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Anno accademico: 2012/2013

Docente: Geoffrey Allen

Panorama del Nuovo Testamento

Modulo 1

Panorama del Nuovo Testamento

Modulo 1

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I VANGELI SINOTTICI

(Matteo, Marco, Luca)

BIBLIOGRAFIA

(per l’approfondimento)

AUTORE TITOLO E CASA EDITRICE

Harrison, E.F.

Parola del Signore 2: Introduzione al Nuovo

Testamento. Modena, Voce della Bibbia, 1972

(fuori stampa)

Alexander, David e Pat (a

cura di)

Guida alla Bibbia. Roma, Ed. Paoline, 1982 (fuori

stampa)

Marshall I., Millard A.,

Packer J. e Wiseman D. (a

cura di)

Nuovo Dizionario Biblico. Roma. GBU, 2008.

Drane, John Gesù e i quattro Vangeli. Torino, Claudiana, 1986

Guthrie D. / Motyer J.A. (

a cura di )

Commentario Biblico, vol. III. Modena, Voce della

Bibbia, 1976 (fuori stampa)

Walvoord J. / Zuck R. Investigare le Scritture vol. 2. Vicenza, Casa

Biblica, 2002.

AA.VV. Commentari al Nuovo Testamento. Roma, Ed. GBU

Lagrange, M-J. (a cura di)

Sinossi dei Quattro Evangeli. Brescia, Morcelliana,

1970 (fuori stampa. Una compilazione sinottica

dei quattro Vangeli, a cura di Antonio Piacentini,

è disponibile a richiesta dal docente del presente

corso)

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1. INTRODUZIONE: L’AMBIENTE E LA LINGUA DEL NUOVO

TESTAMENTO

1.1 Il contesto storico

Dopo la conquista e la distruzione di Gerusalemme da parte dei Babilonesi nel

587 a.C., i Giudei non furono mai più una nazione indipendente. Il ritorno (solo di

una parte del popolo) dall’esilio in Babilonia avvenne comunque sotto il dominio

medo-persiano. La conquista di questo impero da parte di Alessandro Magno (331

a.C.) segna l’inizio del dominio ellenistico del Medio Oriente, importante perché

da esso deriva l’uso del greco come lingua franca.

Dopo la morte di Alessandro senza lasciare eredi (323), l’enorme impero da lui

conquistato fu diviso tra i suoi generali, che divennero fondatori di altrettante

dinastie: Tolomeo (Egitto), Seleuco (Siria) e Antigono (Macedonia). La Giudea

faceva parte dell’impero dei Seleucidi, i quali seguirono una politica aggressiva di

ellenizzazione (introduzione forzata di costumi greci). Nel 2° secolo a.C., Antioco

IV estese questa politica alla sfera religiosa, profanando il Tempio di

Gerusalemme (come era stato profetizzata da Daniele) e provocando così la rivolta

dei Maccabei (175-164), membri di una famiglia sacerdotale costituitisi poi leader

politici, come raccontata nell’omonimo libro apocrifo.

Nel 64 a.C. la Siria, e quindi anche la Giudea, fu conquistata dai Romani. Essi

stabilirono come procuratore della Giudea Antipatro, e successivamente come re-

suddito suo figlio Erode I detto “il Grande” (37-4 a.C.). Egli dovette però prima

sconfiggere ed eliminare il candidato dei Parti, Antigono, un discendente dei

Maccabei. Fu Erode a ricostruire e ampliare il Tempio di Gerusalemme (a partire

dal 19 a.C.). Egli però non era Giudeo, bensì di estrazione edomita.

Erode I fece uccidere tre dei propri figli (Alessandro, Aristobulo e Antipatro), e alla

sua morte il regno fu diviso tra altri tre suoi figli. La Galilea e la Perea (la regione

ad est del Giordano) furono affidate ad Antipa, detto anche “Erode il Tetrarca”

(esiliato 39 d.C.), il quale fu responsabile della morte di Giovanni Battista

(decapitato nella sua fortezza a Macheronte, sulla sponda orientale del Mar

Morto); i territori a nord-est (Iturea e Traconitide) andarono a Filippo (Lc 3:1), che

stabilì la propria capitale a Cesarea di Filippo. La Giudea e la Samaria furono dati

ad Archelao (4 a.C.-6 d.C.) (Mt 2:22), il quale però si rivelò così sanguinario da

provocare la rivolta dei Giudei, che si appellarono ai Romani perché fosse

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destituito. Fu quindi mandato in esilio e fino al 41 d.C. quei territori furono

affidati a governatori romani (dei quali il più noto è Ponzio Pilato).

Nel 37 Erode Agrippa, nipote di Erode il Grande dal figlio Aristobulo, fu costituito

dall’imperatore Claudio re dei territori a Nord-Est che erano stati di Filippo; dopo

l’esilio di Antipa (39) vi furono aggiunti anche la Galilea e la Perea, e nel 41 anche

la Giudea e la Samaria. La sua morte improvvisa all’età di 54 anni è raccontata in

Atti 12:20 (e anche da Giuseppe Flavio). Salì allora al trono suo figlio Erode

Agrippa II, le cui udienze del prigioniero Paolo sono raccontati in Atti capp. 25-26.

Al tempo del Nuovo Testamento, tra i raggruppamenti principali nel giudaismo

erano:

I Farisei (spesso associati agli scribi) erano il partito religioso, stretti osservatori

della Legge, nella tradizione fondata da Esdra.

I Sadducei erano il partito dei sacerdoti e dei “capi” benestanti, che dominavano

il Sinedrio; essi discendevano dai Maccabei nel loro ruolo più recente di capi

politici. Erano pesantemente compromessi con i Romani, dai quali derivava il

loro potere (cfr. Gv 11:49-50).

Gli Zeloti, la “resistenza” politico-militare al dominio romano, si consideravano

gli eredi spirituali dei Maccabei del periodo più antico. Essi guidarono la rivolta

armata contro i Romani a partire dal 66 d.C. Uno dei 12 discepoli, Simone detto

“lo Zelota” (Lc 6:15, Atti 1:13; detto anche “il Cananeo”, dall’aramaico qan’an,

“zelota” o “zelante”, Mc 3:18, Mt 10:4), proveniva da questa origine.

Gli Esseni (mai nominati nel N.T.) erano asceti mistici che vivevano ricercando la

purezza religiosa e morale e si consideravano gli unici in Israele ad essere

rimasti fedeli al patto, oltre che gli unici a poter capire i misteri dell’A.T. Si

ritiene che la comunità di tipo monastico di cui si sono scavati i resti a Qumran,

nel deserto della Giudea, e alla quale appartenevano presumibilmente i “rotoli

del Mar Morto” ritrovati nelle grotte là vicino, rappresentasse questo

movimento. Alcuni studiosi ritengono che Giovanni Battista possa aver passato

là la sua giovinezza (cfr. “nel deserto”, Lc 1:80).

1.2 La lingua

Il Nuovo Testamento fu scritto nella forma di greco chiamata koine (“comune”),

una semplificazione del dialetto attico in cui è scritto gran parte della letteratura

classica. Tale dialetto era diventata la lingua dell’amministrazione pubblica, del

commercio e della comunicazione quotidiana tra popoli che parlavano molte

lingue diverse (un po’ come l’inglese oggi). Ai tempi del Nuovo Testamento i

Giudei erano in gran parte bilingui, tanto che esistevano in Giudea sinagoghe

dove si usava il greco (Atti 6:1, 9:29). È verosimile che Gesù sapesse il greco oltre

all’aramaico e all’ebraico (che era la lingua biblica e liturgica).

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Il linguaggio del Nuovo Testamento non è dunque “religioso”, formale o letterario,

ma al contrario la lingua della comunicazione quotidiana, scritta però in gran

parte da persone che non la usavano in famiglia.

2. LA RELAZIONE TRA I VANGELI SINOTTICI

2.1 “Il Vangelo”

Questa parola (= “buona notizia”) è usata nel N.T. per indicare il messaggio della

salvezza in Cristo annunciato da Lui e dagli Apostoli. Nel N.T. viene usata sempre

al singolare: vi è un solo Vangelo (cfr. Gal. 1:8). L’uso della parola per indicare

ciascuno dei primi quattro libri del N.T. inizia solo al 2° secolo d.C.

Questo unico Vangelo lo troviamo narrato da quattro autori in quattro versioni

diverse, non “divergenti” ma “convergenti”: “il vangelo secondo ...”. Tre delle

versioni presentano notevoli somiglianze, per cui sono dette “sinottiche” (“dallo

stesso punto di vista”), mentre la quarta (Giovanni) ha una prospettiva molto

diversa:

o perché l’autore non voleva ripetere tante cose già dette da altri (se, come

comunemente si ritiene, il 4° Vangelo fu scritto molto più tardi degli altri);

o perché fu scritto in modo indipendente, prima della diffusione delle altre

versioni (l’ipotesi di J.A.T. Robinson in Redating the New Testament, 1976).

2.2 Confronto fra i Vangeli Sinottici

A. I fatti

Quasi tutto il contenuto di Marco viene riprodotto da Matteo, e gran parte anche

da Luca. Questo schema, dovuto a Westcott (vedi Harrison, pag. 149) dà un’idea

della situazione (cifre in percentuali):

Peculiarità Parallelismi

(con altri Vangeli)

Marco 7 93

Matteo 42 58

Luca 59 41

Giovanni 92 8

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Tuttavia, nei brani paralleli, Marco tende a riferire più dettagli degli altri due

Sinottici (ad es.: Mc 9:14-29, 12:32-34).

Inoltre circa 200-250 versetti sono paralleli tra Matteo e Luca, sebbene a volte in

forma talvolta differente. Queste sezioni contengono soprattutto i discorsi di Gesù

(mentre Marco ne privilegia le azioni). Naturalmente le differenze si potrebbero

spiegare, almeno in parte, dalla probabilità che Gesù abbia ripetuto gli stessi

discorsi e insegnamenti in più occasioni e cambiandone le forme. In alcuni casi

questa spiegazione si impone con forza: ad es. nei casi del “Sermone sul Monte”

(Mt capp. 5-7) e il “Sermone sulla pianura” (Lc 6:20-49), delle due forme diverse

del “Padre nostro” (Mt 6:9-13, Lc 11:2-4), o delle parabole simili ma diverse dei

Talenti (Mt 25:14-30) e delle Mine (Lc 19:11-27).

B. Le teorie

È largamente accettata l’ipotesi secondo la quale Marco sarebbe la versione più

antica, usata poi come fonte sia da Matteo, sia da Luca. Tale ipotesi è sostenuta

da due considerazioni:

i dettagli contenuti solo in Marco, verosimilmente omessi dagli altri come non

essenziali, mentre invece è difficile supporre che Marco li abbia aggiunti alla

versione trovata in (ad es.) Matteo, omettendo nello stesso tempo tutti gli

insegnamenti contenuti in Matteo;

se Marco fosse una riduzione di Matteo, difficilmente sarebbe stato accettato

come canonico per quelle poche cose che contiene in esclusiva.

Se invece il materiale comune fosse soltanto derivato da una fonte orale comune,

sarebbe difficile spiegare il linguaggio quasi identico. Luca 1:1 afferma che,

quando egli si mise a scrivere, già esistevano narrative scritte del Vangelo, che

presumibilmente furono consultate da lui.

Per il materiale comune tra Matteo e Luca, sono possibili tre ipotesi:

1. Matteo consultò Luca;

2. Luca consultò Matteo;

3. Entrambi consultarono una fonte comune (comunemente chiamata “Q”, dal

tedesco “Quelle” = “fonte”).

Quest’ultima ipotesi è generalmente considerata la più verosimile. (Per una

discussione più dettagliata, vedi Harrison, pagg. 153-158).

Da notare però che, se questa ipotesi è esatta, è impossibile sapere:

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a) quanto del materiale contenuto nell’ipotetica “Q” era identico, o simile, a quello

di Marco. (Talvolta “Q” – cioè Matteo e Luca concordemente – riporta lo stesso

episodio in una versione diversa da quella di Marco.)

b) quanto materiale riportato solo da Matteo, o solo da Luca – e quindi attribuito

alle loro rispettive fonti esclusive (dette “M” e “L”) – provenga in realtà da “Q”,

ma sia stato utilizzato solo dall’uno o dall’altro.

Qualcuno ha identificato “Q” con il documento di Matteo di cui Papia (135 d.C.

ca.., citato da Eusebio) scrisse: “Matteo mise insieme gli oracoli [o “detti”] in lingua

ebraica [?aramaica?], e ognuno li interpretò [o “tradusse”] come meglio poteva”. Ma

“Q” potrebbe essere comunque una fonte o tradizione orale.

In conclusione, sembra piuttosto verosimile questo schema ipotetico:

fonti esclusive (“M”) Marco “Q” fonti esclusive (“L”)

Matteo Luca

2.3 Critica delle forme

È stata dedicata molta attenzione negli ultimi decenni alla “critica delle forme”,

con la quale si spera di risalire alla fase orale della trasmissione del Vangelo,

immaginando anche il tipo di situazione in cui il brano può essere stata utilizzata

nella predicazione o nell’insegnamento. Sono state avanzate pretese esagerate

per questo tipo di analisi, tuttavia lo studio ad es. delle parabole, dei “detti” (tipo

proverbio) di Gesù, dei miracoli, ecc. può avere qualche utilità. In particolare, sono

stati fatti vari tentativi di ricostruire la forma originale in aramaico dei detti di

Gesù, e di trovarvi una forma poetica o mnemonica. Ovviamente, ogni tentativo

del genere rimane un’ipotesi non dimostrabile che può essere più o meno valida. I

tentativi di alterare il testo greco in base a tali ricostruzioni sono comunque poco

attendibili.

3. INTRODUZIONE AI SINGOLI VANGELI

3.1 Marco

Autore: Giovanni Marco fu un compagno d’opera prima di Paolo (At. 13:5, Col.

4:10, Filem. 24) e poi di Pietro (1° Pt. 5:13). Fu cugino di Giuseppe detto Barnaba

(Col. 4:10), un facoltoso Ebreo (Levita) di Cipro (At. 4:36). La casa di sua madre

Maria a Gerusalemme era un punto d’incontro per i credenti di quella città (At.

12:12). È abbastanza verosimile l’identificazione di Marco con il giovane di Mc

14:51 (episodio riferito solo da Marco e irrilevante ai fini della storia). Qualcuno

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ha suggerito che la casa dell’Ultima Cena potrebbe essere stata quella della sua

famiglia (Mc 14:14).

Composizione: Papia, vescovo di Ierapoli intorno al 140 d.C., riferisce:

“Marco, diventato l’interprete di Pietro, scrisse accuratamente, però non in

ordine, tutto quanto ricordava delle parole e degli atti di Cristo. Egli infatti

non ascoltò il Signore direttamente, né fu suo seguace, ma in seguito...

accompagnò Pietro, che ne adattava l’istruzione alle necessità del momento,

non come se dovesse compilare in ordine gli oracoli del Signore. Quindi non vi

fu errore da parte di Marco nello scrivere le cose come le ricordava” (riferito

da Eusebio, Stor. Eccl. 3.39.15).

Similmente Ireneo di Lione, il quale era stato discepolo di Policarpo (martire ca.

158 d.C.), scrive:

“Dopo la loro dipartita [cioè di Pietro e Paolo], anche Marco, discepolo ed

interprete di Pietro, ci ha tramandato per iscritto la sostanza delle cose

predicate da Pietro”.

Egli dice anche che Marco scrisse “mentre Pietro e Paolo predicavano il Vangelo a

Roma e vi fondavano la chiesa”. La parola “dipartita” è exodos, che può essere

letta sia come “partenza” (il significato più comune), sia come “morte”

(l’interpretazione della maggior parte degli studiosi, cfr. Lc 9:31, 2Pt 1:15).

Secondo Clemente di Alessandria, l’opera fu scritta mentre Pietro era ancora in

vita dietro richiesta di alcuni credenti; invece il “Prologo Antimarcionita” al

Vangelo di Marco dice che fu scritto dopo la morte di Pietro.

Queste testimonianze sono concordi nell’indicare Pietro come fonte principale del

contenuto del Vangelo di Marco, e sembrano indicare una data di composizione

prima o poco dopo il martirio di Pietro intorno al 62 d.C. Tale data sembra

confermata anche dal frammento di papiro ritrovato in una caverna di Qumran

(noto come “papiro 7Q5” e pubblicato da J. O’Callaghan nel 1972), che non può

essere stato scritto più tardi del 68 d.C. e che la maggior parte degli studiosi

ritiene sia un frammento del Vangelo di Marco.

Anche il confronto tra Mc 15:21 e Rom. 16:13 (Rufo è nominato come persona

nota ai lettori originali del Vangelo di Marco) conferma la probabilità di una

composizione a Roma.

Contenuto: il libro si divide in due parti:

1:1 - 8:30: “Chi è Gesù?”

8:31 - fine: “Perché Gesù è venuto?” (cfr. 8:31 e 10:45).

I capitoli 1-9 trattano il ministero in Galilea, i rimanenti quello in Giudea.

Caratteristiche:

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1. Una chiara struttura (v. sopra).

2. Vivacità e freschezza del linguaggio, con molti dettagli.

3. Contiene molta narrativa, meno degli insegnamenti di Gesù (cfr. At. 10:34-43).

4. Il linguaggio contiene molti aramaismi, ma anche parecchie parole latine.

5. C’è un problema testuale per quanto riguarda il finale (16:9 - fine).

3.2 Luca

Autore: collaboratore di Paolo; medico (Col 4:14), forse originario di Filippi o di

Troas. Autore anche degli Atti, che contiene brani scritti alla 1a

persona plurale.

L’unico autore biblico probabilmente non ebreo.

Composizione: secondo Ireneo, “Luca, discepolo di Paolo, mise per iscritto il

vangelo da lui [Paolo] predicato”. La data è probabilmente tra il 60 e il 70 d.C.

Fonti: a parte Marco e “Q” (vedi 2.1.2), Luca dispone di una fonte vicina a Maria

madre di Gesù (forse lei stessa), cfr. capp. 1-2. Luca conobbe Giacomo, fratello del

Signore (At. 21:18) e visse per più di due anni in Palestina, dove fu anche ospite di

Filippo l’evangelista (At. 21:8-10).

Caratteristiche:

1. È il Vangelo per i Gentili:

a) usa termini comuni in greco al posto di termini ebraici (rabbi, osanna, ecc.),

e spiega anche la geografia palestinese;

b) stabilisce le date facendo riferimento agli imperatori romani;

c) dà più spazio a personaggi non Ebrei (il “buon Samaritano”, il lebbroso

guarito, ecc.);

d) la sua genealogia risale ad Adamo, progenitore di tutti gli uomini (cfr. Atti

17:26).

2. Dà molta attenzione ai poveri e ai sofferenti (cfr. Lc 6:20 con Mt 5:3).

3. Dà grande enfasi all’opera dello Spirito Santo.

4. Dà molta attenzione alle donne.

5. Dà importanza alla lode e alla gioia.

6. Dà particolare importanza alla preghiera.

7. Con la lettera agli Ebrei, Luca scrive il greco migliore, dal punto di vista

stilistico e grammaticale, del N.T.

8. È molto accurato dal punto di vista storico (v. 2:1-2, 3:2 ecc.).

9. Forse si possono individuare tracce del linguaggio medico.

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3.3 Matteo

Autore: Papia (citato da Eusebio) scrive: “Matteo mise insieme gli oracoli [loghia] in

lingua ebraica, e ognuno li interpretò come meglio poté”. Anche Ireneo, Origene e

Girolamo riferiscono che Matteo scrisse un Vangelo per gli Ebrei nella loro lingua.

Questo documento fu presto identificato con il primo Vangelo.

Tale identificazione incontra alcune difficoltà:

a) Il Vangelo di Matteo fu noto anche ai Padri solo in greco (e sembra che abbia

attinto da Marco, che fu certamente scritto in greco).

b) È incerto il significato di loghia, sebbene possa probabilmente comprendere

“fatti” oltre che “detti”.

c) Sembra strano che un Apostolo e testimone oculare sia tanto dipeso da Marco,

che non lo era.

Per queste ragioni, la grande maggioranza degli studiosi moderni non accetta

questa identificazione.

È comunque possibile che sia stato Matteo, dopo aver compilato in Aramaico (più

probabile che in Ebraico) una raccolta dei detti di Gesù, li abbia poi incluso in una

narrazione in greco in cui attinge anche da Marco. O forse il nostro Vangelo

proviene da un ambiente vicino a Matteo e attinge alla sua fonte.

Data: sembra probabile una data fra il 65 e 1’80. Da notare che Eusebio credeva

che fosse posteriore a Marco e a Luca.

Caratteristiche:

1. È il “Vangelo per gli Ebrei”:

a) usa un linguaggio contenente molti termini ebraici, senza dare spiegazioni;

b) contiene moltissime citazioni dall’Antico Testamento per dimostrare che in

Cristo si erano compiute le profezie;

c) mostra un grande rispetto per la Legge (mentre è polemico con i Farisei).

2. Mostra uno spiccato interesse per la Chiesa (è il solo Vangelo a contenere

questa parola: 16:18, 18:17), vista come il “nuovo Israele”.

3. Dà molto spazio agli insegnamenti di Gesù, concentrati principalmente in

cinque discorsi, ognuno dei quali termina con la formula: “Quando ebbe finito

questi discorsi...” (o simile): cap. 5-7; 9:36 - 11:1; 13:5-53; 18:1 - 19:1; 24:11 -

26:1.

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4. LA NASCITA E L’INFANZIA DI GESÙ (Matteo capp. 1-2, Luca capp. 1-3)

Mentre Marco tralascia del tutto la nascita e l’infanzia, i racconti di Matteo e di

Luca sono del tutto diversi, ed è evidente che Matteo narra le cose dal punto di

vista di Giuseppe, mentre Luca lo fa dal punto di vista di Maria. Solo Luca, poi,

racconta le circostanze della nascita di Giovanni Battista (1:5-25, 57-80).

Il fidanzamento (Lc 1:27) era considerato un contratto matrimoniale vincolante

(cfr. “marito”, Mt 1:18-19) e di solito durava un anno.

È significativo il fatto che, seppure sia Matteo che Luca raccontano del

concepimento miracoloso di Gesù da Maria ancora vergine, da nessuna parte la

Bibbia usa questo fatto come prova della Sua divinità: evidentemente perché è un

dato non dimostrabile e che viene accolto per fede, quindi da chi già crede per

altri motivi.

La visita dei Magi (sacerdoti/astrologi orientali, mai definiti nella Bibbia “re”, e dei

quali non è specificato il numero”) la strage degli innocenti e la fuga in Egitto (Mt

2:1-18) sono narrate soltanto da Matteo.

Per quanto riguarda l’infanzia e la giovinezza di Gesù, viene riferito un solo

episodio, quello della visita al Tempio quando aveva dodici anni (l’età del bar

mitzvah, quando i ragazzi ebrei vengono ammessi come membri adulti del popolo

di Dio). Da notare che le storie dell’infanzia (compresi parecchi “miracoli”) con-

tenute nei “Vangeli apocrifi” non hanno nessuna storicità o attendibilità: in genere

provengono da ambienti eretici (Gnostici), e le storie di miracoli sono in aperto

contrasto con l’affermazione di Gv. 2:11 (e cfr. Mc 6:2) che Gesù non operò

nessun miracolo prima dell’inizio del ministero pubblico.

5. GIOVANNI BATTISTA, IL BATTESIMO E LA TENTAZIONE

(Matteo 3:1-4:11, Marco 1:1-13, Luca 3:1-4:13)

Tutti e quattro i Vangeli prefiggono al ministero di Gesù la descrizione di quello di

Giovanni Battista, ponendo così la venuta del Messia nel contesto di un risveglio

religioso, in contrasto con le diffuse attese di un liberatore politico e militare. Il

battesimo era un rito di purificazione simbolica già in uso presso i Giudei, anche

per l’accoglienza dei proseliti. Ma la predicazione di Giovanni – nella migliore

tradizione dei profeti – insiste sulla necessità di una purificazione interiore (cfr.

Gioele 2:13). Nel racconto di tutti e quattro i Vangeli, Giovanni preannuncia Gesù

come “colui che battezzerà nello Spirito Santo”.

Quando Gesù si presenta per essere battezzato da Giovanni, la discesa su di Lui

dello Spirito Santo e la voce udibile di Dio che esprime approvazione e

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compiacimento fanno contrasto con il resto della gente, che si faceva battezzare

confessando i peccati (Mc 1:5 ecc.).

Subito dopo il battesimo, Gesù viene “condotto dallo Spirito nel deserto per essere

tentato dal Diavolo”. Il digiuno e le tentazioni durano 40 giorni, ma conosciamo

solo quelle conclusive. Poiché non c’erano testimoni, questo episodio deve essere

stato raccontato da Gesù stesso ai discepoli. Le tentazioni gettavano dubbi

sull’identità e sulla chiamata di Gesù; suggerivano un abuso della potenza

soprannaturale a fini egoistici; e cercavano di indurlo ad agire fuori dalla volontà

di Dio.

Poi Gesù inizia a predicare in Galilea; i primi episodi, svolti mentre Giovanni

Battista era ancora in libertà, sono raccontati solo da Giovanni (capp. 2-4). Gesù

diventa subito una figura controversa perché annuncia fin dall’inizio l’universalità

del Vangelo, offendendo i Giudei di più stretta osservanza (Lc 4:25-30).

6. I MIRACOLI DI GESÙ

In tutti i Vangeli i miracoli occupano un notevole spazio (particolarmente, in

proporzione, in Marco) e hanno la funzione di sollevare la domanda: “Chi è

dunque quest’uomo?” (Mc 4:41). Sono dunque “segni” (questo termine è però

caratteristico del Vangelo di Giovanni) del Regno di Dio. I miracoli possono essere

classificati in tre grandi categorie:

A. Guarigioni (i più numerosi), comprese alcune resurrezioni di morti;

B. Liberazioni di indemoniati;

C. Altri miracoli, specialmente di trasformazione della natura (moltiplicazioni di

cibo, ecc.) e dominio su di essa (ad es. la tempesta calmata, camminare sul

lago).

A differenza di altre religioni, i miracoli del Vangelo non hanno quasi mai lo scopo

semplicemente di impressionare o di suscitare meraviglia: sono atti di

misericordia, utili per aiutare le persone (cfr. la tentazione nel deserto). A questa

regola ci sono poche eccezioni: la maledizione del fico (Mt 21:18-22 e parall.),

l’invito a Pietro di camminare sull’acqua del lago (Mt 14:28-31). Sembra che questi

episodi insoliti servano per porre in rilievo la grande importanza che Gesù

attribuisce alla fede.

Nell’operare le guarigioni, è notevole la grande varietà dei mezzi utilizzati da

Gesù: l’imposizione delle mani (Mc 6:5, Lc 4:40); il contatto con la sua persona o

con gli indumenti (Mt 9:20, 14:36); una parola di comando autorevole (Mt 8:8,13,

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Lc 17:14); la saliva (Mc 7:33, 8:23); ecc. ecc. In alcuni casi scaccia uno spirito di

infermità (Lc 13:11), ma questo è piuttosto eccezionale.

7. LA SCELTA E LA FORMAZIONE DEI DISCEPOLI

“Discepolo” significa “alunno” o “apprendista”. Un discepolo aderiva a e seguiva

(anche fisicamente, perché spesso voleva dire una vita itinerante) un maestro,

dopo avergli chiesto di accettarlo come suo discepolo. Gesù ebbe molti discepoli,

alcuni dei quali si offrivano volontari (Mt 8:19, Lc 9:57, 61), altri furono chiamati

da Lui (Mt 9:9, 19:21, Mc 1:17, Lc 9:59, ecc.). Anche le donne che lo seguivano e

provvedevano alle sue necessità (Lc 8:2-3) e Maria sorella di Marta “la quale,

sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola” (Lc 10:39) possono essere

considerate come “discepole”.

Fra questi discepoli Gesù scelse – dopo lunga preghiera e riflessione – dodici in

particolare da formare perché portassero avanti la Sua missione nella formazione

e conduzione della Chiesa (Mc 3:13-19 e parall.). Non solo dovevano stare con lui,

osservarlo, ascoltarlo e imparare da lui, ma essere anche formati attraverso

l’esperienza pratica: predicare, guarire, ecc. (3:15), ma anche compiti pratici quali

comprare il cibo, trovare l’alloggio e tenere la borsa dei soldi.

Fra i Dodici ci fu poi il “cerchio intimo” dei tre (Pietro, Giacomo, Giovanni) che

Gesù porta con sé in talune occasioni (ad es. la resurrezione della figlia di Jairo,

Mc 5:37; la Trasfigurazione, Mc 9:2, la preghiera nel giardino di Getsemani, Mc

14:33 e parall.), fra i quali Giovanni è identificato in particolare come “quel

discepolo che Gesù amava”.

8. LE PARABOLE

Spesso nel suo insegnamento Gesù fa uso di parabole, in cui un racconto su cose

e situazioni familiari è usato per illustrare una verità spirituale. Una parabola non

è un’allegoria, nella quale ogni particolare ha un significato corrispondente (anche

se certe parabole si avvicinano all’allegoria, cfr. Mt 13:37-43). Ordinariamente

nella parabola, ci sono uno o due punti principali, mentre i dettagli servono solo

per abbellire la storia e renderla più interessante (cfr. Lc 15:11-32). Matteo

raccoglie le parabole quasi tutte in alcuni “blocchi” (cap. 13, 21:28-22:14, cap.

25), mentre in Marco e Luca sono più dispersi.

Non sempre le parabole sono presentate esplicitamente come tali (Lc 15:11-32,

16:1-8, 19-31), ma il loro carattere è evidente dalla forma. Raramente Gesù ne

spiega il significato, e allora solo ai discepoli (Mt 13:36, Mc 4:10-11). In questo

Panorama del Nuovo Testamento

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14

segue un principio didattico molto valido, in quanto i segreti del regno di Dio non

sono per tutti (cfr. “le perle date ai porci”), ma sono per coloro che cercano,

chiedono e bussano per comprendere e potersene appropriare.

9. I DISCORSI

Oltre alle parabole, i Vangeli (in particolare Matteo e Luca) contengono dei

discorsi o insegnamenti, di cui i più notevoli sono il “Sermone sul Monte” (Matteo

capp. 5-7), con il semi-parallelo “Sermone sulla pianura” (Luca 6:20-49), e il

“Discorso profetico” (Matt. capp. 24-25 e parall.).

È assai probabile che Gesù, come altri rabbini (e come era abitudine universale

nelle culture prevalentemente orali), ripetesse gli stessi insegnamenti in più

occasioni e in forme leggermente diverse. Questo spiegherebbe la diverse forme

in cui vengono riferiti insegnamenti come il “Padre nostro” (Mt 6:9-13, Lc 6:4) o le

“Beatitudini” (Mt 5:3-11, Lc 6:20-26), come anche le parabole simili ma diverse (ad

es. i “Talenti” (Mt 25:14-30) e le “Mine” (Lc 19:12-27).

10. LA PASSIONE E LA RESURREZIONE

In tutti i Vangeli gli eventi dell’ultima settimana della vita di Gesù occupano un

grandissimo spazio, poiché su questi si fonda il messaggio e la speranza del

cristianesimo:

Matteo: 8 capitolo su 28

Marco: 6 capitoli su 16

Luca: 5½ capitoli su 24.

In questa fase il parallelismo tra tutti e quattro i Vangeli è notevole. Per quel che

riguarda i Sinottici, si possono distinguere le seguenti fasi:

Matteo Marco Luca

1. L’ingresso trionfale 21:1-11 11:1-11 19:29-44

2. La purificazione del Tempio 21:12-17 11:15-19 19:45-48

3. Il fico sterile seccato 21:18-22 11:12-14,

20-26

------

4. I discorsi nel Tempio 21:23-39,

22:15–23:39

11:27–

12:44

20:1–21:4

(cfr.13:34-35)

5. Il discorso profetico sul Monte

degli Ulivi

24:1–25:46 13:1-37 21:5-38

Panorama del Nuovo Testamento

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6. L’ultima cena 26:1-35 14:1-31 22:1-38

7. La preghiera nel giardino di

Getsemani

26:36-46 14:32-42 22:39-46

8. L’arresto, il processo e la

flagellazione

26:47–27:31 14:43 –

15:20

22:39–23:25

9. La crocifissione e il

seppellimento

27:32-66 15:21-47 23:26-56

10. La resurrezione, le apparizioni

e l’ascensione

cap. 28 cap. 16 cap. 24

È notevole il fatto che nei tre Vangeli i racconti delle apparizioni dopo la

Resurrezione sono notevolmente diverse, come se attingessero da tre fonti

diverse e selezionassero tra una grande quantità di episodi (cfr. Atti 1:3).

IL VANGELO DI GIOVANNI

Nota: I commenti dettagliati sul testo di questo Vangelo non saranno oggetto di

domande approfondite nei test, dal momento che scendono più nel dettaglio di

quanto richiederebbe un “Panorama del Nuovo Testamento”. Tuttavia si è riienuto

di fare cosa utile mettendoli a disposizione per intero, visto che già esistono, come

risorsa per una futura consultazione e uno studio più approfondito.

INTRODUZIONE

2.1 Autore e data

Che l’apostolo Giovanni, figlio di Zebedeo, sia l’autore del Vangelo fu accettato

senza discussione dalla chiesa primitiva. A sostegno di questa convinzione ci

sono delle testimonianze esterne (Ireneo, Ippolito, ecc.), ma anche delle prove

interne: Giovanni non è mai espressamente nominato, ma è facile identificarlo con

il “discepolo che Gesù amava”, il quale in 21:24 dichiara di essere l’autore del

Vangelo (cfr. anche 1:14, 19:35).

Alcuni hanno obiettato che è inverosimile che questo Vangelo sia stato scritto dal

pescatore Giovanni, Ebreo descritto in Atti 4:13 come “popolano senza istruzione”,

per i seguenti motivi:

Panorama del Nuovo Testamento

Modulo 1

16

l’influenza ellenistica che si nota nel Vangelo;

la sua ostilità nei confronti dei “Giudei” (da identificare però con le autorità

religiose, non con tutto il popolo);

la familiarità con nozioni filosofiche (ad es. nel “Prologo”).

Ma la sua lunga permanenza (secondo un’antica tradizione) ad Efeso, l’ostilità dei

capi del Giudaismo ufficiale contro il cristianesimo, e il desiderio di prendere le

distanze da esso per conquistare i Gentili, sono ragioni sufficienti per spiegare

queste caratteristiche; mentre l’intelligenza e la cultura non sono da identificare

con il grado di istruzione formale. Anche Gesù suscitò meraviglia per il suo livello

di cultura, essendo un artigiano senza istruzione formale (Gv 7:15).

La tradizione dice che il Quarto Vangelo fu composto ad Efeso da Giovanni ormai

vecchissimo – quindi verso la fine del primo secolo – per supplementare e

completare le informazioni date dai Sinottici. Gv 21:23 sembra appoggiare la tesi

della vecchiaia (si accenna in 21:19 al martirio di Pietro come già avvenuto), e le

prove interne suggeriscono che l’autore fosse a conoscenza dei Sinottici. Alcuni

dei più antichi manoscritti del N.T. che possediamo sono di questo Vangelo: il

papiro Bodmer di Ginevra (ca. 200 d.C.), che contiene quasi tutto il Vangelo, e il

frammento Rylands (Manchester) che risale addirittura al 120 ca.

2.2 Scopo, contenuto e teologia

Lo scopo dichiarato del Vangelo è evangelistico ed apologetico (20:31);

evidentemente, come Luca/Atti, si rivolge a un uditorio colto (d’altronde il solo in

grado di leggere in quei tempi!). Tuttavia, la frase “affinché crediate” potrebbe

estendersi al rafforzamento della fede di chi è già credente: infatti questo Vangelo

è da sempre particolarmente amato dai credenti per la sua ricchezza teologica e

devozionale. Uno scopo secondario potrebbe essere quello di aggiungere

informazioni non riportate dai Sinottici. In alcuni punti sembra difficile conciliare

Giovanni con la versione dei Sinottici: notoriamente nella cronologia della

Passione, ma anche per es. la purificazione del Tempio all’inizio del ministero (Gv

2:13-17, cfr. Mt 21:12-17 ecc., che comunque rappresenta probabilmente un

episodio diverso).

Il Vangelo concentra l’attenzione sul ministero di Gesù a Gerusalemme, mentre i

Sinottici privilegiano quello in Galilea. A differenza dai Sinottici, l’insegnamento è

riportato quasi interamente in forma di discorsi o dialoghi, mentre mancano le

parabole. È a volte difficile stabilire dove finisce un discorso, e dove inizia il

commento o la riflessione dell’autore (ad es. 3:11-21,27-36). I discepoli e la loro

formazione sono meno in vista che nei Sinottici.

Panorama del Nuovo Testamento

Modulo 1

17

Al centro dell’attenzione è la cristologia: “Chi è questo Gesù?” Rispetto ai Sinottici,

Egli viene presentato più nel suo aspetto divino e meno in quello umano. È

sottolineato il suo ruolo come Messia (1:41, 4:29. 11:27), ma anche e soprattutto

come “Figlio di Dio”, pre-esistente ed incarnato, e il suo sacrificio come Agnello di

Dio. C’è una serie di affermazioni che cominciano “Io sono…” (la Via, la Vita, la

Luce, la Resurrezione, la Verità, il Buon Pastore, ecc.), che esprimono aspetti

diversi della sua persona e della sua opera, ma che costituiscono anche pretese di

divinità (cfr. 8:58). I miracoli riportati nel Vangelo sono selezionati per il loro

valore di “segni”, e ciascuno serve come “parabola concreta”. Viene dato molto

risalto anche alla persona dello Spirito Santo (specialmente nei capp. 14-16).

CONTENUTO

2.3 Il Prologo: 1:1-18

Anziché iniziare dalla figura storica di Gesù, Giovanni comincia dal Cristo

eternamente preesistente (“la Parola”, greco logos, termine forse preso in prestito

dalla filosofia dell’Ebreo ellenistico Filone di Alessandria), solo in seguito

identificato con il Gesù storico (v.14). L’esordio (v.1) è chiaramente inteso a

ricordare Gen. 1:1. Anche il riferimento alla “luce” (v.5) probabilmente richiama

Gen. 1:3, anche se qui è in vista la “luce” spirituale che all’inizio del mondo

illuminava gli uomini, caduti poi nelle “tenebre” a causa del peccato (cfr. vv.5-9,

8:12, ecc.). Nel v.2 si afferma chiaramente la natura non creata della Parola, che

anzi ha partecipata alla creazione di ogni cosa fatta.

Al v.18 i manoscritti più antichi hanno non “l’unigenito figlio” ma l’insolita

espressione “l’unigenito Dio”, una straordinaria testimonianza della dottrina

cristologica della Chiesa primitiva.

2.4 Testimonianza di Giovanni Battista: 1:19-34

L’autore dà per scontato che il lettore sia già a conoscenza di Giovanni Battista e

della sua opera. È forse possibile che ci fossero rimasti ancora dei discepoli o

ammiratori di Giovanni (cfr. Atti 19:1-4). Come nei Sinottici, egli viene presentato

come il “precursore” che annuncia un altro, più grande di lui, che verrà dopo e che

battezzerà nello Spirito Santo; ma qui, Giovanni lo presenta anche come “Agnello

di Dio” (vv.29,36). Giovanni descrive la discesa dello Spirito Santo su Gesù (v.32),

ma non il suo battesimo da parte di Giovanni.

Panorama del Nuovo Testamento

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18

Notiamo la ripetizione di “il giorno seguente…” (vv.29,35,43, cfr. 2:1), come per

sottolineare il fatto che si tratta di una testimonianza oculare (cfr. 1:14, 1° Gv 1:1-

3, ecc.).

2.5 I primi discepoli: 1:35-51

I Sinottici non riferiscono che Andrea e il suo compagno (forse lo stesso

Giovanni?) fossero stati già discepoli di Giovanni Battista, anzi raccontano la loro

chiamata a “lasciare le reti” al lago di Galilea come se fosse una cosa improvvisa;

qui invece ne vediamo la retroscena. Viene ancora sottolineato il carattere

transitorio del ministero di Giovanni e la superiorità di Gesù (cfr. 3:28-30). Andrea

qui riconosce subito Gesù come Messia, mentre nei Sinottici tale comprensione

sembra arrivare gradualmente e molto più tardi (Mt 16:16 ecc.).

Anche la chiamata di Simone e il conferimento del soprannome “Pietro” avvengono

in modo diverso qui rispetto ai Sinottici. È possibile riconciliare le due versioni

(qui Gesù usa il tempo futuro, come per indicare che Simone non meritava ancora

tale nome); ma Giovanni vuole sottolineare il discernimento profetico e sopran-

naturale di Gesù (cfr. 1:47-48, 2:24-25, 4:17-19 ecc.). È messo in rilievo la

“reazione a catena” della chiamata dei discepoli: questo è infatti il Vangelo che

sottolinea maggiormente l’evangelizzazione e la conversione individuale.

Episodi avvenuti mentre Giovanni Battista è ancora in libertà

2.6 Il miracolo di Cana: 2:1-12

È significativo che questo “primo miracolo” del ministero di Gesù viene compiuto a

favore della gioia di una festa di nozze: così Gesù benedice ed approva

l’istituzione del matrimonio e i festeggiamenti che l’accompagnano. Non è chiaro

se nelle parole di Maria (v.3) sia implicito un invito a fare qualcosa, o che cosa

(anche se la risposta di Gesù lo fa pensare). Maria ricordava certamente le

straordinarie promesse date alla sua nascita e probabilmente capiva che Egli stava

per iniziare il suo ministero pubblico. La risposta di Gesù (v.4) sembra un rifiuto

di ingerenze in cose che riguardano solo Lui e suo Padre: per questo chiama Maria

non “mamma”, ma “donna” (termine che comunque non comporta una mancanza

di rispetto).

Le “due o tre misure” (v.6) per 6 recipienti fanno 6-7 ettolitri in tutto: questo, e

l’ottima qualità del vino (v.10) sono “segni” della grandezza delle risorse divine.

Sembra che non tutta l’acqua fu mutata in vino ma solo quanto ne fu attinto per i

convitati, dal momento che “i servitori... avevano attinto l’acqua” (v.9). Il fatto che

Panorama del Nuovo Testamento

Modulo 1

19

si parli di “questo primo dei suoi miracoli” (v.11) toglie ogni credibilità ai racconti

di “miracoli d’infanzia” nei cosiddetti “Vangeli apocrifi”.

2.7 Prima visita a Gerusalemme. La purificazione del Tempio: 2:13-25

L’azione di Gesù costituisce una pretesa di autorità sul Tempio (“la casa del Padre

mio”, v.16), ed è un esempio di “ira senza peccato” (cfr. Ef. 4:26). Le parole

enigmatiche del v.19 divennero base dell’accusa contro Gesù al suo processo (Mc

14:58 ecc.), e furono comprese dagli stessi discepoli solo dopo la Resurrezione

(v.22). vv.23-25: non si dànno informazioni dettagliate sui “miracoli” compiuti

durante questo soggiorno, ma il risultato fu che “molti credettero nel suo nome”.

Gesù, viceversa, “non si fidava di loro”: il verbo è lo stesso, seppure con

costruzione diversa. Implicitamente, si dice che anche in chi crede (magari in

modo superficiale) si può annidare ancora il male.

2.8 Incontro con Nicodemo: 3:1-21

Mentre di solito troviamo i Farisei ostili a Gesù, eccone uno – un “capo” e membro

del Sinedrio (7:50) – che vuole interrogarlo seriamente. Il suo nome greco indica

una provenienza ellenistica. Viene “di notte” – si suppone per non farsi vedere – e

riconosce Gesù come “un dottore venuto da Dio” in base ai “segni”.

Gesù però non aspetta neanche le sue domande, ma interviene con l’affermazione

radicale del v.2. “Di nuovo” si può tradurre anche “dall’alto”: entrambi i sensi

vanno benissimo, ma Nicodemo sembra capire il primo (v.4). Notiamo bene che

Gesù dice che è necessario nascere di nuovo per vedere o entrare nel Regno, non

che sia sufficiente!

v.5: si discute se “acqua” qui si riferisca o meno al battesimo. Comunque l’acqua

parla di purificazione e di rinnovamento (il simbolismo del battesimo stesso). I

due elementi sono abbinati ad es. in Ezech. 36:25-27.

“Il vento” (v.8) traduce, non la parola comune per “vento” (anemos), ma quella per

“spirito” (pneuma). Comunque, in ebraico la stessa parola (ruach) ha entrambi i

significati. Gesù parla dell’opera dello Spirito come qualcosa di misterioso,

incomprensibile in termini umani, ma che produce effetti percettibili. Nonostante

questo, fa parte delle “cose terrene” (v.12).

È incerto se il discorso di Gesù termini al v.12, al v.15 o al v.21. La “discesa” di cui

al v.13 deve essere l’Incarnazione; ma qual è la “salita” (al tempo passato)? Se è

Gesù che parla, potrebbe riferirsi a “discese” e “salite” prima dell’Incarnazione

(pensiamo alle apparizioni dell’“Angelo del Signore”); oppure vuol dire: “Nessun

Panorama del Nuovo Testamento

Modulo 1

20

[uomo] è salito in cielo; solo io ci sono stato, che ne sono disceso”. Le parole “che

è nel cielo” non si trovano nei MSS più antichi.

Notevole è la definizione del “giudizio” (krisis) al v.19: Dio non giudica

arbitrariamente, ma prende atto della decisione (sentenza) di ogni uomo in

relazione a Sé. Di nuovo il tema “luce/tenebre” (cfr. 1:4-9).

2.9 Gesù e Giovanni Battista: 3:22-36

Si vede qui la “staffetta” tra Giovanni e Gesù. Giovanni è ben conscio del suo ruolo

di “precursore” e si rallegra del successo dello “sposo” (vv.29-30).

2.10 Gesù e la Samaritana: 4:1-42

La donna si meraviglia (v.9) perché Gesù non tiene conto del duplice pregiudizio

giudaico nei confronti delle donne e dei Samaritani. Ma la richiesta di Gesù è un

pretesto per attaccare discorso con una persona bisognosa. Evitando le sterili

polemiche religiose (si noti “Giacobbe nostro padre”, v.12 e il v.20!) parte

dall’immediato interesse materiale (v.15) e fa uso dei doni di rivelazione (v.18) per

suscitare meraviglia e rispetto, spostando il discorso sempre dalla “religione” alla

coscienza e all’interiorità (vv.23-24). Questa donna è la prima persona cui Gesù si

annuncia apertamente come il Messia (v.26), e ne diventa subito “testimone”

(vv.28-30).

Con i discepoli (vv.31-38) Gesù fa un discorso sul “lavoro” spirituale: essi devono

seguire il suo esempio (v.34), desiderando compiere la volontà di Dio più dello

stesso cibo. L’accoglienza dei Samaritani (39-42) non incontra pregiudizi da parte

Sua.

2.11 Secondo miracolo in Galilea: 4:43-54

Gesù ritorna in Galilea. L’“ufficiale reale” non può essere identificato con il

“centurione” dei Sinottici, ma è un altro che vive fuori della religiosità “ufficiale”.

La risposta di Gesù (v.48) indica l’importanza del miracolo come “segno” per

portare alla fede, e non solo come risposta al bisogno umano. Nondimeno,

l’urgenza dell’uomo (v.49) vince le resistenze di Gesù, facendo appello alla Sua

compassione. Il miracolo mette in evidenza la natura della fede che crede senza

ancora vedere (v.50), e porta alla fede più importante (v.53), quella nella persona

di Gesù, non più soltanto nella sua opera.

Panorama del Nuovo Testamento

Modulo 1

21

2.12 Guarigione del paralitico a Betesda: 5:1-16

Non si sa per quale festa giudaica Gesù va di nuovo a Gerusalemme. La vasca con

i suoi cinque portici, una volta citata come esempio di errore storico in questo

Vangelo, è stata poi scoperta dagli archeologi. I vv.3b-4 mancano nei MSS più

antichi e sono probabilmente il commento di un copista.

v.6: la domanda di Gesù sembra superflua, ma era possibile che, dopo tanti anni,

l’uomo stesse lì più per abitudine che con l’effettiva speranza o desiderio di

tornare sano. (Talvolta anche noi faremmo bene a rivolgere la stessa domanda ai

malati, prima di pregare per una guarigione…) Evidentemente è per una precisa

rivelazione dal Padre (cfr. vv.19-20) che Gesù si rivolge a quest’uomo in

particolare, fra i tanti malati presenti.

vv.9-10,16: come nei Sinottici, il sabato diventa uno dei principali motivi di

conflitto tra Gesù e le autorità religiose. v.14: come in altri casi (ad es. Mc 2:3-12),

si fa un collegamento tra malattia e peccato. Ma in questo caso la guarigione non

presuppone il ravvedimento, piuttosto mira a produrlo.

2.13 Discorso di Gesù: 5:17-47

vv.17-18: notiamo la radicalità di “chiamare Dio suo Padre”, nome che Gesù dice

anche a noi di usare. Nei vv.19-30, notiamo il meraviglioso equilibrio tra la

subordinazione del Figlio al Padre (vv.19,30) e la sua uguaglianza al Padre (vv.20-

23, 26). Il v.24 e una “classica” affermazione della realtà della conversione,

effettiva già al presente: senza fede in Cristo, anche chi vive è in realtà morto, ma

viene il tempo in cui questa realtà si manifesterà apertamente con la resurrezione

e il giudizio (vv.25-29).

La seconda parte del discorso riguarda i testimoni a favore di Gesù, cioè: a)

Giovanni Battista (vv.32-35); b) le opere potenti (v.36); c) il Padre stesso, tramite

queste opere (vv.37-38); d) le Scritture (v.39).

2.14 La moltiplicazione dei pani; Gesù cammina sul mare: 6:1-21

È l’unico miracolo riferito in tutti e quattro i Vangeli (il che potrebbe riflettere la

sua popolarità come soggetto di predicazioni nella chiesa primitiva). La scena è di

nuovo in Galilea. Solo Giovanni riferisce che l’entusiasmo della folla arrivava al

punto di voler dichiarare Gesù re (v.15). Come in Mt e Mc, il racconto di Gesù che

cammina sul mare segue immediatamente dopo la moltiplicazione dei pani.

Panorama del Nuovo Testamento

Modulo 1

22

2.15 Il pane della vita: 6:22-71

Solo Giovanni riferisce questo lungo discorso, che prende spunto dal miracolo

appena raccontato. Gesù mette in contrasto l’atteggiamento della folla, che

ricerca solo il vantaggio materiale, con quello giusto di ricercare prima il bene

eterno (vv.26-27). Al v.35 c’è il primo dei grandi “Io sono” di questo Vangelo. Gesù

stesso è il “segno”, ma anche dopo averLo vista, i più non credono (cfr. vv.30,36),

mentre nei vv.39,40 Gesù afferma di avere potere sulla stessa morte.

Al v.51 Gesù introduce un nuovo concetto: quello che “il pane… è la mia carne”,

cioè la propria vita data in sacrificio. Naturalmente i Giudei si ribellano al pensiero

di dover “mangiare la sua carne e bere il suo sangue”: ricordiamo che era vietato

loro anche il sangue degli animali, per non parlare di questo “cannibalismo”! Però

è vero che c’è una sorta di “cannibalismo”, in quanto Gesù doveva morire perché

noi avessimo la vita. Non è certo che ci sia qui un riferimento alla Cena del

Signore, come suggeriscono gli interpreti cattolici, anche se è probabile che ciò

fosse nel pensiero di Giovanni quando scrive; nel v.63, Gesù implicitamente

identifica “il pane” che dà vita con “le parole”, a scanso di qualsiasi interpretazione

di tipo materialistico.

Alla conclusione del discorso, molti – anche se definiti “discepoli” – si ritirano e

non seguono più Gesù (vv.60-66). Anche i Dodici mostrano segni di turbamento,

ma, avendo compreso quale sia la fonte della vita eterna, non hanno altra scelta,

per quanto sia alto il prezzo del seguire Gesù (vv.67-69).

2.16 Gesù e i suoi fratelli: 7:1-9

Nel cap. 2 abbiamo già visto una certa incomprensione nella relazione tra Gesù e

la madre; qui è illustrata quella con i fratelli, di aperto scherno e ostilità. vv.3-4:

essi non negano i miracoli, ma non comprendono le motivazioni di Gesù,

suggerendo che egli cerchi il riconoscimento pubblico e la popolarità. Nel v.7,

Gesù smentisce questa idea con una certa durezza. La “testimonianza” alla quale

si riferisce è quella della vita e della presenza, più che delle parole.

2.17 Alla festa dei Tabernacoli: 7:10-52

Il v.17 è un versetto di grande importanza: la chiave della vera conoscenza

spirituale – quella che si ha per rivelazione – è la volontà. v.27: si discute se

Gesù possa essere o no il Messia. La tradizione sull’origine nascosta e misteriosa

del Messia era basata soprattutto sui libri apocrifi (1° Enoc, 2° Esdra, ecc.).

Panorama del Nuovo Testamento

Modulo 1

23

vv.37-39: nell’ultimo giorno della festa si celebrava un rito solenne in cui un

sacerdote portava solennemente dell’acqua e la versava in dei vasi posti

sull’altare. Come in 4:10, Gesù prende spunto da questo rito per parlare

dell’acqua che disseta veramente; ma questa volta aggiunge che non solo

disseterà chi ne beve, ma diventerà anche un “fiume” per dissetare gli altri. Non è

chiaro a quale “Scrittura” egli si riferisce: la più vicina sarebbe Is. 58:11.

v.42: Giovanni dà per scontato che i suoi lettori conoscono il racconto della

Natività, che non è riferita nel suo Vangelo. Il riferimento è a Michea 5:1.

2.18 La donna adultera: 7:53-8:11

Questo brano si trova in uno solo dei MSS più antichi. Anche alcuni di quelli più

tardivi che l’includono lo segnano con un asterisco per esprimere dubbi; alcuni lo

mettono alla fine del Vangelo, altri dopo 7:36 o dopo Lc 21:38. Comunque è

chiaro che rappresenta una tradizione antica e non ci sono ragioni decisive per

negare la sua storicità, anche se probabilmente non faceva parte del Vangelo

originale di Giovanni. Da Girolamo e Agostino (IV sec.) impariamo che era

presente in alcuni MSS del loro tempo e che anche allora si discuteva sulla sua

autenticità. Lo stile è leggermente diverso da quello abituale di Giovanni, e gli

avversari di Gesù sono qui chiamati “gli scribi e i farisei”, espressione frequente

nei Sinottici ma mai usata altrove da Giovanni, il quale parla solitamente de “i

Giudei”.

I Farisei, come in altre occasioni, cercano di mettere Gesù in difficoltà con una

domanda a trabocchetto. Notiamo anche che, a dispetto della Legge (Deut.

22:22), volevano lapidare soltanto la donna e non anche l’uomo preso con lei!

Nella risposta di Gesù è implicita la pretesa di superiorità sulla Legge e di avere

l’autorità di perdonare i peccati. Non va comunque intesa – come fanno alcuni –

come espressione di indulgenza verso ogni forma di peccato.

2.19 Gesù e il Padre: 8:12-59

v.12: il secondo “Io sono” di Gesù: cfr. 1:4-9.

La menzione del Padre (v.18) porta a una discussione sull’origine e identità di

Gesù (vv.21-29). vv.31-36: Gesù parla del legame essenziale tra verità e libertà. È

necessario non solo conoscere la parola di Gesù, ma anche “perseverare” in essa,

cioè nel metterla in pratica (cfr. Mt 7:24-27). Gli ascoltatori rispondono vantandosi

della loro discendenza da Abramo. (Ricordiamo comunque che, nel senso politico,

gli Israeliti erano stati “schiavi” in Egitto per 400 anni, poi in Babilonia, e ora

Panorama del Nuovo Testamento

Modulo 1

24

stavano sotto il dominio romano!) Nel v.34, Gesù espone la condizione di chi

commette il peccato: è questa la vera schiavitù.

I vv.35-36 possono avere diverse interpretazioni:

1) il “figlio” è Gesù, il solo ad avere “diritto di residenza” nella casa del Padre,

quindi l’unico autorizzato a liberare gli “schiavi” e farli vivere nella casa di suo

Padre. Ma il “padrone” degli schiavi è il peccato (v.34), così non è chiaro per

quale motivo Gesù avrebbe il diritto di liberarli: deve essere in questo caso

sottintesa la sua vittoria sul “padrone” (cfr. Mc 3:27);

2) lo “schiavo” e il “figlio” nel v.35 sono due diverse condizioni di peccato. Alcuni

peccano contro voglia, perché ci sono costretti (cfr. Rom. 6:16-22, 7:14-23);

essi possono essere liberati da Gesù in quanto Figlio di Dio. Altri sono invece

“figli” del peccato (cfr. v.44): essi peccano volentieri, per libera scelta. Per loro

non c’è possibilità di lasciare quella “casa” (fino a quando non si ravvedono,

cessando così di essere “figli”). È questa dunque l’interpretazione da preferire.

vv.37-44: continua il discorso sulla “paternità”. Gesù insegna un principio

importante: i figli si riconoscono per la loro somiglianza con il Padre

(vv.39,41,42,44). Questo brano smentisce l’idea popolare, incoraggiata dal

cattolicesimo liberale, che “sono tutti figli di Dio”. Nel v.41 c’è forse

un’insinuazione relativa alle “voci” che circolavano sulla nascita di Gesù; ma può

anche riferirsi al senso spirituale di “fornicazione” come “infedeltà a Dio”. L’ostilità

dei Giudei arriva al culmine con la tentata lapidazione (v.59).

2.20 Guarigione dell’uomo nato cieco: cap. 9

Anche questo miracolo ha carattere di “parabola concreta”, come questa volta

spiega esplicitamente Gesù (vv.39-41). Come altre volte in questo Vangelo, è Gesù

che prende l’iniziativa della guarigione (cosa rara nei Sinottici). vv.2-3: a

differenza dal cap. 5, questa volta l’infermità non è risultato del peccato. vv.8-38:

le vivaci discussioni sul miracolo – anche questa volta fatta di sabato (v.14) –

portano il guarito a capirne sempre meglio il significato e a prendere posizione

sulla persona di Gesù. vv.39-41: come in 3:19, il “giudizio” è soprattutto una

“separazione”. La venuta di Gesù sconvolge l’apparente ordine morale: cfr. Mt

21:31-32.

2.21 Il buon pastore: 10:1-21

Questo discorso continua senza interruzione dal capitolo precedente, per cui

sembra che Gesù voglia proporre un contrasto tra se stesso e i Farisei, cattivi

pastori (cfr. Ezech. 34) e guide cieche (Mt 23:16). Ma i principi qui esposti si

applicano ad ogni vero pastore, che è tale perché partecipa al ministero pastorale

di Gesù come Suo delegato.

Panorama del Nuovo Testamento

Modulo 1

25

Il discorso, sebbene proposto in forma diretta (“Io sono…”), ha molte delle

caratteristiche di una parabola, in quanto non è possibile attribuire un significato

a ogni singolo dettaglio. vv.3-5: si sottolinea il fatto che le pecore riconoscono il

vero pastore e lo seguono volentieri, mentre il “ladro e brigante” riesce a

impossessarsene soltanto con la forza o con l’inganno. v.8: il riferimento deve

essere ai falsi Messia, non ad es. ai profeti dell’A.T. v.10: “il ladro” è ogni falso

pastore, ma è anche il capostipite di tutti gli impostori, il Diavolo. vv.11-15: si

propone un altro contrasto, quello col “mercenario”, che custodisce le pecore solo

per guadagno (sia materiale, sia per altri tipi di tornaconto personale: stima,

posizione, fama, ecc.). “Dà la sua vita” (vv.11,15,17): il verbo greco (lo stesso nei

tre vv.) sottolinea il carattere volontario del sacrificio di Gesù, pensiero sviluppato

ancora nel v.18. La stessa prontezza a sacrificare (“mettere da parte”) la propria

vita caratterizza ogni vero pastore.

Le “altre pecore” (v.16) devono essere i Gentili. Sarà così abbattuto il “muro di

separazione” tra Giudeo e Gentile (cfr. Ef. 2:14).

2.22 Alla festa della Dedicazione: 10:22-42

Questa festa (ebr. hanukkah) – solo qui menzionata nelle Scritture canoniche – fu

istituita da Giuda Maccabeo (1° Macc. 4:56) per commemorare il ripristino del

Tempio dopo la profanazione operata da Antioco Epifane (164 a.C.), e aveva luogo

in novembre o dicembre (v.22), due mesi e mezzo dopo quella dei Tabernacoli. Il

fatto che avesse luogo d’inverno, cioè nella stagione piovosa, spiega il perché

Gesù stesse sotto il portico di Salomone (v.23).

v.26: Gesù riprende il tema del pastore e delle pecore. Chi non riconosce la voce

del Pastore e non lo segue, dimostra di non far parte del suo gregge. “La mia

mano… la mano del Padre” (vv.28-29) prepara la strada all’affermazione seguente:

“Io e il Padre siamo uno” (lett.: “una sola cosa”). Quest’affermazione di divinità è

chiaramente compresa dai Giudei (vv.31-33). vv.34-36: la citazione è dal Sal. 82:6

(“legge” qui deve indicare tutta la Scrittura). Gesù afferma (v.35) l’eterna validità e

inerranza delle Scritture. Il brano citato chiama “dèi” gli uomini rivestiti di autorità:

se Dio dà loro questo titolo, quanto più vi ha diritto colui che Dio ha inviato dal

cielo?

2.23 Lazzaro risuscitato: 11:1-46

Questo è l’ultimo e il più grande dei sette miracoli compresi nel Vangelo di

Giovanni, e quello che occupa maggiore spazio. Costituisce dunque un punto

Panorama del Nuovo Testamento

Modulo 1

26

culminante, così come il suo “messaggio” – la vittoria di Gesù sulla morte – è

quello centrale del Vangelo. Come nei casi della figlia di Jairo (Mt 9:23 seg. e

parall.) e del figlio della vedova di Nain (Lc 7:11-17), nonché i simili miracoli

operati dai profeti dell’A.T., il ritorno in vita non costituisce una “resurrezione” nel

senso pieno, di cui Gesù sarà la “primizia” (1° Cor. 15:20), ma piuttosto una

guarigione spinta agli estremi limiti: i beneficiari di questi miracoli poi

invecchiarono e morirono come tutti, e attendono anch’essi la resurrezione finale

dei morti.

v.2: Giovanni presuppone una certa familiarità con questi personaggi e con i fatti

con loro connessi: l’unzione dei piedi di Gesù è raccontata solo nel cap. 12. v.4:

questa affermazione di Gesù sarà poi apparentemente smentita dai fatti. v.6: la

N.Riv.omette il paradossale “dunque” (per il quale cfr. v.15). Ma, anche se Gesù

fosse partito subito, non sarebbe comunque arrivato prima della morte di Lazzaro

(v.17). vv.9-10: c’è un tempo giusto per ogni cosa, e chi cammina secondo l’orario

stabilito dal Padre non cade in errori né in pericoli.

vv.20-22: Marta, la sorella più “attivista”, viene incontro a Gesù. Le sue parole

suggeriscono una speranza che non osa esprimere apertamente. Gesù risponde

puntando l’attenzione sulla realtà di fondamentale importanza, quella della

resurrezione finale e della vita eterna (vv.23-27).

v.32: anche Maria incontra Gesù con le stesse parole della sorella, che forse

riflettono dunque dei discorsi fatti tra di loro. Gesù, sebbene mosso unicamente

dalla volontà del Padre, è toccato dall’emozione dei suoi amici (vv.33,35,38). Il

verbo tradotto “fremere” (vv.33,38) significa letteralmente “indignarsi”: Gesù

considera la morte come un “nemico” (cfr. 1° Cor. 15:26). Il suo comando della

situazione fa contrasto con l’impotenza di tutti gli altri (vv.19,31,33,37). È

significativo che egli non prega, ma ringrazia e comanda (vv.41-43): la battaglia

era stata già vinta nella preghiera.

2.24 Reazione delle autorità: 11:47-57

Il Sinedrio non nega la realtà dei miracoli (v.47), ma invece di credere in Gesù, fa

un calcolo di convenienza politica (v.48). Caiafa (vv.49-50) propone con molto

cinismo, anche se in maniera velata, la sua eliminazione; questo è un raro caso di

profezia inconsapevole (vv.51-52). v.52: si anticipa ancora l’estensione del

Vangelo ai Gentili. È notevole che gli eletti sono chiamati “figli di Dio” ancora

prima di credere: cfr. 3:21.

Panorama del Nuovo Testamento

Modulo 1

27

2.25 L’unzione in casa di Lazzaro: 12:1-12

Questo episodio, nonostante le molte somiglianze, non può essere lo stesso di Lc

7:36-50, che avviene in casa di “Simone il fariseo” da parte di una donna

peccatrice. È invece chiaramente lo stesso episodio di Mt 26:6-13 e Mc 14:3-9,

anche se là si parla della casa di “Simone il lebbroso”, la donna non è nominata, e

si descrive l’unzione del capo e non dei piedi. Il valore del profumo è notevole: il

denarius era la paga giornaliera di un operaio. Le obiezioni allo “spreco”, in Mt e

Mc attribuite ai “discepoli” in generale, qui vengono da Giuda Iscariota in

particolare, e sono attribuite alla sua avarizia perché usava rubare. Giuda viene

così proposto come un esempio di quanto scritto in Lc 16:10-13.

2.26 Ingresso trionfale in Gerusalemme: 12:12-19

Il grido della folla viene dal Sal. 118, uno dei “canti dei pellegrinaggi” cantati dai

Giudei che si recavano a Gerusalemme per le grandi feste. È soprattutto il

riconoscimento popolare di Gesù come “Re d’Israele” a mettere in allarme i Farisei

(cfr. 11:48). Il motivo principale di questo momento di successo e di popolarità

sta nei miracoli, e particolarmente quello di Lazzaro (vv.17-19).

2.27 Gesù e i Greci. Annuncio della Passione: 12:20-50

I “Greci” devono essere proseliti al Giudaismo o “timorati di Dio”; il loro incontro

con Gesù anticipa l’estensione del Vangelo al di fuori dei limiti del Giudaismo

etnico. Si rivolgono a Filippo, la cui origine in una città agli estremi confini

(bilingui) della Galilea, insieme con il nome greco, lo rendono un intermediario

naturale. Il principio del “granello di frumento” (vv.24-25) è applicato non solo a

Gesù stesso, che sta per morire, ma anche in senso più generale; il v.25 si trova

anche nei Sinottici. Il v.27 sembra un “pensiero espresso ad alta voce”, non

indirizzato alle persone presenti.

v.31: la destituzione del “principe di questo mondo” avviene con la crocifissione

(Col. 2:15), ma si concretizza poi progressivamente (1° Cor. 15:24-28). Così anche

del “giudizio di questo mondo”, visto come sistema essenzialmente malvagio.

“La folla” (vv.35,37) ora si volge contro Gesù, nonostante i miracoli. Is. 6:10 è

citato anche in tutti i Sinottici nel contesto della parabola del Seminatore. È

notevole il v.41: la visione di Isaia 6 della gloria di Dio nel tempio è qui descritta

come visione di Gesù. La chiusura del ministero pubblico di Gesù ribadisce ancora

i temi della luce (vv.35-36,46) e del giudizio (vv.47-48).

Panorama del Nuovo Testamento

Modulo 1

28

2.28 Gesù lava i piedi ai discepoli: 13:1-17

Questo Vangelo accenna appena alle circostanze della “cena” (v.2): di nuovo

sembra presupporre una conoscenza dei Sinottici, o almeno degli avvenimenti

raccontati in essi. Viene sottolineata la consapevolezza di Gesù: “sapendo…

sapendo” (vv.1,3), e il suo amore per i discepoli (v.1).

Il lavaggio dei piedi è riferito solo in questo Vangelo. Gesù svolge un servizio

normalmente riservato al servo più umile, sia come espressione dell’amore (v.1),

sia come esempio ai discepoli (v.15). È notevole il fatto che egli lavi i piedi anche a

Giuda Iscariota, pur sapendo già che questi stava per tradirlo (v.11): anche per

noi, dunque, il servizio non è determinato dal merito di chi lo riceve, ma dal

comando di Gesù di imitare il Suo esempio. Gesù qui ci insegna la vera umiltà, che

non consiste nel negare i doni o la dignità che abbiamo ricevuto da Dio (v.13-14),

ma nel prendere la posizione di un servo anche nei confronti degli inferiori (cfr.

Fil. 2:5-8, Mc 10:42-45).

Il lavaggio dei piedi ha anche un significato simbolico, ancora nascosto ai

discepoli (v.7): nonostante il “lavaggio” o purificazione completa all’inizio della

vita cristiana, continuiamo ad aver bisogno di una “pulizia” regolare da parte di

Gesù. Questo è però un fatto interiore e spirituale, non determinato da riti

esteriori (v.10).

2.29 Annuncio del tradimento: 13:18-30

Gesù cita il Sal. 41:9 – che in primo luogo si riferisce al tradimento di Davide da

parte di un suo intimo amico (forse Ahitofel, 2° Sam. 17) – come una profezia

riferita a Sé. Egli parla della preconoscenza che ha per dare un’ulteriore prova del

fatto che è più che un uomo normale (v.19): di nuovo l’espressione greca è “Io

sono”. Il v.20 sembra anticipare la sua partenza e il conseguente affidamento della

missione ai discepoli: aveva usato le stesse parole nel mandarli in missione in Mt

10:40.

L’identità del traditore non viene annunciata apertamente, ma rivelata

privatamente a Giovanni stesso (vv.26, 28). Il gesto di dare il boccone intinto nella

salsa del piatto comune era un segno d’onore e indica l’amore che Gesù continua

a nutrire per Giuda Iscariota (cfr. v.1). Ma Giuda rifiuta anche quest’ultimo appello

e così fa posto perché “Satana entri in lui” (v.27). Gesù ne è cosciente e perciò lo

invita ora a non perdere più tempo (v.27). La menzione della “notte” simboleggia il

male e le azioni vergognose che si nascondono al buio: cfr. 3:19-21, 1° Tess. 5:4-

8.

Panorama del Nuovo Testamento

Modulo 1

29

2.30 Il discorso dell’Ultima Cena: 13:31 – 16:33

Il comandamento dell’amore (13:31-38): Per preparare i discepoli alla sua

partenza, Gesù dà il “nuovo comandamento” dell’amore (vv.34-35): “nuovo” perché

presenta come norma e misura il Suo amore, non più quello che ognuno ha per se

stesso (Lev.19:8).

Gesù consola i discepoli (14:1-11): I discepoli si erano turbati alla predizione del

tradimento da parte di uno di essi (13:21-28), e ancora di più a quella

dell’imminente e misteriosa partenza di Gesù e del rinnegamento di uno dei più

rappresentativi tra di loro. Perciò Gesù ora li rassicura, esortandoli ad avere fede

nel Padre e in lui e puntando l’attenzione sulla loro futura riunione (vv.2-3). Nella

famosa affermazione del v.6, l’attenzione è ora puntata sulla “via”; ma chiunque

viene a Gesù lo scopre inizialmente in uno o in un altro di questi tre ruoli. Nei

vv.7-11, insiste ancora sulla piena identificazione che esiste tra se stesso e il

Padre.

La promessa dello Spirito (14:12-31): Gesù promette ai credenti la stessa potenza

ha manifestato lui, e delega loro la sua missione (v.12). I due mezzi per accedere

a questa potenza sono la preghiera (vv.13-14) e lo Spirito Santo (vv.15-17), che

finora e stato “con” loro (perché in Gesù), ma presto sarà “in” loro (v.17). È qui

descritto soprattutto come Spirito di rivelazione che manifesterà loro la realtà e la

presenza invisibile di Gesù e del Padre (vv.18-23); rivelerà non solo queste cose,

ma anche le verità che riguardano Gesù (v.26).

L’ultima frase (v.31) è stata interpretata da alcuni come indicazione che a questo

punto Gesù e i discepoli escono dalla stanza e si avviano verso il Getsemani: il

discorso della vite sarebbe allora suggerito dai vigneti per i quali sarebbero

passati. Ma è meglio vederla come anticipazione dell’effettiva uscita dopo il cap.

17: cfr. 18:1.

La vite e i tralci (15:1-17): questo famoso discorso allegorico inizia con un altro “Io

sono” (vv.1,5). L’immagine del popolo di Dio come vite o vigna si trova diverse

volte nell’A.T. (Is. 5:1-7; Ez. 15:1-6, 19:10-14; Sal. 80:8-16, ecc.). Qui però Gesù

stesso è la vite, e i “tralci” hanno vita perché innestati in Lui. Ma, se il discepolo è

un tralcio, Gesù è tutta quanta la vite: radici, tronco, tralci, foglie e frutto! (cfr. il

discorso della Chiesa come suo Corpo).

v.2: come in tanti altri brani del NT, si sottolinea il fatto che il fine del Vangelo e

quello di produrre frutto: il tralcio che non ne fa viene reciso e buttato via (nel

caso presente, ci può essere qui un riferimento a Giuda Iscariota), mentre anche

Panorama del Nuovo Testamento

Modulo 1

30

quello che fa frutto viene potato (un esempio sarà Pietro da qui alla Pentecoste). Il

tralcio non compie sforzi per fare frutto (principio delle opere), ma resta

semplicemente innestato nella vite e il frutto cresce da sé (principio della grazia e

dello Spirito). Un aspetto del “portare frutto” particolarmente notato da Gesù è la

preghiera efficace, frutto dell’unione con Gesù e con le Sue parole (v.7); e un

aspetto del “dimorare in lui” particolarmente sottolineato è quello di “dimorare nel

suo amore” (vv.9-10), il che porta alla ripetizione del “nuovo comandamento”

(vv.12-13,17).

Infine Gesù annuncia, come termine del processo del discepolato, un nuovo tipo

di rapporto con i discepoli: “non più servi, ma amici” (vv.14-15) e conferma la loro

elezione per grazia, non per loro scelta umana. È questa la garanzia che sarà

raggiunto lo scopo di portare frutto per l’eternità (v.16): di nuovo egli sottolinea la

parte del “frutto” rappresentata dalla preghiera.

Persecuzioni nel mondo (15:18 – 16:4): “Il mondo” è qui un sistema ostile a Dio,

controllato da Satana (12:31), al quale partecipa volentieri la maggior parte

dell’umanità. I discepoli non devono perciò scoraggiarsi per l’indifferenza o

l’ostilità dei più, come se indicasse una mancanza da parte loro, perché Gesù

stesso ha incontrato la stessa reazione (v.20). Nel v.22 egli afferma con chiarezza

che il giudizio tiene conto della luce ricevuta: ora che Gesù è venuto, dando

abbondanti prove di essere venuto da Dio (v.24) e ha dato agli uomini la

possibilità di riconciliarsi con Dio e di essere liberati dalla schiavitù del peccato

(8:32-36), chi non se n’è valso non ha più scusa per il propria peccato.

Nel v.25, Gesù cita il Sal. 35:19 o 69:4, che chiama di nuovo “Legge”, anzi “la loro

legge”, per sottolineare il fatto che la riconoscono ma non l’osservano. Anche qui

egli cita delle parole scritte all’origine da Davide per descrivere una propria

esperienza, e che a sua insaputa parlavano profeticamente del Cristo. Nel v.26

ripete ancora la promessa dello Spirito, questa volta come “testimone” di Gesù, sia

con le opere potenti, sia con la convinzione portata nei cuori degli ascoltatori (cfr.

16:8). In 16:1-4, ritorna sul tema delle persecuzioni, aggiungendo che queste

avverranno, da parte del “mondo”, in nome della religione: parola adempiuta

prima con Saulo (Atti 9:1-2), poi durante tutta la storia del cristianesimo

(Inquisizione ecc.).

L’opera dello Spirito Santo (16:5-15): Il cuore di questo brano è il v.7: “È utile per

voi…”, ossia “è vantaggioso”, “vi conviene”. La venuta dello Spirito non solo

compensa la partenza di Gesù, ma addirittura è da preferirsi alla Sua presenza

continuata. Questo è perché lo Spirito non sarà soggetto a nessuno dei limiti

Panorama del Nuovo Testamento

Modulo 1

31

imposti dalla natura umana di Gesù, ma potrà agire in ogni luogo

contemporaneamente, non si stancherà, ecc.; inoltre, sarà dentro i discepoli e non

solo vicino a loro (14:17). vv.8-11: qui si parla dell’opera dello S.S. nei confronti

del mondo. Egli convincerà gli uomini increduli di essere peccatori, soprattutto del

peccato supremo di rifiutare di abbandonarsi con fede all’unico Salvatore (cfr.

6:28-29, 12:48); della giustizia di Gesù, dimostrata dalla sua accoglienza presso il

Padre; e della certezza del giudizio, dimostrata dal trionfo della Resurrezione e

dalla vita di Cristo nella Chiesa. Nei vv.12-15, invece, si parla della Sua opera nei

credenti: di nuovo è sottolineata la rivelazione di verità ancora nascoste (cfr. ad

es. Ef. 3:2-6).

La morte, la resurrezione e la glorificazione di Gesù (16:16-33): Di nuovo Gesù

parla della sua imminente partenza, aggiungendo però che la separazione sarà

seguita da una gioiosa riunione (vv.20,22), quando potranno capire cose finora

incomprensibili (vv.23a, cfr. Atti 1:3). Ripete ancora le grandi promesse che

riguardano la preghiera (vv.23b-27). Chiude però il discorso avvertendoli dello

smarrimento che proveranno durante i giorni della sua assenza (v.32, cfr. cap.

21), e con l’annuncio della sua vittoria come fonte della pace in cui potranno

vivere pure in mezzo alle difficoltà (v.33).

2.31 La preghiera per i discepoli: cap. 17

Dopo aver parlato con i discepoli, Gesù chiude il suo ministero terreno con questa

grande preghiera, in parte preparazione alla Croce (vv.1-5), in parte intercessione

per i discepoli attuali (vv.6-19) e per tutti i futuri credenti (vv.20-26).

v.2: di nuovo si sottolinea la grazia e l’elezione divina come base della

conversione. v.3: è l’unica definizione biblica di “vita eterna”, della quale Gesù

mette in rilievo non la durata, ma l’essenza: conoscere (essere in unione con) Dio

(Padre e Figlio). vv.4-5: la glorificazione è reciproca: il Figlio glorifica il Padre con

l’ubbidienza e il compimento della missione; il Padre glorifica il Figlio esaltandolo

alla propria presenza (cfr. Fil 2:5-11).

Il “nome” (vv.6,26) non è una parola, ma la Persona (cfr. Is. 30:27). v.9: Gesù inizia

fin da ora quella che sarà la sua principale occupazione d’ora in poi (Ebr. 7:25,

Rom. 8:34). La sua preghiera è per la loro protezione (vv.11,15), unità (v.11) e

santificazione (vv.17,19).

La preghiera si estende poi a tutti i futuri credenti (vv.20-26), sottolineando di

nuovo l’esigenza dell’unità (vv.21-23), che sarà la dimostrazione più convincente

del fatto che Gesù è realmente venuto dal Padre.

Panorama del Nuovo Testamento

Modulo 1

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2.32 Il tradimento e l’arresto: 18:1-11

Giovanni non parla della lotta di preghiera nel giardino, ma c’è un riferimento ad

esso nel v.11. vv.4-5: Gesù non aspetta che Giuda lo individui, né tantomeno cerca

di fuggire, ma si fa avanti e si autoidentifica.

v.6: perché cadono a terra? Sembra sotto la potenza del Nome pronunciato da

Gesù: “Sono io” (ego eimi) è la stessa espressione altrove tradotta “Io sono”, cioè il

nome di Dio. Questo fatto sottolinea ancora il fatto che Gesù non viene

sopraffatto, ma si offre volontariamente all’arresto e alla morte. Tutti i Vangeli

riferiscono il gesto di Pietro che taglia l’orecchio al servo del sommo sacerdote,

ma solo Giovanni ne dà il nome, mentre invece omette la sua guarigione da parte

di Gesù (Lc 22:51).

2.33 Gesù davanti al Sinedrio. Pietro rinnega Gesù: 18:12-27

Gli altri Vangeli parlano solo di Pietro che segue Gesù alla casa di Anna (qui

chiamato “il sommo sacerdote”, cfr. v.24, sebbene avesse lasciato questo incarico,

v.13), il quale conservava ancora molta influenza. “L’altro discepolo”, secondo

l’usanza di Giovanni, dovrebbe essere lui stesso, ma non si sa come avesse

conosciuto il sommo sacerdote (v.15). Comunque, anche il v.26 implica che

Giovanni conosceva bene questa casa.

La descrizione dell’interrogatorio (v.19) suggerisce che sospettavano Gesù di aver

impartito ai discepoli un insegnamento segreto e sovversivo. La calma e la

padronanza di sé dimostrate di Gesù (v.23) fanno contrasto con il maltrattamento

(v.22) che mette in risalto l’irregolarità di tutto il procedimento. Il rinnegamento di

Pietro (vv.17,25-27) è riferito solo sommariamente, senza menzione della sua

reazione (cfr. Mt 26:75).

2.34 Il processo davanti a Pilato: 18:28-40

Nel v.28 c’è un contrasto ironico tra la scrupolosità dei capi nell’osservare le

norme rituali (temevano probabilmente di rimanere contaminati entrando in una

casa dove ci fosse del lievito, cfr. Es. 13:7, anche se non c’è nessuna norma

precisa in questo senso nella legge di Mosè), e la leggerezza con cui si apprestano

ad uccidere un uomo innocente per motivi di convenienza politica (cfr. 11:50). La

loro risposta a Pilato (v.30) è evasiva e nello stesso tempo arrogante.

v.32: la pena di morte presso gli Ebrei era per lapidazione (cfr. Stefano, Atti 7:58),

mentre Gesù aveva predetto che sarebbe stato crocifisso (cfr. anche Sal. 22:16).

Questa predizione, che talmente colpì Giovanni, non si trova comunque in

Panorama del Nuovo Testamento

Modulo 1

33

Giovanni, il quale l’accenna soltanto (3:14, 8:28, 12:32), ma è esplicito nei

Sinottici (Mt 20:18-19 ecc.).

v.33: si vede che Pilato ha avuto notizia di Gesù, e che gli interessa solo

l’eventuale pericolo della sovversione politica. vv.36-37: Gesù ammette di essere

Re, ma chiarisce la natura del suo regno (questo è importante nello stabilire un

orientamento per i cristiani nei confronti della politica e delle guerre tra nazioni).

v.38: questa celebre domanda esprime lo scetticismo dell’uomo di mondo nei

confronti della filosofia e della teologia, e non un serio desiderio di conoscere la

risposta. Tuttavia non ritiene Gesù un sovversivo pericoloso. v.39: cerca una via

d’uscita dalla difficoltà volendo “graziare” Gesù, che però egli stesso ritiene

innocente. Per quel che riguarda Barabba (v.40), impariamo da Mc 15:7 che era un

ribelle politico.

2.35 Gesù flagellato e schernito: 19:1-16

v.1: da Lc 23:16 appare che Pilato ordina la flagellazione come alternativa alla

condanna a morte (cfr. v.4). La flagellazione romana era una punizione

estremamente severa, alla quale la vittima non sempre sopravviveva: il flagello era

fatto di strisce di cuoio armate di punte di ferro, piombo o osso. A questo si

aggiungono gli scherni dei soldati, qui riferite solo in breve.

Con le famose parole “Ecco l’uomo!” (v.5), Pilato intende semplicemente:

“quell’uomo che mi avete presentato”, ma l’Evangelista certamente vi dà un senso

più profondo: “L’Uomo per eccellenza”. v.6: il lavaggio delle mani è riferito solo da

Mt (27:24), ma queste parole esprimono lo stesso atteggiamento di debolezza,

indifferenza e cedimento. v.8: Pilato si trova tra due fuochi.

v.11: la risposta di Gesù ribadisce la sua superiorità ai regni umani, e insegna la

sovranità di Dio anche sulle autorità di questo mondo (cfr. Rom. 13:1). v.15: le

parole dei capi ebraici esprimono di fatto il rifiuto del governo di Dio: cfr. 1° Sam.

8:7.

2.36 La crocifissione: 19:17-37

Giovanni non parla di Simone di Cirene, obbligato a portare la croce, e solo in

breve dei due malfattori crocifissi con Gesù (v.18). Questo è invece il solo Vangelo

a dire che l’iscrizione (vv.19-22) fu ordinata da Pilato. Aggiunge anche il

particolare sulla tunica di Gesù (vv.23-24), con il riferimento al Sal. 22:18: i

Sinottici dicono solo che si divisero le sue vesti, tirando a sorte.

Panorama del Nuovo Testamento

Modulo 1

34

Le donne vicino alla croce (vv.25-27): non è chiaro dal testo di Giovanni se le

donne sono tre o quattro, se cioè “la sorella di sua madre” e “Maria di Cleopa”

siano due persone diverse oppure la stessa. Ma, confrontando con Mt 27:56 e Mc

15:40, sembra chiaro che devono essere due, e che “la sorella della madre di

Gesù” è la stessa con “Salome” (Mc) e “la madre dei figli di Zebedeo” (Mt). In questo

caso Giovanni e Giacomo sarebbero cugini di Gesù, e questo aiuta a spiegare

perché Gesù affida a Giovanni la cura di sua madre (ricordiamo che i suoi fratelli

non sono presenti e non hanno ancora creduto in lui, per cui c’è evidentemente

una breccia tra loro e la madre). Inutile soffermarsi sulla curiosa interpretazione di

molti cattolici di questo episodio, seconda la quale Gesù avrebbe invece affidato

Giovanni alle cure di Maria, e di conseguenza anche tutti i discepoli successivi (!).

vv.28-29: la Scrittura accennata sarebbe il Sal. 69:21. v.30: l’ultima parola dalla

croce si riferisce non tanto alle sofferenze di Gesù, ma alla sua opera di

redenzione. Egli “rese lo spirito” volontariamente: cfr. 10:18.

Anche il fatto che non gli spezzano le gambe (vv.31-36) è un adempimento della

Scrittura (Es. 12:46, riferimento all’agnello pasquale), così come il colpo di lancia

(Zacc. 12:10). Il “sangue e acqua”, particolarmente sottolineato da Giovanni (v.35,

cfr. 1° Gv 5:6), è stato variamente interpretato: o è un fatto soprannaturale,

oppure “l’acqua” fu in realtà il siero separatosi dal sangue già coagulato, una

prova conclusiva dell’avvenuta morte.

2.37 Il seppellimento di Gesù: 19:38-42

Solo Giovanni menziona il ruolo di Nicodemo, assieme con Giuseppe, nel

seppellimento di Gesù. È sottolineato il fatto che la tomba era nuova (v.41),

perché in questo modo il corpo di Gesù non venne a contatto con la corruzione e

l’impurità rituale.

2.38 La resurrezione: 20:1-10

Del gruppo di donne descritto nei Sinottici, Giovanni menziona solo Maria

Maddalena, la quale però parla al plurale (v.2), quindi a nome anche di altre. È

omessa anche l’apparizione dell’angelo. Evidentemente Giovanni ha operato una

scelta tra il materiale disponibile per focalizzare l’attenzione su determinati

aspetti della resurrezione: in particolare sulle testimonianze oculari, tra le quali la

propria.

Solo Giovanni descrive accuratamente l’aspetto dei panni in cui il corpo di Gesù

era stato avvolto (v.7). Evidentemente questo costituisce una prova importante

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della resurrezione (v.8): non solo perché nessuno, venuto a rapire il corpo, si

sarebbe trattenuto a spogliarlo, ma anche perché i panni indisturbati

dimostravano chiaramente di non essere stati srotolati dal corpo, il quale si era

piuttosto “smaterializzato”, come poteva fare Gesù dopo la resurrezione (cfr.

v.19). (N.B. La descrizione del “sudario… piegato in un luogo a parte” sembra

essere una prova conclusiva della falsità della Sindone di Torino, che, essendo una

tela unica, non corrisponde a questa descrizione).

2.39 L’apparizione a Maria Maddalena: 20:11-18

Sia Matteo che la conclusione più lunga di Marco concordano nel dire che la prima

apparizione di Gesù fu alle donne (Mt) o alla sola Maria Maddalena (Mc); ma

Giovanni ne dà il racconto più dettagliato. È solo quando Gesù la chiama per nome

che Maria lo riconosce: la luce era ancora poca, ma anche nelle altre apparizioni i

discepoli hanno difficoltà a riconoscerlo.

Il divieto di toccarlo (v.17) è stato spiegato in vari modi, visto che poco dopo Gesù

non lo vieta alle donne che “gli strinsero i piedi” (Mt 28:9), e che in Lc 24:39 e Gv

20:27 invita i discepoli a farlo: 1) La parola tradotta “toccare” avrebbe il significato

di “attaccarsi, avvinghiarsi”: Gesù quindi dice a Maria di non attaccarsi alla sua

persona fisica, che tra poco non si vedrà più: il trionfo della resurrezione si

sarebbe completato solo con l’ascensione (così Calvino e altri). 2) Vuol dire: “Non

perdere tempo ora nell’abbracciarmi, perché solo tra quaranta giorni me ne andrò

da voi, ma corri subito a dirlo agli altri”. 3) Gesù qui parla, non dell’Ascensione,

ma di una sua prima “visita” a presentarsi alla presenza del Padre. Ma in questo

caso rimane comunque misterioso perché questo sarebbe una ragione per non

toccarlo.

“Ai miei fratelli”: e la prima volta che Gesù usa questo termine riferendosi ai

discepoli, e lo rafforza ancora dicendo “al Padre mio e Padre vostro”. La nuova

nascita è strettamente legata alla resurrezione: cfr. 1° Pt. 1:3.

2.40 Due apparizioni ai discepoli: 20:19-31

Nel “corpo spirituale” della resurrezione (cfr. 1° Cor. 15:44), Gesù può passare

nonostante le porte chiuse; tuttavia, porta ancora i segni della crocifissione.

vv.21-23: si discute se qui Gesù conferisca effettivamente lo Spirito Santo, o se si

tratta piuttosto di un’anticipazione della Pentecoste. È chiaro invece che,

delegando loro la sua stessa missione, conferisce loro anche la sua autorità

spirituale, che comprende la facoltà di perdonare i peccati (Mc 2:10). Ma

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ovviamente, essi dovevano esercitarla allo stesso nodo in cui lo aveva fatto Lui:

non arbitrariamente, ma in sottomissione e ubbidienza ai principi morali che

governano l’universo e a quanto gli suggeriva il Padre (Gv 5:19,30).

Giovanni omette altre apparizioni e salta subito al seguito di questo, “dopo otto

giorni”. La risposta di Gesù all’incredulità di Tommaso (v.29) non deve trarre in

inganno: Gesù concede volentieri delle “prove” a chi sinceramente le richiede, e la

fede così fondata non è per questo meno reale; ma il Signore vuole evitare che si

rifiuti di credere senza “prove”. La confessione di Tommaso – “Signor mio e Dio

mio!” – è comunque la più chiara espressione di fede di tutto il Vangelo, e

conduce naturalmente ai vv.30-31, in cui Giovanni spiega lo scopo del suo

Vangelo e dei “segni” in esso riferiti: portare il lettore alla stessa fede.

2.41 Apparizione ai discepoli in Galilea: 21:1-14

Gesù aveva detto che avrebbe incontrato i discepoli in Galilea (Mc 16:7); qui però

si trovano insieme solo sette degli Undici. Il miracolo della pesca ripete quello di

Lc 5:1-7, e chiaramente ha significato di “segno”, oltre a portarli a riconoscere

Gesù. È però notevole il fatto che Gesù ha già pronti pesci e pane da offrire loro!

2.42 Il colloquio con Pietro: 21:15-25

Pietro portava ancora la vergogna del triplice rinnegamento (Gesù aveva dovuto

includerlo esplicitamente tra i discepoli nel suo messaggio, Mc 16:7), ma ora Gesù

lo “riabilita”, nello stesso tempo assicurandosi che non cada più nel peccato della

presunzione. Infatti Pietro ora rifiuta di paragonarsi con gli altri discepoli, dicendo

di amare Gesù più di loro (v.15, cfr. Mc 14:29); anzi, con la triplice ripetizione

della domanda in termini sempre minori (l’ultima volta Gesù usa il verbo fileo,

usato da Pietro in tutte e tre le risposte, anziché il termine più forte agapao), Gesù

intende far ricordare a Pietro il suo fallimento e il fatto che non può avere fiducia

nella propria carne. Su questa base, Gesù gli affida la cura del Suo gregge (come

uno dei suoi pastori: nulla qui fa pensare che debba esserne il solo o il sommo

pastore…!). Gli ricorda anche che per lui, il costo del discepolato sarà

effettivamente il martirio (vv.18-19).

Con l’ultimo paragrafo, sembra che Giovanni voglia smentire la voce secondo la

quale egli non sarebbe morto prima della venuta del Signore. Ma c’è anche il

messaggio che seguire Gesù, e il costo che ognuno è chiamato a pagare, è un

fatto strettamente personale. Nei vv.24-25, Giovanni finalmente si identifica con

“quel discepolo che Gesù amava”.

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