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Cecil Beaton

“Cerca di osare, essere differente e, soprattutto, di non essere mai

pratico. Lotta contro ciò che è ordinario. Le routine avranno

anche i loro fini, ma sono anche le nemiche assolute della grande

arte”

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Cecil Beaton (1904-1980), artista inglese, maestro nella ritrattistica e nella fotografia di moda, ha sentito il suo tempo ed è stato molto soggettivo. Si forma in Inghilterra fra gli anni ’20 e ’30, periodo in cui si sviluppa il surrealismo ( ricordiamo che il primo manifesto del movimento artistico è di Breton e risale al 1924).

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Egli fu un vero talento impegnato nella arti più diverse oltre che nella fotografia: pittore, illustratore, scrittore, costumista e scenografo, ha creato anche veri e propri allestimenti scenici per produzioni teatrali; un interesse che si rispecchia anche nei suoi scatti.

Rivela una straordinaria freschezza nella scelta delle pose e nell’uso di materiali nuovi per creare ambientazioni e per dare risalto al carattere del soggetto. Sicuramente riuscì a vivere all’altezza delle sue stesse affermazioni, una volta scrisse che bisognava essere: <<Audaci, diversi, assolutamente non pratici, e asserire l’integrità dell’intenzione e dell’immaginazione contro coloro che si muovevano al sicuro, le creature dei luoghi comuni, gli schiavi dell’ordinario>>. Fu proprio questa ambizione e questo sguardo eccentrico che riuscì a produrre un vasto corpo di lavori fotografici molto originali, in una carriera di oltre cinquant’anni.

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L'interesse di Cecil Beaton per la fotografia emerge già negli anni della sua infanzia, quando, sotto la guida della sua bambinaia, che si dedica a quest'arte per diletto, incomincia a fotografare la sorella.

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Fin dall'inizio mostra una predilezione per il ritratto artistico e stilizzato, traendo ispirazione da maestri come il barone de Meyer ed Edward Steichen. Beaton fa esperimenti per riflettere la luce: realizza sfondi complessi con materiali d'effetto - specchi o fogli di cellophane - davanti ai quali fa posare i familiari in abiti eleganti.

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             Cecil Beaton, La marchesa di Casa Maury, 1928.

Del periodo che parte dagli anni ‘20, sono alcuni bellissimi scatti con donne che incarnano lo stile liberty con cascate di gioielli e abiti affascinanti e luccicanti. Le sue immagini sono sempre ricche di un’atmosfera molto particolare che avvolge i personaggi e che diventa caratteristica peculiare del suo stile.Immortala col suo obiettivo quella generazione di giovani eleganti della buona società che saranno i suoi temi ricorrenti. Uno snobista spregiudicato, capace di cogliere perfettamente l'eccentricità dei personalissimi ritratti, ottenendo fin da subito una critica molto favorevole.

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IL SURREALISMOLa nascita della psicologia moderna, grazie a Freud, ha fornito molte suggestioni alla produzione artistica della prima metà del Novecento. Soprattutto nei paesi dell’Europa centro settentrionale, le correnti pre-espressionistiche e espressionistiche hanno ampiamente utilizzato il concetto di inconscio per far emergere alcune delle caratteristiche più profonde dell’animo umano, di solito mascherate dall’ipocrisia della società borghese del tempo.Sempre da Freud, i pittori, che dettero vita al Surrealismo, presero un altro elemento che diede loro la possibilità di scandagliare e far emergere l’inconscio: il sogno.Il sogno è quella produzione psichica che ha luogo durante il sonno ed è caratterizzata da immagini, percezioni, emozioni che si svolgono in maniera irreale o illogica. O, per meglio dire, possono essere svincolate dalla normale catena logica degli eventi reali, mostrando situazioni che, in genere, nella realtà sono impossibili a verificarsi. Il primo studio sistematico sull’argomento risale al 1900, quando Freud pubblicò : «L’interpretazione dei sogni». Secondo lo studioso il sogno è la «via regia verso la scoperta dell’inconscio». Nel sonno, infatti, viene meno il controllo della coscienza sui pensieri dell’uomo e può quindi liberamente emergere il suo inconscio, travestendosi in immagini di tipo simbolico. La funzione interpretativa è necessaria per capire il messaggio che proviene dall’inconscio, in termini di desideri, pulsioni o malesseri e disagi.

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Il sogno propone soprattutto immagini: si svolge, quindi, secondo un linguaggio analogico. Di qui, spesso, la sua difficoltà ad essere tradotto in parole, ossia in un linguaggio logico. La produzione figurativa può, dunque, risultare più immediata per la rappresentazione diretta ed immediata del sogno. E da qui, nacque la teoria del Surrealismo.Il Surrealismo, come movimento artistico, nacque nel 1924. Alla sua nascita contribuirono in maniera determinante sia il Dadaismo sia la pittura Metafisica. Teorico del gruppo fu soprattutto lo scrittore André Breton. Fu egli, nel 1924, a redigere il Manifesto del Surrealismo. Egli mosse da Freud, per chiedersi come mai sul sogno, che rappresenta molta dell’attività di pensiero dell’uomo, visto che trascorriamo buona parte della nostra vita a dormire, ci si sia interessati così poco. Secondo Breton, bisogna cercare il modo di giungere ad una realtà superiore (appunto una surrealtà), in cui conciliare i due momenti fondamentali del pensiero umano: quello della veglia e quello del sogno.Il Surrealismo è dunque il processo mediante il quale si giunge a questa surrealtà. Sempre Breton così definisce il Surrealismo:«Automatismo psichico puro col quale ci si propone di esprimere, sia verbalmente, sia per iscritto, sia in qualsiasi altro modo, il funzionamento reale del pensiero. Dettato dal pensiero, in assenza di qualsiasi controllo esercitato dalla ragione, al di fuori di ogni preoccupazione estetica o morale».L’automatismo psichico significa quindi liberare la mente dai freni inibitori, razionali, morali, eccetera, così che il pensiero è libero di vagare secondo libere associazioni di immagini e di idee. In tal modo si riesce a portare in superficie quell’inconscio che altrimenti appare solo nel sogno.Al Surrealismo aderirono diversi pittori europei, tra i quali Max Ernst, Juan Mirò, René Magritte e Salvador Dalì.

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Il sogno:oltre la vita 

Reale è ciò che tocchiamo, ciò che vediamo, ciò che in qualche modo è tangibile nella razionalità umana. Ma avete mai sognato, avete mai creduto di cadere in un fossato o di volare?Una realtà diversa, il sogno, che in qualche modo ci fa vivere sensazioni, emozioni forti e vere quanto è vera l’esistenza del nostro corpo, che nel sonno sente il tatto, le musiche e le voci, i sapori amari e quegli dolci, che vede i colori e gli spazi senza mura né confini.Il sogno svela la vita dei sensi, oltre l’umana realtà dei nostri occhi, oltre la vita del corpo, la vita dello spirito.

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Osservando quest’immagine viene in mente l’idea dell’arte come una sorta di specchio della vita, di quella vissuta, o di quella che si sogna o si vorrebbe vivere (come asseriscono le avanguardie). Metaforicamente il sogno è assimilabile ad un o “specchio della vita”, soprattutto se consideriamo la nostra voglia razionale di conoscerci o riconoscerci, sin dall’infanzia, nell’immagine nostra generata dallo specchio. L’uomo deve constatare se ciò che vede nello specchio è gradevole per se e se, allo stesso tempo, e in una sorta di conflittualità latente, tale corpo , aspetto, corrispondano alle aspettative altrui, se è in linea con la convinzione dominante della bellezza, non certamente interiore.

L’immagine fotografica, il cinema, il video, il web, non sono altro che “specchi”: ma, mentre nel cinema è possibile proiettare tutto , c’è una cosa che non vi si riflette mai e cioè il corpo dello spettatore. Questo specchiarsi del corpo è, per Lacan, un punto fondamentale perché è proprio in quel momento che l’uomo prende coscienza della concretezza del proprio corpo tramite la sua proiezione dell’immagine nello specchio.

La fotografia invece è un mezzo iperreale, ossia più vero del vero; come dice Brassai “” il surrealismo delle mie immagini non è altro che il reale reso fantastico dalla visione. Cercavo solo di esprimere la realtà, in quanto niente è più surreale

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Pur non essendo mai stato considerato come un fotografo altamente specializzato nella tecnica, si è distinto per l'impostazione della scena e per la tempestività nello scegliere il momento più adatto allo scatto; utilizza anche una serie di trucchi e l'accusa di artificio mossa dai critici alla sua fotografia non è proprio ingiustificata. D'altronde negli anni venti, negli studi fotografici di tutto il mondo, per la realizzazione dei ritratti, si fa largo uso di sfondi dipinti, di effetti di luce e del fotoritocco.La sua prima mostra fotografica, allestita in una galleria poco conosciuta di Londra nel 1926, riscuote un grande successo che gli vale un contratto con la rivista «Vogue» per la quale, oltre che per "Harper's Bazaar", continua a lavorare come fotografo di moda fino alla metà degli anni '5o. Negli anni '30, a Hollywood, ritrae le dive dei cinema negli ambienti di sapore surreale creati con quinte inutilizzate.

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In questi allestimenti, il fotografo inglese pone l'accento non tanto sulla persona o sull'abbigliamento, quanto sui valori estetici dell'atmosfera compositiva rivelando in ciò la sua seconda vocazione: quella di scenografo e di costumista che svilupperà appieno dal 1940 al 1970.

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La tensione compositiva dell’inquadratura, l’equilibrio delle forme, l’attenzione per le linee e i volumi, il piacere barocco dell’allestimento scenico sono elementi che in alcuni casi raggiungono livelli di perfezione quasi inquietanti.

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Nel 1937 viene nominato fotografo di corte dalla famiglia reale

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Durante la seconda guerra mondiale lavora come fotografo di guerra per il Ministero dell'Informazione britannico. Le esperienze di questi anni modificano lo stile dei suoi ritratti, che, nel dopoguerra, da ricercato e prezioso si fa più diretto e chiaro.

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Si dedica anche a disegnare costumi e scenografie per la televisione e per il cinema: nel 1956, a New York, realizza il suo primo lavoro per Harper's Bazaar, l'anno successivo vince l'Oscar per le scene e i costumi di Gigi. Nel 1964 vince un secondo Oscar per le scene e i costumi di My Fair Lady. Nel 1968 le sue foto vengono esposte alla National Portrait Gallery.Ricordiamo tra i personaggi fotografati da Beaton Gary Cooper, Marlon Brando, Audrey Hepburn, Marlyn Monroe, quest’ultima descritta come “una dea della fragilità umana”. E’ un fotografo capace di cogliere con intelligenza le tendenze delle avanguardie del novecento, coniugandole con un’impostazione stilistica che potremmo definire elitaria.

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                   Cecil Beaton, Marilyn Monroe.

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Cecil Beaton, Marlene Dietrich, 1935.

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 Cecil Beaton, Audrey Hepburn, 1954

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Mick Jagger, 1968

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Fotografo, diarista, caricaturista, illustratore, scenografo e costumista, Cecil Beaton sicuramente riuscì a vivere all'altezza delle sue stesse affermazioni. Una volta scrisse che bisognava essere "audaci, diversi, assolutamente non pratici, e asserire l'integrità dell'intenzione e dell'immaginazione contro coloro che si muovevano al sicuro, le creature dei luoghi comuni, gli schiavi dell'ordinario". Fu proprio questa ambizione e questo sguardo eccentrico che riusci' a produrre un vasto corpus di lavori fotografici molto originali. È stato un autore controverso, attratto dagli ambienti alternativi degli artisti europei del primi decenni del XX secolo, ma anche ossessionato dallo stucchevole mondo dell’aristocrazia del suo paese, grande talento visivo e uomo di cultura aperto ad ogni forma d’espressione, ogni suo lavoro è un sofisticato esercizio di stile.Consapevole dell’impossibilità di vivere all’interno di un mondo armonico e perfetto, cerca di conciliare la propria ricerca estetica con le teorie che aveva promulgato in gioventù: “un artista è interessante quando ha una personalità forte a sufficienza per essere scandaloso, ma riesce nello stesso tempo ad essere accettato dagli elementi più conservatori della società”.

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Cecil Beaton ha saputo celebrare il fascino della vacuità e al tempo stesso condannarne l’inevitabile fallacia. Ha immortalato gli ideali di bellezza eterna in fotografie e costumi raffinatissimi, ma, in ogni momento della propria esistenza, ha intuito di vivere all’interno di una splendida illusione, che nella migliore delle ipotesi, riusciva ad abbellire con il suo grande talento poliedrico.

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Nel 1972 viene nominato cavaliere e due anni dopo è colpito da un ictus che gli provoca paralisi del lato destro. Impara a scrivere e a disegnare con la mano sinistra e adatta anche la macchina fotografica, ma si sente comunque profondamente frustrato dalle limitazioni fisiche. Nel gennaio del 1980 muore a Reddish House, la sua casa a Broad Chalke nel Wiltshire all’età di 76 anni.

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A CURA DI:

Roberta Enza Protomartire

Storia della Fotografia


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