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Page 1: Donne scienziato, l’altra metà del Nobel DOMENICA

DOMENICA 3 FEBBRAIO 2008

DomenicaLa

di Repubblicale storie

Donne scienziato, l’altra metà del NobelNATALIA ASPESI

cultura

Domus, lo specchio d’ItaliaSIEGMUND GINZBERG

la lettura

Lettere d’amore al tempo degli smsMARGARET ATWOOD e GEOFF DYER

il fatto

ETTORE LIVINI e MICHELE SERRA

La Stangata, istruzioni per l’uso

Volare

l’immagine

Fumetti per governare i MiaoRENATA PISU

GINO CASTALDO EDMONDO BERSELLI

SU REPUBBLICA.IT

Da oggi sarà in linealo speciale sui 50anni di VolareGino Castaldo,nell’audiogalleriacurata da Anna Zippel,racconta la storiadella canzone. Onlineanche immaginimai viste di Modugnoe gli audio ineditidegli archivi della RaiDisponibile il dossiervideo di Repubblica Tvcon l'intervistaalla mogliedel cantante

Era una notte buia e tempestosaquando arrivò l’intuizione finaledella più famosa canzone italianadi tutti i tempi. La moglie, FrancaGandolfi, una intera vita vissutaaccanto a Modugno, ricorda an-

cora con trepidazione quel momento magi-co: «Eravamo nella nostra prima casa, c’era ilpianoforte attaccato alla finestra. Mimmo siarrovellava, la canzone c’era, ma ancora in-completa, non era soddisfatto, il ritornello era“Di blu m’ero dipinto, per intonarmi al cielo”,diceva che gli mancava un’apertura. Quellasera era scoppiato un temporale pazzesco,tanta elettricità nell’aria, c’era talmente tantovento che a un certo punto la finestra si spa-lancò. Mimmo cominciò a recitare, sembravauno sciamano, improvvisava versi».

(segue nelle pagine degli Spettacoli)con un ricordo di ENNIO MORRICONE

Perdire come fosse cambiato il clima,quasi all’improvviso, nell’Italia diVolare, occorre ripensare a quella lu-ce azzurrina, il chiarore notturnoche traspariva dagli scuri e dalle per-siane, e che significava: nelle nostre

città, e anche nei paesi, perfino in qualche sper-duto casolare di campagna, è arrivato un ogget-to strano, una cosa aliena, la scatola magica deidesideri, insomma la televisione. E dunquequando si assiste allo spettacolo di DomenicoModugno che con il suo smoking bianco spa-lanca le braccia nel ritornello di quella canzoneculturalmente sovversiva, non bisogna avere inmente soltanto la platea di Sanremo, con la gen-te impazzita che alla fine del brano ride, piange,agita i fazzoletti, presa com’è da un’emozioneindicibile e nuova. No, le strofe e il ritornello diquella canzone arrivano dappertutto.

(segue nelle pagine degli Spettacoli)

cantando50anni

La vedova di Modugnoracconta la storiasegreta della nascitadellapiù famosacanzone italianadel dopoguerra

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Repubblica Nazionale

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il fatto

Robert Redford e Paul Newman? Due dilettanti. Laloro Stangata, quella immortalata in celluloideda George Roy Hill, ha vinto sette Oscar e sbanca-to il botteghino. Ma la realtà, in questo campo, hada tempo superato la fantasia. E Jérôme Kerviel,il ragazzo che ha scavato una voragine da 4,9 mi-

liardi nei conti della Société Générale, è solo l’ultimo prodot-to di una stirpe tutta genio e sregolatezza: quella dei “re dellatruffa”, che con i suoi colpi ha riscritto la storia della finanzaglobale. Malandrini, certo, ma a loro modo artisti del crimine,un po’ Al Capone e un po’ Arsenio Lupin. Capaci di traghetta-re in surplace dall’era artigianale (quando si gabbava il prossi-mo un po’ alla buona, con vermi mangia-spazzatura e titoli diminiere fantasma) alla pirateria finanziaria del terzo millen-nio. Quella che muove miliardi con il tasto di un computer, inun universo iper-protetto e super-tecnologico dove però ba-sta un trentunenne appassionato di judo, derivati e informa-tica come il trader di SocGen per fregare plotoni di ingegneri ebanche centrali e far tremare i mercati di tutto il mondo.

Il padre di tutti

Il capostipite riconosciuto dell’epopea della truffa è italiano, è na-to a Parma, ma non è Calisto Tanzi. Certo, il patron della Parma-lat — tra conti inventati alle Cayman, milioni di tonnellate di lat-te in polvere vendute a Cuba (inesistenti) e buchi in bilancio — hadato un contributo di prim’ordine all’aneddotica di settore. Ma ilvero numero uno, il Maradona delle stangate si chiama CarloPonzi, è arrivato quasi un secolo prima del pur illustre concitta-dino ed è diventa-to un caso di stu-dio in tutte le bu-siness schoolamericane. Allavoce Catena diSant’Anto-nio.

Il giovane emiliano —emigrato a Boston dal-

la pianura Padana ainizio Novecento

con in tasca duedollari e cinquan-

ta cents (il resto delcapitale l’aveva perso

al gioco nella traversataatlantica) — è l’inventore rico-

nosciuto di questo meccanismo,da lui elevato ad arte del raggiro. Alla

base della sua stangata — siamo nel 1920— c’è solo un foglio di banali e comunissimi

francobolli. Che vende assicurando ai primiclienti un ritorno del quarantacinque per cento in

quarantacinque giorni. Il baffuto italiano ha fascino eparlantina sciolta, ci sa fare. Nei salotti del Massachusetts

parte il passaparola sui francobolli d’oro. Piovono adesioni. Isoldi dei nuovi arrivati servono a pagare gli interessi dei primi

iscritti. Chi incassa, soddisfatto, reinveste.Ponzi, nullatenente a inizio anno, a maggio 1920 ha già raccol-

to 420mila dollari, una fortuna. Ma non si accontenta. Con il suogruzzolo compra una banca, la Hanover Trust, e con i dollari deiconti correnti allarga la base della piramide. A luglio è l’apoteosi.Boston è ai suoi piedi, c’è gente che ipoteca la casa per affidargli isoldi. Arrivano quattrini dal New England e dal New Jersey. Lui ègià milionario, compra una casa con aria condizionata e piscinariscaldata, fa arrivare la madre dall’Italia con un piroscafo in pri-ma classe. Peccato che il suo castello di carte presupponga l’esi-stenza in circolazione di centosessanta milioni francobolli magi-ci. E in cassa lui ne abbia solo ventisettemila.

L’inizio della fine è un articolo del Boston Post che fiuta la truf-fa a fine luglio. La gente corre a chiedere i soldi a Ponzi. Lui calmala folla che si è radunata sul suo portone offrendo caffè e brioches,rimborsa sull’unghia due milioni e tampona l’emergenza. Manon basta, la tregua dura poco e ad agosto la Catena di Sant’An-tonio salta: il giornale scopre che l’emigrato italiano era già statoin galera in Canada per truffa (aveva falsificato un assegno). È ilpanico. I clienti — ormai ventimila — vogliono indietro i rispar-mi, i soldi non ci sono. Ponzi finisce in manette. Si farà quattordi-ci anni di gattabuia per frode postale, ma molti bostoniani — so-prattutto nella comunità italiana — continueranno a conside-rarlo un eroe. E lui, appena uscito di carcere, emigra in Florida do-ve cerca di vendere ville (inesistenti) in una palude prima di mo-rire di infarto nel ‘48 a Rio.

Gli emuli tricolori

Nel mondo delle stangate azionarie fai-da-te (ma non solo inquelle) il Belpaese ha tenuto alta nel tempo la bandiera del glo-rioso Ponzi. La casistica è penalmente rilevante, va da sé, macon contorni da commedia all’italiana, ruspante e casareccia.Prendiamo lo scandalo del lumbricus rubellus, il verme chenell’86 si è inghiottito i risparmi di qualche migliaio di nostriconcittadini. Una truffa consumata sul terzo mercato (un pic-colo Far West borsistico, visto con il senno di poi) dove perqualche settimana sono stati trattati i titoli della Agricola Ita-lia, un’eco-azienda pronta a sbancare il business dell’immon-dizia con il suo esercito di lombrichi, arma segreta per ricicla-re i rifiuti nel terzo millennio. Gettato l’amo, innescati i vermi,i titolari dell’Agricola Italia non hanno dovuto aspettare mol-to. Abboccano in tanti, i titoli volano, il valore della società pas-sa da duecento milioni a sei miliardi in poco tempo. Peccatoche poco tempo dopo, con le azioni scivolate a zero, i soci si ac-corgeranno che dei lombrichi — come degli ex azionisti di con-trollo della Agricola Italia — non c’è alcuna traccia.

Nella rete dei truffatori made in Italy è finito anche qualche bel

nome del calcio di casa nostra, vittima di Capitano Nemo e delmarmo nero del Perù. L’eroe di Verne, al secolo, è un promotorefinanziario che a inizio anni Novanta — vestito come il coman-date del Nautilus — batte con un gruppo di colleghi la costa Adria-tica vendendo azioni della Imisa, titolare dei diritti di estrazionedalla miniera di Los Dos Paisanos, non lontano da Lima. Presen-tano perizie di geologi, studi di fattibilità di note aziende nel set-tore. Ci cascano circa millecinquecento persone tra cui RobertoBaggio, Billy Costacurta e il portiere Sebastiano Rossi. Natural-mente di marmo nero dalla cavaperuviana non ne è mai statoestratto un grammo. I sociperdono trecento miliardi. EThierry Nano, responsabiledella New Bank Limited di St.Vincent (Grenadines) —presunta mente della stan-gata — è stato perseguitodalle autorità federali Usaper riciclaggio.

L’Oscar tricolore

Lo chiamavano il Pirata. ERaul Gardini, per spiritod’avventura, spregiudica-tezza e curriculum vitae, hafatto di tutto — prima della sua tragica fine — per meritarsi que-sto soprannome. Se esistesse un Oscar tricolore per la stangatad’autore, la statuetta toccherebbe di sicuro a lui che da solo ha cer-cato di sbancare tutto il mercato mondiale della soia. L’epoca è illuglio ’89, quando il Contadino — altro soprannome del numerouno Ferruzzi — mette in scena il primo colpo dell’era dei deriva-ti. Il metodo è semplice. Prima compra l’ottantatré per cento del-la soia disponibile nei mercati di tutto il mondo. Poi rastrella sul-la Borsa merci di Chicago un future che gli dà diritto ad acquista-re qualche mese dopo da terzi il cinquantatré per cento della soiamondiale. Una scommessa a colpo sicuro. Quando le contropar-ti dei future, nelle settimane successive, dovranno consegnare lasoia del derivato a Gardini, saranno costretti a rivolgersi alla stes-sa Ferruzzi per acquistarla. E Ravenna, monopolista del merca-to, potrà a quel punto fare il prezzo che vuole. Una stangata da an-tologia, che però non ha fatto i conti con la lobby delle grandiaziende agricole Usa. Washington fiuta la mossa del Pirata. LaBorsa di Chicago — spinta dalla Casa Bianca — ordina con unprovvedimento d’urgenza i titolari di future a venderli. E la Fer-ruzzi, brucerà sulla soia del Midwest quasi seicento miliardi.

L’era dei derivati

L’arte della stangata è stata traghettata nel terzo millennio dauna nuova razza di truffatori. Meno affascinanti degli avventu-rieri alla Ponzi. Meno chiari nei loro obiettivi (spesso si tratta dicolpi fine a se stessi, senza tornaconti personali) ma — SocGendocet — molto più destabilizzanti per la finanza mondiale. Laloro arena adesso è dematerializzata. È quel mondo telemati-co dove ogni giorno transitano migliaia di miliardi di scambi. Edove bastano un po’ di know-how telematico e un po’ di fega-to — come ha dimostrato Kerviel a Parigi — per costruire e di-struggere fortune miliardarie aggirando anche i controlli piùsofisticati. Un universo dove i ladri sembrano sempre un pas-so avanti rispetto alle guardie (le banche centrali).

Il Ponzi di terza generazione è Nick Leeson, dipendente del-la gloriosa Barings Bank, dal 1700 la banca della famiglia rea-le inglese. Distaccato a Singapore nel 1995 a soli ven-totto anni, il giovane trader scalpita per far car-riera. Cosa c’è di meglio di una bellastangata sui future? Accumulaun’enorme posizio-ne al rialzo sulla Bor-sa di Tokio. La na-sconde sul conto se-greto 88888 (cifra magi-ca della numerologia ci-nese). Ma il terremoto diKobe sconvolge i suoi piani.Il Nikkei crolla, nei conti del-la Barings si spalanca un bara-tro da 1,5 miliardi. Leeson pren-de la penna, lascia un bigliettinosulla scrivania («I’m sorry») e spa-risce. Sarà arrestato qualche mese dopo, farà sei anni e mezzodi galera, vincerà il cancro e oggi è arruolato a peso d’oro dabanche e istituzioni per insegnare a prevenire le frodi. L’eredenaturale del metodo Gardini è invece Yasuo Hamanaka. Untrader della Sumitomo che ha replicato in fotocopia lo schemadel Pirata sul mercato rame. Uno scherzetto costato alla ban-ca giapponese un buco da 2,5 miliardi nel 1996.

La truffa vintage

L’elenco dei truffatori da derivati sarebbe lungo. Dal 2000 adoggi nelle pieghe di una finanza sempre più ingarbugliata so-no cadute, sgambettate spesso dai loro dipendenti, banche ditutto il mondo, dall’irlandese Allied Irish alla Kidder Peabodyfino alla Daiwa. Ma tra tanti colpi-fotocopia — come in fondoè quello di SocGen — brilla di luce propria una nuova catego-ria di stangate: le operazioni vintage, quelle che reinterpreta-no, arricchiscono e adeguano al terzo millennio lo stile (e laclasse, c’è da dire) di una volta. L’hanno fatto ad esempio inSpagna la Anfisa e Forum Filatelico. Con un copione collau-dato. Hanno comprato francobolli (dice niente?) e li hannopiazzati a prezzi fuori mercato con una sorta di Catena diSant’Antonio ai loro clienti. La storia, evidentemente, non in-segna niente. Ci sono cascati in trecentocinquantamila per unbuco da 1,5 miliardi. Il metodo Ponzi — come l’arte della truf-fa — è davvero un genere intramontabile.

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Supertruffe

La Grande Stangataistruzioni per l’uso

Jérôme Kerviel, l’impiegato-ragazzino che ha scavatoun buco di cinque miliardi di euro nei contidella SocGen, è l’ultimo di una stirpe tutta genioe sregolatezza. Eccone una breve storia: dai virtuosidella Catena di Sant’Antonio ai pirati della finanzaon line, ai cultori dell’imbroglio-vintage

ETTORE LIVINI

Operatore di una bancache attraverso il computercompra e vende prodottifinanziari. Può farlo per contodi clienti o, con una certaautonomia di operatività,per conto dello stesso istituto

trader

Contratto relativoalla compravenditadi un determinato benea prezzi e in quantitàprefissati da consegnarsiin una data futuraSi tratta di un contrattoa premio molto diffusoin Usa e Gran Bretagna

future

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 25DOMENICA 3 FEBBRAIO 2008

Significa compraree venderedue strumenti identicisfruttando le piccoledifferenze di prezzodurante le contrattazioniUn esempio: comprouna mela a Francofortedove costa due euroe la rivendo nello stessomomento a Stoccolmadove ne incasso tre

LA STANGATADiretto dal registaGeorge Roy HillprotagonistiRobert Redforde Paul NewmanIl film del 1974vinse sette Oscar

Il ladro telematico sembrerebbe (e sottoli-neo: sembrerebbe) l’incarnazione stessadel mito del Ladro Gentiluomo. Niente

violenza su persone o cose: la natura virtualedella scena del crimine, e della stessa refurti-va (numeri scritti nella lavagna nera dell’ete-re) consente il massimo della pulizia e dellaleggerezza. Si trasferiscono zeri, a volte ancheconvogli di zeri, da qui a là, o da là a qui, scar-dinando blindature puramente cerebrali,password e sequenze logiche da svelare co-me un enigma. Se poi si aggiunge l’aura ro-mantico-eroica dell’omino solitario (in ge-nere giovane o giovanissimo, per giunta) inlotta contro il Sistema dei Sistemi, l’immen-sa e malvagia Rete della Finanza Mondiale, ilquadro è completo. Gli hacker sono tanto dimoda, come i pirati, magari a co-sto di non chiedersi se esiste unrapporto tra le loro gesta, la loroaudacia, la loro spavalda libertà,e danni e sofferenze inferti ad al-tre persone, o alla comunità.

Poi però, a ragionarci appe-na, si capisce che l’apparenzainganna. Un’economia sem-pre più immateriale ci nega lacomprensione immediata degli inte-ressi in gioco. Dove stia davvero il bottinodel ricco, di quale sostanza sia composto, chidavvero guadagni e chi davvero perda adogni sussulto del mercato, non è sempre unatrama leggibile, se non dagli espertissimi.Quando il giovane bancario francese spiegadi avere agito «negli interessi della sua ban-ca», causando uno sprofondo di quattriniquasi eguale all’inabissarsi di Atlantide, noisappiamo di non essere più in grado (se mailo siamo stati…) di capire in che misura men-te, e in che misura dice la verità — e forse nem-meno la sua stessa banca lo sa, anche se fingedi sapere…

Capiamo solo che i meccanismi dell’eco-nomia sono riusciti a rendersi criptici e inaf-ferrabili quanto mai prima, e magari quantobasta per sottrarsi alla nostra patetica prete-sa di controllarli. Possiamo accorgerci — nelnostro piccolo — di essere stati “derubati” sei nostri risparmi collassano in borsa, o addi-rittura spariscono in una di quelle voraginipazzesche che si chiamano “crac”. Abbiamopiù o meno cognizione di un “alto” o di un“basso” della nostra minuta vicenda econo-mica provata. Ma provate a chiedervi: di chisono, o piuttosto di chi erano i cinque o cin-quanta miliardi di euro che il nostro prestidi-gitatore francese è accusato di avere fattosparire? E soprattutto: dove sono finiti? Sedavvero sono scomparsi nel nulla, esisteva-no davvero anche prima? Oppure, poichéniente si crea e niente si distrugge, erano so-lo un’illusione anche quando dormivano infondo ai forzieri virtuali di Société Générale?

Ci dovrebbero essere tasche nelle quali fru-gare, e ritrovare la refurtiva. Ma se la refurtivaè solo un numero, dove possiamo frugare?L’intera filiera del malaffare (il ladro, il palo, ilricettatore, il derubato) scompare nella neb-bia fitta del virtuale. Ed è questa nebbia a spa-ventare, molto di più della mano lesta di que-sto o dell’avidità di quello. La nebbia che hainghiottito la scena. Che ha creato un giallosenza pubblico, perché nessun pubblico riu-scirebbe ad appassionarsi a una trama illeg-gibile, a infinite sequenze di numeri e codici.

Per questo non riesco a provare né simpa-tia né antipatia per un tipo di ladro (o di illu-sionista) come questo ragazzo francese. Nonla simpatia istintiva per il ladro di polli, nonl’antipatia istintiva per lo scippatore di vec-chiette. Non l’ammirazione per il geniale in-ventore di un piano infallibile, non il disprez-zo per il bancarottiere che scappa lasciando isuoi operai sul lastrico. Non ho capito per chiha rubato, perché ha rubato, che cosa ha ru-bato. E questo mi fa capire che il vero furto èquello della visibilità dei quattrini, perfinodei nostri. Un furto globale, efferato, perfet-to, che ci sta cancellando davanti agli occhi imeccanismi della vita materia-le, sostituendoli con un gio-co del quale non siamoneanche in grado dileggere il regola-mento.

Denaro fantasma

ecco il vero furto

MICHELE SERRA

IL GENIODELLA TRUFFAFilm direttoda Ridley Scottcon i “truffatori”Nicolas Cagee Sam Rockwelldel 2003

arbitraggio

Sono prestiti immobiliaria persone che hanno pochegaranzie finanziarieHanno tassi più alti dei mutuinormali, ma come dimostrala crisi di questi giorni,se non vengono pagatele rate possono metterein ginocchio tutto il sistemafinanziario mondiale

subprime

Perdite contabilizzatein bilancio che riflettonola perdita di valoredei titoli (future o mutuisubprime) che si hannoin portafoglio. Solo la crisidei subprime è già costataoltre 130 miliardialle banche mondiali

svalutazioni

PROVAA PRENDERMIFilm di StevenSpielbergdel 2001con LeonardoDiCaprioe Tom Hanks

OCEAN’S ELEVENCast eccezionale(George Clooney,Brad Pitt, AndyGarcia, JuliaRoberts, MattDamon) per il film

uscito nel 2001

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le storieDiscriminate

La prima donna di scienza fu Ipazia di Alessandrianel quarto secolo: fatta a pezzi da monaci cristianiPoi vennero le streghe: mandate al rogo. Infine eccole loro nipoti alle prese con un’istituzione esclusivaquanto misogina. In un libro la storia delle loro sconfitte(ingiuste) e delle vittorie (troppo poche)

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fenderla dal fiorire di una scienza femminile: bastò bollarecome streghe le donne più sapienti per mandarle al rogo innome della morale e di Dio; non meglio si comportò secolidopo la cultura più illuminata, appunto la cultura dei Lumi,che incaricò i suoi filosofi e i suoi rivoluzionari di toglierglie-le di torno, quelle noiose, rinchiudendole nel paradiso do-mestico in nome della Ragione e della superiorità maschile.Geniale Jules Verne nel suo Il mondo sottosopra (1899):«Dunque secondo voi, signor Maston, vedendo cadere unamela nessuna donna avrebbe mai potuto scoprire le leggidella gravitazione universale come fece l’illustre scienziatoinglese alla fine del Diciassettesimo secolo?». «Vedendo ca-dere una mela, signor Scorbitt, a una donna sarebbe venutaaltra idea che di mangiarsela, secondo l’esempio di nostramadre Eva!».

Anche i responsabili dei Nobel scientifici si sono mostratipiuttosto distratti o scettici verso i meriti delle signore: daquando sono stati istituiti, nel 1901, ne sono stati assegnatipiù di cinquecento e solo una esigua manciata, undici, haonorato le donne. D’altra parte la moltitudine di studiosi chenegli ultimi decenni dell’Ottocento sfornavano teorie sullapericolosa inconsistenza delle donne non dava tregua. Il pa-tologo Möbius aveva fatto del suo L’inferiorità mentale delladonna un fortunato bestseller, l’antropologo Karl Vogt af-fermò che essendo il cranio femminile più piccolo di quellomaschile, il suo contenuto doveva essere simile a quello di unbambino o anche di uomini, però di razze inferiori. Secondoil lunatico scrittore americano Nicolas Cooke, la donna do-veva evitare ogni inutile attività mentale perché «nell’uomola materia cerebrale è più densa e consistente, nella donnapiù soffice e di dimensioni ridotte». In più, con le mestrua-zioni e le gravidanze, delirava il naturalista darwiniano Geor-ge Romanes, la donna era sottoposta a continuo «esauri-mento del cervello», il che non era poi così importante vistoche nelle donne quell’organo non era che un meccanismoinutile e anacronistico, pre-evolutivo.

E tuttavia, per quanto di genere altamente difettoso, giànel 1903 la polacca Maria Sklodowska, più conosciuta dopoil matrimonio come Marie Curie, vinceva il Nobel per la fisi-ca col marito Pierre e con Henri Becquerel. Nel 1911 gliene fuassegnato un secondo, per la chimica, mentre anche sua fi-glia Irène Joliot-Curie assieme al marito Frédéric avrebbe ot-tenuto il Nobel per la chimica nel 1935. Scoprendo la ra-dioattività, che si credeva debellasse il cancro e già celava ilnero futuro della bomba atomica, Marie Curie fu «assiemefata e strega, in laboratorio come nell’alcova», ci informaWitkowski. «Quando si trattò di attribuire il Nobel ai Curie, si

Le ragazze da Nobel

geniali cenerentole

Sofia Kovalevskaja adorava la matematica in tem-pi in cui uno scrittore come August Strindberg,non più misogino di altri, così aveva accolto il suoarrivo all’università di Stoccolma: «Una femminaprofessore di matematica è un fenomeno perni-cioso e sgradevole persino, si potrebbe dire una

mostruosità: e il fatto che sia stata invitata in un paese doveci sono così tanti maschi matematici di gran lunga superioripuò essere spiegato soltanto con la galanteria degli svedesiverso il sesso femminile». In quella seconda metà del Di-ciannovesimo secolo in cui sempre più donne si infiamma-vano fastidiose per le scienze, gli stessi scienziati si affanna-vano ad affermare che ogni legame tra femminilità e cervel-lo, essendo contro natura, non solo sarebbe stato causa del-la rovina delle donne, ma avrebbe anche portato alla fine del-l’umanità.

Quasi mezzo secolo prima che Sofia nascesse, era stataun’altra giovane donna, Sophie Germain, che per passare iltempo mentre impazzava il Terrore aveva imparato da solail calcolo differenziale, a vincere nella Parigi napoleonica ilgran premio dell’Istituto di Francia per le scienze matemati-che e fisiche, pur essendo stata sempre tenuta fuori dalla co-munità scientifica, ovviamente in quanto donna. Gli uomi-ni sapevano tutto dei limiti e delle inadeguatezze delle don-ne, avendoli teorizzati loro senza peraltro consultarle, e si af-fannavano a spiegarglieli per il loro bene. Kant, che la sape-va lunga in quanto massimo pensatore, l’aveva già annun-ciato decenni prima, affinché non si facessero illusioni estessero al loro posto: «Ogni conoscenza astratta, ogni cono-scenza che sia essenziale, si avverte deve essere lasciata allamente solida e laboriosa dell’uomo. Per questa ragione ledonne non impareranno mai la geometria».

Invece Sofia Kovalevskaja la geometria, anzi la geometriaanalitica, la imparò in un baleno, allenata com’era, sin dapiccola, a scrutare i fogli delle lezioni litografate di Ostrogra-diskij sul calcolo differenziale e integrale con cui in mancan-za di carta da parati era stata tappezzata la sua cameretta. Co-me altre ragazze aristocratiche russe che volevano andare astudiare all’estero, organizzò un matrimonio di convenien-za per poter avere il passaporto: poi si sa, anche in Europa,una donna, il suo fragile cervello, il decoro, la matematica!Immense difficoltà ad assistere alle lezioni, fatiche incom-mensurabili per avere il permesso di frequentare la bibliote-ca universitaria e lei imperterrita che nel 1875, a venticinqueanni, presenta La teoria delle equazioni differenziali parzia-li e pubblica il saggio sulla Riduzione di una classe di integra-li abeliani di 3° grado a integrali ellittici. Otterrà la laurea, siapure “in absentia”, in quanto era indecoroso che una donnasi presentasse di persona, ma non un lavoro essendo impen-sabile un posto per un dottore in matematica così difettosoda essere donna; e tuttavia vincerà il massimo riconosci-mento scientifico francese, il Prix Bourdin, con il miglior sag-gio sulla Rotazione di un corpo rigido intorno a un punto fis-so. Molto carina, civetta, femminile, ottima scrittrice, nichi-lista impegnata, sposata, separata da un marito poi suicida,madre di una bambina, poi pazza d’amore per uno storicorusso e decisa a piantar tutto per sposarlo, morì per un at-tacco di cuore a quarant’anni, sospirando: «Troppa felicità».

C’è una sorta di vago legame tra la bella matematica russae il Premio Nobel istituito dieci anni dopo la sua morte. Il ce-lebre professore svedese Gösta Mittag-Leffler, fondatoredella rivista Acta mathematica, l’ammirava molto e le diedeun posto prezioso di redattrice che le consentiva di arrivarealla fine del mese con meno fatica (pessima nei lavori dome-stici, come tutti si aspettavano da una funesta matematica,usava dire: «Se fossi un uomo, anch’io sceglierei una bellamogliettina che li faccia al posto mio»). Quando Alfred No-bel scrisse il testamento in cui istituiva i famosi premi, “di-menticò” la matematica e si sparse la voce che Nobel avessevoluto vendicarsi di Mittag-Leffler, che gli avrebbe conteso,con successo, i favori di una giovane donna. Questa donna

non era Sofia e la voce forse è priva di fondamento, ma sot-tolinea l’incredibile misoginia dell’ambiente scientifico, incui le donne potevano (possono?) eventualmente essere og-getto di rivalità amorosa ma non serie interlocutrici. Poi ci sipuò anche vergognare e magari pentire, e infatti esiste unamedaglia Fields per la matematica paragonabile al Nobel eda poco è stato istituito un premio Kovalevskaja che fa vin-cere ventidue milioni di euro.

Il gossip scientifico, del resto molto noto, è contenuto traaltre succose notizie da Dagospiaaccademico, nel brioso, sindal titolo, Troppo belle per il Nobel, scritto dal fisico NicolasWitkowski qualche anno fa e adesso pubblicato in Italia daBollati Boringhieri: in copertina una bella foto del re di Sve-zia in frac e pieno di decorazioni che nel 1986 consegna il pre-mio per la medicina e fisiologia alla meravigliosa Rita LeviMontalcini, diviso con il compagno di ricerca Cohen, per lascoperta del fattore di crescita nervoso. Il saggio francesenon dedica una sola riga alla nostra impavida senatrice, chel’anno prossimo avrà cent’anni, ma ci ricorda con dovizia distorie il cammino accidentato di quelle poche donne coc-ciute che in passato furono ignorate, schernite, temute, di-sprezzate, allontanate, rinchiuse, punite, fatte fuori, per l’in-trusione in mondi a loro preclusi.

Prima martire diventata simbolo della donna scienziata edi tutti gli orrori con cui si tentò di scoraggiarne la sapienza,fu Ipazia di Alessandria, nata nel 370 dopo Cristo, matema-tica, astronoma, inventrice dell’astrolabio, del planisfero edell’idroscopio, gentilmente fatta a pezzi da una squadrac-cia di furibondi monaci cristiani. Poi l’insondabile labirintodi esclusione continuò imperterrito nei secoli, quando la so-cietà maschile più buia affidò agli inquisitori il compito di di-

NATALIA ASPESI

IPAZIA DI ALESSANDRIALa prima donna di scienza,nata nel 370 d.C.Fu matematica, astronomae inventrice dell’astrolabio

SOFIA KOVALEVSKAJAMatematica russa, riuscìa ottenere la cattedraa Stoccolma, dove morìa soli 41 anni nel 1891

MILEVA MARICCompagna di studi e poi mogliedel grande Albert EinsteinSarebbero sue alcuneintuizioni sulla relatività

LISE MEITNEREbrea tedesca rifugiatain Svezia, teorizzò per primala fissione nucleare. Il Nobelandò a Otto Hahn nel 1944

August Strindberg disse di SofiaKovalevskaja: “Una femmina

professore di matematicaè una mostruosità”

MARIE CURIEMaria Sklodowska naque a Varsavia nel 1867, fu insignita del Nobel per la fisica, assiemeal marito Pierre Curie, nel 1903. Nel 1911 ebbe il Nobel per la chimica per gli studi sul radio

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fece solo il nome di Pierre», e soltanto per le proteste del ma-rito, innamorato e conscio del genio di Marie, lei non ne fuesclusa. Fu però pregata di stare zitta, e il discorso di accet-tazione lo fece solo Pierre. Rimasta vedova inconsolabile edepressa, tutta la scienza di Marie fu offuscata da una storiausata contro di lei per infangarla, la relazione con un collegapiù giovane, sposato e padre, che invase i giornali proprio co-me capita adesso, trasformando un premio Nobel in «unastraniera ladra di mariti». E confermando l’idea diffusa chela scienza non giova alle donne, rendendole oltretutto im-morali e pericolose per la famiglia e la società.

L’ultima signora Nobel, Cristiane Nüsselein-Volhard, perla medicina e la fisiologia, risale al 1995, ma più di lei forse so-no note le scienziate cui il Nobel fu scippato dai colleghi me-

no galanti e più svelti, e comunque, in quanto maschi, piùcredibili. Anthony Hewish, direttore del dipartimento diastrofisica di Cambridge, si prese il Nobel nel 1974 per averscoperto le pulsar, che invece erano state rilevate, studiate edecifrate dall’allieva Jocelyn Bell, naturalmente neppure no-minata. Appropriandosi senza il suo consenso del lavorodella giovane cristallografa inglese Rosalind Franklin sullastruttura intima del dna, tre colleghi di Cambridge (dove leiin quanto donna non aveva accesso alla sala ristoro) scopri-rono la struttura a doppia elica del dna e nel 1962 ebbero ilNobel. Lise Meitner, detta la Marie Curie tedesca, ebrea, ri-fugiata a Stoccolma per sfuggire alle persecuzioni razziali,scoprì la fissione nucleare. Il Nobel lo prese però nel 1944 Ot-to Hahn, suo collaboratore rimasto in Germania.

Di queste cenerentole della scienza, bistrattate nella ricer-ca e accantonate nella carriera e nei riconoscimenti, ce ne so-no decine, e forse la più sorprendente è Mileva Mariç, dellacui creatività si sarebbe appropriato, dicono, il marito: unuomo venerato dalla scienza, riconosciuto come il più gran-de genio del secolo scorso, Albert Einstein. Sarebbe stata lapiccola serba, grande matematica abile nei calcoli in cui il fi-sico tedesco invece si perdeva, a collaborare attivamente al-la rivoluzionaria teoria della relatività. Fu però un altro stu-dio, l’interpretazione dell’effetto fotoelettrico, a far vincereil Nobel ad Einstein nel 1922; ma di Mileva, fregata nellascienza e nei sentimenti, non si sapeva già più nulla da quan-do, nel 1914, il celebre marito l’aveva lasciata per sposare poila cugina Elsa.

La rivolta delle scienziate, come del resto di altre donne inaltri campi, cominciò negli anni Settanta con i primi studifemministi che mandavano all’aria la vetusta antropologiavirilista, seguiti da una valanga di “gender studies” che ri-scrivevano tutta la storia, compresa quella della matemati-ca, della fisica, della chimica, dell’astronomia, della cosmo-logia, dell’atomo, togliendo dalla polvere centinaia di donnegeniali e creative, sottovalutate ai loro tempi e dimenticatepoi. Oggi i laboratori scientifici sono invasi dalle donne, chefanno ancora fatica a fare carriera in un ambiente tuttora mi-sogino, ma sanno difendersi e infastidire attraverso associa-zioni, network, lobby, gruppi di pressione, convegni, pro-getti internazionali, borse di studio come quelle istituite daL’Oréal. L’ex presidente dell’Università di Harvard, LarrySummers, per aver sostenuto due anni fa che le donne nonavrebbero i geni adatti a scalare le vette della fisica, ha dovu-to dimettersi e lo ha sostituito una donna. Al Mit si alternanoi presidenti, una volta un uomo una volta una donna. Unadonna, Carolyn Porco, guida la missione Cassini, la più im-portante lanciata nel sistema solare. Gli astrofisici hannoeletto loro presidente Catherine Cesarsky. È una donna, Fla-via Zucco, a dirigere la ricerca dell’Istituto di neurobiologiae medicina molecolare di Roma. È una donna, Elisa Molina-ri, la coordinatrice dell’Istituto nazionale di fisica della ma-teria. I sessisti hanno scoperto che quando il gioco si fa duro,quando ci si trova nei guai, non c’è niente di meglio, anchenelle scienze, che mandare avanti le donne affinché se lasbrighino da sole.

JOCELYN BELLAnthony Hewish, docentedi astrofisica a Cambridge,nel ’74 vinse il Nobel congli studi di Jocelyn, sua allieva

IN LIBRERIA

Esce il 14 febbraio per Bollati Boringhieriil libro di Nicolas Witkowski Troppobelle per il Nobel (176 pagine, 25 euro)che, come spiega il sottotitolo,racconta la metà femminile della scienzatroppo spesso ignorata dalla storiaUna lunga galleria di donneche avrebbero meritato il più altoriconoscimento scientificoe che sono state invece discriminatee spesso derubate delle loro teorie

RITA LEVI MONTALCININata a Torino nel 1909ha vinto il Nobelper la medicina nel 1986insieme a Stanley Cohenper il suo lavorotrentennale sul fattoredi crescita nervosoÈ senatrice a vita dal 2001

ROSALIND FRANKLINEbbe la prima intuizionesulla struttura del dnaTre colleghi le copiaronola teoria, vinsero il Nobel nel ’62

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Sessantotto: mito e realtàLidia Ravera Oliviero Toscani d

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ini don Enzo Mazzi mons. Vin

cenzo Paglia Franco Cordero

Dan Sperber Carlo Freccero Ala

in Touraine Stefano Petrucciani

Repubblica Nazionale

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«Ma come sono strani questi Miao.Guardate come si vestono, come siacconciano i capelli, che barbareusanze hanno… e che mestieri fan-no, con quali rozzi attrezzi. Saran-no o non saranno umani?». Così

commentavano i raffinati e civilissimi cinesi le immagini deiMiao, una etnia disprezzata alquanto, tant’è vero che anco-ra oggi, in alcune parti della Cina, si dice: «un cibo miao» perdire che buono non è di certo, è rozzo; o una casa miao perdire che è disadorna; un odore miao per indicare la puzza disudore. E la loro indole, come sarà mai? Laboriosa ma ancheirascibile. E poi sono licenziosi, dediti al bere, troppo indi-pendenti, facilmente soggiogabili.

Insomma, ogni giudizio espresso sembra suggerito dallebrevi note a corredo delle immagini raffiguranti usi e costu-mi di questa popolazione, che ai cinesi era del tutto scono-sciuta anche se, con l’espansione dell’impero in epoca Ming(1368-1644), toccava ai cinesi governarli. Per questo, intor-no alla fine del Settecento, si ritenne utile offrire una docu-mentazione scritta e visiva ai funzionari assegnati all’ammi-nistrazione delle regioni del lontano sud-ovest abitato datante minoranze etniche, sperando che così potessero svol-gere meglio il loro compito. Commissionati a pittori locali,gli album etnografici, una sorta di pittura di genere, destaro-no però anche l’interesse di cinesi che non nutrivano parti-colare interesse per l’etnografia ma li giudicavano «diver-tenti e curiosi», opere da collezionare, da regalare agli amicio da conservare come souvenir. E piacquero molto ancheagli occidentali, che riconobbero una particolare freschezzain questa pittura naif, tanto diversa da quella nobile dei let-terati.

Oggi sedici album etnografici, che raffigurano usi e costu-mi dell’etnia miao, acquistati nel 1927 dal console italiano aPechino Giuseppe Ros e conservati dalla Società GeograficaItaliana, vengono presentati al pubblico tutti insieme, per laprima volta, nella mostra dal titolo L’altra faccia della Cina,un evento che può indurre a riflettere sulla presunta omoge-neità di una cultura come quella cinese che è piuttosto unmosaico, che non ha soltanto una faccia ma tante, per lo me-no cinquantacinque, perché tante sono le minoranze etni-che che la grande Cina congloba: temute e controllate quel-le più numerose e con una forte identità, come i Tibetani e gliUiguri, gentilmente sopportate quelle che, come i Miao o iMoso, ormai non danno più filo da torcere.

Ma in passato ne hanno dato tanto, anche se furono sem-pre sconfitti e costretti a emigrare dalla valle dello Yangzi(erano autoctoni? erano giunti dalla Siberia, come sostengo-no alcuni studiosi?) sempre più a sud, fino a raggiungere lemontagne della Thailandia, del Laos e del Vietnam, dove so-no noti come Hmong, non con il dispregiativo Miao. Così la

loro è una grande diaspora, meno nota di quella di altri po-poli ma egualmente drammatica, al punto che uno studiosocontemporaneo australiano ritiene che i Miao siano, con gliebrei, le due etnie che hanno maggiormente sofferto.

Un loro antico canto recita: «Un tempo abitavamo lungovalli irrigue/ da quando sono comparsi i demoni/ il popolonostro non ha più avuto pace./ Il sole e la luna vanno versoovest/ i fiumi montani scorrono verso est./ Seguendo la di-rezione del sole che tramonta/ guadando fiumi e attraver-sando monti/ i nostri avi sono giunti in Occidente/ un postobuono è proprio lì presso le montagne/ una vita buona è pro-prio lì sulle montagne…».

A quando risalga questo canto non è dato saperlo. Fino al1905 i Miao non avevano una scrittura e fu un missionariocristiano, il Reverendo Pollar, a escogitarne una per propa-gandare i Vangeli, così la loro tradizione è tramandata tuttaoralmente. In uno dei loro canti ricordano che un tempo ave-vano un Libro in cui venivano dette e descritte molte cose im-portanti che era necessario conoscere per affrontare la vitadurante il lungo viaggio tra nascita e resurrezione. Ma da ge-nerazioni e generazioni si racconta che quel libro «è statomangiato dalle mucche e dai cani» e la loro è quindi una me-moria che registra episodi avvilenti, come questo. Su chi sia-no i demoni che li hanno scacciati ci sono pochi dubbi: sonogli Han, i cinesi della etnia vittoriosa. Avrebbero potuto vin-cere loro, i Miao? Improbabile, la forza colonizzatrice cineseè sempre stata vincente, si è imposta con le armi e poi con lasinizzazione delle popolazioni sconfitte, un lungo processoche ha portato all’estensione dell’Impero verso sud e versoovest causando guerre e rivolte sanguinose.

La storia cinese registra una insurrezione dei Miao, con-trari alla presenza nelle loro terre dei funzionati imperiali,nel 1735, un’altra nel 1796, e una nel 1856, durata diciotto an-ni e estesa a tutti i loro territori. Siccome tra queste tre rivol-te intercorre un intervallo di tempo di sessant’anni, tra i Miaoè diffuso un detto: «Ogni trent’anni una piccola rivolta, ognisessant’anni una grande rivolta».

Dopo il 1856 però si sono avute soltanto piccole e sporadi-che rivolte, i Miao erano ormai naturalizzati cinesi e avevanodovuto adottare nomi cinesi per poter essere iscritti ai registriamministrativi, ma erano comunque cinesi di seconda clas-se. Non per Gao Xingjian, premio Nobel per la letteratura, chenegli anni Ottanta compì un lungo pellegrinaggio nelle pro-vince più remote e sconosciute dell’immensa Cina, andandoalla ricerca di un’autenticità che era stata sepolta sotto le mo-numentali ed edulcoranti semplificazioni dell’ideologia co-munista, che decantava l’avvenuta liberazione dei fratellidelle minoranze nazionali. Allora, nelle scuole, i bambini im-paravano una sorta di filastrocca che diceva pressappoco: iMiao ridono felici, Mao è un miao cantano in coro, se Mao nonfosse miao, come sarebbe così buono con i Miao?».

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IL NOMEGli antropologipreferiscono oggiusare il nome Hmong,denominazione privadi connotati spregiativi

LE ILLUSTRAZIONILe illustrazioni di queste pagine sono trattedagli album in mostra a Roma, per gentileconcessione della Società geografica italianaA sinistra, Villaggio di Youling; a centro pagina,Miao Fioriti; a destra, dall’alto: Andare in altalenae un’immagine senza testo

L’AMORENumerosi i ritualiamorosi dei MiaoRinomati soprattuttoi canti d’amore, centralinel loro folklore

Minoranze in Cina

La Società geograficaitaliana mette in mostrasedici singolari album:antichi baedeker, dipinticon mappe e scene di vita,che servivano da guidaai funzionari di Pechinomandati ad amministrarel’etnia che abita i remotimonti del sud-ovest cineseDisprezzata e soggiogatadagli “han”, invano ribelleal potere imperiale,ingannata dal regimecomunista, oggi è diventatameta del nuovo turismo

RENATA PISU

le immagini

Un manuale a fumettiper governare i Miao

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I NUMERISecondo il censimentodel 2000, i Miao sonooggi 8.940.000, quartain ordine numericodelle circa 55 etnie cinesi

GLI ANTENATISecondo i Miao,gli antenati rimangonoper sempre con i lorodiscendenti. Ad essifanno frequenti sacrifici

IL RICAMOL’artigianato Miao è notosoprattutto per il ricamoche raffigura soggettianimali, come insetti,uccelli o pesci

LA MEDICINAAffidato agli sciamani,il sapere medicodei Miao individuasei cause principalidelle malattie

Gao Xingjian si reca nelle regioni autonome dei Miao, loracconta nel suo capolavoro La montagna dell’anima, e as-siste alla Festa dell’amore dove pensa di trovare quella au-tenticità che va cercando. Scrive: «I canti d’amore comincia-no al tramonto, arrivano dalla riva opposta del fiume. A grup-pi di cinque o sei, muovendosi in circolo o mano nella mano,le ragazze si dirigono verso riva e chiamano gli innamorati:canti melodiosi si diffondono rapidi nella notte senza confi-ni, intorno a me è pieno di fanciulle, tra loro anche ragazzinedi tredici-quattordici anni, ai primi amori. Chiamarli canti èimproprio: quelle voci femminili acute e squillanti che ri-suonano in tutto il corpo sembrano sprigionarsi dal cuore,niente di strano che li chiamino “canti alati”. Il mercato do-ve durante il giorno hanno passeggiato tra le bancarelle mi-gliaia di persone si è trasformato in un immenso teatro dicanti. Di colpo mi sento avvolto dall’amore e penso che for-se in origine la gente si faceva la corte così. Solo in seguito lacosiddetta civiltà ha separato sesso e amore, ha inventato ilmatrimonio, il denaro, la religione, la morale e il presuntofardello culturale. Che stupidi gli uomini! Da lontano giungeil suono degli sheng, gli organi a bocca: nel boschetto in rivaal fiume le coppiette sono avvinghiate o abbracciate, sospe-se in una dimensione tra cielo e terra, immerse nel propriomondo. Un mondo talmente distante dal mio che sembrauscito da un’antica fiaba».

Ma anche quella di Gao è, in fin dei conti, una allettante de-scrizione di usi e costumi: non si sfugge all’esotismo, soprat-tutto non riescono a sfuggirne i Miao, che oggi non sanno seper loro sia una condanna o un riscatto. È entrambe le coseper la donna che canta: «Come è triste essere una minoran-za, una minoranza chiamata miao». È adornata con splendi-di gioielli d’argento, vende orecchini tintinnanti, collane,anelli e stoffe ai turisti, stoffe meravigliose, batik dai motivielaborati, gonne a pieghe strettissime, grembiuli ricamati amotivi geometrici bordati da festoni ad uncinetto: tutta l’ar-te e il patrimonio della sua etnia, del suo popolo soggiogatoche ora, nell’ondata dello sviluppo economico, è incorag-giato a contribuire con la sua diversità all’industria del turi-smo che ha fame di esotismo.

Ne hanno fame i cinesi i quali hanno scoperto di recente legioie del turismo interno, alla scoperta di popolazioni dagliusi e costumi incontaminati dalla modernità; e ne hanno fa-me i turisti occidentali, ormai stanchi di una Cina non di cer-to “esotica” ma irta di grattacieli, i quali per i loro tour privi-legiano le visite alle zone dove vivono le minoranze etniche,la nuova meta proposta dalle agenzie di viaggio più accorte.

Rotto ormai l’isolamento, i Miao e altre minoranze delsud-ovest della Cina, rischiano se non l’estinzione — per lo-ro che sono circa otto milioni non vale la politica del figliounico — di certo lo snaturamento della cultura tradizionalee di uno stile di vita che non è al passo con questi tempi.

LA MOSTRA

Si intitola L’altra faccia della Cina. L’etnia Miaonegli album della Società geografica italianala mostra, curata da Maria Luisa Giorgi,che si aprirà il 16 febbraio presso il Museonazionale d’arte orientale “Giuseppe Tucci”in via Merulana 248 a Roma. L’esposizione,che resterà aperta fino al 4 maggio,è una delle iniziative nell’ambitodelle celebrazioni del 750° anniversariodella nascita di Marco Polo

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Compie ottant’anni “Domus”, la rivista di architettura,arredamento, design ideata da Gio Pontie da GianniMazzocchi.A sfogliare la sua collezione si possono leggere

ottant’anni di storia “profonda” del nostro Paese: i suoi desiderie le sue delusioni, la sua energia e i suoi dubbi sul futuro. Un termometrodel ruolo, della fortuna e della sfortuna dell’Italia nel corso del Novecento

CULTURA*

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Se ottant’anni di storia d’Italia — storia“profonda”, “trasversale”, anche dellapsiche, dei sogni, delle aspirazioni, del-le delusioni, dei rimorsi, dei dubbi per ilfuturo di un paese — si possono leggeredi filato nelle pagine di una rivista, que-

sta è Domus. Il primo numero è del gennaio 1928, lostesso anno in cui esce una pubblicazione altret-tanto longeva, Casabella. Si occupano entrambe,molto alla larga, di case, e di tutto quello che entrain casa (o collega la propria casa con le case di tuttigli altri, fino all’automobile e alla televisione, in-somma). Cioè di qualcosa che nel corso dell’interoNovecento, in modo crescente fino ad oggi, impe-gnerà l’inventiva, le ambizioni, le paure degli italia-ni, sarà uno dei termometri dei loro umori. Quasi al-la stessa stregua del “posto di lavoro”, della fiduciao meno in un avvenire migliore. Qualcosa, oserei di-re, di ancor più importante della fiducia, che an-ch’essa va e viene, nelle classi dirigenti (politiche,dell’economia, di chiesa o d’opinione che siano).

I primi numeri di Domus portano come sottoti-tolo «Architettura e arredamento dell’abitazione incittà e campagna». Casabella invece «Arti e indu-strie dell’arredamento». Per entrambi il sottotitolosarebbe cambiato più volte nel corso dei decenni,ma senza mai rinunciare completamente al puntodi partenza. La Domus di Gio Ponti si sarebbe oc-cupata di «arte della casa» in tutte le declinazionipossibili, compresi il giardino, l’orto, la cucina e ildesign degli «oggetti» per la casa, nonché di «stile»e di «gusto». Quella di Ernesto Nathan Rogers della«casa per l’uomo».

Le due pubblicazioni, nel corso degli anni,avrebbero più di una volta alternato gli stessi diret-tori o condirettori, Ponti e Rogers (ma anche pa-

recchi altri, come Marco Zanuso, Ettore Sottsass eGillo Dorfles). Avrebbero avuto per un lungo pe-riodo (dal 1934 al 1964) anche lo stesso editore:Gianni Mazzocchi, personaggio straordinario, pa-dre di Domus, certo, ma anche di Fili, rivista di ri-camo e del Libro di casa, pubblicazione di «econo-mia domestica» per famiglie con ricette, consigli,voci di entrata e capitoli di spesa (che arrivò a tira-re ottocentomila copie, molto prima che arrivasse-ro le tv). E ancora: inventore di Quattroruote, desti-nata ad essere la Bibbia dell’Italia che si motorizza-

va, e di Quattrosoldi, che si rivolgeva ai consuma-tori negli anni del Boom. Ma anche il fondatore delclandestino Unità europea sotto occupazione te-desca, di Italia Libera, diretta da Leo Valiani, subi-to dopo la Liberazione, poi de L’Europeo di ArrigoBenedetti e de Il Mondodi Mario Pannunzio. E scu-sate se è poco, accanto ad un’altra trentina e più ditestate. «Nessuno ha inventato tanti giornali quan-to lui», è il modo in cui lo ha ricordato Enzo Biagi.Talvolta forse aveva il difetto di arrivare troppo pre-sto. Lui forse pensava di essere un attimino in ritar-do, o giocava con questo pensiero, come quando,a metà anni Sessanta, intitolò un proprio articolosu Quattroruote: «L’aerorazzo da Marte viaggia con

una settimana di ritardo». Chissà cosa avrebbe po-tuto combinare un ingegnaccio così se gli fosse ca-pitato di occuparsi anche di giornali quotidiani e ditelevisioni.

Quanto a Domus, la più longeva della sue crea-ture, era nata da una combinazione unica e impro-babile (quanto lo è forse la combinazione che haportato la nascita di ciascuno di noi, sei miliardi diattuali abitanti del pianeta Terra): un Gianni Maz-zocchi allora ventunenne, giunto a Milano dalleMarche in cerca di lavoro; padre Semeria, un bar-nabita che era stato cappellano militare durante laGrande guerra e, diventato stampatore, coltivava ilsogno di una pubblicazione italiana legata alle di-scipline artistiche; e l’architetto Giovanni Ponti, al-lora giovane disegnatore di ceramiche per la Ri-chard Ginori, il cui nome sarebbe stato fatto, pro-prio a padre Semeria, da un famoso giornalista,Ugo Ojetti.

Capita (spesso) che le vie del signore, o le vicen-de storiche degli uomini, della politica siano fasci-nosamente tortuose. Gio Ponti e Gianni Mazzoc-chi avrebbero più volte clamorosamente litigato,per poi ancora più clamorosamente riconciliarsi.Mazzocchi era stato licenziato subito, perché la ri-vista andava male; si rifece comprandola. Ponti sen’era andato sbattendo la porta nel 1940. A fare unarivista di moda, con l’ambizione di fare concorren-za alla supremazia della haute couture franco-bri-tannica, la cui testata era stata suggerita da Musso-lini in persona: Bellezza. Mazzocchi, che continuòa far uscire Domus anche nella Milano bombarda-ta durante la guerra, aveva dovuto rimediare fa-cendo un nuovo direttore all’anno. Tra questi Giu-seppe Pagano, cui negli anni Trenta aveva già affi-dato la direzione di Casabella. Fascista convinto (alpunto da aver italianizzato il cognome originarioPogatschnig), Pagano si era poi arruolato volonta-rio per la guerra in Jugoslavia, ma ne era rimasto tal-

SIEGMUND GINZBERG

Tutti i modi per dire Casa

Tra i due fondatori,“duellanti geniali”,

erano sempre scintilleMa litigando costruivano

invece di sfasciare

LE COPERTINENelle pagine, una selezionedelle copertine della rivista Domus

negli ottant’anni dalla fondazioneIn alto a sinistra, la prima del gennaio1928. In basso a destra, l’ultimain uscita domani, 4 febbraio

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mente disgustato da passare coi partigiani. Arre-stato, era riuscito ad organizzare un’evasione dimassa dal carcere di Brescia. Nuovamente cattura-to, era stato deportato e ucciso a Mauthausen. Nel1948 Ponti si era lasciato convincere a tornare a di-rigere Domus, mentre Ernesto Nathan Rogers, chel’aveva diretta nell’immediato dopoguerra, facen-do riscoprire ai suoi lettori l’America, tornava a di-rigere Casabella.

Tra Ponti e Mazzocchi continuavano ad esserciscintille, ma non potevano fare a meno l’uno del-l’altro. Litigando costruivano, non sfasciavano.«Duellanti geniali», li ha definiti la figlia di Gio, LisaLicitra Ponti, stretta collaboratrice di entrambi nel-la redazione di Domus dagli anni Cinquanta a fineanni Settanta.

Questi sono gli anni magici. Gli anni della crea-tività a tutto campo e del miracolo economico, delgrande design e del primo benessere operaio, del-la libertà assoluta delle forme, dell’esplosione deicolori, insomma davvero dell’«immaginazione alpotere», prima che finisse col diventare uno slo-gan, bello ma sempre solo slogan. Sono gli anni incui, arrivati dal Sud con le valigie di cartone, gli excontadini mettono su casa al nord e, soprattutto,hanno la certezza che i propri figli staranno me-glio di loro. Gli anni in cui esplodono le avanguar-die, nasce il pop. Gli anni del made in Italy che fi-nirà nei musei di arte moderna (e nei grandi ma-gazzini e boutique chic di tutto il pianeta), gli an-ni in cui due trentenni, Renzo Piano e Richard Ro-gers vincono il concorso per il Beauburg di Parigi,gli anni dell’Italia che scopre l’architettura del re-sto del mondo e del mondo che riscopre il genioitaliano. Tutto puntualmente, continuamentedocumentato, anzi anticipato sulle pagine di Do-mus. Sfogliare per credere l’impressionante anto-logia di Domusdal 1928 al 1999 pubblicata un paiod’anni fa da Taschen, dodici volumi, settemila pa-

gine, ventimila immagini, egregiamente com-mentata dalle introduzioni di Luigi Spinelli (maperché non ne fa un libro?) e da interventi dei di-rettori succeduti a Ponti. L’opera non è alla porta-ta di tutte le borse, ma credo che non dovrebbemancare in nessuna biblioteca.

Ponti è scomparso nel 1979, Mazzocchi nel1984. I grandi se ne stanno andando uno dopo l’al-tro: Zanuso, Sottsass… Domus continua ad uscireed essere letta in novantadue paesi, edita dalla fi-glia di Mazzocchi, Giovanna, cresciuta pratica-

mente in redazione, e con nomi uno più presti-gioso dell’altro che si alternano alla direzione ognitre anni circa, ultimo Flavio Albanese. Resta unapubblicazione di tutto rispetto. Altri cento di que-sti anni!, viene da dire.

Ma allora, perché provo tanta struggente no-stalgia, mi assilla invece l’idea che quegli anni,Cinquanta, Sessanta, Settanta, siano irripetibili?Solo perché sono invecchiato, la mia generazioneha perso l’entusiasmo che aveva in quegli anni?Potrebbe essere, ma non credo sia solo per questo,né che si tratti solo di impressioni. Ne discuto ognitanto con gli amici. C’è chi pensa che sia colpa delfatto che non si discute più, e chi invece

sia colpa del fatto che si à discusso tanto e fatto po-co. Qualcuno dà la colpa a Berlusconi, altri agliAmericani, e alla guerra per spartirsi i mercati dellusso e delle idee, non meno brutale di quella peraggiudicarsi materie prime e petrolio. Qualcunosostiene che i guai iniziarono con l’austerità diBerlinguer. Altri se la prendono con una sinistrache ad un certo punto si mise a vaneggiare dei«piani del capitale», mentre il problema era che dipiani non ne avevano alcuno, tranne per il giornoper giorno. Philippe Daverio mi fa notare che la“magia” di quegli anni Sessanta fu anche nella col-laborazione tra un gruppo di intellettuali moltosofisticati e gli artigiani mobilieri della Brianza.Ha probabilmente ragione, anche le migliori ideenon vanno lontano se qualcuno non produce, c’èpoco da esercitare la fantasia al potere se non reg-ge il prodotto interno lordo. Ma a quei tempi, oltreal balzo del pil, c’erano il Pci e la Dc, una sorta di«duello tra geni» simile a quello tra Ponti e Maz-zocchi, non la rissa da saloon.

Per restare in tema di casa e design, il punto piùalto di prestigio a livello mondiale lo raggiungem-mo forse all’inizio degli anni Settanta, quando ilMoMA di New York ci dedicò una mostra epocale:Italy: the New Domestic Landscape. Sono passatida allora trentacinque anni. Temo in discesa.Quando un paio d’anni fa tornai a New York e an-dai a vedere il nuovo splendido MoMA, mi incu-riosì una mostra all’ultimo piano, dedicata allaNuova architettura in Spagna (dal 2000 in poi).Cose da mozzare il fiato, al cui confronto l’Italiasembra ferma da trent’anni. Non par-liamo della Cina.Noi abbiamoancora Do-mus, ma acorrere sonogli altri.

Il punto più alto negli anniSettanta: l’avvento

del made in Italy che finirànelle boutique ma anchenei musei d’arte moderna

LE CELEBRAZIONI

Domus celebra il suo ottantesimo compleanno con diverseiniziative tutte dedicate al suo fondatore, Gio Ponti. Si iniziaa febbraio con un numero speciale della rivista: dodici artisticontemporanei reinterpretano alcuni dei progettipiù significativi dell’architetto e designer milanese riferitial periodo tra gli anni Venti e Settanta. Sempre a febbraio,nei weekend 16-17 e 23-24, Domus organizza a Milanoun itinerario guidato tra i progetti dell’architettoUn tour – gratuito e aperto a tutti - di otto edifici tra i qualila Torre Pirelli, i due palazzi Montecatini e la Torre Littoriao Branca di Parco Sempione. A maggio, per il Salonedel mobile, Domus allestirà una mostra su Gio Ponti

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la letturaSan Valentino

Un moderno Cupido cerca di venderei suoi versi in un mondo in cui ormai tutto,anche il corteggiamento, è diventato velocee anonimo. Ma i clienti non mancanoperché i cuori che si spezzanoe i guai sentimentali sono sempre quelli

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Non serve che vi dica il mionome. Vi basti sapere chesono nel giro da un saccodi tempo e che, dopo tuttiquesti anni-decenni-se-coli di esperienza nel set-

tore, conosco il mio mestiere. Alcuni michiamano Anonimo, ma potrebbero na-scere equivoci perché ci sono un sacco diAnonimi in giro, e di varia qualità. GliAnonimi scrivono parecchio sulle paretidei bagni — «Chiamami, ti sorprenderò»,seguito da un numero di telefono — efanno affari d’oro negli annunci perso-nali per categorie: «Cupo ubs [uomobianco sposato] cerca svago pomeridia-no con dns [donna nera single], 25-35,non fumatrice, amante sculacciate».Nessun talento, solo i particolari nudi ecrudi. Detesto essere confuso con mar-maglia di questo genere.

Quindi, non chiamatemi Anonimo.Non chiamatemi per niente. Saltiamo leformalità, d’accordo? Quando ci incon-treremo, intendo. Perché noi ci incontre-remo.

Come farete a riconoscermi? Un tem-po ero famoso. Giravo di città in città, acavallo se ero ben fornito di soldi, a piedise i guadagni erano stati magri. Portavoun bastone intagliato e robusti calzari dicuoio. Il mio abbigliamento evocava unacerta aria di magia e mistero: faceva pen-sare ai clienti che fossi versato nella sa-pienza antica, cosa che ero, e che avessiun filo diretto con forze invisibili, cosache avevo. Non avrei dovuto sottolinea-re queste mie doti, ma se uno le ha e nonle ostenta, come fanno gli altri a saperlo?Quindi ricorrevo all’abbigliamento ec-centrico come a una sorta di insegna. Mimettevo al lavoro nella piazza principale,ritirandomi discretamente in un angolo,penna d’oca e papiro a portata di mano,oppure, in tempi più recenti, pergame-na, o, più recenti ancora, carta e penna. I

disperati sapevano dove trovarmi. Poi le cose sono cambiate. Lo fanno

sempre. La storia mi ha sospinto qua e là,da una prestigiosa riserva di caccia del-l’amore all’altra. Clientela con moltotempo a disposizione — il romanticismolo richiede — una certa provvista di con-tante, che non guasta mai, e l’interesse aun approccio raffinato. In questi giornisono a Toronto, che per la mia professio-ne prima era un deserto, adesso un’oasi.Dove ci sono tapas bar, ci sono lettere d’a-more.

Di solito potete trovarmi al Bar Mercu-rio, un locale che ho scelto in omaggio almio nume tutelare, Mercurio, o Hermes.È il dio della comunicazione e del fascino(capirete perché siano attributi indi-spensabili, per me) e anche degli ingannie delle bugie (che comunque possonoservire). Ho anche un altro nume tutela-re: Afrodite. Può essere complicato bar-camenarsi, perché i due non vanno mol-to d’accordo. Per Hermes una scopata èuna scopata, dopodiché torna ai suoi af-fari senza versare una lacrima. Se deveprodursi nell’abile imitazione dell’inna-morato perso, lo fa, ma quello resta: un’a-bile imitazione.

La descrizione, per lui, è fine a se stes-sa: non per niente è stato chiamato il Redanzante dell’aggettivo. Al contrario,Afrodite è una purista. Per lei, l’amore èserio al punto da diventare noioso. Spin-gerà i suoi devoti fino alla pira funeraria,se occorre. Il vostro cuore deve batteredavvero a velocità tripla, desiderio e di-sperazione devono essere autentici o vidarà lei un buon motivo per piangere, fa-cendovi innamorare di un asino alla pri-ma occasione. [...]

(Non commettete l’errore di credereche io disprezzi l’amore. Io ci scherzo, sì,ma dopo tutto l’amore è la forza più po-tente del mondo, e comunque non vorreimai offendere la mia idea. Ho dedicato lavita al servizio dell’amore, per lo meno il

mercoledì e il venerdì. In sostanza lo ve-nero, come chiunque altro. È solo che og-gi le sue manifestazioni sono diventatecosì pacchiane, meschine, venali, rinsec-chite... ma adesso basta). [...]

Oggi come oggi indosso scarpe da gin-nastica comode e le tute azzurre e lilla chepotrebbe mettersi una matrona in carnequando esce per la sua dimagrante corsamattutina. Oppure, nel mio avatar ma-schile, jeans di buona qualità, un berret-to da baseball che è ridicolo, lo ammetto,ma sincero — I (cuore) the leafs — unamaglietta nera e una catenina d’oro alcollo. Solo una catenina d’oro, attenzio-ne. Non voglio farmi notare.

Mi siedo con il mio latte, leggo il gior-nale — gli oroscopi aggiungono un toccodi comica nostalgia alla mia giornata — easpetto i clienti. Se avete bisogno dei mieiservizi, accostatevi con discrezione epresentatevi come segue:

«Abbastanza caldo per lei?» (Sostitui-bile con Freddo, Umido, Nebbioso, Nu-voloso, Nevoso o Saturo di smog, a se-conda delle circostanze). Dopo che viavrò dato la risposta standard — «Ne sof-friremo dopo» — voi dovrete pronuncia-re la password: «O lente, lente currite noc-tis equi!».

Se mi piacerà il vostro aspetto e sentiròche una collaborazione è possibile, e chenon avete l’aria di chi non paga — cosache comunque vi consiglierei di evitare— risponderò: «Le stelle si muovono an-cora, il tempo corre, l’orologio suonerà».

Se, invece, non risponderete ai miei re-quisiti dirò: «Mi dispiace, parlo solo in-glese». Se insisterete e comincerete a gri-dare che sapete chi sono e che dovete as-solutamente avvalervi del servizio irri-nunciabile che solo io posso offrire, se vibutterete in ginocchio e comincerete abaciare l’orlo di qualunque cosa io in-dossi, chiamerò il direttore del locale. Ionon so trattare con i pazzi, ma lui sì. Ve-

dete, se è vero che voi dovete fidarvi di me,anch’io devo potermi fidare di voi. La no-stra impresa richiede lavoro di squadra.Voi dovete fornirmi la materia primaemotiva. Non potete limitarvi a star lì se-duti a far niente. Ecco perché sono cosìselettivo.

Tuttavia, rifiuto meno candidati diquanti vorrei, ultimamente. L’aggraziataed efficace manipolazione della parolascritta, finalizzata al raggiungimentodello scopo voluto — copula di mezza-notte, estenuante amoreggiamento dol-ce-amaro, trionfo di campanelli nuzialidi raso bianco — è sempre stata indi-spensabile nel mio mestiere, ma pare chela grazia ormai sia volata fuori dalla fine-stra. Adesso un ragazzo può mandare unmessaggino sul cellulare del proprio og-getto del desiderio — voglio scoparti — enon è escluso che lei si presenti in salagiochi e l’accontenti. Il tramonto del pu-dore non è stato un vantaggio, dal miopunto di vista. Per gli affari è negativo.

Un tempo c’era grande richiesta di so-netti di pregiata fattura, come «Amorenon è amore se muta quando scopre unmutamento», o anche di versi più legge-ri, come «Raccogliete le rose, finché po-tete», e così via. Dimostravano — per

quanto falsamente — che un uomo, ouna donna, avevano in mente qualcosain più del corpo dell’amata/amato. Ades-so ci fermiamo a 6unagnocca. Dov’è l’ar-te?

Pertanto, ho dovuto sgomitare un po’per mantenermi in corsa. Sono arrivato auna presentazione che definirei sottile,ma convincente. Ecco il ventaglio del-le offerte: «Scriba dell’amore senzaetà! Il menù del desiderio! Vastaesperienza dei due generi princi-pali, più omosessualità, travesti-tismo, pedofilia, feticismo, zoo-filia e altro!

Falla/fallo sciogliere con unfavoloso bouquet di frasi per-sonalizzate! I dolci sono ele-ganti, i fiori parlano, il liquo-re fa effetto prima, ma unalettera scritta da un espertoè molto, molto meglio!Quello che vogliono le don-ne moderne: addominalistrepitosi, membro agilee resistente, adorazionetotale ma, più di tutto,senso dell’umorismo!Corteggiala con adoran-ti facezie!

Tutte le ragazze sonocuriose: lascia che io titrasformi in un pacchet-to viola denso di misteroche lei smania dalla vo-glia di aprire!

Suscita la sua compas-sione! Permettimi di in-dicarti le tue ferite segre-te, quelle che solo l’im-piastro dell’Amore puòguarire!

Scelta di cento incipit:Mio dolce tesoro, Mio ado-rato pasticcino, Mio ciocco-latino peccaminoso ma bio-

logico, Mia Venere scatenata, Mio frusti-no di cuoio, Mia surreale tazza foderatadi pelliccia, Mia giugulare della passio-ne, Mia voluttuosa e odorosa cipolla, Ba-cio i tuoi tricipiti tatuati, Voglio il tuo tac-co 12 che affonda nel mio collo, Tu in-credibile stronza... e altri ancora! Optio-nal: inchiostro che scompare! Svaniscedopo una settimana /un mese /un anno,per evitare imbarazzi a un successivo ap-puntamento!

Dignitose lettere di rimprovero per si-gnorine scaricate. Riconquistatelo condue righe gelide e bollenti insieme! Odi etamo, versione aggiornata! Nessun inca-rico è troppo modesto, nessun cuoretroppo a pezzi!

Braille senza costi aggiuntivi!Posso fare per te quello che il viagra

non può!Torturato dalle pene d’amore? Pensi di

non poterti permettere il mio aiuto? Nonpuoi non permetterti il mio aiuto!»

Ecco qui. Con ogni ordine riceveretein omaggio una fornitura mensile dicarta profumata con elegante mono-gramma inscritto in una rosa, per ledonne, e per gli uomini un portabi-glietti da visita in vera pelle di serpente,con diversi nomi falsi sui biglietti. Pra-tico se avete fretta.

Ci siete, finalmente! Guardatemi egliocchi. Avete la mia completa attenzione.Raccontatemi il vostro problema d’a-more. Proponete la soluzione che prefe-rite. Non siate timidi: ricordate, qualsia-si cosa abbiate immaginato, io l’ho giàfatta. Più di una volta. Oh, ben più di unavolta! Lasciatemi con il vostro problemaper una notte. Pagamento anticipato,per favore: presto sarete rapiti da una ta-le estasi che vi dimenticherete di scrive-re l’assegno. Non preoccupatevi. È de-naro ben speso. Io ottengo sempre risul-tati. Grazie. Non ve ne pentirete.

Traduzione Alessandra Sora(© O. W. Toad Ltd, 2007)

Una volta c’eragrande richiesta

di sonetti di pregiatafattura. Adesso

ci fermiamoa “6unagnocca”

Dov’è l’arte?

Scrivere lettere d’amoreai tempi dei messaggini

MARGARET ATWOOD

FRECCEL’illustrazione

è trattada una copertina

del Saturday

Evening Post

degli anni Ventipubblicata nel libro

Valentines

(edizioni Taschen)

Repubblica Nazionale

Page 11: Donne scienziato, l’altra metà del Nobel DOMENICA

Non si ascolta la stessa musica, non si leggonogli stessi libri, non si hanno le stesse ideeE quando un uomo smette di fingersiciò che non è, può finalmente violare la regolaaurea (ma sbagliata) di “Love Story”E dire una volta per tutte: “Mi dispiace”

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 33DOMENICA 3 FEBBRAIO 2008

IL LIBRO

I due brani pubblicati in questepagine sono tratti dal libroIn cinque lettere: amore (OscarMondadori, 300 pagine, 8 euro)Si tratta di un’antologia a curadi Joshua Knelman e RosalindPorter (revisionata e tradotta da Martina Cocchini e AlessandraSora) che raccoglie quarantadei migliori talenti letteraricontemporanei alle prese con la stesura di una letterad’amore. Tra gli altri, JonathanLethem, Gautam Malkani, MichelFaber, Nail GaimanIn libreria il 5 febbraio

Rilke e anche Dylan... Be’, cara, che ti pos-so dire? È ciò che fanno tutti i giovani. Ci-tano Nietzsche e Dylan e Rilke. Idem perla musica: l’implacabile diluvio dell’ulti-mo Coltrane che ho inflitto alle tue orec-chie... mi dispiace anche di quello.

Più precisamente, mi dispiace che do-po aver ascoltato First Meditations (forQuartet) a tutto volume tu abbia detto:«Penso di essere semplicemente troppoin pace con me stessa per questa roba».

Sì, proprio così, mi dispiace che tu l’ab-bia detto perché di fronte a quello ionon ho avuto altra scelta che dire: «Va

bene, abbiamo chiuso». Al che tu haidetto: «Che cosa intendi?» e io ho detto:«È finita. Ci lasciamo». Potrà sembrareuna reazione piuttosto estrema alla tuareazione ma, anche adesso, ripensando-ci, mi dico: bene, meglio per te (cioè, me).

Francamente, chiunque non si sentamorire nel momento di transizione tra ilprimo pezzo, Love, e il secondo, Com-passion, quando l’eco del sax tenore in-combe su tutto e c’è quasi silenzio, ap-pena una debolissima vibrazione resi-dua prima che Elvin e Trane riportinol’intera suite a gonfiarsi di vita... be’, fran-camente, anche se stiamo trattando, al-la lettera, del movimento tra Amore eCompassione, una persona del generemerita di essere sbattuta fuori a pedatenel culo! Dopotutto, non è che stessimoascoltando Ascension. Quello sì che èbaccano. Per inciso, io non ascolto maifree jazz, adesso — preferirei cacciare latesta in un bidone di metallo e chiederea qualcuno di picchiarci sopra con unmartello — ma a vent’anni devi, né piùné meno, riempirti la testa con quella ro-ba. Ti placa, a qualche livello.

Altra cosa di cui mi dispiace è l’insi-

stenza con cui volevo sempre andare inquel pub, l’Effra. Dio, se mi piaceva quelpub! Amo tutti i pub, ma quello lo amavopiù degli altri. Adesso che difficilmentemetto piede nei pub, mi sembra quasiimpossibile averli amati così tanto. Miurtano per quanto sono orribili, fumosi,violenti, e probabilmente a quel tempoerano più violenti, più fumosi e persinopiù orribili. Solo che non mi sembravaplausibile che non ti piacessero i pub.Come potevano non piacere i pub? I pubnon erano soltanto i posti dove ci si di-vertiva; i pub erano quello che uno face-va. Specialmente l’Effra. In un senso piùgenerale e più collegato al discorso “bir-ra”, è per me fonte di profondo ramma-rico che tu abbia avuto la sfortuna di co-noscermi nel pieno della fase real ale, [labirra alla spina artigianale britannica,ndr] cosicché tutte le nostre vacanze (socosa dirai: che ne abbiamo fatte solo due)sono state organizzate secondo le indi-cazioni del Camra [Campaign for RealAle, organizzazione per la promozionedella real ale, ndr]. Non fraintendermi.Non è che voglia buttare via il bambinocon l’acqua sporca e denunciare la (o ri-nunciare alla) real ale. La amo ancora. Labirra “piatta” servita a temperatura am-

biente è uno dei grandi contributi del-l’Inghilterra ai piaceri della vita. Però ticoncedo questo: può sembrare stranoche uno (io) abbia speso i suoi vent’annia tracannare pinte di Dog Bolter e a cer-care taverne dove servissero l’Old Pecu-liar. L’ho capito con particolare chiarez-za tra i trenta e i quaranta — gli anni esta-tici — quando mi sono trovato a vivereuna vita per certi versi più giovanile diquella da pub che conducevo a vent’an-ni, ma, come per Arsène Wenger, all’e-poca l’alternativa non c’era.

Mi dispiace davvero, anche, che tufossi una femminista così sfegatata. Sin-ceramente. Che spreco. Eri lì, venticin-que anni, sinuosa come una gattina enon ti ho mai vista con un paio di calzeautoreggenti o un perizoma (ricordo an-cora l’ira che ha scatenato in te, in me, innoi lo slogan pubblicitario «Sotto sottosono tutte adorabili»), e per la veritànemmeno con un vestito. Solo salopettee (massima concessione all’eleganza) ilfoulard in testa alla Simone de Beauvoir.Povera te, povero me, poveri noi. Inten-diamoci, il sesso era comunque grandio-so, no? Nonostante tutti i divieti politiciin materia di penetrazione e patriarcatoe la temibile icona di Andrea Dworkinche incombeva su di noi come una ma-ledizione, venne fuori che a noi, a qual-che livello senza tempo, piaceva fare lestesse cose che piacciono a tutti da sem-pre. Quei momenti in cui tu mi dicevi«Fammi tutto». Be’, chiamami opportu-nista ma per me significava, in parole po-vere, «Mettimelo dietro». Che poi eraproprio quello che intendevi, ovvio,però dirlo esplicitamente sarebbe statocome mostrarti bramosa della tua stessaoppressione, come scegliere di leggere

Norman Mailer (almeno io non ho maicitato quell’ubriacone) invece di ToniCade Bambara. Il che, è ovvio, contribui-va a rendere le cose più eccitanti. Ah, beitempi. O, per lo meno, grandi momenti.

In ogni caso, tutta questa premessa èper dire, in sostanza, che mi dispiace diessere stato tanto idiota. Mi dispiace diaver pensato che il modo per sedurreuna donna — te compresa, è superfluoche io te lo ricordi — fosse scardinare lesue convinzioni politiche; di aver pensa-to che il modo per dimostrare che ero ilmaschio mentalmente dominante delgruppo fosse citare Nietzsche e in gene-rale far capire che avevo letto più Adornoe Lukács di qualunque altro maschio ri-vale che stesse cercando di fare la mede-sima cosa. Quindi, per provare il mio ge-nuino pentimento, farò una confessione— anzi una duplice confessione, che perla prima parte, a essere del tutto onesti, èuna vera spacconata: sono davvero an-dato a letto con M. quella volta dopo la fe-sta a Bonnington Square, quando ti dis-si che all’ultimo momento avevo decisodi fermarmi a dormire da Pete Johnson aOval Mansions. Colpevole per aver com-messo il fatto (sto cercando di cancellar-mi il sorriso dalla faccia, ma per la veritànon è un sorriso, è un ghigno). Questa èla prima parte. E anche la seconda, me nerendo conto adesso, è un po’ una spac-conata: non ho mai letto Storia e coscien-za di classe. La verità nuda e cruda è cheera troppo complicato e noioso. I giorniin cui riuscivo quantomeno a contem-plare l’idea di leggere roba del genere so-no lontani — il cervello non è più quellodi un tempo — ma allora ero, teorica-mente, capace di farlo. Il buffo è che, tratutte le cose che all’epoca non sono ac-cadute, questa è una che davvero nonrimpiango.

Con amore.Traduzione Alessandra Sora

(© Geoff Dyer, 2007)

Ovviamentescrivo perdire che midispiace. Soche questadovrebbe es-

sere una lettera d’amore ma,come avrete capito, io sonouno di quegli uomini per cuiamore — al contrario diquanto si sosteneva nel filmcon Ali MacGraw e Ryan O’Neal — significa sempre do-ver dire «mi dispiace». A uncerto punto le lettere d’amo-re diventano lettere di scuse.La cosa che le distingue è lastessa che fa sì che sfuminole une nelle altre: una rela-zione.

Per cominciare dall’ini-zio, ti vidi a quella festa, do-vunque fosse, ed eri bellis-sima. È superfluo dirlo?C’è un uomo al mondoche non giudica — o per lomeno giudicava — bellis-sima la propria donna?(Temo che questa sia unaparafrasi di qualcosa chedisse Arsène Wenger, enegli anni Ottanta, gli anniin cui questa lettera vor-rebbe essere stata scritta,nessuno aveva mai sentitoparlare di Arsène Wenger.

La peculiarità di questa let-tera, però, è che la immagi-

no, sì, scritta da un me stessoventenne, ma da una versio-

ne di quel me stesso che puòcontare su tutto il buonsenso e

l’intuito — non granché, in verità — cheho sviluppato da allora. Così, per amoredi chiarezza: oltre a essere una letteranon per una ma per diverse ex, è ancheuna lettera da parte di diverse versionidel mio io precedente, ex anch’esse, inqualche caso. Come tale, essa risultascritta allora e adesso e in vari momentiintermedi. Il suo tempo verbale, am-messo che ne abbia uno, è il presente re-trospettivo).

Tutto il resto nacque dall’averti vista aquella festa e dall’aver pensato che eribellissima e che, in qualche maniera, do-vevo trovare il modo di parlarti.

Hai presente i contratti di licenza deisoftware? «Aprendo l’applicazione l’u-tente accetta i termini del presente ac-cordo ecc...». Io penso che effettivamen-te uno firmi un contratto nel momento incui riceve il primo bacio e che l’accordovenga rinnovato e prorogato a ogni baciosuccessivo: partecipando a questo bacioaccetto spontaneamente di farmi spez-zare il cuore in cambio di un unico mo-mento di beatitudine. È una versione delconcetto faustiano «Attimo: sei così bel-lo, fermati». (Ritornerò anche su questo).A me stanno benissimo i termini di quelcontratto. La vita sarebbe insulsa, altri-menti. La cosa importante è che abbia-mo trascorso giorni grandiosi insieme,attimi grandiosi, che per la maggior par-te, in tutta franchezza, non mi ricordopiù. La vita è sempre e soltanto questionedi attimi. (Pertanto, quando dico chequesta è una lettera di scuse, intendo ilcontrario: è una lettera di non-scuse).

«Avete mai detto sì al piacere?.. Alloravoi avete detto sì anche a ogni dolore»: ilpacchetto completo. Come sai, io ero —in questo contesto sono troppo imbaraz-zato per dire «io sono» — piuttosto nietz-schiano. Di questo mi dispiace, del miocontinuo citare Nietzsche. In effetti, vistoche siamo in argomento, mi dispiace delmio continuo citare, punto. Tutto quel

Ti faròuna confessione:non ho mai letto

“Storia e coscienzadi classe”.La verità

è che era troppocomplicato e noioso

Niente John Coltrane?Ok, è finita, ci lasciamo

GEOFF DYER

Lettera a diverse possibili destinatarie, dalla metà egli anni Ottanta.All’interessata...

Repubblica Nazionale

Page 12: Donne scienziato, l’altra metà del Nobel DOMENICA

La più celebre canzone del dopoguerra italianonacque cinquant’anni fa da una concatenazione di eventiche ha dell’incredibile e prima di tutto dall’amicizia

tra due aspiranti attori allievi del Centro sperimentale di cinematografia: Domenico Modugno,che era stato ammesso raccontando una barzelletta, e Franco Migliacci, che non aveva ancora scrittonessun testo.Poi, in una notte di temporale, i versi e le note presero la forma definitiva...

34 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 3 FEBBRAIO 2008

La vera storiadi un successodipinto di blu

(segue dalla copertina)

«Non ho mai capito se fosse unapoesia che già esisteva o se listava inventando, poi arrivòla frase musicale: prima fu“volavo oh oh”, poi la spostòall’infinito, alla fine diventò

“volare oh oh”. Era felice, urlava a squarciagola.Chiamò subito Migliacci, gli disse vieni a sentire, lacanzone è finita». Se ogni volta che nasce una can-zone si può parlare di un piccolo miracolo dell’inge-gno umano, allora il caso di Volare è un autenticoprodigio, nasce da una concatenazione di eventi cheha dell’incredibile. La gestazione è stata lunga, nonfacilissima, a dispetto di quello che mostra, ovvero lasua irresistibile naturalezza, quella grazia che sembraarrivata di getto, come un’epifania. Lo fu certamenteper il pubblico, per l’Italia che improvvisamente sco-prì la sua voglia di rinascere, di diventare moderna, divolare, ma per gli autori ci volle del tempo.

Franco Migliacci era amico di Modugno, si eranoconosciuti al Centro sperimentale di cinematogra-fia, entrambi pensavano che avrebbero fatto gli at-tori. Modugno gli diceva: prova a scrivere un testo.Non lo aveva mai fatto (e anche questo ha dell’in-credibile), finché un sonno turbolento, agitato, loportò al risveglio a guardare bene delle stampe diChagall appese alle pareti e a conciliarle col sogno di

VolareGINO CASTALDO

DISEGNIQuesti schizziche ritraggonoDomenico Modugnomentre cantaaccompagnandosialla chitarrasono operadi Renato Guttusoe fanno partedell’archiviocustoditoda Franca Gandolfi

SPETTACOLI

Repubblica Nazionale

Page 13: Donne scienziato, l’altra metà del Nobel DOMENICA

APPUNTISulle paginedei quaderni autografidi Modugno,che pubblichiamoin queste pagineper gentile concessionedi Franca Gandolfi,il lavorio creativosul testo di VolareCome raccontaGino Castaldonel suo articolo,la canzone conobbediverse versioniprima di quella definitivache verrà presentataa Sanremo 1958Il disegno in copertinaè la locandina firmataCrepax per Nel bludipinto di blu

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 35DOMENICA 3 FEBBRAIO 2008

EDMONDO BERSELLI

volo che aveva fatto. Da lì la scintilla, le prime frasi:«Nel blu dipinto di blu, volavo nel cielo blu». Modu-gno intuì subito che era una grande idea, disse «Mipiace, mi piace assai», e ci lavorarono per giorni.

A casa Modugno, in un sottoscala, c’è l’archivioche sta curando di persona la signora Gandolfi. Uncomputer, dove sta entrando tutto il materiale dellastrepitosa carriera di Modugno, ci restituisce mano-scritto dopo manoscritto l’emozionante processoche ha portato all’idea finale: all’inizio si chiamavaSogno in blu, diceva: «Ieri ho sognato il più bello deisogni perché mi dipingevo le mani e la faccia di blu,poi come un foglio di carta dal vento rapito, inco-minciavo a volare nel cielo infinito». Alcune parolesono rimaste nella versione definitiva, altre no, masoprattutto cambia il ritornello: «Di blu m’ero dipin-to e me ne andavo in cielo», ma era proprio questoche non convinceva, ci voleva dell’altro. In un’altraleggiamo l’incipit che sarà definitivo: «Penso che unsogno così...», ma ancora col vecchio ritornello. Difase in fase, di gradino in gradino, nasce il capolavo-ro, fino alla notte di tempesta con la finestra che sispalanca.

Ma non è finita, la concatenazione di eventi è an-cora più straordinaria. «Nessuno capì subito la por-tata della cosa che avevano in mano. Sapevano cheera molto originale, ci credevano, ma da lì a imma-ginare il successo che avrebbe avuto, ce ne vuole».Nessuno lo pensava, al punto che neanche lo stessoModugno era sicuro di volerla cantare. Volevanomandarla a Sanremo ma interpretata da qualcun al-

Un addio alla paura e alla povertà(segue dalla copertina)

Arrivano nelle case, nei salotti, e anche nelle canoniche e nei caffèparrocchiali dove i cappellani più volonterosi e moderni hannosistemato alla meglio le panche della chiesa, per consentire a

tutti, vecchi e bambini compresi, di vedere la serata finale del Festival.Non conviene credere molto alle interpretazioni più o meno psi-

coanalitiche, secondo cui il volo sarebbe un sinonimo della sessualitàliberata e quindi la solita metafora dell’orgasmo. Tutte storie, è meglioaffidarsi all’analisi della civiltà materiale. Allorché Modugno vince, èuna grande sorpresa poiché per settimane i suoi colleghi di prima clas-se lo avevano amichevolmente sfottuto e snobbato, perché «quello lìnon sa fare il vibrato»: già, perché non è un melodista tradizionale, enemmeno uno di quei tenorini di grazia che vanno per la maggiore co-me Claudio Villa e Luciano Tajoli e che strappano l’applauso con l’a-cuto. Basta una minima attenzione alla sociologia, e ci si accorge chequando vince quel meridionale figlio della Puglia, quel tipo con i baf-fetti che “fa” il siciliano, sembra davvero che non abbia vinto soltantouna canzone, e che non ci sia di mezzo soltanto una festa popolare co-me il Festival di Sanremo.

Altroché, è tutta l’Italia che ha trovato un modo nuovo per vincere. Inquel «blu dipinto di blu», inventato da Franco Migliacci su diretta ispi-razione chagalliana, vola un Paese intero e quel volo sembra prodigio-samente riassumere una infinità di simboli: compreso, senza saperlo,l’angelo della storia di Walter Benjamin, mutuato da Paul Klee, che pro-cede a ritroso contemplando un teatro di rovine. Solo che qui si tratta di

un cantante un po’ matto, né nuovo né antico, genialmente diverso datutti gli altri, che vola lasciando alle spalle, dietro di sé, gli anni Cin-quanta e quindi la paura, la rassegnazione, la povertà, l’angoscia del do-poguerra. E magari abbandona sul terreno anche tutto il centrismo po-stdegasperiano, che appare già così asfittico mentre si comincia a ra-gionare seriamente sull’apertura a sinistra.

«Volare, oh oh», e traspare immediatamente la sensazione di un ri-scatto. Vola Modugno, si solleva sugli anni Cinquanta, si sporge sul de-cennio successivo, e l’austero critico Massimo Mila scriverà che nellasua voce e nelle sue canzoni sono depositati strati millenari di civiltàmusicale e di sonorità mediterranee. Spalanca le braccia, colui che di-venterà per i rotocalchi «il Mimmo nazionale», e il suo librarsi in volo,autentico «angelus novus» della canzone, rivela pressoché a tutti la con-sapevolezza di un’Italia diversa, che ci è già cambiata sotto il naso.

Difatti, basta guardarsi in giro. Stanno asfaltando le strade provin-ciali. Hanno cominciato a circolare le utilitarie della Fiat, le strepitosecreature tecniche di Dante Giacosa, prima la Seicento e poi la Cin-quecento, cioè le eredi della Topolino, le auto volute da Vittorio Val-letta per dare corpo al capitalismo italiano e a una variante locale delfordismo, nutrita ovviamente dall’idea che la crescita economica ètanto più solida se la classe operaia può comprarsi la macchina cheproduce alla catena di montaggio.

Ma non ci sono soltanto quelle piccole auto dai colori buffi, che unoperaio qualificato della Fiat può acquistare con una decina di sti-pendi messi da parte o con pacchi di cambiali. Sembra davvero chetutto il Paese abbia deciso di mettersi in volo. E l’oggetto nuovo, il nuo-

vo totem domestico, la televisione, ha un ruolo potentissimo nel pro-pagare la trasformazione degli stili di vita. Figurarsi: il Festival di San-remo, che le sobrie annunciatrici come Nicoletta Orsomando pro-nunciano ancora «Festivàl», come pare raccomandi la Crusca, durasoltanto tre serate, mentre Carosello arriva tutte le sere, dopo il tele-giornale. E allora Modugno è una sintesi clamorosa, una specie diesplosione improvvisa in cui si ha però l’impressione che si inneschi-no tutti i fattori e i fenomeni della grande trasformazione. I primi su-permercati self service a Roma e Milano, il Mottarello «gelato da pas-seggio igienico e gustoso», le vacanze in riviera, l’Autostrada del Sole.I consumi vecchi e i consumi nuovi, «Supercortemaggiore la potentebenzina italiana», il detersivo Tide con dentro la sorpresa-regalo per iragazzini, la lavatrice e addirittura il lusso della lavastoviglie, le calzeOmsa, il brandy Cavallino rosso, il caffè decaffeinato, insomma tutti igadget del cambio di stagione sociale e culturale.

È proprio come se la modernizzazione arrivasse dentro le case, den-tro il cuore delle famiglie. Passeranno alcuni mesi, dopo l’urlo di Mo-dugno, e poi il Financial Times scriverà che quello dell’economia ita-liana è davvero un «miracolo», e assegnerà alla lira l’Oscar delle mone-te. Alla fine, cinquant’anni dopo, Volare è qualcosa di più di un simbo-lo. Per come sigilla un’epoca sembra quasi il manifesto canoro di unaprima integrazione italiana, una specie di unione fra il Sud e il Nord,mentre i «fratelli d’Italia» stanno per conoscere la grande migrazioneche cambierà il paesaggio urbano e umano del triangolo industriale. Infondo, e anche per questo, non c’è da stupirsi allora se Volare è diven-tato un’alternativa legittima, dal basso, all’inno nazionale.

tro. Fortuna volle che ai cantanti di allora quella can-zone sembrò una follia, incantabile, assurda, senzasenso. Fu l’avvocato Caiafa della FonitCetra a dire:«Sei l’unico che può farla, Mimmo, questa la cantitu!». E così avvenne. Il resto è storia. Al festival del1958 la canzone aprì una finestra su un mondo cheallora si riusciva solo a sognare.

Entrando nello studio di Modugno c’è ancora il ri-verbero di queste storie, una foto-santino dell’avvo-cato Caiafa, una chitarra fatta con fiammiferi che ungruppo di carcerati costruì per lui quando incise lacanzone Libero, la prima locandina di Volare dise-gnata da Crepax, tanti quadri alle pareti, premi a nonfinire, dei bellissimi disegni di Guttuso che ritraggo-no il viso di Modugno, le sue pose quando suonavala chitarra. C’è ancora il pianoforte, ma soprattuttoc’è ancora attaccata alle pareti la personalità di Mo-dugno, il gusto per l’arte figurativa, la personalitàaperta e prorompente, la generosità, la voglia di fa-re, indomabile, anche dopo aver subito l’ictus nel1984, la volontà che lo portò a riprendersi, a cantareancora, a svolgere attività politica a fianco dei radi-cali. «Certo, fu difficile per lui accettare la malattia»,ricorda Franca Gandolfi, «poi si accettò e visse benegli anni che gli sono rimasti. Aveva bisogno di assi-stenza, io stavo sempre con lui, era faticosissimo,mille impedimenti, scale, siamo stati dovunque, malui non si arrendeva. E alla fine è stato anche diver-tente, perché viaggiare con i radicali era diverso,sembravano viaggi alternativi, senza soldi».

(segue nelle pagine successive)

Quelle strofee quel ritornellogenialmentediversi arrivaronodappertuttoA decollarefu l’Italia intera

RITRATTI. Questi primi piani di Modugno fanno parte di un servizio dedicatogli dal settimanale americano Time nel 1958

PREMIOL’attestato del premiodella prestigiosarivista Usa Billboarda Volare comemiglior brano 1958

Penso

che un sogno

così

non ritorni

mai più,

mi dipingevo

le mani

e la faccia

di blu

‘‘

Repubblica Nazionale

Page 14: Donne scienziato, l’altra metà del Nobel DOMENICA

GINO CASTALDO

(segue dalle pagine precedenti)

Nello studio campeggia una foto istitu-zionale, quella di Modugno senatore,a palazzo Madama, uno dei rari mo-menti in cui lo vediamo compassato,fermo, solo un frammento di una vitatraboccante di avvenimenti, vissuta

sempre come una sfida, fin da quando da Polignanovolle trasferirsi a Roma, senza un soldo, e si fece ospi-tare in un convento dei Carmelitani, attratto dal so-gno del cinema e della carriera di attore, un’idea chenon lo ha mai abbandonato, malgrado i successi ca-nori. «Non è così strano» ricorda la moglie, «quandoera piccolo nei paesini non c’era la televisione, c’erail fascino del cinema, proprio come nel film di Tor-natore, Nuovocinema Paradiso; l’educazione musi-cale ce l’aveva in casa, il padre suonava la chitarra,cantavano le canzoni napoletane, però il sogno erail cinema, ci andava sempre, ci stava tutto il giorno,sognava Spencer Tracy, il suo attore preferito».

Quando si presentò al Centro sperimentale di ci-nematografia il provino glielo fece Luigi Zampa (e neesiste una memoria visiva ritrovata negli archivi delCentro, inclusa nel bel documentario Caro Modu-

SCOLAROUna pagella

di DomenicoModugno quando

era scolaroa Polignano a Mare,

in Puglia, primadella guerra

e soprattutto primadi partire per Romain cerca di fortuna

nel mondodello spettacolo

Sopra, il 45 girioriginale di Nel blu

dipinto di blu

Volare

“Mi usavacome cavia”,racconta Franca

Gandolfi “Per giudicare un brano voleva sentirlocantato. E quindi sì, in un certo senso sono stataio la prima a eseguire ‘Nel blu dipinto di blu’Ma solo in privato. Quando scoppiò il successoero incinta del nostro primogenito, così restai a casamentre lui stava in America”

SPETTACOLI

36 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 3 FEBBRAIO 2008

COVER/1La notissima coverdei Gipsy Kings

COVER/2Una meno nota versioneorchestrale americana

ORIGINALELa copertina del 45 giridi Nel blu dipinto di blu

Repubblica Nazionale

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 37DOMENICA 3 FEBBRAIO 2008

gno di Rudi Assuntino che la televisione ha messo inonda qualche anno fa). Modugno non aveva nulla dipronto ma, disse, «potrei raccontare una barzellet-ta...», e l’effetto fu travolgente, fu preso all’istante. Infondo, quando cantò Volareaveva già trent’anni e dicanzoni ne aveva scritte già molte e alcune sono trale sue più belle. La sveglietta, La donna riccia, Lu pi-sci spada, e soprattutto Vecchio frac, l’altro capola-voro, erano tutte precedenti, era già stato a Sanremonel 1956 con Musetto(scritta con Riccardo Pazzagliae dedicata alla moglie), ma il suo successo era relati-vo, era amato da intellettuali e intenditori, MassimoMila scrisse un peana celebrando la forza tellurica eprimigenia del suo canto, ma è indubbio che nellaleggenda ci entrò grazie a Volare. «Tra le altre cose erastato a Parigi, lì aveva capito l’importanza della miseen scène, della teatralità, la canzone si interpreta, di-ceva, e noi infatti ridevamo sempre dei cantanti im-postati, lui doveva andare controcorrente, voleva ilgesto, e allora inventò quelle braccia alzate».

Quando Franca Gandolfi parla si avverte il doloredel rimpianto, ma anche la gioia di rivivere i mo-menti belli della loro storia d’amore, l’abnegazionedi una donna che aveva una promettente carrierateatrale davanti a sé e ci ha rinunciato per seguire ilmarito: «Mi usava come cavia, perché lui per giudi-care una canzone voleva sentirla cantata e quindi sì,

in un certo senso sono stata io la prima a eseguire Vo-lare, ma ovviamente solo a casa, in privato. Poi ho an-che inciso con lui, La cicoria, per esempio. Ci spo-sammo nel 1955. Quando scoppiò il successo di Vo-lare io ero incinta di Marco, il primogenito, quindirestai a casa mentre lui stava in America, al posto miose lo visse Migliacci che mi raccontava le cose assur-de che accadevano lì, un successo trionfale, comesolo in America sanno fare. Quando nacque Marco,Mimmo non c’era perché aveva calcolato tutto peresserci, ma fu un parto leggermente prematuro, miricordo che c’erano tutti gli amici intorno, chi mi te-neva la mano, chi mi carezzava, chi mi parlava, face-vano le veci di Mimmo».

Dai ricordi emerge il ritratto di un uomo genero-so, passionale, attento alle persone con cui lavorava,che lo amavano senza riserve, uno che non si tiravamai indietro, padre affettuoso («Non c’era quasimai, ma quando ci stava si dedicava completamen-te, raccontava delle storie inventate, mi ricordo unaserie che era Pissi pissi e ildrago, i ragazzi stavano oread ascoltarlo»), dotato di una spiccata poliedricità,ma anche impetuoso, “fumino” come lo definisce lamoglie, capace di rifiutarsi di portare Rinaldo inCampoin America, e sarebbe stato un sicuro trionfo,solo per un banale diverbio con Garinei e Giovanni-ni, o di rifiutare Alleluja brava gente per una discus-

sione con Renato Rascel, che pure stimava tantissi-mo. «Anche io ci litigavo spesso», ricorda la moglie,«quando una canzone non mi piaceva glielo dicevo,qualche volta l’ho convinto, altre no, per esempioChe me ne importa a me, la odiavo. Ci fu una litigatatremenda per Libero. Mimmo aveva anche Ioe io glidicevo che a Sanremo dovevano portare quella. Li-bero era una canzone che poteva dar fastidio alledonne, anche a me che ormai ero accasata, coi figli,dava fastidio, e infatti non vinse».

Un artista che trovava sempre il modo di appaga-re la sua voglia di spettacolo. Quando il suo mondodi canzoni era meno capito, meno di moda, benchésia stato incontestabilmente il primo vero cantauto-re della musica italiana, Modugno cominciò a faretanto teatro e questo lo esaltava, l’idea di conquista-re il pubblico ogni sera lo rendeva felice, se ne frega-va del successo delle canzoni, voleva vivere il palco-scenico, sempre, ma di questo purtroppo ci sono po-che tracce. Perfino l’Opera da tre soldi con Strehlernon fu mai filmata. Una storia ricca di alti e bassi, col-pi di scena, geniali resurrezioni, sempre accompa-gnata idealmente dall’idea del mare, («il mio liquidoamniotico» lo chiamava), ed è proprio davanti al ma-re che la sua vita è terminata. «Era un nuotatorestraordinario» ricorda la moglie, «anche dopo la ma-lattia, anzi si sentiva più libero in acqua, andava al

largo, lontanissimo. Gli ultimi giorni li ha vissuti aLampedusa. Quella sera siamo andati al solito caffè,a prendere il gelato di nocciola, vennero tutti i suoivecchi amici, e stava benissimo, sembrava quasi chenon avesse avuto la malattia. Quel giorno si era fattotre ore in mare, lo avevo rimproverato, e lui risposecome sempre: “Mi va così”, quasi con sfida. La serapoi arrivarono quelli del Wwf, dovevano mettere inmare una tartaruga, e dissero a Mimmo se aveva vo-glia di farlo lui. Ci aveva sempre litigato perché queiragazzi a volte esageravano, allora lui, per riconci-liarsi con loro, si mise la maglietta del Wwf e si avviòa piedi sulla spiaggia, era una distanza lunga e poisulla sabbia, una gran fatica. C’era un sacco di gentea fotografare, lui in mezzo che camminava col ba-stone sulla spiaggia. Un ragazzo portava la tartarugae quando arrivarono al bagnasciuga prese e la buttòa mare. Mimmo si arrabbiò come un matto perchédiceva: ma come, tutta questa strada perché dovevobuttarla in mare io e poi… Pensava che l’avesserofatto apposta per prenderlo per il culo. Si arrabbiòcome un matto e si sentì male». Non l’avevano fattoapposta. Solo dopo si è saputo che il ragazzo che por-tava la tartaruga era sordomuto, non aveva sentito leproteste di Modugno. Per una volta, la fortuna in cuiaveva sempre creduto, gli aveva voltato le spalle eproprio di fronte al suo mare.

LA COLLANA DI CD

Prossimamente in edicola con Repubblicae L’espresso tre cd dedicati a ModugnoCinquanta brani circa: la voce del grande Mimmoche presenta se stesso, la proclamazionedella vittoria di Nel blu dipinto di blu a Sanremonel 1958 e l’esecuzione del branodurante quella storica serata. E tanti altri branicome L’uomo in frac. Musetto, Resta cu’mme,Lu pisce spada, Libero, Pasqualino Marajà,Meraviglioso, La lontananza, e altriOgni cd, accompagnato da un librettocon immagini e racconti esclusivi,sarà in vendita a 6,90 euro in più

TRIONFO. Anche questi ritratti appartengono al servizio di Time. Come quelli delle pagine precedenti, celebravano il trionfo americano di Volare. Nella foto grande, Modugno a New York negli anni ’50

Conoscevo Domenico Modugno per averlo ascoltato alla radio. Le sue canzonipiù famose erano Il pescespada, Io, mammeta e tu, La donna riccia e altre, tuttelegate al folklore siciliano e alla sua chitarra. Quando mi chiamò per l’arrangia-

mento di un suo pezzo mi meravigliai molto. Tornai a casa mia e ascoltai la canzone:aveva ragione a chiamare me perché quel brano non aveva il profumo siciliano maun richiamo completamente nuovo per lui. Il titolo era Apocalisse. Le parole dellacanzone erano terribili e richiamavano sugli uomini le maledizioni più sconvol-genti. Dopo qualche momento di perplessità gli chiesi: «Mimmo hai coraggio?», luimi rispose in maniera perentoria e sicura che il coraggio faceva parte del suo ca-rattere. Volendo essere più sicuro gli feci più volte quella domanda. Lui sempre piùsicuro, severo e ad alta voce mi gridò che lui il coraggio l’aveva. Ma non compre-

se la provocazione della mia domanda. Feci l’arrangiamento con un organico stru-mentale insolito per quei tempi: quattro pianoforti, sei corni, cinque trombe, quattrotromboni, una tuba e varie percussioni. Dal risultato dell’esecuzione registrata capì il si-gnificato della mia domanda: era sbalordito perché avevo eseguito un arrangiamento de-gno del suo testo e della tensione della sua voce nel cantarlo. Aspettai con ansia l’uscitadel disco 45 giri (ero molto giovane) ma fui deluso. Del mio arrangiamento era rimastasolo l’introduzione. Per il resto si accompagnò con una chitarra o un pianoforte (non ri-cordo). Il mio lavoro fu giudicato dalla casa discografica e da Mimmo non commerciale.

Passò molto tempo prima di rincontrarci. I titoli di testa del film Uccellacci e uccellinidi Pier Paolo Pasolini fu l’occasione giusta. Li cantò Mimmo (testo di Pasolini e musicamia) e il risultato fu veramente buono per Pasolini, per Mimmo e per me. Era veramenteun’idea nuova, che è rimasta unica nel cinema italiano e, credo, mondiale.

Ma Nel blu dipinto di blu, quando l’ascoltai in televisione, mi sembrò un capolavoroche rompeva inaspettato gli schemi più logori della canzone italiana: una composizionedestinata a rimanere, un momento innovativo della nostra musica popolare. Non avevanulla di già ascoltato. La sua originalità e l’apparente semplicità rimarrà per sempre unapietra miliare nella nostra canzone.

ENNIO MORRICONE

Morricone: io, Mimmo

e l’Apocalisse

ORCHESTRINEQui accanto e a destrale “orchestrine”(cioè le partiture con testo,musica e accordi)di altri celebri successidi Modugno. La donnaritratta a destra è suamoglie Franca Gandolfi,alla quale Musettoera dedicata

Volare,

oh oh,

cantare,

oh oh oh oh

Nel blu

dipinto

di blu,

felice di stare

lassù

‘‘

Repubblica Nazionale

Page 16: Donne scienziato, l’altra metà del Nobel DOMENICA

«Dì ai tuoi compagni di Miami, e al tuo amico, che sarà un piacere.Io un comunista lo ammazzo anche gratis, ma per la carta verdedi residenza, sarei anche disposto a sotterrarlo». Un tempo, la ca-pitale della Florida era famosa per la faccia sfregiata di Tony Mon-tana-Al Pacino, protagonista di Scarfacedi Brian De Palma — perla Ferrari di Don Johnson (Miami Vice), lanciata su Ocean Drive,

per quella apologia della trasgressione — sesso, droga e superalcolici a fiumi — che ne fa-ceva la città americana maudit per eccellenza.

Negli ultimi anni, normalizzate le pulsioni revanchiste degli abitanti di Little Havana,silenziati gli squassi dei traffici illeciti e gli indici dipovertà (tra i peggiori degli States), Miami si è rita-gliata un angolo di paradiso, la sua spiaggia più a sud,dove le giornate cominciano a tavola e a tavola fini-scono, complice l’attitudine ai late dinner, mangiartardi. Una piccola, grande rivoluzione, per la strisciadi spiaggia&palme più celebrata da film e serial tv,spot pubblicitari e video musicali, cultori dell’ArtDeco e artisti in cerca di vetrina. Così, tra due setti-mane, qui turisti e appassionati si riverseranno perconoscere gli chef della cucina floribbean: mirabileincrocio di costa Atlantica e Caraibi, Sudamerica eMediterraneo.

Se le spiagge della California sono abitate da cor-pi fin troppo plastici e obesi smisurati, quelle diSouth Beach ospitano soprattutto anime rilassate.Al posto di snacks, pop, chips, drinks, superconditi,superdolci, supermaxi, da ingurgitare ovunque —correndo, pattinando, incontrando, sgambettando da un locale all’altro — si assiste altrionfo di frutta, spezie e crostacei, assaporati pigramente spalmati su sedie, panchine,lettini, erba, sabbia, mare. La Miami scattante, modaiola, adrenalinica esiste, resiste, manon impera. Così, a colazione, la rudezza delle uova al bacon viene mitigata dalla fre-schezza degli smoothies (frullati) di frutta esotica, il glorioso pane-burro-marmellata (dimango&guava) si sposa con centrifugati e spremute. Prima che sia sera, dalle spiagge del-la prima strada alle piscine dei mega-alberghi venticinque blocchi più a nord, i bagnantisi trasformano nel popolo degli aperitivi, il Martini di James Bond è corrotto dallo zenze-ro pestato come l’herba buena del Mojito, si sgranocchiano tostones e macadamia, ver-dure disidratate e zeste candite.

Di lì in poi, Miami apre le braccia ai golosi: tutto è possibile, in nome della fusione traculture gastronomiche. Le griglierie sono pronte a bruciacchiare bistecche e spiedini,peperoni (chili) e cristophines (le pere-zucchine della Martinica). Le chele degli stonecrabs, bollite, fritte, ridotte a polpetta, spopolano tra i clienti di tutte le età. Tutto è im-merso in un meravigliosogramelot di tradizioni alimentari: nella “Palm Tree Cuisine”, simiscelano i gamberi con il sesamo, il melone e il coriandolo, i funghi shiitake con la le-mon grass e la salsa di mais, le cappesante con la pancetta e il mango, la carne d’anatracon lo sherry e il pane affumicato.

Se non vi basta andate al negozio-museo dell’Art Deco e chiedete di Iris Chase, artista,musa e guida del “district” che annovera i più bei palazzi in stile dagli anni Trenta a oggi.Vi racconterà storie allegre e terribili legate ai suoi abitanti, da casa Casuarina — dove die-ci anni fa fu ucciso Gianni Versace, oggi trasformata in hotel da mille dollari a notte — al-le ville segrete di Matt Damon e Madonna. Chiusura in gloria con un conturbante Man-go Martini, sorseggiato a ritmo di salsa.

i saporiNuove cucine

Nella terra dove si incrociano le tradizioni alimentari della costaAtlantica, dei Caraibi, del Sudamerica e del Mediterraneo sono natipiatti che mescolano gusti e piaceri di culture diverse. E proprio qui,tra due settimane, gli chef della cucina battezzata “floribbean”si cimenteranno in una serie di prove d’autore tutte da assaggiare

L’APERITIVO

NIKKI BEACH1 Ocean Drive

Tel. (+1) 305-6731575

THE ROSE BAR(Delano Hotel)

1901 Collins AvenueTel. (+1) 305-6746400

SKYBAR(Shore Club Hotel)

1901 Collins Avenue Tel. (+1) 305-6953100

PEARL1 Ocean Drive

Tel. (+1) 305-6731575

LA CENA

OLA(Sanctuary Hotel)

1745 James Avenue South Beach

Tel. (+1)305-6959125Sempre aperto

menù da 50 euro

CHEF ALLEN’S19088 NE 29th Ave Aventura

Tel. (+1) 305-9352900Sempre aperto

menù da 50 euro

JOE’S STONE CRAB11 Washington Avenue Tel. (+1) 305-6730365

Sempre aperto menù da 40 euro

SUSHI SAMBA600 Lincoln Road

Tel. (+1) 305- 6735337Sempre aperto

menù da 35 euro

IL BRUNCH

NEWS CAFÈ800 Ocean Drive

Tel. (+1) 305-5386397Sempre aperto

colazione da 10 euro

FRONT PORCH1420 Ocean Drive

Tel. (+1) 305- 5318300Sempre aperto

colazione da 12 euro

AFTERGLO1200 Washington

AvenueTel. (+) 305-6951717

Sempre aperto brunchda 20 euro

ORIENTE(Cardozo Hotel)

1300 Ocean DriveTel. (+1) 305-5356500

Sempre apertocolazione da 10 euro

L’ALBERGO

TOWN HOUSE150 20th Street

Tel. (+1) 305-5343800Doppia da 180 eurocolazione inclusa

BLUE MOON944 Collins Avenue

Tel. (+1) 305-6732262Doppia da 75 eurocolazione inclusa

VILLA PARADISO1415 Collins Avenue

Tel. (+1) 305-5320616Doppia da 65 euro

ALBION HOTEL1650 James Ave

Tel. (+1) 305-9131000 Doppia da 80 eurocolazione inclusa

Newyorkese di talento, lo chefAllen Susser è tra i capostipitidella floribbean cuisine. Nel suo MangoMenù, si va dal Mango Martinialle costolette d’agnello con mangoe zenzero disidratati, fino alla crémebrulée di mango, noci e lavanda

LICIA GRANELLO

38 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 3 FEBBRAIO 2008

EdamameI fagioli di soia verdi sonouno snack molto popolarenella cucina cino-giapponeseI baccelli, tolte teste e coda,si massaggiano con saleTre minuti di lessatura, primadi servirli caldissimi. Si gustanosfilando i fagioli all’interno

TostonesLe banane verdi fritte (platanos

fritos) sono diffuse dal Congoall’America Latina. Tagliate a fettespesse, fritte, asciugate tra duefogli assorbenti, pressatecon le mani per dimezzarnel’altezza, vengono rifinite nell’oliobollente e spolverate di sale

Mojito splashIl più celebre dei cocktail cubaniviene declinato con spezie, erbe,frutta. Nel mix di rum bianco,zucchero di canna, lime, mentafresca, ghiaccio e soda, vengonotuffati (splash!) cubetti di frutta,cocco, zenzero grattugiato,succo di pesca, zeste di agrumi

fusionMiami

La grandeabbuffatameticcia

itinerari

Repubblica Nazionale

Page 17: Donne scienziato, l’altra metà del Nobel DOMENICA

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 39DOMENICA 3 FEBBRAIO 2008

Una quindicina d’anni fa, quando apriiper la prima volta il menù del più fa-moso ristorante cubano di Miami, il

“Versailles”, mi accorsi di due cose: scopriiche nonostante avessi vissuto a Cuba perdieci anni non sapevo nulla di cucina cuba-na, e scoprii che uno dei piatti si chiamavaElena Ruz, ma non aveva niente a che vede-re con il leader cubano, che, come è noto, sichiama Fidel Alejandro Castro Ruz ma daqueste parti non è ben visto.

Il “Versailles” è non soltanto la mecca del-l’esilio cubano, ma il centro politico dellacittà, luogo di passaggio di qualsiasi politicoche voglia arrivare alla Casa Bianca, ed è an-che una delle più spettacolari cucine cubaneda questo lato dello Stretto.

Una delle conseguenze della vita a Cuba,con il razionamento dei prodotti alimentari,la mancanza di prodotti e di rifornimenti —che colpisce in ugual misura cubani e stra-nieri — è che i segreti della cucina cubana,poco a poco, sono svaniti come per magia ein molti casi i suoi dettagli non vanno più inlà di un vago ricordo perso nella nebbia deltempo. Nella mia prima visita al “Versailles”di Miami, chiesi un sándwich cubano — unbuon panino riempito di prosciutto, carne dimaiale, due tipi di formaggio e cetriolini —non avevo la minima idea di quello che mi sa-rebbe arrivato in tavola: non solo il menù nonaveva una foto del piatto, ma all’Avana nonavevo mai sentito parlare di questo sándwi-chcubano. Accade lo stesso con i tanti cuba-ni che arrivano ogni giorno a Miami e le cuiabitudini alimentari, negli ultimi anni, nonsono andate più in là di riso con fagioli neri,patata dolce e poco altro.

Dal momento che sull’isola il pollo e gli al-tri ingredienti brillano per la loro assenza,appena si arriva a Miami si può mangiare unarrozcon pollo come Dio comanda, cioè contutti gli ingredienti: riso, pollo, fagioli, cetrio-li, cipolla, aglio, olive e peperoni. Tutto cuci-nato con olio d’oliva. O un ajiaco. Sapete checos’è un ajiaco? Io non lo sapevo fino a pochianni fa, e se ora lo so naturalmente è meritodel “Versailles”. È un miscuglio di vivande,carne di maiale e di manzo. Ci mettono ad-dirittura il tasajo (carne secca), che è, in pra-tica, carne di cavallo. La settimana scorsa,davanti a un buon piatto di ajiaco in una ca-sa cubana di Miami, un amico appena arri-vato mi ricordava che per come stanno le co-se sull’isola l’ajiaco è un “piatto sovversivo”.«Figurati, laggiù se trovi carne di manzo ti ar-restano, i cavalli non si possono ammazzaree la carne di maiale è carissima. E per il resto,semplicemente ti devi rivolgere al mercatonero. Questo è un piatto sovversivo, amico».

Sempre poco tempo fa, un altro amico cu-bano mi spiegava che l’ignoranza che c’è aCuba sulla vera cucina cubana ha una con-seguenza interessante a Miami. Molti, quan-do arrivano qui dall’isola, vanno nei risto-ranti e chiedono cibo cubano, credono chequelli che stanno mangiando siano piattitradizionali americani. Ci sono generazioniper le quali la fricassea di maiale, nonostan-te sia l’animale più importante della cucinacubana, potrebbe tranquillamente essereun piatto slavo.

Come dice lo scrittore e giornalista AndrésReynaldo, Miami ha permesso alla cucinacubana di ritrovarsi: «La cucina regionale si èfusa in un unico luogo. Qui convivono ricet-te tipiche dell’oriente di Cuba con altre dellaprovincia occidentale di Pinar del Río».

È per questo che imparare a cucinare encubano è quasi una materia di studio peradattarsi alla vita nel Sud della Florida. Dalconoscere nuovi ingredienti all’impararecome mescolarli nel tegame. Insegnare a cu-cinare alla cubana è addirittura diventato unbusiness, con l’apertura di scuole di cucina aMiami. C’è un mondo da imparare total-mente sconosciuto per quelli che arrivano.

Nelle librerie di Miami, anche in quelle diimportanti catene americane, è molto faciletrovare libri di cucina cubana che vanno viacome il pane. Il più popolare sembra Cocinaal minuto, della regina della cucina televisi-va cubana, Nitza Villapol, che cominciò a cu-cinare prima del 1959 e lo fece fino agli inizidegli anni Novanta, quando sull’isola ormainon c’era quasi più niente da cucinare.

La voglia di conoscere la cucina cubana ètalmente forte a Miami che a nessuno im-porta se la Villapol fosse o meno amica di Ca-stro, se ha vissuto tutta la vita sull’isola o seera comunista. Quello che importa è potersiaddentrare in un mondo completamentesconosciuto con lo stesso entusiasmo con ilquale Cristoforo Colombo cinquecento an-ni fa, sbarcò alle Bahamas.

L’autore è scrittore e giornalistadel “Miami Herald”

(Traduzione di Fabio Galimberti)

Così ho scopertole ricette di Cuba

RUI FERREIRA

MangoDolce, acidulo, polposo,il frutto culto della cucinafloribbean – Florida-Caribbean– attraversa la cucinadagli antipasti ai dessert,dalla colazione ai long drinkSi coltiva nel sud della Florida(nella Dade County)

WhiskeyLa “e” aggiunta nella paroladistingue il distillato in arrivo dall’IrlandaCaratteristiche: mancanza di “affumicato”nel gusto (malto asciugato in forni senza torba),almeno tre distillazioni successive, impattopiù morbido e mielato al palato

CevicheImportato dalla cucinaperuviana, è l’alter ego latino-americano del pesce crudoall’orientale. La marinaturanel lime di pesce bianco e fruttidi mare viene impreziositada un trito di cipolla, aglio, sale,peperoncino e coriandolo

GuacamoleDi matrice messicana – aguacate

(avocado), mole (salsa) – e servitocon chips di mais, è perfettocon gli aperitivi. L’avocado, pestatoinsieme a succo di lime, va lavoratocon pomodoro, semi di coriandolo,cipolla, aglio e peperoncinofinemente tritati

Juice shotI succhi di frutta fresca vannodall’immancabile aranciaai caraibici ananas, papaya, guava,mango, lime. La particolarità sta nell’offerta di piccoli bicchieri(shot) con frutti diversi, aromatizzaticon erbe e spezie. Correzionealcolica per l’aperitivo

Stone CrabIl granchio della Floridaè un must della cucina localeA essere utilizzate in zuppee fritture squisite sono le chele:asportate – una per ogni animale– tra metà ottobree metà maggio. La chelamancante ricresce in 18-24 mesi

Repubblica Nazionale

Page 18: Donne scienziato, l’altra metà del Nobel DOMENICA

le tendenzeFantasie di Carnevale

Tra due giorni è martedì grasso, ecco l’occasioneper indossare, magari soltanto per una notte,i fantasmagorici abiti proposti sulle passerelleMa per trasformarsi in una fata basta un dettagliovelato, una borsetta brillante e un po’ d’ironia

E in salotto spuntail comò Luigi XV,ma “rivisitato”

e corretto magaricon colori shock

40 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 3 FEBBRAIO 2008

Amato dai sognatori, dete-stato dai cinici e adoratodai bambini. Il sottile spa-zio di confine in cui la fan-tasia supera la realtà haproprio questa settimana

la sua celebrazione. È il Carnevale da fa-vola. Stilisti e designer, nella perenne lot-ta tra immaginazione e concretezza,hanno fatto la loro scelta e si sono schie-rati dalla parte della fiaba. Di più, la con-siderano una condizione dell’esistenza.L’unico aiuto per sopravvivere alla noiadel quotidiano. Il risultato? Sfilano inpasserella abiti che sembrano usciti dal-le pagine dei fratelli Grimm e si mostranodonne che indossano mise rubate dal-l’armadio di divine senza età come Bian-caneve o Cenerentola. Secondo la mi-gliore tradizione disneyana, spuntanocoroncine tra i capelli, pantofole di cri-stallo e cinture romantiche. E, poiché inogni favola che si rispetti ci sono anche lestreghe, ecco allora le scarpe a punta contanto di lacci per la perfida istitutrice inversione metropolitana, collane con piu-me nere e mantelli colore della pece.

Capita tra l’altro che ammirando la sfi-lata si frughi negli angoli bui della me-moria infantile. E cancellando qualchedecennio con un colpo di bacchetta ma-gica, si potrà, grazie ad una gonna in tul-le o una borsa gioiello, riassaporare l’e-mozione di travestirsi per affrontare ilCarnevale. Per le eterne bambine saràuna conferma. Per le “bamboccione”una rivincita. E ciascuna potrà finalmen-te mettere a nudo la sua anima: princi-pessa o strega?

Gli accessori alimentano il sogno fata-to. I nuovi occhiali da sole ricordanoquelli delle eroine dei fumetti: via per

sempre le classiche montature in tarta-ruga o metallo, ora la stanghetta è rosaconfetto e giallo sole. Le scarpe, magariun po’ scomode per districarsi sul pavécittadino, farebbero però crepare d’invi-dia le “sorellastre” di Cenerentola. Per igioielli è il momento della rivoluzione.Spille e collane hanno abbandonato leforme tradizionali per trasformarsi in ra-nocchi tempestati di diamanti e anelliche potrebbe regalare solo un principeazzurro dal gusto spregiudicato.

Favola e dimensione onirica rivoluzio-nano anche gli arredi di salotto e camerada letto. La casa si trasforma in un palco-

scenico, non immune da un certo kitschrivisitato e corretto. È il momento dellepoltrone in velluto e bordature dorate instile Luigi XV, forse più adatte a un castel-lo che a un monolocale, dei lampadaripreziosi in cristallo e dei comodini pan-ciuti. Queste almeno sono le novità ap-parse, negli ultimi mesi, nelle vetrine deinegozi di tendenza di New York, Parigi eLondra. E che hanno fatto furore tra le fie-re dello chic, da 100% Londra a Miami Ba-sel. Qualcosa del genere già si era visto alSalone del mobile di Milano dello scorsoanno e i cacciatori di tendenze s’interro-gano su cosa succederà nell’edizione2008. Star come Marcel Wanders e Maar-ten Bass si divertono a rompere gli sche-mi. Molti li imitano, parecchi li rielabora-no in formule soft. L’idea suggerita daidesigner è che anche un normale appar-tamento può “far sognare” con l’aggiun-ta di un qualcosa che superi la realtà e citrasmetta quella sensazione di eterno as-surdo che abbiamo respirato nei libri perbambini. Quei volumi che, inevitabil-mente, cominciavano con: «C’era unavolta…».

FavolaCome

in una

Streghe, regine e diavolessesfida alla noia quotidiana

IRENE MARIA SCALISE

MOULIN ROUGEÈ in pelle dorata

la stravagante calzaturaproposta da PradaSembra pensataper le ballerine

del Moulin Rouge

CRUDELIA DEMONPiù che una donna è una strega

quella che ha fatto sfilare Jean Paul GaultierLo stilista, stravagante e ironico, ha proposto

un abito supersexy alla Crudelia Demon

NUOVI PETER PANL’abito in raso di Agatha

Ruiz de La Pradavive del contrasto

tra l’arancio e il verdee ricorda la tenuta

di Peter Pan

ECCO POCAHONTASÈ una lussuosa squaw

una principessa esoticaquella di Antonio Marrasper Kenzo. Abito rossofuoco e boa di piumeEffetto Pocahontas

ALICE NELLA CITTÀÈ dolce e ingenuo

il completino propostoda Twin set, la linea

disegnata da SimonaBarbieri. Per una novella

Alice metropolitana

STAMPE DELLE MERAVIGLIEÈ di Fornarina l’abito

con stampe dell'artistaMijn Schatje ispirate

al tema di Alice nel paesedelle meraviglie. Per chivuole indossare la fiaba

MAL D’AFRICAStravagante borsa

ispirata all’etnia africanandebele, ha il manico

rivestito di pelle stampacocco e chiusura

a scatto. Just Cavalli

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 41DOMENICA 3 FEBBRAIO 2008

In fondo il vero Carnevale è quellodella moda: le sfilate che vediamo altelegiornale, specie quelle di hautecouture, dove tutto sembra possibi-le, le soluzioni più ardite, i giochi diprestigio e di bravura, le donne spes-

so abbigliate in modo estremo: nessunadonna normale si vestirebbe, si trucche-rebbe, si pettinerebbe così. Si sa: sono le co-siddette «gag da passerella» inventate percatturare l’occhio, per avere la copertina suisettimanali, per finire nei titoli e fare notiziasui giornali: poi lo stilista consolida la suafortuna vendendo l’assennato tailleur, gliocchiali da sole, il profumo, e tutte quellepiume, i lustrini, i sederi imbottiti, le tra-sparenze da infarto, gli ex voto ricamati sulpetto, gli abiti da Maria Antonietta al ballo,quelli da sciantosa, o da Jessica Rabbit, o dasignora anni Trenta in crociera finiscononel dimenticatoio. Maschere, travestimen-ti di un caleidoscopio da sogno.

La tendenza femminile è proprio l’oppo-sto, per lo meno questo accade alle donneche non si sentono bellissime e dunque ab-bastanza sicure di sé per esporsi agli ecces-si e rischiare il ridicolo, che è sempre in ag-guato, basta sbagliare un accessorio, unostivale, una sciarpa. È una tendenza al

risma che promanava dalla loro persona-lità in dosi massicce, non occorreva ricorre-re a travestimenti di sorta. Erano fedeli a sestesse, immediatamente riconoscibili.Certo: è una maschera, indubbiamente, ilroco fascino androgino di una MarleneDietrich, i suoi tailleur pantaloni, le sue ca-micie bianche, i cappelli maschili. È unamaschera il tubino di Audrey Hepburn, ilsuo filo di perle, i guanti lunghi, l’aureolabon ton. Ed è una maschera il pantalone al-la pescatora e il due pezzi a quadrettini Vi-chy di Brigitte Bardot. Il problema è che og-gi le donne non guardano più alle star e alledive entrate a pieno titolo nel pantheon del-la memoria collettiva, ma preferisconostrafare livellandosi verso il basso, mirandoalla trasgressione modello sciatteria piut-tosto che all’imitazione della classe.

In fondo mascherarsi altro non è chemettere a nudo le proprie aspirazioni, più omeno segrete. Fingere di essere ciò che nonsi è, nel tentativo di sfuggire a una realtà ten-denzialmente poco gratificante. Ma il car-nevale — non solo quello sulle passerelle —dura tutto l’anno, e l’ansia di volere sem-brare ciò che non si è, o non si è potuto es-sere, può diventare logorante se moltipli-cata per 365 giorni.

ISPIRAZIONE COCTEAUÈ un abito da vera principessa quello ideatoda John Galliano per la celebrazione della nascitadella maison Dior. Questo è ispirato ai disegnidell’artista francese Jean Cocteau

ANCIEN REGIMESontuoso abito da dama

del Settecentocon gonna in più strati

e base di tulle neroÈ una creazione

di Dolce & Gabbana

SENZA TIMIDEZZEEcco la damina versione

Moschino: abitolonguette, balze ampie

e tessuto preziosoSe non si è timide puòrisolvere la giornata

SPILLA DA BALIAPreziosa borsa da seraper Hugo Boss dal fondonero con grandi fioribianchi. Originalela forma del manico:ricorda una spilla da balia

BELLA BELINDASi chiama Bella Belindaed è una maxi campanadi porcellana serigrafata

ideata dal designerMarcel Wanders

per Wanders studio

EFFETTO ISTITUTRICEScarpa stringata

da istitutrice cattivissimama molto attenta

alle tendenze della modaBicolore con tacco sottileè proposta da Paul Smith

QUASI PRINCIPEÈ in pelle stampa cocco

nero, verde e rossola borsa di Braccialinia forma di ranocchio

Perfetta per chi è in cercadel principe azzurro

ROMANTICISMOSexy e romanticala culotte in tulle di BaciRubati bordata di rasocon fiocco lateraleÈ adatta sotto una gonnaampia e magari a strati

CHIOME MAGICHEPer tenere in ordine

i capelli senza perderela magia c’è il cerchietto

di Chanel. È in pietrenere, metallo e resina

Donerà proprio a tutte

Che fatica vivere in maschera!La donna si dipinge di grigio

LAURA LAURENZI

conformismo assoluto, a scomparire piùche ad apparire, a vestirsi di scuro e unifor-marsi, in una divisa che non ti obblighi aspiegazioni.

Spesso ci si veste in modo noioso e ripeti-tivo per non fare fatica. Certo: anche per nonspendere, per non essere schiavi del nostroarmadio, per non andare troppo dietro aglistilisti-tiranni, soprattutto quelli che ridico-lizzano la donna a loro insindacato capric-cio. In una parola: per non ricadere nell’uni-verso antipatico e volubile delle fashion vic-tims, le signore da compatire che fanno ungiro con ogni maschera proposta in passe-rella e non sanno cosa sia il senso critico.

Nel momento in cui tutto è lecito, ognibizzarria è ammessa, ogni stravaganza è in-coraggiata e promossa, diventa consolantee rassicurante fare un passo indietro e veni-re a patti con lo specchio, abbigliarsi cioècon buon senso e buon gusto piuttosto cheper recitare una parte in commedia. Se il«semel in anno» si estende a tutto l’anno —tutto l’anno con i vestiti più strani, tuttol’anno in maschera o quasi, tutto l’annosenza tema di ridicolo — allora tanto valescegliere in controtendenza la via dell’au-sterità, anche se è martedì grasso e diluvia-no coriandoli.

Il burlesque lasciamolo a Dita Von Teese,

l’ex moglie del cantante horror-trans Ma-rilyn Manson, che quest’anno è addirittural’ospite d’onore al ballo dell’Opera di Vien-na, insieme alle debuttanti in crinoline. Sia-mo circondati da persone e personaggi inmaschera. Basta accendere la televisione osfogliare i settimanali illustrati, anche (anzisoprattutto) quelli per famiglie. Per farsisentire ormai bisogna gridare, per farsi no-tare bisogna vestirsi e pettinarsi in modobaraccone, vedi le tante soubrette in servi-zio permanente effettivo e stress da ricre-scita, da extension, da trucco colato, da li-posuzione, da stiletto che non regge più.

Un tempo le grandi dive avevano un ca-

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42 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 3 FEBBRAIO 2008

l’incontro

‘‘

‘‘Estri creativi

KÜSTENDORF (Serbia)

Ad un incontro con EmirKusturica si approda do-po un viaggio peculiare,scandito da paesaggi e

volti che paiono ritagliati dal suo cinemafantastico, riflesso in film pirotecnici eintensamente balcanici come Il tempodei gitani, Underground e Gatto nero,gattobianco. Dall’aeroporto di Belgradoil visitatore è immesso in un camioncinopolveroso, il cui autista dai tratti zingariparla soltanto il serbo. Mette la musica aun volume altissimo e guidando chiac-chiera al cellulare. Offre cinque ore dicorsa da brivido tra i tornanti dei montiinnevati della Serbia, su una statale condissesti e minacce di valanghe. Può ral-lentare per favore? La domanda cade nelvuoto, lui non capisce o finge di non ca-pire. Telefona ancora, compie l’ennesi-mo sorpasso folle, si ferma per divorareun piatto di peperoni all’aglio serviti daun cameriere con sigaretta ciondolantetra le labbra.

È quasi sera quando si raggiunge fi-nalmente il borgo di Küstendorf, svet-tante come un miraggio su una collinacircondata da montagne mozzafiato. Lasua magia abbaglia a distanza grazie aun’enorme luna finta (relitto di un set diKusturica) che spande la sua luce candi-da sulle case di questo paesino artificia-le il cui nome, in tedesco, significa “vil-laggio sulla costa” (ma potrebbe ancheriferirsi al cognome del regista, nel sen-so di “Kustu-villaggio”). Un po’ eremomonastico-rockettaro un po’ comunepost-hippy, è stato inventato e letteral-mente edificato qualche anno fa da Ku-sturica a pochi chilometri dal confinecon la Bosnia. Lo compongono cottagedi foggia antica e fiabesca, con tetti dallelunghe tegole di legno, e sono lignei an-che gli interni caldi e curatissimi. In piùci sono una chiesetta cristiano-ortodos-sa, una galleria d’arte, un negozio etni-co, una biblioteca, un caffè gaio e fumo-so, ristoranti bio e due sale di proiezione

di cui una trasformabile in sala da con-certo, dove di notte furoreggia il rock,tassello irrinunciabile del travolgentecosmo di Kusturica, che gira il mondocome musicista con il suo gruppo post-punk No Smoking. Tra i giovani registi egli studenti di cinema che s’incrocianoper le strade di Küstendorf, intitolate aeroi quali Fellini e Bruce Lee, capitad’imbattersi nello scrittore austriacoPeter Handke, coinvolto nella giuria delfestival di cortometraggi svoltosi in que-sta cittadella d’arte a fine gennaio, e nelregista Nikita Michalkov, al quale il festi-val voluto da Kusturica ha dedicato unaretrospettiva.

«Ho scoperto questa zona chiamataMokra Gora, cioè “collina bagnata”,mentre giravo La vita è un miracolo»,racconta il regista col suo faccionesgualcito e imbronciato. «Chiesi comemai quest’area ricca di natura stupefa-cente non fosse popolata. Mi dissero cheè troppo ventosa e colpita dai fulmini.Così ho pensato di farci un posto per mee la mia famiglia. Poi mi è venuta vogliadi andare per vecchi villaggi e trovare an-tiche case con cui erigere questa città instile medioevale serbo, votata al produr-re e diffondere cultura. Qualcosa il cuiprofitto non dà soldi a nessuno, ma èconvogliato in eventi culturali». Per il fe-stival spiega di essersi quasi completa-mente autofinanziato («abbiamo rice-vuto solo qualche piccola sovvenzionedal governo») con le proprie attività, dalrock ai corsi di cinema: «Se si guadagnadenaro dai film e dalla musica bisognafarlo circolare per nutrire la cultura.Niente di meglio che riunire gente pron-ta a scambiarsi energia e a dare vita a unambiente che segua le regole dell’ecolo-gia e dell’arte». Riferisce che forme e pro-porzioni, nel villaggio, non derivano daprefissate norme architettoniche, «mada me soltanto. Però io sono un regista,non un architetto. Per questo Küsten-dorf è un buon posto. L’architetturaodierna pensa solo a stabilire collega-menti standardizzati tra le case. Io inve-ce ho voluto rapporti a misura d’uomo,concretizzando quella che pareva un’u-topia. Sono un idealista, orgoglioso di af-fermarlo in quest’epoca che associa l’i-dealismo all’imbecillità».

Emir Kusturica parla accomodato suldivano della sua casa, la più spaziosa delborgo. Una baita ordinata, con la chitar-ra elettrica poggiata in un angolo, moltilibri negli scaffali e un arredamento ri-goroso e minimale. S’aggirano lievi duedonne bellissime, sua moglie Maja e suafiglia Dunja (ha anche un figlio maschio,Stribor, con cui dice di avere «un rap-porto metafisico: ci picchiamo per amo-re, e anche se lui è più giovane e alto dime, io vinco sempre»). Forse tanta ar-monia mira a placare e a contenere l’e-nergia debordante del padrone di casa,provocatore, megalomane e sempreagitato: «Ho una natura dinamica. Fare

conseguenze le caratteristiche del cal-cio. Ho strutturato il documentario, in-titolato I sette peccati di un dio, in settecapitoli, ciascuno dedicato a uno dei set-te giocatori che Maradona dribblò du-rante la partita dei Mondiali in cui l’Ar-gentina sconfisse l’Inghilterra, nell’86».

Inoltre, stimolato dalla Solares Fon-dazione delle Arti di Parma, di cui è pre-sidente onorario (la fondazione ha co-prodotto tra l’altro il suo documentarioSuper 8 Stories e distribuisce in Italia iconcerti del gruppo No Smoking), Ku-sturica monterà opere liriche in qualchenostro importante teatro, ma non vuoldire quale: «Nel 2013, per il bicentenariodella nascita di Verdi, farò qualcosa dispeciale per il pubblico italiano. Mi pia-ce il potente senso della vita delle operedi Verdi, tra le quali prediligo Rigoletto.Amo l’idea di mettere in scena immagi-ni accompagnate dal canto. Nella liricatutto è spassosamente astratto. In cine-ma, per rappresentare qualcuno che sisuicida impiccandosi, bisogna creargliattorno una situazione credibile, men-tre nell’opera basta far calare una cordasulla scena».

Il suo ciclone di attivismo include laproduzione del biologico: succhi di frut-ta, yogurt, miele, brandy. Le etichette subarattoli e bottiglie riproducono il ritrat-to di Emir insieme a quello del Che Gue-vara: «La Biorevolution, questo è il nomedel mio programma, impone il criteriodella qualità contro la quantità. In moltihanno provato a fare succhi buoni manessuno è paragonabile ai nostri, per-ché si guadagna tanto di più se si riducela frutta e si aumenta lo zucchero, che in-vece è bandito dai miei. Il miglioramen-to della vita parte da queste scelte ele-mentari, frammenti della rivoluzioneche potrebbe salvare il pianeta. In un se-colo abbiamo distrutto il nostro mondopiù di quanto non sia accaduto negli ul-timi due milioni di anni».

È frastornante e politicamente inde-cifrabile il flusso di riflessioni di questoselvatico ragazzone con scarpe da mon-tanaro, giacche da camionista, capelliarruffati e occhi perennemente stanchi,nato nel ‘54 a Sarajevo da una famiglia diorigini bosniache e musulmane, e capa-ce di proclamarsi «laico e jugoslavo».Quando Underground vinse a Cannesprovocò polemiche sanguinose la suacongenita mancanza di correttezza po-litica. I bosniaci lo accusarono di avertradito le sue radici e di aver dato voce al-la mitologia espansionista serba. Lui in-siste nel professare la sua idea di pace,parla di Jugoslavia e non di Serbia e la-menta le contraddizioni della sua terra:«Mentre l’Europa si univa, noi ci siamofrantumati a causa dei riconoscimentifatti dall’Unione europea riguardo a sta-ti che si dichiaravano indipendenti».Lontano dalla politica è il nuovo film chesta scrivendo, «piccola parabola vec-chio stile che racconta le vicissitudini di

solo una cosa alla volta mi annoia. Com-bino, produco, suono, creo installazio-ni artistiche, giro video e film. Ho uncontapassi. Sa quanti ne faccio al gior-no? Almeno novemila. Sento il bisognodi fare più lavori contemporaneamen-te, devo vivere su due o tre livelli». Lo te-stimoniano anche i suoi film voluttuosie caotici, di libertà quasi insostenibile,sospinti da languori di violini e trambu-sti di fanfare, «per i quali non ho mai vo-glia di concepire un’unica trama, mapenso a due o tre piani di racconto si-multanei».

Al momento le imprese che ha in fat-tura sono un video sulla sua coloratissi-ma opera musicale («una punk-opera»cantata in lingua zigana che debuttò nelgiugno scorso a Parigi) tratta dal suo filmIl tempo dei gitani, e un documentariosu Maradona, «un mago, un mito, l’ulti-mo grande calciatore. Oggi ci sono varigiocatori interessanti, però nessuno haraggiunto i livelli di quest’individuoipnotico, controverso e politicamentescorretto, che ha portato alle estreme

un uomo il quale salva una città, in cuipiove da tempo immemorabile, grazie auna macchina per fermare le alluvioni.Poi arriva la siccità e la gente del posto,che prima lo adorava, prende a contra-starlo». Vagheggia anche un ritratto ci-nematografico «del rivoluzionario Pan-cho Villa. Avrà capito che mi piaccionole rivoluzioni».

Intanto è appena uscito con successoin Francia il suo ultimo film, Promise methis, che vedremo quest’anno anche inItalia: «È la storia di un giovane contadi-no mandato dal nonno in città per ven-dere la mucca, comprare un’icona eprender moglie. Ma la ragazza di cui s’in-namora è nelle mire di un tipaccio chevorrebbe farla prostituire, il che compli-ca le cose. Poi tutto finisce al meglio, alcontrario di quanto avviene nel cinemadi oggi, in cui è raro che il bene prevalgasul male. Siccome il mondo è cattivo si fatrionfare sullo schermo la parte scura.Eppure è ridicolo e anche noioso che ifilm assumano la realtà così com’è. Unpo’ come dirci e mostrarci che l’acqua èbagnata! Il cinema è tanto più grande diquesto, e a me piacciono le commediesemplici e buffe che decretano la vittoriadella bontà tra humour e paradossi, al dilà del cosiddetto equilibrio. Cercarlo, nelmio cinema, è come voler distinguerel’anima dal corpo: impossibile».

Sostiene di appartenere in pieno, co-me cineasta, «all’era del punk e della di-struzione dei valori classici. Il cinemaeuropeo, specialmente il neorealismoitaliano e il realismo poetico francese,sono le basi del mio linguaggio. Ad esses’è aggiunto il rock come vivida reazionepolitica». Ancor più che a Fellini, spessoevocato come riferimento dei suoi film,confessa di essere in debito con Viscon-ti: «Ammiro la sua eleganza e ho comin-ciato imitandolo. Il che non vuol dire chegli somigli. Sono lontano mille miglia daBergman, eppure anche da lui ho impa-rato molto». Dice che è il cinema a sal-vargli ogni giorno la vita: «Tira fuori ilmeglio di me, protegge le mie debolez-ze, esprime la mia ansia di perfezioni-smo, celebra la verità della finzione».

Il cinema tira fuoriil meglio di me,proteggele mie debolezze,esprime la mia ansiadi perfezionismo,celebra la veritàdella finzione

Appollaiato in un eremo monastico-rockettaro sulle montagne serbeinventato e costruito da lui stesso,il regista di “Underground” e “Gattonero gatto bianco” è inarrestabile

“Ho una naturadinamica”, dice di sé,“combino, produco,suono, giro video e film”Tra una pellicolain uscita, una lineadi alimenti biologicie un documentario

su Maradona annuncia “qualcosadi speciale per il pubblico italiano”nel 2013, bicentenario verdiano

LEONETTA BENTIVOGLIO

Emir Kusturica

Repubblica Nazionale


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