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POLITECNICO DI TORINO Corso di Laurea in Ingegneria per l’Ambiente e il Territorio ECONOMIA APPLICATA ALL’INGEGNERIA APPUNTI DELLE LEZIONI Prof. V. Badino Ing. G. A. Blengini Edizione Febbraio 2005 A.A. 2004/2005

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Dispense del corso di economia applicata all'ingegneria

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Page 1: Dispense Eai

POLITECNICO DI TORINO Corso di Laurea in

Ingegneria per l’Ambiente e il Territorio

ECONOMIA APPLICATA

ALL’INGEGNERIA

APPUNTI DELLE LEZIONI

Prof. V. Badino Ing. G. A. Blengini

Edizione Febbraio 2005 A.A. 2004/2005

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Economia Applicata all’Ingegneria - Schemi delle lezioni

CONTENUTI DEL CORSO PARTE A

• A1 – Generalità sull’economia. Organizzazione, contenuto ed obiettivi del corso. I concetti fondamentali dell’economia. I rapporti tra economia ed ingegneria.

• A2 - Produzione ed economia nazionale. Il sistema economico nazionale. Il ruolo della produzione dell’impresa. Flusso dei beni e dei redditi. La contabilità dello Stato. Significato economico dell’import-export.

• A3 - La moneta. Cenni storici. Tipi di moneta: legale; bancaria; privata. Il controllo della moneta e del credito. Mercato monetario e mercato valutario.

• A4 - L’impresa / le società. Contesto giuridico: tipi di impresa; le società commerciali; la società per azioni. Contesto economico: la retribuzione dei fattori della produzione; schema semplificato di bilancio.

• A5 - La gestione dell’azienda. Generalità. Struttura ed organizzazione. Le funzioni aziendali. La funzione organizzazione.

• A6 – Contabilità analitica e costi di produzione. I costi aziendali. La contabilità industriale. I centri di costo. Cenni alla teoria dei costi. Il controllo di gestione.

• A7 - Evoluzione del pensiero economico. I grandi temi dell’economia. Origine e sviluppo dei problemi sociali e di economia dell’ambiente.

• A8 - Il mercato. Generalità. Mercato, teoria economica e Stato. Caratteristiche di domanda ed offerta. Equilibri di mercato. Mercato perfettamente concorrenziale e mercati reali

• A9 – La qualità: vantaggio competitivo. Evoluzione del concetto di qualità. Sistemi di qualità e certificazione. Il costo della qualità

• A10 - Sistema fiscale e costo del lavoro. Il prelievo dello Stato sulla produzione. Imposte, tasse e contributi sociali. Il lavoro ed il suo costo. Contratti di lavoro collettivi. Retribuzioni ed oneri sociali. Costo del lavoro.

• A11 - Economia ed ambiente – Parte I. Teoria economica e problemi ambientali. Costi ambientali: internalizzazione delle esternalità. La gestione delle risorse naturali non rinnovabili.

• A12 - Economia ed ambiente – Parte II. L’inquinamento. I principi dell’economia ecologica. Lo sviluppo sostenibile ed i suoi strumenti

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Economia Applicata all’Ingegneria - Schemi delle lezioni

PARTE B

• B1- Numeri indice e serie storiche.

• B2- Organizzazione e rappresentazione dei dati. Statistica descrittiva

• B3- Elementi di matematica finanziaria. Interesse, capitalizzazione, sconto; equivalenza economica; modalità di restituzione dei prestiti.

• B4- Il deperimento dei beni strumentali e la sua contabilizzazione. Ammortamenti.

• B5- La contabilità generale e il bilancio d’impresa. Stato patrimoniale e conto economico. L’analisi di bilancio mediante indici.

• B6- Analisi di break even per lo studio di alternative economiche. Alternativa make or buy. Analisi Costo-Volume-Profitto.

• B7- Tecniche di gestione economica . Modelli analitici per la risoluzione di problemi deterministici: gestione degli approvvigionamenti; programmazione lineare; coordinamento e programmazione dei lavori (PERT e GANTT).

• B8 - Finanziamenti ed investimenti. Scelta e valutazione degli investimenti industriali. La funzione finanziaria. Il finanziamento delle imprese. La valutazione degli investimenti.

• B9 - Distribuzioni di probabilità per il controllo statistico di qualità.

• B10 - Tecniche di gestione economica – Parte II. Stime, valutazione dell’incertezza e del rischio. I problemi di stima negli studi economici. Le stime ed il processo decisionale. Le decisioni in condizioni di rischio e di incertezza.

• B11 - Interpretazione di dati energetici. Energy Management.

• B12 - Life Cycle Assessment. Una metodologia per la determinazione delle performance energetiche ed ambientali dei processi produttivi. Origini storiche, cenni metodologici ed esempi di applicazione.

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Economia Applicata all’Ingegneria - Schemi delle lezioni

SOMMARIO

PARTE A..................................................................................................................................................................... 1

A1 - GENERALITA’ SULL’ECONOMIA............................................................................................................ 3 A2- PRODUZIONE ED ECONOMIA NAZIONALE .......................................................................................... 7 A3 - LA MONETA............................................................................................................................................... 15 A4 - L’IMPRESA/LE SOCIETÀ ......................................................................................................................... 21 A5 - LA GESTIONE DELL’AZIENDA .............................................................................................................. 29 A6 - CONTABILITÀ ANALITICA E COSTI DI PRODUZIONE ..................................................................... 35 A7 - EVOLUZIONE DEL PENSIERO ECONOMICO....................................................................................... 45 A8 - IL MERCATO.............................................................................................................................................. 55 A9 - LA QUALITA’: VANTAGGIO COMPETITIVO....................................................................................... 65 A10 - SISTEMA FISCALE E COSTO DEL LAVORO ........................................................................................ 75 A11 - ECONOMIA E AMBIENTE – PARTE I ....................................................................................................... 85 A12 - ECONOMIA E AMBIENTE – PARTE II...................................................................................................... 95

PARTE B................................................................................................................................................................. 105

B1 - NUMERI INDICI E SERIE STORICHE ................................................................................................. 107 B2- ORGANIZZAZIONE E RAPPRESENTAZIONE DEI DATI................................................................... 115 B3 - ELEMENTI DI MATEMATICA FINANZIARIA .................................................................................... 121 B4 - IL DEPERIMENTO DEI BENI STRUMENTALI E LA SUA CONTABILIZZAZIONE........................ 127 B5 - LA CONTABILITA’ GENERALE E IL BILANCIO D’IMPRESA ......................................................... 131 B6 - ANALISI DI BREAK-EVEN PER LO STUDIO DI ALTERNATIVE ECONOMICHE ......................... 141 B7 - TECNICHE DI GESTIONE ECONOMICA - PARTE I........................................................................... 145 B8 - FINANZIAMENTI E INVESTIMENTI .................................................................................................... 155 B9 - DISTRIBUZIONI DI PROBABILITÀ PER IL CONTROLLO STATISTICO DI QUALITÀ................. 163 B10 - TECNICHE DI GESTIONE ECONOMICA - PARTE II .......................................................................... 173 B11- INTERPRETAZIONE DI DATI ENERGETICI E ENERGY MANAGEMENT...................................... 185 B12 - LIFE CYCLE ASSESSMENT ................................................................................................................... 199

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Economia Applicata all’Ingegneria - Schemi delle lezioni

PARTE A

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Economia Applicata all’Ingegneria - Schemi delle lezioni A1 - Generalità sull’economia

A1 - GENERALITÀ SULL’ECONOMIA

1 - CARATTERISTICHE GENERALI DELL’ECONOMIA

♦ Contenuti estremamente ampi: comprende quasi tutto ciò che fanno gli uomini. ♦ Collegamento stretto con la storia: il presente è un prodotto del passato e condizionerà il

futuro.

♦ Collegamento stretto con l’attualità: gli economisti si occupano dei problemi che hanno di fronte.

• Una definizione sintetica:

“L’Economia è la disciplina che studia come far corrispondere

RISORSE BISOGNI →←e

(scarse) (tanti)

dove: RISORSE = fonti di Beni e Servizi”. Possibili classificazioni delle RISORSE:

♦ NATURALI (provengono dalla natura) ♦ UMANE (il lavoro) ♦ PRODOTTE (risultato del lavoro, da impiegare per nuovi prodotti)

oppure, nell’ottica della teoria economica classica :

♦ LAVORO ♦ CAPITALE i tre “fattori” fondamentali della produzione ♦ TERRA

• Precisazioni: − I “BENI e SERVIZI” sono l’obiettivo fondamentale dell’attività economica in quanto è con essi

che possono essere soddisfatti i BISOGNI (economici). − Si definiscono BENI ECONOMICI i beni o servizi per i quali esistano una DOMANDA ed una

OFFERTA di mercato (cioè siano richiesti dai consumatori e possano essere offerti dai produttori).

La PRODUZIONE è un fatto centrale per l’economia (dato che la maggior parte dei beni e dei servizi non esiste come tale in natura).

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Economia Applicata all’Ingegneria - Schemi delle lezioni A1 - Generalità sull’economia

• Un’altra definizione dell’Economia:

la disciplina che studia come allocare risorse scarse per produrre beni e servizi allo scopo di soddisfare i bisogni

⇒ ECONOMIA = “SCIENZA DELLA PRODUZIONE”. 2 - L’ECONOMIA COME DISCIPLINA SCIENTIFICA Come tutte le scienze ha per obiettivo:

∗ spiegare i fatti (economici) passati e presenti; ∗ prevedere gli eventi futuri.

Differisce però dalle scienze naturali per: ∗ il tipo di esperimento (oggetto del Metodo scientifico); ∗ il tipo di ipotesi leggi. →

• L’Economia appartiene alle SCIENZE SOCIALI (studia il comportamento dei gruppi umani); • L’Economia usa (anche) l’analisi statistica: per questo le leggi dell’economia possono ammettere

eccezioni. L’Economia è “scienza” perché le risorse sono scarse: occorre quindi risolvere il problema della ”allocazione ottimale delle risorse”. In particolare bisogna scegliere: cosa produrre, come produrre e per chi produrre. Convenzionalmente l’Economia si suddivide in Macroeconomia e Microeconomia. La Macroeconomia studia il funzionamento del Sistema economico nel suo complesso (si occupa di aggregati o macrovariabili, come Consumi, Spesa pubblica, PIL etc) La Microeconomia si occupa invece di prezzi di mercato e di costi (problemi degli operatori economici singoli: individui e Imprese/Aziende). 3 - LE PRINCIPALI GRANDEZZE ECONOMICHE E LA LORO MISURA • UTILITA’: − In generale si può definire come la capacità di un bene di soddisfare i bisogni. − Un bene economico è quindi utile per definizione. − La funzione di utilità (cioè la legge analitica che ne descrive l’andamento) è individuale e

variabile nel tempo: infatti un bene ha utilità diversa per le diverse persone, e per ciascuna cambia con la quantità posseduta.

• VALORE: − Può essere rappresentato dall’importanza che un individuo attribuisce ad un bene, allora si parla

di VALORE D’USO; oppure dall’importanza che al bene è attribuita dal mercato, ed allora si parla di VALORE DI SCAMBIO.

− Valore d’uso e valore di scambio in genere non coincidono (anzi, è proprio per questo che può funzionare il commercio, ed il mercato in generale).

− Relazioni tra UTILITA’ e VALORE dei beni.

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Economia Applicata all’Ingegneria - Schemi delle lezioni A1 - Generalità sull’economia

• RICCHEZZA: − E’ l’insieme dei beni posseduti da un soggetto economico (concetto statico). − La “ricchezza” non va confusa con il reddito (concetto dinamico) • REDDITO: − È un incremento di ricchezza rispetto a quella posseduta in un dato momento. • MONETA − È il “lubrificante del sistema “economico”. − È l’unica unità di misura per Valore, Utilità, Ricchezza, Reddito. 4 - I FONDAMENTI DEL MERCATO Il mercato è il fulcro dell’economia moderna: è caratterizzato dall’interazione fra acquirenti (DOMANDA) e venditori (OFFERTA) di beni economici e dalla conseguente formazione, in modo automatico, dei prezzi dei beni. Per spiegare il funzionamento del mercato, e in particolare le ragioni ed i meccanismi della formazione dei prezzi occorre introdurre il concetto di UTILITÀ’ MARGINALE. • UTILITA’ MARGINALE = utilità di un’unità in più del bene, rispetto alla quantità già

posseduta. • Legge dell’utilità marginale decrescente: l’utilità marginale diminuisce sempre al crescere della

quantità. La stessa legge vale per il prezzo (= valore di scambio marginale).

• Con l’utilità marginale si riesce a spiegare il rapporto fra utilità dei beni e prezzo di mercato

(Valore di scambio), cioè la legge fondamentale del mercato:

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Se la domanda varia, rispetto all’offerta, in modo da provocare scarsità di un bene, il prezzodi questo aumenta; viceversa, il prezzo diminuisce se si verifica abbondanza del bene sulmercato.

- I PRINCIPALI TEMI DELL’ECONOMIA MODERNA

♦ Come ottimizzare la produzione: = come aumentare l’efficienza dell’impiego dei fattori: ∗ LAVORO ∗ CAPITALE ∗ TERRA

• nell’analisi economica: “Teoria della produzione”

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Economia Applicata all’Ingegneria - Schemi delle lezioni A1 - Generalità sull’economia

♦ Come distribuire i proventi della produzione (fra chi li pretende e/o ne ha diritto):

FATTORE RETRIBUZIONE Lavoro SALARIO →Capitale → INTERESSE Terra RENDITA → ma anche: Impresa PROFITTO →Stato IMPOSTE → • nell’analisi economica: “Teoria della distribuzione (del reddito)”.

♦ Come si formano i prezzi dei beni:

• “Teoria del valore”.

♦ Come si misura la ricchezza di una Nazione.

♦ Come far sì che tutta la risorsa “lavoro” sia completamente utilizzata: “Teoria della piena occupazione”

Tenendo presenti questi temi dominanti, affronteremo ora l’esame del Sistema economico, per capire in quale contesto si svolge oggi l’attività economica e quali ne sono i protagonisti 6 - RAPPORTI TRA ECONOMIA E INGEGNERIA L’ingegnere come operatore economico: − Una possibile definizione di ingegnere: tecnico che, attraverso la tecnologia, utilizza le risorse

naturali (in particolare, minerali ed energia) per la produzione di beni e servizi, a beneficio dell’umanità.

− Il ruolo dell’ ”ingegnere per l’ambiente e il territorio” = interfaccia fra la tecnologia e il mondo naturale (peculiarità rispetto a tutte le altre ingegnerie).

− Compito economico fondamentale dell’ingegnere: effettuare scelte economiche, cioè in generale scelte di maggior convenienza = maggior profitto. Ma è spesso difficile precisare il significato di “profitto”: non basta, infatti, perseguire il minor costo possibile e misurare i “ricavi” in termini monetari. (Come si fa a dare un valore al risultato di opere come scuole, ospedali, parchi...?). L’ingegnere che studia economia deve adattarsi anche a usare grandezze difficilmente definibili ed esprimibili con numeri (v. analisi costi - benefici).

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Economia Applicata all’Ingegneria – Schemi delle lezioni A2 - Produzione ed Economia Nazionale

A2 - PRODUZIONE ED ECONOMIA NAZIONALE 1 - IL SISTEMA ECONOMICO Definizione: il Sistema economico è il “modo con cui si organizza la Società”, ovvero:

“l’insieme delle azioni e decisioni degli operatori pubblici e privati”. • E’ un concetto molto complesso: i problemi non sono soltanto “economici”, ma anche sociali e

politici. • Le teorie economiche che spiegano il Sistema Economico sono funzione della situazione storica

e politica. In un’ottica internazionale e storica occorre tener presenti i rapporti fra Sistema Economico e

regime politico.

Distinguiamo: • in teoria (a seconda dell’operatore cui è demandata l’iniziativa):

∗ Economia libera → decisioni prese esclusivamente dagli operatori privati ∗ Economia controllata → decisioni prese dall’operatore pubblico

• in pratica (a seconda del comportamento tenuto dallo Stato):

∗ Economia di mercato → lo Stato assolve essenzialmente i compiti istituzionali ∗ Economia pianificata → lo Stato è proprietario dei mezzi di produzione ∗ Economia mista → lo Stato interviene direttamente in economia

mediante: ● proprietà di aziende; ● politica economica.

In Economia di mercato (o mista):il funzionamento del Sistema Economico può essere studiato

in base al rapporto tra i quattro protagonisti del Sistema Economico:

♦ imprese, la cui funzione essenziale nel Sistema è quella di realizzare la produzione, con l’obiettivo di ottenere profitto;

♦ Stato, la cui funzione fondamentale è quella di controllare le attività economiche, di fornire ed

organizzare i servizi , con l’obiettivo dell’equilibrio e della giustizia sociale; ♦ famiglie, la cui funzione è quella di fornire i “fattori” alla produzione (lavoro, capitale e

terra), ed il cui obbiettivo è il soddisfacimento dei propri bisogni; ♦ resto del mondo , la cui funzione è la distribuzione delle risorse, in quanto nessuno Stato è

autosufficiente, e il cui obiettivo è quello di ricavare un reddito derivante dalle esportazioni.

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Economia Applicata all’Ingegneria – Schemi delle lezioni A2 - Produzione ed Economia Nazionale

I Protagonisti del Sistema Economico

STATO

IMPRESE FAMIGLIE

RESTO DEL MONDO

funzioni principali: obiettivi:

Imprese produzione profitto

Famiglie servizi alla produzione (v. fattori) soddisfacimento dei bisogni

Stato controllo, organizzazione dei servizi equilibrio, giustizia sociale

Resto del mondo distribuzione delle risorse reddito da esportazioni Una visualizzazione del Sistema Economico si può avere considerando il FLUSSO DEI BENI

attraverso i settori di attività economica, “primario”, “secondario” e “terziario”:

CONSUMO commercio “servizi”

industria manifatturiera

attività primarie

EXPORT IMPORT

Oltre a questa rappresentazione schematica è interessante il tentativo di rappresentare quantitativamente il flusso del valore dei beni (v. schema USA, 1938 – Tav. 1) sul quale si osserva quanto segue: • Valore dei beni crescente lungo la direzione del flusso; • distinzione tra: ○ Beni di consumo

○ Beni di investimento (e Beni intermedi); • significato economico dei singoli settori; • limiti della rappresentazione: non è “modello” (operativo), come invece è la Input–Output Table.

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Economia Applicata all’Ingegneria – Schemi delle lezioni A2 - Produzione ed Economia Nazionale

Tav. 1 – Flusso economico negli USA nell’anno 1938 (cifre in miliardi di dollari) – (da “Outlines of Marketing”, 1942)

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Economia Applicata all’Ingegneria – Schemi delle lezioni A2 - Produzione ed Economia Nazionale

INPUT - OUTPUT TABLE (Leontieff, 1936) o “matrice delle interdipendenze settoriali”:

j Consente di studiare i problemi “dell’Equilibrio Generale” attraverso i valori monetari delle transazioni fra i settori: acquisti del settore (j) in testa alla colonna; vendite del settore (i) in testa alla riga. i X

♦ L’analisi Input - Output stabilisce un ponte tra Micro e Macroeconomia. LA FUNZIONE DELL’IMPRESA NEL SISTEMA ECONOMICO

L’Impresa, cellula fondamentale del Sistema economico, si può rappresentare come un sistema INPUT - OUTPUT:

dove: Ve (valore in entrata) = valore dei beni e servizi acquistati presso altre imprese; Vu (valore in uscita) = valore dei prodotti (beni o servizi realizzati); Vu - Ve = Valore aggiunto (Va): rappresenta anche l’incremento di valore che assume il

bene o servizio grazie all’attività svolta dall’impresa. Dunque l’aspetto economico essenziale dell’attività d’impresa è la creazione di valore aggiunto. Considerando il flusso dei beni attraverso tutte le imprese:

Vfinale Va= ∑

INPUT Ve Vu

OUTPUT

∑Va = Prodotto Lordo. • Il Prodotto Lordo (Nazionale o Interno) E’ definito come “valore totale dei beni e servizi finali prodotti in un anno dal Sistema Economico”. Si calcola, in pratica, come sommatoria dei valori aggiunti di tutte le imprese del Sistema.

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Economia Applicata all’Ingegneria – Schemi delle lezioni A2 - Produzione ed Economia Nazionale

Dal Prodotto al Reddito • FLUSSO DEI REDDITI: dove i “servizi alla produzione” forniti dalle famiglie sono costituiti da: lavoro, terra e capitale.

retribuz. servizi

beni eservizi

flusso reale

imprese

famiglie

flusso monetario

imprese

famiglie

spesa perconsumo

servizi alla produzione

Per quanto visto, il flusso monetario rappresenta, nel ramo di sinistra, l’insieme delle retribuzioni dei servizi alla produzione, e cioè l’insieme dei redditi dei “fattori della produzione” (lavoro, capitale e terra), cioè il Reddito Lordo (Nazionale o Interno). Nel ramo di destra rappresenta invece il Prodotto Lordo. Dunque Prodotto Lordo e Reddito Lordo sono grandezze speculari, e pertanto, nella suddetta situazione schematica, sono misurate dallo stesso valore numerico. •

IL REDDITO LORDO, pari alla sommatoria dei redditi dei fattori produttivi, sarà quindi numericamente uguale al Valore aggiunto globale. Dunque ne deriva che il Valore aggiunto, sia nel Sistema economico complessivo che nell’impresa singola, è destinato a:

• Salari (W) • Rendite (R) • Interessi e Profitti (I)

cioè alla retribuzione di:

Lavoro LTerra TCapitale K

( )( )

( )

Il termine “lordo” sta a indicare che il Reddito comprende anche la “retribuzione corrispondente al logorio dei beni strumentali”, cioè la spesa da sostenere per mantenere invariato lo stock di capitale ( AMMORTAMENTO) . Diversamente il Reddito sarà NETTO. →Lo stesso vale per il PRODOTTO.

L’economia studia l’equilibrio del flusso monetario circolare fra Famiglie ed Imprese. La situazione teorica di equilibrio neutrale (reddito famiglie = valore dei beni prodotti = flusso circolare totale) è nella realtà modificata da “prelievi” e “immissioni”:

∗ RISPARMIO ∗ INVESTIMENTI PRELIEVI: ∗ IMPORTAZIONI IMMISSIONI: ∗ ESPORTAZIONI ∗ IMPOSTE ∗ SPESA PUBBLICA

Affinché il sistema continui ad essere in equilibrio deve essere: prelievi = immissioni.

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Page 16: Dispense Eai

Economia Applicata all’Ingegneria – Schemi delle lezioni A2 - Produzione ed Economia Nazionale

2 - CONTABILITA’ NAZIONALE

• E’ un insieme di Conti che cercano di rappresentare e quantificare l’andamento dell’economia del Paese, attraverso gli aggregati (stime convenzionali) del Sistema Economico Nazionale.

• obiettivo principale è la rappresentazione del processo:

TOINVESTIMENCONSUMO

RISPARMIOSPESAREDDITOPRODUZIONE

• Il conto base è quello “delle RISORSE e degli IMPIEGHI” costruito sotto forma di bilancio (=confronto tra Entrate ed Uscite):

Tabella 1 - Conto Economico delle risorse e degli impieghi (Anni 2000 – 2002) – (milioni di Euro)

Valori a prezzi correnti Valori a prezzi 1995 AGGREGATI:

2000 2001 2002 2000 2001 2002

RISORSE: Prodotto interno Lordo 1.166.548 1.220.146 1.258.349 1.016.192 1.034.549 1.038.394Importazioni 318.551 328.193 325.176 291.121 293.955 298.443Totale 1.485.099 1.548.340 1.583.525 1.307.313 1.328.504 1.336.838

IMPIEGHI: Consumi nazionali 919.482 962.340 993.741 788.665 801.212 807.088Investimenti Lordi 230.931 241.287 247.759 209.607 215.147 216.258Variazione delle scorte 4.711 - 1.247 2.935 - 4 - 308 4.084Esportazioni 329.974 345.960 339.091 309.044 312.453 309.409Totale 1.485.099 1.548.340 1.583.525 1.307.313 1.328.504 1.336.838

• Il termine “Investimenti lordi” comprende “Ammortamenti” (cioè la parte di Prodotto Lordo

necessaria per mantenere invariati i mezzi di produzione) e “Investimenti propriamente detti” (cioè quelli in nuovi mezzi di produzione);

• Osservazioni sui rapporti: IMPORT / RISORSE ed EXPORT / RISORSE (sono valori elevati, per confronto con gli altri Paesi industrializzati, per molteplici ragioni);

• La tabella 2, tratta dall’Annuario statistico italiano 2003 dell’ISTAT, consente di: quantificare detti rapporti, valutare l’importanza (positiva e negativa) dei vari settori produttivi, dedurre l’andamento del “saldo della Bilancia commerciale”, e cioè della differenza tra il valore totale delle Esportazioni e quello delle Importazioni. Per Bilancia Commerciale si intende appunto il confronto (o bilancio) tra importazioni ed esportazioni di merci di un determinato paese. Anche la bilancia commerciale rappresenta un Conto della Contabilità nazionale.

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Economia Applicata all’Ingegneria – Schemi delle lezioni A2 - Produzione ed Economia Nazionale

Tabella 2 – Interscambio commerciale per attività economica (Anni 1999-2002, in milioni di Euro correnti)

IMPORTAZIONI ESPORTAZIONI ATTIVITA’ ECONOMICHE (SEZIONI E SOTTOSEZIONI) 1999 2002 1999 2000 2001 2002

Prodotti dell'agricoltura, della caccia e della silvicoltura 7.948 8.567 8.329 8.166 3.528 3.678 4.071 3.947Prodotti della pesca e della piscicoltura 655 661 692 686 159 180 180 150Minerali energetici e non energetici 15.243 29.561 28.718 26.246 430 525 546 673Prodotti trasformati e manufatti 180.882 217.024 220.983 217.065 215.711 254.679 265.490 258.329Prodotti alimentari, bevande e tabacco 15.645 17.135 18.373 18.046 12.051 13.066 14.009 14.808Prodotti dell'industria tessile e dell'abbigliamento 10.732 12.770 13.737 13.764 23.456 26.733 28.737 27.378Cuoio e prodotti in cuoio (comprese le calzature di qualsiasi materiale) 4.011 5.479 6.452 6.334 10.955 13.345 14.565 13.295Legno e prodotti in legno (esclusi i mobili) 2.980 3.393 3.249 3.286 1.329 1.510 1.505 1.438Pasta da carta, carta e prodotti di carta; prodotti dell'editoria e della stampa 5.551 7.207 6.719 6.433 4.938 5.933 6.084 6.058Coke, prodotti petroliferi raffinati e combustibili nucleari 3.161 5.378 4.626 5.032 2.604 5.181 5.061 4.408Prodotti chimici e fibre sintetiche e artificiali (compresi i prodotti farmaceutici) 28.097 33.231 33.991 34.820 19.472 24.136 25.754 26.738Articoli in gomma e in materie plastiche 4.792 5.387 5.396 5.416 8.228 9.389 9.673 9.669Prodotti della lavorazione di minerali non metalliferi 2.509 2.843 2.955 2.892 8.332 9.230 9.406 9.136Metalli e prodotti in metallo 20.350 26.277 25.674 23.892 17.513 21.257 21.986 21.317Macchine e apparecchi meccanici 17.564 20.354 20.707 20.150 45.060 50.678 53.957 52.456Macchine elettriche ed apparecchiature elettriche, ottiche e di precisione 30.982 38.269 37.275 34.114 21.619 26.383 27.625 24.651Mezzi di trasporto 30.978 35.038 37.544 38.806 25.253 30.389 29.620 30.280Altri prodotti dell'industrie manifatturiere 3.529 4.262 4.287 4.080 14.902 17.449 17.508 16.698

Energia elettrica, gas e acqua 1.424 1.535 1.777 1.869 23 22 46 35Prodotti delle attività informatiche, professionali ed imprenditoriali e di altri servizi pubblici, sociali e personali 854 920 973 1.041 262 265 264 301Merci dichiarate come provviste di bordo, merci nazionali di ritorno e respinte, merci varie n.c.a. 9 239 2.284 1.815 927 1.065 2.391 1.931

TOTALE 207.015 258.507 263.757 256.887 221.040 260.413 272.990 265.365

2000 2001

Il saldo (= EXPORT - IMPORT) della “BILANCIA COMMERCIALE” compare in un altro conto importante, la: • BILANCIA DEI PAGAMENTI costituita da

∗ a) Conto Partite Correnti: ∗ b) Conto capitali

- a.1) Partite visibili (merci) - a.2) Partite invisibili (Servizi)

Quindi la Bilancia Commerciale contribuisce al risultato annuale del bilancio del Paese rispetto al resto del mondo (dato dalla Bilancia dei Pagamenti).

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Economia Applicata all’Ingegneria – Schemi delle lezioni A2 - Produzione ed Economia Nazionale

• Un conto interessante è quello che dà il valore del PIL disaggregato nel Valore aggiunto dei

Settori produttivi (v. Tabella 3, dall’Annuario statistico italiano 2003 dell’ISTAT).

Tabella 3 – Valore aggiunto ai prezzi di mercato per branca e prodotto interno lordo (valori in milioni di Euro) Dati assoluti Variazioni percentuali

ATTIVITA' ECONOMICA1998 1999 2000 2001 2002 1999

19982000 1999

2001 2000

2002 2001

Agricoltura, silvicoltura e pesca 27.286 27.631 27.131 28.131 28.068 1,3 - 1,8 3,7 - 0,2 Industria 326.239 331.421 342.797 357.492 361.531 1,6 3,4 4,3 1,1 In senso stretto 276.279 279.920 288.625 299.441 300.947 1,3 3,1 3,7 0,5 Prodotti energetici 60.944 61.554 60.367 62.312 61.325 1,0 - 1,9 3,2 - 1,6 Prodotti della trasformazione industriale 215.335 218.365 228.257 4,5 3,9 1,1 Costruzioni e lavori del Genio Civile 49.959 51.502 54.173 5,2 7,2 4,4 Servizi 692.378 717.830 760.868 6,0 5,6 4,3 Commercio, alberghi e pubblici esercizi 167.551 170.235 5,8 5,1 2,5 Trasporti e com 67.560 69.070 5,1 7,4 1,8 Credito, assicur i professionali (a 258.596 272. 815 328.303 5,3 7,9 5,1 6,3 Di cui: Locaz 99.285 104. 108.599 113.975 122.613 5,2 3,9 5,0 7,6

Servizi generali di pubblica amministrazione e difesa; servizi di assicurazione sociale obbligatoria 56.297 57.390 58.094 61.377 63.321 1,9 1,2 5,7 3,2 Servizi vari (b) 142.373 148.780 156.121 165.630 172.765 4,5 4,9 6,1 4,3 VALORE AGGIUNTO AI PREZZI DI MERCATO (al lordo SIFIM) 1.227.501 3,0 5,0 5,1 3,3 Di cui: Attività non market 160.098 3,3 4,8 6,1 3,0 Servizi di intermediazione finanziaria indirettamente misurati (-) 50.905 - 4,4 11,3 10,5 6,0 VALORE AGGIUNTO AI PREZZI DI MERCATO (al netto SIFIM) 1.005.078 1.037.844 1.087.365 1.140.754 1.176.596 3,3 4,8 4,9 3,1 IVA e imposte sulle importazioni 67.941 70.150 79.183 79.392 81.753 3,3 12,9 0,3 3,0 PRODOTTO INTERNO LORDO AI PREZZI DI MERCATO 1.073.019 1.107.994 1.166.548 1.220.146 1.258.349 3,3 5,3 4,6 3,1

VALORI A PREZZI CORRENTI

1.045.902 1.076.883 1.130.796 1.188.756 135.176 139.691 146.395 155.392

40.824 39.038 43.431 48.002

356 497

unicazioniazione, attività immobiliari e serviz)ione di fabbricati

237.129 239.622 1,4 58.051 60.585 3,1

803.132 837.902 3,7 189.307 194.131 1,6 78.003 79.383 2,2

180.177 72.597

293.880 308.

• Un’ultima “rappresentazione” del SISTEMA ECONOMICO NAZIONALE:

LE TRE SFERE DELL’ECONOMIA: DISTRIBUZIONE Y = W + R + I

PRODUZIONE L/K/T Y →

DOMANDA Y = Consumo + Investimento

in Economia aperta cambia in: Y + IMPORT = C + I + EXPORT

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Economia Applicata all’Ingegneria – Schemi delle lezioni A3 - La Moneta

A3 - LA MONETA • La Moneta è il “lubrificante” essenziale per il funzionamento del Sistema economico. In

particolare, è strumento fondamentale dell’attività finanziaria, che ha per oggetto la gestione del capitale.

• Cenni storici

• Le origini della moneta si perdono nella notte dei tempi: il conio, ossia la produzione “certificata” di moneta, risale almeno al VII secolo a.C.

• Funzioni iniziali: sostituire il baratto, facilitare gli scambi.

• In origine è “moneta vera” = ha un valore intrinseco. Infatti è prevalentemente realizzata con

metalli preziosi, che della “moneta vera” hanno tutte le caratteristiche peculiari: divisibilità, durevolezza, disponibilità e scarsità.

• Nascita della moneta simbolica: da “lettere di cambio” dei banchieri italiani (Pisa,

Genova,…), Sec. XIII e XIV; con i primi prestiti ai mercanti: → creazione di moneta • Con la massiccia importazione di Oro e Argento dal Nuovo Mondo (1500) si ha → la prima

inflazione. • Ma i problemi monetari più importanti nascono con la carta - moneta, che entra nell’uso

corrente assieme alla moneta vera.

• Le Banche in senso moderno (da Sec. XV-XVI) e Le Banche Centrali (da fine Sec. XVII) diventano gli attori principali per:

∗ rapporti di valore fra monete vere (certificazione/cambi); ∗ convertibilità di cartamoneta in oro; ∗ copertura aurea (dei depositi nelle banche centrali).

• La Moneta oggi

♦ Funzione fondamentale: 1) mezzo di pagamento;

ma anche: 2) mezzo di accumulo della ricchezza:

3) misura del valore dei beni.

♦ Tipi di moneta circolante: legaleprivatabancaria

∗ moneta legale = emessa dalla Banca Centrale: banconote, monete metalliche;

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Economia Applicata all’Ingegneria – Schemi delle lezioni A3 - La Moneta

∗ moneta privata = cambiale: c propriac tratta..

⇒ cambiale propria (o “pagherò” o “vaglia cambiario”): impegno di pagamento preso da un “emittente” a favore di un “beneficiario” (o “prenditore”);

⇒ cambiale tratta: ordine rivolto da un “traente” (creditore) ad un “trattario” (debitore) di pagare ad un beneficiario (che può essere lo stesso traente).

- Le origini: discende dalla “lettera di cambio” (Sec. XII- XIII) ; - La cambiale è normalmente “a termine”; può essere “a vista”. - I contenuti del documento. Il “protesto”.

∗ moneta bancaria: assegno, moneta elettronica (carta di credito, ecc...)

L’assegno è lo strumento fondamentale per poter utilizzare il credito bancario derivante da un “deposito” o “fido”, entro la “copertura”;

⇒ è un ordine incondizionato che il cliente (traente) dà alla banca (trattario) di

pagare a vista una somma ad un beneficiario: è mezzo di pagamento e non strumento per ottenere il credito come invece è la cambiale: è considerato reato postdatare (o non datare) l’assegno; più grave reato è ovviamente l’assegno a vuoto (non coperto).

Tramite la “girata”, assegno e cambiale possono essere trasferiti “moneta” quasi ordinaria.

• Il controllo della moneta e del credito

E’ necessario il controllo di massa monetaria e di credito: troppa o troppa poca moneta sono dannose per l’economia.

Secondo I. FISHER (1867-1947, padre del Monetarismo) vale la legge della Teoria Quantitativa della moneta:

Mp q

VPIL

Vj j=⋅

≅∑

dove M= Massa Monetaria; V = velocità di circolazione della moneta (cioè numero medio di impieghi dell’unità monetaria nell’anno); da cui (M. FRIEDMAN): “controllando” M, cioè limitandola alle giuste esigenze del commercio, sarebbe possibile influire sui prezzi.

Ma le difficoltà del controllo sono enormi, data l’estensione del concetto di “moneta” oggi. • Si conviene di distinguere la “Massa monetaria” in:

M1 = moneta circolante in banconote o monete metalliche + conti correnti + fidi esigibili /

utilizzabili a vista; M2 = M + depositi non a vista con funzioni intermediarie del credito (capitali di

Assicurazioni, Fondi di Investimento, ... ); 1

M3 = + titoli a breve termine (BOT). M2

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Economia Applicata all’Ingegneria – Schemi delle lezioni A3 - La Moneta

Il controllo della massa monetaria e del credito è compito precipuo della Banca Centrale. Questa opera come “banchiere dello Stato” nei confronti delle altre Banche.

Suoi strumenti principali sono: ∗ emissione di moneta / ritiro di moneta: [ sconto / scadenza cambiali oppure anticipazioni ]; ∗ emissione Titoli di Stato; ∗ compravendita Titoli di Stato; ∗ limitazione credito Banche; ∗ manovre sul Tasso Ufficiale di Sconto (T.U.S.) (è il tasso applicato alle operazioni di

sconto con le altre Banche). Dal T.U.S. dipendono gli altri tassi di sconto e di interesse.

Tassi di interesse commerciali Sul Mercato Monetario si formano i tassi di interesse applicati dalle Banche ai finanziamenti di Impresa: questi tassi – come tutti i tassi di interesse e di sconto commerciali – dipendono dal T.U.S. L’entità del tasso varia – anche se di poco – da banca a banca; varia inoltre in funzione del tipo di cliente, per cui si ha: • PRIME RATE = tasso applicato ai clienti più affidabili (per operazioni senza

garanzia). È un tasso di favore, inferiore a quello ordinario, ed è capitalizzato trimestralmente.

• TOP RATE = tasso massimo, applicato ai clienti con peggiori garanzie.

Questi tassi sono superiori ai tassi interbancari (per le operazioni tra banche), superiori a loro volta al T.U.S.

Moneta e titoli di credito sono oggetto di vari mercati:

∗ Mercato MONETARIO: tratta titoli e capitali a breve termine ( ≤ 12 –18 mesi) (es. BOT)

∗ Mercato OBBLIGAZIONARIO: (o mercato del reddito fisso): tratta obbligazioni e titoli di Stato a medio - lungo termine (es. BTP, CCT)

∗ Mercato VALUTARIO: tratta le monete straniere ed i crediti in tali monete.

(Mercato MONETARIO + Mercato OBBLIGAZIONARIO = Mercato “MOBILIARE”) Le operazioni avvengono nelle “BORSE VALORI”, dove si svolge anche il mercato del reddito variabile (AZIONARIO).

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Economia Applicata all’Ingegneria – Schemi delle lezioni A3 - La Moneta

I Titoli del MERCATO MONETARIO:

♦ BOT = titoli del debito pubblico con scadenza: 3 mesi / 6 mesi / 12 mesi. Servono alle finanze dello Stato per:

∗ copertura del fabbisogno del Tesoro; ∗ regolazione della liquidità.

Interesse: implicito.

Acquisto: aste.

Mercato

secondario

primario

♦ ACCETTAZIONI BANCARIE (cambiali tratte su di una banca trattaria che ne accetta il

pagamento).

♦ POLIZZE DI CREDITO COMMERCIALE (documento che riconosce un debito, sottoscritto dall’impresa debitrice ed accompagnato da fidejussione bancaria).

MERCATO OBBLIGAZIONARIO

Sul mercato obbligazionario si trattano gli altri titoli di stato, come buoni del tesoro poliennali (BTP) e certificati di credito del tesoro (CCT):

• BTP = titoli, c.s., con scadenza di medio-lungo termine (3, 4, 9, ... 30! Anni). Servono ad allungare la durata / scadenza media del debito: Sono quotati in Borsa. Interesse = fisso, pagato con cedole.

• CCT = titoli, c.s., con scadenza a medio-lungo termine che presentano diverse forme di

indicizzazione (del rendimento e del valore). Emissione mensile. Vendita tramite asta come i BOT

MERCATO VALUTARIO Il mercato valutario è detto anche “Mercato dei cambi” (dove per “cambio” si intende il prezzo di una moneta in termini di un’altra). Il mercato dei cambi di un Paese dipende dal “Sistema di cambi” a cui il Paese aderisce.

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Economia Applicata all’Ingegneria – Schemi delle lezioni A3 - La Moneta

Appendice SISTEMI MONETARI INTERNAZIONALI

• Per il funzionamento del mercato internazionale è necessario definire una unità di misura del valore delle merci (=”unità di conto”)

• Come si è risolto il problema in passato:

∗ lettere di cambio (e saldi con una moneta affidabile); ∗ Gold Standard: vantaggi e svantaggi; ∗ Gold Exchange Sandard (1922 – 1934); ∗ Accordi di Bretton Woods (1944) (→ Regime di cambi fissi):

- prezzo Oro: 35 $/oncia (1 oncia ≈ 31 g); US$ = moneta di riferimento (per es. 1 $ = 625 £it); - le Banche Centrali (esclusa quella Statunitense) devono difendere la parità. - creati F.M.I. e B.I.R.S.

∗ 1970: nascono i “Diritti Speciali di Prelievo” (DSP). ∗ 1971: sospensione della convertibilità $ / Oro. ∗ 1972: 1° Serpente Monetario Europeo; poi 2° nel 1974.

E’ iniziata l’era dei “cambi fluttuanti”. ∗ 1979: nasce SME (Sistema Monetario Europeo).

- Si crea l’ECU, unità di conto: valore dato in base ad un paniere di monete. - Le “parità centrali” vengono difese con manovre bilaterali. - Ritocchi periodici delle parità.

∗ 1989: Caduta del Muro di Berlino. ∗ 1992: (Settembre): l’Italia esce dallo SME. ∗ 1993: Entrano in vigore gli accordi di Maastricht (nell’ambito dello SME) che

stabiliscono le condizioni per la creazione dell’EURO, moneta unica europea. • Accordi di Maastricht L’U.E. decide di operare per conseguire la “convergenza economica” attraverso la verifica dell’andamento tendenziale verso obbiettivi comuni per i seguenti parametri: ♦ Finanze: rapporto deficit/ PIL (deve tendere al 3%) rapporto debito/ PIL (deve tendere al 60%); ♦ Tasso d’inflazione (deve tendere al tasso medio dei tre Paesi con minor inflazione, con

scostamento massimo dell’1,5%) ; ♦ Tassi di interesse a l. t. (deve tendere al tasso medio dei tre Paesi con minor tasso nominale, con

scostamento massimo del 2%); ♦ Cambio: le valute dei Paesi aderenti all’Euro devono dimostrare “stabilità” per 24 mesi. I Paesi che rispettano questi criteri sono ammessi nel nuovo Sistema monetario.

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Page 24: Dispense Eai

Economia Applicata all’Ingegneria – Schemi delle lezioni A3 - La Moneta

EURO ♦ 7 tagli banconote: 5, 10, 20, 50, 100, 200, 500 Euro; ♦ monete: 1,2,5,10,20,50 Eurocent e 1 e 2 Euro. Tempi: ♦ 1998: - Scelta dei Paesi che adotteranno l’Euro come moneta.

- Avvio fabbricazione banconote e monete. - Nasce la Banca Centrale Europea e il Sistema Europeo delle Banche Centrali. La Banca

Centrale Europea (Francoforte), assieme al Sistema Europeo delle Banche Centrali, formula la politica monetaria dell’Unione e gestisce il cambio della moneta unica nei confronti della valuta dei Paesi terzi. Obbiettivo principale = mantenere stabilità dei prezzi.

♦ 1999: - L’Euro diventa moneta unica europea. Si può usare per tutti i pagamenti non in contanti.

- Le emissioni di titoli di Stato avvengono esclusivamente in Euro. I tassi di cambio fra monete nazionali e Euro sono irrevocabilmente fissi (es.: 1 Euro = 1936,27 Lire)

♦ 2002: - Entrano in circolazione banconote e monete in Euro. Prezzi, salari, pensioni ecc.

vengono determinati in Euro. - Dal 1° Marzo 2002 le monete nazionali perdono corso legale.

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Economia Applicata all’Ingegneria - Schemi delle lezioni A4 – L’Impresa / le Società

A4 - L’IMPRESA / LE SOCIETÀ 1 – ASPETTI GIURIDICI DELL’IMPRESA 1.1 Nozioni propedeutiche • Diritto = complesso di norme che regolano i rapporti sociali con carattere di obbligatorietà

(v. sanzioni). In Italia queste norme fanno capo alla Costituzione , documento fondamentale di riferimento che garantisce il democratico funzionamento del Sistema attraverso gli Organi costituzionali : Presidente della Repubblica, Parlamento, Governo, Corte Costituzionale, Magistratura, ai quali sono affidate le funzioni fondamentali: LEGISLATIVA (fare le leggi), ESECUTIVA (applicare le leggi) e GIUDIZIARIA (far rispettare le leggi , in merito a controversie tra privati o fra privato e Stato). • Diritto pubblico / privato: differenziazione delle norme a seconda che sia predominante

l’interesse pubblico - dell’Ente pubblico e della società in genere - o l’interesse del privato cittadino.

• Soggetto di diritto = entità con “capacità giuridica” (cioè caratterizzata da diritti e doveri);

può essere: - Persona fisica - Persona giuridica = Complesso giuridicamente organizzato di persone fisiche

(“associazione” riconosciuta come persona giuridica) , oppure di beni (“fondazione”) • Lo Stato è “soggetto di diritto”, infatti gode del diritto di proprietà, che si manifesta come:

• DEMANIO = beni inalienabili; • PATRIMONIO INDISPONIBILE = beni sfruttabili da privati

(v. concessione / autorizzazione). 1.2 Il contesto giuridico dell’impresa ◊ Classificazione giuridica delle attività economiche:

• AGRICOLTURA • PROFESSIONI INTELLETTUALI ED ARTISTICHE • ATTIVITA’ COMMERCIALI

Per ciascun settore valgono regolamentazioni diverse: occorre quindi conoscere la collocazione di

ogni tipo di attività nel rispettivo settore. Le attività agricole sono quelle che riguardano la coltivazione dei campi e l’allevamento del

bestiame. Le attività intellettuali e artistiche sono quelle in cui risulta prevalente il ruolo dell’intelletto e

dell’ingegno. Tra queste vi sono le Professioni intellettuali “protette” (v. Albi / Abilitazione)

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Economia Applicata all’Ingegneria - Schemi delle lezioni A4 – L’Impresa / le Società

Le Attività commerciali comprendono, per legge: ● Industria ● Artigianato / Piccola Impresa ● “Commercio” propriamente detto ● Assicurazioni, Banche, etc...

• In particolare sono Imprenditori “commerciali” tutti i lavoratori autonomi (cioè non dipendenti)

che non siano né agricoltori né professionisti. ◊ Definizione di Imprenditore:

C.C. art. 2082: “E’ imprenditore chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi”.

Non esiste la definizione diretta di Impresa, ma la si può dedurre dalla: ◊ Definizione di Azienda:

C.C. art. 2555: “L’azienda è il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa”.

⇒ duplice significato di IMPRESA - l’attività dell’Imprenditore;

- l’organismo che la realizza. ◊ Segni distintivi dell’impresa Ditta / Ragione Sociale / Insegna / Marchio (v. bibliografia). ◊ Obblighi degli Imprenditori:

La legge stabilisce diversi tipi di obblighi: p. es., relativi alla tutela delle condizioni di lavoro (art. 2087 C.C. ); oppure all’iscrizione (art. 2188 C.C). Tutte le Imprese commerciali devono iscriversi al “Registro delle Imprese”, istituito presso le C.C.I.A.A., sotto la vigilanza del Tribunale del capoluogo di provincia. Regole specifiche valgono per la CONTABILITA’.

◊ TIPI DI IMPRESE

La legge definisce le categorie di imprese e le condizioni di esercizio. In particolare occorre distinguere tra:

Impresa: ; Impresa: ; Impresa: ;

ecommercialagricola pubblica

privata

individualecollettiva

A ciascuna di queste corrispondono “regole” diverse.

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Economia Applicata all’Ingegneria - Schemi delle lezioni A4 – L’Impresa / le Società

La legge si preoccupa specialmente di: • RESPONSABILITA’ verso terzi; • PUBBLICITA’ (trasparenza, conoscenza) dell’attività concorrenza corretta; • FUNZIONAMENTO (struttura aziendale).

1.3 Le Società

Particolare attenzione è rivolta alle Imprese più importanti, le SOCIETA’:

sono Imprese collettive costituite con il “Contratto di Società” (C.C. art. 2247) che è un accordo per istituire un rapporto giuridico patrimoniale tra due o più persone, che conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune di un’attività economica allo scopo di dividerne gli utili.

semplice (Ss) “di persone” in nome collettivo (Snc) in accomandita semplice (Sas)

SOCIETA’ per azioni (SpA) a responsabilità limitata (Srl) “di capitali” in accomandita per azioni

(Saa) cooperative a responsabilità

limitata (Scrl) cooperative a responsabilità

illimitata (Scri) mutua assicurazione (Sma) Società cooperative Le principali caratteristiche delle Società di persone e di capitali, escluse le cooperative, si possono rilevare nella SCHEDA COMPARATIVA riportata in allegato (da Edizioni SOLE 24 ORE).

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Economia Applicata all’Ingegneria - Schemi delle lezioni A4 – L’Impresa / le Società

1.4 La Società per Azioni (SpA)

• AZIONE (Ordinaria): ∗ titolo di proprietà ∗ diritto di partecipazione

capitalepatrimonio

utilepatrimoniovoto

valore di un’azione: ∗ nominale (“contabile”); ∗ effettivo (sostanziale); ∗ di mercato (di Borsa, per società “quotate”).

• ORGANI SOCIALI

1) Assemblea (degli Azionisti)

I compiti principali riguardano: - (a) nomina di Amministratori e Sindaci; approvazione del Bilancio; destinazione

degli utili; acquisto azioni proprie;.... - (b) variazioni dello Statuto; emissione obbligazioni; - (c) variazione del capitale sociale.

2) Amministratori:

I compiti: amministrazione propriamente detta ( → interno) rappresentanza ( → esterno)

Varie possibilità: Amministratore unico; oppure: Consiglio di Amministrazione, con un Presidente e 1 o più Amministratori Delegati.

3) Collegio Sindacale: organo di controllo e vigilanza.

• VARIAZIONI DEL CAPITALE DELLE S.p.A.

AUMENTO del Capitale Sociale: a) emissione nuove azioni; (solo con modifica dello Statuto) b) aumento del valore nominale delle azioni esistenti. Il finanziamento dell’operazione può avvenire mediante sottoscrizione (pagamento effettivo delle nuove azioni emesse) oppure con prelievo (totale o parziale) dalle riserve. RIDUZIONE del Capitale Sociale (è meno frequente): può avvenire per necessità di assorbire perdite oppure per adeguamenti (in diminuzione) dell’attività.

• Si può anche verificare il caso di variazioni di valore nominale delle azioni (e del numero) senza variazioni di Capitale Sociale.

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Economia Applicata all’Ingegneria - Schemi delle lezioni A4 – L’Impresa / le Società

◊ 1.5 Collegamenti fra Società

a) Senza partecipazioni azionarie: “sindacati”; consorzi; “conferenze”; cartelli; club; pool; joint ventures; ....

b) Con partecipazioni azionarie: b1 ) sottoscrizione semplice di azioni della Società A da parte della società B

→ B = controllante di A (quando il “pacchetto” è sufficiente); b2 ) HOLDING = Società capogruppo, controllante un certo numero di altre Società;

in genere svolge la “funzione finanziaria” per tutto il gruppo. b3 ) TRUST (propriamente detto) = organizzazione illegale in cui un’unica “finanziaria”

si è appropriata in modo illegale delle azioni di tutte le Società del Gruppo (cedute in cambio di certificati di proprietà).

1.6 Le Società Cooperative

Hanno scopo prevalentemente mutualistico. Possono essere a responsabilità limitata o illimitata. Ne esistono di due tipi fondamentali:

a) COOPERATIVE DI LAVORO: i soci sono tutti lavoratori impiegati nell’impresa;

b) COOPERATIVE DI UTENZA: i soci derivano l’utile dal minor prezzo pagato per l’acquisto di prodotti di consumo.

1.7 Le Imprese Pubbliche

a) Imprese “a partecipazione statale”: hanno la stessa forma giuridica delle altre Imprese commerciali.

b) Enti Pubblici Economici: hanno norme di diritto speciali:

b1 ) Imprese - organo (es.: ANAS; municipalizzate; ...). b2 ) Imprese - Ente pubblico (es.: ex IRI; ENI; ENEL; BNL; ... ).

• Molti dei suddetti EE.PP sono attualmente in fase di privatizzazione.

Conclusioni sulle “SOCIETÀ”

VANTAGGI PRINCIPALI: SVANTAGGI (riguardanti la grande Impresa):∗ durata ∗ riduzione del rischio ∗ gestione collettiva dell’Impresa ∗ elasticità patrimoniale ∗ facilitazioni nel finanziamento ∗ facilitazioni negli investimenti ∗ vantaggi fiscali ........

∗ burocrazia ∗ tendenza monopolistica ∗ implicazioni politiche ∗ scarsa trasparenza degli obiettivi.

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Page 30: Dispense Eai

Economia Applicata all’Ingegneria - Schemi delle lezioni A4 – L’Impresa / le Società

ALLEGATO

SCHEDA COMPARATIVA DELLE PRINCIPALI SOCIETA’ Società di persone Società di capitali Caratteristiche Società semplice

(Ss) Società in nome collettivo (Snc)

Società in accomandita

semplice (Sas)

Società per azioni (SpA)

Società a responsabilità limitata (Srl)

Società in accomandita per

azioni (Saa) Denominazione & ragione sociale

Facoltativa e libera La denominazione sociale deve contenere il nome di uno o più soci con la indicazione della sigla Snc

La denominazione sociale deve contenere il nome di uno o più soci con la indicazione della sigla Sas

La ragione sociale è libera ma deve contenere l’indicazione SpA

La ragione sociale è libera ma deve contenere l’indicazione Srl

La ragione sociale deve contenere il nome di uno dei soci accomandatari l’indicazione della sigla Saa

Tipo di attività Non può svolgere attività commerciale. Può anche svolgere attività di gestione immobiliare o un’attività rientrante nei cd “redditi da lavoro autonomo”

Può essere anche di natura commerciale

Può essere anche di natura commerciale

Può svolgere qualsiasi tipo di attività

Può svolgere qualsiasi tipo di attività

Può svolgere qualsiasi tipo di attività

Particolarità Nessuna Nessuna Presenza di due tipi di soci: accomandatari e accomandanti

Le quote sociali sono costituite da azioni; può emettere obbligazioni

Le quote sociali non possono essere inferiori a lire 1000 e non possono essere rappresentate da azioni. La Srl non può emettere obbligazioni

Le quote sociali sono costituite da azioni; presenza di due tipi di soci: accomandatari e accomandanti. La Saa può emettere obbligazioni

Capitale minimo Nessun limite Nessun limite Nessun limite 200 milioni. E’ obbligatorio indicare nella corrispondenza e negli atti il Capitale Sociale versato quale risulta dall’ultimo bilancio (Art. 2250 II c C.C.)

20 milioni. E’ obbligatorio indicare nella corrispondenza e negli atti il Capitale Sociale versato quale risulta dall’ultimo bilancio (Art. 2250 II c C.C.)

200 milioni. E’ obbligatorio indicare nella corrispondenza e negli atti il Capitale Sociale versato quale risulta dall’ultimo bilancio (Art. 2250 II c C.C.)

Formalità costitutive

Nessuna. L’atto costitutivo non va pubblicato nel Registro delle imprese

La costituzione deve avvenire per atto pubblico o per atto privato; è necessaria l’iscrizione al registro delle imprese

La costituzione deve avvenire per atto pubblico o per atto privato; è necessaria l’iscrizione al registro delle imprese

La costituzione deve avvenire solo per atto pubblico; è necessaria l’iscrizione al registro delle imprese

La costituzione deve avvenire solo per atto pubblico; è necessaria l’iscrizione al registro delle imprese

La costituzione deve avvenire solo per atto pubblico; è necessaria l’iscrizione al registro delle imprese

Responsabilità dei soci

Illimitata ed estesa, salvo patto contrario, a tutti i soci in solido

Illimitata ed estesa, salvo patto contrario, a tutti i soci in solido

Illimitata per i soci accomandatari, limitata al capitale conferito per i soci accomandanti

E’ limitata al solo capitale sottoscritto

E’ limitata al solo capitale sottoscritto

Illimitata per i soci accomandatari, limitata al capitale conferito per i soci accomandanti

Collegio sindacale

Non previsto Non previsto Non previsto Obbligatorio Obbligatorio per le Srl con capitale sociale superiore a 100 milioni o se previsto dallo statuto sociale

Obbligatorio

Regime fiscale Il reddito viene automaticamente imputato ai soci i quali lo cumulano al proprio reddito personale; sul reddito della società gravano quindi l’IRPEF e l’IRAP.

Il reddito viene automaticamente imputato ai soci i quali lo cumulano al proprio reddito personale; sul reddito della società gravano quindi l’IRPEF e l’IRAP.

Il reddito viene automaticamente imputato ai soci i quali lo cumulano al proprio reddito personale; sul reddito della società gravano quindi l’IRPEF e l’IRAP.

Pagamento di IRPEG e IRAP. Sui dividendi erogati dalla società, al socio percipiente spetta un credito di imposta (Irpef/Irpeg) pari ai 9/16 del dividendo lordo

Pagamento di IRPEG e IRAP. Sui dividendi erogati dalla società, al socio percipiente spetta un credito di imposta (Irpef/Irpeg) pari ai 9/16 del dividendo lordo

Pagamento di IRPEG e IRAP. Sui dividendi erogati dalla società, al socio percipiente spetta un credito di imposta (Irpef/Irpeg) pari ai 9/16 del dividendo lordo

(segue)

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Economia Applicata all’Ingegneria - Schemi delle lezioni A4 – L’Impresa / le Società

(segue) Società di persone Società di capitali Società semplice

(Ss) Società in nome collettivo (Snc)

Società in accomandita

semplice (Sas)

Società per azioni (SpA)

Società a responsabilità limitata (Srl)

Società in accomandita per

azioni (Saa) Durata cariche Nessun limite Nessun limite Nessun limite Vanno rinnovate

ogni tre anni Nessun limite. L’art. 2383 II c C.C. non è richiamato all’art. 2487 C.C.

Vanno rinnovate ogni tre anni

Cause di scioglimento

Decorso termine. Conseguimento oggetto sociale. Impossibilità di conseguimento dell’oggetto sociale. Volontà di tutti i soci. Venir meno della pluralità dei soci. Altre cause previste dal contratto sociale.

Decorso termine. Conseguimento oggetto sociale. Impossibilità di conseguimento dell’oggetto sociale. Volontà di tutti i soci. Venir meno della pluralità dei soci. Altre cause previste dal contratto sociale. Provvedimenti dell’autorità governativa. Fallimento.

Decorso termine. Conseguimento oggetto sociale. Impossibilità di conseguimento dell’oggetto sociale. Volontà di tutti i soci. Venir meno della pluralità dei soci. Altre cause previste dal contratto sociale. Provvedimenti dell’autorità governativa. Fallimento. Quando rimangono solo soci accomandanti o solo soci accomandatari.

Decorso termine. Conseguimento oggetto sociale. Impossibilità di conseguimento dell’oggetto sociale. Volontà di tutti i soci. Venir meno della pluralità dei soci. Altre cause previste dal contratto sociale. Provvedimenti dell’autorità governativa. Fallimento.

Decorso termine. Conseguimento oggetto sociale. Impossibilità di conseguimento dell’oggetto sociale. Volontà di tutti i soci. Venir meno della pluralità dei soci. Altre cause previste dal contratto sociale. Provvedimenti dell’autorità governativa. Fallimento.

Decorso termine. Conseguimento oggetto sociale. Impossibilità di conseguimento dell’oggetto sociale. Volontà di tutti i soci. Venir meno della pluralità dei soci. Altre cause previste dal contratto sociale. Provvedimenti dell’autorità governativa. Fallimento. Quando rimangono solo soci accomandanti o solo soci accomandatari.

Vantaggi Minori formalità. Organi sociali limitati. Bilancio non soggetto a pubblicazione. Possibilità di contabilità semplificata. Le perdite possono trovare compensazione nei redditi dei soci.

Minori formalità. Organi sociali limitati. Bilancio non soggetto a pubblicazione. Possibilità di contabilità semplificata. Le perdite possono trovare compensazione nei redditi dei soci.

Minori formalità. Organi sociali limitati. Bilancio non soggetto a pubblicazione. Possibilità di contabilità semplificata. Le perdite possono trovare compensazione nei redditi dei soci.

Perdite fiscalmente recuperabili entro i cinque anni successivi. Rischio dei soci limitato al capitale sottoscritto. Credito d’imposta sugli utili distribuiti. Il soggetto è giuridicamente autonomo a tutti gli effetti. Politica di distribuzione dei redditi ai soci più elastica (tassazione per cassa). Agevolazioni formali per il trasferimento quote

Perdite fiscalmente recuperabili entro i cinque anni successivi. Rischio dei soci limitato al capitale sottoscritto. Credito d’imposta sugli utili distribuiti. Il soggetto è giuridicamente autonomo a tutti gli effetti. Politica di distribuzione dei redditi ai soci più elastica (tassazione per cassa).

Perdite fiscalmente recuperabili entro i cinque anni successivi. Rischio dei soci limitato al capitale sottoscritto. Credito d’imposta sugli utili distribuiti. Il soggetto è giuridicamente autonomo a tutti gli effetti. Politica di distribuzione dei redditi ai soci più elastica (tassazione per cassa). Agevolazioni formali per il trasferimento quote

Svantaggi Responsabilità illimitata e solidale dei soci. IRPEF soci anche su utili non distribuiti. Maggiori adempimenti per il trasferimento quote.

Responsabilità illimitata e solidale dei soci. IRPEF soci anche su utili non distribuiti. Maggiori adempimenti per il trasferimento quote.

Responsabilità illimitata e solidale dei soci. IRPEF soci anche su utili non distribuiti. Maggiori adempimenti per il trasferimento quote.

Tassazione in alcuni casi più gravosa. Maggiori formalità. Obbligatorietà organi sociali. Esclusione contabilità semplificata.

Tassazione in alcuni casi più gravosa. Maggiori formalità (ma minori della SpA). Obbligatorietà organi sociali. Esclusione contabilità semplificata.

Tassazione in alcuni casi più gravosa. Maggiori formalità. Obbligatorietà organi sociali. Esclusione contabilità semplificata.

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Page 33: Dispense Eai

Economia Applicata all’Ingegneria - Schemi delle lezioni A5 – La Gestione dell’Azienda

A5 - LA GESTIONE DELL’AZIENDA 1 - IL CONTESTO ECONOMICO DELL’IMPRESA

La gestione economica dell’impresa è basata sui seguenti presupposti fissati dalla legge:

• l’Impresa è attività economica diretta al mercato; • l’Imprenditore è organizzatore dei fattori; • l’Imprenditore ha diritto all’utile.

1.1 Come si forma l’utile

L’utile è il risultato economico positivo dell’attività di un’Impresa ed è misurato dalla differenza fra i RICAVI e i COSTI che si verificano in un anno (“esercizio”) di attività. Il Codice Civile e le leggi fiscali fissano le modalità con cui presentare questo risultato nei documenti che costituiscono il BILANCIO, e, in particolare, nel CONTO ECONOMICO (documento fondamentale della “Contabilità Generale” dell’Azienda). Lo schema di base del Conto Economico è il seguente:

RICAVI = COSTI + GUADAGNO (G)

U

I

A

Ce

G

COSTI

FATTURATO

A + U = Cash Flow

Dove: Ce = Costi di esercizio A = Ammortamento I = Imposte (sul reddito) U = Utile

• Precisazioni sull’AMMORTAMENTO :

∗ è la quota annua corrispondente ai costi di investimento consentita dalla legge (C.C. e Norme fiscali);

∗ riguarda esclusivamente i beni strumentali (quelli impiegati per realizzare la produzione) e rappresenta la loro perdita di valore subita nell’anno di attività (v. “depreciation” in Inglese);

∗ è quindi considerato come costo, ma non è un’uscita monetaria effettiva nell’esercizio; ∗ con Ammortamento si intende anche l’operazione che porta a ricostituire un capitale

attraverso i periodici accantonamenti.

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Page 34: Dispense Eai

Economia Applicata all’Ingegneria - Schemi delle lezioni A5 – La Gestione dell’Azienda

1.2 Come si ripartiscono i proventi

Bisogna tenere presente che la produzione è un fine strumentale, mentre scopo finale dell’Impresa è PRODURRE VALORE AGGIUNTO.

• Valore aggiunto (Va) = ricchezza prodotta dall’impresa, che viene distribuita sotto forma di

retribuzioni dei fattori, anzitutto, e poi degli altri soggetti che ne hanno diritto:

∗ lavoro → salari

retribuzioni garantite da contratti

∗ capitale → interessi

- capitale di terzi - capitale di rischio (o proprio)

retribuzioni non garantite da contratti; la remunerazione è

data dall’UTILE di ESERCIZIO

∗ terra → rendita

∗ imprenditore → profitto

∗ Stato → imposte

• Per quanto riguarda l’Imprenditore, esso è considerato come “quarto fattore produttivo”. Dallo schema visto discende che:

PROFITTO = UTILE - INTERESSE DEL CAPITALE DI RISCHIO.

Questo equivale a separare la funzione “organizzativa” dalla “proprietà” del capitale di rischio. Cosa necessaria per meglio definire la figura economica dell’imprenditore, poiché oggi, al di fuori della piccola Impresa, l’organizzazione dei fattori produttivi è demandata al “Management” (che non ha diritto all’utile). Dunque, la caratteristica prevalente dell’Imprenditore diventa l’impiego del CAPITALE DI RISCHIO.

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Page 35: Dispense Eai

Economia Applicata all’Ingegneria - Schemi delle lezioni A5 – La Gestione dell’Azienda

2 - L’AZIENDA E LA SUA GESTIONE 2.1 Il Sistema Azienda • GESTIONE = Insieme di atti di “amministrazione e produzione” diretti a raggiungere i fini

dell’impresa. Occorre tener conto che l’ Azienda è un SISTEMA COMPLESSO e APERTO “con più fini” , rappresentati dagli obiettivi di ciascuno dei soggetti interessati. ♦ Se la sostanza dell’Azienda è rappresentata dai vari componenti in cui si concretizzano i

fattori di produzione (uomini - impianti - prodotti - denaro) che devono essere organizzati dall’Imprenditore, il funzionamento dell’Azienda è condizionato dalle esigenze dei diversi soggetti interessati sia interni che esterni:

Proprietario Dirigenti Dipendenti soggetti interni AZIENDA soggetti esterni Clienti Stato

ciascuno dei quali ha i propri OBIETTIVI:

♦ PROPRIETARIO → Remunerazione del Capitale / Profitto ♦ DIRIGENTI → Remunerazione Lavoro + esercizio del Potere ♦ DIPENDENTI → Remunerazione Lavoro + Gratificazione ♦ CLIENTI → Soddisfacimento dei Bisogni ♦ STATO → Reddito / Servizi

• Denominatore comune: ⇒ richiesta di BENESSERE. • Ciascuno cerca di MASSIMIZZARE GLI OBIETTIVI, ma trattandosi di SISTEMA solo

possibile “OTTIMIZZARE”. ⇒

• La CONFLITTUALITÀ PERMANENTE = necessaria (e utile).

Dunque l’Azienda è un sistema aperto verso il mercato e la società in genere; ed è un sistema complesso in quanto coinvolge tre sottosistemi: quello sociale, quello economico e quello tecnico. Al suo funzionamento devono concorrere molti e svariati elementi: oltre a quelli materiali (macchine, impianti etc.), occorrono risorse finanziarie, competenze e conoscenze, risorse umane e idoneo clima aziendale, legami privilegiati con altre imprese, immagine aziendale. Sono gli elementi che costituiscono il patrimonio tecnologico, commerciale, finanziario e direzionale del quale l’azienda ha bisogno per interagire con successo con l’ambiente esterno.

→ Dunque la GESTIONE è operazione complessa, per realizzare la quale è necessaria una STRUTTURA adeguata non solo al coordinamento delle risorse all’interno, ma anche all’interazione con l’esterno.

31

Page 36: Dispense Eai

Economia Applicata all’Ingegneria - Schemi delle lezioni A5 – La Gestione dell’Azienda

2.1 La struttura organizzativa • I riferimenti di base: contesto giuridico dell’Impresa; il Mercato (Azienda Offerta;

comportamento del produttore); la concorrenza. ≅

• La struttura organizzativa da dare all’Azienda deve tener conto della visione completa del SISTEMA – AZIENDA, nel quale sono individuabili:

STRUTTURA

ORGANIZZATIVA Meccanismi di

GESTIONE Processo di

FUNZIONAMENTO

• Modo con cui sono distribuiti i COMPITI e le RESPONSABILITA’

• E’ specifica per ogni azienda, in base ad alcuni principi generali

Gli strumenti del “Management” per raggiungere gli obiettivi aziendali

La successione delle attività e le loro interazioni.

Schema di funzionamento di un’azienda industriale

ACQUISTO

ATTIVITA’ DI

TRASFORMAZIONE

VENDITA

beni e servizi

MERCATO

€ € €

• Gli elementi (risorse) da coordinare sono raggruppati nelle FUNZIONI AZIENDALI = attività (e personale corrispondente) in cui si può pensare di articolare il processo aziendale, le principali delle quali sono presentate sinteticamente nella Tav. 1 allegata.

• In relazione alle dimensioni dell’azienda, le FUNZIONI non sempre sono tutte presenti e/o individuabili; spesso sono accorpate; inoltre ciascuna ha i propri obiettivi (anche contrastanti); anche qui: OTTIMIZZAZIONE (è “SISTEMA”).

Diverso infatti è il problema della massimizzazione o minimizzazione dei singoli obiettivi delle diverse funzioni: p. es.: F. ACQUISTI → MIN (COSTI di ACQUISTO) F. PRODUZIONE → MIN (COSTI di PRODUZIONE) F. VENDITE → MAX (QUANTITA’ VENDUTE)

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per l’Azienda (Sistema) → MAX (R - C) rappresenta la “funzione - obiettivo”, che tiene conto dei ricavi e dei costi di tutte le funzioni dell’azienda

Page 37: Dispense Eai

Economia Applicata all’Ingegneria - Schemi delle lezioni A5 – La Gestione dell’Azienda

♦ L’ “ORGANIZZAZIONE” è una “Funzione” molto speciale: → “trasversale”.

• Può spiegare tutta l’evoluzione dell’Azienda moderna, perché la storia dell’organizzazione aziendale coincide con il processo di trasformazione che ha portato all’azienda moderna

(v. nascita della “produttività” → Taylor / Taylorismo; “Management scientifico” e i suoi capisaldi; Fayol → Funzioni = divisione del lavoro a livello direzionale).

• L’organizzazione dell’Azienda moderna ha come obiettivo fondamentale: individuare le attività e assegnarle. Questo compito è demandato alla “Funzione Organizzazione” o alla “Direzione” ( il “Management” è anche “l’arte di organizzare”).

• I principi fondamentali dell’Organizzazione:

- AUTORITA’ → potere / diritto di fare liberamente - CONTROLLO → avviene soprattutto mediante la CONTABILITA’ - DELEGA → riguarda solo l’AUTORITÀ’

• I rapporti di “autorità” (gerarchia) ed i collegamenti fra le persone si stabiliscono in base a tre schemi storici di organizzazione:

- GERARCHICO: per ogni persona un solo capo - FUNZIONALE: per ogni persona più capi (per le diverse competenze) - LINE-STAFF: si inseriscono elementi di specializzazione fuori “linea”.

• Le strutture organizzative correnti sono la “Funzionale” (centralizzata) e la “Divisionale” (decentrata)

• L’Organigramma

• Altri schemi organizzativi: - per MATRICE

- per PROGETTO

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Page 38: Dispense Eai

Corso di Economia Applicata all’Ingegneria - Schemi delle lezioni A5 – La Gestione dell’Azienda

ALLEGATO

TAV. 1 - PRINCIPALI FUNZIONI AZIENDALI E RELATIVI CONTENUTI

Acquisti Questa funzione si occupa della selezione dei fornitori e del regolare approvvigionamento di quanto occorre all’azienda. La sua responsabilità primaria è quella della minimizzazione dei costi di acquisto e della puntualità dei tempi di approvvigionamento.

Produzione E’ la funzione che si occupa di coordinare ed eseguire la fabbricazione dei prodotti dell’azienda. Suo compito fondamentale è quello del rispetto dei costi standard di produzione e del puntale versamento a magazzino della produzione effettuata. Altro compito importante è quello del rispetto dei livelli quantitativi prestabiliti.

Vendite La funzione Vendite ha il compito di cercare clienti per i prodotti dell’azienda. Tra i suoi compiti accessori c’è quello di fungere da “terminale intelligente” sul mercato per recepire le necessità emergenti dei clienti in modo da permettere all’azienda il continuo aggiornamento dei suoi prodotti. La responsabilità che normalmente le viene assegnata è quella della massimizzazione delle quantità vendute.

Personale Questa funzione ha il compito di selezionare le risorse umane occorrenti all’azienda e di stabilire delle politiche di gestione di tali risorse. La direzione del personale si occupa della formazione e dello sviluppo delle risorse umane; propone le politiche retributive; imposta spesso la politica di relazioni industriali (rapporto coi sindacati).

Organizzazione Spesso questa funzione è abbinata a quella del Personale; il suo compito specifico è quello di studiare le procedure più efficaci per lo svolgimento dei compiti aziendali; cura pertanto la distribuzione di compiti e responsabilità nell’ambito degli obiettivi fissati dalla direzione pervenendo alla definizione del cosiddetto “organigramma aziendale” (schema della distribuzione dei compiti e delle responsabilità).

Finanza E’ la funzione che ha la responsabilità di acquisire le risorse finanziarie necessarie per l’attuazione dei piani aziendali. Il suo obiettivo è quello di minimizzare il costo medio della raccolta dei mezzi finanziari e di assicurare che i mezzi finanziari siano sufficienti per lo svolgimento dei piani aziendali.

Amministrazione Questa funzione registra le transazioni dell’azienda con l’esterno tenendo la contabilità generale dell’azienda. Inoltre questa funzione deve redigere il Bilancio d’esercizio e tenere i rapporti col Fisco.

Controllo di Gestione

E’ la funzione che raccoglie ed elabora tutti i dati significativi della gestione con lo scopo di consentire al management di controllare che i programmi stabiliti vengano eseguiti correttamente e che gli obiettivi che l’azienda si è posta si stiano raggiungendo.

Ricerca & Sviluppo

Questa funzione ha il compito di fare della ricerca per migliorare o innovare i processi produttivi o sviluppare nuovi prodotti.

Marketing E’ la funzione che studia e propone le politiche più opportune per rendere desiderabili i prodotti dell’azienda. La sua responsabilità primaria è quella di fissare per ogni prodotto aziendale il cosiddetto marketing mix, vale a dire la combinazione più opportuna delle leve di marketing (prezzo, pubblicità, promozione, canali di distribuzione, qualità del prodotto, livello di servizio, etc...). Tra le sue responsabilità c’è anche quella di effettuare studi di mercato per individuare le preferenze dei consumatori.

Sistemi informativi

Questa funzione ha il compito di elaborare i dati aziendali con la finalità di fornire alle singole funzioni le informazioni da loro richieste. Il suo compito è quello di studiare le modalità di rilevazione e trattamento dei dati per pervenire alla redazione delle informazioni necessarie secondo le modalità richieste dagli utenti.

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Page 39: Dispense Eai

Economia Applicata all’Ingegneria- Schemi delle lezioni A6 - Contabilità analitica e costi di produzione

A6 – CONTABILITA’ ANALITICA E COSTI DI PRODUZIONE 1 - PREMESSA La Contabilità Generale consente di determinare il reddito di esercizio e di controllare globalmente i movimenti finanziari di un impresa, e raggiunge tali scopi attraverso le scritture contabili; presenta però due limiti fondamentali:

riferimento alla gestione passata, mentre le operazioni vanno decise sulla base di conoscenze ed ipotesi riferite al futuro ed alla situazione concomitante;

riferimento alla gestione globale dell’impresa, mentre per l’assunzione di decisione occorrono informazioni di dettaglio.

Per assumere decisioni strategiche e per programmare l’attività produttiva, ad un’impresa occorrono quindi informazioni di dettaglio e conoscenze ed ipotesi riferite al futuro ed alla situazione attuale.

Tali informazioni sono date da vari tipi di contabilità, diverse dalla Contabilità Generale. Complessivamente esse costituiscono la Contabilità Direzionale e si suddividono in:

contabilità speciali; • • •

• • • • •

piani; budget.

Con il termine contabilità speciali si indicano contabilità che perseguono scopi diversi rispetto a quelli della contabilità generale e si hanno:

la contabilità analitica, o industriale, o dei costi; la contabilità del magazzino; la contabilità del personale; la contabilità IVA; la contabilità delle immobilizzazioni.

La più interessante e rilevante è la contabilità analitica. Collegata al budget ed ai piani, fornisce le informazioni per assumere decisioni strategiche ed operative, orientare le scelte di convenienza economica, valutare il contributo al profitto aziendale di prodotti, di famiglie di prodotti, di centri operativi, etc.. In particolare è alla base della funzione aziendale denominata “Controllo di gestione”, che sta assumendo un ruolo sempre più importante in ogni forma di attività economica organizzata. Di fatto la contabilità analitica riguarda tutte le aziende, indipendentemente dal settore di attività in cui esse operano. La contabilità analitica è anche definita:

CONTABILITA’ DEI COSTI

le prime applicazioni sono state orientate esclusivamente al calcolo dei costi

CONTABILITA’ INDUSTRIALE → è stata introdotta inizialmente nelle imprese industriali.

Anche allo scopo di comprenderne a fondo il significato, è opportuno prendere in esame il contesto industriale in cui è nata e successivamente analizzarne le principali caratteristiche applicative in tale campo.

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Page 40: Dispense Eai

Economia Applicata all’Ingegneria- Schemi delle lezioni A6 - Contabilità analitica e costi di produzione

2 - IL PROCESSO PRODUTTIVO INDUSTRIALE Il processo produttivo delle imprese industriali è caratterizzato dalla presenza del ciclo tecnico, che si aggiunge al ciclo economico e a quello monetario, comuni ad ogni tipo di impresa.

Il ciclo economico è costituito dal continuo avvicendarsi del sostenimento dei costi e del conseguimento dei ricavi, mentre il ciclo monetario (o finanziario) dall’analogo avvicendamento delle corrispondenti uscite ed entrate monetarie.

Il ciclo tecnico, a sua volta, è individuato dallo svolgimento delle operazioni volte alla

trasformazione delle materie prime in prodotti finiti, e corrisponde al periodo di tempo che intercorre tra l’inizio della trasformazione e l’ottenimento dei prodotti.

• Con riferimento all’aspetto tecnico, il processo produttivo delle imprese industriali può avvenire

in due modi diversi, a seconda che le imprese producano:

-su commessa, cioè producano beni in base ad una specifica ed esplicita richiesta del mercato,

oppure: -per il magazzino, cioè realizzino flussi continui di prodotti da offrire sul mercato.

In ogni caso è consuetudine chiamare «materia prima» e «prodotti finiti» rispettivamente i fattori di input e di output del processo tecnico–produttivo, anche quando non si tratta di materie prime in senso stretto (cioè di beni da produzione agricolo–industriale o estrattiva), né di prodotti destinati all’utilizzatore finale (cioè di beni che hanno concluso il loro processo di trasformazione). In entrambi i casi può infatti trattarsi di semilavorati: costituenti l’output di impresa che ha operato ad uno stadio di trasformazione precedente, oppure destinati a subire ulteriori trasformazioni da parte di altre imprese successivamente.

• La gestione ottimale del processo produttivo di un’azienda industriale riguarda quindi il

complesso delle attività che vanno dall’approvvigionamento degli input dall’esterno - materiali, energia, informazioni - («Funzione Acquisti»), al processo di trasformazione degli input in output coerentemente con gli obiettivi dell’impresa (« Funzione Produzione»), alla collocazione di tali output sul mercato («Funzione Vendite», «Funzione Marketing»). Tutte queste attività vanno poi mantenute in equilibrio nel tempo, verificando che i risultati via via conseguiti siano congruenti con quelli preventivati («Funzione Controllo di Gestione»), anche per poter impostare una strategia di espansione dell’azienda. Per poter realizzare tutto questo è necessario disporre di un sistema di controllo basato sulla contabilità. Infatti, il problema dell’analisi e del controllo dei costi di produzione non deve essere trascurato da nessun tipo di azienda, ma, date le caratteristiche del processo produttivo, questo deve essere oggetto di particolare attenzione da parte delle imprese industriali Il tipo di contabilità che risponde allo scopo è la contabilità analitica, o industriale.

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Page 41: Dispense Eai

Economia Applicata all’Ingegneria- Schemi delle lezioni A6 - Contabilità analitica e costi di produzione

3 - LA CONTABILITÀ ANALITICA (O INDUSTRIALE)

3.1 Generalità

La Contabilità analitica (o Contabilità industriale) è un sistema contabile aziendale il cui scopo principale è quello di controllare il processo produttivo attraverso il rilevamento dei costi di produzione e la loro analisi, operazioni che consentono di quantificare il costo del prodotto, giustificandone le modalità di formazione. In effetti la C.A. si occupa anche di ricavi e di profitti, ma è tanto rilevante il problema dei costi rispetto al resto, che viene correntemente anche chiamata Contabilità dei costi.

La Contabilità analitica è lo strumento che deve servire ai responsabili della gestione economica dell’azienda per il controllo dell’efficienza del processo produttivo e per lo sviluppo di politiche di espansione.

In particolare la C.A. mira a superare le difficoltà e i limiti che derivano dalla pura e semplice lettura dei dati ufficiali forniti dalla Contabilità Generale e sintetizzati nel Bilancio. Questi sono certamente utili, ma non sono sufficienti: vanno affiancati da una più approfondita e specifica analisi dei fenomeni economici.

Per capire a fondo i costi non basta conoscerne la «natura» – sapere cioè se si tratta di costi di lavoro, di ammortamento, di materiali etc. - è necessario conoscerne l’origine , cioè dove e come si formano e crescono progressivamente nel susseguirsi delle operazioni aziendali.

Dunque, rispetto alla Contabilità generale, la Contabilità analitica serve per esigenze interne dell’azienda, non è obbligatoria per legge, tratta i costi (ma anche i ricavi) non solo a consuntivo, ma anche a preventivo.

Per impostare un sistema di contabilità industriale occorre predisporre un’apposita struttura

organizzativa, suddividendo l’azienda in unità organizzative elementari dette Centri di costo e responsabilizzando in ciascun Centro il personale incaricato del rilevamento e del controllo dei costi. Questo rilevamento va effettuato in base a determinati principi, che tengono conto degli obiettivi specifici della contabilità industriale.

E’ necessario quindi conoscere anzitutto questi principi e poi il modo tipico di trattare i costi di

produzione in azienda, che è diverso da quello ufficiale della contabilità generale. Dopodiché si potrà riprendere e completare il discorso dell’organizzazione pratica del sistema di contabilità industriale.

• I principi del rilevamento dei costi di produzione

In generale in azienda il costo è riferito al prodotto e in ogni caso l’obiettivo fondamentale della contabilità analitica è quello di determinare il costo finale di ogni singolo prodotto realizzato in funzione del costo dei fattori utilizzati.

Il rilevamento e la contabilizzazione dei costi si effettuano in base a tre criteri fondamentali:

- riferimento al tempo: il costo deve essere riferito a un determinato periodo di tempo ; - disaggregazione: il costo totale deve essere disaggregato nelle quote di costo corrispondenti ai

vari fattori impiegati per realizzare il prodotto (lavoro, materie prime, ecc..); - imputazione: i costi sostenuti dall’azienda vanno imputati, cioè attribuiti specificamente, ai

singoli prodotti.

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Page 42: Dispense Eai

Economia Applicata all’Ingegneria- Schemi delle lezioni A6 - Contabilità analitica e costi di produzione

3.2 Classificazione dei costi aziendali

♦ Una prima distinzione porta a dividere i costi in base alle modalità con le quali si raggruppano le varie voci di costo ai fini dell’imputazione del costo totale; in tal senso i costi vengono distinti in:

costi diretti; costi indiretti.

• I costi diretti sono quelli che possono essere imputati senza dubbi particolari ad un oggetto

determinato; questo può essere costituito da un singolo prodotto, oppure da un lotto di prodotti, un reparto, una commessa, e, più in generale, da un «centro di costo». Tipici esempi di costi diretti sono: il costo dei materiali di input della realizzazione del prodotto (Materiali diretti) e quello del lavoro impiegato per ottenere il prodotto stesso (Manodopera diretta).

• I costi indiretti sono invece quelli che è difficile riferire ad un determinato oggetto (centro di costo) perché riguardano più oggetti contemporaneamente. Sono tali ad es. i costi del lavoro dei dipendenti la cui attività interessa più produzioni (capi reparto, magazzinieri, personale di manutenzione, amministrativi, ecc..), come pure i costi di ammortamento e tutti i costi relativi a settori diversi da quello tecnico-produttivo.

♦ Una seconda distinzione è quella che divide i costi in base alla relazione funzionale con la quantità di produzione ottenuta; in tal senso i costi si suddividono in:

costi fissi; costi variabili.

• I costi fissi sono i costi che si considerano costanti al variare della quantità di produzione

relativa ad un determinato tempo, in quanto indipendenti, entro certi limiti, dal volume di questa. Sono tipici di questa categoria i costi di ammortamento degli impianti. Occorre tener presente, a questo proposito, che il tempo a cui ci si riferisce nella trattazione dei costi di produzione è di norma il breve periodo, ed è pertanto ragionevole considerare «fissi» i costi che, come l’ammortamento, non possono variare in questo lasso di tempo.

Nel diagramma che riporta in ascisse le quantità prodotte (p) e in ordinate i costi complessivi C (cioè i costi da sostenere per produrre la quantità p) i costi fissi saranno rappresentati da una retta orizzontale.

C

p

Cf

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Page 43: Dispense Eai

Economia Applicata all’Ingegneria- Schemi delle lezioni A6 - Contabilità analitica e costi di produzione

La categoria dei costi fissi, che in passato annoverava in pratica soltanto i costi relativi ai beni strumentali, oggi ha ampliato notevolmente la propria gamma. Possono essere considerati fissi i seguenti costi: ammortamenti, manutenzioni (che sono sempre più frequentemente «programmate» a scadenze regolari, indipendenti in pratica dal volume di produzione), canoni di leasing, affitti. Devono inoltre essere considerati fissi gran parte dei costi del personale : bisogna infatti tener presente che attualmente la quantità di lavoro non ha molti margini di variabilità in funzione della produzione: se si può aumentare il numero dei dipendenti per aumentare la produzione, non si può però altrettanto facilmente ridurlo, per motivi sociali. Questo impedisce pertanto l’adeguamento del costo di produzione alle quantità da produrre. Sono infine costi fissi quelli sostenuti per Ricerca & Sviluppo.

Data la loro natura, i costi fissi aumentano o diminuiscono non in modo graduale ma con andamento a gradini:

C

P

Cf

p*

Infatti, data una certa struttura del parco impianti, un incremento di produzione si può ottenere con un suo utilizzo più intensivo ma solo fino ad un certo limite, oltre il quale occorre procedere all’acquisizione di nuovi impianti.

• I costi variabili sono così definiti in quanto variano in funzione della quantità di produzione

ottenuta dall’impresa. In prima approssimazione si può assumere che questa funzione sia lineare, per cui nel diagramma produzione - costi complessivi, i costi variabili saranno rappresentati da una retta per l’origine.

C

p

Cv

Sono da considerare variabili i seguenti costi: i costi dei materiali di input del processo produttivo; parte del costo della manodopera; inoltre parte dei costi energetici.

Per quanto riguarda la manodopera, per quanto detto a proposito dei dipendenti fissi, potranno essere considerate senz’altro variabili solo le componenti della voce «lavoro» che eccedono la retribuzione base, quali gli straordinari, i cottimi e gli oneri accessori a questi connessi; saranno

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Economia Applicata all’Ingegneria- Schemi delle lezioni A6 - Contabilità analitica e costi di produzione

invece totalmente costi variabili quelli relativi a manodopera assunta a tempo definito oppure quelli sostenuti per lavoro interinale (lavoratori in «affitto»). A proposito dell’energia, i relativi costi si dicono anche «semivariabili», in quanto, pur non essendo rigorosamente funzione della quantità prodotta, risentono per certi aspetti della sua variazione: si pensi al costo dell’energia elettrica, scomponibile in una quota fissa (canone) e in una componente variabile (consumo). Una situazione analoga si può avere per i costi di manutenzione, che dipendono in parte dal grado di utilizzo delle strutture.

E’ comunque importante tener presente che è possibile stabilire quali costi siano fissi e quali variabili solo in base a un determinato punto di osservazione e tenendo conto delle condizioni specifiche del processo produttivo che si considera. Ciò vuol dire che la definizione va fatta caso per caso.

3.3 Relazioni funzionali dei costi fissi e variabili e loro rappresentazione grafica

• Funzioni lineari dei costi complessivi

Si osservi anzitutto che, come si è sottolineato, i costi fissi ed i costi variabili sono tali se riferiti alla produzione aziendale complessiva. Ora, entrambi i tipi di costi invertono la loro natura (cioè da fissi diventano variabili e viceversa) se riferiti ad ogni singola unità di produzione, ossia se si considerano anziché i costi complessivi, i costi unitari. Continuiamo per il momento ad assumere che i costi variabili siano direttamente proporzionali alla produzione. In tal caso le relazioni funzionali per costi fissi e variabili sono le seguenti:

Cf = cost

Cv = k•x

Ct = C + k•x f

si tratta di costi complessivi, essendo rispettivamente: Cf = costi fissi;

Cv = costi variabili;

Ct = costi totali. I corrispondenti costi unitari saranno:

x

xC

kC ftu +=,

x

kC vu =,

x

xC

C ffu =,

40

Page 45: Dispense Eai

Economia Applicata all’Ingegneria- Schemi delle lezioni A6 - Contabilità analitica e costi di produzione

• Funzioni non lineari dei costi complessivi

In qualche caso è necessario superare i limiti della linearità ipotizzata finora, nei rapporti tra le variabili. I costi (variabili e totali) possono in realtà essere funzioni più complesse della produzione.

Si abbia, ad es., una funzione di costo non lineare Ct=C(x), del tipo:

x

)(xCCt =

Interessa allora conoscere, oltre al costo unitario medio , anche il costo marginale, indicando con tale termine il valore dell’incremento del costo totale necessario per produrre un’unità di prodotto in più.

( /C xt )

dxdCc t

m =arg

L’obiettivo diventa allora quello di minimizzare i costi marginali.

Se poi si considera che la distinzione fra costi fissi e variabili ha validità limitata non solo nell’intorno dei valori normali di produzione, ma anche nel tempo, si rende necessario allargare ulteriormente la visuale sui costi di produzione al di là di queste limitazioni spazio-temporali. Questo tema viene trattato nell’ambito della più generale Teoria dei costi, che esula dal campo della trattazione dei costi dal punto di vista della pratica aziendale.

3.4 Le configurazioni di costo e le modalità di rilevamento

Dopo aver visto come in azienda si classificano i costi è necessario vedere come si procede alla «segmentazione» delle fasi di formazione dei costi nelle operazioni produttive. E’, questa, un’operazione necessaria per poter conoscere a fondo, sviscerare, diagnosticare le modalità di generazione dei costi. Nell’articolare la formazione del costo di produzione in diverse fasi, si evidenzia di norma la distinzione fra costi diretti e costi indiretti. Mentre i primi, per definizione, vengono imputati senza esitazione al prodotto, l’imputazione dei costi indiretti comporta invece problemi non indifferenti. Occorre infatti un criterio di ripartizione, che normalmente porta a scegliere determinati parametri descrittivi della struttura produttiva, dai cui valori dedurre le proporzioni di ripartizione dei costi. Tali parametri sono, ad esempio : l’area occupata, le ore macchina, le ore di lavoro diretto, il numero dei dipendenti.

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• Lo schema classico di suddivisione delle fasi di formazione del costo di produzione è quello che evidenzia la successione : Costo primo, Costo industriale, Costo totale, come di seguito riportato:

MANODOPERA diretta + MATERIALI diretti = COSTO PRIMO (o «Costo tecnico») + SPESE GENERALI INDUSTRIALI (es.: Ammortamento; Manutenzione; ... ) = COSTO INDUSTRIALE + ALTRE SPESE GENERALI (Amministrazione centrale; Vendite; ... ) = COSTO TOTALE

Il COSTO PRIMO, pari alla somma di tutti i costi diretti di prodotto, è la configurazione di costo a più elevato grado di oggettività. Anche se è un costo parziale, è particolarmente utile per la valutazione, ad esempio, di lavoro su commessa. Il COSTO INDUSTRIALE tiene conto delle spese generali industriali (lavoro indiretto, energia, altri costi indiretti industriali) che, essendo costi indiretti, vanno ripartiti con criteri che inevitabilmente comportano giudizi soggettivi. E’ un buon indice di controllo dell’attività produttiva. Il COSTO TOTALE o COSTO PIENO (Full Cost) comprende, oltre ai costi precedenti, anche i costi di tutte le altre funzioni aziendali, anche questi da ripartire e imputare correttamente al prodotto. Questo schema è quello utilizzato dalla Contabilità industriale «a costo totale» (full costing). Si può avere anche una contabilità industriale «a costi diretti» (direct costing) che richiede di imputare al prodotto solo i costi variabili, e cioè: Manodopera diretta, Lavoro diretto, Costi Industriali generali variabili, Altri costi variabili. In questo schema, molto seguito perché più semplice e più snello, ha particolare rilievo il parametro Margine di contribuzione, pari alla differenza tra Ricavi e Costi variabili: questo parametro sta a indicare la «copertura» che il prodotto può dare ai costi fissi. Il suo significato deriva dal considerare come «costo del prodotto» soltanto il costo variabile: in tal modo tutti gli altri costi sono fissi e non ripartiti, dunque da coprire con il ricavato della vendita del prodotto dedotto il suo «costo». Il rilevamento e il controllo dei costi si effettuano, come si è detto, in appositi «Centri di costo», cioè unità organizzative elementari in cui si suddivide la struttura aziendale nell’ottica della contabilità industriale. Sono anche centri di «RESPONSABILITA’», in quanto gli addetti al controllo devono anche rispondere della generazione dei costi. Anzi, le funzioni di questi Centri si possono allargare ulteriormente al controllo anche dei ricavi, e quindi dei profitti, in modo da superare le funzioni puramente contabili e assumere quelle di strumenti di gestione vera e propria. Di norma nei Centri di costo si provvede al rilevamento dei costi diretti e indiretti, che andranno poi riferiti al prodotto in relazione al metodo di costing prescelto. Dal punto di vista metodologico, conviene distinguere tra Centri produttivi, Centri ausiliari e Centri generali, a seconda dell’attività che vi si svolge. In tal modo risulta facilitato il procedimento di

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Economia Applicata all’Ingegneria- Schemi delle lezioni A6 - Contabilità analitica e costi di produzione

ribaltamento dei costi indiretti, da parte dei centri ausiliari e generali, sui centri produttivi, responsabili della quantificazione del costo di produzione.

• La Contabilità Industriale ha lo scopo di fornire - in particolare alla Direzione dell’Azienda - tutte le informazioni sui costi, per:

- formulare programmi economici - controllare economicità ed efficienza dei diversi settori - confrontare alternative economiche di produzione - formulare politiche di pricing.

In quest’ultimo caso, la configurazione di «costo pieno» quale si è vista prima deve essere integrata: al Costo «totale» vanno aggiunti i COSTI FIGURATI (interessi sui capitali investiti, fitti figurativi, compensi figurativi dell’imprenditore e dei soci, rischio d’impresa...), in modo da calcolare, come risultato, il COSTO ECONOMICO-TECNICO, da utilizzare appunto per arrivare a definire il prezzo di vendita. 4 – CONCLUSIONI SUL CONFRONTO FRA CONTABILITA’ ANALITICA E

CONTABILITA’ GENERALE La contabilità analitica è comunque collegata alla contabilità generale, che fornisce alla prima i dati base per le elaborazioni analitiche e che dalla prima riceve pure dati (scritture di riassestamento). Lo scopo della contabilità generale è fornire informazioni per tutti i soggetti esterni interessati alla prestazione economico-finanziaria dell’azienda, tali informazioni sono comunicate attraverso la redazione ed il deposito del bilancio.

Lo scopo della contabilità analitica è fornire informazioni per la pianificazione, l’attuazione ed il controllo delle attività del management.

A questo punto risulta interessante mettere a confronto le caratteristiche principali della contabilità analitica e della generale (Tab. 1).

Caratteristiche Contabilità analitica Contabilità generale

1. Necessità d’uso Facoltativa Obbligatoria per legge 2. Finalità Strumento di assistenza al

management Produrre informazioni per l’esterno

3. Utilizzatori Gruppi ristretti di persone dall’identità nota

Gruppi di persone ampi in maggior parte dall’identità personale ignota

4. Struttura sottostante Cambia in funzione dell’utilizzo delle informazioni

Equazione fondamentale del bilancio

5. Fonte dei principi Qualunque sia ritenuta utile Codice Civile e principi contabili 6. Prospettiva temporale Storica e prospettica Storica 7. Tipo delle informazioni Monetarie e non monetarie Prevalentemente monetarie 8. Precisione delle informazioni Livello relativamente basso Livello relativamente alto 9. Frequenza del reporting Frequenze mensili e settimanali Trimestrale ed annuale 10. Tempestività del reporting Report tempestivi al termine del

periodo di misurazione Ritardi di settimane e anche di mesi rispetto al periodo considerato

11. Unità oggetto del reporting Unità organizzative (centri di responsabilità)

L’intera organizzazione

12. Responsabilità Virtualmente nessuna Teoricamente sempre presenti Tabella 1 - Caratteristiche della contabilità analitica in confronto alla contabilità generale

[R. N. Anthony, D. F. Hawkins, D. M. Macrì, K. A. Merchant, Sistemi di controllo, McGraw-Hill, Milano 2001]

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Economia Applicata all’Ingegneria- Schemi delle lezioni A6 - Contabilità analitica e costi di produzione

In merito al livello di precisione dei due tipi contabilità si ricorda che la contabilità analitica ha livello di precisione approssimativo, poiché sacrifica la precisione alla celerità e rileva valori non oggettivi, a differenza della contabilità generale che rileva valori oggettivi e non è affatto approssimata.

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Economia Applicata all’Ingegneria - Schemi delle lezioni A7 – Evoluzione del pensiero economico

A7 - EVOLUZIONE DEL PENSIERO ECONOMICO

• Obiettivo del capitolo

Questo capitolo non ha altra pretesa se non quella di ripercorrere, con una rapida carrellata, le principali tappe della storia dell’economia, allo scopo di ricavarne un quadro di riferimento per comprendere meglio le ragioni dei principali problemi economici odierni, e in particolare per individuare le origini e lo sviluppo dei grandi temi sociali e ambientali.

• ANTICHITA’ E MEDIOEVO.

♦ La maggior parte dei problemi economici attuali non si pone: (per esempio lavoro → schiavitù = lavoro non retribuito; senza salari non può nascere una teoria della distribuzione o dei prezzi).

♦ Prevale l’etica sull’economia. Seguendo le ragioni “etiche” del pensiero cristiano (con radici nei filosofi greci): ∗ si condanna l’interesse, visto come un ingiusto arricchimento (non è ancora un “costo” di

produzione); ∗ i commercianti non godono di molte simpatie, in quanto non producono direttamente i beni

che trattano. Lo scambio di merci è comunque limitato alle zone di produzione ed ha forma di puro e semplice baratto.

♦ La differenza sostanziale rispetto ad oggi è l’assenza del “mercato” in senso moderno

(elemento base della scienza economica). L’economia del Medio Evo è di autosostentamento (il popolo uccide ciò che mangia e produce ciò di cui si veste) e di cessione (il contadino cede parte dei raccolti al Signorotto in cambio della protezione e della concessione del “diritto” di lavoro).

• MERCANTILISMO (circa metà Sec. XV - metà Sec. XVIII)

♦ Viaggi, scoperte geografiche → portano ad uno sviluppo dell’attività economica ed alla conseguente crescita dei mercati. Si assiste alla formazione di associazioni di mercanti (Merchant Adventures e Compagnia delle Indie ad esempio) che raggruppano capitali per poter organizzare il commercio all’interno ed all’estero → crescita di importanza dei “mercanti” che assumono un ruolo di primo piano nella formazione degli stati moderni.

♦ Comparsa delle Banche e delle Società Anonime. ♦ Cambia l’atteggiamento nei confronti dell’interesse. ♦ Ricchezza di una Nazione = funzione della quantità di oro posseduto (concetto statico); la

crescita è funzione del saldo tra esportazioni ed importazioni.

In questo periodo si ha il manifestarsi della prima forma di inflazione: a causa della massiccia importazione di metalli preziosi dal Nuovo Mondo, si verifica una sproporzione tra la quantità di moneta circolante e la quantità di beni acquistabili sul mercato.

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FISIOCRATICI (Francia, Sec.XVIII). •

Da “fisiocrazia” = dominio della natura. Questa scuola di pensiero è espressione dell’aristocrazia terriera francese, che prevale sui mercanti: ♦ agricoltura = elemento centrale dell’economia (Ricchezza flusso). ♦ Primo esempio di “Sistema di idee” (→ teoria economica):

F.Quesnay elabora la “Tavola Economica” (Tableau Economique) (1752), basata su tre principi: ∗ droit naturel (per ciò che concerne la proprietà privata) :esiste un diritto naturale che

porta la società ad essere strutturata così com’è in rappresentanza dei proprietari terrieri (geniale tentativo di salvare un mondo che verrà travolto dalla Rivoluzione Francese);

∗ laisser faire : lo Stato non deve intervenire nell’economia; ∗ produit net: l’unica forma di produzione è l’agricoltura. Il prodotto netto risulta

dall’attività ciclica dell’economia; con questo prodotto netto si può riprendere l’attività economica per l’anno successivo.

Con i Fisiocratici la ricchezza della nazione diventa un concetto dinamico, in funzione di import-export. Dopo la Rivoluzione Francese, di questa teoria resteranno molte interessanti intuizioni. • CLASSICI: Ad essi si fa risalire la nascita della “scienza economica”. ♦ Utilizzano l’esperienza di Mercantilisti e Fisiocratici. ♦ Hanno di fronte l’inizio dell’industrializzazione. Adam Smith (Scozia, 1723-1790) Siamo all’inizio della rivoluzione industriale: si passa da un’organizzazione familiare del lavoro alla fabbrica. Nasce la figura dell’imprenditore ed il capitale diventa un fattore fondamentale non solo per l’acquisto di materie prime ma anche per l’acquisto di macchine; è in questo periodo che i tecnici (ingegneri ed imprenditori) giocano un ruolo di primo piano nel processo di evoluzione tecnologica. • La situazione: lavoro: da famiglia → fabbrica; capitale: da materie prime → macchine; Il “mercante” cede il ruolo di leader dell’economia all’industriale.

Fondamentale ruolo dell’

→ EVOLUZIONE TECNOLOGICA

EINNOVAZIONINVENZIONE

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• L’opera enciclopedica di Smith, pietra miliare per l’economia, è Wealth of Nations (“La ricchezza delle Nazioni”), contenente i fondamenti del pensiero dell’autore in merito a: ◊ natura /funzionamento del Sistema economico:

l’interesse personale è alla base dell’economia e del libero mercato; mosso da una “mano invisibile” l’egoista persegue il massimo bene pubblico (chi fa i propri interessi finisce per favorire anche gli altri).

◊ valore dei beni: il valore (di scambio) dei beni risiede nel lavoro necessario per produrli.

◊ ricchezza della Nazione: il libero scambio, senza interferenza dello Stato sulla libera iniziativa personale, consente la produzione di ricchezza attraverso l’efficienza del lavoro, ed è la sola garanzia di benessere.

Smith fissa dei capisaldi per lo sviluppo successivo del pensiero economico. La sua fama resta legata soprattutto al principio liberistico = libero mercato, libera iniziativa (personale), che consentono “automaticamente” (mano invisibile) il funzionamento ottimale del sistema. Gli altri classici: • J.B.Say (Francia, 1767-1832):

Ottimista. “Legge di Say” o “degli sbocchi” (rappresenta la concezione più ottimistica del funzionamento del sistema): “tutta la produzione realizzata in un mercato libero viene sempre ed automaticamente assorbita dal sistema” (teoria che sopravvive fino al 1929, quando viene inequivocabilmente confutata dalla famosa crisi di sovrapproduzione).

• T.R.Malthus (Inghilterra, 1766-1832):

molto pessimista. Secondo questo autore mentre la produzione cresce con andamento aritmetico, la popolazione cresce con andamento geometrico: i due andamenti sono incompatibili.

Popolazione e Risorse : crescita asimmetrica

Previsioni catastrofiche

• D. Ricardo (Inghilterra, 1772-1823):

Il più grande teorico del classicismo. Codifica ed integra le idee di A. Smith in merito a: ◊ valore dei beni: è funzione di:

∗ utilità; ∗ scarsità; ∗ quantità di lavoro necessaria per produrli → teoria del valore fondata sul lavoro

◊ rendita: definita chiaramente come capacità produttiva della terra. ◊ salario: deve essere limitato alle necessità di sopravvivenza e di procreazione del

lavoratore (legge bronzea). ◊ profitto: componente del costo; è ciò che rimane all’imprenditore dopo aver pagato

retribuzione e rendita. E’ anche il pagamento del lavoro fatto in passato per costruire impianti. E’ sostanzialmente pessimista sul futuro del capitalismo: mentre ne celebra i successi, prepara .......la rivoluzione.

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LE VARIE “CORRENTI” DELLA TRADIZIONE CLASSICA:

(A1) limitato → intervento dello Stato A) dissenso:

(A2) forte → rivoluzione proletaria

(B1) giustificazione e difesa → esasperazione dei principi B) accordo:

(B2) perfezionamento della teoria → i Neoclassici A1) Viene contestato il libero scambio e si auspica l’intervento statale (prevalenza dello Stato) per

tutelare la produzione interna del paese dalla produzione straniera → protezionismo. Nascono contestazioni a causa delle conseguenze sociali dell’industrializzazione (v. aspetti crudeli e oppressivi delle nuove condizioni di vita degli operai): la povertà non è una colpa → inizio “dell’assistenza”.

A2) K. Marx (1818-1883)

Si oppone violentemente al principio dell’equilibrio tra le componenti del sistema (“classi”), esponendo nelle sue due principali opere Manifesto del Partito Comunista e Il Capitale (con F. Hengels, 1867) le quattro critiche fondamentali al liberismo classico:

∗ iniqua distribuzione del potere: (capitalisti → Stato);

∗ iniqua distribuzione del reddito: il valore di mercato dei beni prodotti è superiore al valore del lavoro dell’operaio necessario per produrli; l’operaio è sottopagato e tale differenza (detta plusvalore) viene accumulata indebitamente dal capitalista proprietario dei mezzi di produzione.

∗ Vulnerabilità del sistema: tale situazione conduce inevitabilmente ad una crisi del sistema.

∗ monopolio: (= esistenza di un unico produttore) la principale causa dell’inevitabile crollo.

Critiche centrate, ma che non tengono nel dovuto conto la straordinaria produttività del capitalismo, e sottovalutano inoltre la possibilità di correzione del sistema mediante:

• riforme; • nascita dei sindacati, espressione dell’organizzazione operaia; • evoluzione della struttura aziendale;

⇒ affermazione del marxismo non contro l’industria ma contro i residui del medioevo. L’avvento della classe operaia, inoltre, non distrugge lo Stato ma ne crea uno più complesso.

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B1) L’accordo con la tradizione classica si manifesta con l’esasperazione dei principi classici, da cui derivano i concetti di:

∗ utilitarismo: bisogna puntare al benessere medio della popolazione (“benessere statistico”), senza preoccuparsi di chi si trova ai margini della società.

∗ Darwinismo sociale (posizione estremistica): legge della selezione naturale valida anche in campo economico-sociale: il povero è tale in conseguenza della propria incapacità di arricchirsi → ”la carità è un danno sociale”.

B2) Scuola Neoclassica o “Marginalista”:

L. WALRAS (1844 - 1910); altri numerosi autori, tra cui A. MARSHALL, M. ENGEL;

∗ spostamento dell’ottica: da offerta → domanda (il mercato diviene sempre più l’elemento centrale);

∗ prezzo = non solo funzione del lavoro ma della domanda di mercato: il consumatore diventa protagonista, mentre il produttore si comporta di conseguenza.

∗ utilità marginale: concetto fondamentale della teoria. E’ rappresentata dal prezzo che si è disposti a pagare per avere una unità in più di un certo bene, rispetto a quelle che già si posseggono.

Con la marginalità si spiegano anche: offerta, salari, produttività. ⇒ teoria dell’ EQUILIBRIO GENERALE.

Ben presto emergono però nuovi fenomeni da spiegare / fronteggiare:

• MONOPOLIO (→ leggi anti-trust) • Nuovi attacchi “sociologici” alle teorie classiche:

es. T. Veblen (Usa, 1857 - 1929) in The Theory of the leisure class

• RIVOLUZIONE DI OTTOBRE → Sistemi ad economia “pianificata” e un fatto traumatico determinante: • LA GRANDE DEPRESSIONE (Crisi del 1929)

caratteristiche: • le merci si accumulano (carenza di domanda) → i prezzi diminuiscono (deflazione); • disoccupazione (sempre più grave).

Il sistema classico non ha rimedi da proporre. Si sperimentano contromisure da parte dello Stato:

∗ monetarie; ∗ manovre sui tassi; ∗ manovre sui salari; ∗ manovre sui prezzi agricoli.

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• J.M. Keynes (1883 - 1946): E’ la figura più rilevante dell’economia del nostro secolo: ♦ Con l’opera The general Theory of Employment, Interest & Money (1936) capovolge il pensiero

classico in tema di:

∗ Domanda NUOVI TEMI ∗ produzione ⇒ PRINCIPALI ∗ occupazione DELL’ECONOMIA

♦ Spiega “l’equilibrio della sotto-occupazione”. ♦ Spiega “l’errore di composizione” dei classici (a proposito di disoccupazione). ♦ I rimedi proposti:

• I GOVERNI DEVONO INTERVENIRE mediante: ∗ vari strumenti come: tassi, imposte, politica dei redditi; ∗ in particolare tramite il deficit di bilancio (spesa pubblica per sostenere la

domanda). La disciplina “Economia” diviene conseguentemente “Economia politica”. Nasce la “MACROECONOMIA”, separata dalla “MICROECONOMIA”.

è l’Economia del Sistema economico visto globalmente. Si occupa delle macrovariabili (grandezze “aggregate”).

Si occupa di valore, prezzi , salari, costi di produzione (qui resta la teoria classica).

• II Guerra Mondiale: favorisce il successo della teoria di Keynes, e tale successo prosegue anche

dopo: nel periodo 1946 - 1970 si hanno CRESCITA E BENESSERE (negli U.S.A. specialmente).

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Ma con i primi anni ’70 si osserva un nuovo fenomeno: • L’INFLAZIONE “MODERNA”:

♦ viene spiegata con la “spirale prezzi - salari”; ♦ per combatterla non sono efficaci né le teorie di Keynes né quelle dei Classici; ♦ i rimedi tradizionali (tagli alla spesa pubblica, aumento imposte) non bastano (o non servono); ♦ la situazione è aggravata dalla crisi energetica.

I pareri sui rimedi divergono, ma i “classici” riprendono quota (Keynes è accusato di “asimmetria politica”).

• M. Friedman:

è il massimo rappresentante del nuovo “liberismo”, sostiene la POLITICA MONETARIA, con la quale alla fine si sconfigge l’inflazione, ma si provoca nuovamente: ∗ RECESSIONE (primi anni ’80) →v. Reagan: misure “keynesiane” e “monetarie” assieme

→ deficit commerciale

la recessione è seguita da una ripresa, e successivamente ancora da una: ∗ CRISI (primi anni ’90), a cui segue una nuova ripresa.

L’Economia dimostra il suo andamento “ciclico” che si presenta con caratteristiche analoghe in tutti i paesi del mondo occidentale, dove il problema più grave resta ancora la disoccupazione. Con la caduta del muro di Berlino (1989) si avvia un processo di ulteriore espansione dell’economia di mercato, favorita dall’eccezionale accelerazione dell’evoluzione tecnologica, in particolare in campo elettronico e informatico. Gli anni ’90 sono caratterizzati da due nuovi fenomeni: ♦ la globalizzazione ♦ la new economy che consentono un’ulteriore crescita economica complessiva, ma che sono accompagnati dai nuovi gravi problemi che oggi stanno emergendo in modo sempre più preoccupante: disuguaglianza economica crescente tra la popolazione mondiale (l’80% della popolazione detiene soltanto il 20% del reddito disponibile), instabilità, insicurezza, terrorismo. Un sistema basato sulle sole regole del libero mercato dimostra di non funzionare. Anziché sulla crescita quantitativa è necessario puntare sullo sviluppo qualitativo.

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• ORIGINE DEI PROBLEMI SOCIALI : IL WELFARE STATE La “rivoluzione Keynesiana” giunge a dare vigore ad iniziative di intervento dello Stato già avviate

in precedenza (in Germania da fine sec. XIX; in Inghilterra a partire dagli anni ’10 del ‘900, in Svezia dagli anni ’20), che vanno sotto il nome di welfare state.

E’ lo Stato che si preoccupa di Assistenza, Previdenza, Iniziative a sostegno dei disoccupati......

Keynesiani e Welfare State entrano in collisione con il Liberismo. Storia e situazione del Welfare in Italia

1898: prima assicurazione obbligatoria (infortuni sul lavoro) e prima “Cassa “ nazionale per l’assicurazione vecchiaia. Sistema di gestione = capitalizzazione (rendita è commisurata ai versamenti).

1919: obbligatorietà di assicurazione contro disoccupazione e vecchiaia per lavoratori dipendenti. 1933: nasce l’Istituto di previdenza, antenato dell’INPS. 2° Dopo guerra: Sistema di gestione = ripartizione (contributi dei lavoratori attivi vengano ripartiti tra i pensionati). 1957: 1 M di pensionati. 1997: 20 M di pensionati; deficit INPS: 42.000 Mdi, debito pubblico: 2.300.000 Mdi (1998). • Il rapporto fra” pensioni e assicurati “ è attualmente poco sotto il 90%, raggiungerà il 100% nel 2010 e il 125% nel 2050, secondo l’INPS, per i lavoratori dipendenti. Ma in totale, secondo il Censis, le pensioni sono oggi già più numerose dei lavoratori ( 22M contro ∼21M).La spesa previdenziale è destinata a triplicarsi nei prossimi 50 anni da ∼ 200.000 a ∼600.000 Mdi. • Rispetto agli altri Paesi europei, l’Italia ha la più alta aliquota media contributiva, ma anche la più alta incidenza della spesa pensionistica sul totale della spesa sociale. • Alla spesa per le pensioni si aggiunge quella per gli “Ammortizzatori sociali”, tra cui la “Cassa Integrazione Guadagni”, i prepensionamenti e i sussidi alla disoccupazione.

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Economia Applicata all’Ingegneria - Schemi delle lezioni A7 – Evoluzione del pensiero economico

ORIGINE DEI PROBLEMI DI ECONOMIA DELL’AMBIENTE

Un problema emerso recentemente e di importanza crescente è il problema ambientale. • È una conseguenza della crescita economica e consiste essenzialmente nel

contrasto tra due tipi di esigenze: le esigenze economiche della produzione •

le esigenze di tutela dell’ambiente nelle attività che utilizzano RISORSE NATURALI (acqua, aria, risorse minerarie, spazio, …)

Il problema ambientale presenta due aspetti fondamentali:

1. Il consumo di risorse naturali non rinnovabili 2. L’inquinamento

Entrambi gli aspetti hanno implicazioni economiche. Si vedrà in seguito come la teoria economica affronta questo tipo di problema. Fin d’ora è importante tener presente quanto segue:

I problemi ambientali sono rimasti a lungo nascosti nel “Modello di sviluppo industriale”

R IS O R S EN A T U R A L I EF A T T O R I D I

P R O D U Z IO N E

P R O D U Z IO N E C O N S U M O

M O D E L L O D I S V IL U P P O IN D U S T R IA L E

I motivi risiedono nel fatto che questo modello considera solo il flusso dei beni economici, di cui considera la formazione del valore;

Per studiare i problemi ambientali occorre un modello diverso che tenga conto dello scambio (input-output) di materia e di energia tra il “sistema industriale” e l’ecosistema naturale;

• •

Solo in questo modo è possibile

Quantificare i consumi di risorse naturali non rinnovabili; Quantificare l’inquinamento (cioè valutare i quantitativi di sostanze nocive immesse nell’ambiente).

Attraverso questa “analisi di valutazione ambientale” si può allora cercare di risalire alla stima dei costi ambientali e cioè del danno economico provocato all’ambiente dalle attività produttive e antropiche in genere, il che costituisce l’oggetto fondamentale dell’Economia dell’Ambiente.

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Economia Applicata all’Ingegneria – Schemi delle lezioni A8 - Il mercato

A8 - IL MERCATO

1 - GENERALITÀ Il mercato è il fulcro dell’economia moderna.

In particolare, negli ultimi decenni del ‘900 l’economia di mercato ha avuto una notevole espansione in ogni parte del mondo rispetto all’economia pianificata, e si è ulteriormente consolidata nei paesi industrializzati dell’Occidente, dove si è registrata un’inversione della tendenza all’espansione dello Stato in economia.

E’ importante quindi approfondire la conoscenza delle caratteristiche del sistema di mercato per poter comprendere l’economia attuale e i suoi problemi.

Il mercato può essere definito come il meccanismo in base al quale acquirenti e venditori interagiscono in modo da determinare il prezzo e la quantità di un bene o servizio oggetto di scambio.

Esaminiamo le sue caratteristiche principali. • Il vero punto di forza dell’economia di mercato è il suo funzionamento automatico • Oggetto del mercato: quasi ogni tipo di bene o servizio (per es., non solo i beni di consumo, ma

anche i fattori di produzione: lavoro, capitale, terra) • Prezzo: rappresentato dal valore monetario del bene, ha una funzione centrale nel mercato in

quanto determina le decisioni – di vendita o acquisto – dei produttori e dei consumatori, mentre le sue variazioni fungono da segnale per il comportamento futuro di entrambi gli operatori economici

• Equilibrio di mercato: è il punto/ situazione in cui la quantità offerta dai venditori è uguale alla quantità richiesta dai compratori: queste quantità variano al variare del prezzo ed è il mercato che individua il prezzo di equilibrio = prezzo al quale gli acquirenti desiderano comprare esattamente la quantità che i venditori desiderano vendere

Equilibrio generale

Le considerazioni fatte finora riguardano prezzo ed equilibrio di mercato di un singolo bene. Ma il mercato raggiunge anche l’equilibrio generale di prezzi e produzioni di tutti i beni contemporaneamente: in questo modo il mercato risolve automaticamente il problema fondamentale dell’organizzazione economica, rappresentato dalle tre domande di base: che cosa, come e per chi produrre.

• CHE COSA Le imprese, perseguendo l’obiettivo del profitto, si orientano sui beni che i consumatori dimostrano di preferire e abbandonano quelli meno richiesti e quindi non altrettanto remunerativi: la scelta, dice Samuelson, è conseguenza dei “voti con il portafoglio” dei consumatori

• COME La concorrenza / competizione commerciale impone alle imprese la ricerca dell’efficienza e quindi l’ottimizzazione dell’impiego dei fattori; l’alternativa è l’uscita dal mercato

• PER CHI La distribuzione del reddito dipende in larga misura (non certo esclusivamente) dai prezzi dei fattori, che si formano sui rispettivi mercati; il reddito degli individui dipende pertanto dalla quantità di fattori posseduti e dal livello dei relativi prezzi.

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Economia Applicata all’Ingegneria – Schemi delle lezioni A8 - Il mercato

2 - MERCATO, TEORIA ECONOMICA E STATO Nel mercato ideale il consumatore è il protagonista principale: sceglie i beni e le relative quantità a suo piacimento, mentre il produttore si comporta di conseguenza.

In realtà il potere del consumatore non è assoluto, perché intanto non può stabilire “cosa si deve produrre” senza fare i conti con le possibilità produttive della tecnologia: si deve dire quindi che a governare il mercato c’è una diarchia: il consumatore e la tecnologia.

La teoria dice inoltre che nel mercato ideale tutti i beni e servizi vengono scambiati volontariamente ai prezzi di mercato e che, grazie alla “mano invisibile”, sono ottimali la produzione e l’allocazione dei beni senza l’intervento dello Stato.

Nella realtà però nessun sistema economico risponde esattamente a queste condizioni. Tutti i sistemi reali hanno imperfezioni: sono i c.d. “fallimenti del mercato”, in presenza dei quali la produzione e lo scambio non possono avvenire in condizioni di massima efficienza.

I principali fallimenti del mercato sono di tre tipi:

1) Esistenza di imprese o consumatori in grado di influire sui prezzi (concorrenza imperfetta →monopolio);

2) Esternalità = cause di scambi involontari di costi o benefici: si tratta di transazioni senza alcun pagamento economico e quindi al di fuori delle relazioni di mercato;

3) Non equa distribuzione del reddito.

In tutti i casi di “fallimento del mercato” si auspica l’intervento dello Stato per porvi rimedio.

- Per i fallimenti del 1° tipo lo Stato interviene con leggi (anti-trust) e regolamenti speciali

- Per quanto riguarda i fallimenti del 2° tipo, occorre distinguere tra esternalità “negative” e “positive”; ad es.:

esternalità negative: inquinamento, consumo di risorse non rinnovabili, rumore, disturbi al paesaggio, discariche, prodotti alimentari nocivi, materiali radioattivi…

esternalità positive: infrastrutture stradali, servizio meteo, ricerca scientifica di base…

→ beni pubblici.

♦ Alle esternalità negative lo Stato cerca di ovviare con norme e regolamenti che prevedono il pagamento di canoni, tariffe, sanzioni, oppure incentivi alla riduzione del danno. Le difficoltà sono notevoli. Se ne parlerà in un successivo capitolo.

♦ Per quanto riguarda le esternalità positive, è particolarmente importante il tema dei beni pubblici, al quale è legato anche l’intervento dello Stato relativo al 3° tipo di “fallimento del mercato”.

I beni pubblici

I beni pubblici possono essere considerati il caso estremo delle esternalità positive.

Sono “ prodotti per i quali il costo sostenuto per estenderne la fruizione a uno o più consumatori e nullo, ed è inoltre impossibile impedire agli individui di farne uso”.

Sono beni pubblici, ad es., i servizi che lo Stato mette a disposizione di tutti i cittadini, a partire da quelli “istituzionali” (quelli cioè indispensabili per l’esistenza stessa dello Stato e riconosciuti in ogni tipo di sistema economico di competenza statale: difesa, amministrazione della giustizia, ordine pubblico).

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Economia Applicata all’Ingegneria – Schemi delle lezioni A8 - Il mercato

In genere l’impresa privata non ha interesse a produrre beni pubblici (perché non convenienti), per cui lo Stato interviene in campo economico per favorirne la produzione (ad es., con commesse all’impresa privata).

Per finanziare l’acquisto e la distribuzione dei beni pubblici lo Stato applica imposte.

Ed è soprattutto attraverso le imposte/sistema fiscale che lo Stato cerca di ovviare al 3° tipo di “fallimento del mercato”, la non equa distribuzione del reddito. Come si vedrà nel capitolo apposito, questo obiettivo viene perseguito ad es. con un sistema “progressivo” di prelievo fiscale, e cioè facendo pagare imposte più che proporzionali rispetto al reddito.

Per ridurre le sperequazioni di reddito lo Stato può anche decidere di effettuare “trasferimenti” monetari alle famiglie più povere.

/ A questo proposito si deve ricordare che l’economia non è in grado di rispondere a domande del tipo: “è opportuno fare trasferimenti” oppure “è giusto e accettabile che esista la povertà”. L’argomento sconfina nella politica e nella morale. L’economia può solo valutare le conseguenze di decisioni e scelte in proposito. In questo senso può contribuire a preparare programmi per far crescere il reddito dei poveri./

• Concludendo l’argomento dei rapporti tra Stato e mercato, si può dire che oggi tutti i sistemi industriali avanzati sono caratterizzati da un’economia mista, in cui il mercato stabilisce i livelli di produzione e i prezzi in quasi tutti i settori, mentre lo Stato guida l’andamento generale dell’economia attraverso:

- programmi di imposizione fiscale

- programmi di spesa pubblica

- regolamentazione monetaria.

Le due entità – mercato e Stato – sono entrambe necessarie per il buon funzionamento del sistema economico. Lo Stato, infatti, provvedendo a (o comunque tentando di) correggere i “fallimenti del mercato”, persegue gli obiettivi di migliorare l’efficienza, promuovere l’equità e favorire la crescita e la stabilità del sistema.

3 - CARATTERISTICHE DI DOMANDA E OFFERTA I rapporti fra le quantità scambiate di un bene sul mercato e il suo prezzo sono oggetto della teoria della domanda e dell’offerta secondo la quale le preferenze dei consumatori determinano la domanda di beni, mentre i costi sostenuti dalle imprese sono alla base dell’offerta dei beni.

• La legge fondamentale del mercato può essere enunciata come segue:

Se la domanda e/o l’offerta variano in modo da provocare:

→→

carenzaabbondanza di una determinata merce, ⇒ il prezzo

→→

salescende

La teoria della domanda e dell’offerta consente di spiegare le ragioni di questa legge.

57

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Economia Applicata all’Ingegneria – Schemi delle lezioni A8 - Il mercato

La domanda •

Esiste una precisa relazione tra la quantità richiesta sul mercato di un determinato bene e il suo prezzo, a patto che restino costanti tutti gli altri fattori che possono influire sul fenomeno: questa relazione è rappresentata dalla “legge di domanda” , che ha andamento del tipo indicato in Fig.1 (sempre pendenza negativa).

Fig. 1 - la “curva di domanda”

p

q

La giustificazione di questo andamento può essere data, in prima approssimazione, dall’effetto “sostituzione” (al crescere del prezzo di un bene altri beni alternativi vengono acquistati al suo posto) e dall’effetto “reddito” ( crescendo il prezzo diminuisce la ricchezza degli acquirenti che sono perciò costretti a ridurre gli acquisti). Ma la teoria economica spiega scientificamente questo andamento in base al comportamento dei consumatori razionali, i quali, scegliendo i beni che preferiscono, “massimizzano la propria utilità”. Per far questo, essi distribuiscono razionalmente il loro reddito per l’acquisto di un determinato insieme di beni, in funzione dell’incremento di utilità da questi procurata.

E’ dunque la legge dell’utilità marginale decrescente che condiziona il comportamento dei consumatori sul mercato. Per questa legge, all’aumentare del consumo di un bene la corrispondente utilità marginale diminuisce: pertanto, se il prezzo di un bene aumenta, il consumatore razionale riduce il relativo consumo, poiché l’utilità che gliene deriva per ogni Euro speso diminuisce. Viceversa, se il prezzo diminuisce è disposto ad acquistarne una quantità maggiore poiché viene incrementata la sua utilità complessiva.

Domanda di mercato

Dalla domanda individuale di un certo bene, a cui si riferiscono le considerazioni precedenti, si passa alla domanda di mercato, semplicemente immaginando di sommare, per ogni prezzo, le quantità domandate da tutti i consumatori del mercato. Tutte quanto detto per un consumatore singolo si può quindi estendere al comportamento complessivo di un gruppo di consumatori.

Fattori influenti

La curva di domanda, come si è visto, è la relazione che dice come varia, per un certo bene, la quantità richiesta al variare del prezzo. E’ importante chiedersi da quali fattori è condizionato l’andamento di questa curva, e cioè quali sono i fattori che influiscono sulla quantita domandata a un dato prezzo.

I principali fattori influenti sono i seguenti:

reddito dei consumatori

prezzo e disponibilità dei beni succedanei

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Economia Applicata all’Ingegneria – Schemi delle lezioni A8 - Il mercato

moda, gusti, preferenze

influenze particolari (es. comodità di trasporto, aspettative sui prezzi…) Elasticità della domanda

L’elasticità della domanda al prezzo è la variazione della quantità domandata di un bene conseguente alla variazione (%) unitaria di prezzo: misura quindi l’intensità della reazione degli acquirenti alla variazione di prezzo.

L’elasticità si calcola, in corrispondenza a una determinata situazione di mercato, con la

%

%

pp

qq

ED∆

=

Se ED > 1 → domanda elastica: una data variazione percentuale di prezzo genera una variazione percentuale maggiore di quantità domandata;

Se ED < 1 → domanda anelastica (o rigida): una data variazione percentuale di prezzo genera una variazione percentuale minore di quantità domandata;

Se ED = 1 → domanda a elasticità unitaria: una data variazione percentuale di prezzo genera una uguale variazione percentuale di quantità domandata

Ad es., i beni di prima necessità hanno un alto grado di rigidità: se il prezzo aumenta, i consumatori devono continuare ad acquistarli.

Situazioni limite (v.Fig.2)

La domanda perfettamente elastica è rappresentata da una retta orizzontale (a), mentre la domanda perfettamente anelastica da una retta verticale.

p

(a)

(b)

Fig. 2

q

59

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Economia Applicata all’Ingegneria – Schemi delle lezioni A8 - Il mercato

L’offerta •

La relazione fra la quantità di un bene offerta dai produttori e il suo prezzo è rappresentata dalla “curva dell’offerta”. Il suo andamento è del tipo indicato in Fig. 3 (pendenza sempre positiva).

p Fig. 3 - la “curva di Offerta”

q Questo andamento si giustifica in prima approssimazione con il fatto che al crescere del prezzo i produttori sono incentivati a offrire una quantità maggiore del bene perché la corrispondente produzione risulta più redditizia, a scapito di altri beni che vengono abbandonati perché garantiscono profitti meno elevati.

Ma una giustificazione ulteriore della forma della curva è data dalla teoria economica, e precisamente dalla “legge dei rendimenti marginali decrescenti”. Questa dice che per una data funzione di produzione (e cioè per una data combinazione dei fattori impiegati per realizzare una produzione) “aggiungendo quantità addizionali di uno dei fattori e mantenendo costanti tutti gli altri, si otterranno quantità aggiuntive di prodotto (prodotto marginale)sempre minori”.

E’ ciò che succede, nei casi reali, nel breve periodo, quando non risulta possibile modificare alcuni dei fattori di input (v. i “costi fissi”): l’andamento della curva dei costi variabili (e quindi dei costi totali) è all’incirca lineare solo in un primo tratto, dopodiché presenta una crescita più che proporzionale. Per questo motivo le curve del costo medio (costo unitario totale) e del costo marginale presentano il tipico andamento a U: a partire da un certo valore di produzione i costi marginali sono quindi crescenti, e pertanto è decrescente il rendimento marginale.

Fattori influenti

A parità di prezzo, i fattori che influiscono sull’andamento della curva di offerta sono:

Costi di produzione, cioè i prezzi dei fattori e la tecnologia

Prezzi dei beni correlati

Politiche governative

Influenze particolari

4 - EQUILIBRIO DI MERCATO La situazione di equilibrio del mercato è data dal prezzo e dalla quantità in corrispondenza dei quali le forze dell’offerta e della domanda si bilanciano.

Si dice prezzo di mercato il prezzo corrispondente al punto d’incontro tra domanda ed offerta in un determinato momento (Fig. 4): in questo punto la quantità del bene che i consumatori desiderano comprare è esattamente uguale alla quantità che i produttori desiderano vendere (q*).

60

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Economia Applicata all’Ingegneria – Schemi delle lezioni A8 - Il mercato

p*

q

p* = prezzo di mercato

p

q*

Fig. 4.

Quando la situazione cambia, occorre distinguere tra i due seguenti casi:

a) movimenti sulle curve:

quando una variazione di prezzo provoca una variazione della quantità richiesta / offerta; (indica il modo di reagire di un consumatore / produttore ad una variazione di prezzo).

b) Spostamenti delle curve:

indicano variazioni delle quantità richieste / offerte indipendenti dalle variazioni di prezzo.

SPOSTAMENTO DELLA DOMANDA:

SD2 D1

P2 P1

a b q

P

D1 → D2 espansione della domanda; può avvenire per:

∗ aumento del reddito dei consumatori; ∗ aumento del prezzo di un bene sostitutivo; ∗ caduta del prezzo di un bene complementare; ∗ cambiamento gusti, moda (effetto pubblicità).

In questa situazione si vende una quantità maggiore (q↑) ad un prezzo più alto (p↑).

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Economia Applicata all’Ingegneria – Schemi delle lezioni A8 - Il mercato

D1 → D2 contrazione della domanda; può avvenire per tutti i casi opposti ai precedenti.

p D2

p1 p2

q

D1 S

b a

In questa situazione si vende una quantità minore (q↓) ad un prezzo più basso (p↓).

SPOSTAMENTO DELL’OFFERTA:

S1p S2D

p2

p1

qa b

S1 → S2 espansione dell’offerta; può avvenire per:

∗ miglioramenti tecnologici; ∗ diminuzione dei costi dei fattori produttivi;

In questa situazione si vende una quantità maggiore (q↑) ad un prezzo minore (p↓).

S2

p2

p1

S1D p

b a q

S2 → S1 contrazione dell’offerta; può avvenire per:

∗ aumento dei costi dei fattori produttivi; In questa situazione si vende una quantità minore (q↓) ad un prezzo maggiore (p↑).

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Economia Applicata all’Ingegneria – Schemi delle lezioni A8 - Il mercato

5 - TIPI DI MERCATO a) Mercato perfettamente concorrenziale In realtà non esiste; occorrerebbe:

∗ perfetta conoscenza del mercato da parte dei consumatori (ed anche dei produttori); ∗ numero elevato di produttori, con possibilità di entrare / uscire; ∗ domanda ed offerta perfettamente elastiche; ∗ prodotti standardizzati ed intercambiabili.

b) Mercato di libera concorrenza imperfetta

∗ I produttori hanno un certo “potere di mercato” (possono influenzare i prezzi). c) Mercato oligopolistico.

∗ pochi grandi produttori possono influire pesantemente sui prezzi; ∗ in funzione del tipo di “barriere all’entrata” → Mercato ± Competitivo

∗ tecnologiche ∗ dimensionali ∗ naturali

∗ possibilità di formazione di CARTELLI. d) Mercato monopolistico.

∗ un solo produttore / venditore: può agire su prezzo e quantità

La teoria economica studia le varie forme di mercato; ma spesso anche queste sono “teoriche”, difficilmente inquadrabili in schemi astratti: è il caso delle materie prime minerarie, per esempio.

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Page 69: Dispense Eai

Economia applicata all’Ingegneria- Schemi delle lezioni A9 - La qualità: vantaggio competitivo

A9 - LA QUALITÀ: VANTAGGIO COMPETITIVO

Premessa - Attualmente le aziende per avere successo devono puntare all’eccellenza sia

nell’organizzazione che nella gestione. Questo implica migliorare non solo l’efficienza, ma anche l’efficacia (ovvero il rapporto fra i risultati ottenuti e gli obiettivi prefissati).

- Efficienza ed efficacia sono strettamente interconnesse nel concetto di “qualità totale“, intesa come qualità di tutto il sistema aziendale, e dunque delle sue componenti strutturali, gestionali e del fattore umano: il che significa che non si considerano più sufficienti i soli controlli statistici di qualità che si effettuano in ambito produttivo.

- Oggi la Qualità non è un optional, né un obiettivo fine a se stesso: è uno strumento per fare profitto = un ”vantaggio competitivo”.

• Lo scopo di questo capitolo non è ovviamente quello di trattare in modo completo questa ampia materia, ma di passare in rassegna – nella prima parte – l’evoluzione storica del concetto di qualità che ha portato, nell’arco degli ultimi cinquant’anni, alla qualità totale, e – nella seconda parte – di fornire le conoscenze essenziali sulla normativa vigente nel settore della qualità.

1 - EVOLUZIONE NEL TEMPO DELLA QUALITÀ Un’analisi dei fattori di competitività porta a constatare che questi variano nel tempo:

esaminando l’evoluzione della realtà aziendale italiana negli ultimi decenni si può rilevare come è variato lo “strumento principale di profitto” e come si è venuto evolvendo il concetto di QUALITÀ.

- Anni ‘50-60: occorre produrre tanto; per questo si punta sull’aumento di potenzialità degli

impianti e sul miglioramento dell’efficienza dei fattori ( Taylor → Tempi e Metodi, Cottimo). La Qualità non è molto importante; è legata a” conformità al disegno “, alle “specifiche”. Il controllo è saltuario.

1 9 6 01 9 5 0

q u a n titàd o m an d a

o ffe r ta

D O M A N D A > O F F E R T A

S T R U M E N T O : V O L U M I

- Anni ‘60-70: incomincia a diventare importante il problema della concorrenza; nasce il

Marketing; cresce la meccanizzazione; si perfeziona l’organizzazione del lavoro; l’accento è sui COSTI.

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Economia applicata all’Ingegneria- Schemi delle lezioni A9 - La qualità: vantaggio competitivo

Qualità = rilevazione e correzione dei difetti attraverso verifiche finali, selezioni ecc. Il controllo di Qualità si fa con metodi statistici. Nasce la Funzione Qualità, separata dalla Produzione (“Chi controlla” non è “chi fa”).

19 701 960

q uan tità

dom an da

offe rta

D O M A N D A > O F F E R T A

S T R U M E N T O : C O S T I

- Anni ‘70-85: il consumatore è sempre più esigente (può permetterselo: Domanda ≈ Offerta):

è importante la corrispondenza delle caratteristiche “tangibili” ( dimensionali, estetiche, chimico-fisiche) del prodotto con quelle dichiarate. La funzione Qualità tende ad assumere il nome di “ASSICURAZIONE QUALITA’ , ossia garanzia “della conformità e della produzione e alle specifiche. Questa garanzia deve essere duplice: nei confronti della Direzione Aziendale e nei confronti dei Clienti.

1 9 8 51 9 7 0

q u a n ti tà

d o m a n d a

o f fe r ta

D O M A N D A ≈ O F F E R T A

S T R U M E N T O : Q U A L I T À T A N G I B IL E

Nuovi concetti si sviluppano sul tema Qualità: - la prevenzione delle difettosità;

- la responsabilizzazione di “chi fa” (sarà poi → autocontrollo); - la definizione di Qualità come “idoneità all’uso”, più che rispondenza a specifiche.

Nasce il Sistema Qualità, poi codificato con le NORME ISO 9000.

- Anni ’85 → OGGI: il consumatore (cliente) chiede sempre di più (anche senza manifestarlo esplicitamente) ⇒ occorre andare al di là della Qualità Tangibile → Qualità Intangibile (aspetti psicologici, status symbol, personalizzazione del prodotto).

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Economia applicata all’Ingegneria- Schemi delle lezioni A9 - La qualità: vantaggio competitivo

Ma diventa necessario (per vendere) andare oltre le aspettative del mercato: è questo l’obiettivo della QUALITA’ TOTALE ( che non ha limiti!).

1 9 8 5

q u a n t i tà

d o m a n d a

o f f e r ta

D O M A N D A ≤ O F F E R T A

S T R U M E N T O : Q U A L I T À T O T A L E

Oggi dunque: - La QUALITA’ TOTALE è lo “Strumento strategico” che consente all’Azienda di fare

profitto - Volumi e Costi passano alle dipendenze della Qualità - La QUALITA’ TOTALE non ha limiti in 2 direzioni:

- v/s il cliente, in termini di innovazione - v/s l’Azienda, in termini di trasformazione radicale del modo di “fare

industria” →TQM ( Total Quality Management).

1.1 Qualità, difettosità e oltre

• Punto di partenza : “La Qualità è idoneità all’uso” Due domande

1) Chi definisce l’idoneità all’uso? 2) Come la si misura?

Risposte:

1) Senza dubbio, è IL CLIENTE. Troppo spesso il prodotto è giudicato “idoneo” soltanto dal produttore/progettista. Un prodotto può essere rifiutato non per “mancato funzionamento”, ma perché non risponde a qualche “aspettativa” del cliente.

2) Si può provare a quantificare le FUNZIONI del PRODOTTO: ad esempio elencandole: F. d’uso( utilizzabilità effettiva…)

F. di gradimento (v. appetibilità da parte del cliente)

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Economia applicata all’Ingegneria- Schemi delle lezioni A9 - La qualità: vantaggio competitivo

F. dimensionali ( geometriche, peso…) F. di imposizione (v. eventuali norme di legge) …

e poi attribuendo loro un peso. In questo modo risulterebbe possibile “misurare” le aspettative del mercato stesso ( aspettative del cliente che devono essere soddisfatte dal costruttore).

• Supponendo di avere misurato una funzione di prodotto, si deve ora tener presente che:

una data FUNZIONE è → ATTESA dal cliente (Fa) → REALIZZATA dal produttore (Fr) → PERCEPITA dal cliente (Fp). Il cliente sarà tanto più soddisfatto quanto più la funzione è realizzata come lui la “attende” e

tanto più quanto da lui è percepita. Per questo, la QUALITA’ si definisce anzitutto come:

la misura con la quale un prodotto/servizio risponde alle funzioni attese dal cliente

• Si può rappresentare l’evoluzione del concetto di QUALITA’ nel tempo, in funzione dei valori (crescenti sull’asse x) di Fr/Fa, nel modo seguente:

Q. tangibile Q. intangibile Q. T.

campo delle difettosità 0 campo del valore percepito 1 ∞

Ciò non vuol dire, ovviamente, che non si debba più fare il controllo della difettosità, ma che si

deve andare oltre.

⇒ La competizione industriale è oggi basata anzitutto sulla riduzione della difettosità, ma assume importanza sempre crescente puntare sul valore globale percepito dal cliente nel prodotto.

⇒ Non basta più migliorare l’efficienza della produzione: l’obiettivo principale è l’aumento dell’efficacia.

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Economia applicata all’Ingegneria- Schemi delle lezioni A9 - La qualità: vantaggio competitivo

1.2 Qualità e costi • In azienda si sanno in genere conoscere e calcolare i costi dovuti alla difettosità del prodotto

(Costi della NON- QUALITÀ). Più difficilmente si sa risalire alle loro cause.

• Esiste in ogni Azienda una sorta di “fabbrica Nera” che è caratterizzata dal fatto di assorbire soltanto risorse senza produrre valore: è la “fabbrica dei Costi della NON-QUALITA’“.

• Occorre in particolare tener presente che i “Costi della NON-QUALITÀ“ rilevabili direttamente sono l’effetto della difettosità: ricercandone le cause, si scopre che queste risiedono in tutta l’Azienda, e anche all’esterno (v. Fornitori, ad esempio).

• Occorre allora impostare correttamente il Sistema Qualità, esteso a tutta l’Azienda, che deve coinvolgere tutte le Funzioni Aziendali, tutte le persone operanti nell’azienda, nonché tutti i rapporti con l’esterno.

• Le contromisure a disposizione dell’Azienda sono sostanzialmente:

1) LA PREVENZIONE ( difettosità):

− ha come obiettivo quello di minimizzare i costi della NON-QUALITA’. (E’ illusorio eliminarli: contro il 6-13% visto per l’Italia, i valori statistici attuali in USA e Giappone sono rispettivamente 4,5% e 1,5-2,5% del Fatturato);

− l’operazione ha dei costi, a sua volta, ma con adeguata programmazione degli investimenti si possono ottenere, a m. t., ottimi risultati.

2) LA QUALITA’ TOTALE a livello di Gestione Az.

(TOTAL QUALITY MANAGEMENT)

per IL CLIENTE

Circa il T.Q.M. è da ricordare che la vera e propria “rivoluzione” nel modo di gestire l’azienda è

basata sul principio che ciascuna delle operazioni che costituiscono un “processo” aziendale (p. es. un trasferimento di materiale da una Funzione Az. ad un’altra ) avviene “tra un fornitore dell’operazione seguente e un cliente dell’operazione precedente”.

Vengono cioè trasferiti all’interno dell’azienda tutti i concetti e gli strumenti visti per i rapporti con i clienti esterni: QUALITA’ DELLA FORNITURA, FUNZIONI DI PRODOTTO, DIFETTOSITA’, ecc…

Ciò comporta il coinvolgimento diretto del personale operativo negli obiettivi della qualità.

1.3 Il controllo statistico di qualità

Il Controllo Statistico di Qualità (CSQ) consiste nella verifica quantitativa dello scostamento della produzione da un certo livello di qualità preventivato.

Il concetto di qualità qui perseguito nasce dall’esigenza di ottenere il giusto equilibrio fra il costo necessario per conseguire una certa qualità e il valore della stessa ai fini commerciali.

Ciò vuol dire che non si intende perseguire la qualità in assoluto, intesa come assenza di difettosità, ma solo controllare che la difettosità non superi un certo valore limite.

In pratica, la qualità viene definita, in questo caso, come percentuale di pezzi difettosi che si può tollerare in relazione all’economicità della lavorazione successiva (le perdite economiche conseguenti alla difettosità residua sono giustificate dall’aumento del costo necessario per

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Economia applicata all’Ingegneria- Schemi delle lezioni A9 - La qualità: vantaggio competitivo

eliminarle). In relazione a questo concetto, i controlli di qualità dovranno essere quelli strettamente necessari al fine di contenere i relativi costi entro i limiti prefissati.

Più precisamente, mentre il livello di qualità è rappresentato dalla percentuale di pezzi difettosi presente nel lotto in esame, si definisce livello di qualità accettabile (LQA) la percentuale di scarti ammessa per l’accettazione del lotto stesso.

Il C.S.Q. si basa sull’applicazione del calcolo delle probabilità e in particolare sulle distribuzioni notevoli di probabilità (Bernoulli, Poisson, Gauss). 2 - NORME E CERTIFICAZIONE

L’importanza della qualità come fattore essenziale di sopravvivenza e sviluppo dell’azienda è ormai riconosciuta universalmente. Tale riconoscimento trova giustificate ragioni anche nel fatto che in molti settori ormai la qualità in senso tecnico è divenuta, secondo le normative vigenti (ISO, UNI etc.) un requisito irrinunciabile per la commercializzazione dei prodotti. Tappe storiche ♦ 1900 – 1930 La qualità nasce negli USA negli anni ‘30 e si pone come obiettivo la realizzazione di prodotti che abbiano “caratteristiche standard” tali da poter raggiungere il maggior numero di consumatori. ♦ 1940 – 1950 Diffusione negli USA del “controllo statistico della qualità (C.S.Q.)”, per controllare la difettosità del prodotto durante il processo e non alla fine del ciclo di lavorazione. ♦ 1985 Le direttive CEE dovranno contenere solo requisiti di sicurezza, salute, protezione ambientale e protezione del consumatore e non più regole tecniche. L’emanazione delle regole e norme tecniche è demandata ad organismi riconosciuti: CEN e CENELEC comunitari, UNI e CEI per l’Italia. ♦ 1987 Approvazione dell’Atto Unico Europeo ed introduzione del Mercato Unico Europeo. ♦ 1989 La direttiva 83/89/CEE sancisce l’obbligo della mutua informazione in materia di normativa tecnica tra i paesi membri. Dal 1989 i laboratori ed organismi di certificazione, certificheranno prodotti, servizi e sistemi di qualità aziendali, in base a procedure valevoli su tutto il territorio del Mercato Unico.

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Economia applicata all’Ingegneria- Schemi delle lezioni A9 - La qualità: vantaggio competitivo

Quadro della normativa vigente nel settore qualità e suo campo di applicazione Il sistema normativo è stato suddiviso in due grandi settori: il settore elettrico, da una parte, e tutti gli altri settori, dall’altra.

Tabella 1 - Organismi preposti all’emanazione della normativa sulla qualitàLivello Settore elettrico Altri settori

Internazionale IEC ISO

Europeo CENELEC CEN

Nazionale CEI UNI

Tabella 2 - Organismi e relative funzioni Organismo Funzione

ISO International Standardization Organization

Organizzazione Internazionale per la Normazione, elabora norme applicabili a tutti i settori

IEC International Elettrotechnical Commission

Elabora norme applicabili al settore elettrico

CEN Comitato Europeo di Normazione

Armonizza le norme internazionali emanate da ISO e diffonde le norme armonizzate attraverso EN

CENELEC Comitato Europeo di Normazione Elettrotecnica

Armonizza le norme internazionali emanate da IEC e diffonde le norme armonizzate attraverso CEN

UNI Ente Nazionale Italiano di Unificazione

E’ membro ISO e di CEN

CEI Comitato Elettrotecnico Italiano

E’ membro IEC e UNI

Quadro della normativa ISO Le norme emanate dall’ISO sono molteplici e fanno riferimento a diversi aspetti. Ogni norma emanata dalla ISO viene poi diffusa ed armonizzata dal CEN e poi dal UNI: è così che la norma diventa “UNI EN ISO….”. Nella Tabella 3 si elencano le più rilevanti delle norme ISO, armonizzate dalla CEN e diffuse in Italia come UNI.

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Economia applicata all’Ingegneria- Schemi delle lezioni A9 - La qualità: vantaggio competitivo

Tabella 3 - Le principali norme ISO

Numero Descrizione UNI EN ISO 8402 Termini e definizioni della qualità

UNI EN ISO 9001: 1994 Sistema di gestione per l’assicurazione della qualità nella progettazione, sviluppo, fabbricazione, installazione ed assistenza

UNI EN ISO 9002: 1994 Sistemi di gestione per l’assicurazione della qualità nella produzione, installazione e assistenza

UNI EN ISO 9003: 1994 Sistema qualità per l’assicurazione della qualità nelle prove, collaudi e controlli

UNI EN ISO 14001 Sistemi di gestione ambientale (SGA) UNI EN ISO serie 14020 Etichette ambientali di prodotto UNI EN ISO serie 14040 Life Cycle Assessment

Le norme ISO serie 9000 Regolano la qualità del sistema aziendale e costituiscono il fondamento indispensabile per un’efficace e corretta gestione aziendale che garantisca al cliente il rispetto dei requisiti concordati in fase contrattuale, quanto a requisiti tecnici, tempi di consegna, caratteristiche di prodotto o servizio, ecc. Le norme ISO serie 9000 non costituiscono uno standard di prodotto ma regola per il funzionamento aziendale nelle fasi di realizzazione del prodotto/servizio, assicurando al cliente il rispetto di quanto pattuito. Le ISO serie 9000 si prefiggono l’obiettivo della riduzione dei costi interni di produzione, attraverso una corretta ed efficiente gestione aziendale e dei cicli di lavorazione. La revisione delle norme UNI EN ISO serie ISO 9000 è la norma ISO 9001: 2000, VISION 2000.

U N I E N IS O 9 0 0 1 : 2 0 0 0U N I E N IS O 9 0 0 1 : 2 0 0 0V IS IO N 2 0 0 0V IS IO N 2 0 0 0

U N I E N IS O 9 0 0 2 : U N I E N IS O 9 0 0 2 : 1 9 9 41 9 9 4 U N I E N IS O U N I E N IS O

9 0 0 3 : 1 9 9 49 0 0 3 : 1 9 9 4

U N I E N IS O 9 0 0 1 : U N I E N IS O 9 0 0 1 : 1 9 9 41 9 9 4

Figura 1 - Il passaggio alla VISION 2000

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Economia applicata all’Ingegneria- Schemi delle lezioni A9 - La qualità: vantaggio competitivo

Le norme ISO serie 14000 Le norme ISO della serie 14000 si riferiscono all’ “ambiente”: si passa dai sistemi di gestione ambientale all’analisi di ciclo di vita (LCA). La norma UNI EN ISO 14001, Sistemi di Gestione Ambientale, è oggi estremamente interessante e fondamentale. Le imprese si trovano di fronte a consumatori sempre più “ambientalmente” esigenti, si richiede che l’azienda ed i prodotti rispettino i requisiti non solo specifici e cogenti, ma che la gestione della produzione sia improntata allo sviluppo sostenibile. L’applicazione di un SGA da parte delle imprese presenta diversi vantaggi:

♦ spingersi in nuovi mercati “verdi”; ♦ rispettare la normativa ambientale vigente e anzi anticiparla; ♦ migliorare i rapporti con la Pubblica Amministrazione e le comunità locali; ♦ ridurre i consumi di risorse ed energia; ♦ ridurre la produzione di rifiuti e favorire meccanismi di recupero e riciclo; ♦ ridurre i costi aziendali.

L’applicazione di un SGA non è statica nel tempo, ma segue i mutamenti e le trasformazioni aziendali e della normativa vigente, ed insegue l’obiettivo del miglioramento continuo.

A N A L ISI A N A L ISI A M B IE N T A L EA M B IE N T A L E

PO L IT IC A

PIA N IFIC A ZIO N E

A T T U A ZIO N E

C O N T R O L L O

M IG L IO R A M E N T O M IG L IO R A M E N T O C O N T IN U OC O N T IN U O

Figura 2 - Il miglioramento continuo

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Economia Applicata all’Ingegneria – Schemi delle lezioni A10 - Sistema Fiscale e costo del lavoro

A10 - SISTEMA FISCALE E COSTO DEL LAVORO 1 - PREMESSA • Relazioni tra FISCO e LAVORO

FISCO ENTRATE DELLO STATO → Servizi Pubblici / Servizi “Sociali”⇒

• Richiami sulla storia del WELFARE STATE = reazione costruttiva alle disfunzioni del sistema capitalistico in campo sociale.

• Evoluzione storica dell’atteggiamento degli imprenditori nei confronti della previdenza

sociale e del costo del lavoro, in generale. Prosecuzione del dibattito sulla “Spirale perversa salari - inflazione”. Rilievo dell’aspetto “occupazione”, oggi, nel sistema produttivo.

• Significato attuale di Previdenza e Assistenza. 2 - FISCO / SISTEMA FISCALE 2.1 Le entrate dello Stato a) TRIBUTARIE: ∗ tasse

∗ imposte ∗ contributi (tributari)

“fisco” propriamente

detto sistema fiscale:

b) CONTRIBUTI SOCIALI:

∗ previdenza ∗ assistenza

c) EXTRATRIBUTARIE: ∗ canoni ∗ fatturato di imprese a

partecipazione statale ∗ interessi su prestiti ∗ vendita beni

patrimoniali

La spesa pubblica è stata, nel 2002, di circa 620 miliardi di Euro, pari al 49% del PIL. La quota corrispondente alle “spese di protezione sociale” si aggira sul 26% del PIL, ed è pertanto di circa 330 miliardi. Sempre nel 2002 le entrate tributarie sono state di 336 miliardi di Euro correnti, pari al 27% del PIL. I contributi sociali sono ammontati a circa 190 miliardi.

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Economia Applicata all’Ingegneria – Schemi delle lezioni A10 - Sistema Fiscale e costo del lavoro

• Definizione di TASSE: corrispettivi per servizi “divisibili” (richiesti dai cittadini). • Definizione di IMPOSTE: prelievi incondizionati, a copertura dei servizi “indivisibili”.

• Significato di CONTRIBUTI SOCIALI →

previdenzaassistenza

(“contributi” = copertura parziale, a carico dei privati) ∗ I Servizi Sociali sono gestiti (in Italia) dallo Stato, con “contributi” dei privati (Imprese e

Lavoratori) e con partecipazione dello Stato (da “Imposte”). ∗ Problema dell’inefficienza costi maggiori;

problema delle mancate / insufficienti contribuzioni private.

Il debito pubblico è in gran parte causato dallo sbilancio dei servizi previdenziali e assistenziali.

2.2 I principi del sistema fiscale

certezza equità

fin da A. Smith: → semplicità economicità

• La nostra Costituzione sancisce:

∗ la legalità (certezza) del prelievo fiscale (art. 23); ∗ l’equità del prelievo (art. 53), stabilendo che le imposte devono essere commisurate alla

“CAPACITA’ CONTRIBUTIVA”, e che il sistema deve essere PROGRESSIVO. ∗ In particolare deve valere il principio che le imposte devono gravare sui redditi e devono

crescere (più che proporzionalmente) al crescere di questi. Inoltre devono tener conto della situazione personale dei singoli contribuenti.

∗ In realtà le IMPOSTE si applicano sia sui redditi che sul patrimonio (entrambi danno la

misura della “capacità contributiva”). 2.3 Imposte dirette e imposte indirette

• Devono colpire la “capacità contributiva” (misurata da reddito e patrimonio):

∗ direttamente → Imposte “dirette - su reddito / patrimonio - pagate dal percettore / proprietario

∗ indirettamente → Imposte “indirette” - su manifestazioni indirette del reddito - pagate anche da altri soggetti (per

conto del destinatario diretto)

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Economia Applicata all’Ingegneria – Schemi delle lezioni A10 - Sistema Fiscale e costo del lavoro

2.3.1- LE PRINCIPALI IMPOSTE DIRETTE

IRPEF : “Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche. E’ la più importante.

E’ progressiva in base ad “aliquote a scaglioni “ ∗ interessa tutte le persone fisiche e le Società di persone; ∗ si applica su: Reddito complessivo netto personale = ∑ Redditi Netti

[Reddito Netto = Reddito Lordo – Spese sostenute per produrlo] tenendo conto di: a) Categorie di redditi: ∗ fondiari

∗ di capitali

* di lavoro ♦ autonomo ♦ dipendente

∗ di impresa ∗ diversi

b) Spese di produzione del reddito: ∗ da calcolo analitico

∗ da calcolo forfettario ∗ determinate in misura fissa

(per lavoratori dipendenti)

∗ Calcolo dell’imposta (indicativo!):

1) Reddito complessivo netto Le deduzioni riducono l’imponibile; - Deduzioni sono “oneri deducibili”, ad es., i

contributi previdenziali e assistenziali obbligatori.

= Reddito Imponibile (R.I.)

2) R.I. x aliquota (a scaglioni) = Imposta Lorda

3) Imposta Lorda - “Detrazioni” Le detrazioni riducono l’imposta;

sono detraibili, ad es., le quote per famigliari a carico, le spese mediche, gli interessi passivi su alcuni mutui, le tasse universitarie, …

= IRPEF (La detrazione avviene però in misura limitata: 19 % dal 1998)

4) IRPEF - Ritenute d’Imposta (eventuali) = Imposta da pagare

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Progressività: aliquote a scaglioni.

Suddivisione in scaglioni di reddito e relative aliquote per la dichiarazione dei redditi del 2002:

Reddito Aliquote

Fino a 15.000 € Da 15.000 € a 29.000 € Da 29.000 € fino a 32.600 € Da 32.600 € fino a 70.000 € Oltre 70.000 €

23 % 29 % 31 % 39 % 45 %

Ogni anno,con la “finanziaria”, si fissano aliquote, deduzioni e detrazioni (oppure si confermano i valori precedenti).

Il gettito IRPEF è attualmente pari a circa un terzo del totale delle entrate tributarie, che ammontano, a loro volta, a circa un terzo del PIL.

2.3.2- LE ALTRE IMPOSTE DIRETTE

IRPEG : Imposta sul Reddito delle Persone Giuridiche.

∗ E’ proporzionale (aliquota fissa, per l’anno 2002 pari al 34%). ∗ Si applica alle Società di capitali, alle Cooperative ed agli Enti pubblici (commerciali e

non). Le Società pagano l’IRPEG sui redditi d’impresa. Il Reddito imponibile si valuta, come per l’IRPEF, a partire dal Reddito netto, attraverso correzioni (fissate dalle norme fiscali) che possono essere in riduzione o in aumento.

∗ Il dividendo distribuito da società che hanno pagato l’IRPEG ha diritto ad un “credito d’imposta” (pari a 9/16 dell’importo) detraibile dall’IRPEF. In questo caso l’IRPEG funziona come “acconto” dell’IRPEF. Se invece gli utili non sono distribuiti oppure sono incassati da un’altra Società, non si hanno ulteriori imposizioni.

DIT = DUAL – INCOM – TAX

∗ Per agevolare gli investimenti, dal 1998 è stata introdotta una riduzione al 19 % dell’IRPEG su parte del reddito di impresa: la parte attribuibile al rendimento finanziario del nuovo capitale investito; la parte rimanente viene tassata con l’aliquota piena. Da questo deriva il nome della nuova imposta

IRAP : Imposta Regionale sulle Attività Produttive.

Introdotta dal 1° gennaio 1998. E’ pagata da imprenditori, professionisti e datori di lavoro. L’ imponibile in questo caso non è costituito dal “reddito”, ma va calcolato in base a un criterio che costituisce assoluta novità: è infatti rappresentato da uno speciale “valore della produzione” ottenuto sottraendo ai ricavi il costo di beni e servizi pagati all’esterno (v. “valore in entrata” nel calcolo del Valore aggiunto) e l’ammortamento. L’aliquota è fissa e pari al 4.5 %. L’IRAP sostituisce 6 precedenti imposte o tasse (la principale è l’ILOR).

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Oltre alle precedenti, che sono “imposte sul reddito”, esistono anche imposte sul patrimonio. La più importante è l’ ICI : Imposta Comunale sugli Immobili

Si calcola in base ad un’aliquota, fissata da ciascun Comune fra il 4 ed il 7 per mille, applicata al valore catastale dell’immobile (fabbricato, terreno agricolo o area fabbricabile).

2.3.3– LE IMPOSTE INDIRETTE

IVA : Imposta sul Valore Aggiunto.

∗ E’ la seconda più importante imposta in assoluto, per gettito. ∗ E’ proporzionale ma con più aliquote, corrispondenti a diverse categorie di prodotti

classificati in base al diverso “grado di necessità”. Dalle tre aliquote originarie, si era passati a nove, per poi scendere a 5 (adeguamento CEE) e tornare a 3 attualmente: 5; 10; 20 %.

∗ L’IVA deve gravare sul consumo (è a carico dei consumatori) ma viene pagata in ogni operazione di acquisto / vendita; per questo il meccanismo di applicazione è il seguente:

Si paga l’IVA su tutto il valore acquistato e si incassa l’IVA su tutto il valore venduto; la differenza si versa allo Stato.

Altre IMPOSTE INDIRETTE (a titolo di esempio):

∗ Imposta di registro (per trascrizione / registrazione di atti pubblici). ∗ Imposta di bollo (su cambiali, assegni, ... ). ∗ Imposte ipotecarie e catastali. ∗ Imposta di fabbricazione (su oli minerali, zucchero, alcolici … ). ∗ Imposte di concessione governativa (dovrebbero essere chiamate “tasse”): riguardano

patenti, licenze, brevetti, abbonamento RAI-TV, ... ∗ Tassazione delle Imprese per l’Imposta di concessione governativa, a titolo di quota

d’iscrizione iniziale e per gli anni successivi a titolo di quota annua.

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3 - IL LAVORO E IL SUO COSTO 3.1 Generalità Lavoro: è il principale fattore di produzione. (= attività dell’uomo diretta al conseguimento di un’utilità → attività economica). Quello del lavoro è un tema di importanza fondamentale in azienda, anzitutto per gli aspetti economici, ma anche per:

∗ rapporti interpersonali e ∗ problemi sindacali.

. • Per quanto riguarda gli aspetti economici,la prestazione di lavoro (dipendente) è compensata dal

salario o stipendio (retribuzione “a tempo”, in linea di principio). Però la “paga”, e cioè la retribuzione percepita direttamente del lavoratore, è solo una parte del costo complessivo che l’Impresa deve sostenere per la prestazione di lavoro. E’ questo costo complessivo che occorre conoscere per valutare la quota dovuta alla voce “manodopera” nella formazione del costo di produzione. Per questo è importante ricordare la seguente definizione convenzionale:

COSTO DEL LAVORO = costo complessivo che l’Impresa deve sostenere per poter usufruire della prestazione di lavoro dipendente.

Il costo del lavoro, in generale, si valuta, per ciascun lavoratore, in base a qualifica, specializzazione, tempo impiegato.

Occorre pertanto conoscere: ∗ categorie dei prestatori di lavoro; ∗ regolamentazione dei rapporti di lavoro; ∗ modalità (regole) per la remunerazione oraria.

• Per la regolamentazione di tutti i temi del lavoro occorre far riferimento a:

∗ CONTRATTI DI LAVORO ∗ STATUTO DEI LAVORATORI

3.2 Contratti di lavoro collettivi

∗ I Contratti di lavoro collettivi sono stipulati tra Organizzazioni Sindacali nazionali dei Datori di lavoro e Organizzazioni Sindacali dei Lavoratori.

∗ Per l’Art. 39 della Costituzione hanno validità “erga omnes” .

In base all’accordo sul costo del lavoro del luglio del 1993, la contrattazione collettiva si sviluppa su due livelli: nazionale e aziendale o territoriale. I contratti collettivi non possono derogare a norme di legge, ma soltanto regolamentare situazioni di miglior favore per il lavoratore.

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3.2.1 - OGGETTO DEI CONTRATTI COLLETTIVI DI LAVORO

Per ognuna delle diverse categorie di lavoratori (sono oltre 450!) è previsto un Contratto collettivo di lavoro. Alcuni Contratti interessano più categorie. I Contratti di lavoro collettivi riguardano in primo luogo le retribuzioni (paga base, straordinari, gratifiche, aumenti periodici per anzianità, etc.), ma anche le condizioni generali di lavoro, cioè l’orario e le modalità delle prestazioni lavorative, la classificazione delle mansioni e i loro rapporti con le retribuzioni, le ferie, i permessi retribuiti, etc. Con l’accordo del 1993 è stata abolita la “scala mobile”, cioè il sistema di adeguamento automatico delle buste paga all’incremento annuale del costo della vita: da allora gli aumenti retributivi stabiliti in occasione dei rinnovi contrattuali tengono conto dei tassi d’inflazione programmata fissati ogni anno per decreto dal Governo.

3.2.2 - STATUTO DEI LAVORATORI (“Statuto dei diritti dei lavoratori”, L. 20/5/1970 n. 300)

Tutela: a) Libertà e dignità dei lavoratori b) Libertà sindacale c) Attività sindacale d) Norme sul Collocamento.

3.2.3 - CATEGORIE DI PRESTATORI DI LAVORO

(in base a consuetudine): 1. OPERAI 1.1 INTERMEDI 2. IMPIEGATI fuori elenco: 3. QUADRI APPRENDISTI 4. DIRIGENTI (6 mesi - 4 anni)

1) OPERAI •

manovale

- comune - qualificato

operaio - comune - qualificato - specializzato

2) IMPIEGATI con mansioni - d’ordine - di concetto - direttive

3) QUADRI pur non essendo dirigenti, svolgono con continuità funzioni di rilevante importanza in relazione a sviluppo e fini dell’Impresa

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Per quanto riguarda i dirigenti, in base alla giurisprudenza, le caratteristiche fondamentali previste dal loro contratto di lavoro sono: • collaborazione immediata con l’Imprenditore per la gestione aziendale; • ampia autonomia; • livello gerarchico superiore a tutti (o quasi); • responsabilità diretta verso l’Imprenditore.

Oggi in alcuni settori si ha una “classificazione unica”, senza più distinzione fra operai e impiegati: i lavoratori vengono classificati in base a “profili professionali”. 3.3 Gli elementi del costo del lavoro

La retribuzione del lavoro, intesa come l’insieme di tutti i compensi dovuti al lavoratore per la sua prestazione, è composta da vari elementi che possono essere classificati in modi diversi: l’importante, per l’Azienda, è prenderli in considerazione tutti, al fine di poter calcolare correttamente il costo vero del lavoro. Il problema principale della corretta valutazione è dovuto al fatto che il lavoratore riceve compensi, con motivazioni diverse e in tempi diversi, non direttamente correlati con l’effettivo lavoro svolto. Inoltre questi compensi non gli arrivano solo dall’Azienda, ma anche dallo Stato. La situazione è poi ulteriormente complicata dalle formalità burocratiche relative alla gestione delle paghe e dei contributi, per cui è necessario cercare di fare chiarezza. Conviene incominciare a suddividere la retribuzione complessiva del lavoro, in base alle modalità e ai tempi di effettuazione, nelle seguenti tre parti:

a) Retribuzione diretta (corrisposta in genere mensilmente) b) Retribuzione indiretta (corrisposta in genere annualmente) c) Retribuzione differita (corrisposta alla conclusione del rapporto di lavoro)

a) diretta: (voci tipiche:)

3 minimo contrattuale (tabellare) 4 superminimi 5 anzianità (scatti) 6 contingenza 7 cottimo (“incentivo”) 8 mensa 9 straordinario

“paga base”

b) indiretta: 10 mensilità aggiuntive 11 premi di produzione (annuali) 12 festività infrasettimanali 13 permessi retribuiti (10 + 10 + 2 ore) 14 infortuni 15 ferie 16 assegni familiari 17 altre indennità

c) differita: 18 TFR (trattamento di fine rapporto) (1) 19 pensione (2)

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Economia Applicata all’Ingegneria – Schemi delle lezioni A10 - Sistema Fiscale e costo del lavoro

(1) commisurato a 1135. ⋅ Retribuzione annua × n.° anni di lavoro; indicizzato.

(2) pensione di vecchiaia: - richiede un minimo di anzianità contributiva; - è indicizzata; - è commisurata alla retribuzione percepita negli ultimi anni della vita

lavorativa.

• La copertura delle varie voci della “retribuzione” complessiva avviene in parte a carico dell’Impresa (COSTO DEL LAVORO propriamente detto), in parte a carico dello STATO. Formalmente partecipa alla copertura dei compensi indiretti e differiti anche il lavoratore stesso, con “trattenute” sulla sua “busta paga”: ciò è dovuto alla struttura del Sistema previdenziale e assistenziale e alle modalità burocratiche di pagamento dei relativi contributi sociali, ma in effetti anche la quota cosiddetta “a carico del lavoratore”, come tutta la restante parte della busta paga, fa parte del “costo del lavoro” sostenuto dall’Impresa..

3.3.1- CONTRIBUTI E ONERI SOCIALI.

• Per sostenere la spesa dello Stato per la Previdenza Sociale e l’Assistenza, i privati “contribuiscono” con 2 quote: CONTRIBUTI SOCIALI: 1 quota a carico del lavoratore (1) (propriamente detti) 1 quota a carico dell’imprenditore (2) (1) viene trattenuta sulla busta paga e versata all’Ente previdenziale dall’Azienda; (2) viene versata direttamente dall’Azienda allo Stato.

• Le imprese sostengono inoltre in proprio altri “ONERI” : (3) TFR, mensa, asili nido, colonie, etc...

• Lo Stato a sua volta si accolla una quota della spesa complessiva da sostenere per la

previdenza e l'assistenza (circa il 12%), per cui si parla di fiscalizzazione degli oneri sociali (cioè quota di oneri sociali pagata con le entrate fiscali s.s.)

3.3.2 – IL COSTO DEL LAVORO Da quanto detto, risulta chiaro che il costo del lavoro in un determinato periodo di tempo per un determinato operaio può essere calcolato con precisione solo conoscendo esattamente tutte le voci di costo che l’azienda deve sostenere per la prestazione lavorativa di quella specifica persona nello stesso periodo di tempo. Da questo calcolo si potrà poi ricavare il costo orario, dividendo il costo complessivo ottenuto per il numero di ore effettivamente lavorate nel periodo considerato. Per avere un’idea dell’entità del costo del lavoro è pertanto necessario fare riferimento a dati medi, come quelli forniti dall’OCSE (1997) riguardanti retribuzioni e tassazione di un operaio italiano del settore manifatturiero senza carichi familiari, in base ai quali si ha la situazione illustrata nelle righe seguenti.

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Economia Applicata all’Ingegneria – Schemi delle lezioni A10 - Sistema Fiscale e costo del lavoro

• Premesso che il termine “Retribuzione lorda” rappresenta la voce della busta paga dalla quale si ricava la “Retribuzione netta” (cioè il denaro che va effettivamente in tasca al lavoratore) in base al seguente schema di massima:

Retribuzione Lorda

- Contributi a carico del lavoratore = Reddito imponibile

- IRPEF = Retribuzione Netta

• Fatta 100 la Retribuzione lorda (annuale) , risulta:

Retribuzione Netta + IRPEF + Contrib.

Lavorat. + Oneri a carico Impresa

(Contributi, TFR etc.)

73,5 16,5 10 46

Retribuzione Lorda = 100

= COSTO DEL LAVORO

146

Dunque il Costo del lavoro risulta pari al 146 % della Retribuzione lorda

e al 200% della Retribuzione netta. Si può anche dire che il Costo del lavoro risulta composto: per il 50% circa da Retribuzione netta per il 30% circa da Oneri sociali a carico dell’Impresa per il 20% circa da IRPEF e Contributi a carico del lavoratore.

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A11 - ECONOMIA E AMBIENTE – Parte I 1 - PREMESSA

• Considerazioni sui termini ECONOMIA ed ECOLOGIA: contrasto fra teoria (etimologia) e realtà attuale.

• Il problema ambientale nasce da esigenze divergenti della produzione e della tutela

ambientale in tema di USO DELLE RISORSE NATURALI (acqua, aria, territorio, minerali, ... ).

DUE ASPETTI: 1. Consumo di risorse non rinnovabili

fondamentali 2. Inquinamento (di acqua, aria; rifiuti, ... )

• Per capire le origini del problema è necessario analizzare il ruolo delle risorse naturali nella teoria economica classica.

1.1 L’ottica pre-industriale

• La “territorialità” = correlazione fra sviluppo e disponibilità di risorse di un dato territorio; è tipica del passato. Studi recenti dimostrano che antiche civiltà si sono sviluppate e hanno prosperato fin quando hanno saputo gestire bene le risorse del territorio di loro competenza, mentre hanno cominciato a declinare fino a scomparire quando queste risorse sono venute a mancare.

• I Fisiocratici: valorizzano gli aspetti sostanziali della produzione; la loro teoria è basata sul

contatto diretto con la natura: l’unica “produzione” che si realizza è quella agricola. 1.2 L’ottica dei Classici e il modello di sviluppo industriale

• Nella teoria economica classica si rileva una “mistificazione” terminologica: - si chiama “produzione” ciò che in realtà è trasformazione; - si chiama “consumo” la trasformazione di merci in rifiuto; tutto questo perché ciò che conta non è la sostanza ma il valore condensato nelle merci: si produce / consuma valore.

• La territorialità si perde: il territorio è solo un supporto fisico sul quale uomini e risorse si

spostano per consentire l’ ”allocazione ottimale” delle risorse. • E’ il mercato che automaticamente, attraverso i prezzi, provvede all’allocazione ottimale delle

risorse, e cioè fa in modo che le risorse vengano utilizzate e consumate in misura maggiore o minore a seconda della loro minore o maggiore scarsità.

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Economia Applicata all’Ingegneria - Schema delle lezioni A11 - Economia e Ambiente - I

Ma occorre tener presente che: 1) il mercato conosce solo le risorse che hanno valore di scambio, e quindi non può gestire i

“beni liberi” come l’aria e l’acqua, se non hanno un prezzo; 2) la “scarsità” non coincide necessariamente con la rarità effettiva, e cioè con la limitatezza

fisica della risorsa: una risorsa può essere resa scarsa artificiosamente senza essere rara, mentre una risorsa limitata (come quella mineraria) può non essere scarsa sul mercato.

⇒ da tutto questo discende che nell’evoluzione dell’economia industriale:

∗ sono rimasti a lungo “nascosti” i problemi ambientali (a causa della stessa teoria economica);

∗ quando sono esplosi i problemi, ci si è accorti della difficoltà, se

non impossibilità, di gestirli da parte della teoria classica, perché questa trattava come prive di valore di scambio o illimitate le risorse naturali e non poteva quindi inserirle come tali nel meccanismo di autoregolazione del mercato.

• La teoria classica ha affrontato i problemi dell’ambiente attraverso l’integrazione nel mercato degli effetti esterni delle attività economiche: → internalizzazione delle esternalità. Ciò significa, ad es., dare un prezzo ai beni “liberi” (aria, acqua, … ) diventati “scarsi” e tenerne conto nel calcolo dei costi di produzione.

In sintesi, l’approccio della teoria classica ai problemi dell’ambiente è reso difficile dalle seguenti considerazioni:

a) le risorse naturali sono limitate, e tra queste c’è anche la capacità di assorbimento dei rifiuti (di ogni genere) da parte dell’ecosistema;

b) fattori come acqua, aria, spazio, ... , coinvolti nel sistema produttivo, non possono essere

gestiti dall’economia di mercato se non hanno un valore (di scambio); c) le leggi economiche che si sono dimostrate idonee per l’allocazione ottimale delle risorse

“scarse” non è detto che funzionino ugualmente bene per le risorse “limitate”.

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Economia Applicata all’Ingegneria - Schema delle lezioni A11 - Economia e Ambiente - I

2 - IL CONSUMO DI RISORSE NATURALI NON RINNOVABILI ( 1° aspetto del problema ambientale) 2.1 Premessa

• Richiami sul significato dei termini

∗ RISORSE: v. significato generale per l’economia; ∗ RISORSE NATURALI in senso stretto = MATERIE PRIME MINERARIE (m.p.m.,

oggetto di questo capitolo). ∗ RISORSE NATURALI in senso lato: comprendono anche le risorse senza valore di

scambio (aria, acqua, ... ) (se ne parlerà nel 2° aspetto del problema ambientale).

• Caratteristiche economiche rilevanti delle m.p.m.: ∗ localizzazione, ciclicità della produzione; ∗ esauribilità, non riproducibilità; ∗ concentrazione geografica, strategicità; ∗ sostituibilità, recuperabilità; ∗ necessità (m.p. di base).

Queste caratteristiche, variamente combinate tra di loro, hanno riflessi sulla struttura della domanda e dell’offerta, e quindi sul mercato, giustificando la peculiarità della parte dell’economia che se ne occupa: l’Economia mineraria.

2.2 L’economia mineraria (in sintesi)

CAP I: Il significato economico dei minerali. • Ruolo dei minerali nella storia:

importante in ogni epoca (uso minerali ≅ evoluzione tecnologica), diventa determinante con la rivoluzione industriale: i minerali hanno ruolo strategico nel “Modello di Sviluppo Industriale”.

• Ruolo attuale dei minerali nell’economia:

ancora rilevante, come è dimostrato dai dati quantitativi e qualitativi di: produzione, consumo e valore della produzione: - mineraria

- dell’industria manifatturiera

• Ordini di grandezza di:

∗ produzione e consumi annui pro capite: 10 t/ab. (USA); ∗ produzione e consumi annui totali: 10 109⋅ t; ∗ valore globale della produzione: ~ PIL Italia.

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Economia Applicata all’Ingegneria - Schema delle lezioni A11 - Economia e Ambiente - I

• Commento agli andamenti (dati statistici) di:

∗ produzione mondiale dei principali metalli (Fig. 1):

∗ consumi ed intensità d’uso dei metalli in Italia (Fig. 2): significato corretto del fenomeno

della “dematerializzazione” dell’Economia.

Fig. 2: Andamento dei consumi di alluminio e rame (a sinistra) e dell’intensità d’uso degli stessi metalli (destra) in Italia dal 1967 al 1986.

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Economia Applicata all’Ingegneria - Schema delle lezioni A11 - Economia e Ambiente - I

• Ruolo dei minerali nei singoli sistemi economici:

∗ E’ piccolo il valore della produzione mineraria, anche in grandi Paesi minerari: l’ordine

di grandezza è inferiore all’ 1% del PIL, ma rilevante l’effetto moltiplicatore nell’industria di trasformazione (1 ordine di grandezza maggiore).

CAP II: L’approvvigionamento delle materie prime minerarie

• L’origine del problema:

∗ necessità delle materie prime (INPUT del sistema); ∗ impossibilità dell’autosufficienza → necessità del commercio internazionale delle

materie prime minerarie (costituiscono la maggior parte di tutto il tonnellaggio).

Per impostare il problema occorre partire dalla: • Disponibilità globale di materie prime minerarie.

La disponibilità degli elementi minerali nella litosfera, non è uniforme: dal punto di vista economico interessano le anomalie di questa distribuzione = giacimenti minerari.

• Definizione di: ∗ giacimento minerario ∗ RISERVE e RISORSE Richiede due parametri: ∗ grado di conoscenza geologica

∗ grado di fattibilità economica. Rappresentazione grafica di Riserve e Risorse (Fig. 3); utilità dell’impostazione ai fini del dibattito sulla disponibilità fisica delle risorse.

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Economia Applicata all’Ingegneria - Schema delle lezioni A11 - Economia e Ambiente - I

• “Politiche minerarie” = strategie dei governi intese a risolvere il problema dell’approvvigionamento, cioè ad assicurare la regolarità delle forniture al sistema.

Tengono conto di: • aspetti tecnici (criticità del fabbisogno in relazione agli impieghi)

• aspetti geopolitici (dipendenza dalle importazioni)

Consistono in: • programmi operativi diretti a:

1. Conoscenza e valorizzazione delle risorse

nazionali; 2. Predisposizione di strumenti per l’approvvigiona-

mento all’estero: - collaborazioni tecnico-economiche; - contratti a medio-lungo termine; - accordi internazionali (es.: conferenza di Lomé,

per la UE). 3. Strumenti di regolarizzazione del mercato.

CAP III: L’azienda mineraria ed il mercato delle materie prime minerarie • Caratteristiche generali:

∗ necessità di ottica sovranazionale (il prezzo è internazionale per i prodotti di interesse

non solo locale); ∗ sia l’offerta che la domanda generalmente sono rigide; ∗ mercato non “libero” perfettamente, spesso oligopolistico, ma è difficile il suo controllo

da parte dei produttori; ∗ rendita mineraria: è tipica, in conseguenza della diversità di condizioni produttive (costi)

e della ~ unicità del prezzo.

• Caratteristiche del prezzo:

∗ tipico andamento oscillatorio, specialmente nel breve periodo (v. Fig. 4): è dannoso [ incertezza] sia per consumatori che per produttori; →

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Economia Applicata all’Ingegneria - Schema delle lezioni A11 - Economia e Ambiente - I

Fig. 4.

∗ difficoltà → impossibilità di previsione nel breve e nel lungo periodo → tentativi di regolarizzazione, con: cartelli, stock dei consumatori, stockpile strategici pubblici.

• I mercati reali (M. fisici; Borse merci - M. Spot e futures). Alcuni sono di riferimento mondiale (es. LME, London Metal Exchange).

• L’Economia mineraria consente di comprendere i termini del problema dell’esaurimento

delle risorse naturali. 2.3 Esaurimento delle risorse naturali e teoria economica • Nascita del problema e sua impostazione iniziale

∗ “Scoperta” della limitatezza delle risorse (v. I limiti dello sviluppo, Club di Roma - MIT, 1970).

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Economia Applicata all’Ingegneria - Schema delle lezioni A11 - Economia e Ambiente - I

∗ Si delinea lo scontro tra due opposte posizioni:

1. “C’è da preoccuparsi del pericolo dell’esaurimento” (Visione pessimistica / anche: “Economia della navicella spaziale”/).

2. “La tecnologia compenserà sempre l’esaurimento” (Visione ottimistica / anche: “Economia della frontiera”/).

A sostegno della posizione 1.:

⇒ crescita esponenziale dei consumi di materie prime minerarie (anni ’60)

incompatibile coi limiti naturali delle risorse;

⇒ i meccanismi di mercato (strumenti umani per gestire le risorse “scarse”) non sono efficienti per gestire le risorse limitate: non impediscono l’esaurimento; infatti:

∗ il risparmio economico non è risparmio di materiali; ∗ la domanda di materie prime minerarie è rigida; ∗ il prezzo potrà diventare altissimo, ma troppo tardi

→ il futuro è apocalittico.

A sostegno della posizione 2.: ⇒ il produttore tende (per convenienza) a sottosfruttare le risorse; ⇒ al diminuire dell’offerta cresce il prezzo e diminuiscono i consumi (la

diminuzione dello stock è rallentata);

92

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Economia Applicata all’Ingegneria - Schema delle lezioni A11 - Economia e Ambiente - I

⇒ il consumatore ricorre ai prodotti sostitutivi (con la tecnologia); ⇒ quando anche la m.p.m. si esaurisse, a quel punto non sarebbe più una “risorsa”

per l’Economia → il futuro è roseo , grazie alla cieca fiducia nella tecnologia. 2.4 Critica delle posizioni estremistiche e conclusioni.

• Le carenze del Modello previsionale MIT - Club di Roma:

∗ è modello statico e deterministico:

⇒ non tiene conto del significato corretto di Riserve / Risorse; ⇒ non attribuisce il giusto ruolo alla tecnologia ⇒ non considera fattori “contingenti”, cioè nuovi rispetto al passato (es.: la

reazione alle crisi energetiche);

→ la situazione (come dimostrato fino ad oggi) non è così apocalittica come il modello ha prospettato.

• Gli effetti positivi dell’allarme esaurimento:

∗ ha portato a riconoscere che:

⇒ la tecnologia può consentire la sostituzione ma non impedisce l’esaurimento

delle risorse;

⇒ se ci si deve preoccupare dell’esaurimento, non sono i tradizionali meccanismi di mercato che possono impedirlo;

⇒ non preoccuparsi dell’esaurimento equivale a: - non preoccuparsi del consumo di capitale naturale; - non preoccuparsi della sua disponibilità per le generazioni future (che

potrebbero trovare anche altri usi delle risorse); - non preoccuparsi della sua disponibilità per i Paesi che ancora devono

avviare o completare il processo di industrializzazione (anche solo per gli impieghi storici)

• Conclusioni:

Il problema non si limita quindi allo scontro tra pessimisti e ottimisti. Assume aspetti che vanno ben oltre i limiti dell’economia (non solo tradizionale) fino a comprendere questioni ecologiche, sociologiche, etiche. Di tutto questo si deve tener conto per comprendere il significato dell’attuale impostazione dei problemi di economia ambientale, basata sulla filosofia della produzione sostenibile, e degli strumenti di gestione che da questa derivano.

93

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Economia Applicata all’Ingegneria - Schema delle lezioni A12 - Economia e Ambiente - II

A12 - ECONOMIA E AMBIENTE – Parte II 1 - L’INQUINAMENTO ( 2° aspetto del problema ambientale) 1.1 Premessa: le esternalità negative e costi sociali Con il termine “inquinamento” comprendiamo la maggior parte delle esternalità ambientali negative. Le esternalità negative possono essere definite come: i danni procurati a terzi da un soggetto nel corso della sua attività senza che esista alcun tipo di accordo tra le parti (nel senso che il danneggiato non desidera il danno e il danneggiatore non lo paga). Sono quindi effetti economici non richiesti da chi li riceve e non pagati da chi li provoca. Come conseguenza delle esternalità negative nascono i costi sociali, diversi dai costi privati in quanto comprendono le esternalità. L’esistenza dei costi sociali sta a indicare che la società civile sopporta costi e danni non risarciti. Ad esempio, un’impresa che inquina l’aria impone un’esternalità negativa ad ogni persona che la respira e ad ogni altra impresa, le cui apparecchiature si deteriorano più rapidamente in conseguenza dell’inquinamento. I costi sociali sono allora :

costi dovuti soltanto all’attività dell’uomo, evitabili con opportuni interventi, rigettati dall’azienda produttrice su terze persone o sulla società in genere.

Alcune esternalità sono generate dai produttori, altre dai consumatori. Nella maggior parte dei casi l’interferenza negativa avviene però – come nell’esempio fatto - da parte di un soggetto nei confronti della collettività, cioè nei confronti di soggetti non identificati, come nei tanti casi noti di gravi danni sociali, tra cui:

- distruzione parziale dello strato di ozono; - disastro di Cernobyl; - maree nere da naufragio di petroliere.

Se ne deduce quindi che il problema principale legato alle esternalità negative è dovuto al fatto che chi produce il danno non sopporta la totalità dei suoi costi. Risulta pertanto necessario studiare gli interventi attuabili per ovviare a questa disfunzione. 1.2 Internalizzazione delle esternalità Gli effetti delle esternalità, e dei conseguenti costi sociali, sulla produzione aziendale e sui suoi costi possono essere rappresentati graficamente. Nella Fig. 1 sono rappresentate le curve di domanda e di offerta di mercato, quest’ultima sotto forma di curva dei costi marginali di produzione. Se non sono presenti esternalità, l’equilibrio efficiente si realizza nel punto A, rappresentato dalla quantità prodotta qo e dal prezzo po.

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Economia Applicata all’Ingegneria - Schema delle lezioni A12 - Economia e Ambiente - II

In presenza di un’esternalità negativa, si manifesta un costo marginale sociale superiore al costo marginale dei produttori. Ora, se il costo sociale fosse addossato all’azienda che ne è responsabile – cioè, se l’impresa dovesse incorporare nei suoi costi di produzione anche i costi del proprio inquinamento – questo farebbe risalire la curva dei costi, come riportato in figura. In tal caso il livello di produzione efficiente si sposterebbe in C, dove la produzione è q1 < qo e il prezzo p1 > po. Questa operazione viene definita internalizzazione delle esternalità.

q0 q1

P0

P1

B

A

C D

Costi prezzi

quantità di inquinamentoproduzione

domanda

costo marginale privato

costo marginale sociale

Fig. 1 Con il principio dell’ internalizzazione delle esternalità l’economia classica ha affrontato e cercato in vari modi di risolvere i problemi relativi all’inquinamento, ma le difficoltà che si sono presentate e persistono tuttora sono molteplici. Oltre alle difficoltà di imputazione del danno, esistono infatti notevoli problemi connessi a: Individuazione/ conoscenza del danno Quantificazione del danno Modalità di rimuovere il danno.

La conoscenza del danno risulta spesso difficile per il fatto che per molti prodotti nuovi il danno è ignoto, e sono numerosi gli esempi di prodotti i cui danni sono stati riconosciuti dopo molto tempo (es. DDT, CFC, amianto). La quantificazione del danno risulta spesso più difficile della precedente, anche perché il danno si manifesta spesso su beni liberi che non hanno prezzo di mercato. Quanto al modo di rimuovere il danno, se questo è di lieve entità si può pensare di rimborsare i danneggiati, o intervenire per minimizzare gli effetti. Ma in molti casi ciò non è possibile, in quanto l’ipotesi di continuità della “funzione di danno” (relazione fra quantità di inquinamento e costi) non sempre si verifica nella realtà: spesso si arriva ad un “punto di rottura” di equilibri naturali, per cui il danno diventa irreversibile.In questi casi non si può far altro che vietare la produzione e l’uso del prodotto che genera il danno. Nonostante le difficoltà, sono stati proposti molti strumenti per risolvere il problema delle esternalità: alcuni di questi sono rimasti a livello teorico, altri sono strumenti di applicazione pratica.

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Economia Applicata all’Ingegneria - Schema delle lezioni A12 - Economia e Ambiente - II

1.3 Strumenti per affrontare le esternalitá a) SOLUZIONI PRIVATE

a.1 – Le sanzioni sociali Si potrebbe pensare di risolvere il problema inculcando valori sociali nei soggetti coinvolti. Ma le sanzioni sociali che consentono di far rispettare questi valori non sono sufficienti, nella stragrande maggioranza dei casi, per avere ragione delle esternalità che emergono nella società moderna. In particolare è facile che gli interessi economici della produzione riescano a prevalere sugli altri valori. a.2 – Diritti di proprietà dei beni liberi Si potrebbe anche pensare di assegnare ai privati cittadini il diritto di proprietà, ad esempio sull’aria pura. Il direttore di una fabbrica inquinante dovrebbe allora contrattare con i residenti nelle vicinanze il prezzo da pagare per il livello di inquinamento provocato: dal confronto fra questo prezzo e il costo delle apparecchiature disinquinanti si potrebbe raggiungere il livello ottimale di inquinamento. Il problema si risolverebbe quindi con i meccanismi del mercato. Ma questo vale solo in teoria. In pratica il problema è reso molto più complesso da:

- possibilità reale di negoziazione dei privati, specie se nei confronti di imprese di grandi dimensioni;

- difficoltà di individuare le parti danneggiate (a causa, ad es., dell’estensione nello spazio e nel tempo di certi tipi di inquinamento; oppure a informazione incompleta).

Di fatto le soluzioni private, coerenti con i principi rigorosi del libero mercato, hanno dimostrato scarse possibilità di successo, per cui è ormai riconosciuto unanimemente che soluzioni efficaci possono ottenersi soltanto con l’intervento dello Stato.

b) STRUMENTI CON INTERVENTO DELLO STATO

Occorre premettere che l’obiettivo dell’autorità preposta al controllo dell’inquinamento non è in ogni caso quello di eliminare totalmente l’inquinamento stesso, ma quello di individuare le misure necessarie perché gli interventi di disinquinamento si stabiliscano a quel livello che corrisponde al minimo costo per la collettività. Ciò significa che risulta corretto confrontare costi e benefici del controllo dell’inquinamento, prendendo atto che esiste un livello efficiente di inquinamento. Il problema sorge dal fatto che i produttori, non tenendo conto delle esternalità che impongono, finiscono per provocare un livello di inquinamento eccessivamente alto. L’autorità non può eliminarlo totalmente, ma ha il compito di indurre individui e imprese a comportarsi in modo da raggiungere un livello socialmente efficiente. Gli strumenti “pubblici” per realizzare nella pratica l’internalizzazione si basano sul principio dell’inquinatore pagatore, che stabilisce che debba pagare il danno chi inquina. Tale principio fa assumere il costo aggiuntivo al produttore dell’inquinamento, il quale non potrà far altro che scaricarlo sul prezzo del prodotto. A questo punto, l’eventuale “punizione” per l’inquinatore spetta al consumatore. L’unico obbligo che la norma impone al produttore è quello di rivelare nel prezzo tutti i costi di produzione, compresi quindi quelli dovuti all’inquinamento: il

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Economia Applicata all’Ingegneria - Schema delle lezioni A12 - Economia e Ambiente - II

consumatore potrà allora decidere di non comprare, o di comprare quantità minori di prodotto inquinante. Ma anche questo principio non risolve molti problemi, come ad es. quello della concorrenza internazionale tra paesi con normative ambientali diverse (⇒ diversi costi di produzione); il principio è inoltre inapplicabile in certi casi, come per esempio nell’inquinamento da attività agricole (per ragioni sia fisiche che economiche). • In figura 2 è riportata la rappresentazione grafica di una situazione di inquinamento in cui si introduce una funzione di costo sociale calcolata in base al costo privato più il costo di trattamento degli scarichi. L’andamento è supposto lineare con il livello di inquinamento e con la produzione. Questa funzione consente di individuare il grado di inquinamento (q*) al di là del quale è socialmente conveniente intervenire con il trattamento degli scarichi.

q*

P*

q3 q2 q1

P3 P2

P1 domanda

Costi prezzi

D C

B costo marginale sociale con trattamento dei rifiuti

Quantità di inquinamento produzione

costo marginale privatoA

costo marginale sociale senza trattamento

Fig. 2. • In figura 3, dove è rappresentata un’ipotetica situazione di un’industria (A) a monte, che inquina l’acqua utilizzata da un’industria (B) a valle:

Costi

P1

CmRm

Inquinamento residuo

C+R Cm = costo marginale dovuto all’inquinamento subito da (B) Rm = costo marginale di disinquinamento sostenuto da (A) C1

Fig. 3

Per ottimizzare socialmente la situazione si dovranno minimizzare i costi complessivi di (A) e (B): per questo si dimostra che deve essere Cm = Rm; il valore “ottimale” di inquinamento si ha cioè all’intersezione delle due curve di costo marginale. • L’applicazione pratica dell’internalizzazione

Gli strumenti di intervento si suddividono in due categorie:

1. Strumenti di regolamentazione diretta, detti norme di comando-controllo, che prevedono imposizioni di STANDARD;

2. Strumenti di regolamentazione indiretta, di tipo economico-finanziario, che prevedono CANONI o TASSE sull’inquinamento prodotto, PREMI per riduzione di inquinamento, VENDITA DI DIRITTI a inquinare.

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Economia Applicata all’Ingegneria - Schema delle lezioni A12 - Economia e Ambiente - II

Nel primo caso l’autorità competente fissa un determinato valore di inquinamento (Standard) che impone per legge di rispettare: si tratta ad es. di un valore di concentrazione di una data sostanza inquinante da non superare nelle emissioni. E’ lo strumento più diffuso in assoluto nel mondo ed è il solo applicabile in casi di inquinamento molto gravi, ma presenta gravi inconvenienti a causa della mancanza di flessibilità → impedisce la minimizzazione dei costi, per cui è senza dubbio lo strumento più inefficiente. Nel secondo caso gli strumenti si dimostrano assai più efficienti, in quanto tengono conto del fatto che i costi di internalizzazione sono molto diversi da soggetto a soggetto, e che conviene convincere a disinquinare chi ha costi minori, lasciando scaricare (a pagamento, naturalmente) chi ha costi maggiori. Se la tassa da pagare (Canone) è fissata correttamente, si potrà ottenere il livello voluto complessivo di disinquinamento al costo più basso possibile. • A titolo di esempio, si riporta (Fig. 4) lo schema illustrativo del sistema del canone:

Rm

C1 C2

P2P3 P1

Cm

C3

Costi di riduzione dell’inquinamento Cm = costo o danno di

inquinamento per le vittime Rm = costo di riduzione dell’inquinamento

Inquinamento residuo

Fig. 4 Il canone (per unità di inquinamento rilevato) è fissato pari a . c1

In questo modo si costringe (per convenienza economica) l’azienda inquinante a ridurre l’inquinamento fino a . In , infatti, il canone da pagare sarebbe superiore al costo marginale di riduzione dell’inquinamento.

p1 p2

Ovviamente l’azienda ridurrebbe le spese di disinquinamento da a se si trovasse invece in .

c3 c1

p3

Qualunque sia il sistema adottato, la chiave dell’internalizzazione è sempre, in questi casi, la convenienza economica (del privato e della comunità), e quindi il principio base dell’economia di mercato.

Conclusioni

Considerando i limiti e i problemi di tutti i metodi visti, si può comprendere il motivo per cui la teoria economica classica - e in particolare la teoria marginalista - è stata ritenuta insufficiente a gestire i problemi ambientali (con particolare riguardo a quelli dell’inquinamento); infatti:

• il principio “bene / interesse privato = bene / interesse pubblico” entra in crisi quando si devono gestire costi sociali;

• la tutela dell’ambiente è sempre più un fatto di responsabilità collettiva, da trattare con strumenti di politica economica più che con meccanismi di mercato.

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Economia Applicata all’Ingegneria - Schema delle lezioni A12 - Economia e Ambiente - II

2 - VERSO UN’ECONOMIA ECOLOGICA Il primo passo per cercare di conciliare le posizioni estremistiche sui problemi dell’ambiente è quello di ammettere la necessità di ampliare la visuale dal SISTEMA PRODUTTIVO in senso stretto al SISTEMA PRODUTTIVO ALLARGATO, comprendente tutte le risorse naturali, in input e output:

CAPITALE LAVORO

INPUT risorse

naturali

PRODUZIONE (agricoltura e industria)

OUTPUT beni CONSUMO

FINALE

AMBIENTE rifiuti rifiuti

fattori ambientali

Fig.5 - Sistema produttivo allargato. Questo è necessario perché, per comprendere i problemi ambientali, è indispensabile tener conto del funzionamento dell’ ECOSISTEMA naturale:

ENERGIA SOLARE

PRODUTTORI

(mondo vegetale)

FATTORI ABIOTICI

CONSUMATORI 1 (erbivori)

CONSUMATORI 2

(carnivori)

ALTRI

CONSUMATORI (uomo)

DECOMPOSITORI

ENERGIA TERMICA AD ALTA ENTROPIA

Fig. 6 - Ecosistema

Qui un ciclo naturale di trasformazioni provvede a restituire al sistema abiotico ogni forma di materia prodotta dagli agenti biotici. Il ciclo è chiuso, a parte l’energia.

100

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Economia Applicata all’Ingegneria - Schema delle lezioni A12 - Economia e Ambiente - II

A differenza di questo, nel sistema produttivo “umano” il “ciclo” non è propriamente tale: non si chiude; questo perché è diversa la scansione temporale dei processi produttivi e delle trasformazioni dei prodotti. Né la materia né l’energia sono equivalenti in entrata e in uscita. Un contributo alla migliore comprensione di questi problemi viene dalla: ◊ BIOECONOMIA ≅ proposta di avvicinamento dell’economia alle scienze naturali.

Disciplina che ha come base l’interpretazione termodinamica del rapporto uomo - ambiente.

• Consente di interpretare in senso moderno la teoria dei Fisiocratici: ∗ il “prodotto netto” è energia biologica (a bassa entropia); ∗ il mondo vegetale è l’unica fonte di questa energia, indispensabile alla vita, quindi è

nell’agricoltura l’unica vera produzione; ∗ il consumo (anche quello di risorse non rinnovabili) è trasformazione di energia da

bassa ad alta entropia, come pure tutte le trasformazioni energetiche non biologiche.

• In base ai principi della teoria termodinamica, in particolare esistono limiti invalicabili alle operazioni di:

- riciclaggio; - disinquinamento; - sostituibilità delle risorse naturali

perché il costo energetico di queste operazioni è crescente e non avrebbe senso superare il limite oltre il quale le risorse ottenibili sarebbero inferiori a quelle impiegate.

◊ LO SVILUPPO SOSTENIBILE

L’Economia dell’ambiente, sviluppo dell’economia tradizionale, ha dimostrato i suoi limiti, e non esiste ancora una nuova teoria in grado di coniugare Economia ed Ecologia. L’unica strada percorribile al momento è quella dello Sviluppo sostenibile:

∗ E’ una nuova filosofia / un nuovo modo di vedere le vicende economiche; ∗ nasce in ambito ONU: commissione Bruntland / 1987; ∗ è una proposta di inversione di tendenza rispetto all’economia tradizionale che

privilegia il presente rispetto al futuro: è una critica al modello di sviluppo industriale e al meccanismo di mercato;

∗ è una proposta per un miglior livello culturale dell’economia.

Il suo obiettivo generale:

assicurare lo sviluppo delle generazioni presenti senza mettere a rischio le generazioni future.

Per quanto detto, risulta necessario, per realizzare lo Sviluppo sostenibile, affrontare i problemi ambientali in ambito macroeconomico (la microeconomia non basta). Diversamente sarebbero inevitabili “errori di composizione”.

101

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Economia Applicata all’Ingegneria - Schema delle lezioni A12 - Economia e Ambiente - II

• Gli strumenti dello Sviluppo sostenibile:

∗ ANALISI ENERGETICA / BILANCI ENERGETICI

- Consentono di evidenziare aspetti essenziali di economia ambientale che resterebbero

nascosti dai prezzi di mercato. - Costituiscono l’elemento centrale di stima per l’ECOLABEL. - Sono necessari per interpretare correttamente i contenuti energetici di IMPORT e

EXPORT (responsabili in parte dell’effetto di riduzione dell’intensità energetica nelle economie dei paesi industrializzati).

∗ LCA [Life Cycle Assessment] ed Ecobilanci: sono dirette derivazioni dell’analisi energetica ma assumono un significato nuovo e importante per il principio che li ispira:

affrontare unitariamente tutti i processi riguardanti una materia prima, un materiale, un prodotto (o una struttura produttiva) “dalla culla alla tomba”.

E’ dalla progettazione che è possibile individuare: - strategie di risparmio di materiali e energia; - strategie di sostituzione; E’ dall’ottica complessiva che si può ottenere il controllo delle interazioni con l’ambiente.

◊ Spunti conclusivi di meditazione.

• Capitale naturale: è lo stock limitato di risorse naturali. Solo apparentemente è un “dono gratuito” della natura. Qualcuno ha proposto di considerarlo “patrimonio comune dell’umanità”.

• Crescita e sviluppo: possono essere diversi i significati tradizionali e quelli futuri;

∗ crescita: (= incremento del PIL in economia industriale) in economia è sempre un bene, in ecologia c’è un limite;

∗ sviluppo: nella tradizione è il passaggio da un’economia agricola ad un’economia industriale; è anche sinonimo di benessere, omologato al modello industriale; si può ripensare a questo significato.

• Sviluppo sostenibile: è necessario chiarire bene il significato che si vuole attribuire ai termini,

oltre che le modalità per conseguirlo:

Sviluppo = deve essere anche qualitativo; Sostenibile = richiede la fissazione di criteri chiari. Per es.: - costanza del capitale naturale rinnovabile;

- uso prudente del capitale naturale non rinnovabile. Importante è l’inversione di rotta rispetto all’andamento attuale.

102

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Economia Applicata all’Ingegneria - Schema delle lezioni A12 - Economia e Ambiente - II

• Tempi diversi, in corrispondenza delle diverse attività (lavori) che interessano l’ecosistema:

Tempi storici 10 102 ÷ 3

6

7

anni lavori umani; Tempi biologici 10 105 ÷ anni lavori di altre specie viventi; Tempi geologici 10 106 ÷ anni lavori del mondo abiotico (per es.: tempi

necessari per la formazione del petrolio).

E’ l’interazione delle varie attività, ciascuna con i suoi tempi, che crea le condizioni - in equilibrio precario ma stabilissimo - in cui si può realizzare la vita.

• Incertezza, limite, complessità = caratteristiche di cui occorre tener conto nella relazione società umana - ambiente.

→ prudenza (e non cieca fiducia nelle capacità della natura, oppure della tecnologia, di

risolvere i problemi) nel valutare le conseguenze sull’ambiente di certe azioni, specialmente quando le azioni sono numerose e concomitanti.

Conclusioni

L’ECONOMIA ECOLOGICA potrà essere la scienza della gestione della terra estesa a tutto il mondo vivente.

Il suo obiettivo: l’ottimizzazione dell’uso delle risorse scarse del pianeta, garantendo la coesistenza ordinata di tutti gli esseri viventi.

• Ripensando all’evoluzione socio-economica, questa si può rappresentare:

Società agricola → Società industriale → Società post-industriale ?

è un’evoluzione caratterizzata da crescita continua del fabbisogno energetico. ⇒ una strada particolarmente interessante di “sviluppo”:

agire sul binomio ENERGIA - INFORMAZIONE (che, aggiungendo la MATERIA dà la “RISORSA”) cercando di ridurre sempre più l’Energia a favore dell’Informazione.

Questo vorrebbe anche dire: speranza di CRESCITA DELLA QUALITA’ DELLA VITA.

103

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Economia Applicata all’Ingegneria - Schemi delle lezioni

PARTE B

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Economia Applicata all’Ingegneria B1 -Numeri Indici

B1 - NUMERI INDICI E SERIE STORICHE

1 - INDICI

I numeri indici (o semplicemente «indici») vengono comunemente impiegati per rappresentare l’evoluzione nel tempo di grandezze economiche quali i prezzi e la produzione industriale, ma sono utili in generale per la rappresentazione e l’analisi di qualsiasi serie di valori numerici di cui si vogliano studiare l’andamento e le variazioni.

Nel caso più semplice e con riferimento a grandezze che variano nel tempo, un numero indice è dato dal rapporto fra il valore della grandezza in un dato momento e quello della stessa grandezza in un momento assunto come base. In tal modo l’indice del valore base risulterebbe uguale ad 1. Per convenzione, l’indice base si pone però più spesso pari a 100, oppure 1000, oppure 10.000, a seconda della precisione desiderata.

L’utilità degli indici risiede nel fatto che, sostituendosi ai valori numerici assoluti delle grandezze che rappresentano, consentono maggior immediatezza e notevoli semplificazioni nei calcoli delle relative variazioni, nonché nelle operazioni di confronto fra serie di valori di grandezze non omogenee.

Se si mantiene immutata la base di riferimento, il numero indice viene detto a base fissa; se al contrario la base viene variata di volta in volta, l’indice viene detto a base mobile. 1.1 Numeri indice a base fissa

Ad esempio, dato Pn, prezzo di una merce nel periodo considerato, e P0 prezzo della stessa merce nel periodo assunto come base, si definisce:

- indice semplice dei prezzi Ip = (Pn/P0) ⋅ 100

Lo stesso indice può essere costruito con le quantità prodotte o con i valori di mercato di una data merce in due periodi di riferimento; avremo allora:

- indice semplice delle quantità Iq = (Qn/Q0) ⋅ 100

- indice semplice dei valori monetari Iv = (PnQn/ P0Q0) ⋅ 100

dove PnQn è il valore di una merce nel periodo dato e P0Q0 nel periodo base. Esempio 1.

Il prezzo medio dell’oro è stato: nel 1990 pari a 383,6 $/oz nel 1991 pari a 362,3 $/oz I1 = 94,5 indica una diminuzione del prezzo del 5,5%, nel 1991 rispetto al 1990.

Esempio 2.

Gli indici della produzione industriale nel 1991 e nel 1992 sono stati rispettivamente I1991 = 140; I1992 = 157 rispetto all’anno base 1985.

Si può dedurre che nel 1991 la produzione industriale è aumentata del 40% rispetto al 1985 e nel 1992 del 57% sempre rispetto al 1985.

Nel 1992 si è avuto invece un aumento (tasso di crescita) del 12,1% rispetto al 1991. Infatti è:

107

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Economia Applicata all’Ingegneria B1 -Numeri Indici

( ) ( ) ( ) ,V V

VI I

I2 1

1

2 1

1

157 140140

157140

1 0 121−

=−

=−

= − =

Esempio 3.

La produzione di una certa azienda è rappresentata dalla seguente serie di indici a base fissa:

1985 1986 1987 1988 1989 1990 1991 1992

100 113 125 150 153 166 170 181

Si richiede di: 1) costruire un grafico che rappresenti in scala l’andamento della produzione nel periodo

considerato; 2) valutare il corrispondente tasso medio annuo di crescita.

Mentre si suggerisce allo studente di eseguire l’utile esercizio 1), per quanto riguarda il punto 2)

si ha: (181/100 )- 1 = 81% di crescita complessiva in 7 anni. I tassi di crescita annuali sono invece i seguenti:

(113/100 )- 1 = 0,13; (125/113) - 1 = 0,106; (150/125) - 1 = 0,2; (153/150) - 1 = 0,02;

(166/153) - 1 = 0,085; (170/166) - 1 = 0,024; (181/170) - 1 = 0,064

la cui media è di 8,9%. Allo stesso risultato si arriva utilizzando la formula 181 = 100(1 + t)7.

1.2 Numeri indici composti a base fissa

Sovente è necessario conoscere di quanto sia variato in media il prezzo di un certo numero di beni presenti sul mercato in un dato periodo di tempo; in tal caso è necessario costruire un numero indice che esprima da solo la variazione di insieme dei prezzi dei beni considerati. Si possono seguire diversi criteri che portano ad indici con diversi significati:

• rapporto tra somme Σ prezzi di tutti i beni in un certo anno

Σ prezzi dei corrispondenti beni nell’anno base

in questo modo non si tiene però conto dell’importanza relativa dei diversi beni; • medie aritmetiche di indici semplici

Σ di tutti gli indici semplici dei prezzi dei beni considerati numero degli indici considerati

anche in questo caso non si tiene però conto della diversa importanza dei beni considerati; • medie ponderate di indici semplici In questo caso la media degli indici è caratterizzata dal fatto che l’indice dei prezzi semplice di

ogni merce è ponderato mediante il valore della merce stessa, dato dal prodotto di p per q. L’indice dei prezzi medi ponderati è pertanto:

Ip

np q pp

p q=⋅ ⋅ ⋅

∑∑

( ) (0 0

0

0 0

100)

108

Page 113: Dispense Eai

Economia Applicata all’Ingegneria B1 -Numeri Indici

1.3 Numeri indici a base mobile o variabile

La base è costituita di volta in volta dal valore della variabile nel periodo precedente quello considerato e quindi, ad esempio, per serie di valori annuali si ottengono dividendo il dato di ciascuno anno (prezzo, quantità, ...) per quello dell’anno precedente e moltiplicando per 100.

Esempio 4.

Il valore delle vendite di un’azienda è stato nei diversi anni (U.S. $): 1980 1981 1982 1983 1984 1985

14980 16433 20194 23015 23621 24009

I numeri indice a base mobile saranno quindi [es. 1981 = (16433/14980)•100]

1980 1981 1982 1983 1984 1985

- 110 123 114 103 102

Volendo passare ad un indice a base fissa dobbiamo applicare le due relazioni (con L si intende l’indice a base mobile e I il nuovo indice a base fissa):

1) In-1 = (In/Ln) ⋅100 per ciascun anno precedente l’anno base 2) In = (Ln ⋅ In-1) /100 per ciascun anno successivo all’anno base

Quindi mantenendo i dati dell’esempio precedente avremo (con 1982=100):

117100

114103

114100

114100

81100123100

1984

1983

1981

=⋅

=

=⋅

=

=⋅=

I

I

I

e così via. Riassumendo, si avrà:

1980 1981 1982 1983 1984 1985

74 81 100 114 117 119 1.4 Inflazione e costo della vita

L‘inflazione è il fenomeno per cui i prezzi di beni e servizi aumentano, per svariati motivi, in un determinato anno rispetto al precedente.

E’ un fenomeno che costituisce uno dei principali problemi economici degli ultimi decenni per tutti i sistemi economici ad economia di mercato, in quanto incide direttamente sul potere d’acquisto e penalizza in particolare chi percepisce un reddito fisso.

Il tasso di inflazione viene normalmente misurato dalla variazione percentuale di un determinato numero indice dei prezzi.

L’ISTAT pubblica diversi indici dei prezzi, tra cui l’«Indice dei prezzi al consumo per famiglie di operai e impiegati», l’indice dei prezzi al consumo dell’intera comunità nazionale e l’indice dei prezzi praticati dai grossisti. Si tratta di indici a base fissa, con base che viene aggiornata ogni tre o cinque anni.

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Economia Applicata all’Ingegneria B1 -Numeri Indici

In particolare è l’indice dei prezzi al consumo per famiglie di operai e impiegati che viene normalmente usato per misurare l’inflazione (oppure per quantificare il deprezzamento della lira che ne è conseguenza) in quanto è ritenuto particolarmente significativo ai fini della rappresentazione del fenomeno a livello nazionale.

Per quanto riguarda la costruzione dell’indice da parte dell’ISTAT, in ogni provincia si procede al calcolo degli indici elementari dei prezzi con riferimento alla media dei corrispondenti prezzi rilevati nell’anno base. Questi indici forniscono la misura della variazione nel tempo dei prezzi al dettaglio di un prefissato paniere di beni e servizi (oltre trecento, attualmente) correntemente acquistati dalle famiglie di lavoratori dipendenti non agricoli.

L’ISTAT pubblica annualmente la tabella dei coefficienti di trasformazione dei prezzi correnti (cioè relativi ai singoli anni) nei valori attuali; in base a questi coefficienti è in pratica possibile la rivalutazione «ufficiale» di una qualsiasi somma dal 1861 a oggi. Si allega l’ultima tabella pubblicata. Esempio 5.

Il tasso medio di inflazione in Europa (secondo l’Eurostat) ha avuto nei primi anni ’90 il seguente andamento percentuale

1990 1991 1992 1993

5,7 4,7 3,6 3,4

Si chiede di ricostruire la serie di valori dell’indice del costo della vita da cui derivano i tassi di inflazione considerando come anno base il 1989 (1989 = 100) , e di calcolare inoltre la serie degli indici a base mobile che rappresenti i tassi stessi.

Poiché ciascun tasso d’inflazione rappresenta l’incremento del costo della vita rispetto all’anno precedente, i corrispondenti indici si ricavano come segue:

I1990 = 105,7 I1991 = I1990 + 0,047× I1990 = 110,7 I1992 = I1991 + I1991×0,036 = 114,7 I1993 = I1992 + I1992×0,034 = 118,6 Gli indici a base mobile, tenendo presente il loro diverso significato, saranno invece dati dalle

seguenti espressioni: L1990 = (105,7/100)×100 = 105,7 L1991 = (110,7/105,7)×100 = 104,7 L1992 = (114,7/110,7)×100 = 103,6 L1993 = (118,6/114,7)×100 = 103,4.

110

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Economia Applicata all’Ingegneria B1 -Numeri Indici

2 - ANALISI DI SERIE STORICHE

Una serie storica è costituita dai valori di una grandezza osservati in un insieme di periodi (per es. anni) ordinati in modo sequenziale. E’ tale ad esempio la serie dei valori annuali delle vendite di un’azienda negli ultimi 10 anni, oppure le produzioni mensili del settore industriale tra il 97 e il 99, o i valori del PIL italiano degli anni ’80 e ’90.

L’analisi di una serie storica è il procedimento con cui si individuano e si isolano i fattori legati al tempo che influenzano i valori osservati: una volta individuati, questi fattori possono contribuire all’interpretazione dei valori storici e alla previsione dei valori futuri della serie.

Normalmente sono quattro i fattori (o componenti) che si prendono in considerazione:

- il Trend: rappresenta l’andamento generale in un periodo di tempo molto ampio («lungo termine» o «lungo periodo»);

- le Fluttuazioni cicliche: movimenti ricorrenti ascendenti e discendenti rispetto al trend, che hanno una durata di alcuni anni;

- le Variazioni stagionali: analoghi movimenti fluttuanti rispetto al trend, che giungono a compimento entro un anno e si ripetono annualmente;

- Movimenti erratici o irregolari: sono deviazioni irregolari rispetto al trend, che non si possono attribuire ai due tipi di fluttuazioni precedenti; sono in ogni caso da considerare tipiche del breve periodo.

Per ciascuna di queste componenti esistono specifici metodi di analisi. In questa sede prenderemo in esame l’analisi del trend e, per alcuni aspetti, quella delle variazioni stagionali. 2.1 L’analisi del trend

Quando è possibile ipotizzare un andamento lineare, il metodo più frequentemente utilizzato per individuare la componente di trend è il metodo dei minimi quadrati. Con questo metodo si determina l’equazione della linea di trend, ossia della retta che interpola nel modo migliore i valori della serie.

Questa retta ha la forma Y = a + bX

dove X rappresenta la variabile temporale, a rappresenta l’intercetta sull’asse delle ordinate e b il coefficiente angolare.

Il metodo dei minimi quadrati fornisce le seguenti espressioni per determinare i valori dei parametri a e b:

∑∑

−= 22 XnX

YXnYXb

i

ii

XbYa −= dove X = Σ(X/n); Y = Σ(Y/n) Nell’analisi di trend non lineare si impiegano spesso due tipi di curve : quella esponenziale e

quella parabolica. La tipica curva di trend esponenziale

Y = a(1+i)X indica un tasso di crescita i costante durante un periodo di X anni. La curva di trend parabolica è invece del tipo

Y = a + bX + cX2.

111

Page 116: Dispense Eai

Economia Applicata all’Ingegneria B1 -Numeri Indici

Esempio 6. Calcolare i parametri a e b della linea di trend rappresentata dalla retta di interpolazione

Y=a+bX, della seguente serie storica relativa alle produzioni di beni e servizi (dati in miliardi di lire).

Anni 70 71 72 73 74 75 76 77 78 79 80 valori 10431 11235 12979 18100 29053 27832 39843 46519 52559 70262 92717

E’ opportuno predisporre i calcoli nel seguente prospetto:

X Y X2 X⋅Y 70 10431 4900 730170 71 11235 5041 797685 72 12979 5184 934488 73 18100 5329 1321300 74 29053 5476 2149922 75 27832 5625 2087400 76 39843 5776 3028068 77 46519 5929 3581963 78 52559 6084 4099602 79 70262 6241 5550698 80 92717 6400 7417360

∑ Xi = 825 ∑ Yi = 441.530 ∑ Xi2 = 61.985 ∑ Xi⋅Yi =31.698.656

a = - 531.160 b = 7.581

2.2 Perequazione con medie mobili

Il trattamento delle fluttuazioni stagionali e irregolari di breve periodo viene effettuato utilizzando il metodo delle perequazioni con medie mobili.

Questo procedimento consente infatti, in generale, di smussare e anche eliminare gli scostamenti rispetto all’andamento medio di un determinato periodo mettendo quindi in evidenza, in questo periodo, l’andamento stesso del fenomeno nel suo complesso. Esso consiste nel sostituire ai valori osservati yi quelli y* ottenuti come medie di più valori contigui. Il numero n di valori compresi in ogni gruppo di cui si calcola la media stabilisce “l’ordine“ della perequazione.

Le medie mobili più utilizzate sono quelle di ordine dispari: 3,5,7,9.

Per ottenere i valori perequati con medie mobili di ordine n si procede nel modo seguente: siano y1, y2, y3, y4, y5, y6, y7, y8 i valori della variabile y da perequare.

I dati perequati con medie mobili di ordine 3 sono:

3321 yyy ++

; 3

432 yyy ++;

3543 yyy ++

; 3

654 yyy ++;

3765 yyy ++

; 3

876 yyy ++

Si noti che non è possibile ottenere i valori perequati per y1* e y8*. Questo è uno degli svantaggi

della perequazione: in generale in una perequazione con medie di 3 termini non si possono perequare 2 valori;

112

Page 117: Dispense Eai

Economia Applicata all’Ingegneria B1 -Numeri Indici

5 termini non si possono perequare 4 valori; e così via.

Esempio 7. Nella tabella seguente è riportato il valore del PIL nazionale per il periodo 1980-1993. Calcolare

con il metodo della perequazione con medie mobili di ordine 3 i corrispondenti valori perequati e riportarli in grafico.

Valori in migliaia di miliardi di lire correnti:

Anni PIL 80 381

81 458

82 536

83 620

84 711

85 795

86 882

87 954

88 1052

89 1150

90 1261

91 1367

92 1444

93 1483

I dati perequati corretti sono riportati nella seguente tabella:

458,33 y2 538 y3

622,3 y4

708,6 y5

796 y6

877 y7

962,6 y8

1052 y9

1154 y10

1259,3 y11

1357,3 y12

1431,3 y13

113

Page 118: Dispense Eai

Anni Coefficienti Anni Coefficienti Anni Coefficienti Anni Coefficienti

1861 7.663,7927 1901 7.116,9989 1941 1025,3402 1981 3,2730 62 7.617,3455 02 7.165,6899 42 887,1132 82 2,8132 63 7.845,5805 03 6.959,3688 43 528,9823 83 2,4465 64 8.067,1502 04 6.875,6127 44 119,0345 84 2,2124 65 8.204,0601 05 6.868,0984 45 60,4377 85 2,0373

1866 8.119,2636 1906 6.742,8219 1946 51,2102 1986 1,9201 67 7.924,7289 07 6.438,8422 47 31,5993 87 1,8354 68 7.617,3455 08 6.505,4969 48 29,8444 88 1,7487 69 7.571,4578 09 6.692,5559 49 29,4134 89 1,6403 70 7.463,5511 10 6.512,2383 50 29,8137 90 1,5460

1871 7.239,9885 1911 6.354,2063 1951 27,1742 1991 1,4529 72 6.406,0245 12 6.296,9038 52 26,0668 92 1,3783 73 6.042,6058 13 6.284,3100 53 25,5689 93 1,3228 74 5.900,7606 14 6.284,3100 54 24,8995 94 1,2727 75 6.890,6908 15 5.873,1869 55 24,2196 95 1,2080

1876 6.512,2383 1916 4.693,2860 1956 23,0716 1996 1,1627 77 6.259,2729 17 3.318,0095 57 22,6345 97 1,1429 78 6.498,7694 18 2.379,5191 58 21,5996 98 1,1227 79 6.580,4293 19 2.344,0172 59 21,6904 99 1,1052 80 6.347,7879 20 1.783,7951 60 21,1293 2000 1,0776

1881 6.786,5119 1921 1.507,7519 1961 20,5292 2001 1,0495 82 6.951,6704 22 1.516,8501 62 19,5330 02 1,0246 83 7.182,0686 23 1.525,6883 63 18,1674 03 1,0000 84 7.324,3706 24 1.473,8063 64 17,1505 85 7.165,6899 25 1.311,9645 65 16,4365

1886 7.173,8699 1926 1.216,2396 1966 16,1139 87 7.190,2860 27 1.330,2942 67 15,7980 88 7.100,9153 28 1.435,4294 68 15,5992 89 6.982,5667 29 1.412,8395 69 15,1732 90 6.742,8219 30 1.459,0922 70 14,4390

1891 6.764,5963 1931 1.615,0887 1971 13,7514 92 6.823,3550 32 1.658,5669 72 13,0199 93 6.974,8169 33 1.762,7798 73 11,7966 94 7.005,9197 34 1.858,7134 74 9,8762 95 7.045,1906 35 1.832,6947 75 8,4291

1896 7.076,9257 1936 1.703,9886 1976 7,2340 97 7.092,9007 37 1.556,6782 77 6,1253 98 7.045,1906 38 1.445,6660 78 5,4473 99 7.157,5285 39 1.384,5142 79 4,7066

900 7.125,0680 40 1.186,3904 80 3,8851

ISTAT03.02.2004

(a) Qualora la cifra originaria sia espressa in lire, mentre la cifra rivalutata debba essere espressa in euro, occorreràeffettuare prima la rivalutazione (moltiplicando per l'apposito coefficiente) e successivamente la conversione in euro(divisione per 1936,27); al contrario, se la cifra di partenza sia espressa in euro, la cifra rivalutata, con il coefficientedelle tavole, risulterà anch'essa in euro e quindi se occorresse esprimerla in lire sarà necessaria l'operazione inversa(moltiplicazione per 1936,27).

Coefficienti per tradurre valori monetari dei periodi sottoindicati in valori del 2003 (a)

114

Page 119: Dispense Eai

Economia Applicata all’Ingegneria B2 - Statistica descrittiva

B2- ORGANIZZAZIONE E RAPPRESENTAZIONE DEI DATI STATISTICA DESCRITTIVA

1 - GENERALITÀ SULLA STATISTICA

Ricordiamo che la statistica è la scienza che studia, con metodi matematici, fenomeni collettivi sulla base di rilevazioni di dati numerici relativi a casi singoli; quindi l'organizzazione e la rappresentazione delle osservazioni costituiscono una parte essenziale di ogni studio di tipo statistico.

E' detta statistica descrittiva la branca della statistica che ha per oggetto l'ordinamento e la descrizione di fenomeni quantitativi e qualitativi osservati.

Si definisce invece statistica induttiva quella che consente di fare previsioni o trarre conclusioni da un dato insieme di (poche) osservazioni (campione) riguardanti una popolazione o un universo.

Le origini della statistica possono essere trovate nel periodo 1600 - 1700 con la nascita degli Stati moderni per la necessità di misurare le risorse (popolazione, produzioni, import/export). Attualmente la statistica ha ancora un'importanza notevole "per lo Stato", per programmare e simulare (modelli econometrici) il funzionamento del sistema socio-economico attraverso macrovariabili quali la popolazione, la produzione, i consumi. Ma ha acquistato un ruolo importantissimo per le scienze in generale e per l'economia in particolare, come fondamentale strumento di analisi e di gestione.

L'economia si distingue dalle scienze "esatte" proprio perchè utilizza l'analisi statistica, che, come noto, è basata su leggi che ammettono eccezioni.

Per questo motivo, un supporto essenziale della statistica è costituito dal calcolo delle probabilità, ovvero dalla trattazione matematica delle grandezze aleatorie: questo consente di affrontare problemi di gestione aziendale, di ricerca scientifica e tecnologica, di studio di fenomeni legati all'ambiente caratterizzati dall'incertezza dei dati o dei risultati. Questo si verifica, ad esempio, quando si ha la necessità di assumere decisioni per il futuro, dal momento che tutto ciò che è futuro è incerto.

Nell'economia dell'ingegneria e nella gestione aziendale, la statistica è fondamentale nei capitoli: controllo di qualità, analisi di rischio e teoria delle decisioni. 2 - LA DISTRIBUZIONE DI FREQUENZA

In generale i dati da trattare sono i valori di una variabile. Questa può essere una caratteristica di

un determinato fenomeno che può assumere diversi valori costituenti quindi un insieme. Se la caratteristica è misurabile si parla di variabile quantitativa che può essere:

a - variabile discreta: se può assumere solo determinati valori isolati; b - variabile continua: se può assumere tutti i possibili valori reali entro un certo intervallo. Normalmente i dati disponibili, ad esempio quelli derivanti da un processo di misurazione, non

sono direttamente suscettibili di interpretazione, ma devono essere riordinati e riclassificati1. Il modo più consueto di ordinare i dati è detto "distribuzione di frequenza".

1 Come è noto si utilizza la metodologia statistica nei casi di misurazioni di grandezze fisiche. A questo proposito occorre distinguere tra i diversi tipi di errore che si possono incontrare: - sistematici: misurando ad esempio una temperatura con un termometro mal tarato o una corrente elettrica con un amperometro non azzerato; - accidentali o casuali: dovuti all’effetto di una qualsiasi perturbazione occasionale della strumentazione di misura o ad altre cause aleatorie; a questi ultimi tipi di errore si può ovviare con l’analisi statistica.

115

Page 120: Dispense Eai

Economia Applicata all’Ingegneria B2 - Statistica descrittiva

In una distribuzione di frequenza i dati vengono raggruppati per classi, ciascuna delle quali è caratterizzata dal numero degli individui presenti nella classe (frequenza), oltrechè dall'ampiezza, dagli estremi, dai confini e dal valore centrale dell'intervallo in cui cadono gli individui della classe stessa.

La distribuzione di frequenza di variabili discrete è dunque un procedimento di raggruppamento di dati che serve per rappresentare il modo secondo cui si manifestano le diverse modalità quantitative del fenomeno in studio; queste sono:

x1, ..., i singoli valori assunti dalla variabile. x2

N = numero di valori della variabile Ni , frequenza assoluta, il numero di individui nella classe; fi, frequenza relativa della classe, rapporto tra la frequenza assoluta e il totale dei valori

(individui) della variabile: fi = / N Ni

Fi, frequenza cumulata di una classe (assoluta o relativa), uguale alla frequenza della stessa classe più le frequenze delle classi precedenti.

Proprietà fondamentale : , . fi =∑ 1 N Ni =∑ Per variabile statistica (ad una dimensione) si deve intendere la doppia successione dei valori

e delle relative frequenze : xi

f i

x1, , xx2 3, ……… xi……….xn f1, f2, f3,…... fi…… fn

Tutti questi valori vengono rappresentati graficamente nell'istogramma.

0

1

2

3

4

5

X1 X2 X3 X4 X5 X6 X7

Ni

X1 X2 X3 X4 X5 X6 X7

Figura 1. Esempio di istogramma. Per convenzione si pongono i valori assunti dalla variabile sull'asse X e le frequenze ad esse

associate sull'asse delle Y. La definizione dell'intervallo di classe avviene in maniera arbitraria, ma tenendo conto

dell'ampiezza del campo di variazione e della numerosità del campione. Il poligono di frequenza è un grafico lineare delle frequenze delle classi passante per i valori

centrali delle classi medesime: si ottiene quindi unendo i punti di mezzo dei lati superiori dei rettangoli dell'istogramma;

116

Page 121: Dispense Eai

Economia Applicata all’Ingegneria B2 - Statistica descrittiva

Quando si devono invece trattare statisticamente gli infiniti valori di una variabile continua compresi in un dato intervallo a-b, non hanno più significato la classe, la frequenza relativa e il poligono di frequenza, che sono sostituiti da densità di frequenza e curva di frequenza.

La rappresentazione grafica della distribuzione cumulativa di frequenza assume la forma di figura 2.

F i

xi Figura 2. Esempio di curva cumulativa.

3 - MISURE DI POSIZIONE Servono anch'esse per la descrizione dei dati ra

fornisce un'informazione sintetica sulla "localizzaLe principali sono la media (aritmetica), la moda e

In una distribuzione la media aritmetica rappvale:

a) per valori non raggruppati:

x_= ∑

b) per dati raggruppati (distribuzione di frequen

( )x N_

/= ⋅∑1 E’ chiaro che nel caso a) le rappresentano

invece, i valori centrali delle classi. xi

Ovviamente nel caso b) si ottengono risultati aaccettabile; se poi fosse necessario, si potrebbe aopportune regole di interpolazione.

Osservando le due espressioni della media si

media aritmetica; nel caso b) siamo di fronte in psono rappresentati dalle frequenze relative delle cla

11

F i rappresenta la frequenza cumulata di tutti gli individui che hanno un valore ≤ x i.

ccolti. Una misura di posizione è un valore che zione" del gruppo di dati sull'asse delle ascisse. la mediana. resenta il baricentro della distribuzione stessa e

xi / N

x⋅

za):

N x fi i i i⋅ = ∑

tutti i valori di tutti i dati in esame, nel caso b),

pprossimati, ma l'approssimazione è in generale pprofondire l'analisi all'interno della classe con

può notare che nel caso a) si tratta di una vera ratica ad una media ponderata nella quale i pesi ssi.

7

Page 122: Dispense Eai

Economia Applicata all’Ingegneria B2 - Statistica descrittiva

Ricordiamo anche la media geometrica: Mg = X X X NN

1 2⋅ ⋅ ⋅... La moda è il valore della variabile cui corrisponde la massima frequenza, per variabili discrete, e

la massima densità di frequenza per variabili continue. Se questo valore è unico si avrà una distribuzione unimodale, mentre se ci sono due picchi non adiacenti la distribuzione si definisce bimodale.

La mediana è il valore centrale della distribuzione che permette di ripartire la distribuzione

stessa in due parti in ciascuna delle quali cade il 50% delle osservazioni; dal punto di vista geometrico essa divide quindi l'area che rappresenta la distribuzione in due parti uguali. Se il numero di osservazioni è dispari, ci sarà un unico valore mediano, se invece è pari è la media delle due osservazioni centrali.

[ ]Med X N= +/ /2 1 2

Per dati raggruppati, in prima approssimazione, la mediana è data dalla classe in cui cade la misura centrale.

Altre misure di posizione sono i quartili, i decili e i percentili che dividono i dati rispettivamente in quattro/dieci/cento parti equivalenti.

Ad esempio: primo quartile: [ ]Q X N1 4 1 2= +/ / terzo decile: [ ]D X N3 3 10 1 2= +/ /

4 - MISURE DI DISPERSIONE Danno un'informazione sintetica sul modo con cui il gruppo di dati si dispone attorno ad una misura di posizione (generalmente la media).

L'ampiezza del campo di variazione o”range” è la differenza tra i valori estremi delle osservazioni.

Lo scarto medio assoluto è dato dalla media aritmetica dei valori assoluti degli scarti. La variabile scarto si ottiene sottraendo ad ogni valore della variabile statistica il valore della media; la distribuzione della variabile scarto é la stessa della variabile statistica originale.

La varianza è la media del quadrato degli scarti dei singoli valori (viene anche detta momento di II grado della variabile scarto):

varianza = ( )2_

2 /1 ∑

−⋅= xxNs i

questa formula serve per dati non raggruppati. Se i dati sono raccolti in classi di frequenza, per il calcolo della varianza si procederà adottando

la seguente formula:

s f xi i2

2

= ⋅ −

_

x

La radice quadrata della varianza è la deviazione standard (standard deviation) o scarto quadratico medio (SQM):

( )∑ −=_

2)(/1 xxNs i (dati non raggruppati)

∑ −⋅=_

2)( xxfs ii (dati raggruppati)

118

Page 123: Dispense Eai

Economia Applicata all’Ingegneria B2 - Statistica descrittiva

Lo SQM è sempre positivo in quanto è una misura di distanza. L'importanza della varianza consiste proprio nel fatto che essa può essere intesa come una funzione (quadratica) della distanza tra una situazione di variabilità effettivamente osservata e il caso di variabilità nulla, in cui tutti gli elementi coincidono con un unico valore, che è la media.

Se ad esempio s = 2 e x_

= 10, significa che in media i valori xi distano 2 unità da 10. ESEMPIO 1

Calcolare la deviazione standard del gruppo di misure di diametro di un tondino metallico

Misura xi (Diametro in mm) x xi −

_ Scarti [ ]Scarti2 610−

1 0.250 0 0 2 0.252 0.002 4 3 0.255 0.005 25 4 0.249 -0.001 1 5 0.248 -0.002 4 6 0.246 -0.004 16 7 0.250 0 0 8 0.248 -0.002 4 9 0.250 0 0 10 0.252 0.002 4

x_

= 0.250

x xi −

= ⋅ −∑

_ 2658 10

s = 0.0024 ESEMPIO 2

Il numero medio di incidenti per migliaia di ore lavorate in una determinata area industriale è:

Numero di incidenti / 1000 h Numero imprese

1,5-1,7 3 1,8-2 12

2,1-2,3 14 2,4-2,6 9 2,7-2,9 7 3-3,2 5

Determinare il campo di variabilità (range), lo scarto medio e lo SQM.

119

Page 124: Dispense Eai

Economia Applicata all’Ingegneria B2 - Statistica descrittiva

Il campo di variabilità è dato dall’intervallo di variabilità dei dati del campione, ovvero da 3.2-1,5=1,7.

Per il calcolo delle altre grandezze, compiliamo la seguente tabella:

n. incidenti

Ni f i

Fi xi

ii xf x xi −

_ x xi −_ 2

f x xi i⋅ −_ 2

1,5 – 1,7 3 0,06 3 1,6 0,096 0,72 0,52 0,031 1,8 – 2 12 0,24 15 1,9 0,456 0,42 0,18 0,043

2,1 – 2,3 14 0,28 29 2,2 0,616 0,12 0,014 0,0039 2,4 – 2,6 9 0,18 38 2,5 0,45 0,18 0,032 0,0058 2,7 – 2,9 7 0,14 45 2,8 0,392 0,48 0,23 0,032 3 – 3,2 5 0,1 50 3,1 0,31 0,78 0,61 0,06

∑ 50 1 14,1 2,32 0,1753

media = =2.32 x fi

_= ⋅∑ xi

SQM = 01753. = 0.418

120

Page 125: Dispense Eai

Economia Applicata all’Ingegneria B3 – Matematica finanziaria

B3 - ELEMENTI DI MATEMATICA FINANZIARIA 1 - DENARO E TEMPO Il denaro ha valore intrinseco variabile nel tempo: ad esempio, un capitale di dato valore nominale ha un valore intrinseco maggiore se disponibile immediatamente anziché in un momento futuro. Ciò è dovuto essenzialmente a due motivi; anzitutto alla capacità reddituale del denaro, cioè al fatto che con il denaro se ne può produrre altro, per cui la rinuncia alla sua disponibilità per un certo tempo comporta un sacrificio; l’altro motivo è la perdita del potere di acquisto conseguente al fenomeno dell’inflazione. Si spiega allora il motivo per cui fin dall’antichità esiste la pratica di imporre un onere (interesse) per l’uso del denaro. 2 - L’INTERESSE L’interesse è il compenso (o il prezzo) da pagare per avere la disponibilità di un capitale C per un tempo t. L’interesse è esprimibile come una funzione di tre elementi:

- il valore nominale (valore iniziale) del capitale: C0;

- il tasso i, interesse unitario, cioè riferito all’unità di capitale e all’unità di tempo;

- il tempo t, durata dell’impiego del capitale.

2.1 Interesse semplice

In generale l’interesse semplice è dato da:

I C t i= ∗ ∗

dove t e i devono essere espressi in unità coerenti, cioè in anni e tasso annuo, oppure in mesi e tasso mensile, oppure in giorni e tasso giornaliero. L’interesse semplice si applica ad alcune operazioni commerciali di durata inferiore all’anno, come nel caso del calcolo del rendimento dei depositi fruttiferi bancari. In queste operazioni commerciali il valore del tasso di interesse per frazioni di anno si ricava quindi a partire dal tasso annuo con legge lineare. Per esempio, se il tasso annuo è del 18%, l’interesse del capitale C0 depositato in banca per 40 giorni sarà

I C40 00 18365

40=

∗ ∗

,

In qualche caso, anziché l’anno civile di 365 giorni si considera l’anno commerciale di 360 giorni.

121

Page 126: Dispense Eai

Economia Applicata all’Ingegneria B3 – Matematica finanziaria

L’ammontare dell’interesse così calcolato è di norma dovuto (cioè è da pagare) al termine del tempo corrispondente alla durata del prestito. A questa data il debitore dovrà quindi restituire capitale e interesse, e cioè la somma

M = C0+ I = C0⋅(1 + i⋅t)

dove M è detto montante al tempo t del capitale C0.

Anzichè l’interesse semplice, molto più frequentemente si impiega l’interesse “composto”.

2.2 Interesse composto

Quando le operazioni finanziarie avvengono con la convenzione dell’interesse composto si conviene di fare riferimento a periodi di tempo prefissati (per esempio di 1 anno) e si considera che l’interesse sia dovuto al termine di ciascun periodo in base al corrispondente tasso di interesse (per esempio: tasso annuo).

In questo caso, se i è il tasso del periodo e il prestito del capitale C0 ha durata n periodi, al termine del primo periodo si ha il montante:

M1 = C0+ I = C0+i C0

A questo punto il debitore può pagare l’interesse iC0 oppure trattenerlo e pagare il debito solo alla fine del prestito. In questo secondo caso l’interesse iC0 va ad aggiungersi al capitale C0 per formare il nuovo capitale a disposizione, sul quale dovrà essere pagato l’interesse nel secondo periodo. Si dice allora che l’interesse è composto o “capitalizzato” e al termine del secondo periodo si avrà il montante:

M2 = C0(1 + i) +iC0 (1 + i) = C0(1 + i)2

e infine

Mn = C0 (1 + i)n

è il montante dovuto al termine dell’operazione di prestito. Il caso più frequente è quello della capitalizzazione annuale degli interessi, ma i periodi di tempo al termine dei quali l’interesse è dovuto possono essere diversi (semestrali, trimestrali, mensili…) : dipendono dagli accordi contrattuali. 3 - EQUIVALENZA FINANZIARIA In base a quanto visto al punto precedente – e quindi sempre nell’ipotesi che l’interesse effettivo sia calcolato come interesse composto - si possono ricavare utili relazioni fra il tasso annuo di interesse i e il tasso ih relativo alla frazione 1/h di anno in modo che i due tassi abbiano effetti equivalenti. In questo caso l’equivalenza sarà rappresentata dall’ottenimento dello stesso montante al termine dell’anno, e cioè dall’eguaglianza:

C0 (1 + i) = C0 (1 + ih)h

da cui si possono dedurre le relazioni cercate. Il concetto di equivalenza finanziaria si può estendere a tutti i casi di operazioni che producano lo stesso effetto.

122

Page 127: Dispense Eai

Economia Applicata all’Ingegneria B3 – Matematica finanziaria

In particolare, fissato un dato tasso di interesse i, si considerano finanziariamente equivalenti il capitale C0 disponibile al momento t=0 e il suo montante Mn = C0(1 + i)n all’anno n.

4 - DIAGRAMMA DEL FLUSSO DI CASSA E’ utile rappresentare le operazioni finanziarie con il diagramma del “flusso di cassa”, che consiste nel riportare sull’asse dei tempi ogni somma di entrata (segno +) o di uscita (segno -) in corrispondenza del tempo a cui si riferisce. Per semplicità si conviene di considerare, per ciascun anno, tutte le somme come se fossero dovute “a fine anno”. Ad esempio, nel diagramma:

-C0 A1 A2 A3 An

0 1 2 3 n

S

Anni

omme

la somma -C0 rappresenta un’uscita all’inizio del primo anno, mentre A2 rappresenta un’entrata al termine del secondo. 5 - ATTUALIZZAZIONE E SCONTO Se si considera una somma S disponibile fra n anni, si definisce suo “valore attuale” Va la somma odierna (cioè disponibile al momento attuale) ad essa equivalente. In generale questa equivalenza non è stabilita in modo assoluto e univoco da una legge matematica oggettiva, ma dipende dalle condizioni che caratterizzano ciascuna operazione finanziaria. Il valore attuale di una somma futura può essere ad esempio il “prezzo” risultante dalla contrattazione fra due persone, oppure una “stima” fatta a scopo di scelta decisionale. In ogni caso è Va < S. Interessa comunque conoscere la tecnica con la quale si esegue “l’attualizzazione”, che è in pratica l’operazione che consente di trasformare una somma disponibile ad un tempo qualsiasi in una equivalente disponibile ad un tempo prefissato. Per comodità, si può considerare il valore attuale Va come la somma il cui montante all’anno n è pari a S

( )S V i n= +a 1 ; per cui è ( )

V S ; i na =

+

11

ponendo ( )

11+

=i

v si ottiene V S v na =

Il fattore v è detto fattore di sconto, mentre d v iv= − =1 è definito tasso annuo di sconto. Il tasso i utilizzato per ottenere Va a partire da S si chiama tasso di attualizzazione, e dovrà essere scelto in modo opportuno per ottenere l’equivalenza voluta. In ogni caso avremo comunque che Va è il “valore attuale di S al tasso di attualizzazione i”.

123

Page 128: Dispense Eai

Economia Applicata all’Ingegneria B3 – Matematica finanziaria

6 - RENDITA FINANZIARIA Si definisce “rendita finanziaria” la successione del tipo:

R R R R 1 2 3 n

0 1 2 3 n dove il termine . Rj è detto rata della rendita. Il valore attuale della rendita, per quanto detto, vale:

V R v R v Ra R nn

/ ...= + + +1 22 v

E’ interessante il caso in cui Rj = cost = R (rata costante); la rendita può essere a scadenza “immediata posticipata” oppure “immediata anticipata” a seconda che ciascuna rata Rj sia disponibile al termine oppure all’inizio dell’anno j-esimo.

Nel primo caso (rendita posticipata) si ha:

( )V R v v v R vi

nn

a/R = + + + =−2 1... che, posto an =

ivn−1 , diventa Va/R = R⋅ an.

Nel secondo caso (rendita anticipata) si ha:

( )vvRvvvRV

nn

−−

=++++= −

11...1 12

a/R che, posto än = vvn

−−

11 , diventa Va/R = R⋅ än.

7 - FATTORI DI COSTITUZIONE Si consideri la seguente successione di somme:

1 1 1 1

0 1 2 3 n

sapendo che il suo valore attuale è Va = 1· an si può esprimere il suo montante all’anno n con la

sn = an·(1+i)n

da cui si deduce che σn = 1/ sn è la rata attuale da accantonare ogni anno per avere una Lira come montante dopo n anni. Il fattore σn si dice fattore di costituzione perché viene impiegato per calcolare la rata costante che consente di “costituire” un montante voluto all’anno n. Analogamente si procede per calcolare il fattore σn nel caso di una successione “anticipata”.

124

Page 129: Dispense Eai

Economia Applicata all’Ingegneria B3 – Matematica finanziaria

8 - FATTORI DI AMMORTAMENTO Si consideri la successione di somme :

an an an an1/ 1/ 1/ 1/

0 1 2 3 n il suo valore attuale è evidentemente Va = an ·1/ an dunque αn = 1/ an è la rata annuale costante di una rendita che corrisponde al valore attuale di una Lira. αn si dice fattore di ammortamento, perché impiegato per calcolare la rata di ammortamento, ossia la somma da accantonare ogni anno per n anni, con il criterio particolare che la successione risultante equivalga a un dato valore attuale. Esempio 1.

Calcolare i risultati numerici delle seguenti diverse modalità di restituzione del prestito di 100k€ alle condizioni: durata 5 anni, tasso annuo di interesse i= 18%:

a) pagamento in un unica tranche a 5 anni b) pagamento periodico degli interessi e rimborso del capitale alla scadenza; c) rimborso graduale di:

c1) quota capitale costante + interessi sul debito residuo: c2) rate costanti (ammortamento alla francese).

a) M =C0 (1+i)n

C0 = 100k€; n=5; i=18%; ( ) 228,78k€0,181*100M 5 =+=

0 1 2 3 4 5

2 2 8 ,7 8

b) I = C0 i = 18 k€

0 1 2 3 4 5

18 18 18 18 118

c1) Si richiede la restituzione di una quota capitale costante 100/5= 20 k€ più gli interessi sul

debito residuo.

125

Page 130: Dispense Eai

Economia Applicata all’Ingegneria B3 – Matematica finanziaria

Costruisco la seguente tabella

n anno quota capitale Interessi Rata 0 1 20 18 38 1 2 20 14,4 34,4 2 3 20 10,8 30,8 3 4 20 7,2 27,2 4 5 20 3,6 23,6

0 1 2 3 4 5

38 34,4 30,8 27,2 23,6

c2) si richiede la restituzione con rate costanti: R = Va/R i/(1-vn) con v = 1/(1+i) =0,847 R= 31,98 k€

0 1 2 3 4 5

31,98 31,98 31,98 31,98 31,98

126

Page 131: Dispense Eai

Economia Applicata all’Ingegneria B4 - Ammortamento contabile

B4- IL DEPERIMENTO DEI BENI STRUMENTALI E LA SUA CONTABILIZZAZIONE (AMMORTAMENTO CONTABILE)

I beni strumentali rappresentano fattori di produzione a medio-lungo ciclo di utilizzazione: sono cioè beni impiegati in più esercizi, che cedono gradualmente la loro utilità ai processi produttivi, con modalità dipendenti dalla loro natura e dalla loro durata.

Questo fatto si traduce, in termini monetari, in una progressiva perdita di valore (deprezzamento) dei beni in uso, rispetto al loro valore iniziale di acquisto e giustifica la procedura “dell’ammortamento” prevista dalle norme civilistiche e fiscali.

Ma il fenomeno in esame, che possiamo chiamare di “deperimento” dei beni strumentali, interessa ovviamente la gestione aziendale anche al di là dei suoi aspetti giuridici.

Infatti, indipendentemente dalle modalità di calcolo e registrazione nella contabilità ufficiale delle “quote di ammortamento” ammesse dalla legge, è importante per l’azienda “contabilizzare” il deperimento nel modo migliore possibile; ciò significa porsi il seguente obiettivo: “determinare una quota annua da accantonare (in un “fondo”) che rappresenti il meglio possibile la perdita effettiva di valore del bene conseguente al deperimento e tale che al termine degli n anni di vita del bene porti ad eguagliare fondo di ammortamento e valore deperito”.

Dunque il problema consiste nel valutare sia la quota annua di deprezzamento che la durata del bene: entrambe le incognite sono di difficile valutazione, se non impossibile, quando ad esempio si pretendesse di calcolare il valore “vero” di deprezzamento in un singolo anno di vita del bene. Ovviamente ci si deve accontentare di valori medi, che rispondono però alle esigenze della programmazione aziendale intese a garantire la gestione ottimale e in particolare il reintegro sistematico dei fattori strumentali di produzione.

Dal punto di vista formale, valutati il periodo di ammortamento (n anni di vita del bene) e le quote annuali, si definisce “valore contabile” del bene il valore che, per ciascun anno, si ottiene sottraendo al valore iniziale del bene le quote via via ammortizzate. 1 - I VARI CRITERI DI VALUTAZIONE

Per stabilire un criterio di valutazione del “deperimento” di un bene occorrerebbe tener conto del

tipo di deperimento, che, com’è noto può essere organico (logorio fisico), oppure funzionale (obsolescenza); nel primo caso occorrerebbe tener presente che, a seconda della natura del bene e a seconda del modo di usarlo (facendo o meno manutenzione, per es.) il deperimento può verificarsi in modo progressivo (usura) oppure improvviso (rottura).

Si capisce quindi che esistono seri problemi per stimare la vita media di un bene soggetto a questo tipo di deperimento. Possono essere d’aiuto dati statistici sulla durata media dello stesso bene in condizioni analoghe di impiego, ma in certi casi sarà importante conoscere anche la distribuzione di tali dati, e in particolare la loro dispersione rispetto alla media.

Anche più difficile è in generale la previsione della durata di un bene soggetto a deperimento funzionale, in quanto comporterebbe la stima dell’andamento futuro di molte variabili aleatorie che riguardano il mercato e l’evoluzione tecnologica.

Tutto questo spiega intanto perché i diversi criteri di valutazione del deperimento che si utilizzano normalmente non riguardano la durata del bene (che dovrà essere stimata caso per caso a seconda delle situazioni) ma solo la quota annua di ammortamento; e giustifica inoltre il fatto che questa quota risulta in genere calcolata con criteri abbastanza semplici e schematici, che si differenziano tra loro soprattutto per i diversi effetti finanziari legati alle rispettive modalità di formazione del fondo di ammortamento.

127

Page 132: Dispense Eai

Economia Applicata all’Ingegneria B4 - Ammortamento contabile

E’ questo aspetto che interessa in particolare mettere in evidenza nell’esaminare i principali metodi di valutazione delle quote di ammortamento che di seguito si propongono.

A) AMMORTAMENTO FINANZIARIO (SINKING FUND METHOD)

La quota annua di ammortamento qa è in questo caso pari alla rata costante posticipata necessaria per “costituire” all’anno n (termine della durata dell’ammortamento) lo stesso capitale Co impiegato per l’acquisto del bene, cioè il “valore deperibile”. Nel caso si voglia tener conto di un valore di recupero Rn, il capitale da costituire sarà (Co - Rn).

Se si pone: C0 = costo iniziale del bene Rn = il valore di recupero (eventuale) n = anni di durata prevista La quota di ammortamento sarà

)()1()1( 0

0nRC

ivi

sRC

q nnn

na −⋅

+⋅−=

¬= −

Dunque, in questo tipo di ammortamento si sottintende che le quote accantonate ogni anno siano

investite al tasso di interesse i per tutta la durata dell’operazione.

B) AMMORTAMENTO A QUOTE COSTANTI SENZA INTERESSI (STRAIGHT LINE METHOD)

E’ il metodo più semplice, e in pratica l’unico ammesso dalle norme di legge in Italia, ai fini della compilazione del bilancio. Considera le quote di deperimento costanti e pari a 1/n della durata utile del bene:

q Cnn =

0 ;

oppure q C R

nnn=

−0

se si tiene conto di un valore di recupero finale. Naturalmente, il fatto che la quota annua si calcoli in questo modo non significa che il “fondo”

di ammortamento non produca interessi. Al termine degli n anni di durata del bene, se il tasso di rendimento del capitale è i si avrà il montante:

nn

iiv

nC

nC

M )1(1s 0n

0 +⋅−

⋅=•= ¬

C) AMMORTAMENTO A QUOTE DECRESCENTI LINEARMENTE (SYD “SUM OF THE YEAR DIGITS METHOD”)

Le quote annue sono decrescenti in progressione aritmetica e si ottengono moltiplicando per un fattore K’ (variabile ad ogni anno) il rapporto fra il valore deperibile C0 e la somma della serie:

1+2+3+...+n (cioè la “somma del numero di anni”)

128

Page 133: Dispense Eai

Economia Applicata all’Ingegneria B4 - Ammortamento contabile

Il fattore K’ si ottiene come segue:

anni 1 2 3 ... m ... n K’ n n-1 n-2 ... n-(m-1) ... 1

La quota di ammortamento dell’anno m risulta quindi:

⋅ = •

+ + += − + •

+ + +q K C

nn m C

nmI

m0 0

1 21

1 2...( )

...

D) AMMORTAMENTO A QUOTE DECRESCENTI IN PROGRESSIONE GEOMETRICA (“DECLINING BALANCE METHOD”)

In questo caso le quote di deperimento di ciascun anno si ottengono dividendo per un quoziente K il “valore contabile” dell’anno precedente.(Si ricorda che il valore contabile si ottiene, ogni anno, sottraendo al valore iniziale le quote via via ammortizzate). In questo modo le quote annue decrescono iperbolicamente.

Nel caso in cui K= n/2, il metodo prende il nome di “Double declining balance” e la quota annua generica diventa

q V

KVnm

m m= =− −1 12

dove con Vm-1 si indica il Valore contabile all’anno m-1.

129

Page 134: Dispense Eai
Page 135: Dispense Eai

Economia Applicata all’Ingegneria B5 - Il bilancio d’impresa

B5- LA CONTABILITÀ GENERALE E IL BILANCIO D’IMPRESA

1 - PREMESSA

1.1 La contabilità in azienda

In azienda ha fondamentale importanza il sistema informativo per una corretta raccolta ed elaborazione dei dati, oltre che per la diffusione informazioni a tutti i livelli interessati, interni ed esterni. Per questo è particolarmente importante la predisposizione di un buon sistema delle rilevazioni aziendali, la maggior parte delle quali riguarda la contabilità.

La contabilità consiste in scritture effettuate mediante l’uso dei conti. Parte di queste scritture ha lo scopo di rispondere solo a esigenze interne , ossia serve per fornire

informazioni agli organi aziendali ai fini della gestione interna dell’azienda: si tratta allora di scritture facoltative, che possono essere impostate a libera scelta dell’imprenditore (v.- Contabilità analitica o industriale).

Quando invece le scritture devono rispondere a esigenze esterne, ossia devono fornire informazioni (sul rispetto di norme di legge o sull’andamento dell’azienda) per lo Stato o i suoi organi decentrati, oppure per terzi privati interessati, si tratta allora di scritture obbligatorie: per esse, cioè, la legge fissa determinate disposizioni. La contabilità corrispondente si chiama Contabilità generale.

1.2 La contabilità generale

Esistono disposizioni generali di legge (Codice Civile) che riguardano: • La tenuta della contabilità • La conservazione delle scritture contabili.

Tutte le imprese commerciali, con l’esclusione dei piccoli imprenditori, artigiani e piccoli

commercianti, hanno l’obbligo di tenere determinate scritture contabili, e precisamente: • Libro giornale e libro degli inventari; • Registri IVA; • Scritture ausiliarie di magazzino e Registro dei beni ammortizzabili. Tutti questi documenti devono essere bollati e numerati e vanno vidimati con pagamento della

tassa di concessione governativa. L’imprenditore è anche tenuto a conservare ordinatamente gli originali delle lettere, dei

telegrammi e delle fatture ricevute, e copie di lettere, telegrammi e fatture spedite. Inoltre le leggi fiscali impongono, a loro volta, altri obblighi per le scritture contabili, che sono

più o meno impegnativi a seconda delle dimensioni dell’attività svolta e dell’organigramma aziendale.

In particolare, al di sotto di determinati limiti di fatturato l’imprenditore può scegliere tra “Contabilità semplificata” e “Contabilità ordinaria”. Nel primo caso le scritture contabili si riducono a Registri IVA, Registro Incassi e Pagamenti, Libro dei cespiti ammortizzabili. Nel caso della Contabilità ordinaria, gli obblighi variano invece in funzione del tipo e della dimensione dell’impresa.

131

Page 136: Dispense Eai

Economia Applicata all’Ingegneria B5 - Il bilancio d’impresa

1.3 I principi della Contabilità generale

Oggetto della contabilità generale sono le transazioni, ossia le operazioni finanziarie e commerciali, in relazione alle quali si effettuano “registrazioni” e calcolo di risultati finali; il tutto va fatto con determinate modalità su documenti ufficiali.

Le caratteristiche della C.G. sono: l’esattezza assoluta, la conservabilità, la facile interpretazione, la rapidità ed economicità di attuazione.

I principi fondamentali della C.G. sono la misura monetaria e la partita doppia; inoltre i costi vanno registrati in valore uguale al prezzo d’acquisto.

“Misura monetaria” significa che tutte le rilevazioni dei dati devono essere effettuate in base ad un’unica unità monetaria, detta “moneta di conto”.

“Partita doppia” è il termine che definisce il metodo di rilevazione consistente nel considerare ciascuna operazione sotto un duplice aspetto:

• aspetto finanziario = movimenti di denaro (e variazioni creditorie/ debitorie ) • aspetto economico = costi (variazioni economiche negative) e ricavi (variaz. positive), oltre

a variazioni patrimoniali; ogni operazione dà quindi luogo a registrazioni su due conti diversi, uno finanziario ed uno

economico, ciascuno dei quali, a sua volta, è strutturato in due sezioni: DARE e AVERE: Conti finanziari Conti economici

DARE AVERE DARE AVERE

Variazioni attive: • Aumenti di denaro • Aumenti di credito • diminuz. di debito

Variazioni passive: • diminuz. di denaro • aumenti di debito • diminuz. di credito

Variaz. negative • costi • rettifiche di ricavi • diminuz. patrimonio

Variaz. positive • ricavi • rettif. di costi • aumenti patrimonio

L’obiettivo fondamentale della Contabilità generale è il BILANCIO.

132

Page 137: Dispense Eai

Economia Applicata all’Ingegneria B5 - Il bilancio d’impresa

2 - IL BILANCIO DI ESERCIZIO

2.1 Premessa

Il Bilancio di esercizio è un documento che devono redigere annualmente tutte le Società. Lo schema più completo e dettagliato è previsto per le Società di capitali, che hanno l’obbligo della pubblicazione del Bilancio. Le Società di minori dimensioni (cioè al di sotto di determinati limiti di patrimonio, di fatturato e di dipendenti) possono predisporre il bilancio in forma abbreviata.

Il Bilancio d’esercizio è il documento fondamentale nel quale è rappresentata in modo sintetico

la situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’impresa. La funzione del bilancio è essenzialmente quella di costituire la base informativa per i creditori e

per i soci delle società. Ci sono almeno due modi sbagliati di vedere il bilancio. Da parte di chi non ha una specifica

conoscenza delle questioni contabili e amministrative, questo documento è spesso considerato astruso e non comprensibile se non dopo una lunga iniziazione. C’è poi chi, in azienda, lo vede come un momento, se non proprio inutile, quanto meno marginale della vita d’impresa: questa è fatta di produzione e vendite, che devono essere gestite in tempo reale con criteri di programmazione preventiva, per cui il “bilancio”, che il ragioniere predispone “a consuntivo”, viene da qualcuno considerato quasi una perdita di tempo.

Entrambe le visioni sono errate perché, se è vero che dietro il bilancio c’è la dottrina

ragionieristica e la tecnica amministrativa, ciò non significa che esso non possa essere compreso, interpretato e utilizzato anche da chi, come l’ingegnere che opera in azienda, non ha molta familiarità con la contabilità generale.

Inoltre, al di là della necessità di conoscerlo in quanto documento fondamentale e obbligatorio per legge per l’informazione verso l’esterno dell’azienda, il bilancio - quando sia fatto bene - presenta una indiscussa utilità anche all’interno dell’azienda, non solo per la comprensione degli aspetti economico finanziari dei risultati dell’attività svolta in passato, ma anche come il supporto per il controllo di gestione della sua attività futura.

2.2 Contenuti e principi generali

I contenuti, i principi e le modalità di redazione del bilancio sono fissati dal Codice Civile e dalle norme di legge conseguenti al recepimento delle direttive CEE in materia, entrate in vigore nel 1994.

Il bilancio è costituito dai seguenti documenti: - STATO PATRIMONIALE - CONTO ECONOMICO - NOTA INTEGRATIVA I principi giuridici di redazione hanno lo scopo di rendere il più possibile omogenee per tutte le

imprese, e nei diversi periodi per ciascuna impresa, le informazioni deducibili dal bilancio. Per legge, questo deve essere redatto con chiarezza e deve rappresentare in modo veritiero e

corretto la situazione patrimoniale, la situazione finanziaria e il risultato economico dell’esercizio.

133

Page 138: Dispense Eai

Economia Applicata all’Ingegneria B5 - Il bilancio d’impresa

Il bilancio deve inoltre essere un “bilancio di competenza”: deve cioè registrare tutte le operazioni che hanno avuto origine nell’anno, indipendentemente dal momento in cui avvengono i pagamenti.

I principi giuridici di redazione del bilancio includono ovviamente quelli relativi alla redazione di tutti i documenti della contabilità generale, ed in particolare quello della “misura monetaria”, quello della registrazione del costo in valore uguale al prezzo d’acquisto, e quello della “partita doppia”.

La rappresentazione delle varie voci che devono essere esposte in bilancio avviene secondo raggruppamenti omogenei, con un grado di dettaglio crescente.

Vedremo, di seguito, la struttura e i contenuti dello Stato patrimoniale e del Conto economico. Non tratteremo invece della Nota integrativa, limitandoci a segnalare che si tratta di un documento, da redigere a cura degli Amministratori, contenente informazioni dettagliate sul contenuto di specifiche voci e valori del bilancio, nonché le motivazioni delle azioni, da loro svolte, che abbiano avuto riflessi sul bilancio.

2.3 Lo Stato Patrimoniale

Lo Stato Patrimoniale deve rappresentare la composizione del patrimonio aziendale in un dato istante (data di chiusura del periodo amministrativo), in modo che siano evidenziate le fonti, cioè la provenienza dei capitali affluiti per finanziare l’attività dell’impresa, e gli impieghi di tali capitali, cioè le varie destinazioni del loro investimento.

Per questo motivo, le “fonti” e “gli impieghi” sono riportati separatamente nelle due sezioni costituenti il prospetto, e precisamente le prime nel “PASSIVO”, suddiviso in fonti interne (patrimonio netto) e fonti esterne (debiti verso terzi); gli impieghi nell’ATTIVO, suddiviso in “Immobilizzazioni” e “Attivo circolante”.

Dunque nell’ATTIVO dello Stato Patrimoniale (sezione di sinistra) si potrà leggere il valore di

quanto l’impresa “possiede” sotto forma di beni diversi: impianti, macchine, materie prime ecc., ma anche i crediti, cioè i diritti che l’azienda vanta nei confronti di terzi, oltre al denaro contante.

Nel PASSIVO saranno invece rilevabili il patrimonio netto, nelle sue varie componenti

(Capitale sociale, riserve e utile del periodo) e le varie voci di debito, verso banche, fornitori, Stato ecc.

La struttura ufficiale dello Stato Patrimoniale è riportata in Tav. 1. Qui si riporta uno schema utile per fissare le idee sugli aspetti essenziali da ricordare.

SCHEMA DI STATO PATRIMONIALE

ATTIVO (=gli Impieghi o Investimenti)

PASSIVO (=le Fonti o Finanziamenti)

IMMOBILIZZAZIONI PATRIMONIO NETTO ATTIVO CIRCOLANTE DEBITI (Passivo vero)

TOTALE ATTIVITÀ = TOTALE PASSIVITÀ

134

Page 139: Dispense Eai

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Page 140: Dispense Eai

Economia Applicata all’Ingegneria B5 - Il bilancio d’impresa

2.4 Il Conto Economico

Il Conto Economico deve illustrare, attraverso il confronto fra i ricavi conseguiti e i costi sostenuti per la loro realizzazione, come si forma il “risultato di esercizio”, cioè l’utile o la perdita.

Secondo la nuova normativa, i dati del C.E. devono essere presentati “a valore della produzione

effettuata” (anziché “ a costi, ricavi e rimanenze” come in precedenza). La forma espositiva è di tipo scalare, con evidenziazione dei risultati intermedi e consente una

più efficace interpretazione del bilancio rispetto alla precedente impostazione a sezioni contrapposte (RICAVI-COSTI).

La struttura attuale del C.E. ufficiale è articolata come indicato in Tav. 2: Tavola 2 - CONTO ECONOMICO

A

VALORE DELLA PRODUZIONE

(Voci 1-5)

B COSTI DELLA PRODUZIONE (Voci 6-14)

A – B (differenza tra Valore prod. e Costi prod.)

C PROVENTI E ONERI FINANZIARI (Voci 15-17)

D RETTIFICHE DI VALORE DI ATTIVITA’ FINANZIARIE (Voci 18-19)

E PROVENTI E ONERI STRAORDINARI (Voci 20-21)

A – B ± C ± D ± E RISULTATO PRIMA DELLE IMPOSTE

22 Imposte sul reddito di esercizio

23 RISULTATO DI ESERCIZIO

24 - 25 Rettifiche / accantonamenti per speciali norme tributarie

26

UTILE / PERDITA dell’esercizio

N.B.: Anche in questo caso i vari raggruppamenti, nel bilancio in forma non “abbreviata”, devono essere disaggregati in ulteriori gruppi di voci, come p.es. viene illustrato per i “Costi della produzione” in Tav. 3.

Sono necessarie alcune osservazioni su voci specifiche del C.E. ♦ Il “Valore della produzione” (voce A) comprende i ricavi delle vendite e delle prestazioni, le

variazioni delle rimanenze di prodotti e dei lavori in corso, le capitalizzazioni di lavori interni ed altri eventuali ricavi.

♦ I “proventi finanziari” (voce C) sono quelli derivanti da partecipazioni, da crediti e da titoli

diversi; da questi si devono sottrarre gli “oneri” finanziari, che rappresentano le uscite conseguenti all’uso di capitali di terzi.

♦ Le “rettifiche di valore di attività finanziarie” (voce D) sono costituite da rivalutazioni e

svalutazioni di partecipazioni e di altre immobilizzazioni finanziarie.

136

Page 141: Dispense Eai

Economia Applicata all’Ingegneria B5 - Il bilancio d’impresa

Tavola 3 - Disaggregazione del raggruppamento “COSTI DELLA PRODUZIONE”

(6) per materie prime, sussidiarie, di consumo e di merci (7) per servizi (8) per godimento di beni di terzi (9) per il personale a) salari e stipendi b) oneri sociali c) trattamento di fine rapporto (TFR) d) trattamento di quiescenza e) altri costi (10) ammortamenti e svalutazioni a) ammortamenti delle immobilizzazioni immateriali b) “ delle immobilizzazioni materiali c) altre svalutazioni delle immobilizzazioni d) svalutazioni di crediti (11) Variazioni rimanenze delle voci (6) (12) Accantonamenti per rischi (13) Altri accantonamenti (14) Oneri diversi di gestione

2.5 Le Analisi di bilancio

Sono molti i soggetti interessati a trarre informazioni sulla situazione e sulle vicende aziendali attraverso l’analisi di bilancio: gli operatori finanziari (p.es. le banche) che vogliono valutare il grado di affidabilità dell’azienda che chiede prestiti; i manager delle altre imprese che hanno o intendono avere rapporti con l’azienda; gli investitori che intendono acquistare titoli (azioni, obbligazioni) dell’azienda.

Per effettuare analisi di bilancio occorre anzitutto operare una speciale rielaborazione dei dati

che va sotto il nome di “riclassificazione”. Questa consiste in una riaggregazione delle voci, e dei relativi valori sia dello Stato Patrimoniale che del Conto Economico, in modo da renderli più direttamente utilizzabili ai fini delle informazioni che si vogliono ricavare, e in particolare per costruire alcuni indici significativi.

RICLASSIFICAZIONE DELLO STATO PATRIMONIALE

a) Intervento sulle fonti di finanziamento (Passivo). Questo intervento porta all’individuazione di tre aggregati più omogenei, riclassificati in base al

grado di “esigibilità” (crescente):

a.1) MEZZI PROPRI = Patrimonio netto - Utile da distribuire (questa parte dell’utile è in effetti un debito a b.t.) a.2) PASSIVITÀ CONSOLIDATE = Debiti finanziari a m.l. termine (mutui, prestiti obbligazionari e simili); debiti v/s fornitori a m.l.t.; TFR.

137

Page 142: Dispense Eai

Economia Applicata all’Ingegneria B5 - Il bilancio d’impresa

a.3) PASSIVITÀ CORRENTI = Debiti finanziari a b.t. (fidi in c.c.); debiti v/s fornitori a b.t.; debiti vari a b.t. (v/s erario, EE. previdenza), ratei e risconti passivi;

b) Intervento sugli impieghi (Attivo). Questo intervento intende riclassificare le poste in base al grado di “liquidabilità” (crescente) e

porta ai seguenti aggregati:

b.1) IMMOBILIZZAZIONI, da suddividere in: b.1.1) I. Tecniche (materiali e immateriali): il valore deve essere riportato al netto della parte già ammortizzata (è già così nella nuova struttura dello S.P.) b.1.2) I. Finanziarie : partecipazioni in Soc. collegate/controllate; titoli a m.l.t. che l’azienda non intende smobilizzare prima della scadenza; crediti a m.l.; crediti di improbabile riscossione; depositi cauzionali.

b.2) ATTIVO CIRCOLANTE, da suddividere in:

b.2.1) disponibilità economiche: rimanenze sia di materie prime che prodotti, scorte e beni vari a magazzino destinati al mercato o alla produzione; ratei risconti attivi. b.2.2) liquidità differite: crediti v/s clienti esigibili entro l’esercizio successivo; altri crediti; fatture da emettere. b.2.3) liquidità immediate: c.c. attivi; assegni; denaro e valori in cassa.

RICLASSIFICAZIONE DEL CONTO ECONOMICO

La nuova struttura del C.E. in effetti è già una struttura riclassificata rispetto alla precedente (che era “a costi, ricavi e rimanenze”): è già tale, pertanto, da fornire informazioni immediate di interesse per l’analisi di bilancio.

Tuttavia è utile procedere ad una ulteriore riclassificazione del C.E. in modo da raggruppare gli

aggregati per aree di gestione, evidenziando per ciascuna di queste i risultati intermedi. In questo modo risulta possibile valutare separatamente l’efficienza economica di ciascuna delle parti componenti la realtà aziendale.

Interessa prendere in considerazione le seguenti aree:

- area caratteristica (quella riferita all’attività tipica dell’azienda) - area di gestione finanziaria - area di gestione atipica (o patrimoniale) Area Extracaratteristica - area di gestione straordinaria

La riclassificazione può essere fatta con tre diverse modalità di aggregazione delle voci: ♦ la prima modalità è quella basata sulla struttura attuale del Conto economico e si definisce

“Configurazione a costi e ricavi della produzione effettuata”. ♦ Una seconda modalità è detta “Configurazione a costi e ricavi della produzione venduta”. ♦ La terza è infine la “Configurazione a Valore aggiunto”.

138

Page 143: Dispense Eai

Economia Applicata all’Ingegneria B5 - Il bilancio d’impresa

Le tre modalità differiscono soltanto per i diversi risultati intermedi che mettono in evidenza nella sezione caratteristica, come è illustrato in Tav. 4.

Tavola 4 - Le tre modalità di riclassificazione del Conto Economico:

A COSTI E RICAVI DELLA PRODUZIONE EFFETTUATA

A COSTI E RICAVI DELLA PRODUZIONE VENDUTA

A VALORE AGGIUNTO

Valore della Produzione Ricavo dei prodotti venduti Valore della produzione - Costi della Produzione - Costo del Venduto - Costo di beni e servizi utilizzati = Risultato Gestione Industriale = Valore aggiunto - Costi funzione commerciale - Ammortamenti - Costi funzione amministrativa - Costi del Personale = RIS. OPERATIVO DELLA GESTIONE CARATTERISTICA

= RIS. OPERATIVO DELLA GESTIONE CARATTERISTICA

= RIS. OPERATIVO DELLA GESTIONE CARATTERISTICA

± Ris. Gestione finanziaria ± Ris. Gestione finanziaria ± Ris. Gestione finanziaria ± Ris. Gestione atipica ± Ris. Gestione atipica ± Ris. Gestione atipica ± Ris. Gestione straordinaria ± Ris. Gestione straordinaria ± Ris. Gestione straordinaria = RIS. ECON. ANTE IMPOSTE = RIS. ECON. ANTE IMPOSTE = RIS. ECON. ANTE IMPOSTE - Imposte sul reddito - Imposte sul reddito - Imposte sul reddito = RIS. ECONOMICO NETTO = RIS. ECONOMICO NETTO = RIS. ECONOMICO NETTO

2.6. L’analisi di bilancio mediante indici

Il metodo più noto di analisi di bilancio è quello che si basa sull’elaborazione di particolari indici (detti anche “Ratios”) ricavabili dai dati del bilancio. Questa analisi è tanto più significativa se effettuata in modo da poter confrontare i valori degli indici in senso settoriale oppure temporale: ciò è a dire, confrontare gli indici ricavati da un dato bilancio aziendale con quelli medi relativi ad aziende operanti nello stesso settore, oppure con quelli costruibili con i bilanci della stessa impresa relativi ad anni diversi.

Di seguito si elencano alcuni dei principali indici in uso, suddivisi in funzione dei diversi

obiettivi dell’analisi a) Analisi dell’aspetto finanziario (“analisi finanziaria”)

a.1) Indice di disponibilità (Current ratio) = attivo circolantePassività a breve

Esprime il grado di solvibilità dell’azienda, ossia la sua capacità di far fronte agli impegni a breve mendiante l’attivo circolante.

a.2) Indice di liquidità (acid test) = breveaPassività

liquideAttività

Esprime la capacità dell’azienda di far fronte agli impegni a breve mediante le sole attività liquide (differite ed immediate)

a.3) Indice del grado di indebitamento (o “leva finanziaria”) = Patrimonio nettoTotale Impieghi

139

Page 144: Dispense Eai

Economia Applicata all’Ingegneria B5 - Il bilancio d’impresa

Mette in evidenza la parte di capitale investito che è stata finanziata con mezzi propri. A volte si utilizza, per esprimere lo stesso concetto anche l’indice “mezzi di terzi/Patrimonio netto”, oppure il reciproco di (a.3).

a.4) Indice del costo dei mezzi di terzi = terminem/laDebiti

finanziari Oneri

Rappresenta il tasso d’interesse che mediamente l’azienda sta pagando per avere la disponibilità del capitale rappresentato dai debiti a medio – lungo termine.

b) Analisi dell’aspetto reddituale (“analisi economica”) b.1) Indice di rendimento del patrimonio proprio

ROE (Return on equity) = Risultato econ ico nettoPatrimonio netto

om

L’indice esprime la redditività del patrimonio proprio in base ai dati consuntivi dell’esercizio. Un risultato più significativo si può ottenere sostituendo al denominatore la media aritmetica fra il patrimonio proprio iniziale e quello finale del periodo di riferimento.

b.2) Indice di rendimento del capitale investito

ROI (Return on investment) = Risultato operativo di gestione caratteristica

pieghi netti nella gest.caratteristicaIm

Il ROI misura l’attitudine dell’attività caratteristica a generare reddito. Per le aziende industriali si calcola come rapporto tra il risultato operativo e il totale degli investimenti ad essa collegati, che di norma coincide con il totale delle Attività operative dello Stato Patrimoniale.

Anche per il ROI può essere utile considerare i valori iniziale e finale degli impieghi netti b.3) Indice di rendimento delle vendite

ROS (Return On Sales) = Risultato operativo gestione caratteristicaRicavi di vendita

140

Page 145: Dispense Eai

Economia Applicata all’Ingegneria B6 - Analisi di break even

B6 - L’ANALISI DI BREAK-EVEN PER LO STUDIO DI ALTERNATIVE ECONOMICHE

1 - IL BREAK EVEN POINT Il Responsabile della gestione della produzione nel breve periodo si trova spesso di fronte ad

alternative economiche caratterizzate da diversi andamenti dei costi o diverse modalità di formazione del profitto lordo al variare del volume di produzione.

Lo studio di queste alternative può essere in generale affrontato con l’analisi di Break-even ,che ha appunto lo scopo di individuare l’alternativa più vantaggiosa per l’azienda.

Escludendo il caso che di due alternative una sia palesemente migliore per qualsiasi situazione produttiva, in generale si verifica che una delle due risulti più vantaggiosa al di sotto di un certo valore di produzione e l’altra al di sopra.

La caratteristica peculiare dell’analisi in questione è l’individuazione del punto di break-even (Break-Even-Point), ossia di equilibrio o di indifferenza fra le due alternative.

1.1 Alternativa di «MAKE or BUY»

L’alternativa riguarda la scelta tra “fare in casa” un componente di un prodotto oppure acquistarlo da fornitori esterni.

Questa alternativa si presenta frequentemente quando si devono preparare preventivi per lavori su commessa, e riguarda pezzi di lavorazione che risulta tecnicamente possibile eseguire in proprio, ma che non si sa se non sia più conveniente acquistare da un fornitore.

Si tratta di una effettiva alternativa se il costo variabile di produzione è inferiore al prezzo d’acquisto (CB), perché allora esiste un’intersezione fra le rette dei costi totali corrispondenti alle due diverse ipotesi (Fig.1).

La valutazione del costo di “produrre in casa” va fatta considerando separatamente il caso in cui questa produzione sia compatibile con la capacità produttiva degli impianti oppure no.

Il costo variabile di produzione sarà costituito in entrambi i casi dalla somma del costo dei materiali diretti più la componente variabile dei costi indiretti e dell’eventuale lavoro straordinario.

Per calcolare il costo totale di produzione, al costo variabile va aggiunto un costo iniziale, da valutare volta per volta, necessario per avviare la produzione in casa.

Quando la capacità produttiva non fosse sufficiente, il «fare in casa» richiederebbe di acquisire macchinari specifici. In tal caso ai costi variabili andrebbero sommati i costi fissi relativi ai nuovi impianti.

In tutti i casi, dal confronto basato sull’andamento dei rispettivi costi, si ricava il B.E.P, che rappresenta il punto di inversione nella convenienza delle due alternative: al di sotto di quel punto sarà più conveniente acquistare, al di sopra “fare in casa” (v. Fig. 1).

141

Page 146: Dispense Eai

Economia Applicata all’Ingegneria B6 - Analisi di break even

CB

CM

xB.E.P.

Figura 1

1.2 Alternativa tra Leasing e Acquisto di macchinario

L’alternativa riguarda la decisione tra prendere in Leasing oppure acquistare un macchinario. Anche in questo caso il confronto va fatto tenendo conto di tutti i costi iniziali (prezzo

d’acquisto, costi di trasporto, installazione, ecc.), da aggiungere ai costi variabili operativi per ottenere il costo corretto corrispondente “all’acquisto” (CA).

Quanto al Leasing, o locazione finanziaria, questa è un’operazione che possiede sia le caratteristiche dell’affitto sia del mutuo e comporta solo costi variabili.

Il Leasing presenta infatti il grande vantaggio della deducibilità integrale dei canoni relativi ai beni strumentali. Considerando il loro andamento nel tempo, i costi di Leasing si presentano quindi come costi variabili in funzione del livello di produzione progressivamente raggiunto, e possono essere confrontati con i costi totali dell’alternativa di acquisto.

Se i costi variabili dell’acquisto risultano minori di quelli del Leasing, la convenienza dell’una o dell’altra alternativa sarà definita in base ad un determinato livello di produzione. In tal caso infatti l’acquisto si dimostrerà più conveniente una volta trascorso il tempo necessario per recuperare, con i risparmi realizzati sui costi variabili, il capitale investito per l’acquisto.

In Fig. 2 è rappresentata la situazione relativa a tale confronto. Il B.E.P. individua qui il livello di attività e il corrispondente periodo di tempo al di sotto del quale è preferibile il Leasing , al di sopra l’acquisto.

CL

CA

xB.E.P.

Figura 2

142

Page 147: Dispense Eai

Economia Applicata all’Ingegneria B6 - Analisi di break even

1.3 L’analisi COSTO-VOLUME-PROFITTI (CVP)

L’esempio più tipico e più diffuso di impiego dell’analisi di break-even in azienda è costituito dal DIAGRAMMA CVP (Costo - Volume - Profitti; oppure CVR: Costo – Volume - Ricavi).

In questo caso i costi – fissi, variabili e totali - si confrontano con i ricavi R rappresentati dalla: R p x= ⋅ (p = prezzo unitario; x = quantità prodotta)

xB.E.P.

R,C

Cf

Cv

Ct

perdita

profitto

R

dove: R = ricavi Cf = Costi fissi Cv = Costi variabili Ct = Costi totali x = volume di produzione BEP = Break Even Point (punto di equilibrio, o di indifferenza).

In prima approssimazione le relazioni tra le variabili sono di tipo lineare ed in corrispondenza dell’intersezione della retta dei ricavi con quella dei costi totali si trova il Break Even Point, cioè, in questo caso, il valore di produzione che si realizza quando il ricavo totale eguaglia il costo totale.

Analiticamente, il BEP si ricava come punto di intersezione delle rette poste a sistema:

y p xy C k xf

= ⋅= + ⋅

⇒ xC

p kBEPf=

• La quantità (p-k) si definisce margine di contribuzione unitario e rappresenta il

contributo che la vendita di ogni singola unità prodotta porta alla copertura dei costi fissi e (oltre il BEP) al profitto: infatti, in un punto qualsiasi oltre il BEP il margine di contribuzione vale

[ ( )MDC unit ]

MDC = (p - k) x⋅ , cioè la differenza tra i ricavi ed i costi variabili. • Il diagramma CVP si può anche costruire in forma semplificata, rappresentando i valori del

MDC in funzione della quantità di produzione:

143

Page 148: Dispense Eai

Economia Applicata all’Ingegneria B6 - Analisi di break even

xB.E.P.

MDCtot

Cf

MDC(unit)*x

1.4 Valutazione della flessibilità operativa delle imprese.

Il rapporto tra i valori dei costi variabili e dei costi fissi nell’ambito di un’impresa dà la misura della sua «flessibilità» operativa.

Si considerino due imprese (A e B) caratterizzate dai seguenti valori di costi e ricavi:

A B Cf 200 100

k 1 2 p 3 3

In entrambi i casi BEP = 100.

I relativi diagrammi CVP sono i seguenti:

Ct

Cf

xB.E.P. = 100

Costo

200

AZIENDA AR

Ct

Cf

xB.E.P. = 100

Costo

100

AZIENDA BR

operando a x = 90: per A: perdita = 20; per B: perdita = 10.

Imprese con ( C Cf v ) più elevato, cioè con struttura più rigida dei costi, reagiscono peggio a

riduzioni del volume di vendita; sono però avvantaggiate se il volume di vendita aumenta.

144

Page 149: Dispense Eai

Economia Applicata all’Ingegneria B7 - Tecniche di gestione economica (I)

B7 - TECNICHE DI GESTIONE ECONOMICA PARTE I

1 - IMPOSTAZIONE GENERALE

Si vogliono illustrare, in questo capitolo, alcune delle principali tecniche operative impiegate per la risoluzione di problemi economico - organizzativi tipici della gestione aziendale, ma, dal punto di vista metodologico, di significato e applicabilità anche più ampi.

Per un’impostazione generale di questo argomento conviene far riferimento al “metodo” della ricerca operativa, la disciplina nata proprio per risolvere problemi organizzativi caratteristici di sistemi complessi.

In un sistema complesso (quale è l’azienda), i problemi gestionali richiedono in generale la ricerca della “soluzione ottimale”, ossia la migliore soluzione possibile tra diverse soluzioni alternative. Ed è a questo risultato che intende condurre il metodo della ricerca operativa, la cui funzione essenziale è quella di trasformare il problema reale in un problema analitico attraverso una successione di “fasi”, come di seguito schematizzato. 2 - IL METODO DELLA RICERCA OPERATIVA

I Fase - Identificazione delle variabili.

Tra queste, alcune saranno “controllabili” ( xi ) , altre “non controllabili” ( yi ) , a seconda che possano o meno essere modificate a piacimento.

II Fase - Costruzione del modello, cioè della rappresentazione artificiale del sistema reale in studio. In genere si tratta di un modello analitico, cioè di una funzione matematica che rappresenta le interazioni fra le variabili più significative ( un modello è per definizione una rappresentazione approssimata della realtà ): questa funzione si chiama funzione di efficienza, e si indica con

E = f(xi, yi)

III Fase - Ricerca della soluzione ottimale, cioè dei valori delle xi (variabili controllabili) che

danno i migliori valori di E compatibili con le condizioni limitative e cioè con i vincoli fisici che le variabili devono rispettare nel caso specifico; queste condizioni di vincolo sono espresse da relazioni del tipo:

Φ(xi, yi)≥ 0

per cui la soluzione del problema consiste, in generale, nella ricerca di:

MAX(E) in presenza di Φ( , )x yi i ≥ 0 Si tratta cioè di un problema di massimo condizionato.

145

Page 150: Dispense Eai

Economia Applicata all’Ingegneria B7 - Tecniche di gestione economica (I)

Ma il metodo non esaurisce qui la sua importante funzione, poiché prevede due fasi ulteriori in cui il modello costruito e le soluzioni trovate vengono messi alla prova, attraverso il confronto con il funzionamento della struttura reale: con il modello si fa, in particolare, della simulazione, ossia si imita il comportamento della realtà.

E’ un impiego molto importante, poiché uno degli scopi fondamentali della ricerca operativa è quello di controllare il sistema reale, e questo obiettivo si può ottenere soltanto con una gestione dinamica del modello in tempo reale, attraverso successive modifiche e adattamenti intesi a ridurre al minimo lo scostamento tra i risultati teorici e quelli pratici. 3 - MODELLI DETERMINISTICI E MODELLI STOCASTICI

I problemi in questione possono essere affrontati in due modi diversi, a seconda che i dati di

partenza siano certi (o si considerino tali), oppure siano incerti e trattati in termini probabilistici, quantificandone cioè l’incertezza con i procedimenti noti del calcolo delle probabilità.

Nel primo caso (“condizioni di certezza”) si impiegano modelli deterministici, nel secondo caso (“condizioni di incertezza”) modelli stocastici.

Anche i risultati saranno, ovviamente, diversi nei due casi: conoscendo, ad esempio, di ciascun dato del problema, anziché un singolo valore, la corrispondente distribuzione di probabilità, anche il risultato potrà essere presentato in termini di distribuzione di probabilità di valori.

Di seguito si presentano alcuni problemi tipici della programmazione della produzione, che si affrontano in genere con modelli deterministici (Parte I).

In un secondo tempo (Parte II) si illustreranno le caratteristiche fondamentali dei modelli stocastici, particolarmente utili come supporto alle decisioni nelle scelte di investimento.

4 - ESEMPI DI PROBLEMI RISOLUBILI CON MODELLI DETERMINISTICI

I più caratteristici problemi di questo tipo vanno sotto il nome di “problemi di programmazione”.

In generale: si hanno ”problemi di programmazione” quando le risorse utilizzabili per svolgere più attività

sono limitate e devono essere distribuite in modo da ottimizzare l’efficienza complessiva. I possibili modi di distribuire le risorse possono essere finiti o infiniti: corrispondentemente

anche il numero di soluzioni possibili sarà finito o infinito. Il compito delle tecniche di gestione, in questo caso, sarà quello di indicare la via per arrivare velocemente alla “soluzione ottimale”.

Esempi significativi si hanno nel caso dei problemi di programmazione lineare, e cioè quei problemi in cui sia la funzione di efficienza che le funzioni di vincolo sono funzioni lineari delle variabili, e precisamente:

Z = ∑ cj xj (funzione di efficienza)

∑ aij xj ≤ bi (funzioni di vincolo)

E’ di questo tipo un gruppo di problemi, definiti: a) di Assegnazione, b) di Trasporto, c)

problemi risolubili solo con il metodo del simplex.

146

Page 151: Dispense Eai

Economia Applicata all’Ingegneria B7 - Tecniche di gestione economica (I)

4.1 Assegnazione, trasporto, simplesso

a) Assegnazione Il problema consiste nella ”associare” n origini a n destinazioni. Nota “l’utilità” Tij dell’associazione dell’origine generica Si alla destinazione generica Dj,

l’assegnazione globale andrà effettuata in modo da rendere massima l’utilità complessiva. I dati sono presentati con la “matrice di efficienza”; la soluzione con la “matrice di

assegnazione”. b) Trasporto Il nome deriva dalla formulazione originale del problema, che è la seguente: “Dati diversi centri di produzione (n origini), ciascuno con capacità produttiva fissa, ed essendo

la capacità produttiva totale in equilibrio con la domanda totale, si richiede di programmare la ripartizione dei beni prodotti fra i centri di consumo (m destinazioni), in modo da rendere minimo il costo totale del trasporto, soddisfacendo il fabbisogno di ogni centro”.

A questo schema si possono ricondurre vari tipi di problemi (oltre a quelli di “trasporto” vero e

proprio riguardanti la distribuzione di risorse tra origini e destinazioni in numero qualsiasi. Dati e risultati sono espressi, come prima, sotto forma di matrice, che in questo caso è

generalmente rettangolare. c) Problemi risolubili con il metodo del Simplesso Sono di questo tipo i problemi di determinazione delle quantità ottimali da produrre, quando ci

sia interazione tra le variabili e in presenza di vincoli tecnologici, con l’obiettivo della massimizzazione del profitto.

Il “metodo del simplesso” consente di individuare la soluzione ottimale fra le diverse soluzioni possibili del modello analitico, che in questo caso consiste in un sistema di equazioni ricavabile dalla funzione di efficienza e dalle condizioni limitative.

Analiticamente il problema si presenta nel modo seguente. Occorre trovare i valori delle variabili x1, x2, ..., xj,...xn, che rendono massima la funzione

obiettivo

Z = c1x1 + c2x2 + ... + cjxj + ....+ cnxn soddisfacendo le m diseguaglianze

∑ aij xj ≤ bi (i = 1÷m; j = 1÷n) e tali che x1, x2, ..., xj,...xn ≥ 0 L’impostazione matematica del problema porta ad un sistema di m equazioni lineari indipendenti

in (n+m) incognite, che – com’è noto – ha ∞n soluzioni possibili. Quando il numero di incognite è ≤ 3 (cioè due variabili xj e la Z), è possibile trovare

graficamente la soluzione ottimale.

147

Page 152: Dispense Eai

Economia Applicata all’Ingegneria B7 - Tecniche di gestione economica (I)

Esempio 1. Funzione di efficienza Z = 3000 x1 + 7000 x2 vincoli tecnologici x1 ≤ 50 x2 ≤ 80 x1 + x2 ≤ 100 condizioni di non negatività: x1, x2 ≥ 0. La soluzione ottimale si deve cercare fra i punti del poligono OA’B’C’D’ (figura 1), intersezione

del piano Z=z(x1, x2) con il prisma retto di base OABCD : sarà data dal punto del poligono suddetto a cui corrisponde il più alto valore di Z ( in questo caso C’).

La ricerca della soluzione è facilitata operando con le proiezioni quotate sul piano (x1, x2) delle rette orizzontali del piano Z = z(x1, x2) (figura 2).

4.2 Lotto economico di produzione

Un modello deterministico frequentemente usato nella gestione della produzione è quello relativo al lotto economico di produzione.

Dicesi “L.E.P.” (in Inglese E.O.Q. = Economic Order Quantity) il quantitativo ottimale (n° pezzi) da produrre con un dato ordine di lavorazione e da avviare al magazzino.

E’ un problema di minimizzazione di costi che nasce dal fatto che al crescere del volume del lotto, per un dato tempo:

- diminuisce il “costo d’ordine” (ordinazione, preparazione macchina) - cresce il “costo di magazzino” (gestione locali, costi finanziari,..)

Analogo problema si ha quando occorre determinare il lotto “ottimale” di approvvigionamento all’esterno (in tal caso si ha un problema di “gestione ottimale delle scorte”).

148

Page 153: Dispense Eai

Economia Applicata all’Ingegneria B7 - Tecniche di gestione economica (I)

Esempio 2. Impostazione del calcolo del LEP Sia CT il costo totale annuo. Questo è composto da due costi componenti:

1) costo d’ordine

C1 = cE (D/q)

cE = costo unitario d’ordine D = domanda annua q = quantità (volume) corrispondente a 1 ordine (lotto) (per cui è: D/q = n° ordini in 1 anno).

2) costo di magazzino

−⋅=

−⋅=

pdqCd

pqqCC MM 1

21

21

2

cM = costo annuo di magazzinaggio dell’unità di prodotto p = produzione giornaliera (che va in magazzino) d = domanda giornaliera (che esce dal magazzino) q/p = n° di giorni corrispondenti a l’immagazzinamento di 1 lotto In tal modo il costo C2 risulta dato dal prodotto di cM per la quantità media presente nel

magazzino.

Il valore “ottimale” cioè il L.E.P. si ottiene dalla:

C1

C2

CT

q*

C

Min(CT) = Min(C1 + C2)

cioè da ∂∂Cq

T = 0

qC D

C dp

e

M

* =−

2

1

149

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Economia Applicata all’Ingegneria B7 - Tecniche di gestione economica (I)

4.3 Problemi di coordinamento e di programmazione lavori

Un ultimo caratteristico tipo di problemi di programmazione è quello che riguarda in particolare il fattore “tempo”.

Generalità

Un tipico problema da affrontare durante la programmazione dei lavori è quello di coordinare tra loro le diverse operazioni che portano al compimento del progetto, con particolare riguardo ai tempi di inizio, durata e fine delle varie fasi che lo compongono.

Molti progetti di ingegneria civile, meccanica nonché i lavori di manutenzione, sono oggetto di questo tipo di organizzazione.

La prima operazione da effettuare è quindi una scomposizione del progetto in attività elementari ed una loro organizzazione che tenga conto delle seguenti condizioni:

a - si suppone l'esistenza di una serie definita di lavori (attività) che devono essere condotti a

termine prima che il progetto di cui fanno parte sia terminato; b - si suppone l'esistenza di risorse sufficienti a garantire che i lavori possano essere iniziati e

terminati indipendentemente entro una data sequenza (in caso contrario il problema è più complesso ma ugualmente risolvibile);

c - i lavori possono essere ordinati secondo una sequenza logica consequenziale.

Lo scopo di questo tipo di programmazione è quello di organizzare al meglio le varie operazioni e di calcolare il minore tempo necessario allo svolgimento dell'intero progetto.

Diagramma di Gantt

È una tecnica utilizzata per razionalizzare la programmazione dei lavori in modo grafico. Le attività elementari riconosciute all'interno del progetto vengono rappresentate con segmenti di lunghezza proporzionale alla loro durata, disegnati con una sequenza che rispecchi quella del reale sviluppo logico dei lavori nel tempo (figura 3).

tracciatura

sostegni

scavi

scarichi

massicciate

tempo

Figura 3 - Un tipico diagramma di Gantt

150

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Economia Applicata all’Ingegneria B7 - Tecniche di gestione economica (I)

I limiti pratici dettati da questo tipo di rappresentazione grafica diventano più gravi man mano che la complessità del progetto aumenta. Innanzi tutto una variazione dei lavori in corso d'opera richiede una riprogrammazione e quindi una nuova rappresentazione; l'impossibilità di esprimere chiaramente i legami tra le diverse operazioni costituisce poi un limite all'acquisizione di informazioni ritenute invece importanti.

II PERT

Il PERT (Program Evaluation and Review Technique) consente di rappresentare fedelmente e razionalizzare i programmi di attività in maniera adeguata alla loro natura complessa e dinamica. La diffusione di questa tecnica si deve alla sua prima applicazione nel 1958 da parte della Marina degli USA durante lo sviluppo del progetto del sottomarino “Polaris”: i tempi di esecuzione vennero ridotti del 30% rispetto a quelli inizialmente previsti.

Il PERT è anche uno strumento di organizzazione e gestione che permette di valorizzare le capacità di chi dirige i programmi di attività.

Gli elementi fondamentali per la costruzione di un PERT sono le attività e gli eventi. Il progetto può essere rappresentato con una rete grafica che consiste in nodi e segmenti orientati

con le seguenti convenzioni: - le attività sono rappresentate da segmenti; - i segmenti diretti ad un nodo rappresentano le attività che devono essere completate prima

che le attività rappresentate dai segmenti che partono da quel nodo possano iniziare; l’attività rappresenta quindi una fase necessaria per passare da una situazione ad un’altra ed è caratterizzata da una durata;

- gli eventi rappresentano gli istanti di inizio e di fine delle attività; ad un evento non potranno

mai venir associate delle durate, ma solo degli istanti nel tempo, cioè delle date. La rappresentazione risultante è quindi la seguente:

dove 1 è l'evento iniziale e 2 l'evento finale (es.: 1= spedizione ordini, 2= arrivo materiale,

attività = attesa materiale); Un esempio di reticolo può essere il seguente:

151

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Economia Applicata all’Ingegneria B7 - Tecniche di gestione economica (I)

L'evento 4 può verificarsi solo quando siano state completate tutte le attività che terminano in 4. La figura può riferirsi ad un progetto di opere civili dove il significato delle diverse attività è il seguente:

Al = ordine dei materiali; A2 = costruzione fondazioni; A3 = reperimento della manodopera; A4 = costruzione delle murature; A5 = attesa dei materiali; A6 = messa in opera dei serramenti. In una catena di attività il numero tot. degli eventi è sempre uguale al numero tot. delle attività

più 1; in un reticolo, poiché in un nodo possono concorrere e dipartirsi più di una attività, il loro numero (A) è in genere maggiore di quello degli eventi e il massimo può essere dato da:

Amax = n!/2(n-2)!

con n = numero di eventi; La tecnica PERT

1) Raccolta dati Si discernono tutte le attività significative che compongono il fenomeno dato, compilandone un

elenco con le rispettive caratteristiche. 2) Stesura del reticolo e revisione delle durate Noti i rapporti e i vincoli di sequenza logico-temporale tra le attività che compongono il

fenomeno in esame, si passa alla previsione delle durate, sfruttando l'esperienza o ipotesi sulle circostanze reali che influenzano e governano lo svolgimento di ogni attività.

Si consideri ora un reticolo semplice:

Figura 4 – Esempio di PERT

Per comodità la data di inizio che compete all’evento iniziale si pone uguale a zero. All'evento 2 sarà attribuito un tempo corrispondente alla data dell'evento 1, aumentata della

durata dell’attività che va dall'evento 1 all’evento 2 (D1,2). Questo valore di tempo è chiamato (Tmin)2 e sarà dato da:

(Tmin)2 = (Tmin)1 + D1,2 = 0 + 13 = 13. Poiché al nodo 5 competono diversi Tmin si sceglierà il massimo dei tre.

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Economia Applicata all’Ingegneria B7 - Tecniche di gestione economica (I)

Il Tmin di un generico evento rappresenta la data minima prima della quale non è possibile iniziare le attività che si dipartono dallo stesso. Il Tmin rappresenta quindi la data in cui un attività può essere “al più presto iniziata”.

L'ultimo degli eventi di termine sarà l'evento finale; nell'esempio in figura 3 il (Tmin)6 = 144 rappresenta la data minima prima della quale non è possibile iniziare a disporre dell'opera compiuta.

Per ogni attività è anche interessante conoscere la data in cui essa potrebbe “al più tardi” essere

iniziata, o completata, rispettando la condizione di non causare, così facendo, ritardi sulla data finale dell'opera: questa data si indica con Tmax.

Dopo aver assunto come Tmax dell’evento finale della rete il valore di Tmin ottenuto per lo stesso evento, per ogni evento a monte il calcolo della rispettiva data "al più tardi" si effettua sottraendo le durate delle varie attività alle date degli eventi di termine relativi.

Nell'esempio di figura 4, (Tmax)6 = (Tmin)6 = 144

e per l'evento 5 (Tmax)5 = (Tmax)6 - D5,6 = 144 - 21 = 123 Nel caso in cui da un nodo partano più attività si dovrà scegliere come Tmax dell’evento

corrispondente il minore dei Tmax calcolati; esso rappresenta infatti la data massima oltre la quale non si deve ritardare l'inizio delle attività che partono da quel nodo.

La differenza tra Tmax e Tmin calcolata per un dato evento si definisce slittamento. Questa differenza rappresenta per un evento lo slittamento temporale di cui può usufruire la sua

data; in altre parole si tratta di un intervallo di tempo entro i cui limiti si è liberi di far iniziare le attività che partono da un nodo o di far terminare quelle che vi convergono, certi che ciò è compatibile con quanto precede e che non saranno indotti ritardi nella data finale del progetto. La sua conoscenza completa il quadro delle informazioni utili ad organizzare al meglio i lavori

Dall'esempio in figura 4 si nota che per gli eventi 1, 2, 3, 5 e 6 il valore dello slittamento è uguale a 0. Questo significa che tali eventi non possono usufruire di alcun intervallo perché lo slittamento conseguente si ripercuoterebbe sulla data finale del progetto. Tali eventi vengono detti critici e le attività che li connettono sono in genere attività critiche.

Tra le vie che collegano l'evento di inizio a quello di termine ne esisterà almeno una formata da attività critiche; essa è denominata cammino critico.

Questa via è la più lunga ed è quella che determina direttamente la durata complessiva della rete e quindi non sarà possibile diminuire la durata totale del progetto se non riducendo la durata di qualche attività critica.

Analogamente allo slittamento degli eventi, si può calcolare lo slittamento delle attività, con lo stesso significato del termine.

Mentre le attività critiche hanno slittamento uguale a zero, si possono individuare attività con slittamento maggiore di zero, attività cioè il cui inizio o completamento può essere rinviato conservandone la durata, oppure che si possono far durare di più di quanto si era previsto.

Si tenga presente che un aumento di durata di un’attività può corrispondere a una riduzione di risorse ad essa dedicate, allo scopo di destinarne di più ad attività critiche e ridurre così il tempo totale di esecuzione del progetto. Si capisce allora quali e quanti possono essere i vantaggi, dal punto di vista economico, della programmazione con il metodo PERT.

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Economia Applicata all’Ingegneria B8 -Finanziamenti e investimenti

B8 - FINANZIAMENTI E INVESTIMENTI (LA FUNZIONE FINANZIARIA)

1 - PREMESSA

Scopo fondamentale della Funzione Finanziaria è quello di approvvigionare e gestire il CAPITALE necessario per la vita dell’impresa.

I problemi sono di due tipi, a seconda dello scenario temporale a cui si fa riferimento. Può trattarsi della gestione finanziaria corrente, cioè relativa all’anno di esercizio, dove il fabbisogno finanziario riguarda l’esigenza di far fronte a debiti a breve termine. Può trattarsi invece del problema finanziario relativo alle operazioni di investimento, quelle cioè destinate all’acquisizione di beni strumentali, e allora si tratta di operazioni che comportano decisioni e scelte di lungo periodo.

In questo capitolo vedremo come si impostano entrambi i tipi di problemi, sia dal punto di vista della gestione del capitale (quanto capitale serve?) sia da quello dell’approvvigionamento (come lo si può reperire), partendo da alcune considerazioni valide in entrambi i casi. 2 - QUANTIFICAZIONE DEL FABBISOGNO FINANZIARIO Il primo problema da affrontare è rappresentato dal calcolo (o dalla stima) del quantitativo di capitale che si deve approvvigionare. A tale scopo conviene far riferimento al bilancio dell’Azienda in questione, tenendo presente che:

il capitale necessario complessivamente si può dedurre dallo Stato Patrimoniale nelle voci dell’ATTIVO.

Se il problema riguarda un investimento per la creazione di una nuova impresa, lo Stato Patrimoniale in questione sarà quello da costruire a preventivo in fase di progetto della nuova unità produttiva. Com’è noto, le voci dell’Attivo dello Stato Patrimoniale consistono in:

A) IMMOBILIZZAZIONI, cioè beni strumentali destinati ad essere impiegati in più esercizi; B) CAPITALE CIRCOLANTE (o Attivo Circolante), cioè impieghi di breve periodo che

nascono dal funzionamento dell’impresa.

• Il totale delle Attività rappresenta - come si sa - tutto il capitale investito, ma, come vedremo, può non essere necessario finanziarlo tutto.

• I beni da immobilizzare vanno computati al lordo dei costi di acquisto, trasporto, installazione. In fase di programmazione è importante valutare attentamente i costi e la convenienza di soluzioni alternative (acquisto, affitto, prestito .... ).

• L’Attivo circolante è costituito essenzialmente da scorte e crediti vari: sono voci destinate a trasformarsi in liquido nel breve periodo, ma non per questo non costituiscono un investimento duraturo (il “ciclo” corrispondente si chiude quando l’Azienda cessa la propria attività). Occorre valutare con cura l’Attivo circolante (ricordando che è da finanziare!) perché in qualche caso può essere molto rilevante, superiore anche alle Immobilizzazioni (v. es. di attività commerciale di grandi forniture ad Enti Pubblici).

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Economia Applicata all’Ingegneria B8 -Finanziamenti e investimenti

3 - COPERTURA DEL FABBISOGNO FINANZIARIO NELLA GESTIONE CORRENTE

Anche le modalità (fonti) di finanziamento dell’impresa sono rilevabili in linea di massima dallo Stato Patrimoniale: nelle voci del PASSIVO.

Come è noto, il finanziamento può derivare da:

a) MEZZI PROPRI; b) MEZZI DI TERZI. • Vogliamo qui esaminare in particolare il problema delle esigenze di finanziamento eccedente

i mezzi propri, che si presenta nella gestione corrente. La copertura del fabbisogno avviene in generale con:

DEBITI: ∗ di finanziamento (onerosi)

∗ di funzionamento (non onerosi)

- debiti v/s fornitori; - debiti v/s erario (IVA, Imposte Dirette, .... ); - debiti v/s INPS; - TFR.

I debiti di funzionamento contribuiscono alla copertura del fabbisogno di capitale circolante, per cui la quota effettivamente da finanziare è il:

CAPITALE CIRCOLANTE NETTO = ATTIVO

CIRCOLANTE _ DEBITI DI

FUNZIONAMENTO Il suo ammontare dipende da:

- CICLO FINANZIARIO - VOLUME delle VENDITE

• Ciclo finanziario = Tempo pagamento scorte - Tempo incasso vendite.

Può essere: negativo (è il caso più frequente) ma anche positivo (v. esempi nel seguito).

• Volume delle vendite

In generale si ha che: • Con crescita rapida delle vendite crescono i crediti v/s clienti (più dei debiti v/s fornitori)

⇒ può verificarsi grave crisi di liquidità, se non si è valutato correttamente il C.C.N.

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Economia Applicata all’Ingegneria B8 -Finanziamenti e investimenti

• ESEMPIO DI CICLO FINANZIARIO (NEGATIVO):

Acquisto scorte

Vendita prodotti

Pagamenti scorte

Incasso per vendita

0 30 60 90 120 150 180 gg

C.F. = 120 gg

Se: Ricavo annuo = 1200 k€, il solo CREDITO v/s Clienti risulta di 1200 k€, parzialmente compensato dal DEBITO v/s fornitori: questo, se per es. si dovessero approvvigionare scorte per 600 k€ / anno, sarebbe di

150360 500⋅ =

600 60360 100⋅ = k€.

• In qualche caso il ciclo finanziario potrebbe essere positivo, come nell’esempio:

Acquisto

Vendita Incasso

Pagamento

0 20 40 60 90

In questo caso la gestione corrente genera risorse.

4 - LE MODALITÀ DI FINANZIAMENTO CON MEZZI DI TERZI Finanziamenti a breve termine: • scoperti di c.c. • sconto di: ∗ cambiali

∗ tratte

• Factoring ∗ F. pro solvendo ∗ F. pro soluto

Finanziamenti a lungo termine • mutuo

• leasing • sconto a medio-lungo termine

In particolare si definisce:

Factoring = attività professionale di raccolta di crediti altrui. Il factor (in italiano “cessionario”) acquista crediti da imprenditori, pagandoli una cifra inferiore al loro valore nominale. La differenza fra il valore dei crediti (una volta incassati) e la cifra pagata costituisce il guadagno del factor. Il rischio di insolvenza del debitore ricade di norma sulle spalle del cedente (l’imprenditore) : in questo caso si dice che il credito è stato ceduto “pro solvendo”; in caso invece che il rischio venga assunto completamente dalla società di factoring, la cessione si dice “pro soluto”.

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Economia Applicata all’Ingegneria B8 -Finanziamenti e investimenti

Nota: per quanto riguarda le modalità di finanziamento con capitale proprio, e per approfondimenti sui mezzi di terzi, v. Cap M, N, O - ZANOBETTI.

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Economia Applicata all’Ingegneria B8 -Finanziamenti e investimenti

5 - SCELTA E VALUTAZIONE DEGLI INVESTIMENTI INDUSTRIALI

5.1 Introduzione: le caratteristiche dell’investimento industriale

Si definisce investimento industriale l’impegno di capitale per acquisire beni durevoli destinati a fornire utilità economica, in tempi successivi, attraverso il processo produttivo. Si può fare la distinzione fra grandi e piccoli investimenti, a seconda che la loro realizzazione richieda risorse più o meno grandi rispetto al patrimonio dell’azienda e abbia o meno conseguenze rilevanti all’esterno dell’azienda stessa. In ciascuno dei due casi saranno diverse le esigenze di conoscenza ed elaborazione dei dati: i dati di natura commerciale, fiscale e finanziaria richiesti per un grande investimento non saranno necessari per uno piccolo, che peraltro potrà richiedere dati tecnici approfonditi e dettagliate analisi di costo del processo produttivo.

In entrambi i casi le metodologie di analisi si possono ritenere le stesse, come pure le motivazioni e i corrispondenti tipi di investimento, classificabili come segue:

• investimenti di produzione, destinati a creare o aumentare la capacità produttiva; • investimenti di sostituzione, il cui scopo è quello di acquisire mezzi produttivi per sostituirne

di usurati ed obsoleti; • investimenti di produttività, intesi a ridurre i costi della produzione; • investimenti per il miglioramento dell’ambiente di lavoro, destinati a migliorare le

condizioni di sicurezza e dei servizi del personale

5.2 Le decisioni di investimento

Le decisioni riguardanti gli investimenti sono una delle più importanti attività della direzione aziendale, poiché condizionano in modo determinante la redditività futura dell’azienda. Esse richiedono valutazioni e stime complesse e problematiche, sia perché gli investimenti sono in genere strettamente legati alla vita dell’impresa (e quindi non facilmente scorporabili, come è richiesto per la loro valutazione specifica) sia perché si sviluppano nel futuro (e pertanto se può essere certo il loro costo, è sempre incerto, per principio, il loro risultato). Per questi motivi la valutazione di un investimento, ossia la stima del suo risultato economico, conterrà in generale degli elementi soggettivi, poiché dipenderà dalle specifiche condizioni dell’azienda, e potrà essere affrontata in modo deterministico (considerando cioè i dati “come se fossero certi”) oppure probabilistico (introducendo quindi gli strumenti necessari per quantificare l’incertezza di dati e risultati).

Di un investimento è normalmente richiesta un’analisi di redditività che consenta di effettuare una scelta fra alternative diverse: per esempio decidere se fare o non fare l’investimento, oppure scegliere l’investimento più conveniente fra più investimenti possibili.

Dal punto di vista tecnico la valutazione di un investimento consiste nell’analisi del suo comportamento finanziario. I dati del problema sono:

• il tempo, ossia la durata dell’investimento; • il costo, ossia il capitale richiesto; • i ricavi, ossia il ritorno in forma liquida che l’investimento procura grazie alla gestione

produttiva.

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Economia Applicata all’Ingegneria B8 -Finanziamenti e investimenti

Per quanto riguarda il tempo, questo va ovviamente stimato in base alla “vita” - fisica, tecnica e commerciale - dei beni interessati dall’operazione. Costi e ricavi vanno invece considerati come flussi di cassa, ossia come uscite e entrate di un’ipotetica cassa associata all’operazione di investimento.

In una data realtà aziendale un problema a volte di non facile soluzione è quello, già accennato, di isolare l’operazione di investimento dal contesto generale dell’azienda: per questo i flussi suddetti dovranno essere, in linea di principio, dei flussi differenziali, cioè in pratica costi e ricavi risultanti per differenza tra la situazione con investimento e la situazione, preesistente, senza investimento. In un caso come questo, inoltre, per poter giudicare sulla convenienza dell’investimento, una particolare attenzione va posta al calcolo dei COSTI: tra questi occorre considerare anche gli eventuali COSTI IMPLICITI dovuti all’impiego di fonti finanziarie sottratte ad altre possibili destinazioni, oppure i COSTI FIGURATIVI, dovuti all’uso di beni dell’azienda, come fabbricati e terreni, che non saranno disponibili per altri impieghi.

I flussi di cassa si calcolano come somma algebrica dei flussi differenziali positivi e dei flussi differenziali negativi manifestatisi in tutta la vita dell’investimento: la convenienza dell’investimento si valuterà in base al loro confronto. Questo confronto si può fare con relativa facilità se tutte le voci sono riconducibili a quelle del Conto Economico e consisterà nel calcolo e confronto dei Cash Flow nelle due situazioni: “senza investimento” e “con investimento”. E’ questo il “Metodo dei Conti Economici Comparati”. Merita rilevare che in questo tipo di valutazione la voce “Ammortamento” del C.E. non deve, ovviamente, essere conteggiata di per sé come un costo in quanto non è un’uscita effettiva di denaro, ma se ne deve tenere conto nel calcolo dei costi perché influisce sulla voce “Imposte” che invece è un flusso effettivo in uscita.

Con questo metodo, o con altri simili, si compie il primo passo per la valutazione dell’investimento: quello di quantificare il risultato economico che l’investimento procura, in termini di flusso di cassa CFi in ognuno degli n anni di esercizio corrispondenti alla vita totale dell’investimento.

Per valutare l’investimento nel complesso occorre tenere conto del fatto che questi CFi si riferiscono a tempi diversi e quindi per una valutazione corretta è necessario renderli omogenei con un’operazione di attualizzazione. Per questo motivo i criteri “migliori” di valutazione sono quelli chiamati “DCF” (Discounted Cash Flow) basati appunto sull’attualizzazione. I principali sono i due seguenti.

1) CRITERIO DEL “VALORE ATTUALE NETTO” (VAN) [Detto anche del “Risultato Economico Attualizzato”(REA)]

Posto :

C0 = Costo iniziale dell’investimento (all’anno “zero”) n = anni della vita economica dell’investimento DCFj = flusso di cassa scontato relativo all’anno j (cioè valore attualizzato all’anno “zero” di CFj)

è:

VAN = DCFj

n

−∑ C0

1

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Economia Applicata all’Ingegneria B8 -Finanziamenti e investimenti

Applicando questo criterio occorre fissare il numero di anni di vita n e il tasso di attualizzazione i

che compare nel fattore di sconto ν j

j

i=

+

11 .

Per questo motivo, il giudizio che si dà circa la “convenienza” dell’investimento dipende dal valore di i scelto.

Si può scegliere per i il valore del tasso di interesse corrispondente al costo medio del capitale che l’azienda deve sostenere per i suoi prestiti. In tal caso, se VAN>0 l’investimento potrà essere giudicato conveniente in quanto i benefici economici risultano maggiori dei costi sostenuti dall’impresa. Tra due investimenti alternativi, valutati ovviamente con lo stesso tasso i , sarà più conveniente quello con VAN maggiore.

Occorre tenere presente che “alternativi” si intendono investimenti con lo stesso costo C0. In caso contrario si potrà confrontarli con un criterio di proporzionalità, e cioè in base ai valori del rapporto VAN/C0.

2) CRITERIO DEL “TASSO INTERNO DI RENDIMENTO” (TIR) (Detto anche IRR = Internal Rate of Return)

Si definisce “tasso interno di rendimento” il valore i* del tasso di attualizzazione che si ricava ponendo:

DCFJ - C01

n

∑ = 0

cioè annullando il VAN nell’espressione vista al punto precedente e considerando i come incognita dell’equazione risultante. Il calcolo di i* si può fare per tentativi, utilizzando la rappresentazione grafica dell’andamento della funzione VAN(i) , molto utile anche per la miglior comprensione del significato delle grandezze in gioco.

VAN

ii*

∑=

−n

jj CCF

10

C0

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Economia Applicata all’Ingegneria B8 -Finanziamenti e investimenti

La valutazione dell’investimento con questo criterio si farà in base al valore risultante i* , che servirà come elemento di confronto con un rendimento o con un costo (in termini di tasso di interesse) prefissato. Il rendimento prefissato per il confronto può essere il ROI dell’azienda, mentre il costo può essere ancora quello degli oneri finanziari per i prestiti a medio-lungo termine. Un’osservazione è necessaria per guidare la scelta del criterio da adottare tra i due visti. Con il VAN, avendo fissato il tasso i , si è implicitamente ammesso che i CFj vengano reinvestiti ogni anno al tasso di interesse i. Con il TIR questo tasso implicito di reinvestimento è i* . Per questo motivo i due criteri danno lo stesso risultato se sono applicati ad un dato investimento. Ma nel caso di scelta fra alternative di investimento, occorrerà utilizzare l’uno o l’altro criterio a seconda della maggior o minor propensione al rischio dell’imprenditore e della effettiva possibilità di reinvestire i CFj prodotti a un tasso pari a i* .

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Economia Applicata all’Ingegneria B9 - Distribuzioni di probabilità - CSQ

B9 –DISTRIBUZIONI DI PROBABILITÀ PER IL CONTROLLO STATISTICO DI QUALITÀ

1 - RICHIAMI DI CALCOLO DELLE PROBABILITÀ E CALCOLO COMBINATORIO

Per arrivare alla definizione di probabilità, è necessario richiamare alcuni concetti fondamentali.

La probabilità di cui ci occupiamo è sempre quella di un evento, che è il risultato di un’azione.

E’ utile far riferimento, come azione, all’esperimento consistente in un’estrazione casuale; un esperimento viene definito casuale quando, pur condotto più volte nelle medesime condizioni, porta a risultati diversi.

Con spazio campionario si intende l’insieme di tutti i possibili risultati di un esperimento; “l’evento” é quindi un sottoinsieme dello spazio campionario di un esperimento.

Supponiamo di estrarre N elementi da una popolazione di n (>>N) individui; gli N risultati di tale estrazione ci permettono di costruire, con i procedimenti già visti, una variabile statistica che può essere chiamata variabile statistica campione e in questo senso rimane distinta da quella costituita esaminando uno per uno gli individui della popolazione.

D’ora in poi noi intenderemo il “campione” solo con questo significato, che è quello utilizzato nella “teoria della campionatura”. Questa studia il modo di ottenere dal campione informazioni utili per la conoscenza della composizione della popolazione da cui il campione è estratto, e ciò risulta possibile applicando la “teoria della probabilità”.

In generale questo obiettivo si raggiunge costruendo, con i dati della campionatura, una distribuzione statistica dei relativi N valori e studiandone le correlazioni con la distribuzione incognita (distribuzione di probabilità) degli n valori della popolazione di partenza.

Per far questo occorre applicare la definizione e le leggi della probabilità che è opportuno richiamare.

1.1 La definizione di probabilità

Per completezza di inquadramento, e ricapitolando, si ricorda che in generale si possono avere diversi approcci alla definizione della probabilità di un evento:

1) APPROCCIO “CLASSICO” o a priori

- a: possibili esiti favorevoli al verificarsi dell'evento A - b: possibili esiti sfavorevoli al verificarsi dell’evento A

a ⇒ A AZIONE ⇒ n risultati ugualmente possibili

b ⇒ non A [a+b = n]

P A aa b

( ) =+

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Economia Applicata all’Ingegneria B9 - Distribuzioni di probabilità - CSQ

È questa la definizione di probabilità matematica, il rapporto tra il numero dei casi favorevoli ed il numero dei casi possibili dell’evento medesimo; tale probabilità può assumere un valore compreso tra 0 e 1.

In particolare si ha che: P = 0 significa evento impossibile; P = 1 significa evento certo.

2) APPROCCIO "EMPIRICO" (o della frequenza relativa o a posteriori). E’ chiaro che quando si esegue un esperimento non é possibile conoscere a priori se un

determinato evento si presenterà oppure no; si introduce allora la variabile limite a cui tendono i risultati di una serie sempre crescente di prove aleatorie, e la sua frequenza limite è detta probabilità.

Questa è determinata sulla base della frequenza relativa degli esiti favorevoli che si verificano in un grande numero di osservazioni. Quindi se in un certo numero di prove (n), l’evento E favorevole

si verifica f volte, la frequenza relativa che indica E è r

fn

=f e viene denominata probabilità

statistica.

ESEMPIO 1.

Controllo di qualità su 10000 utensili; 100 risultano difettosi;

P =100

10000 = 0.01

(ovvero esiste la probabilità dell’1% circa del verificarsi del difetto). La Legge empirica del caso dice che portando all’infinito il numero di prove n, la frequenza

relativa dell’evento E tende ad un limite che esprime la stima della probabilità stessa dell’evento.

3) APPROCCIO "SOGGETTIVO" (analisi Bayesiana). Si usa di solito quando l'evento considerato ha una sola probabilità di verificarsi; tale probabilità

è il grado di fiducia che l'individuo ha nel verificarsi dell'evento, sulla base di tutti gli elementi di giudizio a sua disposizione.

1.2 Il diagramma di Venn

Questo diagramma consente di rappresentare gli eventi che possono verificarsi in una particolare osservazione o esperimento. Una figura chiusa rappresenta uno spazio campionario e le porzioni dell'area compresa entro quello spazio rappresentano particolari eventi.

AA’

probabilità di due eventi A e A' (non A); P(A) + P(A') = 1. La superficie totale del rettangolo del diagramma di Venn ha valore unitario.

164

Page 169: Dispense Eai

Economia Applicata all’Ingegneria B9 - Distribuzioni di probabilità - CSQ

1.3 Le regole del calcolo delle probabilità

REGOLA DELL'ADDIZIONE (o della probabilità totale). Per prima cosa e' necessario distinguere tra eventi incompatibili ed eventi compatibili: due o

più eventi sono incompatibili o disgiunti se non possono verificarsi insieme (si escludono quindi a vicenda); compatibili o congiunti se si possono verificare insieme.

La regola dell'addizione si applica quando si vuole determinare la probabilità che un evento o un altro (o entrambi) si verifichino in un'unica osservazione.

P(A o B) = probabilità del verificarsi dell'evento A oppure dell’evento B Questa configurazione è detta unione di A e B: P(A U B). Per eventi incompatibili:

P(A o B) = P(A U B) = P(A) + P(B)

ESEMPIO 2.

Estrazione asso (A) ed estrazione re (K) sono incompatibili P(A o K) = P(A) + P(K) = 4/52 + 4/52 = 0,15 Per eventi compatibili si sottrae dalla somma la probabilità che i due eventi si verifichino

congiuntamente:

P(A o B) = P(A) + P(B) - P(A e B) [REGOLA GENERALE] con P(A e B) si intende l’intersezione P(A ∩ B) [vedi il diagramma di Venn per maggior

chiarezza].

ESEMPIO 3.

Estrazione asso (A) o carta di cuori (C) P(A o C) = P(A) + P(C) - P(A e C) = 4/52 + 13/52 - 1/52 = 0,31 con Venn:

A

B

IN C O M PA T IB IL I

A

B

C O M PA T IB IL I

A e B o A ∩ B

165

Page 170: Dispense Eai

Economia Applicata all’Ingegneria B9 - Distribuzioni di probabilità - CSQ

REGOLA DELLA MOLTIPLICAZIONE (o della probabilità composta).

Occorre distinguere tra:

eventi indipendenti: quando il verificarsi o il non verificarsi di uno non ha alcun effetto sulla probabilità del verificarsi dell'altro.

eventi dipendenti: quando il verificarsi o il non verificarsi di un evento influenza la probabilità del

verificarsi dell'altro.

ESEMPIO 4.

Lancio 2 volte una moneta: si tratta di eventi indipendenti. Estrazione di 2 carte senza re-immissione della carta estratta: si tratta di eventi dipendenti La regola della moltiplicazione si applica quando si vuole determinare la probabilità che due o

più eventi si verifichino congiuntamente. Per eventi indipendenti:

P(A e B) = P( A ∩ B) = P(A)•P(B)

ESEMPIO 5.

Lancio della moneta evento congiunto probabilità C

C e C 0,25 C e T 0,25 T e C 0,25 T e T 0,25

T

C

T C

T Quando due eventi sono dipendenti si impiega il concetto di probabilità condizionata per

designare la probabilità del verificarsi dell'evento connesso. P(B/A) = probabilità che B si verifichi una volta verificatosi A nel caso di eventi dipendenti la probabilità che A e B si verifichino congiuntamente è data dalla

probabilità di A per la probabilità condizionata di B dato A

P(A e B) = P(A) • P(B/A) REGOLA GENERALE

P(A e B) = P(B) • P(A/B)

166

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Economia Applicata all’Ingegneria B9 - Distribuzioni di probabilità - CSQ

Infine, la formula per determinare la probabilità di B dato A considerando che la probabilità di B (una volta verificatosi A) corrisponde alla porzione di tutti i restanti eventi elementari che comprendono B:

P B A P AeBP A

P A BP A

( / ) ( )( )

( )( )

= =∩

1.4 La probabilità come ragione di scommessa

Altro modo di esprimere la probabilità è quello “come ragione di scommessa”: ad esempio dare “5 a 1” significa prevedere 5 eventi favorevoli contro 1 sfavorevole: P(evento favorevole) = 5/(5+1) = 0.83 (probabilità di non pagare) Per chiarire bene la differenza fra eventi incompatibili ed eventi indipendenti, ricordiamo ancora

che l’incompatibilità indica che due eventi non possono verificarsi entrambi, mentre l’indipendenza indica che la probabilità di un evento non è influenzata dal verificarsi dell’altro; due eventi incompatibili (es. i due risultati possibili del lancio della moneta) sono eventi fortemente dipendenti poiché la probabilità del verificarsi di un evento una volta verificatosi l’altro è nulla.

1.5 Calcolo combinatorio

- Principio fondamentale: se un evento E1 può verificarsi in n1 modi diversi e, quando si sia presentato (in uno qualsiasi di questi), un secondo evento E2 può verificarsi in n2 modi diversi, il numero di modi in cui può verificarsi l'evento congiunto (= entrambi gli eventi assieme) e' dato da : n1 * n2.

- Disposizioni: le disposizioni D(n,r) di n elementi presi r a r, o disposizioni di ordine r, sono date dal numero

dei gruppi formati da r degli n elementi che differiscono tra loro per qualche elemento o per l’ordine in cui gli elementi sono disposti. Quindi se scelgo il primo elemento di una disposizione in n modi diversi, il secondo potrà essere scelto in (n-1) modi, il terzo in (n-2) modi e cosi via.

Quindi:

D(n,r) = n•(n-1) •(n-2) •.........(n-r+1) = nDr = n

n r!

( )− !

- Permutazioni: il numero delle permutazioni di n oggetti è il numero dei modi in cui si possono ordinare gli n

oggetti. P(n) = D(n,n) = n! = (n) • (n-1) • ..... • (2) • (1)

[remember 0!=1] - Combinazioni: ci interessiamo al numero dei differenti raggruppamenti che si possono formare con gli oggetti

senza tenere conto del loro ordine

nCr = n

r n r!

! ( )!⋅ −

167

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Economia Applicata all’Ingegneria B9 - Distribuzioni di probabilità - CSQ

dove la discriminazione avviene per la composizione. Con la notazione ( )r

n si intende la combinazione di n oggetti presi r alla volta.

ESEMPIO 6.

Se da un gruppo di 10 persone voglio scegliere sottogruppi da 5 dovrò applicare la C(10, 5) = 10!/(5! •5!) = 252

ESEMPIO 7.

Per conoscere la probabilità di estrarre 4 assi estraendo 4 carte a caso da un mazzo da 52 basterà calcolare le C(52, 4) = 270725 e trovare p = 1/C(52, 4).

2 - DISTRIBUZIONI NOTEVOLI DI PROBABILITA'

2.1 Distribuzioni di probabilità di variabili casuali discrete

Come abbiamo visto, la “probabilità” di cui ci occupiamo è quella di un evento. Se consideriamo, in uno spazio campionario limitato un insieme di m eventi e a ciascun evento

Ei associamo un valore xi, l'insieme ordinato dei valori x1, x2,…, xm, che possono essere estratti rispettivamente con probabilità p1, p2,...pm dalla popolazione in esame costituisce una variabile casuale (o aleatoria, o stocastica) discreta.

Dunque una variabile casuale discreta è completamente nota quando si conoscono i valori x1,

x2,…., xm, che essa può assumere e le associate probabilità p1, p2,…,pm tali che: pi =∑ 1

Come si vede esiste una perfetta analogia fra variabile statistica e variabile casuale, tanto che spesso la terminologia usata è la stessa per entrambe: si parla infatti indifferentemente di “funzione di probabilità” o “funzione di frequenza” per indicare la legge matematica f(x) che consente di ricavare i valori di probabilità di ogni singolo valore x della variabile.

La “funzione cumulativa di frequenza” della variabile x rappresenta invece la probabilità che la variabile x assuma valori inferiori o uguali a un numero prefissato. Ciò è a dire che, se k è questo numero, la funzione cumulativa F(k) fornisce la probabilità dell’evento [x ≤ k] È a questa funzione che di solito si dà il nome di “funzione di distribuzione” di x.

Per quanto si è detto, deve essere:

f xm

( ) =∑ 11

e la f(x) definisce completamente la distribuzione di probabilità. Come si è fatto in statistica descrittiva, la distribuzione di probabilità si può rappresentare con un

istogramma, mentre valgono le stesse regole già viste per il calcolo della media e dello scarto quadratico medio.

Nel caso di una variabile casuale la media è denominata anche valore atteso o speranza matematica, e si esprime con la:

µ = •∑ f x xi i

m

( )1

mentre lo scarto quadratico medio è

168

Page 173: Dispense Eai

Economia Applicata all’Ingegneria B9 - Distribuzioni di probabilità - CSQ

σ µ= • −∑ f x xi i

m

( ) ( )2

1

2.2 Distribuzione di probabilità di variabili casuali continue

Una variabile casuale si dice continua quando può assumere qualsiasi valore reale nel suo intervallo di esistenza [a-b].

La funzione di probabilità f(x) ad essa associata è allora una funzione continua, definita nell'intervallo [a-b] dove assume valori non negativi e si può rappresentare con una curva continua tale che l'area compresa tra questa e l'asse delle ascisse sia uguale a 1:

f x dxa

b

( ) =∫ 1

La funzione f(x) è detta “funzione di densità di x” e f(x)dx rappresenta la probabilità che la variabile assuma valori compresi fra x e x + dx.

Nel caso di una variabile continua non ha più senso parlare di probabilità di un singolo valore xi: ha invece senso cercare la probabilità che sia x≤ k , oppure che x sia compreso in un certo intervallo.

Così la funzione di distribuzione F(k) sarà data da:

F k f x dxk

( ) ( )=−∞∫

Per analogia con il caso delle variabili discrete , la media e la varianza delle distribuzioni di probabilità continue saranno:

∫∞

∞−

∞−

•−=

=

dxxfx

dxxxf

)()(

)(

22 µσ

µ

2.3 Distribuzione Binomiale o di Bernoulli

Questa distribuzione corrisponde alla probabilità che si verifichi l'evento complesso “x successi ed m-x insuccessi in m tentativi indipendenti”; i tentativi possono essere ad esempio le estrazioni casuali da una popolazione caratterizzata dal fatto che ciascun individuo ha una determinata probabilità nota di essere estratto; si deve trattare inoltre di un esperimento “bernoulliano” in cui il risultato dell'estrazione può essere solo del tipo “a o b”. L'espressione generale della distribuzione binomiale é data da:

f x C p qm xx m( )= • • −x

dove p indica la probabilità elementare del successo, q il suo complemento a 1 (quindi la probabilità dell'insuccesso), mentre il termine mCx tiene conto delle diverse possibili combinazioni tra successi ed insuccessi negli m tentativi.

Le “statistiche” (cioè i valori dei principali parametri sintetici con cui si individua una distribuzione) della distribuzione di Bernoulli hanno le seguenti espressioni:

µ

σ

= •

= • • −

p m

m p p( )1

169

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Economia Applicata all’Ingegneria B9 - Distribuzioni di probabilità - CSQ

Si ricorda che la distribuzione binomiale è una distribuzione discreta ed è simmetrica rispetto alla sua media se p = 0,5.

ESEMPIO 8.

Supponiamo di gettare tre dadi- la probabilità di ottenere il risultato 4 con un dado è 1/6: qual è la probabilità di ottenere il risultato 4 su tutti e tre i dadi?

(il medesimo problema si avrebbe lanciando consecutivamente i tre dadi). Sostituendo nella formula: p=1/6, q=5/6 e m=3,

la probabilità di 3 successi in 3 “tentativi” vale 0046,0611

61)3(

03

33 =

−•

•= CP ;

per zero successi si ha 57,0216125

65

!0)!03(!3)0(

3

==

•−=P ;

per un successo si ha 35,021675

65

61

!1)!13(!3)1(

2

==

•−=P .

• IMPIEGO DELLA DISTRIBUZIONE DI BERNOULLI NEL CSQ La distribuzione binomiale viene utilizzata, in campo industriale, per il Controllo Statistico di

Qualità, e precisamente per determinare l’accettazione o il rifiuto di un lotto di pezzi lavorati. In genere non si analizzano tutti i pezzi che formano il lotto, ma solamente un campione di numerosità m e si decide se respingere o accettare il lotto in base alla % di pezzi difettosi del campione.

L’applicazione richiede che sia nota la probabilità p che un pezzo singolo risulti difettoso (probabilità elementare). Se m è sufficientemente piccolo, rispetto al numero di pezzi che formano il lotto, p viene considerata costante per tutte le prove (anche se si tratta di un campionamento senza re-introduzione).

2.4 Distribuzione di Poisson

Spesso nelle applicazioni della distribuzione binomiale ci si trova di fronte al caso di valori di p molto piccoli (0,1) rispetto a m molto grande (> 50). Il valore medio µ= pm è allora un numero con ordine di grandezza dell'unità; in questi casi la binomiale può essere sostituita dalla distribuzione di Poisson:

f x ex

x( )

!= •−λ λ

dove λ>0 è una costante che rappresenta il “numero medio di successi” nell'intervallo di valori considerato, e in particolare è:

µ λ

σ λ

= = •

=

m p

Anche la distribuzione di Poisson è di tipo discreto. Rispetto alla distribuzione binomiale, la distribuzione di Poisson dipende da un solo parametro (λ) invece di due (m e p).

• IMPIEGO DELLA DISTRIBUZIONE DI POISSON NEL CSQ

Anche la distribuzione di Poisson viene impiegata utilmente nel Controllo Statistico di Qualità

per determinare l’accettazione o il rifiuto di un lotto di pezzi lavorati. In questo caso la numerosità

170

Page 175: Dispense Eai

Economia Applicata all’Ingegneria B9 - Distribuzioni di probabilità - CSQ

del campione – che può ad esempio essere costituito dai pezzi presenti in una confezione preparata per la vendita – e la probabilità elementare p devono rispettare le condizioni sopra illustrate.

ESEMPIO 9.

Sapendo che una produzione in serie produce 20 pezzi difettosi su 2000, qual è la probabilità di trovare in una confezione da 200 pezzi più di tre pezzi difettosi?

P = 20/2000 = 0,01 è la probabilità semplice λ = • =

202000

200 2 ci dice che mediamente in una confezione ci saranno 2 pezzi difettosi;

P e( )!

,3 23

0 183 2

=•

=−

; idem per P(0), P(1), P(2);

la probabilità richiesta sarà data dalla relazione: P(>3)=1-[P(0)+P(1)+P(2)+P(3)]

2.5 Distribuzione normale o di Gauss

Il termine generale è rappresentato dall'espressione:

f x ex

( )( )

=•

•− −

12

2

22

σ π

µσ

dove µ e σ sono valore medio e deviazione standard della distribuzione. Questa distribuzione è utile a rappresentare la variabilità di una grandezza sottoposta all’influenza simultanea di un insieme di cause di piccola entità e abbastanza stabili nel tempo. In questa distribuzione x è una variabile continua: per questo il significato della curva non è quello di fornire la probabilità che x assuma un particolare valore (probabilità ovviamente nulla), ma piuttosto quello di dare, come si è visto, la probabilità di tutti i valori di x compresi in un determinato intervallo.

Introducendo la variabile standardizzata

σµ−

=xz

si ottiene la distribuzione o curva normale standardizzata 2

21

21)(

zezf

−•=

πσ

che ha valore medio uguale a 0 e varianza unitaria (si tratta in pratica di una traslazione di assi: la curva canonica ha in questo caso la media coincidente con l'origine degli assi).

Con questa rappresentazione le proprietà principali della distribuzione di Gauss si esprimono

come segue: - per -1 < z < 1 si ha il 68,2% dell'area sottesa dalla curva - per -2 < z < 2 si ha il 95,4% dell'area sottesa dalla curva - per -3 < z < 3 si ha il 99,7% dell'area sottesa dalla curva.

171

Page 176: Dispense Eai

Economia Applicata all’Ingegneria B9 - Distribuzioni di probabilità - CSQ

ESEMPIO 10.

Sapendo che la durata di un componente elettronico è distribuita in maniera normale con µ=2000 h e σ=200 h, la probabilità che un componente duri tra le 2000 e le 2400 ore è data da:

z = 2 => dalle tavole si ricava P(0 < z < 2) = 0,4772 Volendo conoscere la probabilità che un componente duri più di 2200 ore si avrebbe: z = 1 => P(0 < z < 1) = 0,3413 e quindi P(z > 1) = 0,5 – 0,3413 = 0,1587.

ESEMPIO 11.

Un processo produttivo a controllo computerizzato presenta le seguenti caratteristiche: µ=210 e σ=10. Stabilendo una tolleranza di ± 30, quale percentuale di pezzi difettosi ci si può attendere?

Tale percentuale sarà data da q = 1 - P(180 < x < 240); per passare alla curva standardizzata avremo

z

z

1

2

180 21010

3

240 21010

3

=−

= −

=−

=

;

per cui P(180 < x < 240) = P(- 3 < z < 3) = (dalle tavole) = 0,9987 - [1 – 0,99871 = 0,9974 q = 1 – 0,9974 = 0,0026 e quindi possiamo aspettarci il 2,6 per mille di prodotti difettosi.

2.6 Alcune relazioni fra le varie distribuzioni

La distribuzione binomiale richiede a volte calcoli laboriosi. Pertanto è utile tener presente che talvolta può essere convenientemente sostituita dalla distribuzione di Gauss, che ne costituisce un’accettabile approssimazione, a determinate condizioni.

In generale la curva normale fornisce una buona approssimazione della binomiale per valori di p vicini a 0,5, specialmente se m è almeno uguale a 10.

Ma anche per valori di p lontani da 0,5 la binomiale può essere approssimata dalla gaussiana, a condizione che m sia grande: con p basso (0,1) oppure alto (0,9) l’approssimazione è buona se m vale almeno 50.

Quando p è minore di 0,1 o maggiore di 0,9 si usa generalmente approssimare la binomiale con una distribuzione di Poisson.

172

Page 177: Dispense Eai

Economia Applicata all’Ingegneria B10 - Tecniche di Gestione Economica – Parte II

B10 - TECNICHE DI GESTIONE ECONOMICA -PARTE II STIME, VALUTAZIONE DELL’INCERTEZZA E DEL RISCHIO

1 - PREMESSA Come si è detto nella parte I, anziché con criteri deterministici, i problemi gestionali si possono trattare tenendo conto (nei calcoli) dell’incertezza dei dati di partenza. In molti casi questo è l’unico approccio proponibile se dai risultati si vogliono ottenere indicazioni utili per effettuare scelte operative razionali. Si pensi ad esempio alle decisioni riguardanti un investimento, dove siano numerose le variabili - e quindi i dati da utilizzare nella costruzione del modello - la cui conoscenza non è “certa”. A seconda dei possibili valori che ciascuna variabile può assumere, cambierà il risultato della valutazione. Il modello “stocastico” costruibile in questo caso darà un risultato anch’esso “incerto” (nel senso che non sarà rappresentato da un unico valore) ma, in generale, consentirà di quantificare quest’incertezza, attraverso la misura di attendibilità di una stima del valore “vero” dell’investimento.

Per impostare e risolvere un problema di questo tipo, è evidente che occorre disporre di sufficienti conoscenze sui criteri e sugli strumenti di misura dell’incertezza e dell’attendibilità della stima, nonché di alcuni approfondimenti relativi ai metodi di simulazione che fanno uso dei modelli ricavati da operazioni di campionatura. 2 - LA CAMPIONATURA E LA RAPPRESENTATIVITÀ DEL CAMPIONE Inquadrata nell’ottica della ricerca operativa, la campionatura è la tecnica che consente di costruire un modello artificiale di una popolazione di valori: questa popolazione rappresenta il sistema in studio e il modello è costituito da un certo numero N di elementi estratti correttamente dagli n individui della popolazione da studiare. Per poter trattare l’argomento in termini matematici, occorre sempre pensare la popolazione in studio come una distribuzione di probabilità, in genere non nota, di cui si vorrebbero conoscere le caratteristiche (media, varianza , andamento): a questo scopo si utilizza il campione, e in particolare l’informazione che deriva dalla sua distribuzione di frequenza (media x, varianza s2).

n

(µ, σ)

N

s) X,(

Popolazione

Campione

173

Page 178: Dispense Eai

Economia Applicata all’Ingegneria B10 - Tecniche di Gestione Economica – Parte II

La teoria della campionatura fornisce le regole per effettuare “correttamente” le operazioni di costruzione del campione, e cioè per costruire un campione ”rappresentativo”. La stessa teoria fissa anche i criteri in base ai quali dai parametri (“statistiche”) del campione si possono ottenere “stimatori corretti” dei parametri (“statistiche”) della popolazione. In particolare, se si considera la media campionaria x come una variabile casuale, e cioè la variabile i cui valori sono costituiti dalle medie di tutti i campioni di N elementi costruibili con gli n elementi della popolazione in studio, si ha:

E(x) = µ In base a questa proprietà la x è definita “stimatore corretto” di µ. Possiamo cioè utilizzarla come stima del valore vero della media della popolazione. Non così si può dire della varianza campionaria s2, poiché per la teoria è:

E(s2) = N

N− ⋅1 2σ

per cui si dovrà considerare come stimatore di σ2 il valore corretto

s’2 = N

Ns

−⋅

12

La teoria della campionatura ci fornisce poi la seguente interessante relazione fra le grandezze in gioco:

Var(x) = (1 - N/n) 2σ

N

che, nel caso in cui sia N<<n diventa

Var(x) = 2σ

N

cioè Nσσ =

X .

Quest’ultima relazione ci dice che in questo caso la varianza della distribuzione della media campionaria è inversamente proporzionale alla dimensione del campione, e pertanto la stima x di µ ottenibile da un campione sarà statisticamente tanto più “precisa” quanto maggiore è il numero degli elementi costituenti il campione. Un’ulteriore conclusione della teoria della campionatura è la seguente: per N sufficientemente grande (>30) la distribuzione delle x è normale qualunque sia la distribuzione della popolazione in studio. E’ questo il “teorema del limite centrale”, che è utile per misurare quantitativamente la precisione della stima della media µ ottenibile da un campione.

174

Page 179: Dispense Eai

Economia Applicata all’Ingegneria B10 - Tecniche di Gestione Economica – Parte II

In base alle considerazioni fatte, il valore x, media di un campione qualsiasi di dimensione N, è uno dei possibili valori della distribuzione delle x; questa distribuzione è normale e ha media uguale a µ; x ha quindi ad esempio il 68.3% di probabilità di cadere nell’intervallo

Xσµ ± .

Il valore X

σ che, per quanto visto, può essere calcolato con approssimazione accettabile attraverso

la varianza s del campione, può dunque essere associato a x per esprimere il grado di precisione con cui x approssima µ (dato x, avremo infatti, ad es., il 68.3% di probabilità che µ cada nell’intervallo

Xσx ± ).

Per questo, X

σ viene anche detto errore standard della media.

Dalla relazione che lega X

σ a N, è chiaro allora come si possa correlare la precisione della stima con il numero degli elementi costituenti il campione. Un esempio chiarirà meglio il procedimento. ESEMPIO 1.

Sono stati realizzati 20 prelievi di acqua da un bacino per lo studio della concentrazione di un determinato inquinante. I valori sono i seguenti: (si faccia l’ipotesi che valgano le stesse condizioni del caso N>30)

P 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Conc. 2.24 1.11 1.81 1.42 2.62 2.65 1.96 1.04 1.87 1.84

P 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 Conc. 1.06 1.92 1.51 0.93 1.51 0.93 2.04 1.97 2.01 1.93

x = ixN∑ = 1.72

s2 25.0)( 2

=−

= ∑N

xxi

s’2 = s2 ⋅−

=NN 1

0.27

Possiamo allora approssimare σ2 con s’2 :

xσ = =0 2720

0 115. .

175

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Economia Applicata all’Ingegneria B10 - Tecniche di Gestione Economica – Parte II

ciò significa che il valore di concentrazione ottenuto dalla campionatura ha il 68.27% di probabilità di scostarsi dal vero, cioè dal valore incognito µ di ± 0.115 (vedi figura). P(x) µ z Supponiamo ora di voler “migliorare” la precisione della stima della campionatura. Questo è possibile aumentando il numero degli elementi del campione. Volendo, ad esempio, che la nostra stima x abbia il 68.3% di probabilità di cadere in un intervallo più ristretto, per esempio in µ ± 0.05, basterà imporre che sia xσ = 0.05; per cui si avrà:

22'

x

sNσ

= = 0,27/(0,05)2 = 108

Analogamente si potrà procedere per determinare il valore N che corrisponda a una precisione desiderata qualsiasi. Per esempio, nel caso si voglia che x approssimi µ di ± 0.05 con una probabilità del 90%, sarà sufficiente imporre che xσ assuma il valore che si ricava dalla: 0,05= z90 * xσ dove z90 è ottenibile, come è noto, dalle tavole della variabile z standardizzata. Nel caso volessimo conoscere il numero di elementi del campione necessari affinché la stima abbia il 95.45% di probabilità di scostarsi dal vero di ± 0,05 dovremmo imporre (essendo ): z95 45 2. =

2 xσ = 0,05, da cui 025,0205,0

==X

σ ; pertanto 432)025,0(

27,022

2

=≅=X

Nσσ

176

Page 181: Dispense Eai

Economia Applicata all’Ingegneria B10 - Tecniche di Gestione Economica – Parte II

3 - AFFIDABILITÀ E LIMITI FIDUCIARI Dal paragrafo precedente abbiamo visto che la stima del valore di una variabile può essere data nella forma: x ± z xσ

La funzione standardizzata z diventa quindi la funzione che lega la x alla probabilità attraverso xσ , e quindi la funzione che consente di misurare l’attendibilità della stima. L’intervallo dei valori definito dall’espressione precedente è detto intervallo di confidenza o intervallo fiduciario, poiché in esso “confidiamo” o “siamo fiduciosi” di trovare il valore vero con una data probabilità; il valore corrispondente di z viene detto livello fiduciario. E’ questo uno dei modi consueti di quantificare l’incertezza non solo dei risultati, ma anche dei dati di un problema: in questo caso si dice che un dato è fornito non in modo puntuale, ma con una stima per intervallo. Un altro modo, più completo, è quello di utilizzare come “modello” la distribuzione di probabilità della variabile da stimare E’ questo il caso che si vuole esaminare nel paragrafo seguente. 4 - DAL CAMPIONE AL MODELLO MATEMATICO Un campione, risultato di un’operazione corretta di campionatura, è un modello della popolazione in studio, utile per stimare le statistiche della popolazione stessa. Ma la forma con cui si presenta (istogramma) in genere non è così comoda da impiegare per gli scopi della ricerca operativa come lo sarebbe un modello simbolico. E’ allora interessante cercare di costruire un modello simbolico, cioè una funzione matematica, a partire dalle statistiche del campione(x, s), che sia a sua volta un vero modello della popolazione in studio. La teoria ci dice che è possibile definire completamente questa funzione una volta scelto un determinato tipo di distribuzione. Il problema, a questo punto sarà quello di stabilire fino a che punto le ipotesi fatte sono attendibili. Anche per questo obiettivo si ha a disposizione l’apposito procedimento teorico (test del χ2) , che consente di stabilire se il modello matematico da noi costruito sia un’accettabile rappresentazione della popolazione. In questo caso avremo a disposizione una stima corretta e “garantita” (sempre in termini probabilistici) della distribuzione della popolazione incognita. 5 - IL CAMPIONAMENTO SIMULATO Come si è già detto l’utilità di un modello è rappresentata anche dalla possibilità di utilizzarlo per fare della sperimentazione (che in generale è difficile o impossibile nel sistema reale). Uno degli esempi più interessanti di sperimentazione è costituito dal campionamento simulato con il “metodo Monte-Carlo”. Questo consiste, sostanzialmente, nell’estrazione a caso di N valori dagli n valori che costituiscono la popolazione del modello, e di ripetere l’operazione un numero di volte a piacere, Avremo così a disposizione un gran numero di risultati “equivalenti” ad altrettante operazioni di campionatura, la qual cosa ci consentirà, appunto, di simulare il caso della campionatura reale.

177

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Economia Applicata all’Ingegneria B10 - Tecniche di Gestione Economica – Parte II

L’utilità dell’operazione si può comprendere considerando un caso reale, come quello di dover determinare il numero ottimale di sportelli da prevedere per un costruendo casello autostradale. Dobbiamo supporre di avere a disposizione, come modello del fenomeno in studio, la distribuzione di probabilità dei tempi di arrivo dei veicoli al casello , e di fissare per ciascuno di questi un tempo massimo di attesa in conseguenza delle operazioni di servizio. Con la simulazione, sarà possibile ottenere le distribuzioni di probabilità dei tempi di attesa per le diverse situazioni conseguenti ai diversi numeri di sportelli ipotizzabili (1, 2, 3 ... n) : il valore ottimale sarà il primo che consente di avere un tempo medio di attesa inferiore al tempo massimo prefissato. Il problema principale che il metodo Monte-Carlo consente di risolvere è quello di garantire l’estrazione casuale dei campioni. Per ottenere questo risultato, avendo a disposizione il modello simbolico f=f(x) (distribuzione di probabilità), si procede come segue:

F(x) = f(x)dx-

x

∞∫a) si traccia la curva cumulativa

b) si sceglie a caso un numero compreso fra 0 e 100 (o fra 0 e 1000, etc.).

c) si riporta il numero così trovato sulla scala dei valori cumulati (asse y) , lo si proietta orizzontalmente sulla curva F(x) e si individua il corrispondente valore di x sull’asse delle ascisse.

Così facendo, l’estrazione risulta casuale, poiché il valore di x che si ottiene ha esattamente la probabilità di essere estratto quale data dalla f(x).

X

f(x)

X∆x

F(x)100

50

0

∆F

6 - IL RISCHIO NELLA TEORIA ECONOMICA Prendiamo in considerazione il caso della valutazione di un investimento in condizioni di incertezza come esempio di modello stocastico al quale possiamo applicare le considerazioni fatte in precedenza. Per chiarire meglio il problema, facciamo riferimento al caso deterministico e al modello di calcolo utilizzato per la valutazione, ad esempio, del VAN. Se i dati del problema sono noti, anziché puntualmente, per intervallo, oppure come distribuzioni di probabilità , si pone il problema di come tenerne conto. Quanto maggiore è il grado di incertezza delle variabili tanto più è necessario studiare le conseguenze di loro eventuali variazioni nel calcolo di convenienza dell’investimento. Un primo strumento è costituito dall’analisi di sensitività, che consente di valutare quali possono essere le variazioni del risultato economico (VAN) conseguenti alle variazioni del valore dei parametri di input, in modo da “misurare”, in pratica il rischio associato all’investimento.

178

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Economia Applicata all’Ingegneria B10 - Tecniche di Gestione Economica – Parte II

In questo caso l’analisi consiste nel calcolare i valori che il VAN assume facendo variare, di volta in volta, uno dei parametri di input e tenendo fissi gli altri.

Si possono così individuare i parametri che influiscono maggiormente sul risultato e quindi da controllare con maggior cura anche in fase previsionale. Un secondo strumento di valutazione è rappresentato dall’analisi di rischio, che consente di studiare globalmente gli effetti concomitanti delle possibili variazioni dei parametri di input.

(1) (2) SIMULAZIONE M. CARLO

parametro a, b, c, ... n (simulazione)

probabilità

valori del parametro

(3)

curva della distribuzione probabilistica

valori del parametro

10 numeri casuali (random)

valori del parametro

curva cumulata

(4) ANDAMENTO PROBABILISTICO REDDITIVITA’ RISULTANTE

%40 20

0 25 50 redditività

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(5) PROBABILITA’ CUMULATIVA DELLA REDDITIVITA’

% 100 50 0

0 25 50 redditività

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Economia Applicata all’Ingegneria B10 - Tecniche di Gestione Economica – Parte II

Nel caso più completo quest’analisi utilizza le distribuzioni di probabilità dei parametri di input e consiste nell’effettuare da esse, con calcolatore, un elevato numero di estrazioni casuali con il metodo Monte-Carlo. Con i diversi gruppi di valori di input che in tal modo si costruiscono si potranno ottenere altrettanti valori di VAN, che potranno essere riportati in una distribuzione di probabilità: sarà questa la forma in cui si presenta il risultato, che potrà dunque essere interpretato con criteri probabilistici. Si potrà in tal modo ottenere, ad esempio, la probabilità che il valore dell’investimento risulti inferiore a una determinata soglia limite di convenienza economica e, in base a tale informazione, decidere se correre il rischio di investire o meno. Ma esistono altri esempi interessanti di interazioni tra rischi e vita economica. Basta pensare che oggi ogni tipo di investimento è sempre più una scommessa per rendersi conto che il rischio economico è destinato a diventare una componente consueta del nostro agire quotidiano. Per questo l’economia ha avviato da tempo, sul comportamento delle organizzazioni economiche e dei singoli, un tipo di analisi che tiene conto del rischio. Due esempi sono particolarmente significativi a questo proposito. Il primo è quello che riguarda le modalità di ripartizione del rischio da parte dei mercati speculativi, il secondo il funzionamento dei mercati assicurativi. 7 - IL RISCHIO NEI MERCATI SPECULATIVI Il termine “speculazione” richiama in genere soltanto l’idea di un’attività subdola e parassitaria, intesa unicamente a procurare profitto all’operatore. Ma grazie alla “mano invisibile” che regola misteriosamente l’economia di libero mercato, anche gli speculatori diventano benefattori dell’umanità. La loro funzione è infatti quella di assumere rischi che altri rifiutano di addossarsi, oltre che di migliorare i modelli di prezzo e di allocazione delle risorse nello spazio e nel tempo. E’ questa la situazione del mercato dei “futures”, nel quale lo speculatore accetta di acquistare ora una merce che verrà consegnata ad una data futura ad un prezzo che, pattuito ora, consente al venditore la copertura dei propri rischi. Il venditore può essere, ad esempio, un imprenditore che ha acquistato la merce in un momento in cui il prezzo è basso, dopodiché l’ha immagazzinata per rivenderla in futuro ad un prezzo superiore. Egli però non può sottoporre la sua attività commerciale al rischio che i prezzi scendano – anziché salire – sotto una soglia minima di convenienza, per cui effettua immediatamente un’operazione di segno opposto: vende la merce ad un prezzo “futuro” corrispondente a questa soglia. L’acquirente è lo speculatore, che rischia per lui, evidentemente pensando di fare un buon affare. Il mercato dei futures, che interessa una gran varietà di articoli – merci, titoli finanziari, valute etc – è caratterizzato da una miriade di operatori (che in genere non hanno mai visto e non vedranno mai la merce che trattano: si tratta di un paper market) i quali con la loro azione provvedono a regolarizzare i mercati e quindi l’intera vita economica, attenuando sensibilmente l’effetto del rischio. 8 - IL COMPORTAMENTO DELLE PERSONE DI FRONTE AL RISCHIO ECONOMICO Prima di parlare dei mercati assicurativi è opportuna una premessa sul comportamento del singolo individuo nei confronti del rischio economico.

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Economia Applicata all’Ingegneria B10 - Tecniche di Gestione Economica – Parte II

In generale si constata che le persone cercano di evitare i rischi economici. Si dice allora che l’individuo è “avverso” a questo tipo di rischio. Ciò significa che il dispiacere provocato dalla perdita di un dato ammontare di reddito è maggiore del piacere per uno stesso pari incremento. La teoria economica spiega questo comportamento con la “legge dell’utilità marginale decrescente” del reddito, in base alla quale a progressivi incrementi di reddito di pari entità corrisponde utilità, e cioè soddisfazione, decrescente. Dunque gli individui preferiscono certezze a livelli incerti di consumo. Si spiega così, ad esempio, il successo dei “prezzi dei produttori” nel mercato dei metalli e delle materie prime in genere: il consumatore preferisce pagare un prezzo alto ma fisso e garantito per un tempo convenientemente lungo piuttosto che affrontare il rischio che la tipica oscillazione dei mercati porti ad aumenti deleteri per la sua economia. 9 - IL RISCHIO NEI MERCATI ASSICURATIVI

Dunque gli individui “avversi al rischio” cercano di evitare il rischio, ma questo non è sempre possibile, e in particolare non lo è per i rischi naturali: in modo statisticamente regolare si verificano alluvioni, terremoti, incendi, incidenti, di cui qualcuno deve pur sostenere i costi. Ebbene, i mercati hanno i loro strumenti per affrontare i rischi, basati sul principio della ripartizione. Questo consiste nell’assumere, da parte del mercato, rischi che sarebbero molto grandi per i singoli individui e nel ripartirli fra un gran numero di persone in modo che diventino molto piccoli per ciascuna persona. La forma più importante di ripartizione del rischio è l’Assicurazione, e cioè quella sorta di scommessa alla rovescia che si fa con la Società assicuratrice: la persona scommette che le accada una disgrazia (incendio, alluvione, incidente) e, se “vince” viene rimborsata del valore assicurato, se perde , perde la posta della scommessa, cioè il “premio” pagato. Le Società assicuratrici ripartiscono il rischio assicurando contro un gran numero di rischi un gran numero di persone. Il sistema funziona in base alla teoria delle probabilità, per la quale in una distribuzione di probabilità continua, mentre è impossibile determinare la probabilità di un evento singolo, è molto facile calcolare il valore medio di probabilità per l’intera popolazione. Un esempio può chiarire meglio il concetto. Supponiamo che il mercato della Società di assicurazione sia costituito da 1 milione di persone che intendono assicurarsi contro il rischio, per esempio, di incendio della propria casa. E’ facile determinare da parte della Società, sulla base di opportune statistiche, il valore medio della probabilità che l’evento incendio si verifichi. Supponiamo che questo valore sia

p = 0,001

e cioè che ogni persona abbia una probabilità su mille che le bruci la casa. Il valore Vd del danno del singolo evento indesiderato è pure facile da stimare; sia per esempio

Vd = 100 000 €

Da questi dati è allora possibile calcolare il valore atteso della perdita che la Società assicuratrice dovrà subire per ogni persona assicurata:

Vatt = p * Vd = 10-3

* 105 = 102 €

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Economia Applicata all’Ingegneria B10 - Tecniche di Gestione Economica – Parte II

E’ questa la cifra su cui si baserà la Società per calcolare il premio da far pagare a ogni assicurato: 100 € per persona copriranno la perdita attesa ; a queste dovranno solo essere aggiunte le spese di gestione dell’attività. In particolare il premio si dirà “equo” se sarà effettivamente corrispondente alla perdita dovuta al danno.

Il meccanismo della ripartizione del rischio funziona, in questo caso, grazie alla legge dell’utilità marginale decrescente: l’individuo valuta di più la perdita corrispondente al danno causato dal disastro che non il pagamento del premio di assicurazione, anche se equo. Dunque, grazie all’utilità marginale decrescente l’assicurato ottiene notevoli vantaggi, soprattutto se il premio è equo. Pertanto, mentre la natura dispensa i rischi, l’assicurazione contribuisce a ridurli e a ripartirli.

Limiti e inconvenienti dei mercati assicurativi

I mercati assicurativi non costituiscono però la panacea per tutti i problemi di rischio. Non è possibile infatti assicurare tutti i rischi della vita; inoltre i premi troppo elevati inducono le persone a non assicurarsi. In effetti i mercati assicurativi sono incompleti e funzionano solo in determinate condizioni: deve anzitutto sussistere un gran numero di eventi; questi devono essere indipendenti tra loro e sufficientemente conosciuti, in modo che le compagnie possano stimare le perdite in modo attendibile. Diversamente diventa elevato il …rischio di fallimento del mercato. E quando i fallimenti del mercato sono talmente gravi che il mercato privato non è in grado di garantire una copertura adeguata, allora può opportunamente subentrare l’assicurazione sociale fornita dallo Stato. In queste le circostanze solo lo Stato può intervenire per fornire una copertura ampia e universale.

10 - ESEMPIO DI VALUTAZIONE DEL RISCHIO ECONOMICO LEGATO A UN DISASTRO NATURALE

Per concludere, un caso pratico di valutazione economica del rischio relativo ad un evento alluvionale può essere utile per illustrare i criteri e le modalità di sviluppo del processo decisionale riguardante alternative economiche relative a rischi naturali. Il criterio utilizzato per la quantificazione del rischio economico è quello del valore atteso, ben noto anche nel campo dell’analisi del rischio tecnico. L’esempio riguarda un impianto di depurazione per acque reflue collocato nella piana alluvionale di un fiume. Per proteggerlo durante i periodi di piena si vuole costruire un argine: il problema consiste nello stabilire l’altezza ottimale di quest’ultimo, scegliendo fra un certo numero di alternative di argini di dimensioni diverse, di ciascuno dei quali occorre valutare il costo di costruzione e il vantaggio in termini di riduzione del rischio alluvionale. In questo caso si considerano sei alternative.

I dati di input del problema sono:

1. i dati statistici storici degli ultimi 50 anni relativi all’altezza massima raggiunta ogni anno dal livello del fiume, dai quali si ricava il numero Nx di anni in cui l’acqua ha superato di x metri il livello normale;

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Economia Applicata all’Ingegneria B10 - Tecniche di Gestione Economica – Parte II

2. il valore monetario Dx del danno provocato da un’altezza d’acqua di x metri (sopra il livello normale o sopra l’argine) calcolato per i valori di altezza delle sei alternative considerate;

3. i sei valori del costo di costruzione di un argine alto x metri.

Sono inoltre noti la durata prevista dell’opera e il tasso di interesse, che consentono di calcolare il costo annuo dell’investimento corrispondente alla realizzazione di ognuno dei sei argini considerati. Il criterio del Valore atteso si applica per calcolare il “danno annuo atteso” per ognuno dei valori delle sei altezze alternative: questo sarà uguale alla sommatoria dei prodotti di ogni valore possibile di Dx per la sua probabilità px :

Dannuo atteso = Σ Dx px

Ora, la probabilità che in ogni anno futuro il fiume superi il livello normale di x metri si assume pari alla frequenza dell’evento nei 50 anni considerati. Sono quindi disponibili tutti gli elementi per procedere al calcolo "dell’equivalente annuo atteso dei costi”, ottenibile sommando il danno annuo atteso e il costo annuo di investimento. L’alternativa migliore sarà quella che minimizza il costo totale annuo previsto.

Il criterio del Valore atteso si presta particolarmente bene alla valutazione di alternative di investimento in presenza di rischio come quelle del caso esaminato, anche perché si tratta di attività proiettate nel lungo periodo, e quindi di durata tale da consentire che compaiano gli effetti a lunga scadenza della legge di probabilità ipotizzata.

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Economia Applicata all’Ingegneria B11 - Interpretazione di dati energetici ed energy management

B11-INTERPRETAZIONE DI DATI ENERGETICI E ENERGY MANAGEMENT

1 - ELEMENTI DI ANALISI ENERGETICA L’analisi energetica è una tecnica di analisi dei sistemi industriali produttivi da un punto di vista

prettamente energetico, sviluppatasi soprattutto negli anni settanta in seguito al progressivo e consistente aumento del costo dell'energia (crisi petrolifere1 del 1973 e 1979).

Oltre ad evidenziare come l’energia sia un sistema economico più importante di quanto possa indicare il suo peso sul totale dei costi di produzione (variabile da un 5% ad un 20%), il filone di pensiero emerso in seguito agli shock petroliferi ha, tra le altre cose, sottolineato anche come l’estensione dell’analisi energetica a valutazioni ambientali fosse un passo possibile ed estremamente logico (e di questo si parlerà a proposito degli ecobilanci e della Life Cycle Assessment)2.

Il presupposto pratico dell'analisi energetica è il fatto che tutte le operazioni industriali riguardano in qualche modo il trattamento dei materiali; tale trattamento può includere un cambiamento delle proprietà fisiche e/o chimiche delle sostanze in questione, un loro trasferimento nello spazio, una qualunque variazione di aspetto, della resistenza e della durata.

Per descrivere questi fenomeni, l’analisi utilizza grandezze squisitamente energetiche poiché esse, al contrario di quelle monetarie, rappresentano una oggettiva quantità non suscettibile di influenze esterne. Questo non significa che l'analisi energetica sia in grado di sostituire le considerazioni di carattere economico; al contrario i dati di carattere energetico costituiscono informazioni preziose che accompagnano quelle più tipicamente di carattere economico durante tutte le valutazioni che coinvolgono il sistema produttivo.

1.1 L'energia

L’energia, lo ricordiamo, è una realtà astratta, una “trasformista” per eccellenza: ciò che percepiamo o misuriamo sono semplicemente forme energetiche in quanto un processo non può creare o distruggere energia ma solamente convertirla da una forma ad un’altra secondo le leggi della termodinamica, scienza che ha appunto per oggetto lo studio del trasferimento dell'energia.

Quando si parla di materia si parla di qualche cosa di tangibile, mentre quando si parla di energia si pensa a qualche cosa di iniziale che si trasforma, si disperde e si concentra in modi diversi

1 Nel 1973 e nel 1979 l'OPEC (Organization of Petroleum Exporting Countries), il cartello dei maggiori produttori di petrolio, decise l'embargo per motivi politici ed economici interrompendo la fornitura di petrolio per diversi mesi; oltre all’immediato e vertiginoso aumento del prezzo del greggio (in prezzi correnti da circa 2 $/bbl degli anni sessanta agli oltre 35 $/bbl del 1980), l’embargo ha innescato diversi fenomeni (definiti sinteticamente con il termine di shock) che hanno coinciso con un periodo di sensibile rallentamento dei tradizionali indicatori di produttività. E’ vero che si trattò più di un ricatto economico dell’OPEC che di un segnale di una imminente carenza di risorse energetiche, ma è anche da riconoscere che per la prima volta si diffuse la consapevolezza che il pianeta non offre risorse illimitate. Apparve oltretutto necessario, soprattutto per un Paese come l’Italia, il ricorso ad interventi mirati ad un uso prudente dei combustibili fossili nonché ad un controllo sistematico e approfondito della situazione energetica dei processi industriali. Tutti patirono questo inasprimento del prezzo del petrolio ed oltre alle contromisure immediate, i governi delle nazioni industrializzate cominciarono a rivedere i propri piani energetici. Nel nostro caso, per rendere il sistema Italia meno vulnerabile alla dipendenza dall’estero (passata dal 50% degli anni venti all’80% degli anni ottanta), per l’approvvigionamento delle fonti primarie di energia le parole d’ordine furono diversificazione, risparmio energetico e potenziamento delle produzione di combustibili indigeni. Il Piano Energetico Nazionale (PEN) del 1985 doveva portare l’Italia di fine secolo ad una dipendenza dall’estero di circa il 55% ma l’effetto Chernobyl ha vanificato lo sforzo nucleare lasciando oggi l’Italia ad un grado di dipendenza energetica pressoché identico a quello degli anni ottanta. Le cause del fallimento della politica energetica italiana degli ultimi vent’anni (su praticamente tutti i fronti di azione previsti dal PEN) sono in gran parte dovute all’incompetenza dei numerosi governi che si sono succeduti in questo periodo e anche oggi non si percepisce quell’impegno che dovrebbe cercare di rimediare ad una situazione di allarmante e persistente criticità. 2 Baldo, Badino; “LCA - Uno strumento di analisi energetica ed ambientale”; IPASERVIZI; Milano; 2000

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Economia Applicata all’Ingegneria B11 - Interpretazione di dati energetici ed energy management

producendo le forme di materia e di altra energia (attraverso lo scambio di calore o di lavoro) che siamo abituati a riconoscere.

Per rappresentare la realtà l’abbiamo chiamata in modi diversi (energia solare, energia cinetica,...), ma sostanzialmente possiamo dire che si tratta sempre della stessa cosa e che si conserva quanta era prima di ogni trasformazione.

L’energia si conserva (I Principio della Termodinamica) ma si degrada (II Principio della Termodinamica); in altre parole l’energia dell’universo è costante ma la disponibilità di energia in forma utile (sulla terra) è limitata. Non solo, ma anche in condizioni ideali, fissate le condizioni dell’ambiente, solo una parte dell’energia può essere trasformata in lavoro. Questa quota viene definita exergia o energia disponibile.

La degradazione di energia corrisponde inoltre alla produzione di entropia che viene spesso associata al grado di disordine del sistema.

L’exergia è ritenuta una vera e propria caratteristica delle sostanze e rappresenta praticamente la capacità di produrre lavoro; essa si propone in particolare come grandezza in grado di contabilizzare correttamente i fenomeni che avvengono durante il passaggio da uno stato di disequilibrio ad uno stato di equilibrio con l’ambiente esterno.

Per quanto riguarda la disponibilità di energia in forma utile, è importante a questo punto dedicare particolare attenzione al censimento delle fonti di energia primaria e alle forme di utilizzo nelle attività produttive.

Una possibile classificazione dell’energia primaria è quella che raggruppa i contributi in termini di rinnovabilità/esauribilità:

• energie rinnovabili; • energie quasi esauribili; • energie esauribili.

Le energie rinnovabili ci arrivano direttamente o indirettamente dal Sole, mentre le energie quasi esauribili sono costituite dal calore endogeno della Terra e dall’utilizzazione dell’energia nucleare.

Oggi le fonti primarie di gran lunga più utilizzate appartengono alla categoria delle fonti esauribili, e cioè il carbone e gli idrocarburi naturali liquidi e gassosi. Allo stato attuale delle conoscenze, gli idrocarburi liquidi e gassosi sono disponibili in quantità pressoché uguali (ordine di grandezza 1011 tep di riserve accertate cadauno), mentre il carbone risulta essere di gran lunga il combustibile più abbondante (ordine di grandezza 1012 tep di riserve accertate).

Nota la differenza tra riserva e risorsa in campo minerario (secondo lo schema dello USBM3, la risorsa diviene riserva man mano che la conoscenza geologica e la fattibilità economica dell’estrazione lo consentono), e l’entità dei consumi (che verranno discussi nel dettaglio nel Paragrafo seguente), risulta chiaro come nessuna crisi energetica stia minacciando l’umanità nel suo complesso. Ciò nonostante, a medio termine i problemi delle fonti non rinnovabili si presenteranno con passo sempre più pressante con il trascorrere del tempo, rendendo necessario un impegno determinato nella direzione del risparmio energetico e in quella della messa a punto di nuove tecnologie che adoperino fonti alternative.

1.2 Lo scenario energetico attuale

L’IEA (International Energy Agency) nel 2003 ha pubblicato un rapporto che guarda al futuro energetico mondiale fino al 2030, prevedendo una crescita dei consumi globali pari al 62% rispetto allo scenario attuale(nel 2001 i consumi globali di energia sono stati di poco superiori ai 10 miliardi di tep) ed un aumento delle emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera dello stesso ordine di grandezza (attualmente la concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera è dell’ordine di 400 ppm): questi dati da soli indicano la necessità di proseguire gli studi sia per l’uso razionale dell’energia sia per il perfezionamento delle fonti alternative, entrambi obiettivi principali 3 United States Bureau of Mines, oggi non più operante.

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dell'analisi energetica. L’Agenda 21, adottata dalla Conferenza mondiale di Rio de Janeiro, comprende infatti il settore dell’energia tra i problemi che è necessario affrontare in vista della conservazione e gestione delle risorse per lo sviluppo sostenibile della società umana.

Oltre ai combustibili fossili che, come si è visto, costituiscono attualmente la fonte preponderante di energia primaria, anche le fonti rinnovabili e quasi inesauribili contribuiscono a soddisfare il fabbisogno energetico mondiale: in figura 1 è stata riportata l’evoluzione della domanda di energia nei Paesi OECD dal 1973 al 2001.

Figura 1 - Consumi di energia nei Paesi OECD nel 1973 e nel 2001. I dati sono espressi in milioni di tonnellate equivalenti di petrolio (Mtep) e forniscono un dettaglio delle fonti primarie [Fonte IEA, 2003]

In base ad una stima dell’IEA (International Energy Agency), il fabbisogno energetico a livello mondiale nell’anno 2001 è stato approssimativamente soddisfatto come segue:

− 35,0% dal petrolio; − 21,2% dal gas naturale; − 23,3% dal carbone; − 6,9% dal nucleare; − 2,2% idroelettrica; − 10,9% combustibili rinnovabili (legna, biomasse…), rifiuti; − 0,5% dalle restanti forme di energia primaria (geotermica, solare,eolica, ecc.).

Il contributo delle fonti diverse da quelle fossili è dunque piccolo ma non trascurabile e la loro

conoscenza risulta rilevante in vista del prossimo futuro quando la necessità di ricercare un’alternativa competitiva ai combustibili fossili diventerà via via sempre più pressante.

Le fonti rinnovabili ci arrivano, come detto, direttamente o indirettamente dal sole: l’energia solare in arrivo sulla Terra origina una potenza netta sulla superficie terrestre (circa 1 kW/m2), complessivamente pari ad un contributo dell’ordine dei 1017 W.

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In aggiunta a questa energia, si devono considerare i contributi dell’energia gravitazionale e quella proveniente dal centro caldo della Terra; si tratta di quote trascurabili sul piano globale, ma relativamente importanti per l’utilizzazione che l’uomo ne fa.

Le fonti quasi inesauribili includono invece il calore endogeno, l’utilizzazione autofertilizzante dell’energia nucleare di fissione e di fusione e l’energia non autofertilizzante dell’energia nucleare di fusione.

Anche in questo caso le riserve accertate sono di tutto rispetto (dello stesso ordine di grandezza di quelli dei combustibili fossili) ma la loro ridotta utilizzazione deve essere ricercata in motivi che vanno da quello strettamente economico a quello legato al rischio di tali attività per l’uomo e per l’ambiente.

Cercare di fare una previsione a medio termine su quali fonti soddisferanno la richiesta continuamente crescente di energia e contemporaneamente aiuteranno il pianeta a non soffocare dentro la serra che si sta inesorabilmente formando è sicuramente azzardato, ma un’interpretazione dell’evoluzione degli scenari energetici qui presentati appare comunque doverosa.

Innanzitutto è bene ricordare che ogni fonte energetica deve essere in grado di adattarsi alle richieste dell’utenza e vista l’attuale affermazione dell’energia elettrica come vettore energetico, appare evidente come la sola energia nucleare possa, in maniera competitiva rispetto alle fonti fossili, arrivare a soddisfare in parte ed in tempi brevi tale esigenza.

Chiaramente da sola non è sufficiente: gli ambientalisti (LEGGETT, 1992) spiegano giustamente che è praticamente impossibile dotare di un programma nucleare tutte le nazioni del mondo in modo tale da garantire almeno le richieste di energia elettrica.

Per quanto riguarda le fonti rinnovabili, tutti sembrano d’altronde concordare che l’energia eolica, la solare e quella generata dalle biomasse non sono ad oggi disponibili per un loro impiego economicamente sostenibile: il loro utilizzo è infatti per ora limitato a situazioni particolari, ma l’entità delle risorse investite nella ricerca per un loro miglioramento lascia ben sperare per il prossimo futuro.

L’efficienza energetica rimane allora l’altra alternativa che velocemente e senza traumi può portare a risultati concreti già nel breve periodo e comunque permettere la riduzione sia dei consumi sia delle emissioni di anidride carbonica: l’analisi energetica può fornire la conoscenza dei sistemi produttivi in modo da consentire il raggiungimento di questi obiettivi.

1.3 Classificazione delle energie in un'analisi energetica

Obiettivo principale dell’analisi energetica è quello di stabilire il costo energetico di un bene materiale.

La definizione dei confini in un’analisi energetica è determinante: l’obiettivo è quello di scartare gli apporti energetici non significativi; in questo senso per classificazione di energie in un’analisi energetica si intende, in prima analisi, l’organizzazione degli apporti di energia in base al tipo di contributo e non alla natura che li ha generati. Successivamente, all’interno di ogni categoria, si procederà all’individuazione dell’origine di ogni singolo apporto.

Il primo contributo al costo energetico complessivo di un determinato sistema produttivo è quello derivante dalla realizzazione dei macchinari e delle infrastrutture necessarie al sistema stesso per ottenere la produzione desiderata; questa componente energetica corrisponde nella sfera economica ai costi di investimento (capital cost) e proprio per questo viene comunemente indicata con “energia di investimento” (capital energy).

Diverse ricerche svolte per determinare l’influenza di questo contributo, hanno dimostrato che l’energia di investimento vale normalmente circa il 5% dell’energia complessiva del sistema (a regime); questo non vale certamente per le applicazioni nel campo della ricerca avanzata dove tale quota rappresenta sicuramente la parte più rilevante dell’energia totale in gioco.

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Normalmente è quindi sufficiente iniziare un’analisi energetica determinando gli apporti di energia diretta e di energia indiretta forniti al sistema produttivo oggetto dello studio: la prima rappresenta la quota di energia consumata per il funzionamento del processo (delivered energy o energy content of fuel nella letteratura anglosassone) mentre la seconda quella necessaria per produrre e trasportare i vettori energetici utilizzati nel processo medesimo (production and delivery energy nella letteratura anglosassone), trascurando l’energia competente alla parte di investimento del sistema industriale in oggetto.

Chiaramente in una valutazione meramente economica di investimento la quota relativa agli impianti costituirà invece la voce più rilevante ed importante da considerare.

Da un punto di vista operativo, per la determinazione delle quote di energia diretta ed indiretta di un sistema produttivo si analizzano i processi suddividendo l’intero sistema in più operazioni unitarie che lo formano, e identificando i singoli flussi energetici coinvolti.

L’ottimo energetico si raggiunge perciò quando la somma delle due componenti “energia di processo” + “energia di impianto” = “energia necessaria per raggiungere il risultato” risulta minima.

Queste considerazioni mettono anche in luce che il risparmio a tutti i costi, ovvero la costruzione di nuove tecnologie che permettano la valorizzazione delle fonti primarie di energia, deve sempre essere valutato in termini di energia (o meglio di exergia) di processo e di exergia di impianto: se la quota exergia di impianto viene infatti recuperata in un periodo di tempo pari alla vita attribuibile all’impianto stesso, il risultato è solo nella spesa di ricchezza senza ritorno.

Oltre all’energia diretta ed indiretta esiste poi un’altra quota importante di energia legata al processo in esame: quella contenuta in quei particolari materiali utilizzati come tali e non come combustibili (un tipico esempio è quello dei prodotti organici utilizzati nell'industria petrolchimica). Questa quota, chiamata feedstock, é definita come il contenuto energetico dei materiali input che in linea di principio può essere eventualmente recuperato dai prodotti in uscita (ad esempio bruciando prodotti di plastica o di carta).

Il tenere separate la quota di energia spesa come combustibile del processo e quella contenuta nei materiali solo potenzialmente combustibili, è importante proprio perché, mentre la prima è irreversibilmente consumata, la seconda è ancora potenzialmente disponibile alla fine della vita utile del prodotto.

L’energia feedstock entra in gioco solamente quando quei materiali potenziali combustibili sono estratti dalla terra e impiegati direttamente al loro stato naturale: questi sono il carbone, il petrolio, il gas naturale, il legno e la gomma, ognuno definito in base al proprio tipico potere calorifico.

A questo proposito, risulta importante ricordare anche che il contenuto energetico degli input può essere diverso da quello degli output a causa di cambiamenti nella struttura chimica o per le perdite di materia durante il processo produttivo; di conseguenza può portare ad un errore valutare l’energia feedstock in base al contenuto energetico (potere calorifico) degli output. Per evitare questa eventualità, con feedstock si intende di solito il potere calorifico superiore dei materiali input del sistema.

Man mano che dall'estrazione delle materie prime ci spostiamo verso la produzione e la destinazione finale del prodotto a fine vita, la ricostruzione del ciclo vita passa attraverso operazioni dirette che via via verranno considerate indirette da quella successiva. In questo modo ogni singolo anello della catena produttiva, se considerato singolarmente, fornisce informazioni a livello diretto di analisi, mentre, se considerato appartenente al flusso di materiali e di energia, fornisce informazioni a livello indiretto. In termini di analisi di ciclo di vita questo corrisponde rispettivamente all’ecobilancio e all’analisi “dalla culla alla tomba”.

Tra i termini che andrebbero conteggiati in un’analisi energetica rigorosa troviamo infine anche: - la quota di energia fornita dai lavoratori durante il processo produttivo; gli esseri umani sono

alimentati dal cibo: considerando una situazione tipica, tolta la quota di energia utilizzata per

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mantenere il funzionamento delle attività vitali (80% circa della quota totale giornalmente assimilata), l’energia disponibile per effettuare lavori utili è di circa 2-3 MJ al giorno; appare subito chiaro che si tratta di una quota sostanzialmente trascurabile rispetto alla quota spesa giornalmente da un qualsiasi processo produttivo di tipo industriale.

- la quota di energia spesa per il trasporto dei lavoratori all’impianto produttivo; anche questa quota di energia può essere addebitata al processo produttivo oggetto dell’analisi poiché tale trasporto risulta indispensabile per far funzionare il processo stesso. E’ possibile calcolare il contributo di questa quota a seconda del mezzo di trasporto utilizzato (Tabella 1).

Tabella 1 - Energia per passeggero associata a diversi sistemi di trasporto su strada. Le distanze per i tragitti di andata e ritorno sono basati su un percorso di 60 km [Boustead Model 4.3].

Mezzo di trasporto Energia per passeggero-km [MJ]

Energia per passeggero per viaggio (a/r) [MJ]

Auto con 1 passeggero e consumo di 9 km/l

4,1 246

Auto con 2 passeggeri e consumo di 9 km/l

2,1 126

Autobus da 31 posti (pieno) 0,5 30

Dai dati illustrati in Tabella 1, risulta evidente che anche questa quota di energia è trascurabile per la maggioranza dei processi produttivi oggetto di un'analisi energetica.

Riassumendo, possiamo allora dire che il consumo di energia globale per unità di prodotto è dato dalla somma dei contributi di tutte le quote di energia appartenenti ad ogni singola operazione, ovvero:

- dall’energia diretta; - dall’energia indiretta; - dalla feedstock.

In altre il parole, il consumo globale di energia per unità di prodotto corrisponde all’energia da “estrarre” dalla terra per poter disporre di quell’unità di bene economico in quel momento di tempo. Nella letteratura anglosassone questa quota viene definita gross energy (GER, gross energy requirement) che può anche essere definita come l’entalpia che complessivamente deve essere resa disponibile in condizioni normali dalle forme di energia allo stato naturale e consumata dal sistema in modo tale da mantenere lo stesso sistema in produzione (per ulteriori dettagli vedere il Paragrafo successivo).

1.4 Energia per produrre i combustibili

Il primo anello della catena energetica è rappresentato dalla cosiddetta energia primaria che, come già detto in precedenza, è costituito in maniera preponderante dai combustibili fossili presenti nella crosta terrestre. E’ convenzione chiamare queste materie prime minerarie energetiche con il termine combustibile (fuel). Spesso però anche l’uranio o l’elettricità vengono identificati con questo termine.

Per evitare confusioni, è possibile operare una distinzione tra i combustibili primari e quelli secondari (primary and secondary fuels) in base all’effettiva provenienza (Figura 2):

- combustibili primari (o fonti primarie di energia)sono i materiali estratti dalla terra in grado di bruciare in aria per produrre energia sotto forma di calore (carbone, petrolio, gas naturale) e le forme di energia come l’idroelettrica, l’eolica e la solare;

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Economia Applicata all’Ingegneria B11 - Interpretazione di dati energetici ed energy management

- combustibili secondari (o fonti secondarie di energia) sono le sorgenti di energia derivate da un combustibile primario (coke, elettricità, benzine, ...);

- con il termine vettore energetico si intende inoltre qualsiasi forma fisica in grado di trasportare e rendere disponibile energia; l’elettricità è il vettore energetico per eccellenza.

Produzionedi carbone

Produzionedi gas

naturale

Produzionedi petrolio

Produzionedi coke

Produzionedi gas

Produzionedi elettricità

industria

materieprime

materieprime

materieprime

Figura 2 - Diagramma di flusso semplificato relativo ai processi di produzione dei combustibili primari e secondari.

La quota di energia diretta (chiamata anche, come detto, contenuto energetico del combustibile o

energia distribuita) rappresenta dunque la quantità di energia a disposizione dell’utente, che di solito è costituita da un combustibile secondario.

Per produrre un combustibile in forma utilizzabile è necessario spendere energia. In termini globali, anche in questo caso, è necessario individuare quantitativamente l’energia in gioco; detta Et l'energia totale di un combustibile, è possibile scrivere:

Et = Ep + Ec

dove Ep è l’energia indiretta (production and delivery energy) ed Ec il contenuto energetico del

combustibile pronto per l'uso (energy content of fuel). L'efficienza energetica di produzione di un combustibile sarà allora data dalla relazione:

η =+

EE E

c

p c

Per dare un'idea dei valori energetici di Ep e di Ec dei combustibili più comuni è utile fare

riferimento alla Tabella 3 con i valori medi europei.

191

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Economia Applicata all’Ingegneria B11 - Interpretazione di dati energetici ed energy management

Tabella 3 - Valori medi europei indicativi di Et [Boustead Model 4.3].

Vettore energetico

Quantità Produzione (Ep) Contenuto energetico (Ec)

Energia totale (Et)

Efficienza

Carbone 1 kg 1.4 MJ 28 MJ 29,4 MJ 95%

Coke 1 kg 3,9 MJ 25,4 MJ 29,5 MJ 87%

Elettricità 1 kWh 11,4 MJ 3,6 MJ 15 MJ 24%

Gas naturale 1 Nm3 5,5 MJ 38,8 MJ. 44,3 MJ 88%

Petrolio 1 kg 8,9 MJ 42,6 MJ 51,5 MJ 83%

Gasolio 1 l 7,5 MJ 37,7 MJ 45,2 MJ 83% In generale, l’efficienza energetica di produzione di un combustibile secondario risulta inferiore

a quella di un primario da cui deriva a causa delle perdite durante la trasformazione. In particolare, per quanto riguarda l'energia elettrica, i valori di Tabella 3 risultano estremamente

variabili da paese a paese dove il mix energetico caratteristico (Tabella 4) e la tecnologia adottata influenzano notevolmente il valore energetico di Ep (che per questo motivo è definito country dependent).

Ad esempio, il consumo di 1 MJ di elettricità dalla rete inglese necessita di un consumo di combustibili primari di circa 3,3 MJ mentre in Norvegia di 1,3 MJ.

Tabella 4 - Mix di combustibili primari impiegati per generare energia elettrica (lorda) in diversi paesi [Agenzia Internazionale per l’Energia].

Nazione Idroelettrica Nucleare Carbone Olio Gas Altri

I 20,7 - 7,3 50,7 17,7 3,6

F 14,3 74,4 7,4 2,1 1,6 0,2

N 99,6 - - 0,4 - -

GB 2,3 19,6 67,3 8,6 1,7 0,5

D 4,3 33,3 48,9 2,4 10,1 1

E 18 36,2 38,6 5,5 1,4 0,3 E’ di conseguenza intuitivo pensare che il valore di Ep influenzi notevolmente i risultati di

un’analisi energetica: pensando ad esempio all’ottenimento dell’alluminio metallico dalla bauxite, i valori ottenibili di consumo totale di energia saranno ben diversi a seconda del mix energetico di riferimento.

1.5 Applicazioni dell'analisi energetica

Dalla descrizione fatta appare chiaro come a seconda dei confini considerati, l’analisi energetica possa essere impiegata nei sistemi produttivi reali con diversi gradi di approfondimento. Di norma si considerano tre diversi livelli di analisi, sede di altrettanti campi di applicazione: globale; nazionale; aziendale.

L'applicazione della metodologia di analisi energetica a livello globale ha come obiettivo principale quello di evidenziare problemi generali legati all'impoverimento delle fonti energetiche

192

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di tipo fossile e all’impatto ambientale dovuto soprattutto alle emissioni generate dai processi di combustione necessari per la trasformazione dell'energia.

L’utilizzo razionale dell’energia, come già evidenziato in precedenza, deve perciò essere considerato con la massima attenzione quale uno degli strumenti più validi per contenere la crescita dei consumi e per contribuire alla riduzione dell’impatto ambientale sia locale che globale. E’ questo il caso in cui è senza dubbio necessario ricostruire la via percorsa dai materiali e dall’energia impiegata nel processo considerato per razionalizzarne l’impiego. Questo modello di applicazione può benissimo essere riconosciuto nella metodologia della LCA.

A livello nazionale, e nel nostro caso in Italia, come già discusso, l’intero apparato produttivo è in generale pesantemente dipendente dall'uso di combustibili fossili e risulta quindi vulnerabile all'interruzione dell'approvvigionamento.

Questa vulnerabilità si inquadra certamente in un contesto internazionale caratterizzato da uno sforzo dei Paesi occidentali, cominciato a partire dai primi anni settanta, per aumentare la propria autonomia energetica e di diversificare la struttura della copertura della domanda e degli approvvigionamenti. Nel nostro caso, la mancanza fisica di giacimenti e la difficoltà nel predisporre un'adeguata politica energetica, hanno negli anni aggravato la situazione: mentre le altre nazioni industrializzate a partire dagli anni '70 hanno via via diminuito la quota di dipendenza energetica dall'estero, in Italia si è aggravata, quasi a dimostrare come questo problema non rientri tra gli obiettivi primari delle strategie organizzative del nostro Paese.

In particolare, il nostro sistema industriale assorbe approssimativamente il 30% del consumo totale di energia, che nel 2000 è stato di circa 184,8 Mtep (ENEA, 2001).

Tabella 1 - Bilancio energetico italiano nel 2000 [ENEA, 2001].

FONTI PRIMARIE CONSUMO [106 TEP] INCIDENZA [%]

Combustibili solidi 12,8 6,9

Prodotti petroliferi 91,3 49,4

Gas naturali 58,1 31,4

Energia rinnovabile 12,9 7,1

Saldo imp-exp energia el. 9,7 5,2

TOTALE 184,8 100 Anche se solo in pochissimi casi è possibile rimanere all’interno dei confini di una stessa

nazione seguendo a ritroso il percorso dei flussi di energia, l'analisi energetica ha in questo caso lo scopo principale di contribuire all’identificazione dei settori industriali più sensibili a tale approvvigionamento e di promuovere la ricerca di sistemi per la riduzione del consumo energetico stesso.

Per quanto riguarda infine il livello aziendale, la valutazione del consumo energetico può non interessare la parte indiretta riguardante l'ottenimento e il trasporto delle materie prime e dei prodotti energetici impiegati. Scopo dell’analisi sarà quindi principalmente quello di valutare il consumo energetico diretto: il costo dell'energia è infatti in molti casi dello stesso ordine di grandezza del costo del lavoro e delle materie prime impiegate per la produzione; studiando le diverse operazioni con particolare riguardo al costo di energia, di materiali e di manodopera, è possibile proporre miglioramenti e quindi massimizzare l'efficienza sia energetica che economica della produzione.

Uno degli esempi usuali di applicazione è quello della ricerca del miglior compromesso fra il vantaggio energetico ed i cambiamenti che esso può comportare (maggiori oneri di investimento, maggiore attenzione di esercizio, ...) in un'attività industriale. Aggiungendo anche i parametri

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ambientali si arriva alla redazione di un vero e proprio ecobilancio, metodologia strettamente legata all'analisi energetica che si presta in maniera appropriata all'impostazione di una corretta gestione dei fattori produttivi ed ambientali a livello aziendale.

1.6 - Unità di misura e conversioni

Nei paragrafi precedenti si è spesso parlato di energia e delle sue unità di misura; in questo paragrafo ci occuperemo delle diverse unità di misura convenzionalmente impiegate per descrivere i consumi energetici e delle conversioni che le coinvolgono.

L’unita’ di misura dell’energia adottata dal Sistema Internazionale e’ il Joule.

1 cal = 4,187 J 1 th (thermie) = 103 kcal = 4,187 MJ

Convenzionalmente il potere calorifico inferiore (p.c.i.) del petrolio impiegato in Italia come

fonte di energia è valutato in 10.000 kcal/kg; possiamo quindi scrivere:

1 tep (tonnellata equivalente di petrolio) = 10.000.000 kcal introducendo il tep come unità di misura utile per poter fare delle comparazioni tra i combustibili

delle diverse fonti energetiche si ricava:

1 tep ≅ 42.000 MJ Utilizzando invece il potere calorifico superiore (p.c.s.) del petrolio, si ottiene:

1 tep ≅ 45.000 MJ Come già accennato nei capitoli precedenti, la scelta dell’utilizzo del p.c.i. o del p.c.s. diventa

fondamentale nell’esecuzione dei calcoli energetici. In Tabella 6 sono riportati gli equivalenti energetici di alcuni prodotti combustibili: le

conversioni sono state fatte a partire dal potere calorifico inferiore degli stessi.

Tabella 6 - Equivalente energetico di alcuni prodotti combustibili; valori indicativi in tep primari per unità fisica di prodotto [FIRE, 1994].

Gasolio 1 t = 1,08 tep

olio combustibile 1 t = 0,98 tep

Benzine 1 t = 1,2 tep

carbon fossile 1 t = 0,74 tep

Antracite 1 t = 0,7 tep

Legna 1 t = 0,45 tep

Lignite 1 t = 0,25 tep

gas naturale 1000 Nm3 = 0,82 tep Uno degli impieghi fondamentali dei combustibili fossili è quello in centrali termoelettriche per

la produzione di energia elettrica.

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Economia Applicata all’Ingegneria B11 - Interpretazione di dati energetici ed energy management

In Italia l’ultimo P.E.N4. ha fissato in 2200 kcal/kWh il consumo medio di una centrale termoelettrica convenzionale (rendimento del 39% circa):

2200 kcal/kWh = 9,21 MJ/kWh = 0,00022 tep/kWh

in altre parole, occorrono circa 220 grammi di petrolio equivalenti per produrre 1 kWh. Per l’impiego dell’energia elettrica (siamo ora dal lato del consumatore) si adotta invece il

coefficiente teorico di conversione di 860 kcal/kWh:

860 kcal/kWh = 3,6 MJ/kWh

2 - INTENSITÀ D’USO DELL’ENERGIA Uno degli indicatori energetici più usati è quello che mette in rapporto il consumo energetico di

un paese in un determinato periodo di tempo e il corrispondente valore economico del prodotto (P.I.L.). L’intensità energetica, considerato un tempo un indicatore del grado di industrializzazione (e sviluppo) di un paese, è divenuto un indice di efficienza energetica: può fornire un quadro del tipo di attività produttiva di un paese (ad alto o basso assorbimento energetico), del livello tecnologico raggiunto, ...

A livello mondiale la dinamica dell’indicatore intensità energetica mostra una diminuzione progressiva: fino ai primi anni ‘70 la crescita del fabbisogno energetico faceva ipotizzare una correlazione diretta tra consumo di energia e prodotto interno. I due shock petroliferi hanno invertito la tendenza e contribuito a diffondere la cultura della necessità del risparmio e della razionalizzazione energetica che ha portato negli ultimi 20 anni alla diminuzione di circa l’11% dell’intensità energetica mondiale.

La Tabella 7 riporta i dati della realtà economico-energetica italiana dal 1983 al 2001. Attualizzando il P.I.L. ai prezzi 1990 (con apposita tabella) e trasformando tutti i valori di

consumo energetico in unità omogenee (tep), si calcolano gli indici energia totale/P.I.L. ed energia elettrica/P.I.L. ottenendo i grafici di andamento dell'intensità energetica voluti (vedi Fig.3).

2.1 Efficienza fisica ed efficienza economica

Già nei paragrafi precedenti abbiamo parlato di efficienza del sistema di trasformazione dell’energia termica in energia elettrica; il termine efficienza viene usato per descrivere la prestazione di un sistema e in generale vuole indicare il massimo output possibile disponendo di risorse limitate; possiamo parlare allora di:

efficienza fisica = outputinput

< 1; e di efficienza economica = valore

tocos > 1

che deve, a differenza della prima, essere necessariamente >1 affinché l’attività economica

risulti ben riuscita.

4 Piano Energetico Nazionale

195

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Economia Applicata all’Ingegneria B11 - Interpretazione di dati energetici ed energy management

Tabella 7 - Consumi di energia, PIL e valori di intensità energetica [fonte ISTAT, ENEL, ENEA]

Intensità energetica Anno Consumi energetici

[Mtep]

Consumi di energia elettrica

[TWh]

PIL

[Miliardi 1990] tep/miliardi lire 1990

MWh/miliardi lire 1990

1983 139,5 181 1.073.783 129,9 168,6

1984 143,4 190,1 1.101.366 130,2 172,6

1985 146,2 195 1.132.313 129,1 172,2

1986 147,7 199,9 1.164.465 126,8 171,7

1987 153 209,8 1.200.523 127,4 174,8

1988 157,5 220,5 1.246.966 126,3 176,8

1989 162,2 228,7 1.282.905 126,4 178,3

1990 163,4 235,1 1.310.659 124,7 179,4

1991 166,7 241 1.325.582 125,8 181,8

1992 168,2 244,8 1.333.072 126,2 183,6

1993 166,6 246,6 1.317.668 126,4 187,1

1994 165,2 253,6 1.346.267 122,7 188,4

1995 172,6 261 1.385.861 124,5 188,3

1996 172,8 262,9 1.395.018 123,9 188,5

1997 175,5 271,4 1.416.055 123,9 191,7

1998 179,1 279,3 1.427.295 125,5 195,7

1999 183,1 285,8 1.533.403 119,4 186,4

2000 184,8 298,5 1.573.251 117,5 189,7

2001 184,8 304,8 1.599.126 115,6 190,6

80,0

85,0

90,0

95,0

100,0

105,0

110,0

115,0

120,0

1983 1988 1993 1998

Num

eri I

ndic

e

Energia / PIL Energia elettrica / PIL

Figura 3 - Intensità energetica espressa in quantità di energia su ricchezza prodotta (PIL). I numeri indice (100 = 1983) mostrano come ad un aumento della necessità di energia elettrica corrisponda una diminuzione della richiesta complessiva di energia mettendo in evidenza un generico miglioramento dell’efficienza dell’uso energetico.

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Economia Applicata all’Ingegneria B11 - Interpretazione di dati energetici ed energy management

3 - L’ENERGY MANAGEMENT L’energia è sicuramente una risorsa indispensabile per le aziende e la gestione accurata del suo

impiego è divenuta una funzione non trascurabile delle attività di controllo aziendali. L’energy management permette di individuare e controllare i consumi non intenzionali di

energia e può favorire risparmi sul costo dell’energia assolutamente non trascurabili. Tra gli strumenti a disposizione dell’energy manager l’analisi energetica riveste un ruolo

fondamentale: attraverso il monitoraggio dei flussi di energia ed il confronto con standard di consumi per la definizione di un target è possibile identificare eventuali consumi non intenzionali e studiare delle misure per ridurli al minimo.

A livello aziendale una specifica organizzazione del lavoro deve: - assicurare un approvvigionamento continuo e sicuro di energia con costi minimi e secondo

qualità predefinite; - minimizzare l’entità dei consumi mettendo in atto tutte quelle tecniche per ridurre le perdite

nei cicli produttivi assicurando contemporaneamente il massimo rendimento; - considerare il consumo di energia come variabile prioritaria per indirizzare la politica interna

di investimenti.

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Economia Applicata all’Ingegneria B12 - Life Cycle Assessment

B12 – LIFE CYCLE ASSESSMENT L’Analisi del ciclo di vita, conosciuta a livello internazionale come LCA (Life Cycle

Assessment), può essere considerata come l’evoluzione della tecnica di analisi energetica (cfr. B11), i cui primi esempi d’applicazione risalgono alla fine degli anni sessanta, quando alcune grandi industrie europee e nordamericane hanno incominciato a rivolgere un interesse particolare ai temi del risparmio delle risorse (energia e materiali) e del contenimento delle emissioni nell’ambiente1.

Negli ultimi trent’anni l’importanza di questi temi è cresciuta al punto che oggi essi sono al centro del grande dibattito sull’ambiente che interessa non solo il mondo scientifico ma tutta la società civile coinvolgendo ogni forma di attività antropica.

Da questo emerge l’attualità della LCA, la cui caratteristica fondamentale è costituita dal modo assolutamente nuovo di affrontare l’analisi dei sistemi industriali: dall’approccio tipico dell’ingegneria tradizionale, che privilegia lo studio separato dei singoli elementi dei processi produttivi, si passa ad una visione globale del sistema, in cui tutti i processi di trasformazione sono presi in considerazione a partire dall’estrazione delle materie prime fino allo smaltimento dei prodotti a fine vita.

Questa impostazione di studio del sistema produttivo fa parte di una cultura più ampia ed alternativa rispetto a quella che ha supportato il tradizionale modello di sviluppo industriale, vale a dire una cultura che pensa la produzione industriale nell’ottica del concetto di sviluppo sostenibile, fase basilare di un possibile nuovo modello di organizzazione e management non solo del sistema produttivo, i cui obiettivi fondamentali sono la conservazione delle risorse naturali e la minimizzazione degli effetti delle attività antropiche sull’ambiente.

I recenti provvedimenti e le iniziative di politica ambientale intraprese dalla Comunità Europea o da altri organismi europei (Regolamenti EMAS ed Ecolabel, Integrated Product Policy), l’introduzione delle Norme ISO della serie 14.000, e, in particolare, quelle delle serie 14.020 e 14.040 dedicate rispettivamente alle dichiarazioni ambientali di prodotto e alla LCA, hanno sicuramente costituito un ulteriore incentivo per le imprese a dotarsi di procedure di controllo e di verifica dei rendimenti energetico-ambientali dei propri processi, dall’implementazione di veri e propri sistemi di gestione ambientale (SGA) a richieste di etichette ecologiche sui propri prodotti o servizi, orientando di conseguenza la ricerca applicata ad elaborare nuove tecniche in grado di soddisfare tali esigenze.

1 - ORIGINI Le origini dell’analisi del ciclo di vita possono essere collocate verso la fine degli anni ‘60,

quando alcuni ricercatori che incominciavano ad occuparsi con criteri rigorosamente scientifici del problema del consumo di risorse nei processi industriali, con particolare riguardo a quelle energetiche, si resero conto che l’unica strada efficace per studiare in maniera completa i sistemi produttivi fosse quella di esaminarne le prestazioni seguendo passo passo il cammino percorso dalle materie prime, a partire dalla loro estrazione dalla terra, attraverso tutti i processi di trasformazione e di trasporto che esse subiscono, fino al loro ritorno alla terra sotto forma di rifiuti: è l’approccio che in inglese viene definito “from cradle to grave”, e cioè “dalla culla alla tomba”, o anche “dalla culla alla culla” se si comprende anche il rientro in circolo dei materiali a fine vita.

Questo approccio costituiva, in effetti, un’assoluta novità, poiché, nello studio inteso a migliorare le prestazioni di un sistema industriale, era l’intera catena produttiva che veniva presa in considerazione, mentre fino ad allora, specialmente da parte degli ingegneri, i miglioramenti 1 In queste pagine si vuole fornire una descrizione generale della metodologia che viene dettagliatamente illustrata nel testo Baldo, Badino; “LCA –Uno strumento per l’analisi energetica e ambientale”; Milano; 2000

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Economia Applicata all’Ingegneria B12 - Life Cycle Assessment

dell’efficienza erano stati costantemente ricercati concentrando l’attenzione sui singoli componenti dei processi produttivi. In tal modo non ci si era preoccupati del fatto che spesso i miglioramenti ottenuti con questo criterio sono solo apparenti. Una singola operazione industriale si può, infatti, rendere più efficiente a spese di altre, o “più pulita” semplicemente trasferendo l’inquinamento altrove, ma non si tiene conto del fatto che i benefici ottenuti localmente possono essere controbilanciati dai problemi che di conseguenza si generano in altri luoghi, con il risultato finale di non ottenere nessun reale miglioramento o addirittura di peggiorare il bilancio generale.

E’ a partire dai primi anni ‘70 che è possibile trovare i primi esempi di analisi del ciclo di vita utilizzate come supporto alle decisioni soprattutto da alcune grandi aziende statunitensi, dall’Agenzia per la protezione dell’ambiente americana (EPA, Environmental Protection Agency), nonché da alcuni produttori inglesi di bottiglie.

Nel caso delle ricerche nordamericane, si trattava di studi svolti sotto il nome di REPA, Resource and Environmental Profile Analysis, che avevano come obiettivo la caratterizzazione del ciclo di vita di alcuni materiali impiegati in importanti produzioni industriali.

Tra le diverse ricerche REPA prodotte nel periodo 1970-1990, merita ricordare quelle commissionate dalla Coca Cola Company e dalla Mobil Chemical Company al Midwest Research Institute: la prima intendeva determinare le conseguenze ambientali della produzione di diversi tipi di contenitori per bevande allo scopo di identificare quale materiale (plastica, vetro o alluminio) e quale strategia di impiego a fine vita del contenitore (a perdere o a rendere) fosse energeticamente ed ecologicamente migliore; la seconda, era intesa a stabilire se i fogli in polistirene utilizzati per incartare prodotti alimentari fossero più o meno eco-compatibili dei concorrenti fogli di carta.

Le crisi petrolifere erano ancora di là da venire, ma la consapevolezza di stare sfruttando a ritmi sempre più elevati risorse energetiche finite era già sufficientemente sviluppata, tanto da indurre studiosi e ricercatori del mondo accademico e industriale ad affrontare temi riguardanti lo sfruttamento delle risorse e i conseguenti effetti sull’ambiente. I successivi allarmi lanciati da molti scienziati sulla limitatezza delle risorse e sui crescenti livelli di inquinamento, la pressione dell’emergente movimento ambientalista ed i fatti contingenti di quel periodo (“crisi energetiche” e problema crescente della destinazione dei rifiuti), hanno poi decisamente incentivato in maniera determinante lo sforzo comune per la messa a punto sia di metodologie sia di strumenti che potessero in qualche modo correggere l’approccio della teoria economica classica a questo tipo di fenomeni, portando, e siamo ormai verso la fine degli anni ottanta, alla nascita del concetto di sviluppo sostenibile (Figura 1).

Inventario

Interpretazione Miglioramentocrisi petrolifere (anni ’70)

movimento verde (anni ’80)

[1990]

interesse sui rifiutisolidi

interesse su ogni tipo di emissione

Le tre fasi principali della moderna LCA

Modello di sviluppo sostenibile [fine anni ‘80]

Resource andEnvironmentalProfile Analysis(REPA) [USA, fine anni ‘60]

Energy Analysis(EA)[Europa, inizio anni ‘70]

1996-97

S ETAC

Co n c e t t od i L CA

Figura 1 - Origini metodologiche e sviluppo della LCA.

Da quel momento in poi, la messa a punto della metodologia LCA ha ricevuto una grande spinta propulsiva in quanto è apparso chiaro come l’approccio di tipo REPA o analisi energetica (nella letteratura anglosassone indicate con “cumulative energy analysis” o “life cycle energy”), con le

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Economia Applicata all’Ingegneria B12 - Life Cycle Assessment

dovute integrazioni e miglioramenti, fosse quello che meglio si prestava a supportare le attività produttive nella nuova interpretazione del concetto di sviluppo.

Il termine LCA venne infine coniato solo durante il Congresso SETAC (Society of Environmental Toxicology and Chemistry) di Smuggler Notch (Vermont - U.S.A.) del 1990, per meglio caratterizzare l’obiettivo delle analisi fino allora svolte sotto il nome di REPA o “cumulative energy analysis”.

2 - LE FASI DI UNA LCA La struttura moderna della LCA è sintetizzabile in quattro momenti principali che costituiranno

il punto di riferimento per gli interventi su un processo di produzione esistente o per il progetto di un nuovo prodotto

Prima di illustrare più nel dettaglio le varie fasi individuate nello schema di Figura 2, occorre ripetere che l’approccio metodologico è per sua natura di tipo dinamico ed iterativo e, come si intuisce, la parte fondamentale è quella della disponibilità dei dati e delle informazioni necessarie allo sviluppo dei calcoli. Via via che si approfondisce l’analisi, nuovi dati potranno poi sostituire o aggiornare i vecchi, richiedendo la revisione dei calcoli stessi.

Figura 2 - La struttura della LCA proposta dalla ISO 14.040.

2.1 Fase 1: definizione degli scopi

Questa è la fase preliminare in cui vengono definiti le finalità dello studio, l’unità funzionale, i confini del sistema studiato, il fabbisogno di dati, le assunzioni ed i limiti.

A questo proposito la ISO 14.041 afferma che “[…] gli obiettivi e gli scopi dello studio di una LCA devono essere definiti con chiarezza ed essere coerenti con l’applicazione prevista. L’obiettivo di una LCA deve stabilire senza ambiguità quali siano l’applicazione prevista, le motivazioni che inducono a realizzare lo studio e il tipo di pubblico a cui è destinato, cioè a quali persone si intendono comunicare i risultati dello studio […]”.

In pratica, ad esempio, per un’azienda l’obiettivo di uno studio LCA potrebbe essere quello di confrontare diversi processi che generano prodotti aventi la medesima funzione al fine di conoscere quale di questi sia migliore da un punto di vista energetico e ambientale: il confronto tra i basamenti motore in ghisa e quelli in alluminio per autovetture dello stesso segmento di mercato costituisce un esempio di questo tipo di applicazione.

Inoltre, dalle finalità e dalle esigenze dell’utilizzatore dell’analisi discendono alcune caratteristiche fondamentali dello studio: i confini del sistema da analizzare, le eventuali alternative

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Economia Applicata all’Ingegneria B12 - Life Cycle Assessment

da considerare, l'integrazione con aspetti non ambientali, la qualità dei dati e la scelta dei parametri, l'estensione della fase di valutazione e di miglioramento, il livello di dettaglio a cui arrivare.

Per quanto riguarda i confini della ricerca, questi vengono definiti con un’operazione che richiede una cura particolare nella parte iniziale della fase di inventario. Tale definizione avviene a seguito di un’accurata descrizione del sistema in esame e della costruzione del diagramma di flusso del ciclo produttivo, effettuate allo scopo di pianificare la raccolta dei dati e delle informazioni.

In molti casi, è specifica esigenza di chi commissiona l’analisi escludere già a priori lo studio di determinate fasi dell’intero processo produttivo: tipiche sono le analisi “dall’ingresso dello stabilimento alla tomba” e, analogamente, “dalla culla all’uscita dallo stabilimento” (from cradle to gate) se l’interruzione dell’analisi del ciclo di vita avviene al termine del processo produttivo. In questo ultimo caso si è soliti parlare di ecoprofilo.

Concludendo, per riassumere i punti fondamentali di questa prima parte dello studio, si può ricordare che devono essere definiti:

• le finalità dello studio, quindi le ragioni per le quali si svolge l’analisi; • i confini del sistema, quindi i processi da considerare nello studio; • l’unità funzionale a cui riferire i risultati (ad esempio energia per kg di acciaio prodotto).

2.2 Fase 2: inventario (Life Cycle Inventory, LCI)

Pur senza avere la pretesa di entrare nel dettaglio di questa fase, è possibile affermare che l’analisi di Inventario è il momento più importante e delicato di una LCA, nel quale si procede alla costruzione di un modello della realtà in grado di rappresentare nella maniera più fedele possibile tutti gli scambi tra le singole operazioni appartenenti alla catena produttiva (e distruttiva) effettiva: la Figura 3 fornisce un’idea di quali siano le operazioni da considerare in questo processo di modellizzazione.

Produzione

Dist ribuzione

Fine vit a

Discarica

Consumo dienergia

Consumo dimat erie prime

At t ivit à direcupero di

mat eria

RECUPEROENERGETICO

At t ivit à peril riuso

RECUPERO DIMATERIALE

At t ivit à per ilrecupero

energet ico

Figura 3 - Lo schema da considerare per lo svolgimento di uno studio LCA Obiettivo di questa parte dell’analisi è quindi quello di raccogliere e di gestire le informazioni

relative ai consumi energetici e di risorse naturali, oltre che alla produzione di rifiuti, emissioni nell’ambiente. Tali dati saranno opportunamente aggregati al fine di determinare quali siano i carichi energetici ed ambientali riferibili all’unità funzionale scelta.

Rimandando a testi più specifici le molte sfumature della fase di calcolo, si ritiene tuttavia importante fare alcune precisazioni.

202

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Economia Applicata all’Ingegneria B12 - Life Cycle Assessment

Innanzitutto i dati utilizzati per questi scopi possono essere suddivisi in dati primari e dati secondari: • generalmente, in uno studio LCA, con la dicitura “dati primari” si intendono quei dati che sono

stati raccolti sul campo e che quindi garantiscono il migliore grado di rappresentatività del sistema analizzato;

• per “dati secondari” si intendono invece i dati che sono stati utilizzati per completare il modello del sistema in esame e sono stati reperiti da banche dati o da studi precedentemente svolti e pubblicati. Normalmente, tali dati riguardano la produzione dell’energia, con particolare riferimento ai mix energetici dei paesi considerati, la produzione dei materiali utilizzati nei processi indagati nonché i trasporti coinvolti.

Sulla base di questo è intuibile il fatto che lo svolgimento di questi studi non possa essere fatto senza l’ausilio di opportuni software che garantiscano sia il supporto per il calcolo vero e proprio, sia la base di dati per quanto riguarda le informazioni di tipo “secondario”. Uno dei software più completi è quello messo a punto dall’inglese Ian Boustead che dai primi anni ’70 si occupa di studi LCA e che fondando la Boustead Consulting Ltd. ha messo in commercio il Boustead Model 4.32.

In definitiva le aggregazioni di informazioni effettuate in questa fase permettono di ottenere dei dati idonei a definire le performance energetiche ed ambientali del sistema che si sta analizzando. A titolo di esempio nelle Figure 4 e 5 si riportano tipici risultati della fase di LCI.

Figura 4 - Esempio di risultati della fase di Inventario: il GER per la produzione di 1 kg di polipropilene (Fonte Boustead Model 4.3)

Figura 5 - Esempio di risultati della fase di Inventario: le emissioni in aria causate dalla produzione di 1 kg di polipropilene (Fonte Boustead Model 4.2)

2 www.boustead-consulting.co.uk

203

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2.3 Fase 3: Life Cycle Impact Assessment

I risultati ottenuti nella fase di LCI sono la base per la fase di studio dell'impatto ambientale provocato dal processo o attività che ha lo scopo di evidenziare l’entità delle modificazioni generate a seguito dei rilasci nell’ambiente e dei consumi di risorse calcolati nell’Inventario.

Questo compito risulta essere tutt’altro che semplice, specialmente per quanto riguarda le conseguenze delle emissioni nell’ambiente, a causa dei problemi oggettivi d’individuazione e interpretazione scientifica delle correlazioni fra queste e gli effetti ambientali. Le discipline che studiano gli effetti dell’attività antropica sull’ambiente sono infatti di sviluppo recente e per questo ancora caratterizzate da diverse difficoltà, legate soprattutto all’interpretazione rigorosa di questi effetti e alla formulazione di modelli di previsione scientificamente accettabili (questo vale in particolare per gli effetti a scala mondiale come il riscaldamento globale e l’assottigliamento della fascia di ozono).

Entrando un po’ più nel dettaglio della metodologia, è opportuno chiarire il significato che si intende attribuire al termine “impatto” per interpretarne correttamente i rapporti con gli effetti ambientali: nel contesto della LCA un impatto è il risultato fisico immediato di una data operazione, consistente in particolare nell’emissione di certe sostanze. Un impatto è associato ad uno o più effetti ambientali: ad esempio, la CO2 emessa durante la combustione di un certo quantitativo di carbone rappresenta un impatto che contribuisce “all’effetto serra”. Ora, dato che per quanto detto non è possibile correlare inequivocabilmente uno specifico impatto con i suoi effetti ambientali, ci si deve limitare ad affermare che “l’impatto è ciò che prelude ad un effetto”, senza pretendere di poter quantificare rigorosamente il secondo sulla base del primo.

In definitiva mentre possiamo ottenere il valore numerico degli impatti dai risultati della fase di Analisi di Inventario, i corrispondenti effetti ambientali potranno solo essere stimati sulla base di ipotesi e convenzioni da stabilire.

Per quanto detto sarà quindi opportuno definire a priori delle categorie di effetti ambientali cui associare gli impatti generati dalle attività del sistema che si sta analizzando: alcuni di questi effetti possono ad esempio essere l’effetto serra, l’acidificazione, la formazione di smog fotochimico. Per questi effetti sarà inoltre da definire la scala di influenza che questi hanno sul territorio (globale, regionale o locale).

La struttura generale di una LCIA è composta da una prima fase obbligatoria, nella quale si convertono i risultati della fase di LCI in opportuni indicatori utilizzabili direttamente o come base di successive valutazioni opzionali della LCIA. Ognuna delle fasi è inoltre suddivisa in ulteriori elementi; ad esempio la sequenza delle operazioni che costituiscono la fase “obbligatoria” è:

• la selezione degli effetti e dei relativi indicatori ambientali; • l’assegnazione dei risultati della fase di LCI agli effetti ambientali scelti (classificazione); • il calcolo degli indicatori di categoria (caratterizzazione). Importante è poi definire il criterio di valutazione da adottare, e cioè il criterio in base al quale

collegare questi numeri ai corrispondenti giudizi di valore sulla maggior o minor gravità dell’impatto. Questo viene effettuato nella seconda fase della Life Cycle Impact Assessment che, indicata come “opzionale”, è composta da ulteriori elementi tra i quali figurano:

• confronto degli indicatori ambientali calcolati con dei valori di riferimento (normalizzazione);

• determinazione e confronto dell’importanza dei singoli effetti ambientali (pesatura). Da un punto di vista pratico si osserva che le due parti dello svolgimento della prima fase di una

LCIA (classificazione e caratterizzazione) sono piuttosto semplici in quanto universalmente accettate nel mondo scientifico che si occupa della metodologia. In questa fase si tratta, ad esempio, di determinare quali siano le emissioni generate che contribuiscono all’effetto serra calcolando un

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coefficiente espresso in kg di CO2 equivalente che permetta di riassumere l’effetto serra potenziale globale generato dal processo (Tabella 1).

Nella seconda fase, invece, si tratta di utilizzare delle metodologie che permettano di sommare gli effetti generati pesandone l’importanza. In pratica, una volta calcolati i singoli effetti potenziali si tratta prima di stabilire quali di questi sia il più importante (tramite l’assegnazione di un peso) e poi di aggregare le informazioni in un unico dato numerico che dovrebbe definire le performance del sistema. È intuibile il motivo per cui questa seconda parte della metodologia sia scientificamente piuttosto discutibile, dal momento che per molti aspetti si basa su considerazioni soggettive.

Tabella 1 - Risultati della classificazione e caratterizzazione di alcuni processi tipici. I valori sono medi e

sono ricavati dalla banca dati del Boustead Model 4.2

Indicatori di categoria

Raffinazione di 1 kg di

petrolio (circa 43 MJ)

Produzione di 1 kg di

alluminio primario

Produzione di 1 kg di bottiglie da 1

l in PET (200 bottiglie circa)

Produzione di 1 MJ di energia

elettrica in Italia

GWP100 [g CO2] 600 9.850 3.520 170

Acidificazione potenziale [g SO2] 8 136 50 4

Fotosmog [g C2H4] 28 7 10 1

Eutrofizzazione [g NO3-] 4 104 35 2

2.4 Fase 4: Interpretazione e miglioramento

La fase di miglioramento è la parte conclusiva di una LCA nella quale lo scopo è quello di proporre i cambiamenti necessari a ridurre l’impatto ambientale dei processi o attività considerati, valutandoli in maniera iterativa con la stessa metodologia in modo da non attuare azioni tali da peggiorare lo stato di fatto.

3 - ALCUNI ESEMPI DI APPLICAZIONE Come detto, la LCA nasce con l’obiettivo di approfondire la conoscenza dei processi industriali

ma negli ultimi tempi il campo di applicazione si è allargato anche ad altri scopi. Per quanto riguarda le applicazioni tradizionali, oltre alle prime attività indicate nel breve

excursus storico, si possono citare alcuni progetti in cui la LCA è stata lo strumento principale di analisi:

• confronto basamenti in ghisa e alluminio per motori: lo studio ha permesso di determinare che da un punto di vista energetico la produzione di alcuni tipi di basamenti motore in alluminio è conveniente, rispetto a quelli tradizionali in ghisa, soltanto quando la percentuale di alluminio secondario supera il 50% in peso;

• analisi delle resine a base bitume-polimero: lo studio ha quantificato la riduzione degli impatti ambientali, soprattutto nei confronti dell’effetto serra, che l’aumento della percentuale di polimero riciclato nella mescola iniziale può provocare;

• analisi della produzione di un’autovettura: lo studio ha quantificato gli impatti energetici ed ambientali causati dalla produzione di un’auto confrontandoli con quelli causati dall’analoga produzione collocata in un diverso mix energetico;

• studio della produzione di un telefono; in questa occasione si è analizzata la produzione di un apparecchio telefonico (Sirio 2000 della Telecom) valutando il miglioramento delle

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performance ambientali del sistema nel caso di utilizzo di alcuni componenti riciclati, nel caso specifico la plastica del guscio (Figura 6).

0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100

Sirio 2000

Eco-Sirio

MJ per telefono

Guscio Scheda

Imballaggio

Figura 6 - Risultati della LCA dell’apparecchio telefonico Sirio 2000: si nota la riduzione dei consumi

energetici (GER) dovuta all’utilizzo di plastica riciclata nella produzione del guscio. Come detto, recentemente l’applicazione della metodologia si è diffusa anche in settori

(costruzioni, servizi, smaltimento dei rifiuti) e per scopi diversi (Ecolabel, Sistemi di Gestione Ambientale, ecc.).

Un primo esempio di nuove applicazioni è legato all’applicazione al settore delle costruzioni dove è nata la disciplina del Life Cycle Design (Eco-design, Design for Environment) che è, in questa visione, costituito dall’insieme delle discipline che possono portare a questo obiettivo tenendo conto oltre che delle consuete variabili (tecniche, economiche, ...) anche dei parametri forniti da preventive analisi di ciclo di vita.

Tra i progetti recentemente sviluppati in questo settore si può citare quello relativo alla costruzione del Sydney’s Olympic Stadium per i Giochi Olimpici del 2000 dove le attività di progettazione e costruzione sono state supportate da esperti in campo LCA per rendere il più veritiero possibile lo slogan “Green Games” adottato dagli organizzatori della manifestazione3. Dallo studio è stato possibile dimostrare come un progetto integrato dall’analisi LCA risultasse preferibile ad uno di tipo convenzionale per tutta una serie di parametri, tra i quali il consumo di energia sia diretta che totale (diretta + indiretta), l’emissione di gas serra, il consumo di acqua e la produzione di rifiuti solidi lungo l’intero arco di vita dell’opera, demolizione compresa (Figura 7).

Il consumo energetico per l’esercizio e la manutenzione in un arco di vita di 50 anni dello stadio conta per circa l’80% del consumo complessivo di ciclo di vita, mentre, a livello di consumi di materie prime, l’acqua costituisce la parte più rilevante tra i materiali utilizzati (circa il 75% in massa, di cui un terzo potabile e un terzo raccolta in sito).

Questi due elementi da soli forniscono un’idea di come le scelte di progetto possano avere una ricaduta sostanziale sull’uso di risorse limitate come l’energia e l’acqua.

3 www.olympics.com/eng/about/green

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0% 25% 50% 75% 100%

Consumoenergetico

complessivo

Emissioni di gasserra

Progetto convenzionale Progetto ecocompatibile

Figura 7 - Confronto in termini percentuali del consumo di energia diretta e delle emissioni di gas serra tra il

progetto assistito dall’analisi LCA e quello convenzionale. Una ulteriore applicazione che si vuole citare è la Integrated Product Policy (IPP) che risulta

una tra le ultime novità in tema di politica ambientale dei prodotti a livello mondiale. Si tratta dell’occasione per rivedere le politiche ambientali messe in atto da organizzazioni come la OECD, la Commissione sullo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite e le Commissioni sull’ambiente della Comunità Europea alla luce delle esperienze maturate negli ultimi dieci anni.

La nuova politica sui prodotti e sui servizi che si intende impostare nei prossimi anni sarà principalmente tesa a fornire le massime garanzie ai consumatori: l’approccio per valutare le performance ambientali sarà tipicamente di ciclo vita (“life-cycle thinking”) e l’obiettivo a breve scadenza risiede nell’integrazione tra di tutti gli altri strumenti di tipo ambientale a disposizione delle istituzioni, dei produttori e dei consumatori. In particolare, la Comunità Europea sta studiando la possibilità di passare da una regolamentazione per singoli settori (sui rifiuti, sulle acque, sull’aria, ecc.) ad una basata sull’integrazione di tutti i fenomeni che accompagnano il ciclo di vita di un prodotto.

I passi principali che hanno caratterizzato questo percorso possono essere riassunti nei seguenti eventi:

• uno studio commissionato dalla EC DGXI nel 1998 che ha evidenziato cinque principi base dell’IPP: 1. trasmissione delle informazioni ambientali rilevanti sull’intera catena produttiva; 2. gestione dei rifiuti; 3. creazione di un mercato per i beni “verdi”; 4. sviluppo dei beni e servizi che portano ad un provato miglioramento dell’ambiente; 5. allocazione delle responsabilità lungo l’intero ciclo di vita di un prodotto;

• il meeting informale dei Ministri dell’Ambiente della Comunità Europea, tenutosi a Weimar nel Maggio 1999;

• alcuni workshop sull’argomento tenutosi a Bruxelles nel Dicembre del 1998, a Berlino nel Febbraio del 2000 e a Stoccolma sempre nel Febbraio del 2000;

• l’“IPP Greenbook” della Commissione Europea distribuito nell’anno 2000. Nello strumento IPP risiedono dunque molte speranze di veder attuate in maniera integrata tutte

le iniziative a carattere ambientale che possono essere applicate lungo il ciclo di vita di un prodotto, con il chiaro intento di coinvolgere direttamente i consumatori e tutti i cosiddetti “stakeholders”, cioè tutti coloro che hanno un qualche interesse economico-finanziario nelle stesse iniziative.

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