nelle immagini dell'aldilà, Torino, Einaudi, 1990. Una anticipata configurazione de El Rastro del 1915 si tro-va anche in Ramón Gómez de la Serna, El libro mudo (Secretos), Nota a la Edición e Introducción di Ioana Zlote-scu, México-Madrid-Buenos Aires, Fondo de Cultura Económica, 1987, pp.243-263. Pubblicata in un primo mo-mento nella rivista "Prometeo", l'opera fu riproposta come libro nel 1911.

(4) A proposito dell'immagine dell'abisso e delle sue ripercussioni filosofiche a partire da Hòlderlin, cfr.Martin Heidegger, Perché ¡poeti?, in Sentieri interrotti, Firenze, La Nuova Italia, 1989, pp. 247-297.

(5) Particolarmente esplicito in Morbideces, op. cit. Quanto alla personale relazione con il Rastro, l'autore dicene El libro mudo cit., p. 245: "Es donde aprendí sólidamente mas nihilismo ex-cátedra". Sulla specifica influenza diNietzsche in Gómez de la Sema, cfr. Gonzalo Sobejano, Nietzsche en España, Madrid, Gredos, 1967, pp. 505-510 e587-593.

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2. Una rivolta per immagini.

Ventagli, monete, pipe, coltelli, bottoni, bastoni, letti, poltrone, pentole, porcellane, om-brelli, occhiali, vestiti, sculture, animali vivi o impagliati, armi, strumenti musicali, ferri,quadri, fotografie e ancora, parafrasando i titoli dello stesso Gómez de la Serna, un mucchiodi altre cose e di futilità. Sono questi alcuni degli strampalati abitanti del Rastro, cui si ag-giungono singolari campioni di umanità -certi mendicanti, una vecchia strega, un carlista-che hanno poco da spartire con la massa pur variopinta di chi vende, o compra, o semplice-mente curiosa. Si tratta di molti oggetti e di poche persone che vivono ai margini della ci-viltà, estranee alle gerarchie di valori più consuete, esiliate dall'ambito della cultura borghe-se e perfino proletaria, ma per questa stessa ragione libere dall'asservimento ai ruoli che neconseguono. Queste rovine della società occidentale, queste sue spoglie declassate e negletteche inscenano spettacoli inusitati attraverso forme di relazione completamente impure (cfr.pp. XI-XII), appaiono qui restituite al "momento de paz y caridad después del éxodo y lamala vida" (p.XII), al tempo cioè che precede la consumazione finale.

Il demiurgo di un simile universo che non è più di questo mondo ma che ancora non sisbriciola nel definitivo aldilà della materia, è lo stesso Gómez de la Serna. È suo ogni antrodi rigattiere, suo ogni carretto fermo lungo la strada, suo ogni fagotto aperto fra la polvere ei sassi: qualunque parte del Rastro, dentro e fuori, sotto e sopra, viene frugata da una men-te avida e inquisitrice che ama farsi sorprendere da apparizioni sempre diverse, per potercontinuare indefinitamente l'esercizio amatissimo della "greguería", dato che "ahi se vivefuera del plano provincial en regiones escondidas y aisladas en que se desvaría" (p.31).

Delirare a occhi aperti. È questo il programma di un metodico scardinamento dell'enciclo-pedia vigente, il sovrano arbitrio associativo che, fra interminabili fughe metonimiche, audacideformazioni iperboliche, prolungati innesti comparativi, trasfigurazioni metaforiche a catena,esautora tutti i sistemi di catalogazione e interpretazione del mondo che sono in uso. Sempresulla base, tuttavia, di un riscontro tangibile, di una concreta verifica dell'esistente che, primadi essere trasformato o negato, deve essere ancora una volta percepito e riconosciuto (6). Par-tendo infatti da ricognizioni ostinatamente sensoriali, Gómez de la Sema sostiene che

no es la fantasía la que hace ver lo posible, sinouna rara seguridad que cuenta con la realidadmás estricta. Los caminos largos, comunes ymendaces de la fantasía, por los que se podríallegar a hacerlo coincidir todo aquí, viciarían laverdadera emoción con su exceso de lo pintores-co, con su abominable efectismo.

(p.114)

(6) Sulla percezione come schema euristico e processo inferenziale, cfr. Carlo Sini, / segni dell'anima. Sag-gio sull'immagine, Roma-Bari, Laterza, 1989, pp. 26-37. Meritoria, benché dispersiva nel metodo e incerta nelleconclusioni, è la classificazione dell'immagine in Gómez de la Sema tentata da María Luisa García-Nieto Onru-bia. El mundo imaginativo de Ramón Gómez de la Serna, Tesis doctoral. Facultad de Filosofía y Letras, Universi-dad de Salamanca, 1973.

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II pensiero visionario di Gómez de la Serna, naufragando deliberatamente fra empiri-smo e irrazionalismo, indugia soltanto su ciò che passa al vaglio della sua percezione, cer-ca la 'verità' solo in ciò che di volta in volta egli può toccare, annusare, ascoltare, assaggia-re, ma soprattutto guardare, limitandosi alle realtà minime e decontestualizzate di miserioggetti che "con la cultura del pequeño espacio corrigen las ideas extensas y soporíferas yvacuas de las grandes imágenes" (p.XIII). Ne risulta una concezione disarticolata e con-vulsa che non legittima né i metodi né le finalità del paradigma cognitivo ordinario; anzi,scartate di proposito le ragnatele metafisiche sia dell'idealismo che del positivismo, smagliain modo definitivo ogni presunta unità e sistematicità del sapere. "Ya todo aquí se revelapor partes.", scrive l'autore. "Ya la abstracción, la idea de conjunto se rompe, se pierde, seolvida. La visión del Rastro en perspectiva se descompone, y pequeñas perspectivas nos en-cierran absolutamente en su horizonte"(p.31).

Dunque il Rastro come frantumata imago mundi, dove l'evidenza del fallimento per-mette di esaltare quel che ipoteticamente avrebbe potuto essere, a scapito di quel che è statodavvero. Il Rastro come inesauribile emporio di potenzialità, come flessibilissimo "lugarde imágenes y de asociaciones" (p.XV), dove ammassi scompaginati di cose fanno fiorirecongetture riguardanti mille altre esistenze. Per esempio quelle liberate da specchi smemo-rati, il cui fondo si presenta come un "laberinto de laberintos" (p.159); o al contrario quelleiscritte nelle cornici vuote che esibiscono "el pequeño vértigo de su ventana abierta, la in-quietante huella de su cuadro" (p.179). Sono schegge di simulacri effimeri, incompiuti, flut-tuanti, espressi da un discorso smozzicato -dove la descrizione prevale sulla narrazione, ilpredicato nominale sul predicato verbale- che non intende ricadere nella logica dogmaticadel racconto canonico, nella necessaria coerenza della testimonianza fattuale, nel funzionaleopportunismo dell'argomentazione verosimile, proprie dell'artificioso assetto di un univer-so ormai destituito di importanza. Nel Rastro che tutto livella e tutto dissacra, qualunquecosa diviene concepibile e plasmabile altrimenti, all'insegna di un animismo antropocentri-co che privilegia i processi di decadimento o le testimonianze di umiltà: si tratti indifferen-temente di una tazzina spaiata, di un candelabro rotto, o di quella testa di Cristo forse segatada ladri frettolosi, che "modificando la historia de la muerte del Señor lo tornaron más hu-mano" (p. 127).

Sfruttando oltre la norma le finalità creative (e critiche) della letteratura, il polemicoGómez de la Serna celebra dunque la fine dell'umanesimo accumulando innumerevoli im-magini di tutto quello che la propria civiltà specialmente non è e non è stata , affastellandocon pari dignità rappresentazioni eterogenee che nascono dal concreto mondo delle cosesenza mai svanire nella sfera astratta delle idee (7). Un modo per fare del Rastro non unmonumento alla memoria, ma un affollato teatro di fantasmi; la costruzione di una labilerealtà in cui le più minuscole presenze non sono che indizi di assenze infinite; il principioproduttivo di dimensioni sovra-razionali che dilatano lo spazio e moltiplicano il tempo.

(7) "L'immagine è a mezza via tra percezione e concetto perché il suo oggetto non è né assolutamente esi-stente (come nella percezione) né assolutamente inesistente (come nel concetto). Esso è invece un'esistenza eun'inesistenza: sia perché esistente altrove, sia perché non esistente né qui né altrove (il che non significa però ine-sistente in assoluto)." (Sini, op. cit., pp. 13-14).

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3. Verso il naufragio.

In questo personale 'dis-inventario' del mondo che immagina il molto che non c'è apartire dal poco che esiste, è anche possibile operare alla rovescia. Attingendo ai procedi-menti del 'pensiero selvaggio' che per magia reifica la parola, l'autore osserva a un certopunto che nel Rastro ci vorrebbe un cipresso, presenza salvifica che mette in contatto mondidi norma separati. Esso è infatti, da un lato, l'albero "más firme, más sensato, el que embe-be mejor el azul" (p.81); dall'altro è l'albero che si alimenta della "savia negra, espesa yfértil de todas estas cosas" (p.82); l'albero, insomma, che "indicaría la fuerza de la tierra ycómo de las ruinas se levanta la reparación, el olvido y la inconsciencia mejorada" (p.83),preposto a convogliare simbolicamente le miserie terrestri verso le libertà celesti, a distilla-re verso l'alto tutto ciò che sta in basso.

Ma non basta. Più oltre, Gómez de la Serna aggiunge che ci starebbe bene anche unabarca abbandonata, un battello "paradójico, insòlito, muerto de ahogo, de imposibilidad..."(p.156) che venisse a rappresentare "la contribución de los mares a este muestrario total"(p.154). Affiancata a quella del cipresso, l'immagine della barca costituisce un altro pontesimbolico gettato fra la civiltà agonizzante del dentro e la forza sempre viva dei fuori. Co-me l'aria, la terra e il fuoco, l'acqua raffigurata dal mare, oltre ad essere per Gómez de laSerna il quarto elemento di una cosmogonia elementare che racchiude la nascita e la finedella civiltà, rinvia anche all'incommensurabilità dell'universo, presentandosi come la 'tra-duzione' congiunta di uno spazio e di un tempo sovrumani:

Aquí donde se siente la presencia, la proximidaddel mar, quizás porque el tiempo, que aquí tandensa revelación tiene, es un mar verdadero,quizá porque aquí todo se conflagra, se piensaque estaría bien hallar un barco para completar lalección inaudita del Rastro.

(pp. 155-156)

L'esistenza simmetrica delle abituali coordinate spazio-temporali affonda in questomare, vi si annulla, facendo perdere al soggetto il suo consueto punto d'osservazione dellarealtà, il suo hic et nunc, e con esso la possibilità stessa della memoria e del divenire. Ogninormale prospettiva si dissolve, così come si spegne ogni normale aspettativa (8), nel mol-tiplicarsi di relazioni ipotetiche e casuali che eludono idealmente sia il principio di perti-nenza che quello di selezione. Almeno in linea teorica, qualunque ente può essere localizza-to in un qui che comprende anche un altrove, in un adesso che non distingue il prima daldopo. Per questo speciale osservatore, per questo fabbricatore di immagini incongruenti chetendono all'ubiquità e all'ucronia, il Rastro è un territorio situato quasi fuori dal mondo, in

8) Sulla mutua implicazione spazio-temporale di questi termini, cfr. Giacomo Marramao, Minima tempora-lia. Tempo spazio esperienza, Milano, II Saggiatore, 1990, specialmente pp. 47-56.

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prossimità dell'abisso di cui riesce a anticipare vari spazi e a condensare molti tempi. E peramore non di completezza, ma di illimitata apertura.

Nel luogo della chimera, accanto al cipresso cresciuto altrove o al mare che evidente-mente non bagna Madrid, perché non sospettare incognite presenze del passato come peresempio la dentiera sarcastica di Schopenhauer o il manoscritto perso di Oscar Wilde (cfr.p.114)?; e, d'altro canto, perché non ipotizzare già ulteriori presenze dell' avvenire, anticipa-te in parte da un groviglio di macchine ermetiche e inservibili, che sognano i paradisi delleteorie che le hanno generate (cfr. pp.217-220)? Nel Rastro tutto è possibile perché non so-pravvive l'orgoglio dei bei tempi andati, né cresce la speranza di stagioni migliori; vi prolife-ra solo un tempo non orientato (e dunque uno spazio non definito) che nessuno strumento èin grado di misurare; meno che mai gli orologi guasti del Rastro, che vanno avanti, che van-no indietro, che insomma si muovono "en una hora indiferente á los deberes y á las morales,hora solitaria, desprendida, infinita, devanada, caída, sin era ni número" (p.69).

Irridendo a quello che nella cultura di fine secolo corrisponde agli ordini di grandezzapiù elevati o ai gradi di importanza più notevoli, e in genere a tutto quello che vi riscuote ilripetuto consenso che garantisce la stabilità delle funzioni segniche, Gómez de la Serna simostra nemico dell'organicità, della durevolezza, di quella metodica strutturazione del casoche corrisponde alla moderna episteme. L'insubordinato visitatore del Rastro rifiuta senzacompromessi la dominante cronologia vettoriale, l'occidentale freccia del tempo con le sueobbligatorie spazialità, con la sua mitologia di un progresso che mummifica ciò che è statoper poter meglio prevedere ciò che sarà (9). Sebbene fosse buon amico di Marinetti, i cuiproclami e manifesti aveva diffuso in Spagna con solerte tempestività, Gómez de la Sernaqui non sembra per nulla toccato dalle veemenze futuriste. Ogni atteggiamento iconoclastasupponeva una demonizzazione dell'esistente di intensità almeno pari alla fede nell'avveni-re, e invece niente gli è più estraneo della 'volontà di potenza' tecnologica, in qualunqueconcezione essa venga calata. Anzi, in quel momento egli era così poco coinvolto dalla ge-nerale idolatria della modernità (10), che con tono dimesso ma fermo sentenziava: "En elRastro habrá pronto, caído y tranquilo, un aeroplano, y ese hombre automático que preparala Civilización vendrá al Rastro también" (p.l 15).

4. // libro infinito.

Questo, a grandi linee, il panorama dove trova effimera collocazione non solo tutto ciòche è smesso, ma anche quanto è ancora in uso o è appena stato scoperto. Nel regno dei ro-

(9) Per una sintetica messa a punto di tali questioni, oltre che per la bibliografia fondamentale, cfr. Marra-mao, op.cil.. Cfr. inoltre Aldo Gargani, // sapere senza fondamenti, Torino, Einaudi, 1975.

(10) Cfr. Guillermo de Torre, Literaturas Europeas de Vanguardia, Madrid, Rafael Caro Raggio, 1925, edello stesso, Historia de las literaturas de vanguardia, Madrid, Ediciones Guadarrama, 1965. Sul futurismo nellaletteratura spagnola, v. Andrés Soria Olmedo, Vanguardismo y Crítica Literaria en España (1910-1930), Madrid,Istmo, 1988, pp. 29-38; sull'avanguardismo dell'autore, v. Ronald Dans, Der Avantgardismus Ramón Gómez de laSernas, Frankfurt am Main, Vittorio Klostermann, 1971.

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bivecchi il nuovo è subito incalzato dalla sua revocabilità, il moderno non apporta alcunaevoluzione, il progresso vi appare già antiquato. E poiché ogni rappresentazione figuraleimplica una costruzione concettuale (11), allora l'immagine che del Rastro elabora Gómezde la Serna rimanda a un mondo in cui si sta consumando una quieta catastrofe. E ancora:se ogni configurazione spaziale implica una elaborazione temporale, qui non vi troviamoespressa che la pacata profezia della fine. Malgrado affermi nel prologo di avere scritto unlibro "sin luto ninguno" (p.VII), l'autore imprime a questa sua discesa nel Rastro il senso diuna informale ma reiterata commemorazione funebre. Il luogo libero e stravolto che -questosì in linea con i dettami dell'avanguardia- livella ogni cosa per riesporla a impensate rina-scite, finisce presto per configurarsi come una babelica necropoli dove risuona per tutti unasentenza di morte, la cui sola variante .è data dalle forme sempre nuove, potenzialmente in-finite, della sua dilazione o della sua esecuzione. Non c'è infatti essere animato o inanimatoche nel Rastro non appaia vicino ali' annientamento, espresso da una imponente isotopia del/macabro/. Numerosissime, a tale riguardo, sono le occorrenze del lessema "muerte" con lesue varie costellazioni metaforiche di malattie incurabili e deturpanti; di cadaveri, scheletri,mummie, mostri, spettri; di sudari, strumenti di tortura, forche, mattatoi, tombe, cimiteri, in-ferni; il tutto sempre accompagnato dalla simbologia cromatica del "negro" o dell' "oscuro".

Il dinamismo incessante caro ai futuristi qui si risolve in un continuo pellegrinaggio le-tale che simbolicamente termina con la luce del giorno, quando un "enterrador atardecer"(p.227) unifica per l'ultima volta lo spazio e il tempo:

Es éste como un ocaso final. No se ve al sol irseá otro lado, irse á ninguna parte. Es tan definitivasu decadencia, que aquí parece que acaba profun-dizándose, sumiéndose en sí.

(p.226)

La prossimità della fine si annuncia di nuovo con l'intensificarsi del moto discensionaleverso quel nulla che era comparso fin dalla prima pagina del libro, ma in cui l'autore per oranon si lascerà cadere. Mano a mano che avanza l'oscurità, egli torna sui suoi passi e comincia aelaborare altre immagini canoniche della sparizione, del passaggio all"altro mondo': durantel'imbrunire il sole si infila in un imbuto, sebbene rivolto "á su nido secreto, al cráter que le dioá luz" (p.226); quando è ormai notte, il Rastro che ha lasciato alle spalle diventa, oltre che unmare invisibile e tenebroso (cfr. pp.237-238), anche un "pozo obscuro" (p.237), una "piscinanegra" (p.238).

Davanti rimane la "ciudad vil" (p. 234), ovvero il mondo cieco, insensato, malfatto (cfr.p.240) e soprattutto ignaro del monito perturbante del Rastro, che con la sua apoteosi dell'umi-liazione purifica e rinnova la coscienza, ma anche la allarma e la rende straniera alla stessa ci-

(11) Cfr. Gian Paolo Caprettini, Immagine, in Enciclopedia, VII, Torino, Einaudi, 1979, p.104.

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viltà che l'ha generata (cfr. p.234 e pp.238-239). Da quello che sembrava un punto di non ritor-no, l'autore risale lentamente al punto di partenza, indugiando fra le strade buie prima di rag-giungere la propria casa, fra titubanze e smarrimenti: ora con il panico del folle che teme il ma-nicomio della città (cfr. p.234), ora con la fiducia del profeta che sa interpretare la risacca deisuoi ciarpami (cfr. p.239). A ben guardare, i due estremi di un solo sapere, mutevole, itinerante,inusuale (12), che deriva da un quadro di riferimento non meno mobile, caotico, straniante. Il sa-pere decostruito durante la prova generale di una morte sempre annunciata e sempre differita:a ogni discesa al Rastro, l'autore contempla il limite dell'abisso; a ogni risalita egli rinuncia aoltrepassarlo. Le finalità esorcistiche di questo rito funebre officiato prima dell'evento temu-to, rimangono così stabilmente fissate nel tempo e nel tempo rinnovabili. Indipendentementeda ciò che contiene o conterrà, il Rastro sembra avere ormai acquisito in permanenza il suosenso traslato, così come il libro che ne parla sembra essere giunto alla sua logica fine.

Spunta invece, come un'escrescenza curiosa, 1' appendice che porta il titolo di Ex-libris,stampata con gli stessi differenti caratteri tipografici del Pròlogo, e come questo dedicata a speci-fiche questioni metatestuali e a più generali tematiche metaletterarie.

Il nesso semantico tra la configurazione liberatoria del Rastro e l'avanguardismo tra-sgressivo della scrittura è istituito dall'autore fin dall'inizio, quando si compiace di fissare,nei modi immaginifici che gli sono ormai peculiari, le tappe del suo eterodosso apprendista-to stilistico e morale:

¡Oh, fulminante elocuencia del Rastro!... El verboproteico y lleno de facundia hace sus mejores alfa-rerías aquí con su tierra y las mejores tallas con sumadera; las palabras hacen volatines maravillosos,corren y trepan como lagartijas, se muestran enmil garabatos, en mil floreos, se combinan en lu-ces distintas, brotan las más inesperadas, las nuncavistas; cada objeto tiene un delirio de palabras, setraslucen, fulgen y nunca tienen fanatismo, ni in-tentan ninguna demasía imperialista, y su sentidoes breve, porque abominan de la retórica, la granrepugnancia del Rastro, lo único que devuelve almar para que lo disuelva más, hasta tal punto quepor miedo de que instauren una retórica las pala-bras inofensivas que en él se pronuncian, las pier-de, las embota, las deshila, las absorbe, las encal-

có) L'autore, già nel 1909, affermava: "La nueva literatura prescinde de lo usual y así está desenterrando elverdadero concepto de la vida haciendo revivir las inquietudes embotadas y traspasando todas las prohibiciones de

que está hecho más que nada lo usual, prohibiciones que multiplican el ejemplo de las viejas columnas de Hércu-

les, negando el más allá, teniendo sin embargo tantos mundos a su espalda" (Ramón Gómez de la Serna, El con-

cepto de la nueva literatura, in Una teoría personal del arte, cit, p.66)

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ma, las borra después de pronunciarlas, da sualiento al aire alígero y su color al blanco puro delespacio. Este desinterés y esta abnegación de laspalabras en el Rastro, ha depurado nuestro estilo,cuya torpeza puede estar en querer libertarse á cos-ta de palabras y medios, de embarazarse de sí mis-mo en la fuga, pero no de mala intención de do-minar, de retener ó de atemorizar.

(pp. XIV-XV)

Ma per quella che, ancora nel prologo, Gómez de la Serna definisce nuovamenteun'opera sincera e libera (cfr. p.XX), non sembra ammissibile alcuna conclusione, alcunadecisione definitiva che possa troncare per sempre l'interminabile processo metamorficodel referente e l'indefinita prosecuzione del discorso che lo riguarda. L' esponente di quellaprecoce e speciale avanguardia spagnola chiamata "ramonismo", lo ribadisce più volte nelledivagazioni volutamente slabbrate che costituiscono appunto YEx-Libris -una metafora diriconoscimento non a caso posta alla fine, anziché all'inizio de El Rastro - dove si legge fral'altro che ogni punto finale gli pare letteralmente "un punto muerto" da dover respingeresempre più lontano (p.253); ogni libro terminato, ma in particolare questo libro, gli sembraun "cadáver caliente aún, aún resucitable" (p.243), perché l'indomani il Rastro potrebbe of-frire altre vecchie novità, forse meritevoli di "una apología y una interpretación fervorosa"(p.246). Se i libri in generale, e in special modo i libri usati del Rastro, nella familiare sim-bologia mortifera dell'autore non sono altro che mummie (cfr. pp. 102-103), questo libronon ancora stampato sfuggirebbe a tale sorte solo se potesse non avere limiti, come non halimiti ora, né li avrà domani, il mondo sconnesso di cui parla. Congedare un libro - egli so-stiene - impaurisce e rattrista. Un libro compiuto è un testamento chiuso (cfr. p.251). E qua-le miglior alibi contro questa morte simbolica che la scrittura infinita di un soggetto infini-to? Commenta in proposito Gómez de la Serna:

El frente nunca está cerrado. Todo es frente abier-to. Las morales, las economías, las estéticas in-tentan cerrar con ruindad ese frente abierto a lamuerte, a la vida, al abismo, a lo inconcebible. Sidebemos llegar a ser ininteligibles, si ése es el fi-nal evolutivo del tiempo, ¿por qué no hemos degozar de esa evolución, descuajándolo todo,abriéndolo todo, desautorizándolo, libertándolopor el frente en ininteligibles espacios abiertos,descansados y puros?...

(p.257)

Siamo senza dubbio in presenza di una delle sintesi più felici di quest'opera, che ponei fondamenti di quella che resterà anche in futuro l'estetica avanguardista dell'autore. Ne

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Ramón Gómez de la Serna: El Rastro o le novità del rigattiere

El Rastro, infatti, egli non solo raccoglie e interpreta il senso delle visite già compiute fra il1900 e il 1914 (cfr. p. 241), ma precostituisce anche un modello di interpretazione per tuttele visite che verranno, legando insieme una realtà piuttosto triviale a un modo molto disin-volto di fare letteratura (13). Anche in quest'ultimo campo, infatti, "il fronte non sarà maichiuso", poiché la scrittura a lui più congeniale tenderà al testo frammentario, al moduloiterabile, alla struttura aperta, sia che si tratti del florilegio eclettico o dell'epistolario para-dossale, dell'annotazione bizzarra o del capriccio estemporaneo. Sono le forme 'deboli' delnarrare che possono accogliere in ogni momento variazioni e integrazioni ulteriori, come peresempio dimostra il caso estremo delle molte edizioni delle sue "greguerías"; ma anche nelleforme discorsive 'forti' della finzione romanzesca e della riscostruzione storiografica, Gómezde la Serna dimostra di preferire comunque l'anarchia della congerie di materiali alla disciplinadella selezione argomentativa. Anzi, qui più che altrove risalta la sua distanza dalle convenzio-ni, il suo gusto per l'assetto a-funzionale di molti elementi, il suo amore per la disseminazionedi varie schegge im-pertinenti che aprono ipoteticamente il testo a qualunque intromissione fu-tura (14). È difficile trovare in tal senso delle pagine compatte: la norma è piuttosto che nondebba mancarvi qualche "greguería", qualche breccia inattesa che -volendo- potrebbe moltipli-carsi all'infinito fino ad accogliere tanti referenti da rendere vuota la nozione stessa di testo.

In Gómez de la Serna, infatti, quella che è ritenuta da molti una vocazione ludica im-penitente, maschera una tormentata indagine filosófica, che per la radicalità dei suoi quesitie l'anomalia dei suoi strumenti è destinata a rimanere senza risposta, facendo variare le ap-plicazioni di superficie ma non la sostanza profonda dello specifico discorso che l'ha resamanifesta.

Giunto alla 'innaturale' conclusione della sua opera, l'autore ci sorprende ancora unavolta con una acuta constatazione: "Fuera del libro está el estado de mi mesa. Las pipas ti-radas sobre ella. Los objetos que no ceden al pensamiento nunca" (p.246). E poco oltre ag-

ii 3) Le implicazioni etiche ed estetiche di questo congiunto approccio nichilista alla realtà fattuale e lettera-ria saranno poi teorizzate, con intenti vagamente umanistici, a posteriori. Vent'anni dopo la pubblicazione de ElRastro, l'autore p. es. scrive: "Afirmar lo que de trivial hay en el hombre es inducirle a no ser riguroso, ni desleal,ni malo, ni fanático, ni inconmovible para nada ni ante nada. Aceptar la trivialidad es hacerse transigente, com-prensivo, contentadizo. Nada más solucionador que la trivialidad hallada, comprendida asimilada, temeraria. Nolos principios abstractamente revolucionarios, sino la trivialidad admitida será lo que cree la libertad espiritual, re-solviendo todos los problemas insolubles, que serán solubles, más que por la solución, por la franca disolución,por la incongruencia y las pequeñas constataciones que apenas parecen tener que ver con ellos." (Ramón Gómezde la Serna, Explicaciones, in Flor de Greguerías, Madrid, Espasa-Calpe, 1935, pp. 21-22).

(14) Anche in questo caso, la consapevolezza delle proprie scelte si farà sempre più nitida con il tempo. Dinuovo vent'anni dopo, qualunque testo, sia pure il meno elaborato, trova giustificazione in una previa volontà di-sgregatrice: "¡Qué difícil es trabajar para no hacer, trabajar para que todo resulte muy deshecho, un poco bien des -hecho! Así es como damos el secreto de vivir. (...) La prosa debe tener más agujeros que ninguna criba, y las ideastambién. Nada de hacer construcciones de mazacote, ni de piedra, ni del terrible granito que se usaba antes en todaconstrucción literaria. Hay que romper las empalizadas espesas. Todo debe tener en los libros un tono arrancado,desgarrado, truncado, destejido. Hay que hacerlo todo como dejándose caer, como destrenzando todos los tendonesy los nervios, como despeñándose."(Ivi, p.10). Si noti come siano ancora presenti le immagini di fondazione sim-bolica de El Rastro (rottura del limite, frammentarietà, decomposizione, inabissamento ecc), espresse in gran par-te dal medesimo lessico.

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giunge ancor più esplicitamente: "Después de hecho el libro, nos quedamos entre dos impe-netrabilidades: la del libro y la de las cosas y los seres." (p.261). Siamo al nocciolo del pro-blema, esattamente in mezzo a quella scissione che non potrà mai essere ricomposta: da unlato la collocazione canonica e autoritaria del logos che vanifica il suo potenziale euristiconon appena si stacca dalla realtà per costituirsi in libro; dall'altro il mito di un mondo in fer-mento che prima di dissolversi cerca continuamente il discorso del suo autentico portavoce,del suo affidabile cantore. Non del suo interprete, dato che la funzione rappresentativa dellinguaggio, la natura segnica e non materiale del rapporto esistente fra le parole e le cose,viene non solo rinnegata in teoria, ma anche combattuta nella pratica. Nel Rastro Gómez dela Serna non perpetua un modo acquisito di fare letteratura, ma sonda piuttosto la portataontologica dell'atto stesso di scrivere. Lungi dall'essere una stravagante accademia, quelluogo diventa per lui una palestra molto istruttiva dove abbozza, modella, perfeziona in lar-ga misura il pensiero per immagini che gli è congeniale. La qualità della formula è infattistrettamente legata alla quantità degli ingredienti: cambiando il dosaggio, cambia anche ilrisultato. Da componente occasionale e ineludibile di qualunque argomentazione, anchedella più astratta, l'immagine diventa in questo caso fattore esclusivo e programmatico diuna verbalizzazione che si ritrae dalle griglie della concettosità e che quindi tende a espri-mersi in modo diffuso, indistinto, disorganizzato. Il linguaggio sembra così imboccare uncammino a ritroso, in una zona di incerta definizione che fa prevalere il continuo sul discre-to (15), che fa perdere cioè al soggetto cartesiano i confini della propria identità, la consa-pevolezza della propria coscienza, la differenza fra il sé e l'altro da sé. Non a caso, di ritor-no dalla sua spedizione emblematica, Gómez de la Serna aveva osservato che l'esperienzadel Rastro provoca "un vasto ensimismamiento, vasto porque no es hermético, ya que du-rante él carecemos de límite que separe nuestro interior de nuestro exterior" (p.232). Im-merso nella nebulosa che idealmente separa la cultura dalla natura, l'astrazione dalla sensa-zione, la parola dal corpo (16), egli spera di trovare in questo modo lo spazio salvifico per ilsuo dire, ostile alla significazione codificata della scrittura, ma non al senso ineffabile dellavoce (17). Quella voce non dimentica della sua fisicità che, lungi dall'essere un puro stru-mento, vale meno per quel che dice che per quel che mostra: il luogo originario del linguag-gio considerato tanto nell'apertura delle sue potenzialità affabulatrici (18), quanto nella ric-chezza delle sue manifestazioni emotive (19).

(15) Cfr. Mariella Combi, // grido e la carezza. Percorsi nell' immaginano del corpo e della parola, Paler-mo, Sellerie 1988, pp. 36-67.

(16) Cfr. Umberto Galimberti, // corpo, 2 , Milano, Feltrinelli, 1989, pp. 92-103.(17) Per la differenza fra significazione e senso, cfr. Algirdas Julien Greimas et Joseph Courtés, Sémiothi-

que. Dictionnaire raisonné de la théorie du langage, Paris, Hachette, 1979, s.v.(18) Cfr. Giorgio Agamben , // linguaggio e la morte. Un seminario sul luogo della negatività, Torino, Einaudi,

1982, pp. 104-110 e passim; Umberto Galimberti, Gli equivoci dell'anima, 6 , Milano, Feltrinelli, 1990, pp. 205-217.(19) È una consapevolezza che si manifesta fin dall'adolescenza. A proposito del periodo che precede la pub-

blicazione di Entrando en fuego, scrive l'autore: "Quizás aparece la primera preocupación de la muerte, y en mediode las cosas ya buscaba a qué agarrarme. ¿Cómo retenerse en el tiempo? ¿Cómo agarrarse a él? Miraba las paredes,las librerías, los cuadros, los armarios. ¿Quizás estaba el ancla en el viejo fonógrafo con su colección de puños de ce-ra -aún no eran "discos" sino "cilindros"- en que estaban grabadas nuestras voces y unos villancicos cantados a coropor todos en una Navidad feliz?" (Ramón Gómez de la Serna, Automoribundia. 1988-1948, Madrid, Ediciones Gua-darrama, 1974, voi. I, p. 181). Molto tempo dopo, ricostruendo la nascita della "greguería" nel 1910, l'autore precisa:"Greguería, algarabía, gritería confusa. (...) Lo que gritan los seres confusamente desde su inconsciencia, lo que gri-

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Ramón Gómez de la Serna: El Rastro o le novità del rigattiere

Questo il messaggio singolare de El Rastro, opera che sembra rendere inadeguate tantole definizioni dei fenomeni, quanto l'analisi dei processi. Per chi come Gómez de la Sernarifiuta quasi tutto della propria epoca, comprese le concezioni di tempo e di spazio, le solitemetafore concettuali diventano in più di un caso approssimative e inesatte, soprattutto in se-de di conclusioni. Da un lato El Rastro presenta tutte le caratteristiche di un itinerario ini-ziatico, in cui l'annientamento dovrebbe essere il preludio di una rinascita; dall'altro essonon raggiunge alcuna meta precisa, non inaugura alcuna fase nuova, al di fuori di una ana-logia insistita e volutamente informe tra gli sfasciumi concreti dei robivecchi e i rottami fi-gurati della letteratura. Nell'uno e nell'altro caso tutto è effimero e screditato, mobile e far-raginoso, tranne i confini che circoscrivono i rispettivi tenitori, sospesi fra un mondo in de-clino -la città funzionale, le belle lettere- e il nulla imminente.

In quel momento, nel Rastro come nella letteratura i viaggi reali e i viaggi simbolicinon portano da nessuna parte. O, meglio, portano tutti da una parte sola: il nulla. Per questoè necessario fermarsi prima, non vederne la fine, ma ripetere innumerevoli volte una parten-za che, più che una avventura, è un gesto di scaramanzia. Per Gómez de la Serna, infatti,coloro che pubblicano libri sono come dei morti che raccontano al mondo "la turbación deultratumba, la sencilla clave del secreto final" (p.243). Al pari di tanti altri scrittori, egli ri-tiene che la letteratura sia vicaria della vita. Non solo scrivere del Rastro, ma scrivere in ge-nerale è comunque una discesa verso l'abisso che dovrebbe consumarsi "en el silencio y enel secreto, viviéndolo más vastamente que escribiéndolo" (p.245). Ogni nuovo progetto dilibro è un commiato dal mondo. Perché in letteratura, egli osserva, quando si intraprendequalcosa, non si prepara che la propria notte (cfr.p.264). La sentenza è dunque già decretata.Non c'è salvezza possibile, ma solo rinvio. Quello offerto dalla durata della scrittura, sia che essainauguri un testo nuovo o che ritocchi il già detto. L'importante non è portare a compimento questoo quel libro, ma scrivere e riscrivere senza posa.

5. L'altro Rastro

Nonostante tali premesse, con un atto conciliante El Rastro fu poi pubblicato nel 1915e, successivamente, in parte anche riscritto. La seconda edizione ampliata di quest'operache, più d'ogni altra, aveva fondato una scrittura priva di fondamenti, apparve quasivent'anni dopo (20), quando Gómez de la Serna aveva già al suo attivo molti libri, ispirati aun avanguardismo che era ormai divenuto pratica collaudata e fruttuosa. L'ordine discorsivoleggermente mutato, la soppressione di qualche paragrafo per lo più destinato a essere ripre-

tan las cosas" (Gómez de la Serna, Explicaciones cit., p. 9). Influenzate dalla psicanalisi, appartengono allo stesso pe-riodo le riflessioni (naturalmente asistematiche) di Ramón Gómez de la Sema, Las cosas y el ello (1934) e Las pala-bras y lo indecible ( 1936), in Una teoría personal del arte cit., pp. 173-183 e 184-200 rispettivamente.

(20) Questa seconda edizione ampliata de El Rastro appare a Madrid, Editorial Atenea, 1933. Una terza edizio-ne, che ripropone invece il testo della prima, meno ì'Ex-Libris finale, appare con il titolo lievemente diverso di Guíadel Rastro, ilustraciones y planos de Eduardo Vicente, fotografías de Carlos Saura, Madrid, Taurus, 1961. L'edizioneche ho qui utilizzato, e a cui si riferiscono le citazioni, si trova invece in Ramón Gómez de la Serna, Obras selectas,Prólogo de Pablo Neruda, Introducción de Federico Carlos Sainz de Robles, Barcelona, A.H.R., 1971, pp. 17-280.

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so altrove, l'innesto di parti voluminose e incongruenti come il capitolo "Algunos paseosepilógales" (con iperboliche numerazioni romane che non rispettano la progressione) o ilracconto intitolato "La abandonada en el Rastro", hanno reso l'opera più disomogenea, più'ramoniana', quasi una miscellanea privata che ottempera egregiamente al programma dinon aderire a programmi e soprattutto a generi.

Da un punto di vista puramente storico-letterario non c'è nulla di cui rammaricarsi. Anzi,questa nuova versione presenta una gran quantità di riflessioni sul Rastro come immaginedell'arbitrarietà creativa; come luogo privilegiato dell'originalità che nasce dalla combinazionedel vecchio anziché dall'invenzione del nuovo. Il vissuto ora è stato verbalizzato. L'esperienza èconfluita nell'idea. L'immagine ha formato una poetica. Il mito è rientrato nel logos. Questa di-versa consapevolezza speculativa dell'autore rispetto alla propria opera giovanile, è particolar-mente evidente nel passaggio che segue:

Un mueble, un objeto, no son ni un mueble ni unobjeto, sino ideas, teorías de un tiempo, una con-cepción diferente del hogar y del amor.Tengo la cabeza poblada de muebles y cosas di-ferentes que me sirven para entender la vida,aunque esta doctrina de la vida sea difícil de ex-poner en ideas de mitin.Pero más importante que las cosas y los muebles,que al fin resultan monótonos y repetidos en elRastro, todo consiste en los conjuntos nuevosque se forman al caer unas cosas al lado de lasotras, es decir, la "combinación" que diversificael mundo, pues a la combinación diferente siem-pre le quedan originalidades.

(pp.259-260)

Rispetto alla prima edizione del libro, l'interpretazione meno febbrile e vitalistica chel'autore applica ora a El Rastro, mostra da un lato che il mercato delle pulci madrileño ispiraancora un ideale di letteratura inteso come perpetuo work in progress; dall'altro conferma in-vece che, di quest'ultima, sono state accettate le paradossali regole comunicative che portanoalla simulazione dell'opera aperta. Fra Gómez de la Serna e il Rastro è ormai istituito un rap-porto di scambio che tutela l'ispirazione della scrittura e giustifica il funambolismo dei generi.Tanto se è allegro quanto se è triste, lo scrittore ha ormai trasformato le sue abituali passeggia-te per il Rastro in un rito necessario di purificazione e di rigenerazione della psiche. Come lacittà scarica nel Rastro tutti gli oggetti divenuti inservibili per la sua cultura, così Gómez de laSema vi porta tutte le scorie emotive e intellettuali che sono di impedimento alla sua scrittura:

Bajo arquitecturas de sueños y proyectos que nohe querido realizar, bajo amigos malos y bajo

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Ramón Gómez de la Serna: El Rastro o le novità del rigattiere

amores que no han querido ser fáciles.Todo lo dejo entre hierros y facistoles y vuelvo acasa despejado y tranquilo.Cuando estoy ya en mi cuchitril solo y pacifica-do, veo que he vuelto de allí sin nada, sin ideas,sin argumentos, sin preocupaciones.Me coloco frente al papel completamente de nue-vas, respirando blancuras, sospechando posibili-dades.Otra vez completamente en saldo, otra vez en elcomienzo.

(p.231)

Ma tanta lucidità non è che una giustificazione a posteriori, la rivisitazione manieristi-ca di un nodo mai sciolto, che ne El Rastro del 1915 aveva trovato la sua più complessa raf-figurazione archetipica. Dopo, Gómez de la Serna continua ad attingervi come a un reper-torio privato, che ha già stabilito per l'avvenire le regole della dissidenza e che è ormaiestraneo al sofferto processo creativo della prima redazione, ovviamente trasferito ad altreopere (21). Raramente, però, capiterà di trovare in queste ultime una testimonianza del do-lore di vivere tanto densa e scoperta. Il giovane che ne El Rastro di allora non si adattava afare della letteratura un cerimoniale di scambio fra autore e lettore, nella seconda edizionedell'opera ha già esperito -attraverso le infinite deformazioni di una visione umoristica cheè infantile e apocalittica insieme (22)- il compromesso indispensabile fra l'ineffabilità e ilconformismo. Eccentrico nella letteratura quanto nella vita, sempre mescolate e sovrappo-ste, egli è diventato un personaggio famoso che con la bizzarria della parola e del compor-tamento crea innumerevoli giochi, destinati a svelare e a deridere la convenzionalità di ogniregola sociale e verbale. All'inizio, però, quando la paura doveva ancora essere addomesti-cata, quando il senso del silenzio si imponeva al significato di ogni discorso, parlare del Ra-stro era stato come sfidare la morte. Per Gómez de la Serna, essa era un processo già in atto,molto vicino al suo finale ineludibile, sempre sul punto di concludersi. Non però fintantoche, ai bordi dell'abisso, egli avesse continuato a contemplarla e a narrarla, allestendo sen-za posa gli scenari cangianti della propria immaginazione. Con quegli stessi trucchi, illuso-ri e portentosi, che erano già serviti a Sheerazade.

(21) Scrive in proposito Luis S. Granjel, Retrato de Ramón. Vida y obra de Gómez de la Serna, Madrid, Edi-ciones Guadarrama, 1963 p. 180: "En los años que siguen la edición de Libro Nuevo, y en un período de máximaactividad creadora, Ramón publica un grupo de libros, compuestos, en su mayoría, de colaboraciones periodísti-cas, que deben considerarse continuación, eso sí depurada, del género iniciado con El Rastró".

(22) Sul tema, cfr. Laura Silvestri, // dizionario umorìstico di Gómez de la Serna, presente in questi stessi atti, pp.101-113.

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