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Dispense di Analisi Matematica II (Prima Parte) Domenico Candeloro Introduzione Queste dispense trattano la prima parte del corso di Analisi Matematica II. Nel primo capitolo si discutono gli integrali generalizzati (detti a volte impropri), e si forniscono gli strumenti che serviranno per affrontare anche gli aspetti piu’ pratici di questi argomenti. Nel secondo capitolo tratteremo invece successioni e serie di funzioni, esaminando e con- frontando i diversi tipi di convergenza, e mettendo in evidenza il particolare comportamento delle serie di potenze e delle serie di Fourier. Alla fine di ogni capitolo verra’ presentata una carrellata di esempi: di solito essi sono formulati come esercizi e se ne da’ anche la risoluzione; ma in molti casi si tratta di quesiti non banali, che illustrano svariate e importanti applicazioni dei concetti studiati. Lo stu- dente dunque non li deve interpretare come reali strumenti di verifica, bensi’ come un modo diverso di introdurre strumenti piu’ avanzati di calcolo: si accennera’ a funzioni speciali quali la Gamma e la Beta, a vere e proprie trasformate di Laplace (sia pure mascherate), e a metodi risolutivi di alcune equazioni funzionali, anche queste presentate alla buona e senza alcuna pretesa di sistematicita’ o completezza. Meno ambiziose, ma pur sempre impegnative, saranno alcune applicazioni delle serie di potenze e di Fourier, specialmente quelle indirizzate verso il calcolo della somma, il che, com’´ e ben noto, spesso presenta notevoli difficolta’ e tuttavia conduce a volte a risultati assai interessanti. 1

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Page 1: Dispense di Analisi Matematica II (Prima Parte)candelor/dispense/dispense3.pdfDispense di Analisi Matematica II (Prima Parte) Domenico Candeloro Introduzione Queste dispense trattano

Dispense di Analisi Matematica II (Prima Parte)

Domenico Candeloro

Introduzione

Queste dispense trattano la prima parte del corso di Analisi Matematica II. Nel primo

capitolo si discutono gli integrali generalizzati (detti a volte impropri), e si forniscono gli

strumenti che serviranno per affrontare anche gli aspetti piu’ pratici di questi argomenti.

Nel secondo capitolo tratteremo invece successioni e serie di funzioni, esaminando e con-

frontando i diversi tipi di convergenza, e mettendo in evidenza il particolare comportamento

delle serie di potenze e delle serie di Fourier.

Alla fine di ogni capitolo verra’ presentata una carrellata di esempi: di solito essi sono

formulati come esercizi e se ne da’ anche la risoluzione; ma in molti casi si tratta di quesiti

non banali, che illustrano svariate e importanti applicazioni dei concetti studiati. Lo stu-

dente dunque non li deve interpretare come reali strumenti di verifica, bensi’ come un modo

diverso di introdurre strumenti piu’ avanzati di calcolo: si accennera’ a funzioni speciali

quali la Gamma e la Beta, a vere e proprie trasformate di Laplace (sia pure mascherate),

e a metodi risolutivi di alcune equazioni funzionali, anche queste presentate alla buona e

senza alcuna pretesa di sistematicita’ o completezza.

Meno ambiziose, ma pur sempre impegnative, saranno alcune applicazioni delle serie di

potenze e di Fourier, specialmente quelle indirizzate verso il calcolo della somma, il che,

com’e ben noto, spesso presenta notevoli difficolta’ e tuttavia conduce a volte a risultati

assai interessanti.

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Chapter 13

Integrali generalizzati, parte I

Le applicazioni del calcolo integrale spesso vanno al di la’ delle situazioni che si possono

affrontare con l’integrale di Riemann: per esempio, in Probabilita’ e in Teoria degli Errori

e spesso fondamentale poter calcolare l’area di regioni piane illimitate (area che spesso e

finita), e integrali di funzioni anche illimitate e/o definite su dominii illimitati. Le stesse

serie numeriche, gia’ trattate in Analisi I, si possono facilmente interpretare come inte-

grali di funzioni a gradinata definite sulla semiretta [0,+∞[ : e spesso proprio questa

interpretazione di una serie permette di calcolarne la somma o almeno di determinarne il

comportamento.

Dunque, e importante definire (e poi eventualmente calcolare) integrali di funzioni il-

limitate e integrali di funzioni definite su intervalli illimitati.

Inizieremo con il trattare le funzioni definite su intervalli limitati [a, b], illimitate in

prossimita’ di un punto, in base alla seguente definizione.

Definizione 13.1 Sia [a, b] un intervallo limitato della retta reale, e sia data una funzione

f : [a, b[→ IR (non preciseremo se f sia definita o no su b). Diciamo che f e illimitata solo

in prossimita’ di b se risulta sup{|f(x)|, x ∈ [b−r, b[ } = +∞ e sup{|f(x)|, x ∈ [a, b−r[ } <

+∞ per ogni r in ]0, b− a[. Insomma, f dev’essere limitata in ogni intervallo [a, b− r] che

escluda un intorno di b, e dev’essere illimitata in ogni intorno (sinistro) di b. Per esempio,

la funzione f(x) = 11−x , definita su [0, 1[, e illimitata solo in prossimita’ di 1. Ancora, la

funzione g(x) = ln(1− x), nello stesso intervallo, e illimitata solo in prossimita’ di 1.

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Ora, data una funzione f : [a, b[→ IR, illimitata solo in prossimita’ di b, diremo che f

e localmente integrabile alla Riemann se essa e integrabile alla Riemann in ogni intervallo

[a, b − r], con r ∈ ]0, b − a[. Per esempio, le due funzioni definite poc’anzi hanno questa

proprieta’, in quanto sono continue in [0, 1[.

Infine, data una funzione f : [a, b[→ IR, illimitata solo in prossimita’ di b e localmente

integrabile alla Riemann, diremo che f e integrabile in senso generalizzato (abbreviato in

s.g.) se esiste finito il limite

limr→0

∫ b−r

a

f(x)dx.

In tal caso, questo limite e detto l’integrale generalizzato di f in [a, b], e scriveremo∫ b

a

f(x)dx = limr→0

∫ b−r

a

f(x)dx.

Solitamente, se f : [a, b[→ IR e una funzione continua, l’integrabilita’ in senso ge-

neralizzato equivale alla possibilita’ di applicare la formula fondamentale:∫ baf(x)dx =

F (b) − F (a), sostituendo eventualmente F (b) con il limite della primitiva F per x che

tende a b. Infatti,∫ b−ra

f(x)dx = F (b− r)− F (a) e quindi l’esistenza del limite (finito) di

F (x) per x che tende a b (qui, x = b− r) equivale all’esistenza dell’integrale generalizzato

di f .

Per esempio, la funzione f(x) = 11−x , definita e continua su [0, 1[, non e integrabile in

s.g. perche’ la funzione F (x) = − ln(1− x) (primitiva di f) non ha limite finito per x che

tende a 1. In altri termini, l’area della regione di piano compresa fra l’asse x e il grafico

della f , e le rette x = 0 e x = 1, e infinita.

Invece risulta integrabile in s.g. la funzione g(x) = ln(1 − x), sempre nello stesso

intervallo. Infatti, una sua primitiva e G(x) = (x − 1) ln(1 − x) − x, e tale funzione

ammette limite −1 per x→ 1. In definitiva∫ 1

0

ln(1− x) = −1−G(0) = −1.

(L’integrale qui e negativo poiche l’integranda e negativa, in quanto 1 − x e compreso fra

0 e 1.)

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In maniera del tutto analoga si definisce l’integrabilita’ in s.g. per una funzione che sia

definita in ]a, b], illimitata solo in prossimita’ di a, e localmente integrabile alla Riemann

(ossia integrabile in ogni intervallo del tipo [a+ r, b], per 0 < r < b).

Per esempio, la funzione h(x) = 1x, continua in ]0, 1] e illimitata solo in prossimita’ di 0,

non e integrabile in s.g., in quanto una sua primitiva e H(x) = ln x, e questa non ha limite

finito in 0; invece, la funzione f(x) = 12√x, con caratteristiche analoghe in ]0, 1], risulta

integrabile in senso generalizzato. Infatti si ha

limr→0+

∫ 1

r

1

2√xdx = lim

r→0+(√

1−√r) = 1.

Anche in questo caso possiamo ben constatare che la funzione F (x) =√x, primitiva della

funzione data, ammette limite finito in 0 (anche se, come si vede in questo esempio, tale

limite non coincide con l’integrale generalizzato).

Per maggiore varieta’, e per successive applicazioni, mostriamo ora una famiglia di

funzioni, dipendenti da un parametro positivo α, e vediamo quali di queste sono integrabili

in s.g. e quali no. Ci riferiremo ora alla situazione in cui le funzioni siano illimitate solo in

prossimita’ di a, ma analoghe deduzioni si possono facilmente trovare nelle altre situazioni.

Iniziamo con le funzioni fα, definite per x ∈]0, 1] dalla legge fα(x) = 1xα

, con α > 0.

E’ evidente che tali funzioni sono continue in ]0, 1], positive e illimitate in prossimita’ di

0. Gia’ sappiamo, inoltre, che f1 non e integrabile in s.g. Se α 6= 1, una primitiva di fα e

data da

Fα(x) =1

(1− α)xα−1.

Ora, le funzioni Fα ammettono limite finito per x → 0 se solo se α < 1: infatti in tal

caso l’esponente a denominatore e negativo, e il limite si annulla. Se invece α > 1 il limite

e −∞. Di conseguenza, per quanto visto in precedenza,

fα e integrabile in s.g. se solo se α < 1.

In termini piu’ intuitivi, le funzioni integrabili in s.g., tra le fα, sono quelle che, pur

andando a infinito per x→ 0, rimangono piu’ basse rispetto a 1x.

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Analogamente, se consideriamo le funzioni hα :]a, b] → IR, definite per α > 0 come

segue:

fα(x) =1

(x− a)α,

possiamo facilmente vedere che la situazione e perfettamente analoga al caso precedente

(volendo, ci si puo’ ricondurre direttamente tramite la sostituzione t = x − a), e quindi

anche in questo caso avremo integrabilita’ in s.g. se e solo se α < 1. E ancora, tra le

funzioni gα, definite da x 7→ 1(b−x)α in [a, b[, sono integrabili soltanto quelle con α < 1

(anche qui, basta la sostituzione t = b− x).

Per esempio, la funzione x 7→ 1√1−x e integrabile in [0, 1[: qui α = 1

2.

Ancora si ha integrabilita’ per la funzione x 7→ 13√x2

in ]0, 1]: qui la singolarita’ e presente

all’estremo sinistro, con α = 23, e quindi l’integrale in s.g. esiste; infatti una primitiva e

x 7→ 3x1/3, e tale funzione ammette limite nullo in 0, per cui∫ 1

0

13√x2dx = 3.

Torniamo ora a un discorso piu’ generale.

Ovviamente, qualora f risulti illimitata sia in prossimita’ di b che in prossimita’ di a,

si dira’ che essa e integrabile in s.g. se essa e localmente integrabile (ossia integrabile alla

Riemann in ogni intervallo del tipo [a + r, b − r] con r > 0, e se esistono finiti entrambi i

limiti

limr→0+

∫ a+b2

a+r

f(x)dx, limr→0+

∫ b−r

a+b2

f(x)dx.

(Notiamo che a+b2

e il punto medio tra a e b). In tal caso, l’integrale generalizzato di f

sara’ la somma dei due limiti.

Consideriamo per esempio la funzione g(x) = 1√x√1−x , definita e continua in ]0, 1[, e

illimitata solo in prossimita’ dei due estremi. Una sua primitiva e la funzione G(x) =

2 arcsin√x, e tale funzione ammette limite finito sia in 0 che in 1. Si ha pertanto∫ 1

0

1√x√

1− xdx = 2 arcsin

√1− 2 arcsin

√0 = 2 arcsin 1 = π.

Attenzione!!! In generale non basta che esista finito il limite limr→0

∫ b−ra+r

f(x)dx. Per

esempio, la funzione h(x) = tanx, definita e continua in ]− π2, π2[, non e integrabile in s.g.

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nei due sottointervalli ]− π2, 0] e [0, π

2[: infatti una sua primitiva e H(x) = − ln cosx, e tale

funzione ha limite infinito sia a π2

che a −π2. Tuttavia, poiche’ h e una funzione dispari,

ovviamente risulta∫ π

2−r

−π2+r h(x)dx = 0 per ogni r. Dunque, benche’ la funzione h non sia

integrabile in s.g. in ]− π2, π2[, si ha banalmente

limr→0+

∫ π2−r

−π2+r

h(x)dx = 0.

Ancora un po’ piu’ in generale, formuliamo qualche altra definizione.

Definizione 13.2 Sia f : [a, b] → IR una funzione che risulti illimitata in prossimita’

di un numero finito di punti, c1, c2, ..., ck interni ad [a, b] (e non in altri punti di [a, b]).

Questo vuol dire che, per ogni r > 0 e per ciascun punto ci (ma non per altri punti) si ha

sup{|f(x)| : x ∈ [ci − r, ci + r] ∩ [a, b]} = ∞. Diremo che una tale funzione e localmente

integrabile se essa e’ integrabile in ogni intervallo [α, β] ⊂ [a, b] nel quale essa sia limitata.

Ora, se f e una funzione illimitata solo in prossimita’ dei punti c1, ..., ck interni ad [a, b],

c1 < c2 < ... < ck, e se f e localmente integrabile, diremo che f e integrabile in s.g. in [a, b]

se essa lo e in ogni intervallo del tipo [a, c1], [c1, c2], ...[ck, b].

Ovviamente, se questo e il caso, l’integrale di f in [a, b] e’ la somma di tutti gli integrali

nei precedenti intervalli.

Vediamo ora delle condizioni che assicurino l’integrabilita’ in s.g. anche quando non

si possa utilizzare la formula fondamentale, per esempio in quei casi in cui non si conosce

un’espressione elementare delle primitive.

La prima condizione esprime un criterio del tipo di Cauchy, che non dimostreremo. Essa

verra’ formulata solo nel caso di funzione illimitata in prossimita’ del punto b: si lascia al

lettore il compito, se vuole, di trovare formulazioni negli altri casi di illimitatezza.

Teorema 13.3 Sia data una funzione f : [a, b[→ IR, illimitata soltanto in prossimita’ di

b, e localmente integrabile. La funzione f e integrabile in s.g. in [a, b] se e solo se per ogni

ε > 0 esiste un δ > 0 tale che ∣∣∣∣∣∫ b′′

b′f(x)dx

∣∣∣∣∣ ≤ ε

per ogni scelta di b′, b′′ in [b− δ, b[.

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Una prima conseguenza di questo teorema e una condizione sufficiente per l’integrabilita’,

espressa in termini di confronto.

Teorema 13.4 Sia data una funzione f : [a, b[→ IR, illimitata soltanto in prossimita’ di

b, e localmente integrabile. Sia poi g : [a, b[→ IR+0 , anch’essa illimitata in prossimita’ di b

e localmente integrabile. Se g e integrabile in s.g. e se |f(x)| ≤ g(x) in [a, b[, allora anche

f e integrabile in s.g.

Dimostrazione. Bastera’ usare il teorema 13.3: si fissi ε > 0; allora, per l’integrabilita’ di

g esiste un δ > 0 tale che ∫ b′′

b′g(x)dx ≤ ε

per ogni scelta di b′, b′′ in [b− δ, b[. Ora, per tali scelte di b′ e b′′ si ha anche∣∣∣∣∣∫ b′′

b′f(x)dx

∣∣∣∣∣ ≤∫ b′′

b′g(x)dx ≤ ε.

Applicando ora alla f la condizione sufficiente del teorema 13.3, si ottiene l’asserto. 2

Vediamo ora anche un risultato di non integrabilita’.

Teorema 13.5 Sia g : [a, b[→ IR+0 una funzione illimitata solo in prossimita’ di b, e

localmente integrabile, ma non integrabile in s.g.. Ora, sia f : [a, b[→ IR+0 un’altra funzione

illimitata solo in prossimita’ di b e localmente integrabile; se f(x) ≥ g(x) in [a, b[ allora

anche la funzione f non e integrabile in s.g. in [a, b[.

Anche allo scopo di dimostrare quest’ultimo teorema, osserviamo che, nel caso di fun-

zioni non-negative, l’integrale tra a e b − r va crescendo col decrescere di r, pertanto il

limite limr→0+∫ b−ra

f(x)dx esiste certamente, finito o infinito: dunque, in tal caso, f risulta

integrabile in s.g. se e solo se tale limite e’ finito. E’ chiaro pertanto che, nella situazione

descritta nel teorema 13.5, tale limite non puo’ che essere infinito per la f , se esso lo e per

la g.

Vediamo qualche esempio.

La funzione f(x) =sin π

2x√

1−x e definita e continua in [0, 1[, ed e illimitata solo in vicinanza di

1. Non e facile trovare primitive per tale funzione, e quindi non possiamo usare la definizione

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per decidere se essa e integrabile in s.g. oppure no. Tuttavia, essa e non negativa, e minore

di g(x) = 1√1−x , funzione di cui abbiamo gia’ dimostrato l’integrabilita’. Allora, grazie al

teorema 13.4, possiamo concludere che anche f e integrabile. Non e invece integrabile,

nello stesso intervallo, la funzione h(x) = ln (e+x)1−x in quanto tale funzione e maggiore di 1

1−x ,

e quest’ultima e positiva e non integrabile, come gia’ visto.

Un altro esempio significativo e la funzione ϕ(x) = 1x√1−x , definita in ]0, 1[. Qui, le

singolarita’ sono due, nei due estremi. Nell’intervallo [12, 1[ la nostra funzione e integrabile

in s.g., in quanto positiva e minore di 2√1−x , e quest’ultima e integrabile in s.g. per quanto

gia’ visto. Invece, nell’intervallo ]0, 12], la funzione ϕ non e integrabile, in quanto positiva

e maggiore di 1x, che, come gia’ sappiamo, non e integrabile in senso generalizzato. D’altra

parte, una primitiva della funzione ϕ e’ F (x) = ln 1−√1−x

1+√1−x , e F ammette limite finito (nullo,

infatti) per x che tende a 1 ma ha limite −∞ per x che tende a 0. In conclusione, la

funzione ϕ non e integrabile in s.g. in ]0, 1[.

Come abbiamo gia’ visto per lo studio delle serie, il criterio stabilito tramite confronto,

ossia il Teorema 13.4, puo’ essere perfezionato e reso piu’ duttile se formulato in termini

asintotici. Noi stabiliremo solo alcune formulazioni, in termini di ordine di infinito.

Teorema 13.6 Sia f : [a, b[→ IR una funzione illimitata solo in prossimita’ di b e local-

mente integrabile. Supponiamo poi che si abbia

limx→b−

f(x) = +∞,

e che l’ordine di tale infinito sia α > 0. Allora,

se α < 1 f e integrabile in s.g., e se α ≥ 1 f non e integrabile.

Dimostrazione. Poiche’ il limite e +∞, possiamo dedurre che f(x) e strettamente positiva

almeno in un intervallo del tipo [b− r, b[, per qualche r > 0. Se l’ordine d’infinito e α, vuol

dire che esiste finito e strettamente positivo il limite

L := limx→b−

f(x)(b− x)α.

Per la definizione di limite (applicata scegliendo ε = L2), cio’ vuol dire che esiste un δ > 0

tale che |f(x)(b − x)α − L| < L2

per ogni x > b − δ, x < b. Da qui, dividendo tutto per

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(b− x)α:

|f(x)− L

(b− x)α| ≤ L

2

1

(b− x)α,

sempre per x > b− δ. Ora, se α < 1 possiamo dedurre che, per x > b− δ si ha

f(x) ≤ 3L

2

1

(b− x)α:

di qui, l’integrabilita’ per confronto, dato che la funzione a secondo membro e integrabile

in s.g. Se invece α > 1, si deduce, sempre per b− δ < x < b:

f(x) ≥ L

2

1

(b− x)α,

e di qui la non integrabilita’ di f , sempre per confronto. 2

Vediamo alcuni esempi: la funzione f(x) =√x

sinx, definita per x ∈]0, π], e integrabile in

s.g.: infatti essa e continua, e illimitata solo in prossimita’ di 0, ove ammette limite infinito,

ma l’ordine di tale infinito e 12

(come si vede facilmente, confrontando il numeratore, che e

infinitesimo di ordine 12, con il denominatore, che e di ordine 1).

La funzione g(x) = 2x−πcos2 x

, definita e continua in [0, π2[, presenta un infinito in π

2di ordine

1: infatti si ha

limx→π

2−

(2x− π)(π2− x)

cos2 x= −1

2limx→π

2−

(2x− π)2

cos2 x= lim

x→π2−

2

cos2 x− sin2 x= −2,

avendo applicato due volte la Regola di L’Hospital. Dunque la funzione g non e integrabile

in s.g..

Un altro esempio interessante e il seguente:

f(x) =1

(lnx)√x,

definita per x ∈]0, 1]. Qui l’unico punto singolare e 0, e in tale punto si ha un infinito

(negativo), perche la funzione√x vince nel contrasto con il logaritmo; si tratta ovviamente

di un infinito di ordine minore di 12, a causa del logaritmo, ma questo infinito non ha ordine,

in senso stretto. Tuttavia, proprio perche’ questa funzione e, presa in valore assoluto, piu’

bassa di 1√x, e quest’ultima e integrabile, ne segue l’integrabilita’ anche per f grazie al

teorema 13.4.

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Invece, non e integrabile in s.g. la funzione h(x) = 1x lnx

, definita per x ∈]0, 12]. Qui

gli ordini di infinito non ci aiutano, perche la nostra funzione e (in modulo) minore di 1x,

ma quest’ultima non e integrabile in s.g., e quindi non si puo’ applicare 13.4, ne’ 13.5. In

questo caso, si puo’ procedere integrando direttamente: una primitiva e ln | lnx| (logaritmo

iterato), e chiaramente in 0 questa non ha limite finito, dunque h non e integrabile in s.g.

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Chapter 14

Integrali generalizzati, parte II

Passiamo ora a esaminare (quando sia possibile) l’integrabilita’ di funzioni definite su in-

tervalli illimitati, ossia su semirette o su tutto IR.

Tratteremo in dettaglio solo funzioni definite su semirette del tipo [a,+∞[, in quanto

gli altri casi sono analoghi.

Definizione 14.1 Sia dunque f : [a,+∞[→ IR una funzione quasiasi, e supponiamo che in

ogni intervallo [a, b], con b > a, essa sia integrabile in senso classico o in senso generalizzato

(secondo le definizioni precedenti). In tal caso, diremo che f e localmente integrabile. Allora,

posto F (x) =∫ xaf(t)dt per ogni x > a, diremo che f e integrabile in s.g. in [a,+∞[ se

esiste finito il limite

limx→+∞

F (x) = limx→+∞

∫ x

a

f(t)dt.

Anche in questo caso, se f : [a,+∞[→ IR e continua, l’integrabilita’ in s.g. dipende dal

limite di una sua qualsiasi primitiva: detta F una primitiva di f , si ha infatti

limx→+∞

∫ x

a

f(t)dt = limx→+∞

(F (x)− F (a)),

purche uno dei due limiti esista. Per esempio, la funzione x 7→ e−x, definita in [0,+∞[, e

integrabile in s.g. poiche’ una sua primitiva e x 7→ 1− e−x, e quindi∫ +∞

0

e−xdx = limx→+∞

(1− e−x) = 1.

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Altro esempio: la funzione x 7→ 12√x

e integrabile in s.g. in ogni intervallo del tipo

[0, b], con b > 0, e infatti si ha∫ b0

12√xdx =

√b, ma chiaramente, se b tende a +∞, il limite

di questi integrali e infinito. Pertanto, la funzione x 7→ 12√x

non e integrabile in s.g. in

[0,+∞[. Viceversa, la funzione x 7→ 1x2

non e integrabile in ]0, 1], in quanto l’infinito che

essa presenta in 0 e di ordine maggiore di 1. Tuttavia, tale funzione e integrabile in [c,+∞[

per ogni c > 0: infatti, una sua primitiva e x 7→ − 1x, e quindi si ha∫ +∞

c

1

x2dx = lim

x→∞(1

c− 1

x) =

1

c.

Ma comunque, anche in questo caso non si ha integrabilita’ in tutto [0,+∞[.

Prima di passare a considerazioni piu’ generali, facciamo notare un fatto semplice, ma

spesso sottovalutato: le funzioni costanti non sono integrabili su intervalli illimitati, a meno

che non siano nulle.

Anche per questo tipo di integrale generalizzato possiamo facilmente osservare che, data

la famiglia di funzioni fα, definite su [1,+∞[ con la legge fα(x) = 1xα

, si ha integrabilita’

in s.g. su [1,+∞[ se e solo se α > 1. Infatti, per α = 1 una primitiva e x 7→ lnx, e

chiaramente questa ha limite infinito a +∞; poi, per α 6= 1, una primitiva e x 7→ 1(1−α)xα−1

(come abbiamo gia’ visto), e stavolta il limite, per x→ +∞, e finito se e solo se α > 1.

In modo un po’ drastico, possiamo concludere che nessuna delle funzioni fα e integrabile

in s.g. su [0,+∞[: quelle con α > 1 non sono integrabili in ]0, 1[, quelle con α < 1 non

sono integrabili in [1,+∞[, e quella con α = 1 non lo e ne’ in ]0, 1] ne in [1,+∞[.

Ora, e evidente come definire l’integrabilita’ di una funzione f definita su una semiretta

del tipo ]−∞, b], con b ∈ IR: bastera’ verificare che la funzione f ∗ lo sia in [−b,+∞[, ove

f ∗(x) = f(−x), o equivalentemente che esista finito il limite

limx→−∞

∫ b

x

f(t)dt.

Nel caso piu’ generale di funzioni definite su tutto IR, esse si diranno localmente integra-

bili se sono integrabili, in senso classico o generalizzato, in ogni intervallo del tipo [−N,N ],

con N > 0.

Definizione 14.2 Se f : IR → IR e localmente integrabile, diremo che essa e integrabile

in senso generalizzato su IR se essa lo e sia su [0,+∞[ sia su ]−∞, 0].

12

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Anche qui, bisogna fare molta attenzione a valutare l’integrabilita’ separatamente nelle

due semirette. Per esempio, se consideriamo la funzione f(x) = sinx in tutto IR, essa e

continua e quindi localmente integrabile. Si ha poi∫ N

−Nsinxdx = 0

per ogni N > 0, in quanto la funzione sin e dispari. Dunque, (banalmente) esiste ed e nullo

il limite di tali integrali per N che tende a +∞: ma la funzione sin non e integrabile in

tutto IR, perche non lo e in nessuna delle due semirette ] −∞, 0] e [0,+∞[, in quanto la

primitiva (x 7→ − cosx) non ha limite a +∞ ne a −∞.

Ora, come gia’ abbiamo fatto in precedenza, stabiliamo alcune condizioni sufficienti

affinche’ una funzione f : [a,+∞[→ IR, localmente integrabile, sia integrabile in s.g.. Non

riporteremo le dimostrazioni.

Teorema 14.3 Siano f e g due funzioni definite su [a,+∞[ e localmente integrabili, e

supponiamo che g(x) ≥ 0 per ogni x in [a,+∞[.

1) Se |f(x)| ≤ g(x) in tutto [a,+∞[ e se g e integrabile in s.g. allora lo e anche f .

2) Se f(x) ≥ g(x) per ogni x ∈ [a,+∞[ e se g non e integrabile in s.g., allora neanche

f lo e.

(Risultati analoghi valgono per funzioni definite su semirette sinistre o su tutto IR.)

Il teorema precedente si puo’ affinare, anche in questo caso, attraverso il comportamento

all’infinito della funzione integranda.

Teorema 14.4 Sia f : [a,+∞[→ IR una funzione localmente integrabile, e supponiamo

che limx→+∞ f(x) = 0. Se l’ordine di infinitesimo e maggiore di 1, allora f e integrabile in

s.g.. Se f e non-negativa, e l’ordine di infinitesimo e minore o uguale a 1, allora f non e

integrabile in s.g.

Insomma, se f e continua e non-negativa, la sua integrabilita’ dipende da quanto essa sia

schiacciata verso il basso man mano che x va a infinito. Tuttavia si tenga presente che

in questo teorema si danno solo condizioni sufficienti. Una funzione potrebbe benissimo

13

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essere integrabile in s.g. anche se essa non ha limite a +∞ : basti pensare alla funzione

che vale 1 su ogni numero intero, e 0 su tutti gli altri numeri reali; per tale funzione, che

ovviamente non ha limite all’infinito, ogni integrale su intervalli limitati e nullo, e quindi

anche l’integrale generalizzato esiste ed e nullo.

Osserviamo anche, pero’, che se il limite all’infinito esiste e non e’ zero, l’integrabilita’

e esclusa, per semplice confronto diretto: infatti, se il limite limx→+∞ f(x) fosse un numero

a > 0, grazie al teorema della permanenza del segno si potrebbe dedurre che f(x) > a2

per ogni x maggiore di un qualche m > 0, e quindi f sarebbe maggiorante di una funzione

positiva e non integrabile (cioe’ la costante a2), almeno tra m e +∞. (E un ragionamento

simile si puo’ fare se il limite all’infinito fosse negativo, ovviamente).

D’altra parte, se f e di segno variabile, la seconda parte del teorema 14.4 non si puo’

applicare in generale. Vedremo in seguito degli esempi per chiarire questa cosa.

14.1 Esempi

Discuteremo ora un certo numero di esempi di funzioni, studiandone l’integrabilita’ gene-

ralizzata. Benche’ siano formulati come esercizi, alcuni di questi esempi non sono proprio

elementari, in quanto riguardano applicazioni della teoria in svariate situazioni, e spesso

conducono a risultati difficlmente ottenibili con tecniche usuali. Lo studente puo’ provare

a risolvere da solo ciascun quesito, confrontando poi la propria soluzione con quella fornita

nel testo.

Esempio 14.5 Si dimostri che, per ogni t > 0, esiste l’integrale generalizzato

Γ(t) =

∫ +∞

0

xt−1e−xdx.

L’integranda e definita e continua almeno in ]0,+∞[ per ogni t > 0. Cominciamo

con l’osservare che a +∞ la funzione presenta un infinitesimo di ordine superiore

a qualsiasi α positivo, e dunque l’integrabilita’ in [1,+∞[ e conseguenza del

teorema 14.4. Chiaramente poi, per t ≥ 1, in 0 non c’e nessuna singolarita’,

e quindi anche in [0, 1] l’integrabilita’ e ovvia. Ma anche nel caso t < 1 la

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funzione integranda presenta in 0 un infinito di ordine minore di 1 (l’ordine

e 1−t) e quindi risulta integrabile in s.g. anche in [0, 1]. Dunque, per ogni

t > 0 la quantita’ Γ(t) esiste finita.

Tale funzione ha delle particolarita’ molto interessanti. Intanto, possiamo facilmente

calcolare alcuni valori di Γ:

Γ(1) =

∫ +∞

0

e−tdt = 1, Γ(2) =

∫ +∞

0

xe−xdx = limM→+∞

(−Me−M +

∫ M

0

e−xdx) = 1,

il secondo integrale essendo calcolato per parti.

Sempre procedendo per parti, si ha anche

Γ(t+ 1) =

∫ +∞

0

xte−xdx = limM→+∞

(−M te−M +

∫ M

0

txt−1e−xdx) = tΓ(t).

Questa proprieta’ richiama molto quella ben nota per il fattoriale: e infatti, grazie anche

ai primi valori calcolati per Γ, possiamo dedurre che Γ(n) = (n− 1)! per ogni intero n > 0.

Insomma risulta ∫ +∞

0

xne−xdx = n!

per ogni n ≥ 0. Inoltre, grazie a un particolare integrale di Gauss (che studieremo in

seguito), si puo’ anche dedurre che

Γ(1

2) =

∫ +∞

0

1√xe−xdx =

√π.

Dunque, da qui si possono ricavare anche i valori Γ(12

+ 1), Γ(12

+ 2), ecc.:

Γ(3

2) =

1

2Γ(

1

2) =

√π

2, Γ(

5

2) =

3

2Γ(

3

2) =

3

2

1

2

√π, Γ(

7

2) =

5

2

3

2

1

2

√π, ...

Questi sono, in generale, i valori di Γ sui cosiddetti semi-interi:

Γ(n+1

2) =

(2n)!

n!4n√π,

formula valida per ogni intero n ≥ 0.

Esempio 14.6 Considerata la funzione f(x) = e−x2, per x ∈ IR, stabilirne l’integrabilita’

e calcolarne l’integrale in tutto IR.

15

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La funzione data e pari, continua e mai negativa. Bastera’ studiarla dunque

in [0,+∞[. Poiche’ f e infinitesima, per x→ +∞, di ordine superiore a qualsiasi

potenza di x, sicuramente essa e integrabile in s.g. Avremo allora∫IR

f(x)dx = 2

∫ +∞

0

e−x2

dx.

Operando la sostituzione x2 = t, da cui x =√t, dx = 1

2√tdt, avremo poi∫

IR

f(x)dx = 2

∫ +∞

0

e−x2

dx =

∫ +∞

0

1

t1/2e−tdt = Γ(

1

2) =√π.

La funzione qui esaminata prende il nome di funzione gaussiana, e l’integrale calcolato

e di utilita’ fondamentale in teoria degli errori. Notiamo che, in questa situazione, non

sarebbe stato possibile determinare una primitiva in termini elementari, e abbiamo ricavato

il risultato sulla base di proprieta’ della funzione Γ. Si studiera’ in seguito un altro metodo

per ottenere piu’ direttamente lo stesso risultato.

Esempio 14.7 Un’altra importante funzione, legata alla funzione Γ, e la Beta: essa si

denota con Be, ed e definita al variare di due quantita’ positive, α e β, come segue:

Be(α, β) =

∫ 1

0

xα−1(1− x)β−1dx.

Sembra un integrale facile, ma, tenendo conto del fatto che α e β possono essere numeri

non interi, e neanche razionali, il calcolo in generale non e affatto elementare. Inoltre, per

α e/o β minori di 1, la funzione integranda e illimitata in prossimita’ di uno degli estremi,

(o di entrambi). Si tratta pero’ di infiniti di ordine minore di 1, e quindi l’integrabilita’ e

garantita dal teorema 13.6.

Un’importante formula, difficile da dimostrare, e la seguente:

Be(α, β) =Γ(α)Γ(β)

Γ(α + β). (14.1)

Per esempio, se si dovesse calcolare l’integrale∫ 1

0x9(1−x)15dx, sarebbe molto piu’ facile

adoperare la funzione Beta, piuttosto che sviluppare la potenza e calcolare tutti gli integrali

dei numerosi addendi risultanti. Infatti, si ha∫ 1

0

x9(1− x)15dx = Be(10, 16) =Γ(10)Γ(16)

Γ(26)=

9!15!

25!=

1

25

1(249

) .16

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Un’importante applicazione della funzione Beta si ha nel calcolo di integrali del tipo∫ π2

0

sinh x cosk xdx,

con h e k interi positivi. In teoria, e sempre possibile esprimere le potenze di sinx e

cosx in termini delle funzioni sinmx e cosnx, con m e n interi minori o uguali ad h

e k rispettivamente. Ma questo diventa piuttosto complicato se h e k sono molto grandi.

Invece, operando la sostituzione sin2 x = u, (con u che varia tra 0 e 1), da cui x = arcsin√u

e dx = 12√u

1√1−udu, si perviene a∫ π

2

0

sinh x cosk xdx =

∫ 1

0

uh/2(1− u)k/21

2√u

1√1− u

du =

=1

2

∫ 1

0

uh/2−1/2(1− u)k/2−1/2du =1

2Be(

h+ 1

2,k + 1

2).

A questo punto, usando la formula (14.1) e i valori di Γ sugli interi e i semi-interi, il calcolo

dell’integrale e presto concluso.

Per fare un esempio concreto, valutiamo l’integrale∫ π

2

0sin7 x cos10 xdx: con la formula

trovata poc’anzi, e adoperando poi (14.1), abbiamo∫ π2

0

sin7 x cos10 xdx =1

2Be(4,

11

2) =

1

2

Γ(4)Γ(5 + 1/2)

Γ(9 + 1/2).

Adoperando ora le formule per la funzione Γ, troveremo:∫ π2

0

sin7 x cos10 xdx =1

2

3!10!9!49√π

5!4518!√π

= 310!9!44

5!18!=

16

12155,

dopo varie semplificazioni.

Esempio 14.8 Si consideri la funzione

f(x) =

1 x = 0

sinxx, x 6= 0,

per x ∈ IR, e si verifichi che f e integrabile in s.g.

(Questa e una funzione molto importante nelle applicazioni, ma le sue primitive

non si possono esprimere in termini elementari). Intanto possiamo osservare

17

Page 18: Dispense di Analisi Matematica II (Prima Parte)candelor/dispense/dispense3.pdfDispense di Analisi Matematica II (Prima Parte) Domenico Candeloro Introduzione Queste dispense trattano

che f e continua e pari: questo comporta che f e localmente integrabile, e

basta studiarne l’integrabilita’ in [0,+∞[. Purtroppo, nonostante f tenda a

0 per x→∞, non si puo’ stabilire un ordine di infinitesimo, e quindi non

possiamo applicare direttamente il teorema 14.4. Tuttavia, e possibile dedurre

l’esistenza del limite

limx→+∞

∫ x

0

f(t)dt,

procedendo per parti. Intanto, osserviamo che∫ x

0

f(t)dt =

∫ 1

0

f(t)dt+

∫ x

1

f(t)dt,

e ovviamente sara’ sufficiente esaminare il limite del secondo addendo, per

x→∞. Abbiamo allora, per x > 1:∫ x

1

f(t)dt =

∫ x

1

sin t

tdt = −

[cos t

t

]x1

−∫ x

1

cos t

t2dt = cos 1− cosx

x−∫ x

1

cos t

t2dt.

Chiaramente, limx→+∞cosxx

= 0, quindi l’integrabilita’ di f in [0,+∞[ equivale

a quella dell’ultima funzione integranda, x 7→ cosxx2

, in [1,+∞[: ma questa volta

possiamo applicare i teoremi di confronto, in quanto si ha | cosxx2| ≤ 1

x2, e la

funzione x 7→ 1x2

e integrabile in s.g. in [1,+∞[. In conclusione, f e integrabile

in s.g. su tutto IR. (Vedremo successivamente quale il valore dell’integrale).

Esempio 14.9 Si dimostri che la funzione

x 7→ e−hxsinx

x√x

e integrabile in senso generalizzato su [0,+∞[, qualunque sia h > 0.

La funzione data presenta una singolarita’ in 0, ed inoltre e definita in

un intervallo illimitato. Tuttavia, poiche il fattore e−hx ha limite 1 in 0,

la singolarita’ in 0 dipende solo dal secondo fattore, che infatti tende a +∞.

Ma l’ordine d’infinito e 12dunque la funzione data risulta integrabile in senso

generalizzato almeno in ogni intervallo del tipo [0, A], con A > 0. L’integrabilita’

nell’intera semiretta [0,+∞[ dipende invece dal primo fattore, che e infinitesimo

di ordine superiore rispetto a qualunque potenza di x. Dunque la funzione assegnata

e integrabile nella semiretta [0,+∞[.

18

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L’integrale dell’esempio precedente non puo’ essere calcolato in termini elementari. Un

discorso diverso si puo’ fare nell’esempio seguente.

Esempio 14.10 Si consideri, per ogni h > 0, la funzione f(x) = e−hx sinxx

. Si dimostri che

tale funzione e’ integrabile in s.g. in [0,+∞[ e, denotato con F (h) l’integrale risultante, si

calcoli la derivata F ′(h), ricavandone infine un’espressione esplicita per l’integrale F (h).

L’integrabilita’ di f si deduce come nell’esempio precedente, anzi in questo

caso non c’e neanche la singolarita’ in 0. Il calcolo dell’integrale non e

una cosa semplice, ma si puo’ osservare che

F ′(h) =

∫ +∞

0

−xe−hx sinx

xdx = −

∫ +∞

0

sinxe−hxdx,

avendo svolto il calcolo di derivata sotto il segno d’integrale (la validita’

teorica di tale procedimento sara’ studiata in seguito). L’ultimo integrale

si puo’ svolgere con tecniche usuali:

−∫ +∞

0

sinxe−hxdx =

[1

hsinxe−hx

]+∞0

−∫ +∞

0

e−hx cosxdx = −1

h

∫ +∞

0

e−hx cosxdx.

Ora, si ha∫ +∞

0

e−hx cosxdx = −[e−hx cosx

h

]+∞0

− 1

h

∫ +∞

0

e−hx sinxdx =1

h− 1

h

∫ +∞

0

e−hx sinxdx.

Pertanto

−∫ +∞

0

sinxe−hxdx = −1

h(1

h− 1

h

∫ +∞

0

e−hx sinxdx) = − 1

h2+

1

h2

∫ +∞

0

e−hx sinxdx.

Si deduce ora facilmente che∫ +∞

0

e−hx sinxdx =1

1 + h2, e quindi F ′(h) = − 1

1 + h2.

Da cio’ si puo’ subito ricavare che F (h) = C−arctanh, per opportuna costante

C. D’altra parte, se h tende a +∞ l’integranda f tende a 0, e quindi l’integrale

F (h) tende a 0 (anche questo verra’ chiarito meglio in seguito, v. teorema

15.14 e osservazioni seguenti): da cio’ si deduce che C = π2e in definitiva∫ +∞

0

e−hxsinx

xdx =

π

2− arctanh,

19

Page 20: Dispense di Analisi Matematica II (Prima Parte)candelor/dispense/dispense3.pdfDispense di Analisi Matematica II (Prima Parte) Domenico Candeloro Introduzione Queste dispense trattano

per h ≥ 0.

Otteniamo quindi, come caso particolare per h = 0,∫ +∞

0

sinx

xdx =

π

2, e

∫ +∞

−∞

sinx

xdx = π.

Esempio 14.11 Si consideri la funzione

f := x 7→ 1

x loga x

(con a > 0 fissato), per x ≥ 1. Si cerchino i valori di a per cui tale funzione e integrabile

in [1,+∞[, e per tali valori si calcoli l’integrale.

La funzione data presenta illimitatezza in prossimita’ di 1 (con limite +∞),

e inoltre va esaminata anche per x → +∞. Trattiamo allora separatamente

due integrali:

I1 =

∫ e

1

f(x)dx, I2 =

∫ +∞

e

f(x)dx.

Una primitiva di f e la funzione

F (x) =

log1−a x1−a , se a 6= 1

log(| log x|), a = 1.

Per controllare l’integrabilita’ di f in [1, e], basta effettuare il limite

limx→1+

F (x) :

se tale limite esiste finito, f e integrabile, altrimenti no. Ora, si vede

chiaramente che limx→1+ F (x) = +∞ se a = 1. Per gli altri casi, notiamo che

limx→1+

1

loga−1 x= 0

se a < 1, e +∞ se a > 1.

Dunque, I1 esiste se e solo se a < 1, e in tal caso si ha I1 = 11−a.

Per quanto riguarda I2, l’esistenza dell’integrale dipende dal limite di F (x)

per x→ +∞. Di nuovo si vede subito che tale limite e infinito per a = 1.

Inoltre, risulta

limx→+∞

F (x) = 0

20

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se e solo se a > 1, e +∞ per a < 1. Dunque I2 esiste se e solo se a > 1, e

in tal caso si ha I2 = 1a−1.

In definitiva, si deve concludere che la funzione data non e integrabile in

[1,+∞[ per alcun valore di a > 0.

Esempio 14.12 Si studi l’integrabilita’ della funzione

f(x) =sinxt

xt

in [0,+∞[, a seconda dei valori del parametro t ≥ 12.

Essendo limx→0 f(x) = 1, la funzione data non presenta singolarita’ in 0.

Pertanto, basta studiare l’integrabilita’ per es. in [1,+∞[. Nel caso t > 1,

la funzione data e maggiorata dalla funzione integrabile 1xt, e quindi risulta

integrabile senz’altro. In generale, ponendo xt = u, si ottiene∫ +∞

1

f(x)dx =1

t

∫ +∞

1

sinu

u2−1/tdu.

Nel caso estremo t = 12, si otterrebbe∫ +∞

1

f(x)dx = 2

∫ +∞

1

sinudu

e l’integrale in questione non esiste. Nel caso t > 1/2, la quantita’ k :=

2−1/t risulta maggiore di 0, e l’integrale generalizzato esiste. Si ha infatti∫ +∞

1

sinu

ukdu = [− cosu

1

uk]+∞1 − k

∫ +∞

1

cosu

uk+1du,

e stavolta l’integrale esiste, per maggiorazione.

21

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Chapter 15

Successioni e serie di funzioni

In questo capitolo studieremo alcuni importanti tipi di convergenza per successioni o serie

di funzioni, al fine di identificare il limite, se esiste, e stabilire quando possibile alcune sue

proprieta’.

D’ora in poi denoteremo con A un generico intervallo (limitato o no) della retta reale,

e supporremo che (fn)n sia una generica successione di funzioni, definite su A e a valori in

IR.

15.1 Convergenza puntuale e convergenza uniforme

Definizione 15.1 Diremo che la successione n 7→ fn e puntualmente convergente in A se

esiste finito il limite

limn→+∞

fn(x) := f(x)

per ogni x ∈ A. E’ chiaro che, se cio’ accade, il limite f e anch’essa una funzione reale

definita su A. Tale funzione viene detta anche il limite puntuale della successione (fn)n.

La definizione ora data puo’ essere formulata equivalentemente anche in termini piu’

tecnici: la successione (fn) e puntualmente convergente ad una funzione f su A se accade

quanto segue:

(*) Per ogni ε > 0 e per ogni x ∈ A esiste un N ∈ IN , con N dipendente da ε e da x,

22

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tale che

|fn(x)− f(x)| < ε

per ogni n ≥ N .

Puo’ anche accadere che una successione di funzioni continue, definite su un intervallo

compatto, converga puntualmente ad una funzione discontinua: per esempio, la successione

fn(x) = xn, definita in A = [0, 1], risulta convergente puntualmente alla funzione

f(x) =

0, x ∈ [0, 1[

1, x = 1.

In questo esempio possiamo facilmente verificare che la definizione (∗) data prima e soddis-

fatta: infatti, fissato ε > 0, se scegliamo x = 0 oppure x = 1 basta prendere N = 1 perche’

risulti (banalmente) |fn(x) − f(x)| ≤ ε per ogni n ≥ N . Se invece scegliamo x ∈]0, 1[

la relazione |fn(x) − f(x)| ≤ ε diventa fn(x) ≤ ε ossia xn ≤ ε: passando a logaritmo, e

tenendo presente che x e ε sono minori di 1, l’ultima disequazione diventa n lnx > ln ε e

quindi n ≥ ln εlnx

. Dunque, per x ∈]0, 1[ la quantita’ N e la parte intera di ln εlnx

aumentata di 1.

(Si noti che ln εlnx

e rapporto di due quantita’ negative, e quindi e’ un numero positivo). Qui

si vede bene che, man mano che x si avvicina a 1, la quantita’ N cresce e tende a infinito,

anche lasciando ε costante. Questo vuol dire che, pur avendosi convergenza in tutto [0, 1],

fissato ε la quantita’ N dev’essere scelta molto grande quanto il punto x e’ molto vicino a

1 (ma diverso da 1).

Un altro esempio simile si incontra nella successione gn(x) = 1nx, definita su tutto IR

per n > 0. Anche qui, si vede facilmente che il limite puntuale e 0, e stavolta e una funzione

continua. Tuttavia, anche in questo caso possiamo constatare che, pur tenendo ε fissato,

bisogna scegliere N molto grande quando x e molto grande. Si ha infatti |gn(x) − 0| ≤ ε

se e solo se |xn| ≤ ε ossia n > |x|

ε.

Questo comportamento di N in dipendenza della x puo’ sembrare poco interessante,

al momento, ma vedremo presto che spesso e importante che la quantita’ N non tenda a

infinito al variare di x (con qualsiasi ε fissato). Per esempio, se consideriamo la successione

n 7→ fn, con fn(x) = 1n

cos(nx), definita su tutto IR, stavolta il limite puntuale e 0 (basta

23

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ricordare i primi teoremi sui limiti, studiati a suo tempo). Ora, se si fissa ε > 0, e si vuole

che |fn(x)| sia minore di ε, basta scegliere n > 1ε: infatti, se si prende n maggiore di 1

εsi

trova |fn(x)| ≤ 1n≤ ε, indipendentemente da x. In questo caso, la quantita’ N puo’ essere

scelta come la parte intera di 1ε

aumentata di 1, e puo’ tendere a infinito solo se si fa variare

ε, avvicinandolo a 0. Si ha cosi’ la seguente definizione.

Definizione 15.2 Data una successione di funzioni (fn)n, definite su A e a valori reali,

diremo che essa converge uniformemente a una funzione f su A se accade quanto segue:

(**) Per ogni ε > 0 esiste un N ∈ IN , con N dipendente solo da ε e non da x, tale che

|fn(x)− f(x)| < ε

per ogni n ≥ N e ogni x ∈ A.

Alternativamente, la condizione di uniforme convergenza puo’ essere riformulata in

questo modo:

(***) Per ogni ε > 0 esiste un N ∈ IN tale che si abbia

supx∈A|fn(x)− f(x)| ≤ ε

per ogni n ≥ N .

A sua volta, questa condizione equivale a richiedere che sia infinitesima la successione

numerica n 7→ an, dove an := supx∈A |fn(x)− f(x)|, n ∈ IN .

Notiamo subito che la condizione di convergenza uniforme e legata molto strettamente

all’insieme A nel quale si sta studiando la successione. Per esempio, se consideriamo la

successione n 7→ xn, abbiamo visto che essa non e uniformemente convergente in [0, 1]:

infatti la dipendenza di N da x costringe N a diventare sempre piu’ grande quanto piu’ x

si avvicina a 1. Invece, se ci limitiamo a scegliere A = [0, 23], e evidente che, in quel caso,

il massimo valore per N e la parte intera di ln εln 2

3

+ 1, e questa quantita’ non dipende da x,

ovviamente.

Anche l’altro esempio, in cui fn(x) = xn, puo’ dare luogo a convergenza uniforme se si

restringe l’insieme A ad un qualunque intervallo limitato, per es. [−3, 3]. In tale intervallo,

possiamo scegliere N come la parte intera di 3ε

+ 1.

24

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Ovviamente, la convergenza uniforme in un intervallo [a, b] implica anche la convergenza

puntuale in [a, b]. Inoltre, se una successione (fn)n converge puntualmente in [a, b] ad un

limite f , e la convergenza e uniforme in ]a, b[, allora essa e uniforme anche in [a, b]. Infatti,

possiamo porre, per ogni intero n:

an = supx∈]a,b[

|fn(x)− f(x)|, bn = max{|fn(a)− f(a)|, |fn(b)− f(b)|}.

Per l’ipotesi di convergenza uniforme in ]a, b[, la successione an e infinitesima (v. (∗ ∗ ∗)

e nota successiva); inoltre, per l’ipotesi di convergenza puntuale, anche la successione (bn)

e infinitesima; dunque, anche la successione cn := max{an, bn} e infinitesima, e per questa

successione si ha

cn = supx∈[a,b]

|fn(x)− f(x)|.

La convergenza uniforme in [a, b] discende allora da (∗ ∗ ∗) e dall’osservazione successiva.

Vediamo ora un primo teorema, in cui si evidenzia l’importanza della convergenza uni-

forme ai fini di dedurre proprieta’ sulla funzione limite.

Teorema 15.3 Supponiamo che (fn)n sia una successione di funzioni, definite su un in-

tervallo A (chiuso o no, limitato o no), e continue in un punto c ∈ A. Se la successione

converge uniformemente in A, allora anche la funzione limite e continua in c.

Dimostrazione. Sia f la funzione limite, e fissiamo ε > 0. Dobbiamo dimostrare che esiste

un δ > 0 tale che |f(x)− f(c))| < ε non appena |x− c| < δ. Per la convergenza uniforme,

esiste certamente un N intero tale che |fN(x) − f(x)| ≤ ε3

per ogni x ∈ A. Inoltre, per la

continuita’ di fN , esiste sicuramente un δ > 0 tale che |fN(x) − fN(c)| < ε3

non appena

|x− c| < δ. Allora, per qualsiasi x ∈ A, con |x− c| < δ, risulta

|f(x)− f(c)| ≤ |f(x)− fN(x)|+ |fN(x)− fN(c)|+ |fN(c)− f(c)| < ε

3+ε

3+ε

3= ε.

Dunque, abbiamo trovato il δ che cercavamo, e la dimostrazione e completa. 2

In particolare, il teorema 15.3 comporta che, nel caso di una successione di funzioni

continue su tutto A, la convergenza uniforme implica che il limite e una funzione continua

su tutto A. Inoltre, questo teorema fornisce una condizione necessaria per la convergenza

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Page 26: Dispense di Analisi Matematica II (Prima Parte)candelor/dispense/dispense3.pdfDispense di Analisi Matematica II (Prima Parte) Domenico Candeloro Introduzione Queste dispense trattano

uniforme: se siamo in presenza di una successione di funzioni continue, convergenti pun-

tualmente ad una funzione f , e questa non e continua in qualche punto, allora certamente

la convergenza non puo’ essere uniforme (si riveda l’esempio iniziale: fn(x) = xn in [0, 1]).

Tuttavia, puo’ anche accadere che una successione di funzioni continue converga ad

una funzione continua, senza che si abbia convergenza uniforme. Un esempio e gia’ stato

incontrato, con la successione hn(x) = xn

definita per x ∈ IR; un altro esempio utile e dato

dalla successione: fn(x) = nxn(1−x), definita in [0, 1]; anche in questo caso, le funzioni sono

continue e convergono a 0 in tutto [0, 1], dunque la funzione limite e continua. Tuttavia,

la convergenza non e uniforme. A tale scopo, bastera’ far vedere che i termini

an := max{fn(x) : x ∈ [0, 1]} = max{|fn(x)− f(x)| : x ∈ [0, 1]}

non costituiscono una successione infinitesima. Infatti, studiando la funzione x 7→ xn(1−x),

si vede facilmente che essa ammette massimo per x = nn+1

, e quindi an = n(1− nn+1

)( nn+1

)n =

nn+1

(1− 1n+1

)n. Limiti notevoli ben noti ci dicono ora che an tende a 1e

quando n→ +∞, e

quindi non e infinitesima.

Altri teoremi, che non dimostreremo, sono utili per ricavare la convergenza uniforme.

Ne enunciamo alcuni.

Teorema 15.4 (Dini) Sia (fn)n una successione di funzioni continue, definite in un

intervallo compatto A, e ivi convergenti ad una funzione continua f . Se la successione

data e monotona (o non-crescente o non-decrescente), allora la convergenza e uniforme.

Il prossimo teorema richiede un concetto particolare, che riguarda famiglie di funzioni

continue.

Definizione 15.5 Data una famiglia {fi} di funzioni continue, definite in un intervallo A,

diremo che essa e equicontinua in un punto c ∈ A se accade quanto segue: per ogni ε > 0

esiste un δ > 0 tale che, quando |x− c| ≤ δ, si ha supi |fi(x)− fi(c)| < ε.

Se la cosa accade per ogni punto c di A, allora la famiglia fi si dira’ equicontinua in A.

Se inoltre A e compatto (e quindi continuita’ implica anche continuita’ uniforme) si parla

anche di equicontinuita’ uniforme: cio’ accade se, per ogni ε > 0 esiste un δ > 0 tale che si

abbia supi |fi(x1)− fi(x2)| < ε ogniqualvolta |x1 − x2| < δ.

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Una situazione tipica in cui delle funzioni sono equi-uniformemente continue si ha

quando esse sono Lipschitziane, con la stessa costante di Lipschitz.

Enunciamo ora il teorema riguardante l’equicontinuita’.

Teorema 15.6 Sia data una successione di funzioni continue fn : A → IR. Se tale suc-

cessione converge uniformemente in A, allora essa e equicontinua in A. Viceversa, se

la successione e equicontinua in A e converge puntualmente, allora la funzione limite e

continua.

Concludiamo con un importante risultato, che garantisce in qualche modo la conver-

genza uniforme di una successione di funzioni senza nemmeno supporre la convergenza

puntuale. Il teorema va sotto il nome di Lemma di Ascoli-Arzela’, e ha grande utilita’

nel dimostrare l’esistenza di soluzioni per equazioni differenziali. In tale teorema, oltre al

concetto di equicontinuita’, interviene anche quello di equilimitatezza per delle funzioni fn:

tale condizione vuol dire che tutti i valori |fn(x)| sono minori o uguali ad una quantita’

finita K per ogni n e ogni x.

Teorema 15.7 Sia data una successione di funzioni fn : [a, b]→ IR. Se tali funzioni sono

equilimitate ed equi-uniformemente continue, allora esiste una sotto-successione (fnk)k che

converge uniformemente in [a, b] a una funzione continua.

15.2 Teoremi di passaggio al limite

Un problema tipico riguardante le successioni di funzioni e il cosiddetto passaggio al limite

sotto il segno di integrale: in parole semplici, se e quando l’integrale del limite di una

successione di funzioni (integrabili) fn esista e sia uguale al limite degli integrali delle fn.

In formule, possiamo scrivere

limn→∞

∫A

fn(x)dx =

∫A

( limn→∞

fn(t))dt?

Per esempio, consideriamo le seguenti due situazioni, tutte ambientate in [0, 1]:

fn(x) = nxn(1− x), gn = nfn(x),

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per n ∈ IN . In entrambi i casi il limite puntuale e 0, ma il limite non e uniforme. Infatti,

nel primo caso (come abbiamo gia’ visto in precedenza), il massimo della funzione fn e

nn+1

(1− 1n+1

)n, e sappiamo che tale successione non tende a 0 ma a 1e; nel secondo caso, e’

evidente che il limite dei massimi e addirittura infinito. Ora, nel primo caso, si ha∫ 1

0

fn(x)dx =n

n+ 1− n

n+ 2=

n

(n+ 1)(n+ 2),

e quindi il limite degli integrali coincide con l’integrale del limite (che e 0). Nel secondo

caso, si ha invece ∫ 1

0

gn(x)dx =n2

(n+ 1)(n+ 2),

e stavolta il limite degli integrali e 1, quindi diverso dall’integrale del limite. Dunque, nel

primo caso si ha passaggio a limite, nel secondo no.

Dunque, la convergenza puntuale non assicura, in generale, il passaggio al limite. Le

cose vanno meglio con la convergenza uniforme, come afferma il prossimo teorema.

Teorema 15.8 Sia data una successione di funzioni (fn)n, definite su [a, b] e ivi integrabili.

Se la successione converge uniformemente ad una funzione f , allora f e integrabile e si ha

limn

∫ b

a

fn(x)dx =

∫ b

a

f(x)dx.

Dimostrazione. Riporteremo solo una dimostrazione parziale: non proveremo che la fun-

zione limite e integrabile, e ci limiteremo solo a far vedere che, se la convergenza e uniforme,

vale la formula del passaggio al limite. Dunque, si fissi ε > 0. Allora esiste un intero N

tale che supx∈[a,b] |fn(x)− f(x)| ≤ ε per ogni n ≥ N . Allora, per n ≥ N si ha anche

|∫ b

a

fn(x)dx−∫ b

a

f(x)dx| ≤∫ b

a

|fn(x)− f(x)|dx ≤∫ b

a

εdx = (b− a)ε.

Cio’ basta per concludere che la successione n 7→∫ bafn(x)dx converge a

∫ baf(x)dx. 2

Nel caso di convergenza puntuale, si puo’ invece usare un altro teorema (la cui di-

mostrazione verra’ omessa), che pero’ ha grande utilita’.

Teorema 15.9 Sia (fn)n una successione di funzioni integrabili, convergenti puntualmente

ad una funzione integrabile f . Se le funzioni fn sono equilimitate, allora si ha il passaggio

a limite sotto il segno di integrale.

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Se torniamo a considerare i primi due esempi di questo paragrafo, possiamo constatare che

la prima successione e effettivamente equilimitata (infatti, i massimi delle fn costituiscono

una successione convergente, e quindi sono limitati superiormente), mentre la seconda

ovviamente non lo e.

Osserviamo anche che l’ipotesi di equilimitatezza e solo una condizione sufficiente:

potrebbe accadere che il passaggio a limite sussista anche se tale ipotesi non e verificata.

Esempio 15.10 Per esempio, consideriamo la successione n 7→ fn, dove fn(x) = n√n xe−nx,

per x ∈ [0, 1]. E’ chiaro che fn(0) = 0 per ogni n e che limn fn(x) = 0 per ogni x > 0, a

causa dell’ ordine di infinitesimo di e−nx. Ora, se consideriamo la funzione hn(x) = xe−nx,

vediamo che h′n(x) = e−nx − nxe−nx = e−nx(1 − nx): da cio’ si deduce facilmente che il

massimo valore di hn si ha in corrispondenza a x = 1n, e tale massimo e 1

ne−1; dunque,

il massimo valore di fn e√ne−1, valore che tende a infinito per n che diverge. Allora, la

successione n 7→ fn non e equilimitata. Tuttavia, calcolando gli integrali:∫ 1

0

hn(x)dx = [−xne−nx]10 +

∫ 1

0

1

ne−nxdx = − 1

nen− 1

n2[e−nx]10 = − 1

nen+

1

n2− 1

n2en,

possiamo comunque concludere che

limn

∫ 1

0

fn(x)dx = limn

√n(

1

n− 1

nen− 1

en) = 0 =

∫ 1

0

limnfn(x)dx.

Una semplice applicazione dei precedenti teoremi si ha quando le funzioni fn, pur es-

sendo continue, non hanno primitive di tipo elementare, ma convergono a una funzione il

cui integrale si possa calcolare facilmente con tecniche usuali.

Esempio 15.11 Per esempio, supponiamo di voler calcolare il seguente limite:

limn→∞

∫ π

0

sinx

nx+ 2dx.

Il calcolo diretto dell’integrale a secondo membro e molto difficoltoso, ma e facile controllare

che le funzioni integrande tendono a 0 per n che diverge, e la convergenza e anche uniforme:

infatti, si hasinx

nx+ 2≤ sinx

nx≤ 1

n

per ogni x. Dunque il limite richiesto e 0.

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Un’altra importante conseguenza e il passaggio a limite sotto il segno di derivata, anche

se le ipotesi da assumere possono apparire poco naturali. In effetti, l’ ipotesi di convergenza

uniforme delle funzioni fn (sia pure di classe C1) non garantisce che le derivate delle fn

siano convergenti: per esempio, la successione fn(x) = sin(nx)n

converge uniformemente a 0

in [0, π], ma le derivate sono le funzioni f ′n(x) = cos(nx), e si vede facilmente che queste non

convergono nel punto x = π (e si potrebbe provare che l’unico punto in cui esse convergono

e 0). Vediamo dunque com’e formulato il teorema .

Teorema 15.12 Sia (fn)n una successione di funzioni di classe C1 in un intervallo [a, b],

e supponiamo che le seguenti ipotesi siano soddisfatte:

i) esiste finito il limite limn→∞ fn(c), per almeno un punto c ∈ [a, b];

ii) la successione delle derivate (f ′n)n converga uniformemente in [a, b] ad una funzione

g (ovviamente continua).

Allora anche la successione (fn)n converge uniformemente in [a, b] ad una funzione f ,

che risulta di classe C1 e ammette come derivata la funzione g limite delle f ′n.

Come si puo’ notare, dunque, in tale teorema non si richiede la convergenza delle fn se

non in un singolo punto, ma si richiede come ipotesi la convergenza uniforme delle derivate:

solo in tali ipotesi si puo’ dedurre che la derivata del limite delle fn coincide con il limite

delle derivate f ′n.

Vediamo la dimostrazione.

Dimostrazione. Denotiamo con l il limite (finito) di fn(c). Poiche le fn sono di classe

C1, per la formula fondamentale del calcolo integrale, si ha

fn(x) = fn(c) +

∫ x

c

f ′n(t)dt.

Ora, i due addendi a secondo membro convergono entrambi: il primo a l, direttamente per

ipotesi; il secondo a∫ xcg(t)dt a causa del passaggio a limite sotto il segno di integrale, in

quanto le f ′n convergono uniformemente a g. Si ha dunque, per ogni x:

limnfn(x) = l +

∫ x

c

g(t)dt := f(x).

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Questo permette anche di dedurre subito, grazie al teorema di Torricelli-Barrow, che il

limite f e derivabile e ha come derivata proprio la g. Resta solo da provare la convergenza

uniforme delle fn. Ma anche questo e molto semplice: essendo

supx∈[a,b]

|fn(x)− f(x)| = supx∈[a,b]

|∫ x

c

(f ′n(t)− g(t))dt| ≤∫ b

a

|f ′n(t)− g(t)|dt,

dalla convergenza uniforme delle f ′n segue subito che l’ultima quantita’ tende a 0 per n che

diverge. 2

Vale la pena di osservare che, nelle ipotesi del teorema precedente, la condizione i) non si

puo’ eliminare: sembra che in fondo essa richieda molto poco, ma quel poco e fondamentale,

perche con la sola convergenza delle derivate non si puo’ garantire la convergenza delle fn.

Basti pensare alla successione di costanti, fn(x) = n, per ogni x e ogni n. Le derivate sono

tutte nulle, e quindi banalmente convergenti a 0 uniformemente, ma le funzioni fn vanno

a infinito per ogni x!

Un’interessante applicazione del teorema 15.12 si ha nella ricerca dei punti fissi di fun-

zioni continue (che a sua volta e un metodo per risolvere equazioni). Supponiamo che

f : [a, b] → [a, b] sia una funzione continua. Sappiamo gia’, dai teoremi sulle funzioni

continue, che una funzione del genere ammette sempre almeno un punto fisso x, cioe un

elemento x ∈ [a, b] tale che f(x) = x. Ora, se si vuole determinare x (sia pure in maniera

approssimata) un metodo che a volte funziona consiste nell’iterare la f indefinitamente:

si parte da un qualsiasi punto, per esempio a, e si fa f(a), poi f(f(a)), e cosi’ via. In

questo modo si costruisce una successione (xn) in [a, b], che parte da x0 = a e soddisfa la

relazione di ricorrenza xn+1 = f(xn) per ogni n ≥ 0. Se questa successione converge, per

la continuita’ di f , il limite x e proprio un punto fisso di f : infatti, essendo x = limn xn,

si ha f(x) = limn f(xn) = limn xn+1 = x. Tuttavia, non e detto che la successione (xn) sia

convergente. Un’ipotesi che sicuramente comporta la convergenza e che la funzione f sia

derivabile in [a, b], con derivata continua e sempre in modulo minore di 1. Se quest’ipotesi

e verificata, noi possiamo definire una successione di funzioni fn in questo modo: f0 = f ,

e fn+1 = f ◦ fn per ogni n ≥ 0. In altre parole, si itera la f indefinitamente. Ora, bisogna

vedere se sono soddisfatte le ipotesi del teorema 15.12! Certamente, siccome f ha almeno

un punto fisso c (anche se non lo conosciamo!), avremo sempre fn(c) = c e quindi c’e’

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almeno un punto in cui la successione fn e convergente (ipotesi i)). Il discorso riguardante

le derivate f ′n e piu’ delicato. Intanto, possiamo osservare che la derivata f ′ ha massimo

e minimo, e questi sono, per ipotesi, strettamente compresi fra −1 e 1. Dunque, si ha

supx∈[a,b] |f ′(x)| := s < 1. Ora, studiamo f ′2: poiche’ f2 e una funzione composta, si ha, per

la regola della catena:

f ′2(x) = f ′(f(x))f ′(x),

e quindi

|f ′2(x)| = |f ′(f(x))||f ′(x)| ≤ s2,

per quanto detto poc’anzi su f ′. Ragionando in maniera simile, si deduce poi che |f ′3(x)| ≤

s3 per ogni x, e cosi’ via, avremo che supx |f ′n(x)| ≤ sn per ogni n, e allora la successione

(f ′n) converge a 0 uniformemente, dato che s < 1! In conclusione, abbiamo dimostrato che

tutte le ipotesi del teorema 15.12 sono verificate, e quindi le funzioni iterate fn convergono

uniformemente ad una funzione h, la cui derivata e il limite delle f ′n: ma questo limite e

0! E allora la funzione h e costante; e tale costante non puo’ che essere il valore c, punto

fisso di f : infatti, abbiamo gia’ osservato che le fn(c) sono tutte uguali a c, e quindi anche

il loro limite (cioe h) vale c nel punto c. Percio’, se h e costante, e h(c) = c, tale costante

e proprio c.

E’ spesso importante sapere se vale il passaggio al limite sotto il segno di integrale

generalizzato: si tratta dello stesso problema visto finora, ma per successioni di funzioni

che rientrino nelle tipologie (studiate in precedenza) di integrazione in senso generalizzato.

Daremo solo qualche enunciato, senza dimostrazione, e un esempio che possa illustrare le

differenze esistenti rispetto ai casi classici.

Quello che si puo’ subito osservare e che, in generale, non basta nemmeno la convergenza

uniforme a garantire il passaggio a limite in senso generalizzato. Per esempio, consideriamo

le funzioni fn : [0,+∞[→ IR definite da

fn(x) =

1n, x ≤ n

0, x > n.

Banalmente, ogni fn e integrabile in s.g. in [0,+∞[, e il suo integrale e 1. Altrettanto facil-

mente si vede che le fn convergono a 0 uniformemente in [0,+∞[, dato che supx≥0 fn(x) = 1n.

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Ma chiaramente l’integrale del limite e 0, diverso dal limite degli integrali! Quello che ac-

cade di negativo in questo esempio e che, al crescere di n, spuntano via via delle zone sempre

diverse dove fn diventa positiva e il corrispondente integrale non decresce.

Dunque, non e tanto un tipo di convergenza piu’ o meno forte a garantire il passaggio

a limite negli integrali generalizzati. Nei due teoremi che ora enunceremo, l’ipotesi cruciale

(oltre a quella di convergenza puntuale) sara’ una condizione di dominazione: se questa

ipotesi e verificata, si puo’ dedurre che le funzioni della nostra successione vengono ad avere

tutte integrale molto piccolo su insiemi abbastanza piccoli, o su semirette con origine molto

grande in valore assoluto.

Teorema 15.13 Siano fn : [a, b[→ IR funzioni illimitate solo in prossimita’ di b, integrabili

in senso classico in ogni intervallo del tipo [a, b − ε[, e convergenti puntualmente in ]a, b[

ad una funzione f con analoghe caratteristiche. Supponiamo poi che esista una funzione

g : [a, b[→ IR+, illimitata solo in prossimita’ di b e integrabile in senso generalizzato in

[a, b[, tale che

|fn(x)| ≤ g(x),

per ogni n e ogni x ∈]a, b[. Allora sia f che tutte le fn sono integrabili in s.g. e si ha∫ b

a

f(x)dx = limn→∞

∫ b

a

fn(x)dx.

Teorema 15.14 Siano fn : [a,+∞[→ IR funzioni localmente integrabili, e convergenti

puntualmente in ]a,+∞[ ad una funzione f con analoghe caratteristiche. Supponiamo poi

che esista una funzione g : [a,+∞[→ IR+, integrabile in s.g. e tale che

|fn(x)| ≤ g(x),

per ogni n e ogni x ∈]a,+∞[. Allora sia f che tutte le fn sono integrabili in s.g. e si ha∫ +∞

a

f(x)dx = limn→∞

∫ +∞

a

fn(x)dx.

La funzione g che figura nei due teoremi precedenti si chiama funzione dominante o

dominazione per le funzioni fn, e l’ipotesi fn(x) ≤ g(x), valida per ogni n e ogni x, viene

detta ipotesi di dominazione. Se tale ipotesi e’ verificata, tutti gli integrali delle funzioni fn,

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calcolati nelle varie zone dell’intervallo o semiretta di definizione, sono costretti a rispettare

l’andamento dell’integrale di g su tali zone: se g ha integrale molto piccolo in un certo

intervallino o una certa semiretta, lo stesso deve accadere per gli integrali di tutte le fn

(limite compreso).

Una conseguenza dell’ultimo teorema qui enunciato riguarda l’esempio 14.10. In quell’esempio,

abbiamo dedotto che ∫ +∞

0

e−hxsinx

xdx = C − arctanx,

e abbiamo poi ricavato la costante C osservando che, al tendere di h a +∞, l’integranda

tende a 0. In quella situazione, sostituendo la variabile h con n, si puo’ ravvisare proprio

un problema di passaggio a limite sotto integrale generalizzato: le funzioni fn sono date da

fn(x) = e−nx sinxx

, e il loro limite puntuale e 0 in tutta la semiretta ]0,+∞[. La possibilita’

di passare a limite sotto il segno d’integrale e data qui proprio dal teorema 15.14: basta

solo trovare una dominazione g. E qui si puo’ scegliere come dominazione la funzione |f1|:

infatti, per x > 0 si ha sempre e−nx ≤ e−x quando n ≥ 1. Dunque, passando al limite sotto

il segno di integrale (e sostituendo h con n), troveremo

limn→∞

(C − arctann) = 0

da cui facilmente C = π2.

Vedremo in seguito ulteriori importanti conseguenze. Passiamo ora a esaminare la

convergenza di serie di funzioni.

15.3 Serie di Funzioni

Dal punto di vista tecnico, abbiamo gia’ esaminato serie di funzioni anche nel corso di

Analisi Matematica I: tutte le volte che una serie numerica dipende da un parametro reale

x, questa puo’ essere vista come una serie di funzioni. Per esempio, la serie∑

n xn (serie

geometrica) puo’ essere considerata come una serie di funzioni: le funzioni x 7→ xn, definite

(per fissar le idee) su [−1, 1], danno luogo a tale serie, e le somme parziali sono definite da

n 7→ sn, ove sn =∑n

j=0 xj per ogni n. Possiamo allora introdurre i seguenti concetti.

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Definizione 15.15 Data una serie di funzioni∑

n fn(x), definite per x ∈ [a, b], si dice

puntualmente convergente in [a, b] se la successione delle somme parziali n 7→ sn(x) :=∑ni=0 fi(x) risulta puntualmente convergente a una funzione f(x), per x ∈ [a, b]. Potrebbe

anche accadere che si ha convergenza in un sottoinsieme proprio A ⊂ [a, b] (per esempio,

potrebbe essere A =]a, b[): in tal caso si dice che c’e convergenza in A. In effetti, la serie∑n x

n, definita per x ∈ [−1, 1], risulta convergente solo per x ∈]−1, 1[, come ben sappiamo.

Definizione 15.16 Data la serie di funzioni∑

n fn(x), definite in un insieme A ⊂ IR, si

dice che essa e uniformemente convergente in A se la successione (sn)n delle somme parziali

converge uniformemente in A.

Per esempio, la serie geometrica n 7→ xn, definita per x ∈ [0, 1[, e ivi puntualmente con-

vergente, con somma S pari a 11−x . Tuttavia, non si ha convergenza uniforme, in quanto

sappiamo che sn = 1−xn+1

1−x , e |sn(x) − S(x)| = xn+1

1−x . Semplici considerazioni sulla derivata

mostrano che la funzione sn − S e crescente, e quindi il suo estremo superiore (qualunque

sia n) e il suo limite per x che tende a 1, ossia +∞.

Invece converge uniformemente in [−1, 0] la serie∑+∞

n=1xn

n: infatti, per ogni valore di

x ∈ [−1, 0], tale serie e a segni alterni, e verifica il Criterio di Leibniz. Inoltre, sempre

grazie allo stesso Criterio, possiamo osservare che si ha |Sn+1(x)− S(x)| ≤ |x|nn

per ogni n

e ogni x, (ove Sn denota la somma parziale della serie e S(x) la somma totale). E poiche

|x|nn≤ 1

n, e evidente che la convergenza della serie e uniforme.

Di solito, non e facile verificare la convergenza uniforme di una serie, perche non si

conosce l’espressione delle sue somme parziali. Vedremo presto una condizione sufficiente

abbastanza facile da verificare (se e soddisfatta). A tale scopo, conviene premettere una

formulazione del criterio di Cauchy, valido per la convergenza di serie di funzioni. Per

semplicita’, riporteremo solo l’enunciato.

Teorema 15.17 Sia data una serie di funzioni∑

n fn(x), definita in un intervallo [a, b].

La serie data converge puntualmente se e solo se

per ogni ε > 0 e ogni x ∈ [a, b] esiste un intero positivo N = N(ε, x) tale che si abbia

|fN(x) + ...fN+p(x)| ≤ ε

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per ogni p ∈ IN .

La serie assegnata converge uniformemente in [a, b] se e solo se

per ogni ε > 0 esiste un intero positivo N = N(ε) tale che si abbia

|fN(x) + ...fN+p(x)| ≤ ε

per ogni x ∈ [a, b] e per ogni p ∈ IN .

Come per le serie numeriche, da questo criterio si deduce facilmente che:

Condizione necessaria (ma non sufficiente) affinche una serie di funzioni∑

n fn(x)

converga puntualmente (risp. uniformemente) in [a, b] e che risulti limn→∞ fn(x) = 0

puntualmente (risp. uniformemente) in [a, b].

Veniamo ora alla condizione sufficiente cui accennavamo poc’anzi.

Definizione 15.18 Sia data una serie di funzioni∑

n fn(x), definita in un intervallo [a, b].

Diremo che tale serie converge totalmente in [a, b] se esiste una successione numerica n 7→ Ln

a termini positivi, tale che

(i) |fn(x)| ≤ Ln ∀n ∈ IN, ∀x ∈ [a, b]

(ii)∑n

Ln converge.

Per esempio, la serie∑

nsin(n2x)n2+1

e convergente totalmente in qualsiasi intervallo, in

quanto si puo’ scegliere Ln = 1n2+1

, e, come ben sappiamo, la serie∑

n1

n2+1e convergente.

Ora proveremo che la convergenza totale comporta anche quella uniforme.

Teorema 15.19 Sia∑

n fn(x) una serie di funzioni, convergente totalmente in un inter-

vallo [a, b]. Allora essa converge uniformemente e assolutamente in tale intervallo.

Dimostrazione. Bastera’ sfruttare il criterio 15.17. Poiche la serie assegnata converge

totalmente, esiste una serie numerica a termini positivi,∑

n Ln, convergente e tale che

|fn(x)| ≤ Ln per ogni n e ogni x. Allora, fissato ε > 0, per la convergenza della serie∑n Ln, esiste un N ∈ IN tale che

|LN + LN+1 + ...+ LN+p| = LN + LN+1 + ...+ LN+p ≤ ε

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Page 37: Dispense di Analisi Matematica II (Prima Parte)candelor/dispense/dispense3.pdfDispense di Analisi Matematica II (Prima Parte) Domenico Candeloro Introduzione Queste dispense trattano

per ogni p ∈ IN . Allora, avremo anche

|fN(x) + fN+1(x) + ...+ fN+p(x)| ≤ (LN + LN+1 + ...+ LN+p) ≤ ε

per ogni x e ogni p. Dunque la condizione espressa dal teorema 15.17 (relativamente

alla convergenza uniforme) e verificata, e quindi la serie di funzioni∑

n fn(x) converge

uniformemente. La convergenza assoluta e ovvia. 2

Come dicevamo, dunque, la convergenza totale puo’ spesso essere molto utile per dedurre

la convergenza uniforme di una serie, e questo e molto importante, quando si pensi che la

convergenza uniforme consente spesso di ottenere il passaggio a limite sotto il segno di

integrale, la continuita’ della funzione limite (cioe’, della somma della serie), e (in certi

casi) il passaggio a limite anche sotto derivata.

Tuttavia, non dimentichiamo che la convergenza totale e solo una condizione sufficiente

per quella uniforme: puo’ benissimo accadere che una serie di funzioni converga uniforme-

mente in un certo intervallo, ma non totalmente. Per esempio, la serie∑+∞

n=1xn

n, vista

precedentemente, converge uniformemente in [−1, 0], ma non totalmente. Infatti, in tale

intervallo, il minimo valore di Ln che si puo’ scegliere e 1n

(e questo infatti il sup di |xn|n

in

[−1, 0]), ma chiaramente la serie∑

n1n

non e convergente!

15.4 Serie di potenze

Questo e un argomento importante nella teoria dell’approssimazione: le serie di potenze

sono uno strumento spesso molto utile per approssimare funzioni regolari, ma anche per

costruire funzioni nuove, soddisfacenti a determinate richieste.

In realta’, abbiamo gia’ trattato le serie di potenze quando abbiamo studiato gli sviluppi

in serie di Taylor: e infatti una serie di potenze (laddove converga) non e altro che la serie di

Taylor della sua funzione somma. In ultima analisi, lo scopo di questo paragrafo e proprio

quello di provare quest’ultima affermazione e vederne alcune conseguenze.

Per motivi di maggiore generalita’, le serie di potenze sono trattate nel campo complesso;

tuttavia, noi studieremo piu’ direttamente le implicazioni solo nel caso reale.

37

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Definizione 15.20 Sia z0 un fissato numero complesso, e sia (an)n una generica succes-

sione di numeri complessi. Diremo serie di potenze l’espressione∑

n an(z − z0)n, dove z e

da intendere come una variabile complessa.

Ovviamente, la serie di potenze∑

n an(z−z0)n converge per z = z0 (e la somma e a0). Il

punto z0 e detto centro della serie. Chiaramente, per studiare serie di potenze in generale,

si puo’ assumere direttamente z0 = 0: con il cambio variabile u = z − z0 si ottiene infatti∑n

an(z − z0)n =∑n

anun.

L’insieme dei punti z per cui la serie∑

n an(z−z0)n converge e detto insieme di convergenza:

vedremo presto che, in genere, tale insieme e di forma circolare. Tuttavia puo’ anche

accadere che esso si riduca al solo punto z0 (questo accade per esempio se an = n! per ogni

n) oppure che coincida con tutto C (e questo accade per esempio quando an = 1n!

per ogni

n): tra poco chiariremo meglio queste ultime affermazioni.

Diamo subito un primo teorema che chiarisce molto bene quale puo’ essere il compor-

tamento di una serie di potenze. Come gia’ anticipato poc’anzi, d’ora in poi assumeremo

direttamente che z0 = 0, per semplicita’.

Teorema 15.21 Sia data la serie di potenze∑

n anzn, e supponiamo che tale serie con-

verga in un punto z0 6= 0. Allora si ha quanto segue:

i) la serie converge assolutamente in ogni punto z tale che |z| < |z0|.

ii) per qualsiasi numero positivo r < |z0|, la serie converge totalmente nel disco Br :=

{z ∈ :|z| ≤ r}.

Dimostrazione. Chiaramente, la proprieta’ i) e vera se lo e’ la ii), per cui proveremo

solo quest’ultima.

Poiche’ la serie∑

n anzn0 e convergente, necessariamente si deve avere limn anz

n0 = 0.

Questo comporta anche che la successione (anzn0 )n e limitata, ossia esiste un numero reale

k > 0 tale che |anzn0 | = |an||z0|n ≤ k per ogni n. Ora, scegliamo un qualsiasi numero

positivo r < |z0|, e fissiamo z nel disco Br: avremo allora

|anzn| ≤ |an|rn = |an||z0|n(r

|z0|)n ≤ k(

r

|z0|)n.

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Page 39: Dispense di Analisi Matematica II (Prima Parte)candelor/dispense/dispense3.pdfDispense di Analisi Matematica II (Prima Parte) Domenico Candeloro Introduzione Queste dispense trattano

Ora, ponendo Ln = k( r|z0|)

n, si ha |anzn| ≤ Ln per ogni n e ogni z ∈ Br, e inoltre la serie∑Ln e convergente in quanto serie geometrica di ragione r

|z0| strettamente minore di 1:

questo prova la convergenza totale, e conclude la dimostrazione. 2

Questo teorema ha anche una conseguenza in chiave negativa, ma comunque utile, come

vedremo.

Corollario 15.22 Data una serie di potenze∑

n anzn, se esiste nel campo complesso un

punto w tale che∑

n anwn non converge, allora la serie

∑n anz

n non puo’ convergere se

|z| > |w|.

Dimostrazione. Per assurdo, supponiamo che∑

n anzn0 sia convergente per qualche z0

con |z0| > |w|. Ma allora, per il teorema precedente, parte i), dovrebbe convergere anche

la serie∑

n anwn, contro le ipotesi. 2

Conseguenza immediata del teorema 15.21 e che l’insieme di convergenza ha forma

circolare; piu’ precisamente, si da’ la seguente definizione.

Definizione 15.23 Data una serie di potenze∑anz

n, diremo raggio di convergenza di

tale serie il numero

r := sup{|z| :∑n

anzn converge}.

In generale, si pone r = 0 se la serie converge solo nel suo centro, e r = +∞ se essa converge

in tutto C.

Conseguenza diretta del teorema 15.21, del corollario 15.22 e della definizione 15.23 e che,

se una serie di potenze ha raggio di convergenza r ∈]0,∞[,

l’insieme di convergenza di una serie di potenze contiene l’interno del disco Br ed e

contenuto in Br.

Osserviamo pero’ che, nei punti di frontiera di Br (cioe quelli il cui modulo e uguale a

r), in genere non si puo’ dire nulla.

Vediamo alcuni esempi, limitatamente al caso reale.

La serie∑

n zn (serie geometrica) ha certamente raggio di convergenza 1, per quanto gia’

sappiamo sulle serie geometriche. Tuttavia, se |z| = 1 anche |zn| = 1 per ogni n, e quindi

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non puo’ essere limn zn = 0: viene dunque a cadere una ben nota condizione necessaria per

la convergenza. Pertanto, la serie geometrica converge solo all’interno del disco B1.

La serie∑

nzn

nha ancora raggio di convergenza 1. Infatti, essendo | zn

n| ≤ |zn|, si vede

subito per confronto che il raggio e almeno uguale a 1; d’altra parte, se |z| > 1, si ha di

nuovo limn | zn

n| = +∞, e quindi non si puo’ avere convergenza.

Ora, se z = 1 la serie∑

nzn

nsi riduce alla serie armonica classica, e quindi diverge. Se

invece z = −1, la serie di potenze si riduce alla serie armonica a segni alterni, che converge

grazie al criterio di Leibniz. Quindi, la serie∑

nzn

nha raggio di convergenza 1, e l’insieme

di convergenza contiene il punto z = −1 ma non il punto z = 1 (in campo complesso, si puo’

dimostrare che il punto z = 1 e l’unico di modulo 1 nel quale non si abbia convergenza).

A questo punto, sorge spontanea la domanda: come si fa a calcolare il raggio di conver-

genza di una serie di potenze? Un primo metodo, piuttosto utile operativamente ma non

molto generale, si rifa’ al criterio del rapporto per le serie a termini positivi.

Teorema 15.24 Sia (an)n una successione di numeri, reali o complessi, mai nulli. Se

esiste in [0,+∞] il limite

r := limn→∞

| anan+1

|,

allora r e il raggio di convergenza della serie di potenze∑

n anzn.

Dimostrazione. Supponiamo dapprima che r sia strettamente positivo, e sia z un qualsiasi

numero complesso con modulo minore di r. Allora, applicando il criterio del rapporto alla

serie∑

n |an||zn|, avremo

limn

|an+1||zn+1||an||zn|

= limn

|an+1||z||an|

=|z|r< 1,

(ovviamente il limite sarebbe 0 se fosse r = +∞), e quindi si ha convergenza.

Se invece |z| > r, con gli stessi passaggi si ottiene che

limn

|an+1||zn+1||an||zn|

> 1

e quindi non si ha convergenza. Pertanto, r e proprio l’estremo superiore dei moduli di

quei numeri z nei quali si ha convergenza.

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A questo punto, rimane solo da prendere in esame il caso in cui il limite r e nullo: per

provare che il raggio e proprio 0, bastera’ far vedere che non si ha mai convergenza, per

qualsiasi valore z 6= 0. E infatti, scegliendo z 6= 0 e impostando di nuovo il criterio del

rapporto come sopra, avremo che

limn

|an+1||zn+1||an||zn|

= +∞.

La dimostrazione e cosi’ conclusa. 2

A proposito del teorema precedente, dobbiamo osservare che esso, pur implicando calcoli

abbastanza semplici, non e sempre applicabile in maniera diretta. Per esempio, la serie∑n z

2n ha i termini di posto dispari tutti nulli, e quindi il rapporto |an||an+1| non sempre ha

senso. D’altra parte, non e difficile riconoscere in tale serie una serie geometrica, di ragione

z2, e quindi il raggio di convergenza in tal caso e 1. Questa osservazione (e altre analoghe)

portano a un criterio piu’ generale, che puo’ essere applicato in tutti i casi: esso prende il

nome di Criterio di Cauchy-Hadamard. Non riportiamo la dimostrazione, ma osserviamo

soltanto che essa procede in un certo senso come quella del teorema 15.24, con la differenza

che, anziche’ appoggiarsi al criterio del rapporto, si appoggia a quello della radice, e la

possibilita’ che il limite da fare non esista viene superata facendo riferimento al concetto

di massimo limite.

Teorema 15.25 Sia (an)n una successione di numeri reali o complessi, e denotiamo con

l la quantita’ (finita o +∞):

l = max limn

(|an|)1/n.

Allora, il raggio di convergenza della serie∑

n anzn e dato da: r = 1

l

(intendendo che 10

= +∞ e 1+∞ = 0).

Senza dimostrare nulla, precisiamo, riguardo a questo teorema, che il massimo limite di

una successione di numeri reali (bn)n e definito come segue:

max limnbn = inf

n∈INsupm≥n

bn.

Il senso di questa formula e il seguente: se la successione (bn)n ha limite (anche +∞ oppure

−∞) allora esso e anche il massimo limite; se invece il limite non esiste, il massimo limite

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Page 42: Dispense di Analisi Matematica II (Prima Parte)candelor/dispense/dispense3.pdfDispense di Analisi Matematica II (Prima Parte) Domenico Candeloro Introduzione Queste dispense trattano

e il piu’ grande dei limiti delle sottosuccessioni di (bn)n che ammettono limite. Se, nella

formula precedente, scambiamo l’ordine tra inf e sup, si ottiene invece il minimo limite, che

coincide con il massimo limite se e solo se la successione (bn) ammette limite; altrimenti,

il minimo limite e il piu’ piccolo dei limiti delle sottosuccessioni di (bn)n che ammettono

limite.

Vediamo ora alcuni esempi, per prendere dimestichezza con questi criteri.

Esempio 15.26 La serie ∑n

n+ 1

2n(z − 1)n

e centrata nel punto 1, e ha raggio di convergenza 2: infatti si ha an = n+12n

e

anan+1

= 2n+ 1

n+ 2:

si vede subito che il limite del rapporto e 2, e questo e il raggio di convergenza, grazie a

15.24. Se poi vogliamo esaminare cosa accade nei punti in cui |z − 1| = 2 (cioe’ sul bordo

del cerchio di convergenza), possiamo osservare che, in tali punti, si ha

|n+ 1

2n(z − 1)n| = n+ 1

2n2n = n+ 1,

e quindi il termine generale della serie non tende a 0. Dunque, l’insieme di convergenza e

il disco aperto di centro 1 e raggio 2.

Esempio 15.27 Qual e il raggio di convergenza della serie∑n

3n

nz2n?

Se vogliamo usare il criterio del rapporto, dobbiamo effettuare un cambio di variabili, e

porre z2 = u: la serie diventa allora ∑n

3n

nun,

e facilmente si trova che il raggio di convergenza (relativamente a u) e 13. Ma, essendo

u = z2, e quindi |u| = |z|2, il raggio di convergenza rispetto alla variabile z e√33

.

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Volendo usare qui il criterio di Cauchy-Hadamard, si deve esprimere (con attenzione!)

il termine an: infatti, per n dispari avremo an = 0, e per n pari, diciamo n = 2h, si ha

an = a2h = 3h

h(e questo infatti il coefficiente di z2h). Dunque, il massimo limite prende in

considerazione solo gli n pari, e per tali valori di n troveremo

(an)1/n = (3h

h)1/(2h) = e

12h

ln( 3h

h) = e

12h

(h ln 3−lnh) = eln 32 e−

lnh2h =

√3e−

lnh2h .

Ora, per h che diverge, l’ultima quantita’ ad esponente tende a 0, e quindi si puo’ concludere

che

max limn

(an)1/n = limh

(3h

h)1/2h =

√3

e quindi r = 1√3

=√33.

Esempio 15.28 Cerchiamo l’insieme di convergenza della serie di potenze∑n

(n+ 1

n)nzn,

per valori complessi di z. Il raggio di convergenza si trova facilmente, grazie al criterio di

Cauchy-Hadamard: poiche’ |an|1/n = n+1n

, si vede subito che il raggio di convergenza e 1.

Percio’ l’insieme di convergenza contiene senz’altro il disco aperto di centro 0 e raggio 1,

e non contiene alcun punto di modulo strettamente maggiore di 1. Vediamo ora se si ha

convergenza in qualche punto z di modulo 1: ma possiamo notare subito che, se |z| = 1,

allora |anzn| = (n+1n

)n, e (per un fondamentale limite notevole) tale quantita’ tende a e

quando n tende a infinito. Dunque, se |z| = 1, la nostra serie non puo’ convergere, in

quanto il suo termine generale non tende a 0. In conclusione, l’insieme di convergenza si

riduce al solo disco aperto di centro 0 e raggio 1.

Esempio 15.29 Supponiamo che, in una serie di potenze∑

n anzn, i termini an siano

definiti per ricorrenza, come segue:

a0 = 1, a1 = 1, e an+2 = an+1 + an,

per n = 2, 3, ... (Come ben noto, i termini an costituiscono la cosiddetta successione di

Fibonacci). Qual e il raggio di convergenza di questa serie di potenze?

43

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Possiamo servirci del criterio del rapporto. Utilizzando la regola ricorsiva, troviamo

infattian+1

an=an + an−1

an= 1 +

an−1an

Dunque, se poniamo bn = an−1

an, troviamo che

b2 =1

2, e bn+1 = 1 +

1

bn

per n > 2. Abbiamo gia’ incontrato una successione simile, tra quelle definite per ricorrenza,

in Analisi I. Tale successione ha per limite la soluzione dell’equazione x = 1 + 1x, e l’unica

soluzione accettabile e x = 1+√5

2. Poiche’ bn = an−1

an, il raggio di convergenza e il reciproco

del numero x precedentemente trovato, ossia r = 21+√5

=√5−12.

Le serie di potenze, per come sono definite, comprendono anche le ben note serie di

Taylor, che abbiamo studiato nel corso dell’Analisi I. In effetti, vedremo ora che, purche’

il raggio di convergenza non sia nullo, ogni serie di potenze e una serie di Taylor (quella

della sua funzione somma). A tale scopo, premettiamo una definizione e alcuni semplici

risultati.

Definizione 15.30 Data una serie di potenze∑

n an(z − z0)n, diremo serie derivata la

seguente serie di potenze: ∑n

nan(z − z0)n−1,

ottenuta derivando termine a termine la serie iniziale.

Ci proponiamo ora di studiare la convergenza della serie derivata, e di confrontare la

sua somma con quella della serie iniziale: l’idea e di verificare se la derivata della somma

iniziale (nel suo insieme di convergenza) coincide con la somma della serie derivata.

Teorema 15.31 Data una serie di potenze∑

n anzn, la sua serie derivata ha lo stesso

raggio di convergenza della serie iniziale.

Dimostrazione: Applichiamo il criterio di Cauchy-Hadamard: si ha

lim supn

(nan)1/n = (limnn1/n)(lim sup

na1/nn ) = lim sup

na1/nn ,

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Page 45: Dispense di Analisi Matematica II (Prima Parte)candelor/dispense/dispense3.pdfDispense di Analisi Matematica II (Prima Parte) Domenico Candeloro Introduzione Queste dispense trattano

in quanto si vede facilmente (per es. passando a logaritmo) che limn n1/n = 1. Cio’ conclude

la dimostrazione, 2

Teorema 15.32 Sia∑

n an(z − z0)n una serie di potenze, avente raggio di convergenza

r > 0. Allora, detta S(z) la somma di tale serie nel disco aperto B := {z : |z − z0| < r},

la funzione S e derivabile in ogni punto di B, e la derivata S ′(z) coincide con la somma

della serie derivata∑

n nan(z − z0)n−1 nel disco aperto B.

Dimostrazione. Ci limiteremo al caso reale, e quindi supporremo che tutti i coefficienti

an siano numeri reali, e cosi’ i punti z ez0. Pertanto, il disco aperto B si riduce all’intervallo

aperto ]z0−r, z0+r[. In tale intervallo, per il teorema precedente, la serie derivata converge

puntualmente ad una somma T . Ora, fissiamo arbitrariamente z ∈ B e mostriamo che S e

derivabile in z e S ′(z) = T (z): cio’ concludera’ la dimostrazione.

Poiche r1 := |z − z0| < r, l’intervallo chiuso B1 := [z0 − r1, z0 + r1] e contenuto in B e

contiene z. Inoltre, in virtu’ del teorema 15.21, parte ii), si ha senz’altro convergenza totale

in B1. Dunque la serie derivata converge (anche) uniformemente in B1. Allora, dato che

anche la serie iniziale converge nei punti di B1, sono soddisfatte (in B1) tutte le ipotesi del

teorema 15.12 (relativamente alle successioni delle somme parziali delle due serie), e quindi

la derivata di S nei punti di B1 esiste e coincide con la somma T della serie derivata, da

cui, essendo z ∈ B1, S′(z) = T (z), come volevasi dimostrare. 2

Dunque, in virtu’ dei teoremi precedenti, possiamo affermare quanto segue: se una serie

di potenze∑

n an(z−z0)n ha raggio di convergenza r > 0, allora essa converge nell’intervallo

]z0 − r, z0 + r[ ad una funzione S, che e derivabile, e la cui derivata e la somma della serie

derivata∑

n nan(z − z0)n−1.

Ma anche la serie derivata e una serie di potenze, e ha lo stesso raggio r di convergenza.

Per cui la somma di tale serie, S ′, e a sua volta derivabile in ]z0−r, z0+r[ e S ′′ sara’ la somma

di un’altra serie di potenze (la serie derivata seconda), cioe∑

n n(n − 1)an(z − z0)n−2...Si

puo’ continuare cosi’ per la derivata terza, la quarta, etc.: si vede ora chiaramente che la

somma S della serie iniziale e derivabile infinite volte, e ogni sua derivata e la somma di

una serie di potenze, sempre in ]z0 − r, z0 + r[. Il prossimo passo sara’ dimostrare che, se

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Page 46: Dispense di Analisi Matematica II (Prima Parte)candelor/dispense/dispense3.pdfDispense di Analisi Matematica II (Prima Parte) Domenico Candeloro Introduzione Queste dispense trattano

una serie di potenze∑

n an(z − z0)n ha raggio di convergenza r > 0, allora la sua somma

S ammette sviluppo di Taylor, e la sua serie di Taylor non e altro che la serie di potenze

iniziale.

Teorema 15.33 Sia∑

n an(z− z0)n una serie di potenze con raggio di convergenza r > 0.

Allora la somma S di tale serie in ]z0 − r, z0 + r[ e sviluppabile in serie di Taylor attorno

al punto z0, e tale serie di Taylor e proprio la serie∑

n an(z − z0)n.

Dimostrazione. Bisogna solo dimostrare che si ha

an =S(n)(z0)

n!,

per ogni n. Intanto, per n = 0 si vede subito che S(z0) = a0 +∑∞

n=1 an(z0− z0)n = a0. Per

quanto riguarda le altre derivate, avremo

S ′(z0) =+∞∑n=1

nan(z − z0)n−1 = a1,

S ′′(z0) =+∞∑n=2

n(n− 1)an(z − z0)n−2 = 2a2,

S ′′′(z0) =+∞∑n=3

n(n− 1)(n− 2)an(z − z0)n−3 = 3!a3,

etc.: insomma, per ogni n risulta S(n)(z0) = n!an, che e esattamente quanto richiesto. 2

15.5 Serie di Fourier

Le serie di Fourier sono un altro metodo potente per approssimare funzioni continue me-

diante serie di funzioni piu’ elementari. Il principio di base e insito nella possibilita’ di

decomporre un suono (o un qualsiasi segnale) nelle sue componenti armoniche: qui, per

armonica si intende una funzione del tipo ak cos kx oppure bk sin kx, con ak e bk costanti e

k intero naturale.

I teoremi che permettono di fare cio’ non sono elementari, e ne ometteremo la di-

mostrazione. Daremo solo alcune formulazioni, allo scopo di applicarle in svariati esercizi.

Premettiamo il concetto di coefficiente di Fourier.

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Definizione 15.34 Data una funzione f : [a, b] → IR, integrabile in s.g., chiameremo

coefficienti di Fourier della f le quantita’ a0, a1, a2, ..., b1, b2, ... di seguito definite:

an :=2

b− a

∫ b

a

f(x) cos2πnx

b− adx, n = 0, 1, ...

bn :=2

b− a

∫ b

a

f(x) sin2πnx

b− adx, n = 1, ...

In particolare, la quantita’ a0 coincide con il doppio della media integrale di f in [a, b].

Chiaramente, se b− a = 2π, allora le funzioni integrande assumono la forma f(x) cosnx e

f(x) sinnx, per n intero.

Un primo teorema si puo’ formulare per il caso di funzioni periodiche, definite in [−π, π]:

qui, periodiche significa semplicemente che tali funzioni assumono lo stesso valore ai due

estremi. Vedremo poi delle generalizzazioni anche in intervalli diversi e per funzioni non

necessariamente periodiche.

Teorema 15.35 Sia f : [−π, π]→ IR una funzione che soddisfa alle seguenti condizioni:

i) f(−π) = f(π);

ii) f e f ′ siano continue a tratti in [−π, π], con discontinuita’ solo di I specie.

Allora, in ogni punto di continuita’ di f si ha

f(x) =a02

++∞∑n=1

(an cos(nx) + bn sin(nx)), (15.1)

dove

an =1

π

∫ π

−πf(x) cos(nx)dx, n = 0, 1, ...

bn =1

π

∫ π

−πf(x) sin(nx)dx, n = 0, 1, ...

Negli eventuali punti t di discontinuita’ di f la somma della serie in (15.2) esiste ancora,

e coincide con f(t+0)+f(t−0)2

.

Una formulazione piu’ generale si ha nel seguente teorema.

47

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Teorema 15.36 Sia f : [a, b]→ IR una funzione che soddisfa alle seguenti condizioni:

ii) f e f ′ siano continue a tratti in [a, b], con discontinuita’ solo di I specie.

Allora, in ogni punto di continuita’ di f , diverso dagli estremi, si ha

f(x) =a02

++∞∑n=1

(an cos2πnx

b− a+ bn sin

2πnx

b− a), (15.2)

dove (vedi sopra):

an :=2

b− a

∫ b

a

f(x) cos2πnx

b− adx, n = 0, 1, ...

bn :=2

b− a

∫ b

a

f(x) sin2πnx

b− adx, n = 1, ...

Nei punti di discontinuita’ della f si ha lo stesso risultato descritto nel teorema prece-

dente.

Nei punti estremi a e b il limite della serie e lo stesso e coincide con f(a)+f(b)2

.

15.6 Esempi vari

Esempio 15.37 Si consideri la seguente successione di funzioni:

fn(x) = nsinx

x(1− e−x/n),

con x ∈ [0, H], e H > 0 arbitrario. Si studi convergenza puntale ed uniforme, e si esamini

se possibile il limite

limn→∞

∫ H

0

fn(x)dx.

In virtu’ di un limite notevole, si ha

limn→∞

fn(x) = sin x,

puntualmente in [0, H]. Infatti, il limite notevole in oggetto e:

limt→0

et − 1

t= 1.

Tale circostanza consente anzi di dedurre la convergenza uniforme in [0, H]: infatti,

fissato ε > 0 esiste un δ > 0 tale che |t| < δ implichi | et−1t− 1| < ε. Scelto

48

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allora n0 > δH, si ha |x

n| < δ, per ogni x ∈ [0, H] e n > n0. Posto dunque

t = −xn, se ne ricava

|fn(x)− sinx| ≤ ε| sinx| ≤ ε

per ogni n > n0 e ogni x ∈ [0, H]. Questo conferma la convergenza uniforme.

Si puo’ pertanto passare a limite sotto il segno d’integrale, e dedurre

limn→∞

∫ H

0

fn(x)dx =

∫ H

0

sinxdx = 1− cosH.

Esempio 15.38 Si consideri la seguente successione di funzioni:

fn(x) = xne−x,

per x ∈ [0, 1]. Si studi la convergenza puntuale ed uniforme, ed il passaggio a limite sotto

il segno d’integrale.

La successione data converge chiaramente a 0, per ogni x < 1. Tuttavia,

si ha limn fn(1) = 1e. La funzione limite dunque ha una discontinuita’ nel punto

1, e quindi non si puo’ avere convergenza uniforme. Essendo comunque |fn(x)| ≤

1 per ogni n e ogni x, si ha certamente il passaggio a limite sotto il segno

d’integrale:

limn→∞

∫ 1

0

xne−xdx = 0.

Ora, possiamo sfruttare tale risultato nel modo seguente: denotiamo con an

il valore del’integrale di fn in [0, 1] per ciascun n ∈ IN. Avremo facilmente:

a0 = 1− 1

e, a1 = 1− 2

e,

e in generale

an+1 = (n+ 1)an −1

e,

per ogni n. Da cio’ si puo’ ricavare l’espressione seguente di an:

an = n!(1− sne

),

ove

sn =n∑j=0

1

j!

49

Page 50: Dispense di Analisi Matematica II (Prima Parte)candelor/dispense/dispense3.pdfDispense di Analisi Matematica II (Prima Parte) Domenico Candeloro Introduzione Queste dispense trattano

e la somma parziale della serie esponenziale (che converge a e). Dal fatto

che an converge a 0, ricaviamo una stima circa l’ordine di infinitesimo della

successione (e− sn): abbiamo infatti

e− sn = eann!

e quindi il resto e−sn e infinitesimo di ordine superiore rispetto a 1n!

(che

e gia’ molto forte): in pratica, se si vuole approssimare il numero e fino

alla sesta cifra decimale, basta sommare i primi 10 termini della serie esponenziale:

poiche 10! supera 3 milioni, e− s10 e inferiore a 10−6.

Esempio 15.39 Si consideri la successione

fn(x) =log x

x+ 1/n,

per x ∈ [1, e]. Si valuti convergenza puntuale, convergenza uniforme e passaggio a limite

sotto il segno d’integrale.

E’ facile verificare che si ha

limn→∞

fn(x) =log x

x,

puntualmente in [1, e]. Quanto alla convergenza uniforme, si ha

| log x

x+ 1/n− log x

x| =

log xn

x(x+ 1/n)≤ log x

n≤ 1

n,

per ogni x ∈ [1, e] e ogni intero n > 0. Cio’ chiaramente implica la convergenza

uniforme e il passaggio a limite sotto il segno d’integrale. Si ha pertanto

limn→∞

∫ e

1

log x

x+ 1/ndx =

∫ e

1

log x

xdx =

1

2.

Esempio 15.40 Si definisca la seguente successione di funzioni, per x ∈ [0, 1]:

f1(x) = cos x, fn+1(x) = cos(fn(x)),

50

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per n ≥ 1. Si dimostri che la successione data converge uniformemente ad una costante.

Quale?

Intanto, possiamo osservare che, per x ∈ [0, 1], si ha cosx ∈ [cos 1, 1] ⊂ [0, 1]

(ovviamente qui gli angoli sono espressi in radianti). Questo mostra che la

successione e’ ben definita. Inoltre, tutte le fn sono continue e derivabili.

Grazie al teorema di punto fisso (corollario del teorema degli zeri), possiamo

dedurre che esiste un punto x0 ∈ [0, 1] tale che cosx0 = x0. Pertanto fn(x0) =

x0 per ogni n, e quindi

limn→∞

fn(x0) = x0.

Dunque, se dimostriamo che le fn convergono uniformemente ad una costante, tale

costante non potra’ essere altro che x0.

Consideriamo ora le derivate delle varie funzioni fn. Si ha, naturalmente,

D(cosx) = − sinx, e quindi maxx∈[0,1] |f ′1(x)| = sin 1. Posto A := sin 1, si ha poi

|f ′2(x)| = sinx sin (cosx) ≤ A2

per ogni x ∈ [0, 1], e, in generale

|f ′n(x)| ≤ An

per ogni n e ogni x. Poiche’ A < 1, ne segue che limn→∞ |f ′n(x)| = 0 uniformemente.

Allora, grazie al teorema di passaggio al limite sotto derivata, si puo’ concludere

che la successione (fn)n converge uniformemente ad una costante. Infine, tale

costante non puo’ che essere x0 per quanto detto prima. Da cio’ si puo’ dedurre

direttamente anche che, nell’intervallo considerato, non esistono altri punti

fissi per la funzione f1 (altrimenti il limite uniforme delle (fn) dovrebbe essere

una costante uguale sia a x0 sia a qualsiasi altro punto fisso).

Esempio 15.41 Considerata la serie

∞∑n=0

(−1)nx2n+2

n+ 1,

si determini l’insieme di convergenza in IR, e la somma.

51

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Il raggio di convergenza, valutato tramite Cauchy-Hadamard, risulta uguale

a 1. Per x = ±1, la serie si riduce alla serie armonica a segni alterni, per

cui converge. Si ha dunque convergenza in [−1, 1]. Facilmente si vede poi che

S(0) = 0, cioe la somma della serie data vale 0 in 0.

Per ricavare la somma in generale, studiamo la serie derivata:

S ′(x) =∞∑n=0

(−1)n 2 x2n+1 = 2x∞∑n=0

(−x2)n =2x

x2 + 1,

almeno in ]−1, 1[. Pertanto, la serie data converge, nell’intervallo ]−1, 1[,

a quella primitiva della funzione S ′(x) = 2xx2+1

, che si annulli per x = 0: tale

primitiva e la funzione

S(x) = ln(x2 + 1).

Avendosi convergenza anche in 1 e -1, deduciamo poi, per continuita:

log 2 =∞∑n=0

(−1)n1

n+ 1.

Esempio 15.42 Considerata la serie

∞∑n=0

(−1)nx2n+1

(2n+ 1)22n+1,

si determini l’insieme di convergenza e la somma.

Conviene scrivere la serie nel modo seguente:

∞∑n=0

(−1)nx2n+1

(2n+ 1)22n+1=

x

2

∞∑n=0

(−1)n1

2n+ 1(x2/4)n :

in tal modo, si vede facilmente che il raggio di convergenza e 1, relativamente

a x2

4, e quindi r = 2 relativamente a x. Se x = ±2 la serie converge per Leibniz,

dunque si ha convergenza in [−2, 2]. Per valutare la somma, consideriamo la serie

derivata:

S ′(x) =∞∑n=0

(−1)nx2n

22n+1=

1

2

∞∑n=0

(−1)n (x2/4)n =1

2

1

1 + x2/4.

52

Page 53: Dispense di Analisi Matematica II (Prima Parte)candelor/dispense/dispense3.pdfDispense di Analisi Matematica II (Prima Parte) Domenico Candeloro Introduzione Queste dispense trattano

Poiche quest’ultima funzione e la derivata di g(x) = arctan (x/2), e poiche la

serie data converge banalmente a 0 per x = 0, deduciamo che, almeno in ]−2, 2[,

risulta

S(x) = arctanx

2.

Avendosi poi convergenza anche agli estremi, otteniamo inoltre

π

4= arctan 1 =

∞∑n=0

(−1)n1

(2n+ 1).

Esempio 15.43 Assegnata la serie di potenze

(1)+∞∑n=1

(−1)n2n

(2n+ 1)!x2n−1

si determini l’insieme di convergenza. Si determini poi una serie, la cui somma sia una

primitiva della somma della serie (1). Infine, si deduca la somma della serie assegnata.

Tramite il criterio del rapporto, si vede facilmente che la serie assegnata

ha raggio di convergenza infinito, e quindi converge in tutto IR.

Integrando termine a termine, si ottiene la serie

(2)+∞∑n=1

(−1)n1

(2n+ 1)!x2n =

1

x

+∞∑n=1

(−1)n1

(2n+ 1)!x2n+1.

A parte il termine 1x, l’ultima serie scritta e la serie di McLaurin della funzione

sinx, e quindi G(x) = sinxx

e una primitiva della somma della serie cercata (per

noti teoremi sulle serie di potenze). Pertanto la somma della serie (1) e

S(x) =x cosx− sinx

x2.

Esempio 15.44 Data la serie di potenze

+∞∑k=0

(−1)k(k + 1)xk+1,

si determini l’insieme di convergenza e la funzione somma, S(x). Si esamini infine la

possibilita’ di integrare per serie la funzione S(x) nell’intervallo [0, 12].

53

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La serie data ha raggio di convergenza 1, come facilmente si vede ad esempio

mediante il criterio del rapporto. Inoltre, se |x| = 1, il termine generale

della serie assoluta diviene (k+1), e quindi non tende a 0. Pertanto si ha

convergenza solo per |x| < 1.

Per quanto riguarda la somma, osserviamo che la serie data si puo’ scrivere

+∞∑k=0

(−1)kx(k + 1)xk,

e quindi risulta

S(x) = xd

dx

(+∞∑k=0

(−1)kxk+1

)= −x d

dx

(+∞∑k=0

(−x)k+1

)= −x d

dx

(−x

1 + x

),

ovviamente per |x| < 1. Ne segue dunque

S(x) =x

(1 + x)2.

Poiche si ha convergenza totale in [0, 12], la funzione somma e integrabile in

tale intervallo e si ha∫ 1/2

0

S(x)dx =+∞∑k=0

(−1)k(k + 1)

∫ 1/2

0

xk+1dx

da cui, svolgendo l’integrale a primo e a secondo membro:

log3

2− 1

3=

+∞∑k=0

k + 1

k + 22−(k+2).

Esempio 15.45 Adoperiamo ora le serie di potenze per risolvere un problema di una

certa importanza nelle applicazioni: ricerchiamo quelle funzioni f(x), che verifichino, nel

loro campo di definizione, la condizione (equazione funzionale)

f(2x) = 2f(x) + ex − x

Supponendo che la soluzione abbia uno sviluppo in serie di potenze, scriviamo:

f(x) =+∞∑n=0

an xn,

54

Page 55: Dispense di Analisi Matematica II (Prima Parte)candelor/dispense/dispense3.pdfDispense di Analisi Matematica II (Prima Parte) Domenico Candeloro Introduzione Queste dispense trattano

da cui

f(2x) =+∞∑n=0

an 2n xn, e 2f(x) + ex − x = 2a0 + 1 + 2a1x++∞∑n=2

(2an +1

n!)xn

(avendo adoperato lo sviluppo di Mc-Laurin di ex). Ora, se f(2x) e 2f(x) + ex− x devono

essere uguali, la loro differenza deve essere nulla, e quindi lo sviluppo di tale differenza deve

avere tutti i coefficienti nulli. Ma lo sviluppo della differenza f(2x)− (2f(x) + ex − x) e la

differenza dei due sviluppi singoli, per cui avremo:

a0 = −1, 0 = an 2n − (2an +1

n!)

per ogni intero n ≥ 2, mentre a1 resta arbitrario: se ne ricava subito an = 1n!(2n−2) per

n ≥ 2 e quindi in definitiva le funzioni

f(x) = −1 + a1x+∞∑n=2

xn

n!(2n − 2),

ottenute al variare di di a1 ∈ IR, sono tutte soluzioni dell’equazione funzionale assegnata (la

serie di potenze ha raggio di convergenza infinito, dunque ogni f cosi’ ottenuta e definita

e regolare in tutto IR) .

Esempio 15.46 Modifichiamo ora il problema precedente introducendo una condizione

che coinvolge anche la derivata di f : ricerchiamo cioe quella funzione f(x), che verifichi, nel

55

Page 56: Dispense di Analisi Matematica II (Prima Parte)candelor/dispense/dispense3.pdfDispense di Analisi Matematica II (Prima Parte) Domenico Candeloro Introduzione Queste dispense trattano

suo campo di definizione, la condizione (equazione differenziale con argomento funzionale)

f ′(2x) = 2f(x)

e che soddisfi inoltre alla richiesta: f(0) = 1.

Supponiamo come sopra che la soluzione cercata sia la somma di una serie di potenze:

f(x) =∞∑n=o

anxn,

e valutiamo la derivata:

f ′(x) =∞∑n=1

n an xn−1 =

∞∑m=0

(m+ 1)am+1xm.

Ora, avremo

2f(x) =∞∑m=0

am xm,

e

f ′(2x) =∞∑m=0

(m+ 1)am+12mxm.

Osserviamo ora che, dovendo essere f(0) = 1, risulta necessariamente a0 = 1. Inoltre,

volendo ottenere 2f(x) − f ′(2x) = 0, dovremo annullare tutti i coefficienti della serie

relativa a 2f(x)− f ′(2x), ossia imporremo:

a0 = 1, am+1 =am

(m+ 1)2m−1,

per m ≥ 0. Un procedimento d’induzione prova poi che il termine generale am puo’ essere

scritto come segue:

am =2(3m−m2)/2

m!

per m ≥ 0, e in definitiva

f(x) =∞∑m=0

2(3m−m2)/2

m!xm,

(serie di potenze con raggio infinito). Dunque, la funzione cercata e definita e regolare in

tutto IR. Di seguito si puo’ vedere un grafico di tale funzione.

56

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Esempio 15.47 Un’altra variante si presenta nell’equazione:

f(3x) = 2(f(x)− | sinx|),

dove la funzione nota non e derivabile, e quindi non e sviluppabile in serie di Taylor.

Per risolvere tale problema, si puo’ comunque utilizzare una serie di funzioni; posto

g(x) =∞∑j=0

| sin(3jx)|2j

,

si vede facilmente che i termini della serie sono funzioni continue, e che la serie converge

totalmente in ogni intervallo limitato di IR: dunque la funzione somma , g(x), e senz’altro

continua. Verifichiamo l’equazione:

g(3x) =∞∑j=0

| sin(3j+1x)|2j

=∞∑j=1

| sin(3jx)|2j−1

= 2∞∑j=1

| sin(3jx)|2j

.

Poiche il termine con j = 0 e esattamente | sinx|, si vede subito che g(3x) = 2(g(x)−| sinx|,

e quindi la funzione g verifica l’equazione data. Dal grafico si vede che questa funzione non

e molto regolare (rientra in quella categoria di funzioni che sono continue in ogni punto ma

non derivabili in nessun punto!). Tuttavia essa risolve in pieno l’equazione data.

57

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15.7 Esempi di Serie di Fourier

Riporteremo qui alcuni sviluppi in serie di Fourier, e ne dedurremo come casi particolari la

somma di certe serie numeriche.

Esempio 15.48 Sviluppo di x, in ]− π, π[:

x = 2(sinx− sin 2x

2+

sin 3x

3...) = 2

+∞∑n=1

(−1)n−1sinnx

n.

Si deduce, per x = π2:

π

4= 1− 1

3+

1

5− ...

La figura seguente mostra l’andamento della serie di Fourier della funzione x, arrestata

al 450 termine.

Esempio 15.49 Sviluppo di |x|, in [−π, π]:

|x| = π

2− 4

π(cosx+

3x

32+

5x

52+ ...)

da cui

+∞∑n=1

cos(2n− 1)x

(2n− 1)2=π2

8− π

4|x|. (15.3)

58

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In particolare, per x = 0 si ha+∞∑n=1

1

(2n− 1)2=π2

8.

Ponendo S :=∑+∞

n=11n2 , si ottiene

S =π2

8+

+∞∑n=1

1

4n2=π2

8+S

4,

da cui infine S = π2

6.

Esempio 15.50 Sviluppo di x2, in [−π, π]:

x2 =π2

3− 4(cosx− cos 2x

4+

cos 3x

9...) =

π2

3− 4

+∞∑n=1

(−1)n+1 cos(nx)

n2.

Utilizzando lo sviluppo di |x|, precedentemente trovato, possiamo dedurre

x2 =π2

3− 4(cosx+

cos 3x

9+

cos 5x

25...) + 4(

cos(2x)

4+

cos(4x)

16+

cos(6x)

36...) =

=π2

3− 4(

π2

8− π

4|x|) + 4(

cos(2x)

4+

cos(4x)

16+

cos(6x)

36...).

Da cio’ deduciamo facilmente che

x2 − π2

3+π2

2− π|x| = 4(

cos(2x)

4+

cos(4x)

16+

cos(6x)

36...)

59

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e quindi

cos(2x)

4+

cos(4x)

16+

cos(6x)

36... =

x2

4− π

4|x|+ π2

24. (15.4)

Sommando le relazioni (15.3) e (15.4), otteniamo infine

+∞∑n=1

cos(nx)

n2=x2

4− π

2|x|+ π2

6,

(valida naturalmente per x ∈ [−π, π]).

La figura che segue mostra un confronto fra la funzione x 7→ x2 e la sua serie di Fourier,

in colore scuro, arrestata al decimo addendo.

60

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Contents

13 Integrali generalizzati, parte I 2

14 Integrali generalizzati, parte II 11

14.1 Esempi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14

15 Successioni e serie di funzioni 22

15.1 Convergenza puntuale e convergenza uniforme . . . . . . . . . . . . . . . . 22

15.2 Teoremi di passaggio al limite . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27

15.3 Serie di Funzioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34

15.4 Serie di potenze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37

15.5 Serie di Fourier . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46

15.6 Esempi vari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48

15.7 Esempi di Serie di Fourier . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 58

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