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fascicolo 1/2 • gennaio-agosto 2018 L’Osservatorio sul diritto di famiglia L’Osservatorio sul diritto di famiglia Periodico dell’Osservatorio nazionale sul diritto di famiglia Anno II, n. 1/2 - gennaio-agosto 2018 Autorizzazione del tribunale di Pisa n. 372/2017 del 22 marzo 2017 Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - 70% C1/LU/851 Amministrazione e redazione Osservatorio nazionale sul diritto di famiglia Via San Martino, 51 - 56125 Pisa Tel 050/26205 [email protected] Direttore responsabile Prof. Avv. Claudio Cecchella Comitato editoriale Giulia Albiero, Elena Babucci, Grazia Castauro, Valeria Cianciolo, Emanuela Comand, Francesco Campione, Cesare Fossati, Michela Labriola, Luigi Liberti, Silvia Manildo, Beatrice Maranò, Valeria Mazzotta, Andrea Mengali, Rita Prinzi, Roberta Ruggeri, Giancarlo Savi, Gianluca Vecchio, Francesca Zadnik. Comitato scientifico dei revisori Prof. Avv. Bruno Barel (Università di Padova); Dr. Geremia Casaburi (Corte di appello di Napoli); Prof. Avv. Romolo Donzelli (Università di Macerata); Avv. Gianfranco Dosi (Presidente onorario ONDiF); Prof. Avv. Giovanna Falzone (Università di Cagliari); Prof. Avv. Michele Lupoi (Università di Bologna); Prof. Avv. Mauro Paladini (Università di Brescia); Prof. Avv. Salvatore Patti (Università di Roma La Sapienza); Prof. Ilaria Queirolo (Università di Genova); Dott. Rita Russo (Corte di appello di Catania); Dr. Francesco Sartorio (Tribunale di Treviso); Prof. Stefania Stefanelli (Università di Perugia); Prof. Andrea Sassi (Università di Perugia); Dr. Paolo Sceusa (Presidente tribunale per i minorenni di Trento); Prof. Avv. Giovanni Maria Uda (Università di Sassari). Gli articoli e le note a sentenza, prima della pubblicazione sono sottoposti in forma anonima all’approvazione di due revisori del Comitato scientifico, scelti di volta in volta dalla direzione in base alle specifiche competenze, Qualora vi sia dissenso, la Direzione nominerà un terzo revisore. Se la pubblicazione è condizionata dai revisori a modifiche o integrazioni, la direzione curerà prima della pubblicazione l’avvenuta integrazione o modifica suggerita. Note a sentenza e articoli, muniti di indice sommario con indicazione dei paragrafi e note in calce per i necessari riferimenti dottrinali e giurisprudenziali, devono essere trasmessi a segreteria@ osservatoriofamiglia.it oppure [email protected] in formato word e non pdf, con la sentenza epurata dei riferimenti sensibili e anch’essa in formato word, massimata e preparata secondo le indicazioni editoriali. Impaginazione David Nieri Stampa Tipografia Monteserra S.n.c. - Vicopisano (PI) - Ottobre 2018 Banksy è l’artista a cui viene dedicato questo numero della Rivista. Premiato con il Webby award per la sua creatività sulla rete, il maestro della street art nasconde da decenni la propria identità, strategia di marketing che accresce la sua figura, identità esclusivamente offerta dal suo sito www.banksy.co.uk. Le sue opere sono un grido di protesta e di denuncia contro guerre, ingiustizie, diritti negati. Diritto e processo

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fascicolo 1/2 • gennaio-agosto 2018

L’Osservatorio sul diritto di famiglia

L’Osservatorio sul diritto di famigliaPeriodico dell’Osservatorio nazionale sul diritto di famiglia

Anno II, n. 1/2 - gennaio-agosto 2018Autorizzazione del tribunale di Pisa n. 372/2017 del 22 marzo 2017

Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - 70% C1/LU/851

Amministrazione e redazioneOsservatorio nazionale sul diritto di famiglia

Via San Martino, 51 - 56125 PisaTel 050/26205

[email protected]

Direttore responsabileProf. Avv. Claudio Cecchella

Comitato editorialeGiulia Albiero, Elena Babucci, Grazia Castauro, Valeria Cianciolo, Emanuela Comand, Francesco Campione, Cesare Fossati, Michela Labriola, Luigi Liberti, Silvia Manildo, Beatrice Maranò, Valeria Mazzotta, Andrea Mengali, Rita Prinzi, Roberta Ruggeri, Giancarlo Savi, Gianluca Vecchio, Francesca Zadnik.

Comitato scientifico dei revisoriProf. Avv. Bruno Barel (Università di Padova); Dr. Geremia Casaburi (Corte di appello di Napoli); Prof. Avv. Romolo Donzelli (Università di Macerata); Avv. Gianfranco Dosi (Presidente onorario ONDiF); Prof. Avv. Giovanna Falzone (Università di Cagliari); Prof. Avv. Michele Lupoi (Università di Bologna); Prof. Avv. Mauro Paladini (Università di Brescia); Prof. Avv. Salvatore Patti (Università di Roma La Sapienza); Prof. Ilaria Queirolo (Università di Genova); Dott. Rita Russo (Corte di appello di Catania); Dr. Francesco Sartorio (Tribunale di Treviso); Prof. Stefania Stefanelli (Università di Perugia); Prof. Andrea Sassi (Università di Perugia); Dr. Paolo Sceusa (Presidente tribunale per i minorenni di Trento); Prof. Avv. Giovanni Maria Uda (Università di Sassari).

Gli articoli e le note a sentenza, prima della pubblicazione sono sottoposti in forma anonima all’approvazione di due revisori del Comitato scientifico, scelti di volta in volta dalla direzione in base alle specifiche competenze, Qualora vi sia dissenso, la Direzione nominerà un terzo revisore. Se la pubblicazione è condizionata dai revisori a modifiche o integrazioni, la direzione curerà prima della pubblicazione l’avvenuta integrazione o modifica suggerita.

Note a sentenza e articoli, muniti di indice sommario con indicazione dei paragrafi e note in calce per i necessari riferimenti dottrinali e giurisprudenziali, devono essere trasmessi a [email protected] oppure [email protected] in formato word e non pdf, con la sentenza epurata dei riferimenti sensibili e anch’essa in formato word, massimata e preparata secondo le indicazioni editoriali.

ImpaginazioneDavid Nieri

StampaTipografia Monteserra S.n.c. - Vicopisano (PI) - Ottobre 2018

Banksy è l’artista a cui viene dedicato questo numero della Rivista. Premiato con il Webby award per la sua creatività sulla rete, il maestro della street art nasconde da decenni la propria identità, strategia di marketing che accresce la sua figura, identità esclusivamente offerta dal suo sito www.banksy.co.uk. Le sue opere sono un grido di protesta e di denuncia contro guerre, ingiustizie, diritti negati.

Diritto e processo

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Osservatorio nazionale sul diritto di famiglia

Presidente

Prof. Avv. Claudio Cecchella

Comitato esecutivo

Prof. Avv. Claudio Cecchella, Pres.; Avv. Giulia Albiero (Messina); Avv. Francesca Bruno (Cosenza); Avv. Grazia Castauro (Brescia); Avv. Emanuela Comand (Udine); Avv. Angela Crovetti (Sassari); Avv. Franca Ferrara (Cagliari); Avv. Michela Labriola (Bari); Avv. Silvia Manildo (Treviso); Avv. Rita Prinzi (Cuneo); Avv. Giancarlo Savi (Macerata)

Consiglio della Scuola nazionale dell’Osservatorio

Prof. Avv. Claudio Cecchella, Pres.; Avv. Germana Bertoli (Torino); Avv. Giuseppina Cennamo (Campobasso); Avv. Maria Teresa de Scianni (Salerno); Avv. Michela Fugaro (Brescia); Avv. Lucia Maffei (Matera); Avv. Valeria Mazzotta (Bologna); Avv. Clara Mecacci (Grosseto); Avv. Francesca Salvia (Palermo); Avv. Rosa Savincelli (Crotone)

Elenco Responsabili RegionaliAbruzzo

D’Angelo Maria Grazia, via C. Battisti 2, 64011 Alba Adriatica (Teramo) - [email protected]

BasilicataMaffei Lucia Elsa, via Ferruccio Parri 15, 75100 Matera - [email protected]

CalabriaMarincolo Michele, Piazza De Gasperi 11, 87067 ROSSANO (CS) - [email protected]

CampaniaD’Ambrogio Fernanda, Largo Daniel Bovet 1, 81100 CASERTA - [email protected]

CampaniaTerracciano Scognamiglio Ivana, Piazza Nicola Amore 14, 80138 Napoli - [email protected]

Emilia RomagnaMazzotta Valeria, via della Zecca 1, 40121 BOLOGNA - [email protected]

Friuli Venezia GiuliaComand Emanuela, via Rialto 6, 33100 Udine - [email protected]

LazioDi Cretico Anna, via Tommaso Costa 16, 04023 Formia - [email protected]

LiguriaFossati Cesare, Corso Buenos Aires 8/24, 16129 Genova - [email protected]

LombardiaCottali Simona, via Gerolamo Romanino 1, 25122 Brescia - [email protected]

MarcheCerboni Bajardi Annunziata, viale della Vittoria 176, 61121 Pesaro - [email protected]

MoliseCennamo Giuseppina, via Matteotti 7, 86100 Campobasso - [email protected]

PiemonteOmero Serenella, viale Cagna 29/1, 12078 Ormea (CN) - [email protected]

PugliaRomanelli Claudia, via P. Amedeo 36, 70121 Bari - [email protected]

SardegnaPittorra Annalisa, Corso Garibaldi 6B, 08100 Nuoro - [email protected]

SiciliaChimento Angela, via Pola 11, Catania - [email protected]

ToscanaGenovesi Cinzia, Scali D’Azeglio 14, 57126 Livorno - [email protected]

Trentino Alto AdigeZadra Raffaella, via Duca d’Aosta 51 39100 Bolzano - [email protected]

VenetoZadra Raffaella, via Duca d’Aosta 51 39100 Bolzano - [email protected]

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SOMMARIO

EDITORIALE

5 La specializzazione in diritto della persona, delle relazioni fami-liari e dei minori. Lo stato dell’arte

Claudio Cecchella

DOTTRINA

7 I patrimoni vincolati nel diritto di famiglia Valeria Cianciolo

15 La funzione perequativa del contributo al mantenimento per i figli

Roberta Ruggeri

18 La mediazione familiare nei procedimenti di sottrazione inter-nazionale dei minori

Giovanna Barca, Marzia Ghigliazza

23 Fiori d’arancio e narcisi. Profili giuridici del rapporto di coppia con il narcisista patologico

Massimo Sensale

29 Prime riflessioni sulla c.d. “riserva di codice in materia penale”. Quali strumenti per il nuovo diritto di famiglia?

Valeria Cianciolo

DOSSIER

La violenza nelle relazioni familiari

33 Introduzione al Convegno: “Violenza domestica: ipotesi di rea-to, strategie di contrasto”, Roma 12 marzo 2018

Fiorella D’Arpino

35 Gli ordini di protezione Claudio Cecchella

39 L’applicazione dell’art. 162-ter c.p. dopo l’introduzione della l. 172 del 4 dicembre 2017

Cristina Mancini

41 Procedimenti penali, rilevanza ai fini della valutazione della ca-pacità genitoriale nella CTU

Maria Rita Consegnati

44 L’efficacia del linguaggio come strategia di contrasto alla violen-za domestica: una riflessione preliminare

Francesca Dragotto

49 Abusi familiari e ordini di protezione in Italia e in Europa Mauro Paladini

61 La sottrazione internazionale di minori. Profili processuali Michele Angelo Lupoi

I diritti economici e personali nella crisi delle relazioni familiari tra rigidità legislative e discrezionalità del giudice: la sentenza delle Sezioni Unite sull’assegno di divorzio e i progetti in materia di affidamento

77 Corte di Cassazione, Sez. Unite Sentenza 11 luglio 2018, n. 18287

88 Riconoscimento e determinazione dell’assegno post-matrimo-niale: il ritrovato equilibrio ermeneutico

Giancarlo Savi

99 Risultati del Gruppo di lavoro di ONDiF tenutosi il 20 luglio 2018, sul tema dell’assegno divorzile

Giancarlo Savi

100 Norme in materia di affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia di bigenitorialità

111 Il disegno di legge Pillon n. 735 “Norme in materia di affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia di bigenitorialità”. Breve nota esplicativa

Claudio Cecchella

115 Risposta di Ondif consegnata all’Autorità Garante per l’infanzia, Roma 20 luglio 2018

Emanuela Comand e Claudio Cecchella

118 Risultati del Gruppo di lavoro di ONDiF tenutosi il 20 luglio 2018, sul tema dell’affidamento

Silvia Manildo

LE ULTIMISSIME DELLA GIURISPRUDENZA

119 Persone, minori e famiglia a cura di Cesare Fossati e Francesca Zadnik

132 Successioni a cura di Valeria Cianciolo

135 Corte Europea dei diritti dell’Uomo a cura di Valeria Mazzotta

LA GIURISPRUDENZA ANNOTATA

139 L’ascolto del minore: la giurisprudenza della Corte di Cassazione Paolo Cristofani Mencacci

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143 La tutela dei crediti professionali per attività giudiziali secondo la giurisprudenza di legittimità

Beatrice Maranò

148 Cass., sez. I, 6 marzo 2018, n. 5256

149 L’avvocato del minore Michela Labriola

152 Cass., sez. II, sentenza 5 gennaio 2018, n. 169

157 Le revocazione del testamento a causa di sopravvenienza di fi-gli. Nota a Cassazione civile, sez. II, sentenza 5 gennaio 2018, n. 169

Valeria Cianciolo

160 Corte cost., 18 dicembre 2017, n. 272

163 L’interesse del minore nelle azioni di stato: la corte costituziona-le conferma l’orientamento della sez. I della S.C.

Andrea Sassi

L’ELZEVIRO DELL’OSSERVATORIO

170 L’elzeviro dell’Osservatorio Valeria Cianciolo

RECENSIONI

173 Autonomia negoziale e devoluzione testamentaria, di Carlo Ber-ti, Giuffrè, Milano, 2018

Valeria Cianciolo

174 I provvedimenti nell’interesse dei figli minori ex art. 709-ter c.p.c., di Romolo Donzelli, Giappichelli, Torino, 2018

Claudio Cecchella

175 Diritto e processo nelle controversie familiari e minorili, di Claudio Cecchella, Zanichelli, Bologna, 2018

Giancarlo Savi

176 La filiazione e i minori, Trattato di Diritto Civile diretto da Ro-dolfo Sacco, di Andrea Sassi, Francesco Scaglione, Stefania Ste-fanelli, Utet, Torino, 2018

Giancarlo Savi

ONDIF E IL TEATRO

177 La collaborazione con Il Teatro Golden di Roma e le sue produzioni Claudio Cecchella

178 Presentazione dell’adattamento teatrale tratto dall’opera Vestire gli ignudi di Luigi Pirandello

Barbara Manganelli

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5L’Osservatorio sul diritto di famiglia | gennaio-agosto 2018

EDITORIALE

1. Dopo che il Tar Lazio (sentenza n. 4424 del 14 aprile 2016) e il Consiglio di Stato (sentenza n. 5575 del 28 novembre 2017) hanno annullato in parte il decreto ministeriale sulle specializzazioni (n. 144 del 2015), sia in relazione ai settori della specializzazione, di cui il giudice amministrativo ha rile-vato la irrazionalità, e sia in ordine ai contenuti del colloquio in cui avrebbero dovuto essere sottoposti gli avvocati specia-listi per esercizio effettivo negli anni, causa la loro genericità, resta comunque salvo l’impianto generale del regolamento (attaccato sotto più profili dai ricorrenti), laddove, in attua-zione della legge professionale, è riconosciuta la legittimità di una specializzazione nell’esercizio della professione forense.

Il Ministero della Giustizia prima della chiusura della legi-slatura ha tentato di reintrodurre norme, in linea con la giuri-sprudenza amministrativa e capace di resistere ad eventuali (e probabili) nuove impugnative.

In occasione di tale tentativo si è costituito, su iniziativa del Cnf, il Comitato delle Associazione specialistiche, con un for-male atto costitutivo sottoscritto dalle Associazioni speciali-stiche maggiormente rappresentative, quindi pure da ONDiF, a cui partecipa il Cnf, e Aiga, con una occasione istituziona-le di dialogo continuo tra le Associazioni, unica nella storia dell’Avvocatura italiana.

Spesso i mali non vengono solo per nuocere.

2. Questi tentativi del Ministero a fine legislatura erano giunti al punto di dare forza di legge alle nuove regole, in tal modo impedendo il sindacato in sede di giurisdizione amministra-tiva, aprendo al massimo l’improbabile sindacato in sede di legittimità costituzionale, nell’occasione di una delle tante leggi approvate frettolosamente nel dicembre del 2017 e che ci hanno fatto scampare una riforma del processo civile av-versata sia dagli Avvocati che dai Magistrati, ancora un volta propugnando l’ennesimo rito (quello sommario degli artt. 702-bis e ss. c.p.c.) quale deterrente della lentezza della giu-stizia civile.

L’idea non fu avversata dal Comitato delle Associazioni spe-cialistiche, che propose solo alcuni emendamenti, ma poi la fine della legislatura chiuse ogni prospettiva al tentativo.

3. Con la nuova legislatura è giunto uno schema di regolamen-to che era ancora il frutto del precedente Ministro, come è stato subito possibile verificare, il quale manifestava numerosi in-terrogativi sulla distribuzione delle materie di specializzazione, essendo il titolo di specialista affidato al diritto civile, quale set-tore di specializzazione, e il diritto della persona, delle relazioni familiari e dei minori indicato come semplice indirizzo.

In sostanza era eliminata l’autonomia della nostra specia-lizzazione.

4. Riunitosi il 4 luglio 2018 e successivamente il 18 luglio 2018, il Comitato delle Associazioni specialistiche ha conve-nuto all’unanimità che il diritto della persona, delle relazioni familiari e dei minori debba essere necessariamente settore specialistico e non semplicemente indirizzo di settore. La de-libera è stata consegnata dal Presidente del Consiglio naziona-le forense al Ministro della Giustizia in occasione dell’incon-tro con tutte le associazioni specialistiche avvenuto in Roma, il 1° agosto 2018.

5. Allo schema del decreto ministeriale nel frattempo ONDiF aveva espresso, su richiesta del Cnf le osservazioni che si ri-portano di seguito:

Con riferimento allo schema di decreto del Ministro della giustizia concernente modifiche al regolamento recante disposizioni per il con-seguimento e il mantenimento del titolo di avvocato specialista adot-tato con decreto del Ministro della giustizia 12 agosto 2015, n. 144, l’Osservatorio Nazionale sul diritto di famiglia plaude, innanzi tutto, all’iniziativa del Signor Ministro che segna l’atteso completamento del percorso di attuazione della nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense di cui alla legge 31 dicembre 2012, n. 247.In considerazione dell’alto rilievo della formazione specialistica per le fasce più giovani dell’avvocatura, auspica che, nell’immediato fu-turo, il possesso del titolo di avvocato specialista ai sensi dell’art. 9 della legge n. 247/2012 possa essere generalmente annoverato tra i titoli professionali meritevoli di specifica e premiale valutazione nei concorsi pubblici per titoli ed esami.Nel merito, è del parere che: (i) tra gli ulteriori settori di specializza-zione previsti in aggiunta ai tre principali nei quali l’avvocato può con-seguire il titolo di specialista, l’art. 3 dello schema di decreto debba annoverare anche il “diritto della persona, delle relazioni familiari e dei minorenni”; costituente ora indirizzo afferente al settore del diritto ci-vile, ai sensi della lettera a), del comma 3, dell’art. 3. E ciò in quanto, il medesimo criterio di specializzazione sulla scorta del quale, per come chiarito dalla Relazione Illustrativa, sono stati individuati gli ulteriori settori (elencati alle lettere dalla “d” alla “g” dell’art. 3, comma 1) – e cioè l’autonomia disciplinare e tematica e/o la giurisdizione e/o il rito – carat-terizza invero anche il “diritto della persona, delle relazioni familiari, e dei minorenni”; si tratta infatti di area con una sua trasversalità ad altri settori del diritto (civile, penale, internazionale, amministrativo), con caratteristiche giuridiche proprie, specificità di organi giudiziari, che va trattata unitariamente e non può essere parcellizzata tra gli altri settori; (ii) per il diritto amministrativo, che è già di per sé un settore specialisti-co, è opportuno che il titolo di specialista possa essere acquisito anche autonomamente e non solo necessariamente con la specializzazione in uno degli indirizzi indicati nel comma 5 dell’art. 3; (iii) con riguardo all’indirizzo di cui alla lettera a), del comma 5, dell’art. 3, sia più appro-priata la seguente denominazione: “diritto del pubblico impiego non privatizzato e della responsabilità amministrativa”.

In definitiva, l’Osservatorio Nazionale sul diritto di famiglia è del parere che allo schema di regolamento debbano essere apportate le seguenti modifiche:

LA SPECIALIZZAZIONE IN DIRITTO DELLA PERSONA, DELLE RELAZIONI FAMILIARI E DEI MINORI. LO STATO DELL’ARTECLAUDIO CECCHELLAPresidente di ONDiF

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6 L’Osservatorio sul diritto di famiglia | gennaio-agosto 2018

EDITORIALE

– all’art. 3 “Settori di specializzazione”, comma 1, è ag-giunta infine la seguente lettera: “m) diritto della perso-na, delle relazioni familiari e dei minorenni”;

– all’art. 3 “Settori di specializzazione”, il comma 2 è sosti-tuito dal seguente: “Nei settori di cui alle lettere a) e b), il titolo di specialista si acquisisce unitamente alla specializ-zazione in almeno uno degli indirizzi indicati nei commi 3 e 4. Nel settore di cui alla lettera c), il titolo di specialista si acquisisce anche unitamente alla specializzazione in al-meno uno degli indirizzi indicati nel comma 5”;

– all’art. 3 “Settori di specializzazione”, comma 3, è elimi-nata la seguente lettera: “a) diritto delle relazioni familia-ri, delle persone e dei minori”;

– all’art. 3 “Settori di specializzazione”, comma 5, la lettera a) è sostituita dalla seguente: “diritto del pubblico impiego non privatizzato e della responsabilità amministrativa”.

6. Ora non resta che attendere la riapertura dei lavori, dopo il periodo feriale, per verificare in concreto quali saranno le intenzioni del Ministero, che comunque nella persona del Ministro Bonafede ha avuto parole di particolare sensibilità verso la specializzazione forense.

7. Ciò che tuttavia deve essere sottolineato è che mai è stato messo in discussione l’impianto del regolamento relativo alle Scuole di alta formazione specialistiche, alla cui normativa si

è affidata ONDiF nella istituzione della propria Scuola di alta formazione specialistica in Diritto di famiglia, unitamente alla Scuola Superiore dell’Avvocatura e all’Università di Roma Tre.

In vista delle iscrizioni al nuovo biennio della Scuola di Alta formazione in diritto di famiglia, organizzato da ONDiF, SSA e Roma Tre, di cui al bando e al programma già diffuso con comunicazioni a tutti gli associati, è opportuno ribadire che il corso biennale rientra a pieno titolo nel regime transitorio di cui all’art. 14 del decreto ministeriale sulle specializzazioni, i cui contenuti non sono stati colpiti da annullamento a seguito delle note sentenze del Tar Lazio e del Consiglio di Stato.

Il decreto ministeriale, lo si ribadisce, conferma comunque i contenuti relativi alle scuole di alta formazione specialistica, quanto al regime transitorio, a cui si è conformata la Scuola di alta formazione dell’Osservatorio.

Con questo ONDiF vuole tranquillizzare gli iscritti all’As-sociazione e i colleghi familiaristi iscritti al corso o che inten-dono iscriversi, sulla coerenza della Scuola di alta formazione di ONDiF al decreto delle specializzazioni in itinere, onde fugare dubbi e perplessità.

Resta solo la necessità, indicata nello stesso bando, di atten-dere l’approvazione del decreto ministeriale per una conferma definitiva, ma non vi sono ragioni per ritenere che il decreto in discussione, particolarmente per il regime transitorio, possa subire modifiche, tenuto conto che in questa parte non è stato oggetto delle decisioni del Tar Lazio e del Consiglio di Stato.

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7L’Osservatorio sul diritto di famiglia | gennaio-agosto 2018

DOTTRINA

1. Il patrimonio separato e patrimonio vincolato

Il termine patrimonio designa “un’entità composita, formata dall’insieme di situazioni suscettibili di valutazione economi-ca (intesa come estimabilità pecuniaria) e unificate dalla legge in considerazione della loro appartenenza ad un soggetto o alla loro destinazione unitaria”.

Negli ultimi venti anni, si è assistito al dilagante fenomeno dei patrimoni separati, il quale ha contribuito a quello che parte della dottrina1 ha definito come “erosione” del carattere universale della responsabilità patrimoniale, interesse questo, sensibilmente accresciuto, in corrispondenza delle novelle le-gislative che li hanno adottati quale tecnica di localizzazione della responsabilità equipollente, quoad effectum, alla finzio-ne della personalità giuridica2.

I termini “patrimonio separato”, “patrimonio autonomo” o “patrimonio distinto” vengono impiegati dal legislatore per definire e regolare fattispecie diverse, sebbene accomunate dalla circostanza per cui, per effetto del principio della limita-zione della responsabilità su determinati beni o complessi di beni detenuti o posseduti da un determinato soggetto, posso-no essere soddisfatti soltanto o, quanto meno, in via priorita-ria, determinati creditori.

Quel che accomuna la separazione patrimoniale all’auto-nomia (patrimoniale) perfetta, nata con la società anonima nella quale la responsabilità degli azionisti fu limitata alla sola quota di partecipazione, è la teorica ottocentesca dello Zweckvermögen che concepì la scissione di beni o rapporti da uno o più patrimoni unitari, dalla quale originasse un nuovo complesso, parimenti unitario, in ragione d’uno scopo che ne mutasse le sorti giuridiche, specie sul fronte della responsabi-lità dell’art. 2740 c.c.3. In questa ottica, operandosi valutazio-ni anche nel panorama normativo del codice civile italiano, iniziò a ritenersi come il dettato dell’art. 2740 c.c., principio

1 BarBiera, Responsabilità patrimoniale. Disposizioni generali, in Il codice civile. Commentario fondato da Pietro Schlesinger, Milano, 2010, 44.

2 Si pensi ai “fondi speciali per la previdenza e l’assistenza” (art. 2117 c.c.) e ora, dei “patrimoni destinati a un specifico affare” (art. 2447-bis c.c.) e dei “fi-nanziamenti destinati a uno specifico affare” (art. 2447-decies c.c.), che pongono in rilievo il distacco di beni da una più ampia massa patrimoniale facente capo ad un soggetto, per deputarla alla realizzazione di scopi specifici, conservando in capo al titolare una proprietà formale e quiescente sugli stessi.

3 Proprio per questi rilevanti effetti, che sembrano invero contraddire prin-cipi fondanti del nostro sistema di diritto positivo, è ancora aperta in dottrina la problematica in ordine all’esistenza, nel nostro ordinamento, di una figura generale e astratta che permetta di effettuare separazioni o segregazioni del pa-trimonio al di là dei casi tipizzati dal diritto positivo. Cfr. ragazzini, Trust interno e ordinamento giuridico italiano, in Riv. notar., 1999; galluzzo, Autonomia negoziale e causa estintiva di un trust, in Corr. Giur., 2006.

fondante del nostro ordinamento giuridico, affermando che “il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri. Le limitazioni della re-sponsabilità non sono ammesse se non nei casi stabiliti dal-la legge”, fosse espressione di una forma di destinazione dei beni al soddisfacimento dei creditori o di una determinata categoria di essi. La responsabilità patrimoniale ex art. 2740 c.c. non si pone, pertanto, a sostegno dell’unità del patrimo-nio, ma è l’espressione di una specifica finalità impressa ai beni: lo ‘scopo’, e non la volontà del soggetto, è il concetto che a questa dottrina appare idoneo a ricondurre ad unità sistematica, le fattispecie in cui il vincolo di destinazione pa-trimoniale produce un effetto reale, sì che il patrimonio (e non il soggetto) diviene termine oggettivo del debito e punto d’incidenza del vincolo e della responsabilità. All’appartenen-za, caratteristica dell’imputazione soggettiva, si sostituisce la connessione oggettiva con uno scopo determinato.

Fatta questa debita premessa, per separazione patrimoniale, deve intendersi quell’effetto giuridico, ricollegato a determi-nati atti giuridici, che comporta o la elusione o la limitazione del principio dell’art. 2740 c.c. Laddove l’atto produca un simile effetto, si può parlare di separazione, ciò anche a pre-scindere dalla compresenza di atti collegati di destinazione.

Se si concorda che ne rappresentino attributi espressivi l’in-disponibilità ed impignorabilità come tali funzionali al vinco-lo di scopo, possono allora indistintamente riconoscersi nel nostro codice civile, quali patrimoni destinati: le oblazioni raccolte dai comitati (art. 40 c.c.); il fondo patrimoniale del diritto di famiglia (art. 167 c.c.); l’eredità giacente (art. 528 c.c.) e quella accettata con beneficio d’inventario (art. 484 c.c.); l’usufrutto legale dei genitori esercenti la responsabilità genitoriale sui figli minori (art. 324 c.c.); il patrimonio delle società di capitali ed il patrimonio destinato dalla S.p.A. ad uno specifico affare (art. 2447-bis c.c.); le fondazioni (art. 16 c.c.) nonché le dotazioni degli enti privi di personalità giu-ridica, come il fondo comune delle associazioni non ricono-sciute (art. 37 c.c.). Particolari ipotesi di patrimonio separato sono poi previsti all’interno del Libro II del cod. civ.: l’art. 512 c.c. e l’art. 643 c.c. ne sono un chiaro esempio4.

4 L’art. 512 disciplina la separazione dei beni dell’erede da quelli del defunto, affinché le esposizioni debitorie del de cuius possano essere risanate con il solo patrimonio del defunto, mentre l’art. 643 c.c. prevede che quando all’eredità sia chiamato un concepito (art. 462, 1° co., c.c.) o – in caso di successione testamentaria (art. 462, ult. co., c.c.) – un nascituro non ancora concepito, ma figlio di una determinata persona vivente, a questa spetta la rappresentanza del nascituro, per la tutela dei suoi diritti successori, anche quando l’amministratore dell’eredità è una persona diversa.

I PATRIMONI VINCOLATI NEL DIRITTO DI FAMIGLIAVALERIA CIANCIOLOAvvocato in Bologna

Sommario: 1. Il patrimonio separato e patrimonio vincolato. - 2. Il fondo patrimoniale. - 2.1. I limiti del fondo patrimoniale. - 3. La vendita dell’immobile in fondo patrimoniale. - 4. La risoluzione consensuale del fondo patrimoniale in presenza di figli minori. - 5. Beni immobili, loro pertinenze ed accessione. - 6. Il trust. - 7. Scioglimento del fondo patrimoniale e confluenza in trust. - 8. Trust e Amministratore di Sostegno. - 9. L’atto di destinazione ex art. 2645-ter c.c. nel diritto di famiglia. - 9.1. I vincoli di destinazione ex art. 2645-ter c.c. in sede di accordi di separazio-ne. - 10. La legge 22 giugno 2016, n. 112.

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Detto questo, si può affermare che la destinazione ad uno scopo è il fondamento di tutta una serie di rapporti e di istitu-ti collegati al fenomeno dei patrimoni separati – dal contratto di mandato, al trust5, al negozio fiduciario all’inserimento nel corpo del codice civile dell’istituto dei patrimoni societari de-stinati ad uno scopo, nonché dell’introduzione dell’art. 2645-ter nel libro VI del cod. civ. – che assurge ad autonoma cate-goria giuridica e che come tale, in questa accezione tecnica, comporta sempre un fenomeno di separazione patrimoniale, in quanto si tratta di vincolo reale di destinazione6, dove de-stinazione e separazione sono elementi inscindibili.

2. Il fondo patrimoniale

L’istituto del fondo patrimoniale, introdotto nell’ambito della riforma di diritto di famiglia, di cui alla l. n. 151/1975, è disci-plinato nel nostro codice civile all’interno del Libro I, Capo VI, Sez. II, artt. 167-176 c.c. Si tratta di un istituto, per molti aspet-ti controverso, che ha dato vita a un ampio dibattito in seno agli interpreti già in fase di redazione del testo di riforma del 1975, circa l’utilità stessa dell’istituto e la convenienza di mantenerlo in vita. Non pochi interpreti ne suggerivano la soppressione in quanto potenziale strumento di frode per i creditori7.

Con la costituzione del fondo patrimoniale, entrambi i co-niugi o uno solo di essi o, ancora, un terzo, inteso come per-sona non facente parte del nucleo familiare, possono vincola-re alcuni beni immobili, mobili registrati o titoli di credito al soddisfacimento dei bisogni della famiglia, non sostituendo, ma affiancando, integrandolo, il regime patrimoniale prima-rio adottato dai coniugi che può essere, indifferentemente, la comunione, la separazione dei beni8 o un regime conven-zionale, quale la comunione convenzionale o qualsiasi altro regime patrimoniale atipico adottato dai coniugi. Può essere costituito dai coniugi per atto pubblico, integrando a tutti gli effetti una convenzione matrimoniale (art. 162 c.c.); da un terzo per atto pubblico inter vivos – che si perfeziona con l’ac-cettazione a sua volta per atto pubblico da parte dei coniugi, ancorché successiva alla costituzione del fondo9 – come pure, per testamento rappresentando, in questo caso, o un’attribu-zione a titolo di legato o un’istituzione di erede ex re certa, necessitando di accettazione.

Tale istituto consente quindi, di “destinare” determinati beni per far fronte ai bisogni della famiglia al fine di garantirle sta-bilità economica, anche nell’ipotesi in cui il patrimonio dei coniugi dovesse notevolmente depauperarsi od esaurirsi.

Poiché il fondo patrimoniale crea un patrimonio che è anche “separato” dalla rimanente parte del patrimonio del costituen-te, appare evidente che la sua costituzione possa pregiudicare la posizione dei creditori del conferente (i quali vedono dimi-nuire la garanzia patrimoniale generica del proprio debitore).

5 Sulla considerazione del negozio di destinazione quale essenza del trust, v. D’errico, Trust e destinazione, Destinazione di beni allo scopo. Strumenti attuali e tec-niche innovative, Atti della Giornata di studio organizzata dal Consiglio Nazionale del Notariato, Roma Palazzo Santacroce, 19 giugno 2003, in Quaderni romani di diritto commerciale, a cura di Libonati e Ferro-Luzzi, Milano, 2003, 213 ss.

6 Sulla nozione di vincolo reale di destinazione cfr. Bianca, Vincoli di destina-zione e patrimoni separati, Padova, 1996, 207 ss.

7 Per alcuni ragguagli in proposito cfr. Il fondo patrimoniale, in Il codice civile com-mentario, fondato da Schlesinger e diretto da Busnelli, Giuffrè, Milano, 1992, 3 ss.

8 Bonilini, Manuale di diritto di famiglia, 7a ed., Torino, 2016, 140.9 Del Vecchio, Contributo alla analisi del fondo patrimoniale costituito dal terzo,

in RN, 1980, 317.

In questo contesto, le ragioni dei creditori vengono tutelate dal nostro ordinamento, mediante l’apposito rimedio dell’azione revocatoria (ordinaria o fallimentare), mediante la quale il creditore può chiedere “che siano dichiarati inefficaci nei suoi confronti gli atti di disposizione del patrimonio con i quali il debitore rechi pregiudizio alle sue ragioni” (art. 2901 c.c.).

2.1. I limiti del fondo patrimonialeLe criticità del fondo patrimoniale sono state più volte messe in rilievo dalla dottrina e, possono così velocemente riassumersi:

a. non effettiva tutela dei familiari beneficiari (figli);b. eccessiva discrezionalità dei coniugi circa l’amministra-

zione dei beni in fondo e la loro disposizione;c. nessun obbligo di reimpiego per i cespiti alienati;d. nessun meccanismo surrogatorio per l’ipotesi del reinve-

stimento dei cespiti alienati e nessun connaturato obbli-go di reimpiego;

e. assenza di rimedi applicabili per la mala gestio dei coniugi;f. accessibilità solo alle famiglie legittime;h. limitazione “oggettiva” (immobili, mobili registrati, titoli

di credito);i. fisiologica temporaneità legata alla cessazione del matri-

monio.

3. La vendita dell’immobile in fondo patrimoniale

Nella pratica può capitare di imbattersi in una vendita di im-mobile sottoposto al vincolo del fondo patrimoniale, e può capitare che tale immobile sia l’unico bene “contenuto” nella convenzione10, cosicché, in caso di sua vendita, si verifiche-rebbe quello che autorevole dottrina ha definito “esaurimen-to” del fondo stesso11. La disposizione normativa di riferimen-to è, in primis, l’art. 169 c.c. in base al quale “se non è stato espressamente consentito nell’atto di costituzione, non si pos-sono alienare, ipotecare, dare in pegno o comunque vincolare beni del fondo patrimoniale se non con il consenso di en-trambi i coniugi e, se vi sono figli minori, con l’autorizzazione concessa dal giudice con provvedimento emesso in camera di consiglio, nei soli casi di necessità od utilità evidente”. In assenza di figli minori, pertanto, rileva solo la prima parte del citato art. 169 c.c., di conseguenza al fine di porre in essere l’alienazione, è necessario il consenso di entrambi i coniugi. A tal proposito, tralasciando la questione della derogabilità di tale consenso congiunto12, occorre distinguere il regime pro-

10 Per la ricostruzione del fondo come convenzione matrimoniale, per tutti, genghini, La volontaria giurisdizione e il regime patrimoniale della famiglia, Padova, 2010, 274

11 corsi, Il regime patrimoniale della famiglia, in Trattato di Diritto Civile e Com-merciale, già diretto da Cicu e Messineo, VI, II, Milano, 1984, 105, per il quale “occorre distinguere la cessazione del fondo che comporta (come dice l’art. 171) la cessazione della destinazione, dall’esaurimento del fondo stesso, che si può verificare quando i beni che lo compongono siano escussi o siano stati alienati per necessità o utilità evidente ed il ricavo erogato per i bisogni della famiglia”. Per genghini, La volontaria giurisdizione e il regime patrimoniale della famiglia, Padova, 2010, 324, invece, l’alienazione di tutti i beni costituenti il fondo rap-presenta una “altra causa di cessazione del fondo patrimoniale non disciplinata dall’art. 171 cod. civ.”, anche se subito dopo precisa come solo in caso di estin-zione “e non nella vendita cessano tutti gli effetti del fondo patrimoniale ed in particolare il vincolo di destinazione dei frutti”.

12 galasso, Del regime patrimoniale della famiglia, I, art. 159-230, in Commen-tario del codice civile Scialoja Branca, a cura di Galgano, Bologna-Roma, 2003, 162 ss.; auciello, BaDiali, ioDice, Mazzeo, La volontaria giurisdizione e il regime patrimoniale della famiglia, Manuale e applicazioni pratiche dalle lezioni di G. Ca-

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prietario del bene dal regime di amministrazione del fondo cosicché, in caso di riserva di proprietà in capo ad un solo coniuge, solamente quest’ultimo interverrà all’atto come ven-ditore, mentre l’altro coniuge interverrà esclusivamente al fine di prestare il consenso ex art. 169 c.c.

In presenza di figli minori13, invece, la fattispecie si fa più complessa, rilevando la seconda parte dell’indicato art. 169 c.c., per la quale “se vi sono figli minori” occorre “l’autorizza-zione concessa dal giudice con provvedimento emesso in ca-mera di consiglio, nei soli casi di necessità od utilità evidente”.

Giova ricordare che prima della riforma dell’art. 38 disp. att. c.c., era discussa l’individuazione dell’autorità competente al rilascio della citata autorizzazione, questione ora superata con l’art. 3 della legge 10 dicembre 2012, n. 219 che ha disposto che la competenza per i provvedimenti di cui all’art. 171 c.c. spetta al Tribunale Ordinario ai sensi della norma residuale di cui all’art. 38 disp. att. 2° co., c.c.

4. La risoluzione consensuale del fondo patrimoniale in presenza di figli minori

In dottrina ed in giurisprudenza, si è molto discusso se sia possibile o no, per i coniugi, sciogliere volontariamente il fondo patrimoniale, eliminando il vincolo precedentemente impresso sui relativi beni14. Può certamente affermarsi oggi, pur ancora con qualche lieve contrasto, quella che sembra la posizione più consolidata, ossia, l’opinione favorevole che appare anche maggioritaria15.

Come deve essere strutturato un atto con cui i coniugi con-vengono di risolvere consensualmente il fondo patrimoniale qualora via siano figli minori?

La Cassazione ha dato una risposta al quesito nel 201416.

Il casoNel 2002 Tizio e Caia avevano costituito in fondo patrimo-niale la casa di abitazione di esclusiva proprietà di Tizio. Suc-cessivamente Tizio, titolare di una ditta di costruzioni edilizie, allo scopo di far fronte ai debiti contratti nell’esercizio dell’im-presa, intende contrarre un mutuo. Le banche chiedono lo scioglimento del fondo patrimoniale e i coniugi nel 2004 addivengono ad uno scioglimento consensuale. Nel 2007 il

pozzi, Milano, 2000, 350 ss. Ed in giurisprudenza, Trib. Foggia 9 giugno 2000, in Riv. not., 2001, 3, 692 ss.

13 Sulla questione della derogabilità dell’autorizzazione, in giurisprudenza vedi: Trib. Milano 17 gennaio 2006, in Riv. not., 2006, 5, 1335; Trib. Brescia 9 giugno 2006, in Riv. not., 2006, 5, 1335; Trib. Milano 29 aprile 2010, in Fa-miglia e Diritto, 2011, 1, 53, con nota di BalDini, Alienazione dei beni del fondo patrimoniale e autorizzazione del giudice. Considerazioni sull’art. 169, 53 ss.; Cass. 4 giugno 2010, n. 13622, in Nuova giur. civ. comm., 2010, I, 1208, con nota di Maione, Fondo patrimoniale, derogabilità convenzionale del regime legale e poteri dei terzi creditori, 1211 ss.

14 La questione della legittimità dello scioglimento convenzionale del fondo patrimoniale ad opera dei coniugi in presenza di figli minori è comunque con-troversa. Si vedano a favore: Tribunale per i minorenni di Venezia, decreto 17 novembre 1997, in Riv. not., 1998, 223, Trib. Venezia, decreto 7 febbraio e Trib. Ravenna, decreto 31 maggio 2001, che ritiene che non occorra alcuna autorizza-zione giudiziale, Trib. Modena, decreto 7 dicembre 2000, in Notariato, 2002, 27. Contrari: Trib. Savona, decreto 24 aprile 2003, in Famiglia e Diritto, 2004, 67, Tribunale per i minorenni dell’Emilia-Romagna, decreto 7 marzo 2001, Corte d’Appello di Bologna, Sez. per i minorenni, decreto 2 ottobre 2001, in Notariato, 2002, 31, secondo cui non può essere autorizzato lo scioglimento consensuale del Fondo Patrimoniale in presenza di figli minori.

15 Cass. Civ., 8 agosto 2014, n. 17811.16 Cass. Civ. 8 agosto 2014, n. 17811, in Banca Dati De Jure.

curatore speciale del figlio minore dei coniugi (già nato nel 2004) nonché del figlio nascituro concepito al momento del-la stipula dell’atto di risoluzione, agisce in giudizio per far dichiarare l’invalidità dell’atto di scioglimento del fondo pa-trimoniale e la cancellazione delle iscrizioni ipotecarie accese sull’immobile.

Il Palazzaccio è intervenuto sulla questione relativa allo scioglimento volontario del fondo patrimoniale, fissando i seguenti principi:

a. “In mancanza di figli, lo scioglimento del fondo patrimo-niale può intervenire anche sulla base del solo consenso dei coniugi”.

b. In presenza di figli minori, poiché la costituzione del fon-do “determina un vincolo di destinazione per il soddisfa-cimento dei bisogni della famiglia (e quindi di tutti i suoi componenti, in essi compresi i figli minori), […] va ravvi-sata in capo ai figli minori una posizione giuridicamente tutelata in ordine agli atti di disposizione del fondo”, che viene individuata nella “legittimazione sostanziale in re-lazione ad atti di disposizione del fondo”. In altre parole, l’atto costitutivo del fondo patrimoniale è un contratto che produce effetti non solo per i contraenti (coniuge ed eventualmente terzo costituente), ma anche nei confronti di terzi (figli) e pertanto, come per sciogliere un contratto a favore del terzo occorre il consenso sia dei contraenti originari sia del terzo, così nel caso di scioglimento di fon-do patrimoniale, se vi sono dei figli, occorre anche il con-senso di costoro. Qualora si tratti di figli minori, essendo i genitori in conflitto di interessi, occorre che all’atto di scioglimento del fondo patrimoniale intervenga un cura-tore speciale, opportunamente autorizzato.

c. Gli stessi principi si applicano anche nel caso in cui, al momento dell’atto di scioglimento del fondo, vi siano dei figli nascituri concepiti: “anche al nascituro deve essere riconosciuta l’attitudine ad essere titolare di diritti, e per-tanto la sua legittimazione sostanziale in relazione ad atti di disposizione del fondo”.

Applicando i principi esposti nella sentenza, è possibile dunque, procedere ad una risoluzione per mutuo consenso dell’atto costitutivo di fondo patrimoniale. All’atto devono in-tervenire necessariamente i coniugi e, se vi sono, i figli nati e nascituri (concepiti) al momento della stipula del mutuo dis-senso. In caso di figli minori o nascituri, essendovi conflitto di interessi tra costoro e i genitori, occorre l’intervento di un curatore speciale appositamente autorizzato.

Qualora nell’atto di costituzione di beni immobili in fondo patrimoniale, si preveda espressamente che, anche in presen-za di figli minori, i coniugi possano concordemente, senza autorizzazione giudiziale, alienare tali beni, il tribunale deve dichiarare il non luogo a procedere in ordine alla richiesta di autorizzazione avanzata da entrambi i coniugi genitori di figli minori17. In ogni caso, il vincolo non cessa e il giudice compe-tente a concedere l’autorizzazione in presenza di figli minori ha il potere ed il dovere di ordinare il reimpiego del bene18.

17 Trib. Verona 30 maggio 2000: “In caso di alienazione di un bene costitu-ito in fondo patrimoniale il giudice competente a concedere l’autorizzazione in presenza di figli minori ha il potere ed il dovere di ordinare il reimpiego”, in Vita notar., 1999, 81, nota di Giletta.

18 Trib. Genova 26 gennaio 1998: “Qualora l’atto di costituzione di beni im-mobili in fondo patrimoniale preveda che, anche in presenza di figli minori, i coniugi possano concordemente, senza autorizzazione giudiziale, alienare tali

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La Cassazione ha individuato nel giudice tutelare il giudice competente ad autorizzare il negozio, e la soluzione è condi-visibile in quanto la risoluzione per mutuo consenso incide sul precedente contratto, ma non produce ritrasferimento di diritti (che farebbe spostare la competenza al tribunale ordi-nario ex art. 375 c.c.).

5. Beni immobili, loro pertinenze ed accessione

Con riferimento ai beni immobili, ci si è chiesti se il vincolo di destinazione imposto in forza di un fondo patrimoniale su un immobile, si estenda automaticamente anche alle sue pertinenze (ad esempio una cantina, un garage esterno all’abi-tazione). Dottrina e giurisprudenza, alla luce di quanto dispo-sto dall’art. 818 c.c., propendono per la soluzione positiva del quesito ed evidenziano che solo una manifestazione espressa di volontà dei costituenti il fondo può sottrarre le pertinenze al vincolo di destinazione19. Diverso è, invece, il caso in cui nel fondo patrimoniale venga conferito un terreno sul quale sia stato successivamente edificato un immobile del quale i coniugi siano divenuti proprietari per accessione. In simile ipotesi, il vincolo di destinazione non si estende automatica-mente alle accessioni del bene principale, non potendosi con-siderare l’accessione un’espansione dell’originario oggetto.

Sarà, dunque, necessaria un’espressa manifestazione di vo-lontà per includere il nuovo immobile nel fondo patrimoniale come pure, sarà necessaria una nuova manifestazione di vo-lontà qualora il bene immobile costruito sul terreno conferi-to in fondo patrimoniale, precedentemente alla convenzione matrimoniale, non sia stato indicato con i suoi estremi cata-stali nell’atto costitutivo del fondo.

6. Il trust

Negli ordinamenti di common law, dove le leggi non sono co-dificate e il ruolo della giurisprudenza è fondamentale per stabilire i comportamenti, gli elementi che connotato il trust sono almeno tre:

1) l’affidamento: quello del disponente che perde la dispo-nibilità dei beni a favore del trustee per effetto del tra-sferimento e quello dei beneficiari di veder rispettato lo scopo del trust;

2) la segregazione: non vi è confusione dei beni o dei diritti nel patrimonio del trustee con la conseguenza che i creditori personali del trustee non possono aggredire i beni in trust.

3) la perdita del controllo sui beni: chi ha istituito il trust perde ogni controllo sui beni e sui diritti trasferiti al trustee.

Come noto, il trust fa ingresso nel nostro sistema giuridico con la ratifica della Convenzione de L’Aja del 1985 (“Legge applicabile ai trusts ed al loro riconoscimento”), senza addur-re alcuna riserva, con la legge 16 ottobre 1989, n. 364, entrata in vigore il 1° gennaio 199220.

beni, il tribunale deve dichiarare il non luogo a procedere in ordine alla richiesta d’autorizzazione avanzata da entrambi i coniugi genitori di figli minori”, in Dir. Famiglia, 2001, 594.

19 auletta, Il fondo patrimoniale, Milano, 1990, 75 secondo il quale il vincolo si estende anche ai beni mobili impiegati per ornamento o migliore sfruttamento di un immobile o mobile registrato. L’A. precisa che, in tal caso, qualora il vinco-lo pertinenziale venga successivamente a cessare, i beni mobili saranno esclusi dal fondo in quanto inidonei per loro natura a formarne oggetto.

20 Per una attenta e compiuta analisi dell’evoluzione giurisprudenziale, vedasi aa.VV., La giurisprudenza italiana sui trust dal 1899 al 2006, Trust, Qua-

L’art. 2 della Convenzione stabilisce che “per trust s’intendo-no i rapporti giuridici istituiti da una persona, il disponente – con atto tra vivi o mortis causa – qualora dei beni siano stati posti sotto il controllo di un trustee nell’interesse di un beneficiario o per un fine determinato”21.

Da tale disposizione, si evince che l’aspetto centrale del trust sta nell’individuare un interesse da perseguire, attraverso una serie di rapporti finalizzati alla realizzazione di quell’interesse.

La Convenzione dell’Aja riconosce soltanto i trusts espressa-mente istituiti, coinvolgenti sempre tre soggetti (il disponente o settlor, il trustee ed il beneficiary o cestui que trust):

– il settlor che trasferisce il bene o il diritto al trust;– il fiduciario o trustee che acquista la proprietà del bene

(ossia, la proprietà tutelata dalla common law);– il beneficiario che acquista la proprietà del bene stesso

(ossia, la proprietà tutelata).E dunque, il settlor o costituente, destina i propri beni in

favore di un terzo beneficiario, decidendo nello stesso tempo che tali beni siano, in esclusiva, amministrati da altro sogget-to, definito trustee22 che non confonde il proprio patrimonio, con i beni del settlor: più semplicemente, egli ha diritto di gestire e disporre nell’interesse del beneficiario, senza però rischiare che i beni del trust siano aggrediti né da creditori propri, né da creditori dello stesso costituente

I beni protetti in trust, pur essendo intestati al trustee, ap-partengono unicamente ai beneficiari, e quindi, in un trust di famiglia, normalmente, ai figli e discendenti, sostanzialmente proprietari del “trust fund”, ai quali spetta il diritto di ritrar-re le utilità da essi ricavabili. I beneficiari dell’affidamento in trust sono i soggetti a vantaggio dei quali va il programma destinatario, sono cioè creditori “garantiti” con un diritto di aspettativa dei beni o diritti affidati.

L’attività del trustee è preordinata alla realizzazione del pro-gramma, così come stabilito dal disponente e la sua obbliga-zione consiste proprio nell’utilizzazione dei beni affidati per la realizzazione del programma stesso.

Il trustee (ma possono esservi anche più trustee) riceve per-tanto, limitatamente a tali beni, un diritto di proprietà tempo-raneo e nell’interesse altrui, diritto che non si collega in alcun modo ad un suo arricchimento o tutela, essendo preordinato ad una diversa destinazione la cui attuazione è rimessa al di-sponente stesso.

Il disponente, nella configurazione classica del trust, perde ogni controllo sui beni che ne formano oggetto, e non è titola-re di alcun diritto nei confronti del trustee: non può chiedere l’esecuzione né interferire sull’operato del trustee tranne che sia egli stesso beneficiario del trust.

Al fine di porre rimedio a ciò e di consentire al disponente di mantenere un controllo sull’attività del trustee, la prassi è ricorsa ad un rimedio: nominare un c.d. protector, il quale è

derni, n. 4, Milano, 2005. Cfr. La giurisprudenza italiana sui trust, in Trusts e att. fid. (Quaderni della rivista Trusts e att. fid.), Milano, 2011. Vedasi anche l’elaborazione, scandagliata secondo argomenti giuridici, di Giovanni Lo Ca-scio, procuratore Generale Ordinario della Corte di Cassazione: lo cascio, La giurisprudenza Italiana sui trust, relazione presentata al III Congresso Nazionale organizzato dall’Associazione “Il trust in Italia”, svoltosi in Roma il 21-23 ottobre 2005, consultabile sul sito Internet dell’Associazione all’indirizzo http://www.il-trust-in-italia.it.

21 L’art. 2 della legge sul Trust della Repubblica di San Marino recita come “si ha Trust quando un soggetto è titolare di beni nell’interesse di uno o più beneficiari o per uno scopo specifico”.

22 Montinaro, Trust e negozio di destinazione allo scopo, Milano, 2004, 13.

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dotato di una serie di poteri che gli consentono di controllare l’operato del trustee.

Il protector è un terzo che ha non solo il potere, ma anche il dovere di impartire istruzioni al trustee, di rimuoverlo nomi-nandone uno nuovo in sua sostituzione o, ancora, di nomina-re altri trustees in aggiunta a quelli già previsti dall’atto istitu-tivo o, infine, per i trusts discrezionali, di integrare la lista dei beneficiari predisposta dal disponente o di indicare, volta per volta, quale dei beneficiari ha diritto all’attribuzione di van-taggi patrimoniali (sotto forma di distribuzione di un reddito o di un bene capitale) che il trust discrezionale prevede.

7. Scioglimento del fondo patrimoniale e confluenza in trust

Per le cose dette, risulta possibile affermare che il trust e il fondo patrimoniale appartengono alla categoria degli stru-menti negoziali che (unitamente al contratto di affidamento fiduciario) realizzano la c.d. separazione patrimoniale” ed in entrambi gli istituti, è ravvisabile un negozio “istitutivo” e un “negozio di trasferimento”.

Per la sua versatilità, il trust si presta ad assolvere a varie finalità, anche se denota la sua massima potenzialità nell’am-bito familiare e nella prassi, si rivela una valida alternativa al fondo patrimoniale nella tutela degli interessi familiari23.

Il Tribunale di Padova con un innovativo decreto del 200824, si è così espresso sul tema: “autorizza i signori A e B a ridurre il fondo patrimoniale costituito in data … Rep … Notaio …, estromettendo dal medesimo i beni immobili analiticamente indicati nel ricorso depositato in data 12 giugno 2008, al sol fine di dotare gli immobili in questione il fondo dell’istituito ‘… Trust’, costituito il … con atto del Notaio …, Rep …”.

Nel 2006 invece, il Tribunale capitolino25 si è espresso in senso contrario, rigettando l’istanza con cui i coniugi avevano chiesto di essere autorizzati a sciogliere il fondo patrimoniale con conseguente svincolo dei beni conferiti, al fine di veico-lare gli stessi in trust.

8. Trust e Amministratore di Sostegno

L’inadeguatezza dei classici strumenti di protezione dei sog-getti incapaci ha reso il trust, capace di sopperire all’esigenza di garantire tutela e interessi dei soggetti “deboli”.

Il concetto di soggetti deboli è qui considerato in senso lato: non solo quindi, quelli per i quali potrebbero ricorrere gli estremi per l’amministrazione di sostegno26, l’interdizione o l’inabilitazione, ossia provvedimenti previsti dal nostro legi-slatore atti a impedire che tali soggetti non si danneggino da

23 Trust e fondo patrimoniale appartengono alla categoria degli strumenti ne-goziali che (unitamente al contratto di affidamento fiduciario) realizzano la c.d. separazione patrimoniale. Nella struttura di entrambi è ravvisabile un negozio “istitutivo” e un “negozio di trasferimento”.

24 Trib. di Padova, decreto 1° settembre 2008, in Trusts e attività fiduciarie, 2009, 19.

25 Trib. di Roma, decreto 9 marzo 2016, in Trusts e attività fiduciarie, 2017, 314.26 L’istituto dell’amministrazione di sostegno è stato introdotto nel nostro

ordinamento con la legge nr. 6 del 9 gennaio 2004 che all’art. 3 ha previsto l’in-serimento del Capo I al Titolo XII del codice civile riguardante gli art. dal 404 al 413, in particolare l’art. 404 rubricato Amministrazione di sostegno così recita: “La persona che, per effetto di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trova nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, può essere assistita da un amministratore di sostegno, nomi-nato dal giudice tutelare del luogo in cui questa ha la residenza o il domicilio”.

sé, ma anche per quei soggetti la cui debolezza va vista non tanto, in una qualche incapacità generalmente e legalmente riconosciuta, ma in quella accezione intesa come attitudine a farsi veicolare da altrui volontà, sia a quei soggetti la cui debo-lezza sta nella sottovalutazione o non giusta considerazione di un sistema di valori comunemente accettati.

Il trust a favore di soggetti deboli è quindi, un trust “protet-tivo” destinato a intervenire nei confronti di quei soggetti che, vuoi per conclamate e croniche incapacità, vuoi per tempora-nee difficoltà, necessitano di un supporto economico e assi-stenziale. Le complessità e le peculiarità legate alle diverse for-me di disagio esistenziale che stanno alla base della debolezza di alcune persone, non sempre trova adeguate soluzioni negli ordinari strumenti giuridici di protezione previsti dal nostro ordinamento. A questo, il trust intende sopperire, proprio per-ché a istituire i trusts a favore di soggetti fragili sono spesso i familiari più stretti, coloro cioè che con questi condividono quotidianamente la loro vita e quindi, in grado di comprendere meglio di chiunque altro, le loro esigenze ed i loro desideri.

Una tale comprensione trasferita nel programma contenu-to nell’atto istitutivo del trust dovrebbe quindi, consentire di garantire ai soggetti deboli un’assistenza nei loro confronti definita sulla base di una conoscenza, quella tra disponente e beneficiario, frutto di un percorso di vita in comune.

Un trust può essere istituito con le stesse finalità con le quali si provvede alla nomina di un amministratore di sostegno.

L’amministratore di sostegno è nominato con decreto del giudice tutelare; tale decreto, disciplinato dall’art. 405 cod. civ. deve contenere inoltre:

– le generalità del beneficiario;– la durata dell’incarico;– dell’oggetto dell’incarico e degli atti che l’amministratore

di sostegno ha il poter di compiere in nome e per conto del beneficiario;

– gli atti che può compiere il beneficiario con l’assistenza dell’amministratore di sostegno;

– limiti in termini di spese che può effettuare l’amministra-tore di sostegno utilizzando le somme a disposizione del beneficiario;

– la periodicità con la quale l’amministratore di sostegno deve riferire al giudice tutelare circa l’attività svolta. Se-condo quanto stabilito dal comma 2° dell’art. 408 del c.c., la designazione dell’amministratore di sostegno può essere revocata dal giudice con le stesse forme di cui al primo comma del medesimo art. 408 c.c., quindi su istanza dei medesimi soggetti che possono richiedere l’istituzione dell’amministrazione di sostegno.

Quello che caratterizza invece, un trust per soggetti deboli e che lo qualifica come tale, sono le caratteristiche soggettive del beneficiario, così come non può esserci amministrazione di sostegno se non c’è soggetto con delle infermità da assistere.

Da un punto di vista della struttura del trust, avremo quindi, il disponente, il cui giudizio in ordine alle caratteristiche psi-co-fisiche del beneficiario è determinante27, una trust company quale trustee, un guardiano scelto tra una persona di fiducia, e il beneficiario cioè, il soggetto che si vuole proteggere28.

27 Quindi, prescindendo da qualunque provvedimento giudiziale accertan-te infermità di carattere psico-fisico e tenendo conto che normalmente, sono i genitori del beneficiario.

28 Assume un rilievo importante ai fini del contenuto dell’atto istitutivo del

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Spesso questi tipi di trusts, i c.d. trusts “Dopo di noi”, di-ventano operativi alla morte del/i disponenti, non mancando però casi di immediata operatività. di solito voluti dal dispo-nente per verificare l’efficacia dello strumento adottato.

Può comprendersi, già da queste prime considerazioni, un’importante conseguenza: il trust può regolare condizioni di disagio più ampie rispetto all’amministrazione di sostegno che è vincolata soggettivamente da quanto stabilito dalla leg-ge, consentendo tra l’altro di tenere riservata la situazione di disagio dell’interessato.

Rimanendo nell’ambito del confronto fra i due istituti e po-nendosi l’obiettivo di stabilire quale dei due sia da preferirsi, si deve tener conto che il trust comporta dei costi per la sua pre-disposizione e gestione e realizzabile in presenza di patrimoni di una certa consistenza. Ma forse, quello che è da privilegiare è il fatto che nel trust può essere il beneficiario stesso, in quan-to disponente, e non un giudice terzo, al quale spetta l’ultima parola, a stabilire discrezionalmente quali saranno le regole, fis-sando programmaticamente l’operatività del trustee sulla base delle proprie attuali e future esigenze. Da questo punto di vista, quindi, la discrezionalità del trustee può essere anche molto ampia, magari anche più ampia di quella attribuita all’ammi-nistratore di sostegno, ma resta il fatto che a determinare tale ampiezza è unicamente il beneficiario. Sotto questo aspetto, appare preferibile la scelta del trust potendo il disponente, in-dipendentemente dal fatto che esso coincida con il beneficiario, anche in maniera dettagliata, fissare quali saranno gli obblighi assistenziali, calibrandoli sulle esigenze del beneficiario29.

Un ulteriore aspetto che rende preferibile il trust riguarda ancora una volta il tema della segregazione patrimoniale: nominare, ad esempio, trustee lo stesso amministrazione di sostegno significa apportare un ulteriore garanzia di tutela a vantaggio del beneficiario, quella cioè dell’intangibilità dei beni destinati ad essere utilizzati per i bisogni dell’assistito30.

Prendiamo, ad esempio, il caso di Caia che in proprio e qua-le amministratore di sostegno del proprio coniuge, trasferisce determinati beni di proprietà dei coniugi stessi al trustee Ma-rio Rossi perché provveda ad amministrarli nell’interesse dei coniugi stessi e del proprio figlio disabile Carletto.

Il trust terminerà alla morte di Carletto ed i beneficiari finali saranno scelti dal trustee tra coloro che “si sono particolarmente distinti nei rapporti relazionali e di assistenza con Carletto”.

L’atto istitutivo può poi prevedere la nomina di un guardia-no e una clausola che consenta al trustee, nel caso di decesso di uno dei disponenti e di azione di un erede legittimario leso nei suoi diritti (ad esempio, un fratello di Carletto), di verifi-care l’effettiva esistenza di una lesione di riserva e di attribuire

trust le diverse casistiche attinenti la situazione del soggetto da proteggere. In particolare la presenza o meno di fratelli, se il beneficiario è coniugato e ha dei figli minori di età.

29 tonelli, Bulgarelli in Trusts e attività fiduciarie, luglio 2010, 378 per i quali “Costituisce un sicuro limite dell’amministrazione di sostegno quello di non consenti-re alla persona pienamente capace, che pensi di non poterlo più essere in futuro, di prevedere espressamente ed autonomamente, ora per allora, in che modo ci si dovrà prendere cura di lei e gli scopi ai quali dovrà essere destinato il proprio patrimonio. La legge che ha introdotto l’amministrazione di sostegno nel nostro ordinamento non prevede, infatti, alcuno strumento con cui chi si prefiguri la propria futura incapacità possa impartire direttive anticipate con le quali indirizzare l’operato dell’amministra-tore e le decisioni del giudice”.

30 Come nel caso in cui a disporre in trust siano i genitori dell’assistito: per essi vi sarà la garanzia di assistenza da parte dell’amministratore di sostegno, in quanto nominato trustee.

parte dei beni in trust ai legittimari lesi.È poi possibile che i due istituti, trust e AdS, si affianchino

così completandosi: il Giudice può nominare per un disabile beneficiario di un trust, un amministratore di sostegno incari-candolo di controllare e vigilare l’operato del trustee31.

9. L’atto di destinazione ex art. 2645-ter c.c. nel diritto di famiglia

L’art. 2645-ter32, introdotto con l’art. 39-novies, d.l. 30.12.2005, n. 273, convertito in legge, con modificazioni, con l. 23 febbra-io 2006, n. 51, disciplina la trascrizione di quegli atti, in forma pubblica, con cui beni immobili o beni mobili registrati sono destinati alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferi-bili ad una vasta gamma di soggetti. La norma, inoltre, precisa che i beni conferiti e i loro frutti possono essere impiegati solo per la realizzazione del fine di destinazione e possono costitu-ire oggetto di esecuzione, salvo quanto previsto dall’art. 2915, comma 1, c.c., solo per debiti contratti per tale scopo.

In ordine alla natura giuridica della norma, una prima tesi, decisamente maggioritaria, ritiene che la norma in commento non si limiterebbe a regolare gli effetti derivanti dalla trascri-zione ma avrebbe introdotto una nuova fattispecie giuridica tipica33, quella dell’atto negoziale di destinazione, la cui causa è quella propria della destinazione dei beni alla realizzazio-ne di interessi meritevoli di tutela, nella quale la trascrizione dell’atto pubblico di destinazione è elemento necessario per la costituzione del vincolo nonché per la perfezione del pro-cedimento di separazione.

Una seconda tesi34 ritiene che l’art. 2645-ter c.c. non con-sente la configurazione di una autonoma fattispecie negoziale “atto di destinazione” imperniata sulla causa destinataria. Si tratta infatti, di una norma “sugli effetti”, in quanto concerne gli effetti di altri singoli negozi ed istituti, a questi comple-

31 Al riguardo, Trib. Roma 26 ottobre 2009, in Trusts e att. fid., 2010, 180 ss.32 Art. 2645-ter c.c.: “Gli atti in forma pubblica con cui beni immobili o beni

mobili iscritti in pubblici registri sono destinati, per un periodo non superiore a novanta anni o per la durata della vita della persona fisica beneficiaria, alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche ai sensi dell’articolo 1322, secondo comma, possono essere trascritti al fine di rendere opponibile ai terzi il vincolo di destinazione; per la realizzazione di tali interessi può agire, oltre al conferente, qualsiasi interessato anche durante la vita del conferente stesso. I beni conferiti e i loro frutti possono essere impiegati solo per la realizzazione del fine di destinazione e possono costituire oggetto di esecuzione, salvo quanto pre-visto dall’articolo 2915, primo comma, solo per debiti contratti per tale scopo”.

33 gentili, La destinazione patrimoniale. Un contributo della categoria generale allo studio delle fattispecie, in Riv. dir. priv., 2010, 55; rossi, Alcune riflessioni sulla nozione di meritevolezza dell’art. 1322 del codice civile. L’art. 2645-ter, in Riv. notar., 2010, 656; Meucci, La destinazione di beni tra atto e rimedi, Milano, 2009, 160; Mastropietro, Profili dell’atto di destinazione, in Rass. dir. civ., 2008, 994; tucci, Fiducie, trust e atti di destinazione ex art. 2645-ter c.c., in Studi in onore di Nicolò Lipari, Milano, 2008, II, 2959; Bartoli, Riflessioni sul nuovo art. 2645-ter c.c. e sul rapporto fra negozio di destinazione di diritto interno e trust, in Giur. it., 2007, 1298; cian, Riflessioni intorno a un nuovo istituto del diritto civile: per una lettura analitica dell’art. 2645-ter cod. civ., in aa.VV., Studi in onore di Mazzarolli, I, Pa-dova, 2007, 83.

34 gazzoni, Osservazioni sull’art. 2645-ter c.c., in Giust. civ., 2006, II, 165 ss., per il quale “la tipizzazione del vincolo di destinazione non ha dato vita ad un nuovo schema reale e nemmeno ad una obbligazione propter rem, la cui trascri-zione, contrariamente a quanto previsto dall’art. 2645-ter c.c., avrebbe dovuto riguardare non già il vincolo in sé, ma l’eventuale patto derogatorio alla sua disciplina legale, che, viceversa, non esiste. La tipicità è dunque solo in funzione della trascrizione del vincolo stesso, che resta meramente obbligatorio, come tale, prima d’ora, insuscettibile nel modo più assoluto di qualsivoglia forma di pubblicità, nemmeno a fini di notizia”; nello stesso senso petrelli, La trascrizione degli atti di destinazione.

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mentari, a cui accede il vincolo di destinazione. La giurispru-denza di merito, che aderisce alla summenzionata tesi, ritiene che dal tenore dell’art. 2645-ter c.c. non si evince in alcun modo la volontà del legislatore di introdurre nell’ordinamen-to un nuovo tipo di atto ad effetti reali, la cui causa è quella finalistica della destinazione del bene alla realizzazione di in-teressi meritevoli di tutela.

In effetti, il legislatore non ha previsto una nuova fattispe-cie negoziale, ma ha inteso invece prevedere e disciplinare un nuovo effetto negoziale destinatorio-separatorio, fissando i requisiti minimi dell’atto di autonomia idoneo a produrlo, senza entrare – volutamente – nel merito della struttura o del-la giustificazione causale di tale atto, che potranno essere le più svariate. D’altro canto, la collocazione della norma all’in-terno del Libro VI del cod. civ. sembra una scelta non casuale.

Alla luce di queste brevi premesse sull’istituto, l’art. 2645-ter c.c. permetterebbe la costituzione di un vincolo nell’inte-resse della famiglia al di là delle ipotesi in cui l’istituto ex artt. 167 ss. c.c. è consentito: a parte l’ammissibilità di un vincolo in favore di un menage di fatto, il conferente potrà, anche in relazione ad una famiglia fondata sul matrimonio, derogare a quanto stabilito dall’art. 171 c.c., stabilendo ad esempio che il vincolo non cessi (ed anzi, questa sarà la regola, atteso il principio che autorizza una durata dello stesso per novanta anni o per tutta la vita della persona fisica beneficiaria) in caso di annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, pur in assenza di figli minori.

Una parte della dottrina35 ritiene che l’istituto ex art. 2645-ter c.c. consenta di accontentare quelle necessità che il fondo patrimoniale non riesce a coordinare: ad esempio, l’atto di destinazione potrebbe acconsentire di estendere l’ambito di applicazione del fondo patrimoniale oltre il limite dei bisogni familiari. Potrebbe, dunque, ipotizzarsi una destinazione vol-ta a soddisfare solo alcuni bisogni della famiglia, e non altri, ovvero anche altri ed ulteriori bisogni, includendovi le obbli-gazioni contratte nell’esercizio dell’impresa familiare o dell’im-presa svolta da uno solo dei coniugi o dei figli. Potrebbe anche prevedersi una categoria di beneficiari più ampia o più ristretta rispetto ai componenti della famiglia nucleare, ad esempio fa-cendo riferimento ai bisogni anche di un fratello unilaterale.

9.1. I vincoli di destinazione ex art. 2645-ter c.c. in sede di accordi di separazioneUn ormai lontano provvedimento del Tribunale di Reggio Emi-lia del 200736 risolve in modo originale la domanda di modifica del verbale di separazione consensuale congiuntamente avan-zata da una coppia di coniugi, giudicando legittimo l’accordo col quale si prevedeva la corresponsione del contributo al man-tenimento dei figli (ex artt. 147 e 148 c.c.) con un trasferimen-to immobiliare una tantum, gravato dal vincolo di cui all’art. 2645-ter c.c. a beneficio dei medesimi, in quanto rispondente all’interesse della prole, anziché con un assegno periodico.

Questo il caso. Una coppia di coniugi adiva il Tribunale per la modifica delle condizioni di separazione, chiedendo, in particolare, la sostituzione della condizione del verbale di separazione consensuale e già omologato che prescriveva

35 Cfr. BellinVia, Destinazione non traslativa e meritevolezza dell’interesse fami-liare: nota a Trib. Reggio Emilia, ord. 12 maggio 2014, in Riv. notar., 2015, II, 1273.

36 Trib. Reggio Emilia Sez. I, 26 marzo 2007 in Banca Dati De Jure.

al marito l’obbligo di contribuire al mantenimento dei figli minori versando alla moglie un assegno mensile (comprensi-vo di spese straordinarie; somma rivalutabile secondo indici Istat), con il trasferimento alla medesima, “in adempimento all’obbligo di mantenimento dei figli minori”, di taluni beni immobili (terreni agricoli e fabbricati) in titolarità del marito per l’intero o in quota del 50%.

Interveniva il Pubblico Ministero.Sentite le parti, il Tribunale osservava che la concorde richie-

sta di modifica non appariva rispondente all’interesse della prole: difatti, l’obbligo di mantenimento dei figli minori, prece-dentemente assunto dal padre con il pagamento di una somma mensile, veniva sostituito nella domanda con il trasferimento alla madre (affidataria della prole) del compendio immobiliare, ma senza alcuna garanzia sulla destinazione dei cespiti e dei loro frutti (naturali e civili) al mantenimento della prole.

Il Collegio suggeriva, pertanto, alle parti l’apposizione su-gli immobili oggetto di trasferimento di un vincolo di desti-nazione, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2645-ter c.c., che consentisse di sottrarre i beni alla libera disponibilità della madre e impegnasse gli stessi al preminente interesse dei figli (peraltro, attenuando il rischio di espropriazione da parte di eventuali creditori); conseguentemente, rimetteva i coniugi innanzi al Giudice Relatore.

All’udienza del 22 marzo 2007 i coniugi modificavano l’ori-ginaria domanda e, previa produzione della documentazione necessaria, insistevano per la modifica consensuale delle con-dizioni della separazione richiesta con ricorso congiunto ex art. 710 c.p.c. e dichiaravano, in adempimento all’obbligo di man-tenimento dei figli minori, di concordare la sostituzione dell’ob-bligo di versare alla moglie un assegno periodico con quello di trasferire dal marito alla moglie taluni cespiti immobiliari.

Contestualmente, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2645-ter c.c., la moglie si obbligava ad impiegare i frutti dei predetti beni immobili per il mantenimento della prole, impegnando-si, altresì, a non alienarli sino al raggiungimento dell’autosuf-ficienza economica del più giovane dei figli.

10. La legge 22 giugno 2016, n. 112

Ed eccoci quindi, dopo un lavoro durato due anni, alla leg-ge 22 giugno 2016, n. 112 (“Disposizioni in materia di assi-stenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare”), subito conosciuta come legge sul “Dopo di noi”, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 22 giugno 2016.

Nel febbraio 2016, la Camera dei Deputati aveva approvato in materia di assistenza per disabili gravi privi di sostegno familiare, il d.d.l. n. 2232.

Il testo era composto di 10 articoli e dedicato all’istituto del trust era l’art. 637 ove, se ne ritrovava la qualifica di strumento giuridico pressoché unico per il raggiungimento della finali-tà di predisporre un programma in favore delle persone con disabilità grave accertata, secondo le modalità di cui all’art. 4 della legge 5 febbraio 1992 n. 10438.

37 Art. 6: “In caso di conferimento di immobili e di diritti reali sugli stessi nei trust di cui al comma 1, i comuni possono stabilire, senza nuovi o maggio-ri oneri per la finanza pubblica, aliquote ridotte, franchigie o esenzioni ai fini dell’imposta municipale propria per i soggetti passivi di cui all’articolo 9, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23”.

38 Art. 4. Accertamento dell’handicap: 1. “Gli accertamenti relativi alla mi-norazione, alle difficoltà, alla necessità dell’intervento assistenziale permanente e

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Le finalità della legge sono espresse chiaramente dall’art. 1 della legge39:

Va sin d’ora anticipato come la “legge sul dopo di noi” sem-bri contenere delle norme non solo fiscali, ma soprattutto so-stanziali, contemplando e per certi versi aggiungendo figure già conosciute, come i vincoli di destinazione ex art. 2645-ter c.c., ovvero introducendone delle nuove conosciute, come il trust o poco sconosciute come il contratto di affidamento fi-duciario, sebbene inizino ad essere applicate nella prassi da alcuni Tribunali.

L’opinione generale è stata di apprezzamento nel vedere ri-conosciuto il trust40 quale soluzione esclusiva e privilegiata per il sostegno e la protezione dei disabili soli. Forse, si poteva immaginare un futuro senza vincoli di destinazione.

Ma in fase di approvazione definitiva, dopo il passaggio al Senato, l’unicità del trust è stata ridimensionata e nell’attuale testo di legge, vi sono altre forme di protezione a beneficio del disabile grave, come ad esempio, l’articolo 2645-ter c.c. e il contratto di affidamento fiduciario.

Lo stesso art. 2645-ter cod. civ., pur nella sua assai discutibile formulazione, costituisce un elemento importante per consoli-dare l’esperienza fino ad ora raccolta e per consentire il legitti-mo soddisfacimento di esigenze dei privati, meritevoli di tutela, che difficilmente può essere realizzato con diverse strategie giu-ridiche. E ciò in quanto le lacune legislative, riscontrate nella norma in esame, possono essere colmate dalle tecniche ormai consolidate nel settore dei trust41. La scelta legislativa non ha tenuto in adeguata considerazione l’orientamento della giuri-sprudenza di merito concorde nel riconoscere che il progetto di vita della persona con disabilità, è un diritto esigibile perfet-tamente compatibile con lo strumento del trust42.

alla capacità complessiva individuale residua, di cui all’articolo 3, sono effettuati dalle unità sanitarie locali mediante le commissioni mediche di cui all’articolo 1 della legge 15 ottobre 1990, n. 295, che sono integrate da un operatore sociale e da un esperto nei casi da esaminare, in servizio presso le unità sanitarie locali”.

39 “1. La presente legge, in attuazione dei princìpi stabiliti dagli articoli 2, 3, 30, 32 e 38 della Costituzione, dagli articoli 24 e 26 della Carta dei diritti fonda-mentali dell’Unione europea e dagli articoli 3 e 19, con particolare riferimento al comma 1, lettera a), della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle per-sone con disabilità, fatta a New York il 13 dicembre 2006 e ratificata dall’Italia ai sensi della legge 3 marzo 2009, n. 18, è volta a favorire il benessere, la piena inclusione sociale e l’autonomia delle persone con disabilità. 2. La presente legge disciplina misure di assistenza, cura e protezione nel superiore interesse delle persone con disabilità grave, non determinata dal naturale invecchiamento o da patologie connesse alla senilità, prive di sostegno familiare in quanto man-canti di entrambi i genitori o perché gli stessi non sono in grado di fornire l’adeguato sostegno genitoriale, nonché in vista del venir meno del sostegno familiare, attraverso la progressiva presa in carico della persona interessata già durante l’esistenza in vita dei genitori. Tali misure, volte anche ad evitare l’isti-tuzionalizzazione, sono integrate, con il coinvolgimento dei soggetti interessati, nel progetto individuale di cui all’articolo 14 della legge 8 novembre 2000, n. 328, nel rispetto della volontà delle persone con disabilità grave, ove possibile, dei loro genitori o di chi ne tutela gli interessi. Lo stato di disabilità grave, di cui all’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, è accertato con le modalità indicate all’articolo 4 della medesima legge. Restano comunque salvi i livelli essenziali di assistenza e gli altri interventi di cura e di sostegno previsti dalla legislazione vigente in favore delle persone con disabilità”.

40 La Convenzione dell’Aja ha rimosso gli ostacoli di principio, che potevano rendere problematica in Italia l’applicazione di leggi straniere disciplinatrici dei trust. Tali leggi possono oggi trovare applicazione anche al di là della Convenzio-ne: si ha un diverso apprezzamento del fenomeno della separazione e della se-gregazione dei patrimoni e si è imposta una più bilanciata lettura del importante art. 2740 cod. civ. e della configurazione del patrimonio del soggetto giuridico.

41 Gli “atti di destinazione” nel nuovo art. 2645-ter cod. civ. quale frammento di trust, in Riv. not., 2006, 172.

42 Si segnala la sentenza del Tribunale di Ancona del 30 maggio 2016 n. 893 con cui il giudice di prime cure, Dott.ssa Dorita Fratini, con sentenza 893/2016,

Le misure previste dalla legge 112/16 si aggiungono ai livelli essenziali di assistenza e agli altri interventi di cura e soste-gno previsti dalla legislazione vigente43 in favore delle persone con disabilità che non derivi da invecchiamento o comunque, connessa con l’avanzare dell’età anagrafica, quando siano pri-vi di alcun sostengo familiare perché:

1) mancano entrambi i genitorioppure2) i genitori seppur ancora in vita non siano in grado di

provvedereoppure3) è necessario provvedere per “il dopo di noi” cioè, quando

i genitori non saranno più in vita.

Raffronto tra trust e vincolo di destinazione nel “DOPO DI NOI”

TRUST Vincoli di destinazione

Oggetto Riguarda qualsiasi bene (partecipazioni societarie, denaro, investimenti finanziari, altro)

Riguarda beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri

Benivincolati

Il fondo può essere incrementato con successivi apporti

Non sono possibili apporti successivi

Forma La legge 112/2016 prevede espressamente l’atto pubblico.

La legge 112/2016 prevede espressamente l’atto pubblico già previsto dall’art. 2645-ter c.c.

Momento della cessazione del vincolo

Nel trust, cessato il vincolo, i beni tornano al disponente o sono trasferiti ad un soggetto diverso da quello in favore del quale sono stati vincolati.

Il conferente non perde la proprietà, ma la destina per un tempo determinato e, conseguentemente, al termine del vincolo riacquista la materiale disponibilità senza necessità di alcun ritrasferimento della proprietà.

ha accolto la domanda del Sig. Pietrangeli Giulio di Fabriano, presidente di Anf-fas Onlus Fabriano e padre di Mirco, ragazzo con disabilità, a cui il Comune di Fabriano aveva negato, in dispregio del suo progetto individuale, la frequenza ad un servizio educativo diurno, visto che già risultava fruitore di un servizio residenziale, tentando quindi di modificare unilateralmente e per soli motivi economici quanto previsto dal progetto stesso. Il giudice, dopo aver disposto una consulenza medico-legale, volta ad individuare la congruità del progetto individuale rispetto alle esigenze di Mirco e all’efficacia degli interventi in esso previsti, ha quindi riconosciuto il diritto soggettivo di Mirco a mantenere il pro-getto individuale già approvato ed attuato negli anni 2009-2010 e, quindi, il diritto a mantenere la frequenza congiunta del centro residenziale e del centro diurno, nel rispetto del rapporto 1 assistito/1 educatore. Tutto ciò anche in virtù del percorso già intrapreso, rivelatosi decisamente proficuo e la cui sospensione si sarebbe rivelata addirittura dannosa per la persona stessa, garantendo, quindi, il superiore benessere di Mirco e l’efficacia degli interventi a suo favore. Allo stes-so tempo, è stata respinta la domanda del Comune di Fabriano volta ad ottenere dal sig. Pietrangeli Giulio il pagamento di somme a titolo di compartecipazione ai costi di gestione del centro diurno, come se la frequenza di questo secondo servizio fosse riconducibile ad una sua scelta arbitraria e non determinata dalle reali esigenze già indicate nel progetto individuale.

43 Per rispondere praticamente e rapidamente alla indicazione di legge, Unione Fiduciaria ha costituito con persone fisiche, enti assistenziali e istituti di credito la “Fondazione Lombarda Affidamenti”.

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Si va sempre più diffondendo la convinzione per cui, quando la coppia genitoriale si separa, possa soprassedersi alla pre-visione di un contributo al mantenimento dei figli che l’un genitore debba eventualmente1 corrispondere all’altro, sulla scorta dell’asserita adeguatezza e sufficienza del mantenimen-to c.d. diretto a far fronte alle esigenze della prole, a prescin-dere dalla sua rispondenza al principio di proporzionalità; e che, quando detto contributo risulti necessario, esso vada comunque determinato in ragione delle esigenze dirette dei figli, vale a dire delle voci di spesa che risultino loro diretta-mente imputabili. È pure in corso un progressivo (e in par-te pericoloso, stanti le minori garanzie che assistono i due diversi titoli2) svuotamento dell’assegno mensile forfettario a vantaggio della previsione, sempre più analitica3, delle spese “straordinarie”, di cui – spesso irragionevolmente – si onera-no in pari quota i due genitori.

L’una e l’altra tendenza si spiegano facilmente, atteso che spesso agevolano il reperimento di accordi separativi, favo-rendo la degiurisdizionalizzazione degli inerenti rapporti; del pari, i provvedimenti emessi sulla scorta di tali premesse sono meno frequentemente contestati e più volentieri rispettati, con risultati deflattivi del contenzioso indubbiamente apprez-zabili4. Ciò in quanto il genitore onerato del contributo, più spesso il padre, accetta di miglior grado soluzioni che da un lato comportino esborsi periodici ridotti, dall’altro gli diano l’impressione di non essere estromesso dalle decisioni che ri-guardano la vita dei figli (spesso le spese c.d. straordinarie riguardano le attività formative extrascolastiche o sportive, oppure le cure mediche necessarie alla prole).

Chi scrive ritiene però che, sebbene siano apprezzabili gli sforzi volti ad agevolare il veloce e stragiudiziale reperimento di accordi tra genitori che riguardino i figli, sia necessario non perdere di vista il perseguimento dell’interesse di questi ulti-mi5: i quali, non ancora dotati dall’ordinamento di una figura che ne tuteli autonomamente le ragioni né nel processo né,

1 Eventualmente, vale a dire se non ricorrano le condizioni – invero piutto-sto eccezionali – previste dalla legge per prescindere dalla statuizione sul punto: pari reddito e simili possibilità economiche dei due genitori, affidamento “pari-tetico” della prole a ciascuno di essi.

2 Va però evidenziato il confortante e recente indirizzo della giurisprudenza di legittimità, che con pronunce sempre più articolate e puntuali (Cass. civ. sez. VI, n. 12013 del 10 giugno 2016; Cass. civ. sez. VI, ord. n. 16175 del 30 luglio 2015 e Cass. civ. sez. I, n. 19607 del 26 settembre 2011) afferma la rimbor-sabilità delle spese c.d. straordinarie anche in difetto di previa concertazione, se compatibili (ecco un’altra applicazione del principio di proporzionalità del mantenimento dei figli alle risorse dei genitori) con il reddito e le sostanze del genitore tenuto al rimborso.

3 Vedansi i numerosissimi protocolli di cui, negli anni più recenti, si sono dotati i Tribunali di (quasi) tutta Italia, coronati infine (!) dalle linee guida ema-nate di recente dal CNF.

4 Pur secondo un metro, come si andrà a sottolineare, piuttosto superficiale.5 Ex multis, art. 337-ter c.c.: “Il giudice adotta i provvedimenti relativi alla

prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa”.

tantomeno, nel corso delle trattative o delle negoziazioni assi-stite che tale processo scongiurino, vedono spesso pretermes-si non solo il loro punto di vista, ma, assai più gravemente, le loro legittime aspettative e i loro diritti.

È quindi necessario esaminare le norme che riguardano il dovere contributivo dei genitori per verificare se esso possa effettivamente esaurirsi nel “mantenimento diretto” (vale a dire possa dirsi adempiuto semplicemente facendo fronte ai costi direttamente imputabili ai figli: vitto, vestiario, traspor-to, utenze, costo delle attività sportive ed extrascolastiche, spese mediche e poco altro) o se esso vada determinato anche in ragione di altri concomitanti fattori (costi abitativi, tempi di cura, tenore di vita goduto dalla prole nel corso della con-vivenza genitoriale, aspettative legate alle possibilità patrimo-nial-reddituali dei genitori: in una parola, proporzionalità del contributo alla capacità di lavoro e alle sostanze dei genitori). Va in sintesi valutato se il principio di proporzionalità nella sua accezione tradizionale – secondo il quale per determina-re il quantum del contributo economico riservando alla prole andrebbe operata una valutazione complessiva delle risorse (sostanze, capacità di lavoro professionale e domestico) dei genitori per indurne la misura di quelle che ciascuno di essi destinerà al mantenimento, all’educazione, all’istruzione, al-l’“armonico sviluppo” della prole – sia derogabile o no.

Chi sostiene che il contributo al mantenimento dei figli sia assolto con il pagamento delle sole voci di costo loro diretta-mente imputabili, fa essenzialmente e piuttosto faticosamente leva – disconoscendo la portata sistematica delle norme ge-nerali (artt. 147, 148, 315 c.c.) – sulla lettera dell’art. 337-ter c.c., scindendolo da quelle. L’art. 337-ter c.c. viene consi-derato – giusta la lettera dell’art. 337-bis che, precedendolo, recita “in caso di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, nullità del matrimonio e nei procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio si applicano le disposizioni del presente capo” – norma speciale, dettata dal legislatore per regolare la specifica situazione separativa, verificandosi la quale non si darebbe la ricostruzione sistematica che fa perno sugli artt. 315 ss. e, soprattutto, 147 e 148 c.c., che vengono ritenute disposizioni riferite alla sola convivenza genitoriale.

Se ne darebbe che il principio di proporzionalità, necessario in costanza di convivenza genitoriale, non lo sarebbe più pro-prio quando, con la crisi separativa, si fa più grave il rischio che i figli subiscano un impoverimento in conseguenza degli attriti verificatisi tra i genitori. Il principio di proporzionalità perderebbe forza proprio nel momento in cui più potrebbe tutelare le ragioni dei figli, per agevolare il reperimento di equi accordi tra genitori con dissimili capacità reddituali e di conseguenza non simmetrica forza contrattuale, che hanno forte probabilità – ove non sia sottolineata la forza di quel principio – di sfociare in patti a tutto danno delle parti sen-za o con il minor reddito, spinte ad accettare accordi poco

LA FUNZIONE PEREQUATIVA DEL CONTRIBUTO AL MANTENIMENTO PER I FIGLIROBERTA RUGGERIAvvocato in Vicenza e Rappresentante della Sezione di ONDiF di Vicenza

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rispondenti alla situazione in fatto e all’interesse dei figli ma comunque preferibili ad annose e dannose, quanto difficil-mente satisfattive, vertenze giudiziarie.

Tornando alla lettera della norma: il quarto comma dell’art. 337-ter c.c. recita: “Salvo accordi diversi liberamente sotto-scritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mante-nimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di propor-zionalità, da determinare considerando:

1) le attuali esigenze del figlio.2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di conviven-

za con entrambi i genitori.3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore.4) le risorse economiche di entrambi i genitori.5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura as-

sunti da ciascun genitore”.Nell’esegesi proposta dai sostenitori del mantenimento di-

retto, tale norma (per tale considerandosi il dispositivo del comma, nemmeno dell’intero articolo) viene letta dando pe-culiare enfasi alla previsione – che viene effettivamente det-tata quale ipotesi primaria, ma nel senso di ideale – per la quale “ciascun genitore provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito”; intendendosi invece come del tutto residuale (“ove necessario”), anziché enunciativa di fattispecie statisticamente assai più frequenti sebbene (e proprio perché) non ideali, l’ipotesi in cui il giu-dice debba, per “realizzare il principio di proporzionalità” (pur esplicitamente riaffermato), stabilire la corresponsione di un assegno periodico. A parere di chi scrive, l’interpreta-zione sistematica – vale a dire logicamente ordinata – anche del solo art. 337-ter c.c. (e ancor più ove esso sia ricondotto alle norme che disciplinano il dovere contributivo dei genitori verso i figli in generale) impone la previsione di un assegno nella quasi totalità dei casi: con la sola esclusione di quello (invero assai raro) in cui i genitori si occupino in modo effetti-vamente paritetico dei figli (mentre spesso la gran parte delle incombenze organizzative ricadono, anche dopo la vicenda separativa, sulle madri, nonostante negli accordi di separazio-ne si dettino spartizioni minuziose dei giorni per settimana che ciascuno dei genitori trascorrerà con i figli, spesso per evitare collocamenti pregiudizievoli alla libera disponibilità della casa già coniugale), percepiscano pari reddito e godano di pari sostanze.

Con altro salto logico, che pure non considera la ricostru-zione sistematica dell’obbligo contributivo dei genitori verso i figli, si interpreta la proporzionalità del mantenimento al reddito del genitore come misura relativa a quello erogato dal genitore medesimo nel tempo trascorso dai figli presso di lui; e non come criterio volto a individuare un assetto globale, complessivo, già familiare, il cui minimum deve essere garan-tito anche quando i figli stiano con l’altro genitore. La collo-cazione delle risorse economiche e della valenza economica del lavoro domestico e di cura di entrambi i genitori, nonché del tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza genitoriale, tra i parametri alla stregua dei quali va commisu-rato un contributo economico in tesi solo eventuale è motivo sufficiente, per i sostenitori del mantenimento diretto, per prettermetterne la valenza di criteri generali di determinazio-ne del mantenimento (necessariamente) dovuto.

Si ha quindi un doppio ridimensionamento del dovere con-tributivo verso i figli a ridosso della vicenda separativa: da un lato, di esso si dice (traendosi deboli argomenti da una lettura infine superficiale e non organica della norma) che debba es-sere prioritariamente6 adempiuto da ciascun genitore in via diretta, vale a dire adoperandosi personalmente e sostenendo direttamente le spese necessarie per i figli, senza versare som-me nelle mani dell’altro genitore (“ciascun genitore provve-de”); dall’altro si ridimensiona il principio di proporzionalità, inteso, dopo la vicenda separativa, come facente capo singo-larmente alle sfere di ciascuno dei due genitori, considerate autonomamente e non complessivamente7, oltre che riferito al solo reddito e non anche alle sostanze tutte del soggetto onerato. Si considera conseguentemente residuale e per nul-la necessaria la previsione di un contributo economico che l’un genitore debba versare all’altro (il singolo genitore dovrà provvedere al mantenimento diretto con modalità proporzio-nate al proprio livello di reddito), senza dare il giusto rilievo ai criteri indubbiamente perequativi (vale a dire tesi ad equili-brare le condizioni esistenziali dei due genitori nello specifico interesse dei figli, che diversamente sarebbero ostacolati nel realizzare il loro diritto alla bigenitorialità) pur espressamente elencati dalla norma.

Viene inoltre travisato il senso del “salvo accordi diversi li-beramente sottoscritti dalle parti”: che deve invece leggersi, in ragione della inderogabilità del principio di proporzionalità sancita anche nel secondo comma del medesimo art. 337-ter c.c.8, nel senso che i genitori, se vogliono, possono prevedere di contribuire al mantenimento dei figli in misura ulteriore rispetto a quella determinabile in base al principio di pro-porzionalità e alle sue concrete articolazioni (art. 337-ter co. 4, nn. 1-5 c.c.); non certo in misura inferiore (come sarebbe se il contributo erogando fosse limitato alle spese correnti) o comunque in contrasto con esso. Tanto è vero che è previsto l’intervento del giudice (anche in riguardo degli accordi inter-venuti tra i genitori9) a che sia realizzato quel principio, che va quindi ritenuto indefettibile e inderogabile, nell’interesse dei figli.

E proprio dal principio di proporzionalità unitariamente considerato (come la stessa lettera dell’art. 337-ter c.c.10 per-mette di fare, riproponendo esplicitamente e specificamente i criteri che altre norme sanciscono e l’elaborazione giurispru-denziale ha via via individuato per determinarne la portata concreta) si deve partire per affermare la natura prettamente e necessariamente perequativa dell’assegno di contributo al mantenimento dei figli, attraverso una lettura che si ponga

6 O esclusivamente, ove si “riesca” ad ottenere un affido paritario, spesso disorientante e addirittura dannoso per figli che individuino in uno dei genitori la figura di attaccamento primario.

7 E quindi ciascun genitore dovrebbe mantenere i figli proporzionalmente al proprio reddito solo quando essi stiano presso di lui.

8 Il giudice “prende atto, se non contrari all’interesse dei figli, degli accor-di intervenuti tra i genitori”: la non contrarietà all’interesse dei figli non può che conseguire ad accordi che riconoscano il loro diritto a vedersi destinate – in ossequio al generale principio di proporzionalità – risorse maggiori (quelle determinate in ragione del principio di proporzionalità) e non minori (quelle destinabili per mantenimento diretto); rimettendosi poi ai genitori – quelle sì liberamente – le modalità effettivamente sostenibili con le quali spartire tra di loro il corrispondente obbligo),

9 In continuità logico-sistematica con la disposizione che riserva al giudice della separazione o del divorzio la possibilità di rifiutare l’omologa ai patti tra coniugi che non rispettino l’interesse dei figli.

10 Co. 4, lett. 1-5.

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come effettiva ed efficace garante dell’“interesse morale e ma-teriale” di questi ultimi.

È l’aspettativa dei figli di continuare a beneficiare del tenore di vita goduto in costanza di convivenza genitoriale a porsi come vero criterio discretivo del loro miglior interesse11, che va perseguito onerando i genitori di contribuire in modo al-meno tendenzialmente proporzionale e comunque analogo – fatte le necessarie ponderazioni in ragione dei maggiori costi che la famiglia separata comporta – a quanto facevano prima della crisi familiare, sia in riguardo all’apporto economico che a quello domestico. Ove – come spesso accade – la crisi sepa-rativa comporti la necessità di rivedere tali modalità, ai figli deve essere garantita una tendenziale continuità esistenziale, sia quanto alla loro collocazione che alle opportunità di “ar-monioso sviluppo” di cui potevano fruire prima della rottura familiare: devono quindi essere loro assicurati i mezzi che le sostanze e il lavoro dei genitori (professionale e domestico, e la combinazione dei due) complessivamente consentono, oltre al mantenimento diretto. E deve essere assicurata loro una tendenziale uniformità del tenore di vita goduto presso ciascuno dei genitori, ciò che la funzione perequativa del con-tributo (vale a dire la sua funzione di attuare il principio di proporzionalità) specificamente impone e consente12.

Parimenti perequativa è la funzione che il contributo al mantenimento è chiamato ad assolvere quando si tratti di remunerare (ma sarebbe forse più appropriato dire “conver-

11 Corte d’appello di Venezia, 5 febbraio 2018, n. 274: “anche il parametro dell’indipendenza economica, espressamente previsto per i figli maggiorenni dall’art. 337-septies c.c. e richiamato nelle recenti decisioni della Corte di Cas-sazione, non rimane insensibile alla legittime aspettative del figlio, all’indirizzo educativo, al livello di istruzione e, in ultima analisi, al livello di benessere offer-to dalla famiglia d’origine”.

12 Così Trib. Milano, sez. IX civ., 3 novembre 2014, rel. Buffone; confermato da Corte d’appello di Milano, 11 agosto 2014, est. Lo Cascio; Trib. Milano, sez. IX civ., 15 luglio 2015, est. Rosa Muscio

tire”) il lavoro domestico (e di cura dei figli), spesso espletato dalle madri, che vedono corrispondentemente diminuire le loro possibilità di occupazione, carriera, progressione sala-riale, aspetti questi spesso considerati poco importanti da entrambi i genitori prima della crisi familiare. Omettere la considerazione dei dati italiani in punto condizione lavora-tiva e familiare femminile significa applicare in modo ideali-stico la legge sull’affido condiviso, e segnatamente di quello c.d. paritario13, che pretende invece concretezza; d’altro canto è indubbio che la maggiore collaborazione dei padri potrà comportare un progressivo riequilibrio dei ruoli. Non può però darsi per scontato, a tutt’oggi, che tale riequilibrio, che presuppone da un lato l’inserimento o il pieno reinserimen-to lavorativo di casalinghe o lavoratrici precarie o part time, dall’altro l’effettiva ridiscussione dei ruoli familiari già in co-stanza di convivenza genitoriale, sia oggi già attuale, a portata di mano o di facile attuazione: l’interprete dovrà perciò farsi carico, nel regolare o suggerire la disciplina della crisi separa-tiva, di tali evidenti asimmetrie, ponendovi rimedio attraverso lo strumento che più si presta, per derivare la sua funzione da un principio inderogabile (la proporzionalità del contri-buto al mantenimento per la prole alle capacità reddituali, economiche, di lavoro domestico dei genitori), a fungere da elemento di bilanciamento nella crisi separativa, con valenza tutelante l’interesse dei figli.

13 In relazione al quale molte sono le perplessità – in riguardo al suo effettivo integrare il miglior interesse dei figli – anche in sede internazionale: cfr. Caring for children after parental separation. Would legislation for shared parenting time help children?, University of Oxford, Department of Social Policy and Intervention, Family policy briefing 7, May 2011; l’Australia ha nel novembre 2011 riconside-rato la propria legge sull’affido condiviso (2006), che originariamente prevedeva la soluzione di affido c.d. paritetico come quella da assumere quasi automati-camente; con la novella sono state apportate modifiche significative dovute alla considerazione delle ricadute negative del c.d. tempo paritetico dei figli presso ciascuno dei genitori (“equal time”) non solo nei casi di violenza domestica pre-gressa ma anche nei casi di alta conflittualità tra i genitori dopo la separazione.

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La Convenzione dell’Aja del 1980 sulla sottrazione interna-zionale dei minori promuove la ricerca di soluzioni amiche-voli della controversia.

All’art. 7 stabilisce che le Autorità centrali devono “prendere provvedimenti necessari… per assicurare la consegna volon-taria del minore, o agevolare una composizione amichevole”, e viene ripetuto nell’art. 10 “l’autorità centrale dello Stato in cui si trova il minore prenderà o farà prendere ogni adeguato provvedimento per assicurare la consegna volontaria”.

La settima conferenza europea sul diritto di famiglia tenutasi a Strasburgo il 16 marzo 2009, ha avuto come tema centrale la “Mediazione Familiare Internazionale”1.

Sono state messe a confronto realtà diverse di alcuni Stati d’Europa e del mondo, fissando come obiettivo principale la elaborazione di punti comuni per promuovere nuove forme di risoluzione dei conflitti familiari

Durante la conferenza, vi sono stati molti autorevoli inter-venti, tra i quali, Lisa Parkinson, mediatrice familiare, la quale ha affermato che “la mediazione familiare non è una bacchetta magica, ma può essere efficace, rapida e ed incentrata sugli interessi del bambino”, la Jan Kleijessen, direzione generale dei diritti dell’uomo del Consiglio d’Europa, ha incitato gli Stati a “far conoscere le buone prassi in materia di mediazio-ne familiare, rafforzare ed armonizzare la cooperazione pre-stando particolare attenzione alla formazione dei mediatori familiari; valutare le possibili sinergie tra le organizzazioni”. Sonia Alles, Cassa dei sussidi familiari del basso Reno, ha evidenziato che “nelle separazioni tra coppie miste, occorre-rebbe prevenire il rischio della sottrazione dei minori con la mediazione familiare e che la conduzione della mediazione familiare dovrebbe essere fatta da una donna e da un uomo di diversa nazionalità con competenze giuridiche e psicologi-che, per accompagnare i genitori nella loro nuova e singolare condizione di famiglia bi-inazionale separata, valorizzandone responsabilità ed autonomia, e promuovendo la fiducia reci-proca, elemento base per consentire la libera circolazione tra loro dei figli minori”. Sullo stesso convicimento, Sibille Kie-sewetter, psicologa e mediatrice familiare, ha sostenuto che “i mediatori familiari devono rispecchiare le caratteristiche bi-nazionali dei genitori”. Infine, Jelena Arsic, giurista della ex Jugoslavia, ha affermato che “parecchie sono le difficoltà che la mediazione familiare incontra, ovvero, i mediatori locali non sempre sono consapevoli della necessità di adottare per le coppie multietniche un approccio diverso da quello impie-gato per quelle multietniche, a ciò si aggiunge la riluttanza

1 www.coe.int/t/e/legal_affair/legal_cooperation/family_law_and_children_rights/conferences.

dei giudici a sottomettere i casi di sottrazione dl minore alla mediazione familiare”.

Olga A. Khazova, esperta di diritto di famiglia appartenente alla accademia russa delle scienze, “la mediazione presup-pone un certo livello dia autonomia, libertà e responsabilità personale, oltre al rispetto di sé e dell’altro, e l’esistenza di una società tollerante, valori che in Russia devono ancora svi-lupparsi a causa del persistere di forti stereotipi tradizionali-patriarcali nelle famiglie”2.

I vantaggi offerti dalla mediazione familiare internazionale sono stati avvalorati e difesi nell’ultimo incontro governativo del Consiglio dell’Unione europea sul “International family mediation in cases of International child abduction” tenutosi in Bruxelles in data 14 ottobre 2010.

Durante i lavori, si è ribadito che la mediazione familiare può rappresentare un efficace metodo per risolvere i conflitti familiari nelle controversie di sottrazione di minori. La me-diazione spinge liberamente le parti a trovare delle soluzioni equilibrate nell’interesse dei minori, e, perché volontariamente concordate, destinate a durare più a lungo nel tempo. Per tali motivazioni, si sono invitati gli Stati membri a potenziare la normativa relativa alla sottrazione internazionale dei minori, valorizzando l’intervento della mediazione familiare, facendo progetti e incoraggiando degli specifici training per diventare mediatori familiari, invitando gli Stati a sostenere con fondi progetti in merito alla sensibilizzazione della mediazione fami-liare internazionale, creando anche un network tra gli Stati per facilitare cooperazione in materia, ed inserendo nelle proprie normative, argomenti relativi alla mediazione familiare.

Nella riunione tenuta dal 31 marzo al 2 aprile 2009, il Consi-glio per gli affari generali e le politiche della Conferenza dell’Aja di diritto internazionale privato, ha autorizzato, nel contesto del processo di Malta, l’istituzione di un gruppo di lavoro per promuovere la creazione di strutture di mediazione allo scopo di contribuire alla risoluzione delle controversie familiari tra-sfrontaliere riguardanti l’affidamento dei minori o i contatti con i minori, fra cui i casi di trasferimento unilaterale di un minore in un altro Stato che non ha aderito alla Convenzione dell’Aja del 1980 ed alla Convezione dell’Aja del 1996.

La mediazione nel caso delle controversie familiari interna-zionali ha alla base i criteri della mediazione classica, come il libero consenso delle parti, la neutralità, l’imparzialità e la ri-servatezza dei mediatori, ma è molto più complessa e richiede ai mediatori criteri addizionali ed aggiuntivi rivolti ad assister la coppia in un contesto trasfrontaliero.

2 KleiM, The work of the European Parliament Mediation office, Secretariat of European Parliament.

LA MEDIAZIONE FAMILIARE NEI PROCEDIMENTI DI SOTTRAZIONE INTERNAZIONALE DEI MINORIGIOVANNA BARCAAvvocato in Santa Maria Capua a Vetere

MARZIA GHIGLIAZZAAvvocato in Milano

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L’interazione tra due sistemi giuridici, culture e lingue di-verse rende la mediazione più difficile in tali casi: i mediatori coinvolti devono tener presente che nei casi di sottrazione internazionale di minori, vi sono diversi fattori di rischio. Le parti non sempre comprendono che il trasferimento trasfron-taliero di persone, da esse accettato nell’eventuale accordo, può comportare un cambiamento della loro situazione giu-ridica: ovvero, il cambiamento della residenza abituale del minore può influire sulla giurisdizione e sulla legge applica-bile per quanto riguarda l’affidamento dei figli e quindi sulla valutazione giuridica dei diritti e dei doveri delle parti. Così come la circostanza che gli incontri sono spesso caratterizzati da livelli elevati di tensione tra le parti: il genitore che ha su-bito la sottrazione, spesso in stato di shock per l’improvvisa perdita, può essere motivato dalla paura di non rivedere più il figlio, mentre il genitore responsabile della sottrazione, quan-do si rende conto delle conseguenze della sua azione, può avere paura di un eventuale provvedimento giudiziario, di un ritorno forzato e dei possibili effetti negativi sul procedimento relativo all’affidamento.

C’è da precisare che devono essere previste tutele e garanzie per evitare che il ricorso alla mediazione comporti uno svan-taggio giudiziale o processuale per una delle parti.

Ad esempio, il ricorso alla mediazione nei casi in cui esista un problema di violenza domestica deve essere valutato con molta attenzione. È necessaria un’adeguata formazione per poter valutare l’idoneità di un caso per la mediazione. Non bisogna mettere a repentaglio la vita e la sicurezza delle perso-ne. Qualora il ricorso alla mediazione sia opportuno la stessa deve essere condotta da mediatori esperti che hanno ricevuto una formazione specifica per svolgere una mediazione in tali circostanze3.

Un’altra problematica per la mediazione cross border è la di-stanza geografica tra le parti. La distanza tra le parti ed i costi di viaggio possono influire sull’organizzazione pratica delle sessioni di mediazione. Anche se i mediatori preferiscono una mediazione face to face che faccia comprendere anche attraver-so lo studio dei movimenti e le espressioni del viso delle parti le loro emozioni e stati d’animo da utilizzare per una buona riuscita del processo di mediazione, è ovvio che i mezzi di co-municazione moderni come i video collegamenti o la comuni-cazione tramite internet possono essere utili alla mediazione.

Le questioni dei visti e immigrazione rendono la applicazio-ne della mediazione trasfrontaliera ulteriormente complessa. Gli stati dovrebbero adottare misure volte a premettere che anche il genitore responsabile della sottrazione possa ottene-re il rilascio rapido dei documenti per poter partecipare agli incontri di mediazione. Se poi sono stati avviati procedimen-ti penali, la questione dovrebbe essere affrontata nell’ambito della pre-mediazione, così da aiutare le parti ad ottenere tutte le informazioni necessarie sulle normative che disciplinano l’avvio o la conclusione dei procedimenti penali e sullo stato specifico dei medesimi. È pertanto, e solitamente, necessaria una collaborazione tra gli uffici di pre-mediazione (o i media-tori) e le autorità centrali e diplomatiche, i tribunali coinvolti, gli uffici dei pubblici ministeri, e spesso, direttamente i Mini-steri di Giustizia.

3 gonzales Martin, International Parental Child Abduction and Mediation: an overview, in Family Law Quarterly, 48, 2 (Summer 2014).

Per tutti questi motivi, il mediatore familiare internazionale richiede una specializzazione ed una formazione particolare che tenga conto anche delle diversità culturali delle parti e la distanza geografica tra le stesse. “an International family mediator must be competent to address the substance of a case that is International, cross-jurisdictional. Cross cultural and emotional. They must be concerned about the child’s well being, while considering ethical and professional duties and doing so in an online dispute resolution contest”.

Ma ci sono anche tantissimi vantaggi che spingono i genitori a scegliere il canale della mediazione: la mediazione è una procedura strutturata ma flessibile, che può essere facilmente adattata alle esigenze di ogni singolo caso. Consente alle parti di affrontare i possibili conflitti futuri in maniera più costrut-tiva, può essere utile nella fase iniziale del conflitto per non esasperare la situazione e può consentire alle parti di evitare le lungaggini processuali e gli onerosi costi che ne conseguono. Tra l’altro, il procedimento giudiziario crea un elevato grado di stress nei genitori ma anche nei figli.

Ovviamente, sul punto, deve considerarsi che la mediazio-ne familiare va considerata integrativa e non sostitutiva delle procedure giuridiche, il cui accesso non può essere limitato alle parti. La mediazione deve tener conto delle normative nazionali ed internazionali pertinenti, in modo da preparare il terreno per la piena efficacia giuridica di un accordo rag-giunto tramite mediazione. L’accordo così raggiunto, dovrà necessariamente nascere “all’ombra della legge” sin dall’ini-zio, dovrà essere compatibile con la normativa applicabile in entrambi i Paesi di riferimento e dovranno esserci procedu-re precise, in entrambi i Paesi, per conferire valore giuridico all’accordo raggiunto mediante la mediazione.

Di qui, la necessaria presenza nella coppia di co-mediatori, di un mediatore giurista. Di qui la regola, altrettanto necessa-ria, della partecipazione alla mediazione, in varia forma, degli avvocati dei genitori, di entrambi i Paesi.

La mediazione familiare internazionale si svolge con un mo-dello di co-mediazione4 realizzato con la collaborazione di due mediatori, possibilmente un uomo ed una donna, fluenti nelle rispettive lingue madri della coppia genitoriale e che de-vono avere uno una formazione professionale, psicologica o umanistica e l’altro, giuridica.

Entrambi i mediatori devono volere ed essere disponibili a condurre la mediazione entro una o due settimane al mas-simo e devono avere una profonda conoscenza degli aspetti legali della sottrazione e molti anni di esperienza nel settore della mediazione familiare, oltre che comunicare in maniera fluente la lingua madre delle parti coinvolte. La mediazione, grazie alla propria apertura e trasparenza ed il principio della volontarietà delle parti può offrire una grande opportunità ai genitori di risolvere in maniera autonoma la loro conflittualità rispetto a tutte le questioni di gestione della vita dei figli: in merito, a d esempio, su dove vivrà il minore, su chi si pren-derà cura del minore, su come deve avvenire il contatto tra il minore ed il genitore non affidatario/non collocatario, su come devono essere regolati i costi del viaggio per permettere la visita del figlio al genitore non affidatario.

Gli avvocati, come visto, hanno un ruolo cruciale nella buo-na riuscita della mediazione: devono incoraggiare le parti alla

4 Kiesewetter, Cross border Family Mediation, Wolfang Metzner Verlag, 2011.

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sua partecipazione e cooperare con i mediatori per la sua buo-na riuscita.

I co-mediatori dovranno riflettere, possibilmente, entrambe le culture dei genitori mediati, la lingua madre di ciascuno o a quella a loro comune; si cerca di scegliere coppie di media-tori che possano, inoltre, rappresentare entrambi i generi ed entrambe le professioni psicologiche e giuridiche. Il mediato-re deve poter offrire gli strumenti, in corretto equilibrio, per motivare le parti, provenienti da diverse culture, verso una risoluzione bonaria della controversia. Lo stesso deve avere una profonda conoscenza del concetto di diversità cultura-le, fondamentale per capire, riconoscere e valutare la identi-tà personale delle parti. La cultura è un concetto ampio che comprende l’insieme delle tradizioni, credenze valori simboli, abitudini e regole che sono condivise da una comunità5. È importante per il mediatore conoscere come le parti intendo-no il concetto di responsabilità genitoriale secondo i propri valori, educazione e religione, la propria cultura per stabilire con loro un dialogo costruttivo ed equidistante per il buon successo della mediazione.

I co-mediatori devono sembrare ed essere un team: ciò evi-terà che uno o l’altro genitore possono formare un’alleanza con un mediatore, avverso l’altro. Quando i mediatori scri-vono email o corrispondenza di ogni tipo, per comunicare con le parti, essi formulano e firmano le comunicazioni con entrambi i nomi dei mediatorie, possibilmente, con congiun-ta intestazione. Se le telefonate vengono fatte da un mediatore solo con un solo genitore, si garantisce la trasparenza scriven-do i minuti e un riassunto delle chiamate che potranno essere inviate anche all’altro genitore, ai legali ed all’altro mediatore. I mediatori, nella fase di pre-mediazione, inviano alle parti un questionario nella loro lingua madre per avere più dati ed informazioni dettagliate relative alle parti che dovrebbero prendere parte alla mediazione.

Se i mediatori vivono nella stessa città è più facile incontrar-si prima di procedere alla mediazione, se no predisporranno per telefono il tutto. è importante che i mediatori si dedicano delle ore prima dell’inizio della mediazione per consultarsi e prendere confidenza tra di loro e chiarire come devono coor-dinarsi per assicurare il successo della mediazione. Ciò è im-portante quando i due mediatori lavorano per la prima insie-me. Solitamente i mediatori hanno diversi approcci e meto-dologie: ma questo è un vantaggio positivo per la mediazione. L’eventuale accordo raggiunto deve prevedere la partecipazio-ne dei legali delle parti che devono rimanere disponibili per tutto il tempo del procedimento di mediazione. Ciò significa che se la mediazione viene fatta una sera o durante il week end, i mediatori avvertono ed informano i legali che devono

5 KucinsKi, Culture in International parental kidnapping mediations, in Pepper-dine Dispute Resolution Law Journal. La cultura comprende anche il modo di co-municare: la cultura influenza il modo di comunicare tra le parti. Per la buona riuscita della mediazione, il mediatore deve capire se una persona appartiene ad una cultura individualista o collettivista. Se una cultura definisce i ruoli di donna e uomo in maniera specifica, alcune culture imparano differentemente, ci sono culture monocroniche ed altre policroniche, l’uso del silenzio è interpretato in maniera diversa da alcune culture, come il guardare o no dritto negli occhi, per alcune culture è segno di disprezzo, per altre rispetto. Ogni cultura ha un concetto differente di famiglia, di migliore interesse del minore. Solo il ruolo del mediatore deve essere culturalmente ben definito: il mediatore deve sostenere ciascuna parte, essere neutrale deve dare una eguale compensazione, ridurre la tensione, riattivare l’armonia tra le parti. Il mediatore deve avere la fiducia delle parti.

essere reperibili anche negli orari non di ufficio e che devono fornire eventuali contatti telefonici, fax ed indirizzi email.

È anche preferibile avvertire il genitore che ha subito la sot-trazione e che si reca all’estero per la mediazione che potrà essere integrato socialmente. Infatti, spesso questo genitore si sente pregiudicato dal fatto di trovarsi fuori dal suo Paese, si sente insicuro ed ansioso e solo. In questi casi, lo si rassicura invitandolo a contattare durante le pause amici o parenti, o una persona del consolato. C’è bisogno di molta flessibilità, spontaneità ed impegno per prendersi cura anche del genito-re che si è dovuto recare all’estero.

A volte i mediatori assistono il genitore nel trovare un hotel confortevole o un childcare per la durata della mediazione o provare ad organizzare gli incontri del genitore che ha subito la sottrazione con il figlio, che può approfittare del viaggio per vedere il minore.

La mediazione si terrà preferibilmente nel luogo dove si tro-va il bambino, oppure la città che è più facilmente accessibile o quella dove si trova il Tribunale che sta trattando il pro-cedimento. Solitamente, la mediazione si tiene nel centro di mediazione, se ciò non è possibile si trova un luogo neutrale, solitamente i giudici o i servizi sociali mettono a disposizione degli spazi.

La mediazione si svolge n due o tre sessioni prendendo pa-recchie ore ogni giorno solitamente in due giorni consecutivi, durante un week end.

Durante questo tempo, le parti devono avere anche uno spa-zio per poter paralare con i propri legali, amici e parenti ed avere una notte per riflettere su ciò che si sta discutendo. la mediazione deve tener conto della data dell’udienza in Tri-bunale e quindi bisogna evitare che vi siano doppi costi di viaggio e che l’eventuale accordo raggiunto deve essere rivisto dagli avvocati prima di presentarlo in tribunale.

La prima fase della mediazione è la fase conoscitiva, cioè quando le parti ricevono l’informazione di quello su cui ver-terà la mediazione che offre alla coppia una nuova opportu-nità di comunicazione e di scegliere gli argomenti sui quali discutere avendo l’obiettivo di restituire alla coppia il ruolo di genitori responsabili e presenti ed al minore il ruolo di soggetto, parte del procedimento.

Si struttura un orario, di solito i mediatori disegnano un diagramma di orario su una lavagna, e danno dei precisi feedback ai genitori durante il processo di mediazione. È im-portante prevedere dei break. A volte le coppie sono veloci nello stabilire gli argomenti di discussione, ma necessitano di più tempo per chiarire ed elaborare interessi e bisogni. Dopo la fine della prima sessione di mediazione, solitamente i mediatori danno dei compiti ai genitori che devono riflet-tere sul lavoro svolto. il secondo giorno, sono indispensabili degli incontri individuali di entrambi i mediatori con ciascun genitore che riducono le tensioni e che può essere totalmente benefico per la strutturazione della mediazione.

A volte, si cerca anche di comprendere se sia essenziale per una buona riuscita della mediazione coinvolgere altre parti, come ad esempio i nuovi partners.

Sul coinvolgimento dei bambini in mediazione viene tratta-to in maniera differente nei vari stati.

Va detto che la mediazione internazionale si svolge in un tempo brevissimo ed è difficile predisporre anche incontri con i minori, che secondo la normativa de l’Aja, possono esse-

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re ascoltati durante il procedimento giudiziario di rimpatrio.Alcuni mediatori lo suggeriscono, altri invece lavorano con

le foto dei bimbi o con una sedia vuota. Se i genitori sono fermi sulle loro posizioni, a volte, i mediatori focalizzano la loro attenzione sulle paure, desideri e necessità dei piccoli, ha aiutato a scoprire nuovi dolori ed a superare blocchi.

L’ultimo incontro della mediazione viene fatto con entrambi i genitori al fine di raggiungere un accordo.

L’accordo raggiunto in mediazione deve essere definito in modo realistico e possibile, e tenere in considerazione tutte le relative questioni pratiche, soprattutto quello che concerne l’organizzazione del diritto di visita, il rientro o il non rientro del minore, la nuova residenza del minore la questione delle responsabilità genitoriali ed il loro esercizio, e le questioni finanziarie come le spese dei viaggi tra Paesi, il mantenimento e spese del figlio.

L’accordo raggiunto deve avere valore giuridico nelle giuri-sdizioni interessate e le parti devono avere l’opportunità di consultare i propri legali con i quali valuteranno la situazione giuridica del loro caso. È preferibile che i mediatori, dopo aver redatto l’accordo, concedano alle parti il tempo giusto per riflettere prima della firma6.

Il tribunale viene informato di un parallelo procedimento di mediazione, ma non viene alcun scambio di opinioni o di contenuto tra i due procedimenti.

L’accordo finale della mediazione può essere presentato in udienza per volontà delle parti e protocollato.

In Italia, l’applicazione della mediazione familiare interna-zionale è ancora molto blanda e non vi sono ancora elenchi di mediatori familiari internazionali attraverso i quali sia possibi-le identificare mediatori specializzati: il tutto viene affidato alle strutture pubbliche sul territorio a mediatori familiari nazionali.

Vi sono state importanti sentenze come Tribunale per i mi-norenni di Bologna 5 marzo 2015 e 23 maggio 2017 che han-no previsto l’applicazione della mediazione familiare nei casi di sottrazione internazionale dei minori.

Il Tribunale per i minorenni di Bologna, con l’ordinanza del 5 marzo 2015, ha ritenuto ammissibile e opportuno, disporre all’interno del procedimento per sottrazione internazionale di minori, un percorso di mediazione familiare per i genitori.

Nel caso all’esame del tribunale bolognese, una coppia di coniugi, lei italiana e lui americano, si erano sposati negli Stati uniti, dove erano nati due figli. La famiglia era residente negli USA ma manteneva un’abitazione in Italia in cui la famiglia dimorava durante le vacanze estive. A causa della crisi coniu-gale in atto, la donna era rimasta in Italia con i figli, rifiutan-dosi di tornare in America. L’uomo aveva tentato di convin-cere la moglie, anche ritornando in Italia, ma aveva ottenuto solo un rifiuto deciso. A causa della crisi coniugale in atto, la donna era rimasta in Italia con i figli, rifiutandosi di tornare in America. L’uomo aveva tentato di convincere la moglie, anche ritornando in Italia, ma aveva ottenuto solo un rifiuto deciso.

Il Tribunale prospettava, allora, la possibilità di intrapren-dere un percorso di mediazione nell’esclusivo interesse dei minori, al quale le parti davano la propria disponibilità.

Secondo i giudici bolognesi, il tribunale minorile è “l’organo giudiziario che garantisce la realizzazione di un diritto che

6 Guida alle buone prassi nell’ambito della Convenzione dell’Aja del 25 ot-tobre 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale dei minori - Me-diazione - hcch - Commissione Europea, 2012.

ormai non è più sui minori, ma per i minori, utilizzando tutti gli istituti giuridici ritenuti significativi per il raggiungimento di questo obiettivo”. Infatti, oggi il minore è considerato sog-getto titolare di diritti e non più, come in passato, semplice oggetto di protezione. Nel provvedimento si da atto che la legge non prevede l’innesto del precorso di mediazione nel procedimento in oggetto, e quindi la decisione costituisce una novità assoluta, ma a livello europeo, la mediazione del conflitto è un istituto sperimentato nel caso di liti genitoriali internazionali.

Devono essere a questo punto esaminati i diversi modelli di mediazione familiare internazionale in alcuni paesi UE o extra UE.

La Germania ha una lunga esperienza nella pratica della me-diazione familiare internazionale.

Nel periodo compreso tra l’ottobre del 2000 e la fine del 2006, il Ministero della Giustizia ha organizzato in Germania, in collaborazione con le più grandi associazioni per la me-diazione tedesche, la B.A.F.M. e la B.M., un gruppo di lavoro, rivolto alla realizzazione di progetti-modello di mediazione familiare tra la Germania e quattro Paesi (USA, Polonia, In-ghilterra e Francia) scelti sulla base del progressivo aumento di casi attinenti ai conflitti su minori, casi di sottrazione tra genitori appartenenti a tali nazionalità.

Nel 2008 è stato creato il gruppo MIKK al fine di collocare le attività svolte in una nuova prospettiva più mirata, mediante competenze specializzate.

La formazione dei mediatori prevede 160 ore come media-tori familiari e un advanced training nei casi di sottrazione internazionale dei minori.

Si applica la co-mediazione: un uomo ed una donna, di formazione giuridica e psicologica-sociale, un mediatore te-desco ed un mediatore di un altro stato di nazionalità di un genitore. La mediazione è effettuata dove si trova il minore. Si preferisce la mediazione face to face in un week end. Si affrontano tutti gli argomenti, non solo quello di eventuale ritorno del minore.

Alcuni Stati europei, come il Belgio, si sono attivati e distinti per la promozione della mediazione cross border.

In Belgio, l’organizzazione Child Fous7 ha realizzato, tra le tante attività, un servizio di Pre Mediation Bureau.

La Pre Mediation Bureau offre informazioni in merito alla procedura di mediazione internazionale ed organizza gli in-contri di mediazione.

Internazionale perché si riferisce ai casi dove i genitori pro-vengo da Stati differenti e/o hanno o desiderano avere la resi-denza abituale in un differente paese.

La mediazione offre ai genitori la possibilità di negoziare ac-cordi in merito alla residenza dei loro figli che si adatta alle necessità sia dei figli che dei genitori, tenendo presente che entrambi dovranno suddividersi la responsabilità della loro cura e crescita. La mediazione viene svolta in un luogo sicuro e neutrale. Durante la mediazione, l’interesse dei bambini a mantenere un rapporto continuo e positivo con entrambi i genitori e con gli altri membri della famiglia è fondamentale.

La mediazione familiare internazionale è un procedimento volontario ed offre la possibilità ai genitori di risolvere pacifi-camente il conflitto con il supporto di due mediatori interna-

7 Mediation Bureau International Child Abduction Center 2018.

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zionali professionisti in un ambiente riservato. La coppia ge-nitoriale è supportata da mediatori che tracciano i loro punti di conflitto così bene come le loro comuni ragioni.

L’obiettivo finale è che i genitori possono trovare soluzioni nell’interesse preminente dei loro figli che siano accettate e condivise da entrambi.

La mediazione tenta di prevenire lunghe battaglie legali tra i genitori. In caso di richiesta di rimpatrio del minore, secondo la normativa della convenzione dell’Aja del 1980, la media-zione familiare internazionale offre ai genitori la garanzia che la mediazione non metterà in pericolo o rallenterà la proce-dura di ritorno del minore ma correrà simultaneamente con la stessa procedura.

Se la mediazione non dovesse raggiungere il risultato spera-to, i genitori possono ritornare a discutere il loro caso dinan-zi al Tribunale competente. La partecipazione in mediazione non influenzerà la possibilità dei genitori di attivare un pro-cedimento giudiziario. Il giudice non terrà conto del fatto che la mediazione è stata intrapresa o se la mediazione è frutto di un accordo o no.

La ricerca ha mostrato che gli accordi mediati sono spesso eseguiti perché entrambi i genitori hanno una diretta influen-za sulla decisone del processo. Inoltre, la mediazione ha una positiva influenza sulla relazione tra i genitori e può evitare possibili traumi al bambino ed alla famiglia.

La Pre Mediation Bureau gode del supporto economico del-la Commisione Europea. Questo progetto pilota prevede un supporto economico per i casi di mediazione in Belgio o che riguardano un genitore belga.

Per la realizzazione di questo progetto, Child Focus ha co-stituito una collaborazione con l’autorità centrale belga per l’applicazione della Convenzione dell’Aja 1980 e con i Tri-bunali di Ghent e Brussles. Il progetto si basa sull’ipotesi che i genitori attraverso l’uso della mediazione possono raggiun-gere un accordo sulla residenza abituale del minore e sulle modalità di visita dello stesso. Quando i genitori decidono di intraprendere il procedimento di mediazione, il Pre Media-tion Bureau organizza tutto quello che occorre per iniziare la mediazione.

Prima che la mediazione inizi, entrambi i genitori hanno una conversazione informativa con il Pre Mediation Bureau. Durante questa conversazione, chi si occupa del caso spiega il processo di mediazione e discute degli argomenti che i geni-tori si augurano di affrontare in mediazione. Questa conver-sazione offre ai genitori la possibilità di formulare domande prima di iniziare la mediazione. Quando entrambi i genitori decidono per la mediazione, la Pre mMdiation Bureau con-tatterà 2 mediatori specializzati: ognuno del paese di appar-tenenza dei genitori. La Pre Mediation Bureau predispone il contratto di mediazione, nel quale i genitori ed i mediatori si impegnano a transigere il conflitto attraverso la mediazione. La mediazione comincerà il prima possibile.

Uno dei mediatori, solitamente quello belga, avrà una con-versazione per telefono con entrambi i genitori separatamente e desidererà se il caso sia mediabile.

Dopo questa conversazione, il delegato della Pre Mediation Bureau che si occupa del caso provvederà a trovare il luogo dove si svolgerà la mediazione e organizzerà le sessioni di me-diazione.

La Pre Mediation Bureau è responsabile anche della chiusu-ra della procedura di valutazione.

Le sessioni di mediazione sono organizzate in base alle esi-genze dei genitori ed alle loro disponibilità, tenendo conto anche dei tempi del procedimento giudiziale.

Solitamente le sessioni di mediazione si svolgono in tre gior-ni consecutivi, solitamente nel week end.

Durante il procedimento di mediazione, i genitori possono consultare i loro avvocati. Alla fine della mediazione, il po-tenziale accordo sarà sottoscritto dai genitori e dai mediatori.

L’accordo verrà riconosciuto/ omologato dal Tribunale o da un notaio, a secondo della legislazione del Paese.

Ogni sezione di mediazione vedrà la presenza di due me-diatori, che lavorano con imparzialità ed indipendenza. I mediatori sono scelti nel network del Cross border family mediators. Entrambi hanno esperienza nei casi di mediazioni internazionale e usano un comune modello di mediazione. Essi conoscono bene il Regolamneto Brussels II e la Conven-zione dell’Aja 1980.

I bambini possono essere ascoltati (possibilmente dagli 8 anni in su) nel procedimento di mediazione per capire i loro pensieri, emozioni circa le misure ed i provvedimenti da prendere. Quando i genitori danno il consenso all’ascolto del minore, tale ascolto è organizzato secondo precise modali-tà. I bambini vengono ascoltati da professionisti esperti. Tale conversazione con i minori verrà trascritta e discussa con i genitori in mediazione.

Tutto quello che avviene e detto in mediazione non può es-sere utilizzato in Tribunale. Tutto ciò che viene detto oralmen-te e scritto deve rimanere confidenziale e non utilizzato in un procedimento giudiziale.

Il Pre Mediation Bureau offre un gratuito servizio ai genitori per la preparazione e l’organizzazione della mediazione, per-ché è supportato dalla Commissione europea.

Copre le spese di viaggio e gli onorari dei mediatori.Il personale contributo da parte di ogni genitore è pari alla

somma di 50 euro.In Germania, invece, il servizio di Pre Mediation Bureau non

è finanziato dalla Commissione europea, ed è stato istituito il 1° novembre 2009 con il Ministero della Sicurezza e Giustizia ed il Consiglio per il Judiciary come parte del Centro Interna-tional Child abduction.

Parte delle spese sono sostenute dal Ministero della Sicurez-za e della Giustizia ed i genitori possono usufruire del gratuito patrocinio.

I costi per una mediazione internazionale sono circa euro 1390 a persona per un massimo di 9 ore di mediazione, 3 ore preparazione.

I genitori che usufruiscono del gratuito patrocinio daranno un personale contributo che varia da 53 euro a 105,00 euro a persona.

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straziami, ma di baci saziamiRipp, Creola

1. Premessa

Il diritto è una scienza pratica, nasce ed esiste per regolare realtà sociali. Tra le più refrattarie sono le vicende di famiglia, nelle quali “i costumi sono più forti del diritto”1.

I rapporti familiari sono condizionati da forze incoercibili e da istinti primordiali, oltre che da elementi religiosi e dalla tradizione, che “agisce fortemente anche su menti che in ogni altro ambito sentono poco o nulla l’eredità di idee e di senti-menti delle generazioni precorse”2.

Per questo ho scelto di iniziare la mia breve relazione da un ambito all’apparenza periferico rispetto all’ordinamento giu-ridico dello Stato italiano e – fatta eccezione per un ristretto numero di specialisti – di minor interesse per il giurista prati-co. Un ambito che tuttavia esprime una matrice culturale tut-tora dominante nella società italiana e al quale istintivamente si associano i “fiori d’arancio” del titolo di questo convegno, dedicato al rapporto di coppia con il narcisista patologico, per la cui identificazione e configurazione scientifica non posso che rifarmi ai relatori precedenti, Fausta Nasti (psicologa-psi-coterapeuta sistemico relazionale) e Federico Mantile (neu-ropsichiatra infantile), nonché alla gentile moderatrice Maria Giovanna Castaldo, avvocato specialista della materia3.

2. Diritto e processo canonico

In occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario del Tri-bunale della Rota Romana, nel 2008 il Papa Benedetto XVI ri-chiamava all’ordine i tribunali ecclesiastici nazionali e regionali, invitandoli ad essere più restrittivi nel dichiarare la nullità dei matrimoni secondo le leggi canoniche. Del resto, “una tendenza che va verso più larghe concessioni alle nullità” era già segnalata nel delizioso saggio/romanzo I minibigami, di Giulio Andreotti4.

Osservava il Papa che “nella Chiesa, proprio per la sua universalità e per la diversità delle culture giuridiche in cui

* Sintesi della relazione presentata al convegno “Fiori d’arancio e narcisi. Effetti giuridici e psicologici della relazione col narcisista patologico”, tenuto a Napoli il 1° giugno 2017, organizzato dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli, con il patrocinio della Associazione Uguaglianza e Libertà e dell’Ordine degli Psicologi della Campania.

1 grassetti, Famiglia (dir. priv.), in Noviss. Digesto it., VII, Torino, 1961, 48.2 JeMolo, Il matrimonio, Torino, 1957, 36.3 Per una esauriente sintesi divulgativa sul narcisismo patologico nel rappor-

to di coppia, MacKenzie, Questo amore fa male, Firenze, 2016. Merita di essere segnalato anche hirigoyen, Molestie morali, Torino, 2000.

4 anDreotti, I minibigami, Milano, 1971, 9.

è chiamata ad operare, c’è sempre il rischio che si formino, sensim sine sensu, ‘giurisprudenze locali’ sempre più distanti dall’interpretazione comune delle leggi positive e persino dal-la dottrina della Chiesa sul matrimonio”5.

Da molti anni si registrava una notevole diversità di prassi interpretative nei tribunali ecclesiastici di molti paesi occi-dentali, dove si pronunziavano a volte sentenze a favore della nullità con una facilità che le faceva assomigliare ad un vero e proprio divorzio cattolico, ottenuto più rapidamente e con minori oneri che nei tribunali civili. Sintomatici della eccessi-va “generosità” dei tribunali ecclesiastici locali erano conside-rati, dal Papa emerito, casi di nullità dichiarata per l’accertato “disturbo della personalità di tipo narcisistico” e per una serie di altri disturbi della personalità che la reprimenda papale supponeva non sufficienti a giustificare la declaratoria di nul-lità del matrimonio.

Beninteso, la giurisdizione canonica riguarda qui soltanto la nullità dell’atto matrimoniale, ossia del consenso scambiato dai nubendi, non il successivo rapporto e ciò che possa gua-starlo anche per circostanze sopravvenute, indipendentemen-te dalla validità del vincolo sacramentale e giuridico. Ma la forza condizionante della tradizione e del costume religioso può indurre le persone, a volte a livello inconscio, a mettere in bilancio, contro il proprio benessere e la propria serenità, sacrifici di sé che si percepiscono come meritori, salvifici, e come oscuramente imposti dal carattere sacrale e per ciò solo vincolante delle nozze.

Ma i rimedi giuridici contro il narcisista patologico non sono offerti da una singola norma specifica e risolutiva, van-no piuttosto cercati nella giustapposizione di norme disparate e di diversa estrazione. Sicché non è affatto inutile verificare se già il codice di diritto canonico contenga principi e dispo-sizioni che, prima ancora che sul piano pratico, diano alle vittime della patologia in esame conforto ed appiglio già sul piano della coscienza e della coerenza religiosa.

Il riferimento normativo è al canone 1095 codex juris canonici, secondo il quale “sono incapaci di contrarre matrimonio […] coloro che per cause di natura psichica, non possono assumere gli obblighi essenziali del matrimonio”. Le cause di natura psi-chica devono consistere in patologie conclamate6, accertabili mediante perizia, che nel diritto canonico è vero e proprio mez-zo di prova. Al perito, psicologo o psichiatra, si richiede, oltre alla competenza specialistica e alle conoscenze sul matrimonio

5 http://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/speeches/2012/january/documents/hf_ben-xvi_spe_20120121_rota-romana.html (consultato il 2 aprile 2018).

6 Barolo, Cause psichiche e nullità del matrimonio, in Quaderni di diritto eccle-siale, 2011, 2, 189 ss.

FIORI D’ARANCIO E NARCISI. PROFILI GIURIDICI DEL RAPPORTO DI COPPIA CON IL NARCISISTA PATOLOGICO*

MASSIMO SENSALEMagistrato della Corte d’appello di Napoli

Sommario: 1. Premessa. - 2. Diritto e processo canonico. - 3. Diritto civile: invalidità del vincolo. - 4. Segue: separazione e divorzio. - 5. Segue: ordini di protezione. - 6. Diritto penale. - 7. Conclusione.

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e le sue proprietà essenziali derivate dall’insegnamento cattoli-co, anche la condivisione della dottrina antropologica cristiana, per la quale l’uomo, fatto a immagine e somiglianza del Creato-re, è dotato di libero arbitrio, chiamato naturalmente all’amore coniugale e all’impegno verso l’altra persona.

Il perito, esaminata la condizione psichica e la eventuale psicopatologia attuale e al momento delle nozze, esprime una valutazione diagnostica, per poi verificare anche l’idoneità psichica di una o entrambe le parti ad accedere ad eventuali nuove nozze (ove il precedente vincolo sia dichiarato nullo).

La valutazione del perito deve comunque rifarsi ad un modello scientifico. Tra i diversi orientamenti, in ambito canonico si privilegiano il modello psicodinamico, quello biopsico-sociale e il modello antropo-fenomenologico. Ma possono risultare utili pure altri orientamenti, come quelli di tipo cognitivo, altrettanto validi scientificamente e non in di-saccordo con la visione antropologica cristiana. Viene inoltre raccomandato di adottare una classificazione della patologia lineare, chiara, comprensibile e semplice, una classificazione condivisa dalla maggioranza della comunità scientifica quale quella del DSM dell’APA (American Psychiatric Association) o dell’ICD dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità).

La metodologia valutativa psico-forense in ambito canonico è analoga a quella seguita in altri ambiti. In sintesi consiste in una indagine sullo stato mentale del periziando, attuale e al momento della celebrazione del matrimonio, in senso ampio: anamnesi, esame della personalità, rilevazione del livello cogni-tivo, valutazione di eventuale sintomatologia o presenza di psi-copatologia e della possibilità di simulazione/dissimulazione.

Non è qui possibile dilungarsi sulle modalità dell’accerta-mento peritale canonistico, per le quali si rinvia all’accurata analisi di Mario Meloni7. Qui preme soprattutto evidenziare come vi sia sicuramente spazio – nonostante le preoccupazio-ni del Papa emerito – per affermare già nel giudizio canoni-co che il matrimonio contratto con un narcisista patologico è radicalmente nullo, perché un simile soggetto è inidoneo ad assicurare al coniuge quella comunione di vita e d’intenti materiale e spirituale, quell’impegno globale di devozione che costituiscono l’essenza del vincolo nuziale.

3. Diritto civile: invalidità del vincolo

La consapevolezza della nullità – secondo il diritto canonico – del matrimonio contratto con il narcisista patologico è un buon inizio sul piano culturale, se si considera il retaggio del-la tradizione e della religione che connota la società italiana, in cui forse ancora il matrimonio conta più dell’amore; ma è ben lungi dall’essere la soluzione del problema.

Anche il diritto civile, in un’ottica diversa, considera invali-do, a certe condizioni, un negozio matrimoniale inficiato da una così rilevante patologia di uno degli sposi.

L’art. 122 c.c., sulla “violenza ed errore”, riguarda i casi in cui “il matrimonio può essere impugnato da quello dei coniu-gi il cui consenso è stato estorto con violenza o determinato da timore di eccezionale gravità derivante da cause esterne allo sposo” – così il 1° comma, del quale non ci occupiamo – e “da quello dei coniugi il cui consenso è stato dato per effetto

7 Meloni, La perizia psichiatrica e psicologica in ambito canonico, in Psicologia e Giustizia, 2013, 2. Si veda pure serrano ruiz, La perizia nelle cause canoniche di nullità matrimoniale, in Dir. eccl., 1993, I, 53 ss.

di errore sull’identità della persona o di errore essenziale su qualità personali dell’altro coniuge” (2° comma).

“L’errore sulle qualità personali è essenziale” – dice il 3° com-ma – “qualora, tenute presenti le condizioni dell’altro coniuge, si accerti che lo stesso non avrebbe prestato il suo consenso se le avesse esattamente conosciute e purché l’errore riguardi” – tra-lasciando le altre ipotesi che qui non interessano – “l’esistenza di una malattia fisica o psichica o di una anomalia o deviazione sessuale, tali da impedire lo svolgimento della vita coniugale”.

“L’azione non può essere proposta” – precisa il 4° comma – “se vi è stata coabitazione per un anno dopo che […] sia stato scoperto l’errore”.

Il fatto costitutivo dell’annullabilità del matrimonio, prefi-gurata dal n. 1 dell’art. 122, 3° comma, non è la malattia in sé, ma l’errore del coniuge che, per averla ignorata o non esat-tamente conosciuta (nel senso che non la conosceva o che, pur conoscendola, ne ignorava l’attitudine ad influire negati-vamente sullo svolgimento della vita coniugale), si è indotto al matrimonio senza la consapevolezza dell’oggettivo impe-dimento. Al riguardo deve tenersi conto del fatto che, nella materia, l’esattezza della conoscenza s’intende riferita non necessariamente alla diagnosi tecnica (patogenica e struttu-rale) della malattia, ma anche soltanto alle sue manifestazioni esteriori socialmente percepibili e da chiunque mediamente valutabili quanto al loro tasso di incidenza sulle relazioni in-tersoggettive in generale e sulla vita coniugale in particolare8.

Per giurisprudenza consolidata, è a carico del coniuge che im-pugna il matrimonio ai sensi dell’art. 122 c.c. l’onere di provare, secondo le regole generali, l’esistenza della malattia dell’altro co-niuge, la mancata conoscenza della stessa prima della celebra-zione del matrimonio, l’influenza di detta mancata conoscenza sul proprio consenso, mentre è rimesso al giudice l’apprezza-mento della rilevanza dell’infermità ai fini dell’ordinario svolgi-mento della vita familiare, in relazione alle normali aspettative del coniuge in errore, da valutare avendo riguardo alle condizio-ni, alla personalità, alla posizione sociale del richiedente nonché ad ogni altra circostanza obiettiva emergente dagli atti.

Si segnalano due sentenze confermative del rigetto di altret-tante domande di annullamento del matrimonio, rispettiva-mente proposte:

– per la thalasso-dreapanocitosi della moglie, malattia ri-tenuta non impeditiva, se opportunamente curata, di una normale vita di relazione, con particolare riguardo ai do-veri nascenti dal matrimonio e alla possibilità di intratte-nere rapporti sessuali con il marito e di portare a termine una gravidanza9;

– per l’orchite epididimite del marito, patologia curabile con ordinaria terapia antibiotica10.

In entrambi i casi si trattava di malattie fisiche, ritenute non influenti sul consenso alle nozze e non ostative all’ordinario svolgimento della vita di coppia. Ma, nel caso del narcisismo patologico, mi pare sia possibile dire che, per sua natura ed evoluzione, la malattia sia sempre incompatibile con la vita di coppia rettamente intesa – con i suoi connotati di rispetto,

8 Cass. civile, 14 aprile 1994 n. 3508, in Giust. civ., 1994, I, 2186.9 Cass. civile, 7 marzo 2006 n. 4876, in Il diritto di famiglia e delle persone,

2007, I, 1563 ss., con nota di DanoVi, Il concorso tra nullità civile e nullità canonica del matrimonio (ovvero, quando l’uomo non osa separare ciò che anche Dio ha sciolto).

10 Cass. civile, ord. 13 febbraio 2017 n. 3742, in Famiglia e diritto, 2017, 857 ss., con nota di gelli, Patologia del coniuge, errore e annullamento del matrimonio.

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solidarietà, condivisione, reciproca dedizione e mutua assi-stenza – al punto da doversi presumere che, se conosciuta dal coniuge al momento delle nozze, il consenso non sarebbe stato mai espresso. Ciò perché il narcisismo patologico non è una malattia che possa rendere difficile la vita di coppia, ma è la negazione in radice – a tacere dei pericoli di persecuzione e violenza – del senso stesso della vita di coppia.

La difficoltà di fornire un’adeguata tutela a chi sia vittima del narcisismo patologico del coniuge (o del partner, quale che sia l’assetto giuridico della coppia e l’organizzazione quotidiana del suo ménage) deriva dalle particolari e ambigue modalità con le quali la malattia si manifesta, al punto di essere riconosciu-ta come tale quando la manipolazione psicologica, tipica del comportamento del narcisista, ha già fatto danni alla vittima e comunque l’ha posta in una situazione di soggezione, frustra-zione e incapacità di organizzare un’utile difesa. Si tratta di una vittima – senza con questo voler entrare in un ambito scien-tifico che non mi compete – che spesso presenta particolare fragilità, scarsa autostima, bisogno di amore e di appartenenza – non a caso si parla abitualmente di “amore malato” o “amore tossico” – spesso isolata dai suoi parenti e amici, a volte indotta a rinunciare al lavoro e a tutto quanto possa contribuire alla costruzione di una propria identità e autonomia. Dunque una vittima particolarmente vulnerabile e appartata, soggiogata, in qualche modo plagiata, che rende difficile la tempestiva rispo-sta delle istituzioni e di quella giudiziaria in particolare.

4. Segue: separazione e divorzio

Il giurista non può appagarsi della considerazione astratta che il matrimonio contratto col narcisista patologico è nullo o annullabile e comunque invalido. Al di là delle suggestio-ni floreali del titolo del convegno, è fin troppo evidente che l’amore tossico non è un problema del negozio matrimoniale – se non per il retaggio culturale a cui ho accennato – ma soprattutto della coppia. Anche il nostro paese, in una pro-spettiva europea, tende ormai a considerare il matrimonio essenzialmente come rapporto, fondato sul permanere del consenso di entrambi i coniugi, indipendentemente da ogni formalizzazione pubblicistica e da ogni favor per la conserva-zione di unioni ormai esaurite. In quest’ottica, di sostanziale svalutazione dell’atto costitutivo del rapporto matrimoniale, assume sempre maggior rilievo il profilo della convivenza, per non parlare della pluralità dei modelli familiari infine entrati, ad onta delle strenue resistenze di uno stato extracomunitario confinante, anche nell’ordinamento italiano11.

E allora non mi soffermerò sui tradizionali e generali rimedi della separazione e del divorzio. Neppure è il caso di dedicare spazio all’addebitabilità della separazione, quando l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza sia eziologicamente ricondu-cibile al compimento, da parte di uno dei coniugi, di specifici atti consapevolmente contrari ai doveri del matrimonio, quelli tipici previsti dall’art. 143 c.c. e quelli posti a tutela della personalità individuale di ciascun coniuge in quanto singolo e membro della formazione sociale familiare ex artt. 2 e 29 della Costituzione.

Vale la pena tuttavia di segnalare, in tema di addebito della separazione, la ben nota sentenza della Suprema Corte, se-condo la quale la nozione di mobbing, mutuata dal campo la-

11 casaBuri, griMalDi (a cura di), Unioni civili e convivenze, Ospedaletto, 2016; cianciolo, Unioni civili e convivenze, Sant’Arcangelo di Romagna, 2016.

voristico – in cui fotografa situazioni patologiche che possono sorgere in presenza di un dislivello tra gli antagonisti, dove la vittima si trova in costante posizione di inferiorità rispetto ad un’altra o ad altre persone – riportata in un ambito, quale quello familiare, caratterizzato dall’uguaglianza morale e giu-ridica tra i coniugi, assume un rilievo meramente descrittivo, inidoneo a scalfire la regola secondo cui l’addebito della se-parazione postula la prova rigorosa sia del compimento, da parte di uno di essi, di specifici atti consapevolmente contrari ai doveri del matrimonio, sia del nesso causale tra tali atti ed il determinarsi dell’intollerabilità della convivenza o del gra-ve pregiudizio dei figli. E dunque la Suprema Corte, confer-mando la sentenza impugnata, che aveva ritenuto improprio il riferimento al mobbing in ambito familiare, ha disatteso il motivo di ricorso teso a configurare il comportamento del co-niuge mobber come integrante, di per sé, una violazione degli obblighi sanciti dall’art. 143 c.c.12.

Peraltro, la più recente giurisprudenza della Cassazione giunge a considerare il richiamo all’addebito addirittura ec-centrico rispetto alle linee generali della riforma del diritto di famiglia del 1975 – la quale esalta l’elemento affettivo al di là dei vincoli formali e coercitivi – e al principio del consenso che condiziona la costituzione e la conservazione del rappor-to matrimoniale, regolando giorno per giorno ogni aspetto della vita coniugale, giacché il venir meno del consenso ba-sta a giustificare la separazione per intollerabilità (soggettiva, unilaterale) della convivenza, anche senza una indagine sulle cause della separazione e sui comportamenti dei coniugi, an-che in assenza di conflitto ed in virtù della condizione di mera disaffezione e distacco di uno dei coniugi13.

Non a caso si parla spesso del tramonto dell’istituto dell’ad-debito quale unico o preminente rimedio della violazione dei doveri coniugali, laddove altri rimedi sono valorizzati dal le-gislatore (ordini di protezione; provvedimenti ex art. 709-ter c.p.c.) e dalla giurisprudenza (illecito endofamiliare)14.

Quanto al divorzio, è appena il caso di ricordare che la re-lativa pronuncia, anche senza previa separazione giudiziale, può essere chiesta nei confronti del coniuge che abbia ripor-tato gravi condanne in sede penale per i reati indicati dall’art. 3 della legge 1° dicembre 1970 n. 898, ivi compresi i reati di cui agli artt. 570 (violazione degli obblighi di assistenza familiare), 572 (maltrattamenti contro familiari e conviventi) e 643 (circonvenzione di persone incapaci) del codice penale. È chiaro che in questi casi al divorzio si giunge, per fortuna, quando il problema dei maltrattamenti è già emerso, tanto da aver portato ad un processo penale e ad una condanna passata in giudicato. Tuttavia – e la disposizione non è irrilevante nei casi di manipolazione psicologica del narcisista perverso – la domanda di divorzio, pur a seguito delle predette condanne penali, “non è proponibile… quando la convivenza coniugale è ripresa” (art. 3 legge 898/1970).

12 Cass. civile 19 giugno 2014 n. 13983, in Giur. it., 2015, 1600 ss., con nota di Megna, Irrilevanza del mobbing familiare per l’addebito della separazione.

13 Cass. civile 21 gennaio 2014 n. 1164, in Famiglia e diritto, 2015, 38 ss., con nota di toMMaseo, La separazione giudiziale: basta volerla per ottenerla. In dottrina, anche casaBuri, Sillabo dei principali errori sulla separazione giudiziale dei coniugi. Ovvero giudici, etica di Stato, intollerabilità della convivenza, in Corriere del merito, 2005, 1245.

14 Cass. civile 4 maggio 2011 n. 18853, in Guida al diritto, 2011, 42, 12 ss., con nota di Fiorini, La violazione dei doveri matrimoniali integra gli estremi dell’illecito civile.

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Purtroppo tale evenienza è tutt’altro che remota, perché – come è stato autorevolmente evidenziato – “la relazione nar-cisistica è governata dal possesso e non dall’amore, per questo il narcisista ha bisogno di tornare dalla vittima mosso dalla necessità di riconfermare la propria influenza su di essa e assi-curarsi che non gli sia sfuggita. Può farlo a distanza di giorni, di settimane, di mesi o di anni dalla fine della relazione, ma lo farà sempre e, quasi sempre, i suoi ritorni sconcerteranno l’ex partner e sortiranno un effetto paralizzante sulla vita affettiva della preda”.

“Chi dipende sentimentalmente da un narcisista patologico può, anche dopo lungo tempo dall’interruzione del legame, travisare il ritorno come un’azione meditata e romantica, come il segno del cambiamento sperato che si realizza e che prospet-ta un amore sereno […]. Purtroppo, il narcisista perverso non riserva nulla di simile e, anche se la ‘vittima’ potrebbe saperlo, fa spesso in modo di accorgersene troppo tardi”15.

Ma occorre fare un passo indietro ed esaminare brevemente le opportunità che l’ordinamento offre alla vittima per tirar-si fuori da un amore tossico prima che sia troppo tardi. So-prattutto prima che ai fiori del titolo debbano aggiungersi i crisantemi.

5. Segue: ordini di protezione

In ambito civile, la legge 4 aprile 2001 n. 154 – intitolata “Misure contro la violenza nelle relazioni familiari” – ha intro-dotto nel libro primo del codice civile il titolo IX bis intitolato “Ordini di protezione contro gli abusi familiari”, costituito dagli artt. 342-bis e 342-ter.

Il tema di oggi, limitato al rapporto di coppia, ci esime dal-la ricognizione delle vittime e dei destinatari delle norme, nell’ambito di un nucleo di convivenza che, naturalmente, tutela relazioni di fatto anche al di fuori di rapporti formali di coniugio, di parentela e di affinità. Presupposto per l’applica-bilità della norma è comunque la situazione di convivenza tra il soggetto attivo e quello passivo della violenza.

L’espunzione dall’art. 342-bis dell’inciso “qualora il fatto non costituisca reato perseguibile d’ufficio”, ad opera della legge 6 novembre 2003 n. 304, esprime l’abbandono della originaria scelta legislativa di introdurre misure protettive civili e pena-li alternative le une alle altre. La riforma fu quanto mai op-portuna perché subordinare l’esercizio dell’azione civile alla non perseguibilità d’ufficio in sede penale rendeva elevato il rischio che il giudice civile dovesse dichiarare inammissibile il ricorso proprio nei casi più gravi e dunque nei casi in cui maggiormente la vittima ha bisogno di protezione.

Con la nuova formulazione, la tutela in sede civile concorre con la tutela penale quando più grave sia la violenza, indi-pendentemente dalla volontà della persona offesa e perfino contro la sua volontà.

È stato osservato che le norme in questione configurano un intervento del giudice “estremamente penetrante, che incide […] sulle libertà fondamentali e sembra muoversi in contro-tendenza alle nuove esigenze manifestatesi nel diritto di fami-glia, attente e rispettose dell’autonomia negoziale dei coniugi nel momento della crisi familiare”. È tuttavia evidente che “di autonomia negoziale si può parlare quando i coniugi si tro-

15 secci, Gli innumerevoli ritorni del narcisista perverso, in http://lifestyle.tiscali.it (consultato il 2 aprile 2018).

vano su un piano di formale e sostanziale parità: la violenza invece fa sicuramente venir meno tale condizione”16.

Non c’è dubbio che il giudice debba governare questo po-tere assai ampio in modo particolarmente cauto e rispettoso dei diritti di tutti i soggetti coinvolti. Ma è anche vero che le particolari modalità dell’esposizione a rischio delle vittime di narcisisti patologici impongono che il legislatore affidi al giu-dice un potere di intervento per un verso penetrante, per altro verso duttile, onde si possa, con l’ausilio di esperti, sostene-re e implementare la ridotta capacità e volontà della persona vulnerabile di tirarsi fuori dalla spirale della manipolazione psicologica del convivente.

Peraltro, la previsione normativa contempla un ampio spet-tro di possibili pregiudizi: alla vita, alla salute fisica, all’inco-lumità familiare, alla salute psichica, alla libertà. E un ampio spettro di possibili vittime, ivi compresi i minori.

Sia pure nell’ambito di una diversa procedura, in cui si trattava di regolare gli incontri tra un minore e il padre non convivente, il giudice di legittimità ha mostrato di avere ben chiara la gravità di un “disturbo narcisistico di personalità con aspetti ideativi di tipo persecutorio e difficoltà di gestione dell’emotività che si riflettono sul suo funzionamento affettivo e relazionale e che limitano le sue capacità di identificazione con il mondo infantile e l’accessibilità all’accoglienza e all’a-scolto delle istanze autentiche del figlio”, tale da imporre la previsione di visite paterne in spazio neutro e alla presenza di un operatore qualificato17. Non sempre le prescrizioni date dal giudice della separazione o del divorzio, nell’ambito di una organizzazione complessiva e tendenzialmente stabile dei rapporti familiari, sono sufficienti a garantire di fatto la protezione tempestiva delle persone vulnerabili, onde diviene necessario il ricorso agli ordini di protezione.

Un profilo peculiare dell’istituto è la capacità di incidere su diritti fondamentali della persona, riconosciuti e garantiti dalla Costituzione, come la libertà personale (art. 13), la libertà di cir-colazione e soggiorno (art. 16), la proprietà privata (art. 42). In-fatti il giudice, ritenuta la sussistenza di un grave pregiudizio, può disporre l’allontanamento dalla casa familiare e vietare di frequen-tare determinati luoghi da parte di chi tenga la condotta violenta.

L’ordine di allontanamento può essere assunto anche nei confronti di chi sia proprietario esclusivo della casa familiare. In tal caso nella casa rimarrà il coniuge o convivente non pro-prietario, naturalmente anche al di fuori dei presupposti che, nei giudizi di separazione e divorzio, limitano l’assegnazione della casa a chi non ne sia proprietario soltanto in quanto convivente con figli minorenni o figli maggiorenni ma non economicamente autosufficienti. Del resto, sono completa-mente eterogenei i presupposti dei due provvedimenti: in un caso si tratta di conservare ai figli l’ambiente domestico nel quale sono cresciuti, perché risentano il meno possibile della disgregazione del nucleo familiare; nell’altro si tratta invece di impedire che la perdurante convivenza possa essere di ulte-riore pregiudizio per la vittima di violenza, sicché il sacrificio dell’allontanamento viene imposto all’autore della violenza indipendentemente dal titolo di proprietà.

Più complesso è il rapporto tra l’ordine di protezione ex artt. 342-bis e 342-ter c.c. – esteso dall’art. 5 legge 154/2001 ai

16 Franco, Linee guida della legge 4.04.2001 n. 154, in www.iussit.com (con-sultato il 2 aprile 2018).

17 Cass. civile, 29 gennaio 2015 n. 1730.

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casi in cui soggetto passivo della violenza familiare sia perso-na diversa dal coniuge o convivente, onde sarebbero ricom-presi anche i minori – e le previsioni contenute negli artt. 330 e 333 c.c., come novellati dalla legge 28 marzo 2001 n. 149, riguardanti l’allontanamento del genitore o convivente che maltratta o abusa del minore. Ma non mi soffermo sui rap-porti di sovrapposizione o di specialità tra i due rimedi e sulle rispettive competenze del tribunale ordinario e del tribunale minorile in quanto esulano dal tema del convegno.

Peraltro, vale la pena osservare che la giurisprudenza è con-corde nel ritenere che integrano abuso o maltrattamento del minore (tale da determinare l’allontanamento del genitore dalla casa familiare) anche le situazioni di violenza indiretta – o “assistita”, come si dice con sgradevole forzatura sintattica – che si verificano quando il minore assiste a scene di violenza poste in essere da un genitore a danno dell’altro. È molto fre-quente che il giudice debba porre rimedio ad atteggiamenti inadeguati dell’adulto che in concreto risultano pregiudizie-voli per l’intero nucleo familiare. La violenza indiretta è una particolare e perniciosa forma di violenza morale.

Il contenuto dell’ordine di protezione corrisponde a quello delle misure cautelari adottabili in sede penale in forza del nuovo art. 282-bis c.p.p., con qualche marginale differenza. Il giudice, infatti, una volta accertata la situazione di violenza (nell’accezione di cui all’art. 342-bis) può disporre l’allonta-namento del coniuge, convivente o familiare colpevole, pre-scrivendogli altresì, ove occorra, di non avvicinarsi alla casa familiare e ai luoghi frequentati da colui che ha invocato l’or-dine di protezione “ed in particolare al luogo di lavoro, al domicilio della famiglia d’origine, ovvero al domicilio di altri prossimi congiunti o altre persone ed in prossimità dei luoghi di istruzione dei figli della coppia”.

Gli ordini di protezione, proprio perché misure di tipo prov-visorio, hanno una durata limitata nel tempo, determinata dal giudice, con decorrenza dall’avvenuta esecuzione del provve-dimento e comunque non superiore a un anno. In tale lasso di tempo i coniugi (o conviventi) devono essere in grado di risolvere la situazione conflittuale, accettando di ritornare sot-to lo stesso tetto, ovvero optando per la separazione (o l’al-lontanamento volontario). Il termine può essere prorogato “su istanza di parte, soltanto se ricorrano gravi motivi, per il tempo strettamente necessario”. Si tratta di una previsione criticata per l’ampio potere discrezionale attribuito al giudice. D’altra parte, la varietà e la delicatezza delle situazioni alle quali l’istituto in-tende porre rimedio sono tali da rendere opportuna una sua flessibilità, che si apprezza in special modo nel caso del quale ci occupiamo, in cui l’affrancazione della vittima del narcisista patologico può risultare laboriosa e richiedere un tempo ade-guato. Purtroppo la cronaca non lesina esempi di rapporti di coppia che, all’esito di procedure di protezione, sono tornate alle vecchie dinamiche violente talvolta sfociate nel delitto.

L’art. 3 della legge 154/2001 ha introdotto il capo V bis nel titolo II del libro IV del codice di procedura civile, intitolato “Degli ordini di protezione contro gli abusi familiari” e costi-tuito dal solo art. 736-bis, che regola il procedimento – in ca-mera di consiglio (e sono applicabili, in quanto compatibili, gli artt. 737 ss. c.p.c.) – di adozione degli ordini di protezione.

Si discute se le misure di protezione possano essere chieste in pendenza di un giudizio di separazione o divorzio, quando si sia già svolta l’udienza presidenziale e siano stati assunti i

provvedimenti provvisori e urgenti in base all’art. 708 c.p.c. o rispettivamente all’art. 4 legge 898/1970.

L’accennato possibile conflitto di norme e di competenze – sia apparente o reale – non esclude, in concreto, che, dopo e nono-stante l’ordinanza presidenziale che abbia autorizzato i coniugi a vivere separatamente, non cessi affatto la condotta violenta del coniuge abusante (che magari si rechi sul posto di lavoro dell’altro coniuge o vada a scuola a prendere o tentare di in-contrare il figlio in difformità dalle prescrizioni del giudice). È dunque difficile ritenere che l’ordinanza presidenziale e la pen-denza del giudizio di separazione o divorzio sia formalmente preclusiva degli ordini di protezione ex artt. 342-bis e ter c.c.

La competenza per gli ordini di protezione è del tribunale del luogo di residenza o domicilio dell’istante. La domanda può essere proposta anche dalla parte personalmente, senza il patrocinio di un avvocato.

La decisione è assunta dal giudice monocratico, il quale può emettere anche un ordine di protezione inaudita altera parte, salvo successiva conferma in contraddittorio. Il giudice ha ampi poteri istruttori. Il suo decreto, immediatamente esecu-tivo, è oggetto di reclamo al collegio, del quale non fa parte il giudice che ha emesso il decreto impugnato.

Diversamente da un provvedimento cautelare, il decreto che dispone l’ordine di protezione non è strumentale ad una deci-sione da assumersi a cognizione piena, ma – ancorché privo dei requisiti della definitività e decisorietà18 – realizza in modo con-clusivo la temporanea tutela degli interessi azionati in giudizio.

Il giudice che ha emesso l’ordine di protezione è anche giu-dice della sua esecuzione, potendosi avvalere della forza pub-blica e dell’ufficiale sanitario.

6. Diritto penale

L’elusione di un obbligo di protezione imposto dal giudice integra il reato di cui all’art. 388, 1° comma, c.p. (“mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice”).

In ambito penale, rilevano le tradizionali fattispecie di reato di cui agli artt. 570 (“violazione degli obblighi di assistenza familiare”) e 572 (“maltrattamenti contro familiari e convi-venti”) c.p.

Poi – con specifica attinenza al comportamento del narcisista patologico – v’è il reato di stalking, ossia di “atti persecutori” (art. 612-bis c.p.), introdotto dalla legge 23 aprile 2009 n. 38, che inserisce la fattispecie fra i delitti contro la libertà morale.

La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che nel delitto previsto dall’art. 612-bis c.p., che ha natura abituale, l’even-to deve essere il risultato della condotta persecutoria nel suo complesso e la reiterazione degli atti considerati tipici costitu-isce elemento unificante ed essenziale della fattispecie, facen-do assumere a tali atti un’autonoma ed unitaria offensività, in quanto è proprio dalla loro reiterazione che deriva nella vitti-ma un progressivo accumulo di disagio che infine degenera in uno stato di prostrazione psicologica in grado di manifestarsi in una delle forme descritte dalla norma incriminatrice19.

18 Cass. civile 15 gennaio 2007 n. 625, in Famiglia e diritto, 2007, 571 ss., con nota di presutti, Ordine di protezione e ricorso ex art. 111 comma 7 Cost.: una preclusione davvero giustificata?

19 Cass. penale, V, 5 novembre 2014, dep. 11 dicembre 2014, n. 51718, in Resp. civ. e prev., 2015, II, 847 ss., con nota di solinas, Stillicidio persecutorio e offensività del delitto di stalking. Anche qualche riflesso ermeneutico distorto, nello speculum della dogmatica del reato abituale.

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La reiterazione della condotta tipica, che caratterizza il delit-to di atti persecutori, è ostativa ex lege alla causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, di cui all’art. 131-bis c.p., senza necessità di esplicita motivazione20.

Le reiterate molestie non devono essere commesse necessa-riamente in luogo pubblico, aperto al pubblico, ovvero con il mezzo del telefono, come invece previsto per la contravven-zione di cui all’art. 660 c.p.21. Peraltro vanno diffondendosi condotte persecutorie attuate prevalentemente o esclusiva-mente in luoghi virtuali come i social networks22.

È configurabile il delitto di atti persecutori anche quando le singole condotte sono reiterate in un arco di tempo molto ristretto, a condizione che si tratti di atti autonomi e che la reiterazione di questi, pur concentrata in un brevissimo arco temporale, sia la causa effettiva di uno degli eventi considerati dalla norma incriminatrice23.

Il reato si consuma al compimento dell’ultimo degli atti del-la sequenza criminosa integrativa della abitualità del reato, per cui il termine finale di consumazione, in mancanza di una specifica contestazione, coincide con quello della pronuncia della sentenza di primo grado che cristallizza l’accertamento processuale; pertanto non si configura violazione del princi-pio del ne bis in idem in caso di nuova condanna per fatti suc-cessivi alla data della prima pronuncia24. Il carattere di reato abituale improprio, a reiterazione necessaria delle condotte, rileva anche ai fini della procedibilità, con la conseguenza che, nell’ipotesi in cui il presupposto della reiterazione venga integrato da condotte poste in essere anche dopo la proposi-zione della querela, la condizione di procedibilità si estende anche a queste ultime, poiché, unitariamente considerate con le precedenti, integrano l’elemento oggettivo del reato25.

Il delitto di atti persecutori può concorrere con quello di lesioni personali26.

In tema di rapporti fra il reato di maltrattamenti in famiglia e quello di atti persecutori, salvo il rispetto della clausola di sussidiarietà prevista dall’art. 612-bis, 1° comma, c.p. – che rende applicabile il più grave reato di maltrattamenti quando la condotta valga ad integrare gli elementi tipici della relativa fattispecie – è invece configurabile l’ipotesi aggravata del reato di atti persecutori (prevista dall’art. 612-bis, 2° comma, c.p.) in presenza di comportamenti che, sorti nell’ambito di una comunità familiare (o a questa assimilata), ovvero determi-nati dalla sua esistenza e sviluppo, esulino dalla fattispecie dei maltrattamenti per la sopravvenuta cessazione del vincolo familiare e affettivo o comunque della sua attualità temporale. Resta il dubbio se il discrimine temporale vada individuato nell’interruzione del rapporto di convivenza27, onde sarebbe

20 Cass. penale, V, 28 febbraio 2017, dep. 27 marzo 2017, n. 14845.21 Cass. penale, V, 14 gennaio 2016, dep. 24 marzo 2016, n. 12528.22 castalDo, Il cyberstalking ossia lo stalking al tempo della giustizia 4.0, in

Nuova Temi Ciociara, 2018, 31, 79 ss.23 Cass. penale, V, 13 giugno 2016, dep. 15 settembre 2016, n. 38306, che

ha ritenuto immune da vizi la sentenza di merito che aveva affermato la sussi-stenza del reato in relazione a condotte tutte tenute nell’arco di una sola giornata.

24 Cass. penale, V, 3 aprile 2017, dep. 8 maggio 2017, n. 22210.25 Cass. penale, V, 11 luglio 2016, dep. 3 ottobre 2016, n. 41431.26 Cass. penale, V, 19 gennaio 2017, dep. 1° marzo 2017, n. 10051.27 Cass. penale, VI, 19 maggio 2016, dep. 19 luglio 2016, n. 30704, ha rite-

nuto immune da vizi la sentenza che aveva configurato il concorso tra i due reati, sul presupposto della diversità dei beni giuridici tutelati, ritenendo integrato quello di maltrattamenti in famiglia fino alla data di interruzione del rapporto di convivenza e poi, dalla cessazione di tale rapporto, quello di atti persecutori.

configurabile il reato di atti persecutori già in regime di sepa-razione, o nel divorzio28.

Sul piano processual-penalistico, vengono in rilievo, ai fini della tutela contro la violenza del coniuge o del convivente, il divieto di dimora (art. 283, 1°comma, c.p.p.), con il quale il giudice prescrive all’imputato di non dimorare in un deter-minato luogo e di non accedervi senza l’autorizzazione del giudice che procede.

Il divieto di dimora, in conformità del principio di perso-nalizzazione delle misure, deve essere armonizzato con le esigenze d’alloggio, di lavoro e di assistenza dell’imputato, salvaguardandole ove possibile.

La misura è idonea a soddisfare le esigenze cautelari di im-pedire l’inquinamento delle fonti di prova e, per quanto più ci riguarda, la reiterazione del reato, quando i relativi pericoli siano collegati a situazioni o a circostanze ambientali locali (anche semplicemente domestiche) ed appaia sufficiente l’al-lontanamento dell’interessato.

La tutela della integrità psico-fisica di chi rimane nella di-mora è un effetto solo indiretto della misura cautelare in que-stione, che partecipa delle finalità generali comuni a tutte le misure cautelari.

Il divieto di dimora, ai fini della congruità della misura ri-spetto alle esigenze cautelari considerate in concreto, può essere abbinato alla misura dell’obbligo di dimora in un de-terminato luogo, così da impedire alla persona violenta di avvicinarsi ai luoghi nei quali è più probabile la reiterazione della condotta criminosa.

La nuova misura dell’allontanamento dalla casa familiare (art. 282-bis c.p.p.), introdotta, come già detto, dalla legge 154/2001, è molto più specifica e diretta nell’individuare il fine della misura medesima, ovvero “l’incolumità della per-sona offesa”, e le modalità della sua applicazione, ovvero le necessarie limitazioni alla libertà di locomozione dell’impu-tato o dell’indagato.

7. Conclusione

La ricorrente espressione empirica “amore tossico” rende bene l’idea della manipolazione psicologica da parte del narcisista e della progressiva sottomissione della vittima verso una condi-zione molto complessa e delicata, una discesa agli inferi acco-stata da taluni al disturbo post-traumatico da stress, con perdita delle difese immunitarie, crollo dell’autostima, attacchi di pa-nico, ansia, difficoltà a dormire e ad alzarsi la mattina, disturbi dell’alimentazione, difficoltà nella vita sociale, familiare e lavo-rativa, difficoltà di concentrarsi, paralisi psichica, anestesia emo-zionale, disperazione, ritiro sociale, compromissione della rela-zione con gli altri, cambiamento delle caratteristiche precedenti di personalità. In breve, una vera e propria intossicazione dello spirito e di riflesso del corpo. Per uscirne, è necessaria la mo-bilitazione di reti istituzionali e l’opera specialistica, laboriosa, paziente, di esperti psicologi e psicoterapeuti, rispetto alla quale i rimedi giuridici sono di mero supporto o di riferimento finale.

Ciò mi consente perfino di dubitare dell’utilità di questa mia relazione.

28 Cass. penale, V, 4 maggio 2016, dep. 4 ottobre 2016, n. 41665. Così già Cass. penale, VI, 24 novembre 2011, dep. 20 giugno 2012, n. 24575, in Cass. pen., 2013, sez. 4.1, 1050, con nota di Feraco, I rapporti tra delitto di maltratta-menti in famiglia e quello di stalking.

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1. Introduzione

In ragione delle profonde modifiche apportate alla disciplina dell’istituto familiare nel codice civile ed in stretta correlazio-ne con il mutato assetto dei valori oggetto di tutela penale in tale ambito, alcuni interventi provenienti da autorevole dot-trina1 hanno sollecitato un dibattito intorno alla necessità di una, almeno parziale, rivisitazione di alcune delle fattispecie penali previste dal nostro codice penale nel titolo XI “Dei de-litti contro la famiglia”.

Nell’ambito della riforma varata con la legge 23 giugno 2017, n. 103 (c.d. riforma Orlando), la legge delega ha pre-visto “l’attuazione, sia pure tendenziale, del principio della riserva di codice nella materia penale, al fine di una miglio-re conoscenza dei precetti e delle sanzioni e quindi dell’ef-fettività della funzione rieducativa della pena, presupposto indispensabile perché l’intero ordinamento penitenziario sia pienamente conforme ai princìpi costituzionali, attraverso l’inserimento nel codice penale di tutte le fattispecie crimino-se previste da disposizioni di legge in vigore che abbiano a di-retto oggetto di tutela beni di rilevanza costituzionale, in par-ticolare i valori della persona umana, e tra questi il principio di uguaglianza, di non discriminazione e di divieto assoluto di ogni forma di sfruttamento a fini di profitto della persona medesima, e i beni della salute, individuale e collettiva, della sicurezza pubblica e dell’ordine pubblico, della salubrità e in-tegrità ambientale, dell’integrità del territorio, della correttez-za e trasparenza del sistema economico di mercato”.

Il recente d.lgs. n. 21 del 1° marzo 20182 ha inserito nel codi-ce penale l’art. 3-bis, secondo cui “Nuove disposizioni che pre-vedono reati possono essere introdotte nell’ordinamento solo se modificano il codice penale ovvero sono inserite in leggi che disciplinano in modo organico la materia”. La disposizione ha come scopo l’inserimento tendenziale nel codice penale di tutte le fattispecie criminose, al fine di creare una disciplina quanto più organica e completa dei precetti e delle sanzioni e rendere intellegibili gli effetti rieducativi della pena.

Il recente d.lgs. 21/2018 ha poi operato sul sistema vigente, la traslazione di norme incriminatrici dalla legislazione com-plementare all’interno del codice penale, senza attuare un progetto di ricodificazione del sistema penale.

1 ruggiero, Violante, La famiglia nel diritto penale, in PD, 1980, 33.2 In G.U. del 22 marzo 2018, n. 68 “Disposizioni di attuazione del principio

di delega della riserva di codice nella materia penale a norma dell’articolo 1, comma 85, lettera q), della legge 23 giugno 2017, n. 103”.

L’art. 2, d.lgs. 1 marzo 2018, n. 21 introduce l’art. 570-bis c.p. che assorbe le previsioni di cui all’articolo 12-sexies della legge 1° dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi di scioglimento del ma-trimonio), a mente del quale: “Al coniuge che si sottrae all’obbli-go di corresponsione dell’assegno dovuto a norma degli articoli 5 e 6 della presente legge si applicano le pene previste dall’arti-colo 570 del codice penale”, e di cui all’articolo 3 della legge 8 febbraio 2006, n. 54 (Disposizioni in materia di separazione dei coniugi e affidamento condiviso dei figli), che a sua volta recita: “In caso di violazione degli obblighi di natura economica si applica l’articolo 12-sexies della legge 1° dicembre 1970, n. 898”.

Art. 570-bis. c.p. - Violazione degli obblighi di assistenza fami-liare in caso di separazione o di scioglimento del matrimonio.Le pene previste dall’articolo 570 si applicano al coniuge che si sot-trae all’obbligo di corresponsione di ogni tipologia di assegno dovu-to in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio ovvero vìola gli obblighi di natura economica in ma-teria di separazione dei coniugi e di affidamento condiviso dei figli.

La modifica, da un lato, non incide sul regime di procedi-bilità di ufficio, la cui corrispondenza a Costituzione è stata comunque, ripetutamente affermata dalla Corte costituziona-le (da ultimo con sentenza n. 220 del 2015), dall’altro, con-templa le ipotesi (già previste mediante rinvio agli articoli 5 e 6 della stessa legge) di scioglimento, cessazione degli effetti civili, nullità del matrimonio oltre che quella dell’assegno do-vuto ai figli nelle medesime evenienze.

Lo stesso articolo 2 co. 1, lett. b) ha poi modificato l’art. 388 c.p. (Mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice), stabilendo al 2°comma3 quanto segue:

Art. 388, 2° co. c.p.La stessa pena si applica a chi elude l’ordine di protezione previsto dall’articolo 342-ter del codice civile, ovvero un provvedimento di egua-le contenuto assunto nel procedimento di separazione personale dei co-niugi o nel procedimento di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ovvero ancora l’esecuzione di un provvedimento del giudice civile, ovvero amministrativo o contabile, che concerna l’af-fidamento di minori o di altre persone incapaci, ovvero prescriva misure cautelari a difesa della proprietà, del possesso o del credito.

3 Il testo precedentemente in vigore era il seguente: “La stessa pena si applica a chi elude l’esecuzione di un provvedimento del giudice civile, ovvero ammi-nistrativo o contabile, che concerna l’affidamento di minori o di altre persone incapaci, ovvero prescriva misure cautelari a difesa della proprietà, del possesso o del credito”.

PRIME RIFLESSIONI SULLA C.D. “RISERVA DI CODICE IN MATERIA PENALE”. QUALI STRUMENTI PER IL NUOVO DIRITTO DI FAMIGLIA?VALERIA CIANCIOLOAvvocato in Bologna

Sommario: 1. Introduzione. - 2. La mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice. - 3. La giurisprudenza sull’art. 388 c.p. in tema di affidamento dei figli. - 4. Che cosa cambia con la modifica del 2° comma dell’art. 388 c.p. - 5. Le fattispecie previste dall’art. 570 c.p. - 6. La tutela penale del mantenimento dei figli maggiorenni. - 7. Che cosa cambia con il nuovo art. 570-bis c.p.

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30 L’Osservatorio sul diritto di famiglia | gennaio-agosto 2018

DOTTRINA

2. La mancata esecuzione dolosa di un provvedi-mento del giudice

L’art. 388 c.p. è inserito nel capo II del titolo III del codice pena-le, cioè, tra i delitti contro l’autorità delle decisioni giudiziarie.

Il bene-interesse protetto dalla norma non è peraltro costitui-to tanto dall’autorità in sé delle decisioni giurisdizionali quanto dall’esigenza costituzionale dell’effettività della giurisdizione4.

Ciò implica comunque, che in tutti i casi previsti, debba venire in considerazione l’effettività di una pronuncia giu-risdizionale, in quanto da essa discendano misure cui cor-rispondono doveri di comportamento, positivo o omissivo, incidenti sulle specifiche situazioni contemplate dalla norma.

Con riguardo ai primi due commi dell’art. 388 c.p., in par-ticolare, occorre che venga in rilievo la cogenza di provvedi-menti giurisdizionali, idonei a risolvere peculiari situazioni di conflitto.

Il reato presuppone un provvedimento del giudice civi-le concernente l’affidamento di minori, la cui elusione deve sostanziarsi in qualunque comportamento che ne ponga nel nulla o aggiri le finalità, il cui contenuto ed i relativi obblighi devono essere valutati non in termini letterali, ma alla luce dell’interesse del minore che vi è sotteso e che ne costituisce la ragion d’essere5.

3. La giurisprudenza sull’art. 388 c.p. in tema di affidamento dei figli

Come è noto, la Cassazione6 in tema di affidamento dei figli minori ha affermato che l’art. 388 del codice penale punisce soltanto quelle condotte che costituiscano consapevole elu-sione del provvedimento del giudice, ovvero quei comporta-menti che rendano vane le legittime pretese altrui e ciò non si realizza necessariamente con ogni violazione formale delle prescrizioni poste dall’Autorità Giudiziaria.

In relazione all’affidamento dei figli minori, la giurisprudenza ritiene che “l’elusione dell’esecuzione di un provvedimento del giudice civile può concretarsi in un qualunque comportamento da cui derivi la ‘frustrazione’ delle legittime pretese altrui, ivi compresi gli atteggiamenti di mero carattere omissivo”.

La Corte di Cassazione ha ritenuto sussistente la fattispe-cie in esame nel caso in cui il genitore affidatario, cambian-do continuamente il luogo di dimora senza darne preavviso al marito separato, gli aveva di fatto impedito l’esercizio del diritto di visita e di frequentazione dei figli. Così, come in-tegra gli estremi del delitto di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento giudiziale e non quelli della contravven-zione prevista dall’art. 650 c.p., che ha carattere residuale, la condotta di chi si avvicini al centro abitato nel quale hanno dimora il coniuge ed i figli, eludendo il provvedimento del giudice che aveva vietato tale avvicinamento7.

Integra, ancora, il reato de quo anche il rifiuto di consegnare saltuariamente il figlio al coniuge non affidatario o comun-que, qualunque comportamento che ponga nel nulla o ag-giri le finalità cautelari, il cui contenuto ed i relativi obblighi

4 Cass. Pen., Sez. Unite, 27 settembre 2007, n. 36692, Vuocolo, in CED Cass., n. 236937.

5 Cass. pen. Sez. VI, 14 marzo 2017, n. 20801.6 Cass. pen. Sez. VI, Sent., 23 marzo 2016, n. 12391; Cass. pen. Sez. VI,

Sent., 30 novembre 2015, n. 47287.7 Cass. pen., Sez. VI, 1° febbraio 2013, n. 9397.

devono essere valutati non in termini letterali, ma alla luce dell’interesse di tutela del minore che vi è sotteso e che ne costituisce la ragion d’essere8.

È pure condotta elusiva anche il mero rifiuto di ottemperare al provvedimento giudiziale sul diritto di visita del genitore non affidatario da parte dell’altro genitore affidatario, salva la sussistenza di contrarie indicazioni di particolare gravità, quando l’attuazione del provvedimento richieda la sua neces-saria collaborazione9.

Diversamente, si è ritenuto che “non integra il reato di elu-sione del provvedimento del giudice civile concernente l’affi-damento dei figli la condotta del coniuge separato che – qua-le affidatario dei figli minori, e obbligato a far sì che l’altro coniuge possa incontrare e tenere con sé i figli nei giorni e nelle settimane predeterminate nel provvedimento giudiziale – trasferisca in altra città la residenza propria e dei figli, ma astenendosi da specifici contegni di impedimento all’esercizio del diritto di questi di far visita e incontrare i figli”10.

4. Che cosa cambia con la modifica del 2° comma dell’art. 388 c.p.

Il 1° comma dell’art. 388 c.p. stabilisce:

[1] Chiunque, per sottrarsi all’adempimento degli obblighi nascenti da un provvedimento dell’autorità giudiziaria, o dei quali è in cor-so l’accertamento dinanzi all’autorità giudiziaria stessa, compie, sui propri o sugli altrui beni, atti simulati o fraudolenti, o commette allo stesso scopo altri fatti fraudolenti, è punito, qualora non ottemperi all’ingiunzione di eseguire il provvedimento, con la reclusione fino a tre anni o con la multa da euro 103 a euro 1.032.

Con l’inserimento del nuovo secondo comma, dunque, a colui che si sottrae all’adempimento degli obblighi derivanti da un provvedimento giudiziario, sarà applicabile la misura dell’ordine di allontanamento previsto dall’art. 342-ter c.c. Come è noto, il giudice civile può adottare “ordini di prote-zione” quando la condotta del genitore o di altro convivente è causa di grave pregiudizio all’integrità fisica o morale, ovvero alla libertà di altro coniuge o convivente. Si tratta di previ-sione estremamente ampia, che spazia dal grave pregiudizio alla vita, alla salute fisica e all’incolumità del familiare, fino ad arrivare a quello alla salute psichica e alla “libertà”. Verifican-dosi detti presupposti (che la norma individua in modo assai generico), il giudice, adito con procedimento di cognizione sommaria, di tipo sostanzialmente cautelare, può assume-re provvedimenti che incidono su diritti fondamentali della persona, riconosciuti e garantiti dalla Carta costituzionale, in particolare gli artt. 13 e 16 (libertà personale, libertà di cir-colazione e soggiorno), ma anche l’art. 42 (proprietà privata). Ciò in mancanza di quel sistema rigoroso di condizioni e ve-rifiche, che legittima il giudice penale a limitare tali diritti, ove sia ipotizzabile una fattispecie delittuosa.

Il giudice civile, infatti, ritenuta la sussistenza di un “grave pregiudizio” nei termini sopra evidenziati, può disporre l’al-lontanamento dalla casa familiare, nonché vietare di frequen-tare determinati luoghi per colui (coniuge o convivente) che tenga la condotta “violenta”.

8 Cass. pen., Sez. III, 7 aprile 2010, n. 24294.9 Cass. pen., Sez. VI, 5 luglio 2016, n. 27604.10 Cass. pen., Sez. feriale, 14 settembre 2010, n. 34024.

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Gli ordini di protezione, proprio perché misure di tipo prov-visorio, hanno una durata limitata nel tempo: tale durata è de-terminata dal giudice, con decorrenza dall’avvenuta esecuzio-ne del provvedimento e comunque non può essere superiore a sei mesi. In tale lasso di tempo i coniugi (o i conviventi) devono essere in grado di risolvere la situazione conflittuale.

La misura potrebbe risolvere gli atteggiamenti ostruzionisti-ci molto spesso praticati dal coniuge affidatario.

5. La fattispecie previste dall’art. 570 c.p.

La formulazione dell’art. 570 c.p., appare nel suo insieme complessa e tecnicamente ambigua al punto che gli interpreti, ancora oggi, si interrogano se trattasi di “un’unica norma arti-colata in più fattispecie alternative, sí che il delitto resti unico anche se lo stesso autore con la sua condotta concreti più fat-tispecie…; ovvero di una disposizione a più norme che preve-dono più fattispecie cumulative, ognuna costituente un diverso ed autonomo titolo delittuoso, sí che esse possano dar luogo, in caso di violazione plurima, ad un concorso di reati”11.

L’incertezza interpretativa è alimentata altresì dalla generici-tà dell’espressione “obblighi di assistenza” di cui al 1° comma dell’art. 570 c.p. e che ha indotto la dottrina, in passato mag-gioritaria, a ipotizzare la separazione della norma in due parti: l’una concernente l’assistenza morale (1° comma), l’altra l’as-sistenza economica (2° comma)12.

a. l’abbandono del domicilio domestico o l’assunzione di altra condotta contraria all’ordine e alla morale delle famiglie, che determinano la violazione dell’obbligo di assistenza inerente alla responsabilità genitoriale3 o alla qualità di coniuge (comma 1)13;

b. la malversazione o dilapidazione di beni del figlio mino-re o del coniuge da parte del genitore o dell’altro coniuge (comma 2, n. 1);

c. la mancata somministrazione dei mezzi di sussistenza a discendenti minorenni, inabili al lavoro, agli ascendenti ovvero al coniuge (comma 2, n. 2).

In realtà, la violazione degli obblighi di assistenza familiare è disciplinata, oltre che dall’art. 570 c.p., sia dall’art. 12-sexies legge n. 898/1970 (che punisce l’omesso versamento, da par-te dell’obbligato, dell’assegno dovuto al coniuge divorziato in forza di un provvedimento giudiziario) sia dall’art. 3 legge n. 54/20065 che punisce la violazione degli obblighi di natura economica disposti per il mantenimento dei figli (minorenni o maggiorenni non autosufficienti) dal Giudice nella separa-zione dei coniugi.

11 Delogu, Commentario al diritto italiano della famiglia, a cura di Cian, Oppo, Trabucchi, Padova, 1995, 380.

12 antolisei, Manuale di diritto penale, Parte Speciale, I, 13ª ed., Milano, 1999, 488; Miconi tonelli, voce Violazione degli obblighi di assistenza familiare, in Enc. Giur. Treccani, XXXII, Roma, 1994, 2; serVetti, La riforma della legge sul divorzio: una nuova fattispecie incriminatrice, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1987, 981. In giuri-sprudenza: Cass., Sez. I, 26 gennaio 1976, saloMoni, in Cass. Pen., 1977, 364; Id., Sez. VI, 23 settembre 1995, arraBito, ivi, 1996, 2975.

13 La fattispecie di cui al 1° co. richiede che il soggetto attivo – genitore o coniuge – si sottragga agli obblighi di assistenza familiare mediante l’abbandono del domicilio domestico o con una condotta contraria all’ordine o alla morale delle famiglie. Per la configurabilità del reato di cui al comma 1 dell’art. 570 c.p., la Cassazione ha evidenziato che non basta il solo fatto di sottrarsi al dovere di coabitazione, ma è necessario che l’allontanamento sia ingiustificato e che cagioni volontariamente l’inadempimento degli obblighi della mutua assistenza materiale e morale (Cassazione 29 aprile 1980, Giustizia penale, 1981, II, 198).

6. La tutela penale del mantenimento dei figli mag-giorenni

La violazione dell’obbligazione di mantenimento stabilita per i figli maggiorenni, può dirsi sanzionata dall’art. 570 c.p.?

La risposta è certamente positiva per ciò che attiene alla violazione del 1°comma della norma in questione (come in-terpretato dalle Sezioni Unite del 2013), mentre alla stessa soluzione non si può giungere per quanto concerne il secon-do comma.

Come è noto, la seconda ipotesi di reato, prevista dall’art. 570, 2° co., consiste nella omessa prestazione dei mezzi di sussistenza realizzata nei confronti di soggetti legati da un particolare vincolo di parentela, in tutti i casi in cui sussista l’obbligo giuridico agli alimenti.

Si è affermato in giurisprudenza che la fattispecie di cui all’art. 570, comma 2, n. 2, c.p. prevede come persone offese, tra le altre, i figli minori o inabili al lavoro, con la conseguenza che non integra il reato la violazione dell’obbligo di assicurare i mezzi di sussistenza ai figli maggiorenni non inabili al lavo-ro, mentre la suddetta incriminazione va distinta da quella contemplata dall’art. 12-sexies della legge 1° dicembre 1970, n. 898, la quale punisce il mero inadempimento dell’obbli-go di corresponsione dell’assegno di mantenimento stabilito dal giudice civile in sede di divorzio in favore dei figli senza limitazione di età, purché economicamente non autonomi14.

Il comportamento di chi non adempiendo all’obbligazione di mantenimento verso i figli a suo carico determina la priva-zione dei mezzi di sussistenza, è penalmente rilevante soltan-to se compiuto in danno di soggetti minori di età.

Viceversa, la disposizione di cui al primo comma dell’art. 570 del codice penale (come interpretata dalla Sezioni Unite nel 201315) – richiamata dall’art. 12-sexies della legge sul divorzio (legge 1° dicembre 1970, n. 300, come modificata sul punto dalla legge 6 marzo 1987, n. 74) – è utilizzabile in caso di sot-trazione all’obbligo di corresponsione dell’assegno di manteni-mento dovuto a norma dell’art. 5 (Assegno coniugale) e dell’art. 6 (Contributo di mantenimento per il figlio minorenne o maggiorenne).

7. Che cosa cambia con il nuovo art. 570-bis c.p.

Il nuovo art. 570-bis c.p. estende il trattamento sanzionatorio previsto dall’art. 570 c.p. “al coniuge che si sottrae all’obbligo di corresponsione di ogni tipologia di assegno dovuto in caso

14 Cass. pen. Sez. VI, 30 settembre 2014, n. 41832. Recentemente il prin-cipio è stato sposato anche dalla giurisprudenza di merito. Cfr. Trib. Cassino, 23 ottobre 2017 secondo cui la fattispecie incriminatrice di cui all’art. 12-sexies della legge n. 898 del 1970, a differenza di quella di cui all’art. 570 c.p., punisce il mero inadempimento dell’obbligo di corresponsione ai figli, senza limitazione di età, dell’assegno di mantenimento stabilito dal giudice in sede di divorzio, prescindendo dalla prova dello stato di bisogno dell’avente diritto.

15 Cfr. Dosi, Lessico di diritto di Famiglia, voce Violazione degli obblighi di as-sistenza familiare: Cass. pen. Sez. Unite, 31 gennaio 2013, n. 23866: “l’assunto della giurisprudenza dominante, secondo cui il primo comma sanzionerebbe la violazione degli obblighi di assistenza morale, mentre il secondo punirebbe la violazione di quelli di assistenza materiale connessi alla condizione di coniuge o di genitore non può condividersi. Infatti negli obblighi di assistenza inerenti alla qualità di coniuge (art. 143 codice civile) rientrano anche quelli di assistenza materiale concernenti il rispetto e l’appagamento delle esigenze economicamen-te valutabili dell’altro coniuge e la corresponsione dei mezzi economici necessari per condurre il tenore di vita della famiglia. Obblighi che permangono anche in caso di separazione personale dei coniugi e anche in caso di divorzio, ove sia previsto l’assegno divorzile la cui natura assistenziale è ribadita costantemente dalla giurisprudenza civile”.

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di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio ovvero vìola gli obblighi di natura economica in materia di separazione dei coniugi e di affidamento condiviso dei figli”. E quindi, il coniuge che si sottrae all’obbligo di cor-responsione, verrà punito con la reclusione fino ad una anno e la multa da euro 103 a 1.032, pene che saranno applicabili

alternativamente nella ipotesi di cui all’art. 570, 1° co. congiun-tamente nelle ipotesi previste dal 2° co. dello stesso articolo.

Trattandosi, secondo dottrina dominante, di ipotesi autono-me di reato e non di circostanze aggravanti del reato di cui al 1° co., per le violazioni previste dal 2° co., dovrà esser sempre applicata la pena detentiva congiunta a quella pecuniaria.

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La violenza nelle relazioni familiari DOSSIER

Il 12 marzo scorso si è tenuto a Roma presso l’Auditorium della Cassa Forense l’incontro di formazione “Violenza dome-stica: ipotesi di reato, strategie di contrasto” - “Un ricordo di Tina Lagostena Bassi a 10 anni dalla sua morte”.

Nell’affrontare un tema di così grande attualità ed interesse, la Sezione Romana dell’Osservatorio organizzatrice dell’even-to, ha optato per una scelta di approccio interdisciplinare, viaggiando su più linee, con la convinzione che l’analisi del fenomeno e soprattutto le strategie di contrasto, impongono strumenti non solo giuridici ma frutto di una scelta culturale più ampia. Per questo motivo, come relatori erano presenti non solo avvocati e magistrati esperti del settore, ma anche una psicologa ed un’esperta di linguistica. Si è deciso di ricor-dare la figura dell’Avv. Tina Lagostena Bassi a dieci anni dalla sua morte, protagonista di tante battaglie, presente nei pro-cessi più importanti in difesa delle donne, che ha contribuito ad introdurre nel nostro sistema giudiziario importanti rifor-me. Il convegno è stato strutturato come una sorta di “work in progress” e si è concluso la sera del 15 marzo quando, in occasione della prima teatrale dell’opera pirandelliana “Vesti-re gli ignudi” è intervenuta la scrittrice Dacia Maraini che ha ricordato l’Avv. Tina Lagostena Bassi e, sottolineato l’impor-tanza di figure che oggi rappresentano un grande esempio. Nella strategia di contrasto alla violenza domestica la scelta di inserire una rappresentazione teatrale che racconta la sto-ria di una giovane donna vittima ma non solo ha assunto un significato ben preciso: la potenza della liturgia teatrale, le parole di un testo scritto più di cento anni fa che sembrano partorite oggi dalla mente di uno scrittore contemporaneo, emozionano e fanno riflettere. Del resto noi avvocati abbiamo un linguaggio comune con il teatro: le parole attore, compar-sa, parte ne sono un esempio. Altra novità è stata quella di invitare come relatrice una docente di linguistica, la Prof.ssa Francesca Dragotto dell’Università di Tor Vergata che ha par-lato dell’importanza del linguaggio nella strategia di contrasto alla violenza domestica. La relatrice durante il suo intervento

ha ipotizzato una psicolinguistica forense cui rivolgersi non più solo in ambito criminologico bensì in ambito di diritto di famiglia. Uno strumento in più a disposizione di chi per mestiere si trova ad affrontare e contrastare la crisi familiare. Nell’ottica di essere tecnicamente in grado di opporsi con effi-cacia e prevenire il reiterarsi di alcune ipotesi di reato, è stato chiesto ai giuristi intervenuti di parlare delle misure coercitive ex artt. 282, 282-bis, 282-ter, 283 c.p.p., della schizofrenia del sistema giudiziario che a volte rischia di compromette-re gli obiettivi prefissati con l’introduzione di nuove norme (art. 162-ter c.p.), degli ordini di protezione contro gli abusi familiari (art. 342-bis e ter c.c.) piuttosto che l’analisi di sin-gole fattispecie di reato(i). È indubbio che questi strumenti posti a tutela della sicurezza delle persone si sono con il tem-po rivelati importantissimi nel contrastare fenomeni diffusi di violenza, che hanno imposto al legislatore una risposta di contrasto rapida ed efficace.

Il racconto di quanto verificatosi nell’immediatezza dell’en-trata in vigore dell’art. 162-ter e la necessità di ricorrere ai ripari per evitare di offrire inconsapevolmente un escamo-tage all’autore di atti persecutori ha fatto scaturire un’ampia riflessione su una maggiore attenzione che il legislatore deve avere, quando a scopo deflattivo vengono introdotte nuove norme, altrimenti si rischia di creare una schizofrenia nel sistema legislativo: da una parte norme che nello specifico sono state varate per reprimere il dilagare di certi fenomeni, si pensi all’introduzione del reato di stalking (art. 612-bis c.p.) nonché all’inasprirsi delle pene, dall’altra prevedere, come ac-caduto con l’introduzione dell’art. 162-bis c.p., la possibilità di una riparazione pecuniaria offrendo all’imputato un modo per non affrontare un processo attraverso il pagamento di una somma di denaro. Il legislatore sin dall’inizio avrebbe dovuto escludere il reato di stalking. Un miglior coordinamento della normativa è stato ritenuto da tutti gli intervenuti necessario.

Grande attenzione è stata riservata nell’intervento dell’ex Presidente del Tribunale per i Minorenni di Roma, Melita Ca-

DOSSIER

La violenza nelle relazioni familiariIl 12 marzo scorso si è tenuto a Roma presso l’Auditorium della Cassa Forense l’incontro di formazione

“Violenza domestica: ipotesi di reato, strategie di contrasto” - “Un ricordo di Tina Lagostena Bassi a 10 annidalla sua morte”, organizzato dalla Sezione romana di ONDiF. Si pubblicano gli atti del convegno.

INTRODUZIONE AL CONVEGNO: “Violenza domestica: ipotesi di reato, strategie di contrasto”, Roma 12 marzo 2018FIORELLA D’ARPINOAvvocato a Roma e Rappresentante della Sezione romana dell’Osservatorio

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34 L’Osservatorio sul diritto di famiglia | gennaio-agosto 2018

DOSSIER La violenza nelle relazioni familiari

vallo, al tema della “violenza assistita” che spesso coinvolge i minori loro malgrado in episodi di violenza domestica, de-stinati ad incidere per sempre nelle loro giovani menti con il rischio di comprometterne il sano percorso di crescita. Gli avvocati che entrano in contatto con questo tipo di realtà hanno una grandissima responsabilità nonché il dovere di una costante formazione ad ampio raggio. L’intervento della Prof.ssa Consegnati, C.T.U. del Tribunale Civile di Roma, si è soffermato sugli aspetti problematici delle C.T.U. laddove vengono esaminati, ai fini della valutazione della capacità e responsabilità genitoriale, fatti di rilevanza penale a volte cul-minanti in vere e proprie condanne. La mancanza di regole, di protocolli d’intervento che possono orientare il lavoro del

C.T.U. e anche una corretta valutazione del lavoro svolto co-stituisce un vuoto che dovrebbe essere colmato. Nella prassi giudiziaria spesso assistiamo ad una molteplicità di interven-ti da parte di figure che si sovrappongono (assistenti sociali, operatori di centri di accoglienza, consulenti tecnici di ufficio, interventi della Magistratura penale, civile e minorile) in as-senza di norme di coordinamento.

In Italia forse bisognerebbe varare un’intera riforma del si-stema come è accaduto nel 2012 in Inghilterra grazie all’allora Ministro Patricia Scotland che nei fatti e nel tempo ha reso possibile una riduzione dei casi di violenza domestica, come scrive Simonetta Agnello Hornby nel libro “Il male che si deve raccontare”.

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35L’Osservatorio sul diritto di famiglia | gennaio-agosto 2018

La violenza nelle relazioni familiari DOSSIER

1. Il richiamo al rito cautelare

Nella tutela contro gli abusi familiari è insita un’esigenza di urgenza che contraddistingue peraltro l’intera materia del conflitto familiare e dunque il legislatore quando, con la legge n. 154 del 2001, ha introdotto lo speciale mezzo giurisdi-zionale di tutela novellando sia il codice civile (artt. 342-bis e 342-ter, c.c.) e sia il codice di rito (art. 736-bis c.p.c.) ha optato correttamente per un modello di tutela sommaria an-ticipatoria.

Pur non liberandosi tuttavia del modello camerale, che contraddistingue molte misure in materia di relazioni fami-liari, con tutti i gravi limiti di tenuta costituzionale – sia in relazione al principio di riserva di legge per la scarsa rego-lamentazione del rito camerale (sono dedicati pochi artico-li del codice di rito, artt. 737 ss., c.p.c.), sia in relazione ai principi del giusto processo che devono comunque assicurare un’alternativa di tutela nelle forme del processo a cognizione piena, assicurazione mancante nel rito camerale – tra le righe il legislatore opta in realtà per le forme della tutela cautelare1.

Infatti il richiamo alle forme camerali resta sullo sfondo dell’art 736-bis c.p.c. (riferimento al 1° e 5° comma), appa-rendo come una formula stereotipata del legislatore, solo che si esaminino i commi successivi al primo dove sono richiama-te letteralmente le disposizioni dell’art. 669-sexies e 669-ter-decies c.p.c., che regolano, com’è noto, il processo cautelare uniforme. Anche l’art. 342-ter c.c., nel suo ultimo comma, è costruito, per i problemi suscitati dall’attuazione, sull’art. 669-duodecies c.p.c. Il legislatore ha correttamente in mente, ma tiene il concetto nella “penna”, almeno in quel frangente storico, che il processo modello, per il rito sommario fami-liare, nella specie gli ordini di protezione, è quello cautelare.

Ciò è bene evidente nella struttura del procedimento che precede l’adozione della tutela, ma non meno in relazione agli esiti successivi della misura cautelare, ovvero nella rego-lamentazione del reclamo e dell’attuazione.

Si potrà obbiettare che il reclamo segue le forme del rito

1 Conf. Cass., 15 gennaio 2007, n. 625, in Fam. dir., 2007, 571, con nota di presutti; Cass., 5 gennaio 2005, 2005, n. 208, in Foro it., 2006, I, 224; in senso contrario, D’alessanDro, Aspetti processuali, in Gli abusi familiari, a cura di Paladini, Padova, 2009, 225 ss.; Vullo, L’esecuzione degli ordini civili di protezione contro la violenza nelle relazioni familiari, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2005, 129 ss.; auletta, L’azione civile contro la violenza nelle relazioni familiari, in Riv. dir. proc., 2001, 1045 ss.; per l’assimilazione ad un procedimento di volontaria giurisdi-zione, invece, toMMaseo, Abuso della potestà e allontanamento coattivo dalla casa familiare, in Fam. dir., 2002, 637 ss., opinione che è accolta anche da D’alessan-Dro, loc. ult. cit. Sommessamente l’assimilazione alla volontaria giurisdizione per misure che incidono in maniera estrema sui diritti fondamentali della persona, rischia di trascinare le regole del procedimento verso un modello privo di ga-ranzie. Tutto il presente saggio è costruito, in applicazione dei principi, su di un modello differente, che si ritiene tuttavia di trarre dal sistema.

camerale, ma se si legge la disposizione l’analogia con la di-sciplina del reclamo cautelare non può non apparire più evi-dente (peraltro è da ricordare che anche il reclamo cautelare rinvia alle forme del rito camerale, art. 669-terdecies c.p.c.).

2. Autonomia della misura

Non si può neppure negare che il provvedimento si caratte-rizza per la sua portata decisamente anticipatoria degli effetti che assumono integralmente quelli di una tutela di merito2: l’allontanamento (che ricorda l’assegnazione esclusiva all’altro genitore della casa coniugale, ma anche la misura dell’art. 330 c.c.), il contributo di mantenimento, la tutela esecutiva in via breve di questa misura, per cui, in analogia con le regole della tutela cautelare non conservativa, ex art. 669-octies c.p.c. (la misura conserva i suoi effetti ancorché il giudizio di merito non sia introdotto, salvo come è noto prevederne una durata temporale, oggi estesa, con la legge n. 28 del 2009, ad un anno e comunque lasciando intatta la possibilità di una pro-roga discrezionale successiva del giudice).

È un’ulteriore prerogativa della tutela cautelare anticipa-toria, che costituisce un’importante novità della legge n. 80 del 2005, che ha riscritto in parte l’art. 669-octies c.p.c.: un provvedimento sommario bastevole a sé stesso, ma inidoneo al giudicato, i cui effetti sopravvivono, ma non acquistano la stabilità propria del giudicato.

La riprova è nella negazione, senza soluzione di continuità da parte del giudice di legittimità3, di un accesso del provve-dimento conclusivo al ricorso straordinario ex art. 111 Cost. come conferma che esso non ha carattere decisorio, non è idoneo a definire i diritti in modo irrevocabile.

3. La fattispecie e il modello di tutela

La fattispecie si presenta come atipica e assai generica, nono-stante che la misura sia fortemente limitatrice di libertà persona-li, per cui sarebbe stato auspicabile una maggiore precisione in ossequio al principio di tipicità, sul modello dell’illecito penale4.

L’originaria formulazione dell’art. 342-bis c.c. subordinava l’emanazione di un ordine di protezione civile al fatto che, nella condotta del familiare violento, non ricorressero gli estremi di un reato perseguibile d’ufficio. La legge n. 304 del 2003 ha eliminato l’alternatività: ne consegue che oggi la via civile di tutela giurisdizionale non potrà essere preclusa dalla esistenza di una condotta penalmente rilevante, ponendosi il

2 Questo l’argomento principale a confutazione di quanto ritenuto da D’a-lessanDro, loc. ult. cit., e auletta, loc. ult. cit.

3 Cass., 15 gennaio 2007, n. 625; Cass., 5 gennaio 2005, n. 208.4 renDa, L’abuso familiare, in Gli abusi familiari, a cura di Paladini, cit., 71 ss.

GLI ORDINI DI PROTEZIONECLAUDIO CECCHELLAPresidente ONDiF

Sommario: 1. Il richiamo al rito cautelare. - 2 Autonomia della misura. - 3. La fattispecie e il modello di tutela. - 4. Il procedimento. - 5. I rapporti con gli artt. 330 e 333 c.c. - 6. I rapporti tra ordini di protezione ex art. 342-ter c.c. e ordine di protezione pronunciato dal giudice penale. - 7. I rapporti con le ordinanze presidenziali ex art. 708 c.p.c.

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DOSSIER La violenza nelle relazioni familiari

doppio binario e inevitabilmente il rischio di provvedimenti contraddittori, in sede civile come penale5.

Il primo profilo costitutivo della fattispecie è “il pregiudizio” quando la condotta del genitore o di altro convivente (anche del figlio verso il genitore) è causa di grave pregiudizio all’integrità fisica o morale, ovvero alla libertà dell’altro coniuge o conviven-te (libertà di circolazione, di soggiorno, di proprietà, ecc.).

Quanto al pregiudizio alla salute fisica e psicologica6 è da pensare al caso di violente aggressioni verbali e minacce di recare mali ingiusti, senza la necessità che la violenza scon-fini nella lesione dell’integrità fisica o psicologica. Il vulnus si ha nei casi di condotta non comune, con modalità di grave intensità nella sua esecuzione e con una ripetitività e durata nel tempo7.

La semplice violazione degli obblighi coniugali e genitoriali, ex artt. 143 e 147 c.c., comporta una mera condotta omissiva e non integra i presupposti degli ordini, così come una inco-municabilità dei conviventi o incompatibilità di convivenza, che la rende intollerabile8.

Ugualmente la mancata consegna del minore ai fini del di-ritto di visita ed esercizio pieno di una effettiva bigenitorialità, può essere fondamento di una sanzione ex art. 709-ter c.p.c., ma non può fondare un ordine di protezione.

Quanto invece alle limitazioni delle libertà fondamentali della persona, vi deve essere una intollerabile limitazione del-le fondamentali garanzie e libertà personali.

I soggetti autori della fattispecie possono essere i coniugi o altro convivente, il partner dell’unione, secondo la legge n. 76 del 2016, oppure anche un convivente non legato da una relazione sentimentale. Si deve trattare quanto meno di una convivenza9.

A fronte di questa fattispecie il legislatore ha optato per uno strumento che ha contraddistinto un’importante stagione del legislatore (artt. 708 e 189 disp. att. c.p.c.; artt. 186-bis e ter c.p.c.; art. 423 c.p.c.; art. 19 d.lgs. n. 5 del 2003; art. 669-oc-ties c.p.c. dopo la legge n. 80 del 2005), verso la pronuncia in tempi accettabilmente brevi di una regola al conflitto che muove da una cognizione sommaria, come tale inidonea a raggiungere la revocabilità del giudicato, prerogativa consen-tita solo alle forme ordinarie di cognizione.

Ma soprattutto, per quello che qui interessa, la conservazio-ne rigorosa e coerente di quella tutela sul binario della cogni-zione sommaria, sia nella fase che precede la misura, sia nella impugnazione che è concessa dopo che la misura è offerta (il reclamo e non l’appello).

Questo disegno aveva importanti suggestioni di diritto comparato, particolarmente nell’ambito dell’ordinamento transalpino, la tutela per reféré francese, ove è dato ottenere,

5 Cfr. Di Martino, Honestanda domus. Appunti sull’allontanamento dalla casa familiare come misura cautelare personale, in Gli abusi familiari, a cura di Paladini, cit., 253 ss.

6 Trib. Trani, 17 gennaio 2004, in Giur. merito, 2004, 455; Trib. Bari, 11 dicembre 2001, in Foro it., 2003, II, 948.

7 Trib. Monza, 29 ottobre 2003, in Giur. merito, 2004, 461.8 Conf., Trib. Bari, 18 luglio 2002, in Fam. dir., 2002, 623, con nota di De

Marzo.9 Trib. Napoli, 1° febbraio 2002, in Fam. dir., 2002, 504 ss.; ritiene corret-

tamente necessaria la convivenza, ma lo stesso tribunale (19 dicembre 2007, in Foro it., 2008, II, 2037 ss.) ha ammesso la misura del caso del coniuge separato non più convivente. Il requisito della convivenza sussiste anche quando la vitti-ma si sia allontanata nel timore di subire violenza fisica o morale da congiunto, mantenendo nell’abitazione familiare il centro degli interessi morali ed affettivi.

prescindendo dai presupposti cautelari, una tutela sommaria anticipatoria all’esito della quale è offerto uno strumento di impugnazione ancora radicato nelle forme del processo som-mario, pur denominandosi appello.

Vi è infatti in questa esperienza, e in un’esperienza che si deve ritenere corretta sul piano processuale, una necessaria partizione tra le forme sommarie e quelle ordinarie, che de-vono conservare il proprio binario differenziale, senza la con-taminazione dell’uno mezzo rispetto all’altro.

È noto invece il diverso modello a cui di recente il legisla-tore intende ispirarsi dopo la legge n. 69 del 2009, modello a cui l’art. 54 della stessa legge intende condurre tutte le forme sommarie, non solo camerali, ma anche quella del processo cautelare uniforme.

È il modello del processo denominato sommario, ma in real-tà di rito semplificato o abbreviato, trattandosi di un processo a cognizione piena, introdotto con gli artt. 702-bis e ss. c.p.c., il quale conduce ad un’ordinanza di tutela che, in difetto di appello (art. 669-quater c.p.c.), acquisisce la stabilità piena del giudicato10.

Questo modello si presenta al contrario per il suo carattere profondamente ibrido dove le forme sommarie si confondo-no, convertendosi in quelle ordinarie:

a) nella introduzione di forme degli atti preliminari al pro-cedimento: il ricorso e la comparsa, sul modello del rito a cognizione piena (evidenti richiami agli artt. 163 e 167 c.p.c.), con tutto lo strascico delle preclusioni alle attività difensive delle parti che mai aveva caratterizzato il rito sommario;

b) nella facoltà concessa al giudice di una via di fuga, a cui difficilmente il giudice potrà sottrarsi per ovvie ragioni di certezza e di tranquillità, attraverso la conversione dal rito sommario al rito ordinario, che costituisce il de profundis anticipato dell’istituto. Infatti, ad esclusione dei provvedimenti di rito che vengono assunti con or-dinanza immediata non impugnabile, il giudice qualora ritenga inopportuna l’istruzione sommaria, fissa l’udien-za dell’art. 183 c.p.c., ovvero avvia la controversia alle forme ordinarie (con tutte le ricadute drammatiche sulla conduzione di un’istruttoria un po’ debordante dalle for-me sommarie che aveva caratterizzato il processo caute-

10 Per un’ampia disamina sull’istituto, v. teDolDi, Procedimento sommario di cognizione, commentario del codice di procedura civile, a cura di Chiarloni, Bologna, 2016, 91 ss., 173 ss.; MonDini, Il giudizio sommario di cognizione, in Il processo sommario e la riforma dei riti, in Quaderni volterrani del diritto, a cura di Cecchella, 2012, 17; catalDi, Il procedimento sommario di cognizione, Torino, 2013, 3 ss.; ca-poni, Relazione tenuta al Convegno “Come cambia il codice di procedura civile”, Firenze, 25 giugno 2009, www.fondazioneforensefirenze.it.; luiso, Il procedimento sommario di cognizione, in www.judicium.it; Menchini L’ultima “idea” del legislato-re per accelerare i tempi della tutela dichiarativa dei diritti: il processo sommario di cognizione, www.judicium.it; oliVieri, Il procedimento sommario di cognizione (pri-missime brevi note), in www.judicium.it.; Valerini Il nuovo procedimento sommario di cognizione: funzionamento, vantaggi e limiti all’estensione come “modello” uniforme, in www.dirittoegiustizia.it.; Boce, Il procedimento sommario di cognizione ex art. 702-bis ss. c.p.c., in judicium.it; carratta, Procedimento sommario di cognizione, in www.treccani.it; Basilico, Il procedimento sommario di cognizione, in Il giusto proc. civ., 2010, 737 ss.; Besso, Il nuovo rito ex art. 702-bis c.p.c.: tra sommarietà del pro-cedimento e pienezza della cognizione, in Giur. it., 2010, IV, 722 ss.; BiaVati, Appunti sul nuovo processo a cognizione semplificata, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2010, 185 ss.; cea, L’appello nel processo sommario di cognizione, in Il giusto proc. civ., 2011, 135 ss.; Ferri, Il procedimento sommario di cognizione, in Riv. dir. proc., 2010, 94 ss.; roMano, Appunti sul nuovo procedimento sommario di cognizione, in Il giusto proc. civ., 2010, 165 ss.; scala, L’appello nel procedimento sommario di cognizione, in Giur. it., 2010, 738 ss.

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lare uniforme e di cui nessuno si era mai lamentato e anzi aveva giovato alla giustizia e alla sua rapidità);

c) nella idoneità del provvedimento finale ad assumere la stabilità del giudicato, ciò che – salvo l’esperienza moni-toria – non aveva mai contraddistinto il rito sommario, mentre l’esperienza del recente passato si contraddistin-gueva per un provvedimento finale efficace nel tempo nonostante la mancata introduzione del giudizio di me-rito ma per ciò stesso non idoneo alla stabilità del giudi-cato e quindi sempre revocabile e modificabile;

d) nella introduzione quale mezzo di impugnazione dell’ap-pello, con tutte le sue caratteristiche di processo a co-gnizione piena (che lo differenzia dal reclamo) pur sotto la pressione di una peculiarità inusuale di un gravame mai preceduto da un processo a cognizione piena, il che giustifica una caratterizzazione del mezzo più come pro-cesso a cognizione piena in unico grado, tanto che il legi-slatore si affretta a consentire la riapertura dell’iniziativa nella introduzione dei mezzi istruttori a favore delle parti in sede di appello.

Il procedimento degli ordini di protezione è ancora carat-terizzato dalla maggiore coerenza con le regole del processo anticipatorio di natura cautelare, fondato rigorosamente sulla cognizione sommaria dei fatti e mai idoneo al giudicato.

4. Il procedimento

Nonostante il mancato richiamo espresso, rinviandosi come più volte detto, alle forme del rito camerale (art. 736-bis c.p.c.), il procedimento ha più di un’affinità con il processo cautelare uniforme: la monocraticità del giudice; la sua desi-gnazione; la mancanza di formalità non indispensabili al con-traddittorio e all’istruttoria; la concessione in caso di urgenza inaudita altera parte salvo convalida; il reclamo al collegio al quale non può partecipare il giudice che emesso la misura; la regola sull’attuazione.

Il ricorso, essendo questa la formula della domanda, deve essere rivolto al luogo di residenza dell’istante, e, ovviamente, per materia, al tribunale. Come detto, le regole successive ri-chiamano nella sostanza le norme sul processo cautelare uni-forme. Il provvedimento si conclude con un ordine inibitorio volto a far cessare la violenza fisica o morale o la limitazione della libertà. Il giudice può provvedere all’allontanamento del convivente dall’abitazione familiare o dalla convivenza, ma anche presso altri luoghi (il luogo di lavoro, ovvero il domi-cilio; l’abitazione di prossimi congiunti o di familiari; i luoghi di istruzione dei figli).

Qualora la vittima non abbia risorse di reddito o di patrimonio per mantenersi, sulla base dei presupposti di un contributo di mantenimento, previa eventuale indagine istruttoria con l’ausi-lio della polizia tributaria, il giudice può stabilire un contributo o un assegno a carico dell’autore dell’illecito. Differentemente dalla norma comune – che consente il ricorso alla mediazione familiare solo su consenso delle parti – la norma, oltre a con-sentire il ricorso ai servizi sociali e alle strutture di accoglienza, può imporre d’ufficio il ricorso alla mediazione familiare (unico episodio nel sistema di una mediazione obbligatoria).

L’ordine ha la durata di un anno e può essere prorogato per un termine indefinito, solo una volta per gravi motivi, poi-ché il provvedimento è destinato a risolversi in una soluzio-ne pacifica di nuova convivenza, oppure nel vero e proprio

procedimento di separazione, per essere poi soppiantato dalle misure presidenziali.

Per quanto l’art. 736-bis c.p.c. consenta la proposizione per-sonale dell’istanza, per ovvie esigenze di celerità, non pare che la previsione possa deporre nel senso dell’esonero dall’ob-bligo di patrocinio, poiché il carattere camerale e volontario del procedimento deve essere confrontato con il carattere contenzioso della lite e dunque con l’obbligo della parte di munirsi di difensore tecnico11.

5. I rapporti con gli artt. 330 e 333 c.c.

Risolto il tema della natura e dei contenuti degli ordini di protezione e del procedimento che li precede, è da constatare una intensa analogia dei provvedimenti con le originarie mi-sure del codice civile costituite dalla decadenza della respon-sabilità genitoriale, che prevedono anche, come misura meno grave, l’allontanamento del genitore dalla residenza familiare (artt. 330 e 333 c.c.).

Ad una lettura superficiale delle disposizioni appare eviden-te la loro sovrapposizione. I mezzi di cui agli artt. 330 e 333 c.c. sono offerti, per competenza funzionale dal tribunale per i minorenni e quindi in relazione a quelle azioni di responsa-bilità genitoriale avviate innanzi all’organo specializzato, non solo nell’ambito della famiglia fondata sul matrimonio, ma anche nell’ambito della convivenza e delle unioni.

Al contrario il mezzo dell’art. 342-ter c.c. appare esperibile solo innanzi al tribunale ordinario in funzione delle azioni esercitabili innanzi a quest’ultimo, particolarmente il succes-sivo provvedimento per separazione e i provvedimenti sulla responsabilità genitoriale del figlio nato fuori dal matrimonio (art. 316 c.c.).

La diversità di competenze non risolve il problema della so-vrapposizione delle tutele.

Fatta questa osservazione preliminare, non può non eviden-ziarsi una certa disparità di trattamento, essendo i contenuti delle tutele di cui agli artt. 330 e 333 c.c. di minor respiro rispetto a quelli di cui all’art. 342-ter c.c.

Appare in tal caso certamente giustificabile una integrazione dei “provvedimenti convenienti”, a cui si riferisce l’art. 333 c.c., attraverso le misure di cui all’art. 342-ter c.c., nella di-screzionalità che la norma espressamente attribuisce al giu-dice, salvo ipotizzare al contrario un intervento della Corte Costituzionale per disparità di trattamento. In tal modo si risolve anche il rischio di possibili sovrapposizioni delle mi-sure dettate in sede di giurisdizione minorile rispetto a quelle dettate in sede di giurisdizione ordinaria.

Residua il problema dei c.d. maltrattamenti indiretti, ovvero quando l’abuso verso il coniuge si traduce inevitabilmente in abuso verso il minore, con possibile intervento parallelo e au-tonomo dei giudici aventi diversa competenza, quello mino-rile e quello ordinario. Il tema è tuttavia facilmente risolubile in concreto poiché, ferme restando le diverse competenze, l’una a tutela dell’adulto e l’altra del minore, è inevitabilmente destinato a prevalere la misura più grave nei confronti di chi ha tenuto l’abuso, il quale dovrà tenersi lontano dalla casa fa-miliare per il periodo più lungo dettato dai differenti giudici, quando esso non è coincidente o peggio ancora quando uno dei due giudici non lo ha pronunciato.

11 In senso contrario, D’alessanDro, op. cit., 231.

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DOSSIER La violenza nelle relazioni familiari

Ugualmente sembra prospettarsi un conflitto rispetto al contributo di mantenimento, ma esso è apparente poiché ri-guarda il minore innanzi al giudice minorile e l’adulto innanzi al giudice ordinario.

6. I rapporti tra l’ordine di protezione ex art. 342-ter e l’ordine di protezione emanato dal giudice penale

Essendo previsti ordini di protezione similari nelle pronunce del giudice penale che accerti la esistenza di un reato tra quelli disci-plinati dalla legge e recentemente riformati con la legge n. 38 del 2009, si pone il problema di coordinamento con le pronunce del giudice civile che può essere temporaneamente adito.

Ora, si deve constatare una non perfetta coincidenza dei contenuti dei due provvedimenti (ad esempio il provvedi-mento civile prevede la possibilità di un intervento dei ser-vizi sociali), ciò che consente dunque una loro autonoma sopravvivenza; ma laddove vi è coincidenza di contenuti si può ritenere che, pronunciato per primo l’uno nel senso della disposizione dell’ordine di protezione, l’altro verrebbe meno per carenza di interesse ad agire e quindi il giudice adito come secondo dovrebbe pronunciarsi in rito12.

12 È pure l’opinione di D’alessanDro, op. cit., 247, tuttavia l’Autrice sembra negare rilievo ai diversi ambiti di tutela che secondo quanto sostenuto nel testo, possono far sorgere, al contrario, un interesse ad agire.

7. I rapporti con le ordinanze presidenziali ex art. 708 c.p.c.

Il provvedimento presidenziale in sede di separazione ex art. 708 c.p.c., laddove autorizza i coniugi a vivere separati e asse-gna la casa coniugale ad uno di essi, esclude ogni prospettiva di sopravvivenza degli ordini di protezione, perché integral-mente assorbiti dalle misure provvisorie ed urgenti, anche per i profili riguardanti gli aspetti economici. Coerentemente, l’art. 8 legge n. 154 del 2001 esclude l’ammissibilità degli or-dini di protezione, quando si è tenuta l’udienza presidenziale.

Tuttavia vi è da dire che non esiste perfetta coincidenza dei contenuti dei provvedimenti presidenziali con quelli di pro-tezione (manca l’espressione di un ordine di non frequenta-zione di luoghi diversi dalla casa familiare, l’intervento dei servizi sociali e dei centri di intermediazione familiare): per tale ragione l’art. 8 cit. della legge n. 154 del 2001 sancisce che quei contenuti possono essere fatti propri dal Presidente con il suo provvedimento o comunque essi possono essere demandati al giudice istruttore della fase di merito.

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La violenza nelle relazioni familiari DOSSIER

La legge “Orlando” (l. 103/17) ovvero la legge di riforma al codice penale e di procedura penale introduce una serie di modifiche di grande rilievo nell’ordinamento sia sul piano del diritto sostanziale, sia sul piano del diritto processuale.

Vediamo in breve quali sono le novità introdotte:1) inasprimento di alcuni tipi di reato (è stato previsto l’au-

mento dei minimi edittali per alcuni reati quali il furto in appartamento o la rapina)

2) riforma della disciplina della prescrizione (è stata intro-dotta una nuova ipotesi di sospensione della prescrizio-ne: il termine resta sospeso fino al deposito della sen-tenza di appello; è stato inoltre inserito l’interrogatorio innanzi alla P.G. su delega del P.M. quale atto interruttivo della prescrizione, ecc.)

3) regime di procedibilità di alcuni reati (è stata prevista la procedibilità a querela per i reati contro la persona puni-bili con la sola pena pecuniaria o con la pena detentiva non superiore nel massimo a 4 anni)

È stata inoltre apportata una serie di modifiche anche al co-dice di procedura penale, in tema di richiesta di archiviazio-ne, di accertamenti tecnici non ripetibili, di impugnazioni…; su questi punti non mi soffermerò non essendo inerenti all’ar-gomento di cui ci occupiamo oggi.

Una delle modifiche che sicuramente ha fatto molto discute-re è quella dell’introduzione dell’art. 162-ter c.p.

Art. 162-ter c.p. - stabilisce che:

Nei casi di procedibilità a querela soggetta a remissione, il giudice dichiara estinto il reato, sentite le parti e la persona offesa, quando l’imputato ha riparato interamente, entro il termine massimo della di-chiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il danno ca-gionato dal reato, mediante le restituzioni o il risarcimento, ed ha eli-minato, ove possibile le conseguenze dannose o pericolose del reato.Il risarcimento del danno può essere riconosciuto anche in segui-to ad offerta reale ai sensi degli artt. 1208 e ss. Del c.c., formulata dall’imputato e non accettata dalla parte offesa, ove il giudice ricono-sca la congruità della somma offerta a tale titolo.Quando dimostra di non aver potuto adempiere, per fatto a lui non addebitabile entro il termine di cui al I comma, l’imputato può chie-dere al giudice la fissazione di un ulteriore termine, non superiore a sei mesi, per provvedere al pagamento, anche in forma rateale, di quanto dovuto a titolo di risarcimento; in tal caso il giudice, se acco-glie la richiesta, ordina la sospensione del processo e fissa la successi-va udienza alla scadenza del termine stabilito e comunque non oltre 90 gg dalla predetta scadenza, imponendo specifiche prescrizioni. Durante la sospensione del processo il corso della prescrizione resta sospeso. Si applica l’art. 240 II co. Il giudice dichiara l’estinzione del reato, di cui al I co., all’esito positivo delle condotte riparatorie.

Caratteristiche

Scopo della normaL’istituto era già contemplato dal Progetto presentato dal gruppo di studio incaricato di elaborare una proposta di revi-

sione del sistema penale attraverso l’introduzione di norme di depenalizzazione – presieduto dal Prof. Fiorella, il cui operato rispondeva complessivamente alla necessità di contrarre l’in-tervento del diritto penale.

In tale sede era evidente quindi l’intento deflattivo della ri-forma.

Sul piano sistematico l’introduzione dell’art. 162-ter c.p. rappresenta senz’altro una conferma del crescente apprezza-mento politico per la condotta riparativa.

La novella operata dalla l. 103/17 sembra dunque iscriversi in una strategia promozionale diretta alla tutela del bene an-che se sotto forma di salvaguardia tardiva e di tipo restituivo/risarcitorio.

È forte la connotazione civilistica della norma desumibile dal fatto che parliamo di una offerta reale che deve essere fatta dall’imputato, e dalla modalità di pagamento che può essere fatto anche a rate.

Reati applicabiliL’art. 162-ter c.p. trova applicazione esclusivamente con riferi-mento a quei reati perseguibili a querela soggetta a remissione.

La scelta del Legislatore evidentemente è stata quella di po-ter eliminare con una condotta riparatoria soltanto quei reati che realizzano una offesa ad interessi individuali, nella disponi-bilità del titolare del bene giuridico leso.

Nella Relazione Tecnica del testo originario infatti si legge che “lo scopo della norma è quello di deflazionare il nume-ro di procedimenti penali e comunque realizzare una rapida definizione degli stessi, determinando effetti di risparmio in termini di spese processuali e di impegno di risorse umane”.

La norma ha subito suscitato perplessità nel momento in cui esclude l’applicazione a quei reati perseguibili sempre a querela ma non soggetta a remissione: anche in questi casi, infatti, spesso il bene tutelato è un bene individuale, pertanto, il risarcimento del danno avvenuto prima dell’apertura del dibattimento di primo grado potrebbe estinguere il reato, mentre così non è; e ci si trova di fronte ad un processo che rimane un inutile orpello.

Un esempio tra tutti: art. 609-bis c.p.: qualora l’imputato offra un risarcimento del danno alla vittima si potrà avere la mancanza di costituzione di parte civile, ma non anche l’e-stinzione del processo con sentenza di non luogo a procedere per intervenuta condotta riparatoria.

Modalità di applicazione

La condotta riparatoria deve concludersi entro il termine massimo della dichiarazione di apertura del dibattimento di I grado.

Qualora l’imputato dimostri di non aver potuto adempiere per un fatto a lui non imputabile, entro il termine di cui al I

L’APPLICAZIONE DELL’ART. 162-TER C.P. DOPO L’INTRODUZIONE DELLA L. 172 DEL 4 DICEMBRE 2017CRISTINA MANCINIAvvocato in Roma

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DOSSIER La violenza nelle relazioni familiari

comma, può chiedere al giudice la fissazione di un ulteriore termine non superiore a 6 mesi per provvedere al pagamento, anche in forma rateale.

Ambito di applicazione

La nuova norma in base alla normativa transitoria si applica a tutti i processi in corso alla data di entrata in vigore della legge.

Nello specifico il giudice potrà dichiarare l’estinzione del reato anche nel caso in cui la condotta riparatoria sia stata posta in essere oltre il termine previsto, cioè l’apertura del di-battimento.

Infatti è stabilito che l’imputato nella prima udienza succes-siva alla data di entrata in vigore dell’art. 162-ter c.p. potrà fare richiesta di un termine, che non superi i 60 gg per poter provvedere alle restituzioni, la pagamento dovuto a titolo di risarcimento e ove possibile alla rimozione delle conseguenze dannose e/o pericolose del reato.

Per di più, nella medesima udienza, l’imputato dimostrata l’impossibilità ad adempiere a lui non imputabile, può chie-dere al giudice un ulteriore termine, anch’esso non superiore a 60 gg. per versare quanto dovuto, anche in forma rateale.

Ovviamente tale norma non potrà applicarsi ai giudizi in grado di legittimità, non avendo la Corte di Cassazione poteri e cognizioni di merito per valutare l’adeguatezza della condotta riparatoria.

Art. 162-ter c.p. / Atti persecutori

In caso di ipotesi “semplice”, cioè quella procedibile a querela (la stessa per intenderci che consente di chiedere l’ammoni-mento del Questore) del reato di atti persecutori era piena-mente applicabile l’art. 162-ter c.p.

Questo perché trattasi di un reato – lo stalking – creato volu-tamente dal Legislatore come un reato procedibile a querela ri-mettibile al fine di tutelare l’esigenza di lasciare libere le persone perseguitate di valutare se la strada giudiziale fosse la migliore da intraprendere e soprattutto di decidere se, eventualmente, fare un passo indietro optando per una remissione della querela.

È, pertanto, prevalsa la massima valorizzazione della libertà della parte offesa, in genere la donna.

Varata la riforma “Orlando” si è da subito notata la discre-panza tra ciò che va a tutelare l’art. 612-bis c.p. e la condotta riparatoria. Il reato di atti persecutori è stato introdotto per riconoscere la rilevanza di una condotta altamente lesiva della libertà, della serenità e della sicurezza delle persone e preva-lentemente delle donne.

Quindi la Rete Nazionale dei Centri Antiviolenza ha subito espresso la propria preoccupazione che la riforma voluta dal Ministro Orlando, pur riflettendo una volontà, come già accen-nato, deflattiva del Legislatore, sia applicata ai casi di violenza di genere, come definiti dalla Convenzione di Istanbul, ovvero i reati commessi nei confronti delle donne in quanto tali.

La succitata Convenzione prevede all’art 45 che i reati com-messi a danno delle donne “siano puniti con sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive”.

La stessa Normativa Europea a Tutela delle Vittime di Reato (2102/29/UE) agli artt. 12 e 22 impone particolare cautela nei casi di giustizia riparativa in ipotesi di violenza di genere.

Ovviamente una norma come quella dell’art. 162-ter c.p. che affida al giudice anche nei giudizi di stalking la valutazio-ne della congruità dell’offerta riparativa e la conseguente de-terminazione dl reato, ignora l’interesse privato e soprattutto ignora la sicurezza della donna.

I timori delle varie Associazioni a tutela delle donne, non erano certo infondati, perché, in data 25 settembre 2017 un G.U.P. di Torino, con sent. 1299/17 ai sensi dell’art. 531 c.p.p. ha dichiarato estinto il reato di atti persecutori ex art. 612-bis c.p., pronunciando sentenza di non luogo a proce-dere nei confronti dell’imputato, perché era stata offerta alla vittima una riparazione del danno pari a € 1.500,00.

Invero, il giudice altro non ha fatto che applicare la norma.Nei fatti, all’udienza del 25 settembre 2017 a seguito di una

offerta reale ex art. 1208 c.c. formulata dall’imputato, il GUP sentita la vittima, che peraltro non aveva accettato tale risar-cimento, ritenendolo invece congruo applicava l’art. 162-ter c.p. Si evidenzia la mancata incidenza nella normativa della volontà della vittima.

È da subito emerso che l’art. 162-ter c.p. presentava delle carenze in termini di applicabilità.

Quanto accaduto a Torino ha sollevato un gran polverone mediatico, ha infiammato le polemiche, ha indignato le istitu-zioni e le varie associazioni a tutela delle donne.

La sentenza di Torino è stata dichiarata da più parti assur-da e incongruente, un pericoloso precedente che rischiava di incentivare gli episodi di stalking lanciando un messaggio in-quietante: quello che non si commette reato se dopo aver mo-lestato una persona le si offre del denaro come risarcimento.

Il reato di atti persecutori, in ragione della sua peculiarità e delle conseguenze gravi che può provocare alle vittime, non può essere incluso tra i reati da dichiararsi estinti a mezzo di condotte riparatorie poste in essere dall’autore.

Pertanto è stato proposto un emendamento alla proposta di legge a tutela degli orfani di crimini domestici da parte della Senatrice Puglisi, con lo scopo di escludere l’art. 612-bis c.p. dall’art. 162-ter c.p.

Su tale emendamento l’Ufficio Legislativo del Ministero del-la Giustizia ha immediatamente espresso parere favorevole.

Quindi, nella l. 172/ 17 pubblicata nella G.U. del 5.12.17 n. 284 – di conversione del d.l. 148/17 (recante disposizioni urgenti in materia finanziaria) è stato introdotto un nuovo comma all’art 162-ter c.p. in cui viene espressamente escluso il reato di cui all’art. 612-bis c.p. dall’applicabilità dell’estin-zione del reato per condotte riparatorie.

Le problematiche emerse dalla suindicata sentenza del GUP di Torino, che hanno portato alla modifica appena ricordata, appaiono diretta conseguenza di una norma mal scritta e ricca di vuoti di tutela, che se non modificata avrebbe portato di fatto ad una depenalizzazione del reato di stalking e lanciato un messaggio fuorviante.

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La violenza nelle relazioni familiari DOSSIER

Premessa

Sempre più frequentemente nella Consulenza Tecnica di Uffi-cio (CTU) relativa ai procedimenti di separazione e divorzio, negli atti di causa è presente la documentazione relativa a si-tuazioni di violenza all’interno delle mura domestiche gene-ralmente ad opera dell’uomo contro la donna nei quali i figli della coppia sono coinvolti come spettatori, altre volte perché subiscono comportamenti violenti.

La frequenza di tale fenomeno si correla alla dimensio-ne inquietante della violenza contro le donne, violenza che si esprime con varie modalità: comportamenti persecutori dell’ex partner precedentemente e/o successivamente l’evento separativo; violenza fisica; violenza psicologica; violenza ses-suale; violenza economica; violenza domestica.

I minori che sono esposti alla violenza declinata nelle sue varie manifestazioni facendone esperienza diretta perché pre-senti ed indiretta perché la percepiscono attraverso le conse-guenze (ad es. vede la madre con i segni delle percosse, og-getti dell’abitazione rotti che possono essere suppellettili ma anche ante dei mobili danneggiati dai pugni), sono bambini vittime della violenza domestica, soprattutto vittime degli effetti che tale esposizione ha sulla loro psiche compromettendone il sano sviluppo psico-fisico.

Possiamo affermare che la violenza domestica è la più gra-ve forma di deterioramento delle relazioni intrattenute tra i membri della famiglia e, se da una parte, compromette irre-versibilmente la dimensione coniugale, dall’altra compromet-te il rapporto fiduciario del figlio con il genitore maltrattante ma anche con quello che dovrebbe proteggerlo e viene meno a questa funzione protettiva.

I danni sui figli che crescono in una famiglia ad elevata con-flittualità, sono numerosi, conosciuti, definiti i sintomi corre-lati a questa esperienza tanto più lesiva quanto maggiormente persistente nel tempo e grave nelle manifestazioni.

Il maltrattamento fisico e psicologico come la violenza assistita, quindi, si correla alle capacità genitoriali, alla relazione genitori-figli e tra i genitori, il CTU non è chiamato a ricercare la ‘ve-rità’ degli accadimenti denunciati che è obiettivo dell’ambito penale ma neanche può ignorare la gravità delle denunce, né esimersi dall’accertare la violenza di un coniuge nei confronti dell’altro e/o dei figli, la frequenza e la gravità di tali episodi, fino ad assumersi la responsabilità di proporre misure di si-curezza e di sostegno necessarie al sistema famiglia durante la fase della Consulenza ed anche oltre.

Si porta all’attenzione di chi legge che nella letteratura ame-ricana si parla di violenza istigata dalla separazione (SIV) inten-dendo con tale definizione atti di violenza isolati dovuti allo stress che caratterizza la fase di separazione e di divorzio. Tali episodi non fanno parte della storia della coppia, ovvero non ne costituiscono una caratteristica stabile.

Si ritiene altrettanto importante segnalare comportamenti di stalking che si collocano nella fase della post-separazione e che sono espressioni della difficoltà ad adattarsi alla nuova situazione, al livello del conflitto che si mantiene elevato, alle condizioni di separazione che possono essere vissute come inique da un coniuge.

Diversamente da altre forme di violenza che possono essere distinte in violenza stabilizzata ovvero presente nella storia del-la coppia da molto tempo e documentata (certificati medici, querele, denunce) e caratterizzata dall’uso di comportamenti violenti di un partner sull’altro e in violenza istigata dal conflitto che è perpetrata da entrambi i partner e che ha come obiettivo il tentativo di esercitare il potere nei confronti dell’altro.

Informazioni che, seppure accennate, possono risultare im-portanti per i CTU che devono muoversi nell’ambito della violenza domestica sapendo operare dei distinguo – ad es. le false denunce – che sono fondamentali per la valutazione del sistema familiare soprattutto rispetto all’indicazione dei percorsi oltre l’evento separativo.

La consulenza tecnica di ufficio (CTU)

QuesitiLa CTU in ambito civile, seppure prevede alcuni quesiti re-lativi allo stato psicologico e alla personalità delle parti e del minore, è focalizzata sulla genitorialità, ovvero ad accertare la:

– qualità della relazione tra i genitori;– qualità della relazione genitori-figlio;– qualità della relazione di ogni genitore con il figlio.

Valutare:– gli esiti del conflitto genitoriale sul processo di formazione del

minore;– la presenza di un condizionamento negativo di uno o di en-

trambi i genitori sul figlio tale da compromettere lo sviluppo affettivo del medesimo e la relazione con l’altro genitore.

Richiedendo:– Quali sono le migliori condizioni di affido e di frequentazione

con il genitore non convivente, tenendo conto del preferenzia-le paradigma normativo dell’affidamento dei figli ad entram-bi i genitori e del principio generale della bigenenitorialità al quale non può derogarsi se non in caso di effettivo pregiudizio e/o di richiesta svolta da entrambe le parti al riguardo, in-dicando i tempi di permanenza presso ciascuno dei genitori nonché gli eventuali interventi di sostegno che risultino neces-sari ed individuando, altresì, le strutture alle quali i coniugi dovranno fare riferimento.

Quando si apre una Consulenza Tecnica di Ufficio e parallela-mente si sta aprendo o è già aperto un procedimento per violen-

PROCEDIMENTI PENALI, RILEVANZA AI FINI DELLA VALUTAZIONE DELLA CAPACITÀ GENITORIALE NELLA CTUMARIA RITA CONSEGNATIPsicologa e psicoterapeuta, mediatrice familiare

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DOSSIER La violenza nelle relazioni familiari

za domestica in ambito penale, frequentemente sono presenti sulla scena familiare operatori del Servizio Sociale chiamati dal Giudice precedentemente alla fissazione della C.T.U. In questo caso, il consulente dovrà informarsi degli interventi già attuati, se e quali in corso, con quali esiti, incontrare gli operatori che sono parte integrante del lavoro consulenziale.

Come è facile comprendere da questi accenni, lo scenario in cui si colloca la famiglia che vive una situazione di violenza domestica che sta affrontando la separazione coniugale, è mol-to complesso e prevede molteplici figure professionali apparte-nenti a diversi ambiti, espressioni di vari interventi che gene-ralmente non sono coordinati né temporalmente né operativa-mente rendendo lacunoso ed incerto il quadro della situazione.

Metodologia

Il lavoro del CTU è orientato dalla metodologia che viene de-scritta nelle Linee Guida e che, di volta in volta, viene adattata alle singole situazioni anche tenendo conto di quanto avviene in itinere. La procedura usualmente utilizzata può necessitare di essere profondamente modificata ogniqualvolta sono presenti interventi già in atto che impediscono, ad es., la copresenza di entrambi i genitori, ex partner, nello stesso luogo.

Non è infrequente che all’apertura della Consulenza, si è informati della misura cautelare ex art. 282-ter c.c.p. che vie-ta all’ex partner di avvicinarsi all’altro, ai luoghi frequentati dall’altro, addirittura tale divieto può essere esteso ai suoi fa-miliari e a persone legate da relazione affettiva, il divieto può anche comprendere la comunicazione con qualsiasi mezzo.

Importanti per decidere quale procedura adottare sono le infor-mazioni relative alla frequentazione del figlio con il genitore og-getto di misura cautelare, il Ctu deve potere rispondere alle seguenti domande: il genitore frequenta il figlio? Con quale modalità? (incontri protetti presso un Centro pubblico? In presenza di persone della sua famiglia? Autonomamente? Per quanto tempo? Per quanto tempo la relazione genitore-figlio è stata sospesa?). Le risposte sono fondamentali perché orienta-no la modalità attraverso cui incontreremo il figlio con il genitore soggetto a misura cautelare: ad es. se genitore e figlio si incon-trano presso uno spazio protetto, chiederemo ai colleghi del Servizio di osservarne la relazione presso la loro struttura e ci informeremo dell’andamento degli incontri. Oppure se geni-tore e figlio s’incontrano in presenza di persone della fami-glia, l’incontro sarà rispettoso di questa modalità seppure, in presenza del Ctu e dei Ctp, nulla vieta un’osservazione della diade che prescinda dalla presenza di altre persone.

L’iniziale raccolta di informazioni deve essere necessariamente approfondita per evitare di procedere secondo una prassi che non sarebbe rispettosa della specificità della situazione, inoltre le in-formazioni raccolte permettono di rivisitare la metodologia usualmente utilizzata per rispondere ai quesiti del Giudice ovvero per spiegare perché non sia stato possibile risponde-re ad una parte dei quesiti posti dal Giudice per i seguenti motivi:

– la disponibilità/indisponibilità ad incontrare insieme i genitori: c’è la disponibilità dei genitori a procedere con uno o più incontri congiunti malgrado la presenza della misura cau-telare? Tale richiesta coinvolge necessariamente il parere e l’accordo da ritenere vincolante degli Avvocati e dei colle-ghi Ctp, inoltre è necessario prevedere misure di sicurezza a tutela del partner protetto dalla misura cautelare;

– possibilità/impossibilità ad incontrare congiuntamente ge-nitori-figli per osservare e leggere le dinamiche familiari finanche somministrare un test come LTPc.

L’osservazione diretta delle dinamiche relative alla coppia geni-toriale ci informano sulla qualità del conflitto seppure l’aper-tura dell’ambito penale, confermi la presenza di un conflitto distruttivo perché si esprime, o comunque si è espresso nel passato, con comportamenti disregolati.

L’osservazione diretta delle dinamiche familiari – ci limitia-mo a ricordare che è doveroso da parte del Ctu saggiare il vissuto di ‘sopportabilità’ del figlio rispetto alla situazione che riteniamo di proporre – è importante per valutare le disfun-zionalità delle relazioni familiari.

Sintetizzando, la metodologia deve essere modificata sulla base delle informazioni raccolte, sull’accordo dei genitori e dei Ctp e, quando necessario, degli Avvocati delle parti, per-ché si proceda con un calendario di incontri che tenga neces-sariamente conto della specificità della situazione.

Valutazione delle capacità genitoriali

La valutazione delle capacità genitoriali non può prescinde-re da un’articolata attività di diagnosi perché è un costrutto complesso che si avvale degli apporti di varie discipline ed è costituito sia da parametri individuali che relazionali e sociali relativi ai concetti di parenting (M.H. Bornstein, Handbook of Parenting, 4 voll., Lawrence Erlbaum Associates. Mahwah, 1991) e di funzioni genitoriali.

Sulla base delle capacità di parenting si definisce l’idoneità genitoriale intesa come ‘competenza’ articolata su quattro livelli:

1. nurturant caregiving: è relativo alla capacità di accoglienza e di comprensione delle esigenze primarie (fisiche e ali-mentari);

2. material cargiving: è relativo alla capacità dei genitori di pre-parare, organizzare, strutturare il mondo fisico del bambino;

3. social caregiving: è relativo alla capacità dei genitori di agi-re comportamenti per coinvolgere emotivamente i bam-bini in scambi interpersonali;

4. didactic caregiving: è riferito alla capacità dei genitori di scegliere le strategie per stimolare il figlio a comprendere il proprio ambiente.

Le funzioni genitoriali individuate dalla letteratura e riferibili alle modalità attraverso cui la genitorialità si esprime sono otto (G. Vicentini, Definizione e funzioni della genitorialità, 2003, in www.genitorialità.it, 2003), sinteticamente si suddividono in:

a) funzione protettiva è la capacità di offrire cure adeguate al figlio;

b) funzione affettiva è la capacità di entrare in risonanza emotiva con il figlio;

c) funzione regolativa è la capacità del genitore di fornire al figlio le strategie per organizzare i propri stati emotivi e l’esperienza;

d) funzione normativa è la capacità del genitore di fornire al figlio dei limiti, delle regole;

e) funzione predittiva è la capacità del genitore di prevedere la tappa evolutiva del figlio, facilitare il processo di cre-scita del medesimo adattando a tale sviluppo il modo di relazionarsi con il figlio;

f) funzione significante è la capacità di creare una cornice di significato ai comportamenti, ai bisogni, alle espressioni del figlio;

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La violenza nelle relazioni familiari DOSSIER

g) funzione rappresentativa è la capacità del genitore di rappre-sentare dentro di sé l’immagine del figlio che deve rispec-chiare il figlio che è davvero nel corso della sua crescita;

h) funzione triadica e la capacità del genitore di lasciare spa-zio all’atro genitore di vivere la relazione con il figlio, ov-vero la relazione di coppia aperta al figlio senza suscitare gelosie o rivalità.

Le capacità dei genitori nella situazione di separazione co-niugale si complessificano perché oltre a valutare le capacità come le abbiamo rappresentate, viene richiesto loro di mette-re in campo quelle ulteriori capacità volte a soddisfare il diritto del figlio alla bigenitorialità e che possono essere sintetizzate nel seguente modo:

– riorganizzare in concreto l’organizzazione di vita del fi-glio relativamente alle nuove condizioni determinate dall’evento separativo;

– reciproco riconoscimento come genitori;– facilitare l’“accesso” del figlio all’altro genitore;– facilitare i rapporti del figlio con i parenti di ciascun ramo

genitoriale;– consolidare il progetto genitoriale attraverso la collabora-

zione e la negoziazione di accordi finalizzati a soddisfare i bisogni del figlio nel rispetto delle sue fasi evolutive.

Ogniqualvolta il CTU verifica l’esistenza di condizioni fami-liari che compromettono lo sviluppo psicosociale del figlio, si devono valutare le condizioni di pregiudizio del minore che sono collegate al:

– maltrattamento fisico, al maltrattamento psicologico, alla trascuratezza;

– abuso sessuale;– correlazione tra psicopatologia e violenza subita durante

l’infanzia;

– patologia psichiatrica, devianza, tossicodipendenza e/o all’alcolismo del/dei genitori;

– i fattori che influenzano gli esiti evolutivi nella violenza assistita familiare.

Conclusioni

Il Ctu che è chiamato a svolgere la sua funzione nelle situa-zioni familiari nelle quali sono stati aperti o si apriranno pro-cedimenti penali a carico di un genitore per comportamenti riferibili al maltrattamento fisico, psicologico o di stalking nei confronti dell’altro genitore e nei confronti del figlio perché a sua volta maltrattato o perché assiste al maltrattamento sul genitore o percepisce gli esiti di tali violenti comportamenti, non può operare un distinguo tra l’ambito civile e quello giu-diziario, ovvero prescindere dalle accuse che sono elementi che contribuiscono alla comprensione e delle dinamiche fa-miliari e delle soluzioni che possono essere proposte termi-nata la CTU.

Il Ctu deve avere la capacità di sottrarsi alla aprioristica accoglienza di un punto di vista, procedere modificando la metodologia alla situazione familiare che ha le sue specificità, valutare le capacità genitoriali tenendo conto che la violenza assistita familiare è una condizione di pregiudizio che compromet-te il corretto sviluppo psicofisico e sociale del figlio.

È doveroso segnalare che non esiste un protocollo di inter-vento che possa orientare il lavoro del Ctu nei casi di violenza familiare, né prassi consolidate, un ‘vuoto’ rilevante perché è lasciato alla sola esperienza del professionista la scelta di quale metodologia utilizzare per valutare le capacità genito-riali ma anche l’eventuale rischio del figlio o quali interventi, anche a tutela del minore, che dovrebbero essere proposti.

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DOSSIER La violenza nelle relazioni familiari

La ricerca linguistica giunge in pieno Ottocento a una fase di maturazione dalla quale scaturisce l’aspirazione ad addivenire a scienza, alla stregua di quanto si va progressivamente realiz-zando in altri contesti di conoscenza.

Da allora, e non senza conflitti e fratture, la moderna linguisti-ca opera in molteplici modi e con fini ora complementari ora al-ternativi per ricavarsi uno spazio tra le scienze: uno spazio ipso facto intriso di sostanza “naturale” e insieme sociale e culturale.

Biologia, società e cultura sembrano infatti costituire i tre elementi irrinunciabili dai quali scaturisce, per la fase evo-lutiva attuale della nostra specie, la possibilità di acquisire una lingua e subito servirsene per i più disparati scopi, non ultimo quello di dare forma al pensiero e al ricordo. In questa sede ci si limiterà ad alcune considerazioni sparse, volte per lo più a mostrare quanto esteso possa essere lo spazio comune alle scienze del linguaggio e quelle del diritto: uno spazio, in parte lambito e in parte ancora da scoprire, della cui pratica potrebbe giovarsi in special modo chi si interessi di diritto di famiglia, essendo compresa nella concezione stessa attua-le dell’istituto della famiglia, sulla quale, come si vedrà, può gettar luce la semantica, la presenza, oltre che di due genitori, quella della prole: bambini e bambine che vanno costruendo i propri modelli di relazioni, familiari e sociali in genere, as-sumendo a misura quello delle relazioni significative di cui sono parte fin dall’inizio della loro vita. Modelli che si cemen-teranno con la lingua assurgendo a sistema di coordinate atte a contenere (de-finire) il mondo e la sua organizzazione.

Descrittive e non prescrittive, sincroniche o diacroniche, le scienze del linguaggio mirano ora alla definizione e alla de-scrizione delle lingue in senso formale, che può comprendere la spiegazione di cosa consenta a un cucciolo della specie di appropriarsi di quella/e che sarà/anno la/e sua/e lingua/e, ora, invece, a cercare di spiegare cosa accade quando, usando una (varietà di) lingua, si mette in moto quel processo cui si è soliti riferirsi col nome di comunicazione, includendo o meno in esso, a seconda dell’interesse che muove la descrizione, gli esiti dei diversi tipi di variabili (sociali, contestuali, linguisti-che proprie di altri linguaggi ecc.) che lo determinano. Caso, questo, in cui si parlerà di approccio funzionale.

Interessate anche alla comparazione di sistemi, adottano punti di vista diversi nella descrizione dei processi linguistici, tanto a monte tanto a valle, così che alcune branche si occu-pano di ciò che rende possibile il fatto di poter parlare una lingua e, conseguentemente, produrre testi1, mentre altre

1 Da intendersi in senso cognitivo, perciò non equipollenti a enunciati, men che mai scritti. Il ruolo della lingua rispetto a un testo così definito è di prima inter pares, essendo il testo frutto dell’intreccio di più linguaggi (verbali, paraver-bali e non verbali) che, in genere simultaneamente, essendo la dimensione più naturale del testo quella orale, conquistano il proprio spazio e la propria posi-zione reciproca rispetto al contesto in cui agiscono. A questo intreccio, già in sé

prediligono l’analisi delle strutture testuali prodotte e del loro rapporto con il mondo circostante. Tra i testi prodotti, alcuni più di altri possono interessare le scienze giuridiche, oltre che quelle linguistiche: è il caso delle sentenze, il tipo più studiato di testo giuridico (un macrotipo dal quale procedono assetti testuali diversi, anche molto, tra di loro: provvedimenti, pro-tocolli, circolari e, naturalmente, decreti, leggi e costituzioni e tanti altri che, per chi se ne è occupato/a da un punto di vista linguistico2, possono essere ripartiti in tre gruppi, ciascuno corrispondente a una specifica attività), o, su un piano di rea-lizzazione del tutto diverso, del parlato prodotto nel corso di una conversazione registrata – un’intercettazione, per esem-pio, o una telefonata, magari anonima. Oggetto di studio della fonetica forense, quest’ultima tipologia di testi si caratterizza per i problemi connessi con la trascrizione della voce, che non è un segnale paragonabile agli altri non solo, ma soprat-tutto, perché offre indizi dell’usus loquendi di chi l’ha emessa. Sulla scorta di quanto verificatosi in altri paesi, anche in Italia questa pratica sta guadagnando spazio, in special modo quan-do fondata su un metodo che si ispira a principi biometrici, e le comparazioni che stabilisce tra la voce del reo e quella dell’imputato possono essere usate come evidenza processua-le quando oggetto di perizia scientifica motivata.

C’è poi un’altra intersezione che potrebbe rivelarsi inaspet-tatamente proficua per portata dei dati che potrebbe consen-tire di elicitare: l’allusione è alla semantica e ancor più a quella cognitiva3, intendendo con questo termine la declinazione della semantica che ascrive a percezione e cognizione un ruo-lo decisivo nella definizione dei significati. Privati dell’ogget-tività sostanziale che gli era propria nelle teorie semantiche tradizionali, i significati in questa prospettiva non esistono indipendentemente dai processi cognitivi, affini tra esemplari della stessa specie ma via via più aderenti allorquando ci si muova all’interno di gruppi socialmente (e conseguentemente culturalmente) vicini, ma non per questo meno individuali e dunque autonomi, soggettivi.

Immerso attivamente nei testi, e nella testualità4 da cui questi procedono, almeno fin dalla nascita, l’individuo an-

complesso, occorre inoltre aggiungere, in termini di costruzione del significato del testo, l’apporto, oltre che di quanto proviene dal contesto stesso, di quanto ai partecipanti già noto sulla situazione e in generale (la loro enciclopedia del mondo) e quanto ricavato attraverso procedimenti di natura deduttivi (inferen-ze) innescati da elementi ritenuti salienti.

2 Cfr. Mortara Garavelli 2001, Serianni 2003 e Cavagnoli 2013, che si di-stingue dai primi due testi per il taglio attento alle dinamiche di potere connesse con la lingua e alle conseguenze derivanti, in tal senso, da una mancata parità di genere.

3 Per la pluralità di approcci e di analisi a cui corrisponde, c’è chi ritiene preferibile a questa terminologia quella di approccio cognitivista alla semantica.

4 La testualità è paragonabile all’humus dal(la) quale i testi procedono, per generazione dovuta all’azione di più fattori.

L’EFFICACIA DEL LINGUAGGIO COME STRATEGIA DI CONTRASTO ALLA VIOLENZA DOMESTICA: UNA RIFLESSIONE PRELIMINAREFRANCESCA DRAGOTTOProfessore associato di Glottologia e linguistica, Università di Roma “Tor Vergata”

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La violenza nelle relazioni familiari DOSSIER

drebbe perciò costruendo precocemente non solo le compe-tenze relative alla lingua e alla comunicazione, ma i significati stessi di ogni singolo elemento costitutivo della lingua o con essa connesso.

Nel caso del lessico, questo processo, che muove dall’intera-zione dell’individuo con e nell’ambiente naturale e sociale, e che culmina in una rappresentazione mentale, presso l’indivi-duo stesso, dell’esperienza per così dire colata in uno stampo morfologico (la forma con cui un significato è veicolato e co-municato all’interno della comunità parlante: per es. la forma espressiva cane per veicolare l’idea di animalità quadrupede, addomesticata e domestica, caratterizzata da socialità, ecc.), potrebbe essere perciò investigato per ricavare anche infor-mazioni sul tipo di ambiente dal quale la rappresentazione ha tratto spunto e sui ruoli in esso operanti.

La lingua è assai più che un sistema di nomenclatura utile a richiamare la realtà o a dare forma alle idee. La lingua è essa stessa idea e mondo, giacché costruisce la conoscenza e dà sen-so all’esperienza. A quella individuale e, per via della conven-zionalità che le è propria e che consente alle persone di comu-nicare mettendo insieme parti di esperienza, a quella sociale.

È dunque assai più che denotazione, ovvero sia insieme di proprietà o tratti caratteristici utili a capire di cosa si sta par-lando e rispetto ai quali si ritiene di poter tenere separato il dato soggettivo, anche quando a questi tratti si guardi in maniera dinamica, ovvero come a un insieme di proprietà graduali che accomuna la cosa denominata ad altre (che con la prima risultano collegate proprio per via di quella/e pro-prietà), tra cui quella che tra tutte risulta detenere quella pro-prietà al massimo grado e che per questa ragione sarà assunta a prototipo dell’intera classe (a esemplificare questo sistema di intendere il significato per classi e valori si cita spesso il caso dello struzzo, che, pur essendo “oggettivamente” un uc-cello, con i suoi due metri e passa di altezza è “ritenuto” meno uccello di un condor delle Ande, che vola. Per il suo dispie-gamento alare, che può superare i tre metri, il condor è però “sentito” a sua volta come uccello ma non quanto il passero o altri uccelli di simili dimensioni, che evidentemente incarna-no il prototipo della loro categoria).

Poiché nel lessico conoscenza del mondo e conoscenza della lingua si fondano diventando un unicum, è ai processi cogni-tivi connessi con le rappresentazioni che è utile guardare per comprendere come il dizionario si formi e come intervenga nei successivi usi. Per andare oltre la superficie più esterna della lingua e cercare di giungere all’esperienza che in essa è racchiusa.

Un’ottica, questa, in cui il significato viene ad assumere na-tura concettuale, non autonoma, come autonomo non può del resto essere il ruolo della linguistica nella descrizione di una lingua così concepita. Diverse, anche in questo caso, sono le interpretazioni fornite del rapporto tra piano lingui-stico e piano concettuale, comprese tra versioni più radicali e altre più moderate; tutte accomunate, però, dalla convinzione che “i significati delle parole abbiano sempre una contropar-te concettuale, cioè che dietro i significati linguistici vi siano dei contenuti mentali e che l’analisi semantica sia inseparabile dall’analisi dei processi tramite i quali quei contenuti si co-struiscono. Descrivere i significati linguistici significa descri-vere quali contenuti concettuali sono espressi dalle parole, quali processi mentali hanno portato alla formazione di quei

contenuti e, parallelamente, quali processi mentali ne consen-tano la comprensione” (Casadei 2004: 38).

I concetti si radicherebbero perciò al culmine di un processo innescato dall’esperienza del mondo, in particolare di quella corporea, sensoriale.

Difficile perciò immaginare che questa esperienza non abbia esercitato una funzione di conio addirittura superiore nella fase dell’acquisizione della lingua, quella in cui il cucciolo d’uomo costruisce il dizionario mentale della propria lingua a partire dai testi in cui è immerso e dai processi che li han-no originati. È difficile, conseguentemente, ridimensionare il ruolo che genitori e/o altri caregivers dell’infante (in senso eti-mologico, di quello che non articola ancora parole) possono detenere sulla condensazione dei significati e sul contestuale inserimento in reti soggette a definizioni variabili con il pro-gredire dell’esperienza. Reti nelle quali essi stessi finiranno per rimanere compresi, in quanto non separabili dal loro stes-so mondo.

Moltiplicatrici di esperienza giacché in grado di dare forma anche al non reale o al non tangibile, le narrazioni, di qual-siasi tipo, forniranno sostanza alle rappresentazioni mentali, unitamente all’esperienza che non passa attraverso le parole, affiancandola o sostituendola5. E offriranno alle nuove genera-zioni di parlanti le parole di cui sono costituite come modelli da imitare per poter diventare parte attiva delle future narrazio-ni. Cosicché, alla fine dello scambio, risulterà difficile stabilire dove passi il confine tra il mondo che forma la lingua e la lingua che forma il mondo. Ammesso che, al di là, della speculazione, possa avere importanza stabilire la primazia laddove il sistema complesso che consente agli individui di comunicare si fonda sulla circolarità perenne e sull’immersione.

Costruito in breve tempo un dizionario partendo dai testi e dalla testualità che li sorregge, il nuovo individuo inizie-rà a partecipare anche attivamente alla vita sociale che passa attraverso la lingua e i linguaggi, finendo per fare propri pre-cocemente e per cristallizzare successivamente, in assenza di una educazione alla consapevolezza, i significati di cose e di persone, continuamente rinforzati dalle inferenze dal conte-sto di vita.

Culmine della costruzione del dizionario – un dizionario che occorre immaginare come una enciclopedia di enciclo-pedie multimediale, multimodale e multicanale e non certo come la semplicistica corrispondenza di una definizione lin-guistica a un lemma – la forma di richiamo, il lemma, per l’appunto, si tirerà dietro, quando sollecitato in una delle for-me che può assumere, tutto ciò che con esso ha fatto rete e limiterà al contempo la possibilità di vedere il reale in manie-ra diversa rispetto a quanto definito attraverso il processo di creazione della parola stessa.

Volendo esemplificare, che significati perciò immaginare per le parole madre o padre (ri)costruiti a partire da un contesto di violenza verbale o psicologica o denigrativo per uno o l’al-tro dei due genitori? E quali per famiglia? E quanta parte della violenza sperimentata o del disagio, travalicando il proprio contesto originario e le parole che lo rappresentano, si po-trebbe trovare, anche solo diluito, in tutto ciò che con quei contesti è entrato in contatto e conseguentemente nelle reti

5 Il sottotesto di questa affermazione è da leggersi nel senso dell’attribuzione al testo linguistico della medesima pienezza, nel senso dell’azione, di norma attribuita all’azione tout-court. Per questa ragione si parla anche di testo agìto.

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DOSSIER La violenza nelle relazioni familiari

di parole associate a quelle esperienze? Che possibilità, per l’individuo agente nei testi e con i testi, di liberarsi del vissuto che la lingua rimette in scena più o meno velatamente anche in contesti assai diversi da quello originario per via della sua potenza evocatrice?

Per capire quanto l’esperienza possa rendere diversa la so-stanza di una parola che, stando alla sua veste significante, apparirebbe simile se non identica a chi parli la stessa lingua, si prenda questo esempio, privo di pretese di sistematicità.

A un gruppo di parlanti di entrambi i sessi, con prevalen-za di donne, ma scelto volutamente come omogeneo per età,

per città di residenza, per titolo di studio, per corso di studio universitario già frequentato e in via di frequenza, oltre che per una gamma ampia di interessi (accertati a monte), si è chiesto si provare a definire il significato della parola famiglia e, successivamente, di associare istintivamente ad esso un co-lore sentito come rappresentativo. Quanto offerto dal gruppo di informanti è stato sintetizzato in questa tabella, nella qua-le si omettono volutamente i dati che consentirebbero, per esempio, di individuare la componente maschile al fine di far prevalere quanto offerto dai dati (e farlo magari ricavare a chi li legge).

A B C D E F G H I L M

insieme gruppo nucleo matrimonio amore gruppo amore unione genitori umano conforto

persone legami sanguigni insieme educazione genitori generalizzato protezione legame parenti animale amore

legami legami affettivi rapporto diritti figli rapporti unione sangue marito adulto unione

sangue diritti sangue calore coesione parentele calore matrimonio moglie giovane parentela

affetto persone casa membri casa legame parenti figli maschio matrimonio

allargata libertà convivenza rapporti genitori gioia matrimonio femmina figli

genealogia amore ambiente figli affetto problemi genitori animali

animali persone scontro amore casa figli cura

separazione squadra responsabilità infantile fedeltà

complicità femminismo responsabilità casa

aiuto padre amore

sostegno madre casa

Per stimolare la consapevolezza e l’autoapprendimento, si è poi scelto di confrontare le matrici in questione con quello che si trova davanti chi oggi desideri chiarirsi il significato di una parola e la sua collocazione nel repertorio linguistico.

Si è perciò inserita la stringa famiglia definizione nel motore di ri-cerca Google ottenendo come primo risultato quello qui di segui-to riportato. Che è per la massa delle persone lo stadio in cui la ricerca incentrata su una parola non solo ha inizio ma anche fine.

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La violenza nelle relazioni familiari DOSSIER

Immediata è stata, per chi si sia soffermato/a sui confronti tra matrici e tra matrici e definizione lessicografica, l’asimme-tria di quantità e qualità di pezzi di mondo “portati” dentro la lingua.

Altrettanto immediata è stata la presa d’atto della maggior parte delle ragioni alla base dei tratti proposti, per lo più leggi-bili in funzione della vita finora vissuta. Anche quando, come in F, l’esperienza della famiglia vissuta sia stata sovrascritta o almeno ristrutturata in senso culturale, probabilmente al culmine di un processo di riflessione mosso dagli stessi input che a Lévi-Strauss hanno fatto affermare che “La famiglia è un’invenzione sociale e non puramente un fenomeno natura-le” (Lévi-Strauss 1969: 613-617), dove, con poco più di una manciata di parole, si riesce a fare stare uno accanto all’altro i pilastri dell’esperienza umana, che è un fluido perennemente rigenerato da natura, società e cultura, con le ultime due fuse in un tutt’uno che, nel caso della lingua, e di altre pratiche universali, sì, ma mai vissute in senso universale (si pensi ad

altri pilastri identitari quali l’alimentazione, le pratiche di cal-colo o l’abbigliamento), assurge a vessillo identitario di chi si trovi ad essere parte del gruppo scelto per l’osservazione6.

Per ragioni di brevità, si taglierà corto sulle innumerevoli al-tre considerazioni ispirate da quella manciata di tratti, parole che corrispondono a chiavi di lettura del mondo e di volta in volta delle credenze e delle ideologie che dominano in parti di esso. Di un mondo che è autonomo e individuale quanto lo è l’ultima delle matrioske, che esiste, nei fatti e di fatto, solo una volta aver avuto accesso, una dopo l’altra, alle altre che la contengono. Di mondo in cui ogni singolo “ente”, per diventare oggetto di conoscenza, viene prontamente calato in una rete organizzata che rende difficile (impossibile?) trattare

6 “la cultura è il modo di vivere dell’uomo nel suo complesso, e in quan-to tale include tutti gli aspetti condivisi, dei membri della società, quali regole comportamentali, credenze, valori, lingua, usanze, si tratta insomma di un insie-me di valori comportamenti e tratti distintivi che sono condivisi dagli individui all’interno di un determinato territorio (Herbig 2003: 3-4).

A B C D E F

FAMIGLIA

padre cugini nucleo amore amore casa

madre feste cristiana cibo rispetto amore

stich battesimi geova affetto fiducia insieme

casa matrimonio dio bei momenti legami unione

sicurezza figli nervosismo eternità felicità

figlio parenti odio felicità sicurezza

onestà vino rancore vita

felicità

nonni

UOMO

papà carriera primitivo forza stronzo forza

nero virilità donna guida infame durezza

giallo marito scienza rispetto vero crudeltà

ragno figli arte classe buono nero

adulto storia soldi genio

maturo origine male

animale

legami

amicizia

rispetto

forza

intelligenza

DONNA

mamma moglie feto fascino amore morbidezza

bellezza parto mela amore rispetto dolcezza

sensualità figli uomo intrigo famiglia vanità

moglie rispetto vita madre

sesso eleganza legami terra

sensualità amicizia bambini

testardaggine lealtà rosso

psicopatia forza

intelligenza

genio

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DOSSIER La violenza nelle relazioni familiari

il singolo elemento in modo avulso, separato dalla rete – o, meglio – dalle reti di cui partecipa.

Invitati a ripetere l’esercizio da loro stessi prodotto al fine di acquisire maggiore consapevolezza delle dinamiche mostrate, i membri del gruppo che ha prodotto le matrici sopra espo-ste hanno, a loro volta, proposto a dieci conoscenti (ritenuti amici/amiche) intervistati con il pretesto di un incontro con-viviale di indicare, dietro anonimato, mentre erano soli in una stanza, e su un foglio di carta privo di segni che ne rendessero riconoscibile l’autorialità, di indicare le caratteristiche essen-ziali stavolta non solo di famiglia, ma di uomo e donna.

Anche in questo caso i dati sono poi stati raccolti e inseriti in una tabella, successivamente arricchita dall’indicazione, qui volutamente omessa, del genere biologico degli informanti.

Tra i vari “rapporti” ottenuti, è stato selezionato il seguente, nonostante contenga solo sei campioni dei dieci richiesti, o forse proprio per questo, dal momento che le quattro persone che non hanno preso parte all’esercizio hanno dichiarato di non volerlo fare perché a conoscenza di cosa fosse una ma-trice semantica.

Reso ancora più stimolante dall’intreccio di reti e sottoreti, il mosaico offerto da queste definizioni personali consente a chi lo legge tante letture che in molti casi favoriscono l’accesso al sistema di credenze che sorregge la vita di chi le ha proposte.

Occorrerebbe allora ragionare su come inserire questi tratti dai discorsi e in generale dai testi al fine di servirsene per accedere a quella realtà che magari si è poco propensi a rac-contare o che volutamente può essere distorta o capovolta se di difficile accettazione.

In che modo questa conoscenza potrebbe essere incanalata e impiegata in fase di assistenza di chi alle prese, per ragioni professionali, con crisi familiari o con la dichiarata volontà di mettere fine al proprio matrimonio o più di recente alla propria unione civile?

Si potrebbe pensare ad una psicolinguistica forense cui ri-volgersi non più solo in ambito criminologico (dove costitui-sce, anche per ambiti di applicazione, l’altra faccia della fone-tica forense, su citata), bensì in ambito di diritto di famiglia, dove potrebbe aiutare a mettere ordine a una realtà spesso opacizzata e non chiarita dalle narrazioni prodotte dagli e dal-le interessate, non sempre intenzionati o in grado di far emer-gere gli indizi delle violenze a maggior ragione se psicologiche o economiche subite.

Più estesamente, ci si potrebbe servire di una (psico)lingui-stica forense di matrice cognitivista per ricostruire precoce-mente, attraverso quanto offerto da discorsi e testi, il vissu-to rappresentato mentalmente da bambini e bambine in un processo per l’affidamento; o, anche, in un contesto ampio di osservazione, come quello educativo, per monitorare perio-dicamente e in modo non esplicito la salute emotiva di ogni individuo.

Questo genere di pratica potrebbe inoltre andare a comple-tare quanto offerto dai disegni, da tempo oggetto di analisi e di fonte di indizi di situazioni di violenza in particolar modo sessuale, rispetto ai quali la matrice semantica cognitiva po-trebbe però rivelarsi meno foriera di sovrainterpretazioni.

A mo’ di conclusione, per ovvie ragione provvisoria, si riba-dirà ciò che ha fatto da filo conduttore a tutta la costruzione testuale fin qui offerta: per comprendere il reale, un reale in cui il rappresentato va oltre il mondo delle cose, anche per la velocità di propagazione della conoscenza di esso resa possi-bile dalla comunicazione, occorrerà perciò ripartire dai testi, soprattutto agiti e ancor più se di tipo narrativo. Questi testi offriranno, a chi saprà vedere attraverso di essi, una scheggia di come chi abbiamo di fronte intende il mondo: in senso naturale, non culturale. Giacché ogni famiglia, ogni abitudi-ne, ogni modo di intendere i rapporti, è, proprio come per lo scarrafone napoletano, bello a mamma sua.

E di questo deve avere contezza chi, per scelta professionale, si trovi a fare i conti con le macerie o con i danni, nel migliore dei casi, che si trova a fronteggiare chi, nella primissima o nella immediatamente successiva età evolutiva, si è trovato ad assistere al crollo della rappresentazione del proprio sistema sociale primario di riferimento.

BibliografiaCasadei, F. (2004), “Per un bilancio della semantica cognitiva”, in Gae-

ta L., Luraghi S., Introduzione alla linguistica cognitiva, Carocci, Roma.Cavagnoli, S. (2013), Linguaggio giuridico e lingua di genere: una simbiosi

possibile, Edizioni dell’Orso, Alessandria.Herbig, P.A. (2003), Marketing interculturale, Apogeo, Milano.Lévi-Strauss, C. (1969), The Elementary Structures of Kinship, Beacon

Press, Boston.Mortara Garavelli, B. (2001), Le parole e la giustizia. Divagazioni gram-

maticali e retoriche su testi giuridici italiani, Torino, Einaudi.

Serianni, L. (2003), Italiani scritti, Bologna, Il Mulino.

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La violenza nelle relazioni familiari DOSSIER

1. Premessa

La legge 4 aprile 2001 n. 1541 ha introdotto una serie di mi-sure di protezione, finalizzate a reprimere un fenomeno socia-le assai più diffuso di quanto comunemente non si sia indotti a ritenere. La violenza in famiglia, infatti, non appartiene sol-tanto a contesti sociali degradati, caratterizzati da immanente aggressività reciproca tra i suoi componenti e dal disprezzo verso i valori del rispetto e della tolleranza. Anche in ambienti familiari agiati, o composti da soggetti con elevata collocazio-ne sociale, può manifestarsi la degenerazione del contrasto e l’assunzione di comportamenti lesivi della dignità, libertà o integrità psico-fisica dell’altro.

La cronaca e le statistiche non confermano neppure il diver-so assunto secondo cui, a fondamento dell’abuso familiare, si collocherebbe necessariamente il disagio personale di qual-cuno dei membri della famiglia, dovuto a problematiche di patologia psichiatrica, alcolismo o tossicodipendenza. Si può

1 Nell’ampia bibliografia in tema, si richiamano, senza pretesa di completezza e in ordine alfabetico: carrera, Violenza domestica e ordini di protezione contro gli abusi familiari, in Famiglia e Diritto, 2004, 388 s.; cianci, Gli ordini di protezione familiare, II ed., Milano, 2005; De Bonis, Abusi familiari e ordini di protezione, in FerranDo (diretto da), Il nuovo diritto di famiglia, t. I, Bologna, 2007, 576 s.; De Marzo, Gli ordini di protezione contro gli abusi familiari, in Famiglia e Diritto, 2003, 266 s.; Di Martino, Violenze familiari, Napoli, 2004; Di Florio, Violenza in famiglia e nuovi poteri del giudice minorile, in Quest. Giust., 2002, 877 s.; Di lorenzo, La con-vivenza tra familiari nella disciplina civilistica degli ordini di protezione, in Fam. Pers. Succ., 2007, 606 s.; FaVilli, voce Violenza nelle relazioni familiari e parafamiliari, in Il Diritto - Enc. Giur. del Sole 24 Ore, vol. XVI, Milano, 2008, 597 s.; Fierro cen-Derelli, Abuso e violenze in famiglia nel diritto civile, internazionale e penale, Padova, 2006; Mazzotta Mariani, In termini di ordini di protezione in materia familiare, in Foro It., 2003, I, 948 s.; Morani, La nuova normativa di protezione a favore del fami-liare più debole contro gli abusi nelle relazioni domestiche, in Giur Merito, 2003, 835 s.; pistorelli, Misure contro la violenza nelle relazioni familiari: allontanamento dalla casa familiare; pagamento di un assegno, in rionDato (a cura di), Diritto penale della famiglia, in zatti (diretto da), Trattato di diritto di famiglia, t. IV, Milano, 2002, 87 s.; russo, Gli ordini di protezione contro gli abusi e le violenze subiti in famiglia, in Dir. e Giust., 2004 (16), 108 s.; saBato, Gli ordini di protezione contro gli abusi familiari: prime elaborazioni della giurisprudenza, in Nuova giur. civ. comm., 2006, I, 237 s.; L.A. scarano, L’ordine di allontanamento dalla casa familiare, in Familia, 2003, 331 s.

constatare, al contrario, una tendenza alla “trasversalità” so-ciale e culturale degli abusi familiari e, in alcuni casi, anche la smentita della tradizionale ripartizione tra uomo e donna dei rispettivi ruoli di autore e di vittima della violenza.

Le caratteristiche del fenomeno sociale e le sollecitazioni che da altri ordinamenti provenivano in senso favorevole alla rego-lamentazione normativa hanno reso assolutamente opportuno l’intervento del legislatore del 2001, che merita di essere ap-prezzato, in linea di principio, sotto tre fondamentali profili.

a) In primo luogo, gli ordini di protezione risultano flessibili e funzionali alle conseguenze dell’abuso sul piano sia per-sonale (si pensi, ad esempio, all’ordine di allontanamento dell’autore dell’abuso dalla casa familiare o al divieto di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla vitti-ma) sia patrimoniale (in particolare, l’ordine di pagamen-to periodico di un assegno a favore delle persone convi-venti), e, dunque, tendenzialmente idonei ad apprestare − grazie alla prudente traduzione applicativa del giudice − la specifica tutela richiesta nel caso concreto.

b) La scelta di separare nettamente l’azionabilità del rime-dio privatistico dalla repressione penalistica delle con-dotte abusive costituenti reato − scelta definitivamente adottata in seguito alla riforma operata con legge 6 no-vembre 2003 n. 304 − ha certamente reso più agevole il ricorso agli ordini di protezione, impedendo le inevi-tabili complicazioni (originariamente emerse in sede di prima applicazione) connesse alla possibile difficoltà di qualificazione della condotta come reato e al rischio della sovrapposizione di misure o, ancor peggio, del contem-poraneo rifiuto di tutela.

c) Felice si è rivelata, inoltre, l’adozione di forme proces-suali che − indipendentemente dalla loro natura e qua-lificazione appaiono agili e finalizzate alla celerità della decisione e all’effettività della sua attuazione, senza alcu-na significativa limitazione dei principi del contradditto-rio e della difesa.

ABUSI FAMILIARI E ORDINI DI PROTEZIONE IN ITALIA E IN EUROPAMAURO PALADINIProfessore associato di diritto civile all’Università di Brescia

Sommario: 1. Tipologia degli ordini di protezione. - 2. L’allontanamento dalla casa familiare dell’autore dell’abuso come provvedimento di asse-gnazione dell’immobile in favore della vittima. - 3. La successione nel contratto di locazione in favore della vittima dell’abuso. - 4. L’opponibilità ai terzi del provvedimento di allontanamento dalla casa familiare dell’autore dell’abuso. - 5. Ambito applicativo della misura dell’allontanamento dalla casa familiare: a) convivenza fondata sul matrimonio. - 6. Segue: b) unione civile. - 7. Segue: c) convivenza more uxorio. - 8. Assegno di mantenimento a carico dell’autore degli abusi. - 9. La lacuna normativa in punto di “affidamento della prole”. - 10. Il divieto di frequentazione di determinati luoghi. - 11. Estinzione delle misure. - 12. Profili processuali. - 13. L’ordine di protezione europeo e il riconoscimento reciproco delle misure di protezione. - 14. Il rapporto tra tutela civile e penale in Europa. - 15. Il certificato europeo per l’esecuzione delle misure di protezione.

Resi nel contesto del Forum di Ondif del 2017/2018 “La famiglia e i minori alla Corte di Strasburgo” ove una sessione è stata dedicata al tema

“Crisi e violenza nelle relazioni famigliari secondo la giurisprudenza Cedu”, si pubblicano i contributi di Mauro Paladini e Michele Lupoi

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50 L’Osservatorio sul diritto di famiglia | gennaio-agosto 2018

DOSSIER La violenza nelle relazioni familiari

Il contenuto e le caratteristiche degli ordini di protezione contro gli abusi familiari sono disciplinati agli artt. 342-bis-342-ter c.c., ove è previsto che, nel caso in cui la condotta di un coniuge o di un convivente sia causa di grave pregiudizio all’integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell’altro coniu-ge o convivente, ovvero di altro componente del nucleo familiare (art. 5, legge n. 154/01), il giudice ordina all’autore dell’abuso la cessazione della condotta e può disporre, altresì, una serie di misure in via alternativa o cumulativa:

i) In primo luogo, viene in rilievo l’ordine di allontanamen-to dalla casa familiare del coniuge o del convivente autore della condotta pregiudizievole.

ii) In secondo luogo, in giudice può ordinare all’autore dell’abuso di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente fre-quentati dal familiare o convivente leso, ed in particolare al luogo di lavoro, al domicilio della famiglia d’origine o di altri prossimi congiunti e in prossimità dei luoghi di istruzione dei figli della coppia.

iii) Il Giudice può ordinare altresì all’autore dell’abuso il pa-gamento di un assegno in favore delle persone conviventi che, in conseguenza dell’allontanamento dell’autore dalla casa fa-miliare, rimangono prive di mezzi adeguati, fissando modali-tà e termini di versamento e prescrivendo, se del caso, che la somma sia versata direttamente all’avente diritto dal datore di lavoro dell’obbligato, detraendola dalla retribuzione.

La durata degli ordini di protezione – originariamente della durata massima di mesi sei – è stata elevata a un anno dalla legge 23 aprile 2009 n. 38 sulla di repressione dello stalking, ferma la possibilità di un’ulteriore proroga disposta dal giu-dice per gravi motivi e per il tempo strettamente necessario.

2. L’allontanamento dalla casa familiare dell’autore dell’abuso

Il primo ordine di protezione consiste nell’“allontanamento dalla casa familiare” del coniuge o del convivente che abbia tenuto la condotta abusiva.

Considerato il tempo per il quale tale allontanamento può protrarsi – che, come per gli altri ordini di protezione, non può essere superiore a un anno, salvo proroga da parte del giudice se ricorrano gravi motivi e per il tempo strettamente ne-cessario – occorre considerare il titolo del godimento della casa familiare da parte del coniuge o convivente a tutela del quale la misura sia stata emanata.

Le ipotesi, che possono concretamente verificarsi, sono so-prattutto le seguenti:

a) può accadere, anzitutto, che l’immobile, in cui ha sede la casa familiare, sia oggetto di un diritto reale o personale di godimento, spettante al coniuge o convivente a tutela del quale l’ordine di protezione sia stato emesso;

b) può verificarsi, però, che il diritto reale o personale di godi-mento appartenga al coniuge o convivente autore della con-dotta abusiva;

c) è possibile, infine, che i soggetti rispettivamente autore e vittima dell’abuso siano contitolari del diritto reale o personale di godimento sul bene immobile.

Mentre nell’ipotesi sub a) l’ordine di allontanamento dalla casa familiare del coniuge o convivente autore della violenza familiare non determina alcun mutamento nell’appartenenza e nell’esercizio della facoltà di godimento della casa familiare da parte della vittima, nei due ulteriori casi si pone, invece,

il problema di definire il titolo giuridico, in virtù del quale il soggetto tutelato permane nel godimento esclusivo dell’im-mobile.

Posto che, in concreto, l’allontanamento dalla casa familiare dell’autore dell’abuso può rappresentare una sorta di misura “anticipatoria” dell’assegnazione della casa stessa nella succes-siva ed eventuale (ma probabile) crisi della convivenza coniu-gale o more uxorio, deve ammettersi che gli stessi problemi già emersi nelle prime applicazioni dell’art. 155, quarto comma, c.c. (nella formulazione anteriore alla novella introdotta con l. 54/2006 e alla ulteriore recente riformulazione normativa contenuta nell’art. 337-sexies c.c.) possano riproporsi con ri-ferimento all’ordine di protezione dell’allontanamento dalla casa familiare.

Occorre rilevare, preliminarmente, che – a differenza di quanto contenuto nella disciplina legislativa in tema di se-parazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annul-lamento, nullità del matrimonio e di procedimenti relativi a figli nati fuori del matrimonio (art. 337-quater c.c.) – l’art. 342-ter c.c. non contiene alcun esplicito riferimento testuale ad un provvedimento di “assegnazione” della casa familiare al coniuge o convivente vittima della violenza. Il dato non appare, tuttavia, di per sé significativo, posto che nell’ordine di allontanamento dell’autore dell’abuso deve ritenersi im-plicitamente contenuta la statuizione giudiziale concernente il diritto della vittima al godimento esclusivo dell’abitazione familiare per il tempo di efficacia della misura di protezione.

D’altra parte, nessuno dubita che il provvedimento di as-segnazione della casa familiare, emesso dal giudice della dis-soluzione della convivenza tra genitori, “includa” l’ordine di allontanamento dalla stessa casa rivolto al genitore non asse-gnatario, com’è dimostrato dalla pacifica possibilità di ese-cuzione forzata del provvedimento proprio nei confronti di quest’ultimo2. Come, dunque, nella separazione, nel divorzio o nella cessazione della convivenza more uxorio, nel provvedi-mento di assegnazione in favore di un genitore è “compreso” l’ordine di allontanamento nei confronti dell’altro, allo stesso modo deve ritenersi che l’ordine di allontanamento previsto dall’art. 342-ter c.c. includa automaticamente l’assegnazione della casa familiare in favore del genitore vittima dell’abuso (o convivente con la vittima).

Per quel che concerne la natura del godimento esercitato sulla casa familiare da parte del soggetto tutelato dall’ordine di pro-tezione, si tratta – in perfetta analogia con la natura del diritto spettante al genitore assegnatario della casa familiare ex art. 337-sexies c.c. – di un diritto personale di godimento, avente titolo nel provvedimento giudiziale che dispone l’allontana-mento dell’autore dell’abuso. Tale qualificazione deve essere certamente confermata anche in seguito all’entrata in vigore della legge n. 54/2006 e del d.lgs. n. 154/13, che, con la nor-

2 Cass., 1° settembre 1997, n. 8317, in Giur It., 1998, 1109, secondo cui in tema di provvedimenti temporanei ed urgenti, l’ordinanza del presidente del tribunale o del giudice istruttore in un processo di separazione personale tra co-niugi attributiva, ad uno di essi, del diritto di abitare la casa familiare deve rite-nersi soggetta, in mancanza di spontaneo adempimento, ad esecuzione coattiva in via breve (a mezzo del competente ufficiale giudiziario), ovvero alla normale procedura di esecuzione forzata, con la conseguenza che, nella prima ipotesi, giudice competente per l’esecuzione sarà quello che ha emesso il provvedimento (ovvero quello competente per il merito, se risulti iniziato il relativo giudizio), mentre, nella seconda, la competenza si radica in capo al giudice dell’esecuzio-ne, secondo le regole ordinarie.

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La violenza nelle relazioni familiari DOSSIER

ma dell’art. 337-sexies, 1° comma, c.c. (corrispondente all’a-brogato art. 155-quater c.c.), ha sancito la trascrivibilità del provvedimento di assegnazione della casa familiare “ai sensi dell’art. 2643 c.c.”. Come è stato autorevolmente illustrato3, “si tratta di un rinvio recettizio all’art. 2643, n. 14, c.c., il qua-le, a sua volta, opera un rinvio indiretto agli atti suscettibili di trascrizione, di cui ai numeri precedenti, sicché, de relato, l’atto di assegnazione non potrebbe, a sua volta, non trova-re una propria collocazione, se non nell’elenco di cui all’art. 2643 c.c., nella più ampia previsione di cui all’art. 2645 c.c., trattandosi di un diritto di godimento atipico”. Dalle norme in materia di affidamento condiviso della prole non è dato desumere, pertanto, alcun indice normativo in grado di sov-vertire la tesi della natura personale del diritto di godimen-to spettante al genitore assegnatario della casa familiare: tesi accolta dalla giurisprudenza di legittimità e dalla prevalente dottrina4 e definitivamente accolta dal legislatore con la rifor-ma del divorzio del 1987, che ha introdotto nell’art. 6, com-ma 6, l. n. 898/70, ai fini dell’opponibilità ai terzi, il richiamo alla norma dell’art. 1599 c.c., compresa del capo dedicato alla locazione5. Non possono sorgere dubbi, pertanto, sulla natura personale del godimento dell’assegnatario dell’immobile nella disciplina sugli abusi familiari, là dove si aggiunge, peraltro, l’espressa previsione di un limite temporale massimo della misura dell’allontanamento dalla casa familiare dell’autore della condotta abusiva.

3. La successione nel contratto di locazione in favore della vittima dell’abuso

Anche il problema dell’ammissibilità della misura dell’allontana-mento nell’ipotesi in cui l’autore dell’abuso sia titolare di un diritto personale di godimento sull’immobile (ad esempio, in virtù di un contratto di locazione o di comodato) deve essere risolto in senso affermativo. L’analogo dubbio interpretativo, con ri-guardo all’assegnazione della casa familiare nella separazione personale tra coniugi, era stato risolto dal legislatore con l’art. 6 l. 392/1978, il quale, prevedendo la successione del coniuge assegnatario nel contratto di locazione dell’immobile destina-to a casa familiare (secondo comma), aveva implicitamente chiarito che l’esistenza del rapporto giuridico col locatore non poteva costituire un fattore preclusivo al riconoscimento del

3 gazzoni, Assegnazione della casa familiare e trascrivibilità della domanda giu-diziale, in Dir. Famiglia, 2008, 2, 750, ove si esprime apprezzamento per la stessa tesi parimenti espressa da Trib. Pisa 27 febbraio 2008, ivi, 737 ss.

4 Ex plurimis, Cass. 1 giugno 2006 n. 13137, in Dir. fam. pers., 2007, 3, 1102. In dottrina, per la natura personale del diritto del genitore assegnatario, cuBeDDu, La casa familiare, Milano, 2005, 367; in senso contrario, tuttavia, occorre richia-mare la tesi di Bianca, Diritto Civile, 2.1, La famiglia, Milano, 2014, 224, secondo cui “la natura reale del diritto di abitazione si desume dalla sua immediatezza. Il diritto di godimento è infatti esercitato sulla casa familiare senza il tramite di un obbligo del proprietario o usufruttuario. La natura reale appare poi appropriata alla finalità di tutela dell’interesse dell’assegnatario e dei suoi figli. Essa conferisce infatti la legittimazione all’azione di manutenzione e la legittimazione a votare nell’assemblea condominiale sugli affari di ordinaria amministrazione e di sem-plice godimento delle cose comuni e dei servizi”. Per una disamina completa della questione, alla luce delle norme in materia di affidamento condiviso, irti, Affidamento condiviso e casa familiare, Napoli, 2010, 102-105.

5 Sul problema della permanente vigenza dell’art. 6, 6° co., l. n. 898/70, ancora le chiare pagine di gazzoni, op. cit., 751-753. Nello stesso senso, palaDi-ni, L’abitazione della casa familiare nell’affidamento condiviso, in Fam. Dir., 2006, 3, 333; BellanoVa, De Filippis, Fiorillo, giannattasio, Mea, Molinaro, palaDini, scarpa, in L’assegnazione della casa familiare nella separazione e nel divorzio, Pado-va, 2010, 86 ss.

diritto all’assegnazione della casa familiare. L’art. 6 della legge sull’equo canone era valso, peraltro, a chiarire l’effetto giuridi-co del provvedimento giudiziale di assegnazione sul contratto di locazione, stabilendo la successione nel rapporto contrat-tuale in favore del coniuge assegnatario. La giurisprudenza ha chiarito, in seguito, che tale successione deve essere interpre-tata nel senso della totale sostituzione dell’originario condut-tore nei diritti e nelle obbligazioni contrattuali, con integrale e automatico subentro da parte del coniuge assegnatario6.

L’art. 342-ter c.c. non prevede gli effetti giuridici dell’allon-tanamento dell’autore dell’abuso familiare sul contratto (attri-butivo del diritto personale di godimento sull’immobile) che sia stato in precedenza stipulato proprio dal soggetto destina-tario dell’ordine di allontanamento. Posto che – per le ragioni esposte – deve affermarsi che la misura dell’allontanamento sia altresì provvedimento di assegnazione in favore della vit-tima dell’abuso, appare consequenziale ritenere che, anche in tale fattispecie, si verifichi la successione dell’assegnatario nel contratto di locazione.

La successione nel contratto non è ancora oggetto di or-ganica regolamentazione né a livello legislativo né sul piano dell’applicazione giurisprudenziale. L’orientamento prevalen-te dei giudici si rivela propenso alla configurazione della suc-cessione nel contratto in termini di modificazione “coattiva” di uno dei soggetti del rapporto obbligatorio, con conseguen-te perdita, per l’originario contraente, della qualità di parte7.

Se la conseguenza dell’allontanamento dell’autore-condut-tore consiste, dunque, nella successione della vittima nel contratto di locazione, appare assai opinabile che l’originario contraente possa essere considerato, sul presupposto della permanenza della sua qualità di parte del contratto, ancora obbligato (in via principale) al pagamento del canone di lo-cazione8. Il subentro del beneficiario dell’ordine protettivo nel ruolo di controparte esclusiva del locatore garantisce, in-vero, un più elevato livello di tutela, in virtù della legittima-zione diretta all’esercizio dei diritti derivanti dal contratto9. La successione nel contratto, d’altra parte, non comporta ne-cessariamente l’automatico esonero dell’originario conduttore dall’obbligazione sussidiaria (in caso di inadempimento della parte succeduta) del pagamento del canone, così come affer-mato, invece, da una discutibile giurisprudenza di merito10.

Non v’è dubbio, infine, che la condivisibile esigenza che l’al-lontanamento dell’autore delle violenze non debba compor-

6 Cass. 21 gennaio 2011, n. 1423; Cass. 30 aprile 2009 n. 10104; Cass. 17 luglio 2008 n. 19691.

7 In tal senso, ad esempio, la Suprema Corte ha affermato che il locatore, il quale intenda agire per lo sfratto, deve convenire, in caso di pregressa successio-ne nel contratto ai sensi dell’art. 6 legge n. 392/1978, colui che è succeduto nel rapporto contrattuale (nel caso di specie, trattatasi del convivente more uxorio) e non già l’originario conduttore (Cass., 10 ottobre 1997, n. 9868, in Fam. Dir., 1998, 175).

8 Secondo cianci, op. cit., 172, “qualora [la persona allontanata] sia […] ti-tolare di un contratto di locazione, il provvedimento del giudice conterrà la condanna alla prosecuzione al pagamento del canone, volta a consentire l’uso dell’immobile agli altri familiari. […] In caso di inadempimento dell’obbligato, gli altri congiunti potranno provvedere al pagamento, surrogandosi ai diritti del locatore, del condominio e dei gestori dei servizi”.

9 Si pensi, a mero titolo esemplificativo, al potere della parte succeduta nel contratto di pretendere dal locatore l’esecuzione delle riparazioni necessarie (art. 1576 c.c.) o di essere di essere garantito dalle molestie che diminuiscono l’uso o il godimento della cosa arrecate da terzi che pretendono di avere diritti sulla cosa (art. 1585 c.c.).

10 Trib. Firenze 4 dicembre 1992, in Nuova Giur. Civ. Comm., 1993, 939.

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tare aggravi economici a carico della vittima tutelata possa (e debba) essere perseguita attraverso l’emanazione di quell’altra misura protettiva consistente nel pagamento periodico di un assegno, congruamente determinato in misura comprensiva dell’importo corrispondente al canone di locazione.

L’opportunità (oltre che la necessità di carattere sistematico, quale emerge dall’esame delle parallele previsioni normative in materia di separazione e divorzio) di configurare il familia-re che conserva il godimento della casa, per effetto dell’ordine di allontanamento dell’autore dell’abuso, alla stregua di un successore nel contratto di locazione emerge con evidenza qualora si ipotizzi che il soggetto allontanato esercitasse il go-dimento dell’immobile in virtù di un contratto di comodato. Qualora non si riconoscesse, infatti, il subentro nel contratto in favore del familiare protetto, dovrebbe coerentemente am-mettersi la legittimità della restituzione volontaria del bene nei confronti del comodante, nonché la facoltà del comodante di richiedere la restituzione stessa in mancanza della deter-minazione della durata del contratto (art. 1810 c.c.). Al con-trario, soltanto l’attribuzione della qualifica di successore nel contratto consente l’applicazione al caso di specie del princi-pio giurisprudenziale, affermato dalle Sezioni Unite11, secon-do cui la destinazione a casa familiare costituisce un termine implicito di durata del comodato, con conseguente diritto del comodante di ottenere la restituzione immediata soltanto se sopravviene un suo urgente e impreveduto bisogno (art. 1809, secondo comma, c.c.).

4. L’opponibilità ai terzi del provvedimento di allontanamento dalla casa familiare dell’autore dell’abuso

Altro problema consiste nell’individuazione dei limiti di op-ponibilità ai terzi del provvedimento di “allontanamento da” - “assegnazione della” casa familiare. La questione – com’è noto – si pose nell’applicazione dell’art. 155, 4° comma, c.c. (nella formulazione anteriore alla novella introdotta con l. 54/2006), in quanto il coniuge proprietario dell’immobile assegnato dal giudice all’altro coniuge, al fine di impedire il godimento da parte di quest’ultimo, poneva in essere atti di disposizione del proprio diritto nei confronti di terzi che, in quanto ignari del provvedimento di assegnazione, rivendica-vano il diritto sul bene e la sua restituzione12. Il problema fu risolto dalla riforma del divorzio (l. 74/1987) che, nel pre-vedere espressamente l’assegnazione della casa familiare an-che in caso di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, stabilì la possibilità di trascrizione del provve-dimento di assegnazione (art. 6, 6° comma, ultima alinea, l. 898/1970). A causa, peraltro, del principio di tassatività delle norme in tema di pubblicità immobiliare, l’estensione della trascrivibilità al provvedimento di assegnazione disposto nel procedimento di separazione personale richiese l’immediato

11 Cass., sez. un., 21 luglio 2004 n. 13603, in Familia, 2004, 867, con nota di scarano.

12 La Suprema Corte stabilì, pertanto, l’estinzione del diritto personale di godimento in conseguenza dell’alienazione a terzi del diritto di proprietà sul bene da parte del coniuge non assegnatario, ferma restando la possibilità di otte-nere a carico del coniuge venditore dell’immobile una diversa regolamentazione dell’obbligo di mantenimento, non più attuato tramite l’abitazione della casa coniugale: Cass., 31 gennaio 1986, n. 624, in Foro It., 1986, I, 1317.

intervento della Corte Costituzionale13. Gli ambiti di opponi-bilità ai terzi dell’assegnazione della casa familiare sono stati estesi, in seguito, dall’interpretazione dell’art. 6, 6° comma l. 898/1970, adottata dalle Sezioni Unite14, che, in virtù del rin-vio all’art. 1599 c.c. contenuto nella citata norma, hanno ri-tenuto l’opponibilità del provvedimento di assegnazione, pur in difetto di trascrizione, nei limiti del novennio. Infine, in seguito all’introduzione dell’art. 155-quater (oggi art. 337-se-xies c.c.) – secondo cui “il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili e opponibili a terzi ai sensi dell’articolo 2643” – la trascrivibilità del provvedimento di assegnazione è espressamente sancita, ma si pone il proble-ma della compatibilità tra la recente previsione normativa e l’art. 6, 6° comma, legge n. 898/70. Invero, l’art. 1599 c.c. deve essere considerata norma speciale rispetto all’art. 2643 c.c., poiché non regola il conflitto tra il conduttore e qualun-que altro titolare di un diritto incompatibile, ma si limita a stabilire le condizioni affinché la locazione sia opponibile al terzo acquirente della cosa locata. Poiché, dunque, lex poste-rius specialis non derogat priori generali, deve affermarsi che − mentre il conflitto tra l’assegnatario e il titolare di altro diritto incompatibile (ad esempio, un conduttore in base a locazione ultranovennale) è risolto dall’art. 2644 c.c. − l’opponibilità nei confronti del terzo acquirente resta disciplinata, invece, dall’art. 1599 c.c.15.

Anche per il provvedimento di allontanamento dell’autore dell’abuso familiare si pone il problema della tutela del go-dimento del detentore nei confronti di eventuali terzi aventi causa, i quali, acquistando il diritto di proprietà dell’immobi-le, ne pretendano la restituzione. Né il problema può conside-rarsi di modesta portata soltanto in considerazione della bre-ve durata della misura protettiva che – come si è detto – non può eccedere un anno, salvo proroga da parte del giudice. In una situazione di profondo disagio, quale quella solitamente prodotta dalla consumazione di abusi e violenze endofami-liari, il godimento dell’immobile per il periodo di un anno (o per quello più lungo risultante dalla proroga giudiziale) può costituire una misura di estrema importanza, grazie alla quale la vittima può compiere le proprie più opportune e approfon-dite riflessioni in ordine alla prosecuzione della convivenza. L’eventuale sottrazione del bene immobile da parte del terzo, che si renda prontamente alienatario, porrebbe indubbiamen-te la vittima in situazione di comprensibile difficoltà sul piano materiale ed esistenziale.

Occorre considerare, inoltre, che l’abuso familiare e il con-seguente ordine di protezione possono costituire sintomi di-sgregativi della convivenza e, in caso di famiglia fondata sul matrimonio, possono preludere a procedimenti di separazio-ne personale.

Poiché nell’ambito del procedimento di separazione l’ordi-nanza presidenziale contenente i provvedimenti temporanei e urgenti (art. 708 c.p.c.) estingue l’efficacia dell’ordine di protezione e può contenere l’assegnazione della casa familiare

13 C. Cost. 27 luglio 1989, n. 454, in Nuova Giur. Civ. Comm., 1990, 292, con nota di Di narDo. Poco prima dell’entrata in vigore della legge n. 54/2006, C. Cost. 21 ottobre 2005 n. 394, in Dir. giust. 2005, n. 40, 18, con nota di Dosi, affermò che dovesse ritenersi consentita anche la trascrizione del provvedimento di assegnazione disposta in favore del genitore in seguito a rottura della convi-venza more uxorio.

14 Cass., sez. un., 26 luglio 2002, n. 11096, in Giust. Civ., 2003, 93.15 In questo senso si è pronunciata Cass. 19 luglio 2012 n. 12466.

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al coniuge affidatario dei figli, il coniuge autore dell’abuso, proprio allo scopo di prevenire tale assegnazione da parte del giudice della separazione – che sarebbe opponibile ai terzi, in quanto trascritta o, comunque, nei limiti del novennio – potrebbe affrettarsi all’alienazione dell’immobile in mancanza di un analogo strumento di opponibilità ai terzi della misura dell’allontanamento dalla casa familiare.

Appare indubbia, pertanto, la necessità di prevedere uno strumento di opponibilità nei confronti dei terzi della misu-ra protettiva avente ad oggetto il godimento dell’immobile. Posto che, per le considerazioni esposte, l’art. 342-ter c.c. de-scrive un provvedimento di assegnazione della casa familiare, parrebbe opportuna l’introduzione della trascrivibilità di tale provvedimento grazie a una modifica legislativa o a un inter-vento del giudice delle leggi, il quale ultimo, dinanzi alla que-stione, non potrebbe verosimilmente svolgere, per l’esigenza di assicurare la più ampia tutela giuridica alla vittima di abusi familiari, valutazioni diverse da quelle che già condussero alla ricordata declaratoria di incostituzionalità dell’art. 155, 4° comma, c.c.16.

5. Ambito applicativo della misura dell’allontana-mento dalla casa familiare: a) convivenza fondata sul matrimonio

Il problema più delicato, che concerne la misura dell’allontana-mento dall’immobile del titolare di un diritto reale o personale di godimento, consiste nell’esatta individuazione delle situazio-ni in cui la misura stessa può essere emanata. L’estromissio-ne del titolare del diritto reale o personale sul bene immobile pone, infatti – come è stato evidenziato17 – problemi, anche costituzionali (art. 14 Cost.), connessi alla tutela del domicilio. Appare opportuno prendere le mosse dalla disamina della ratio dell’ordine di protezione, che mira ad assicurare la cessazione di condotte violente perpetrate all’interno di una comunità di persone fondata o su un rapporto coniugale o di filiazione ov-vero in ragione un accordo di convivenza more uxorio.

Nel caso in cui sussista il vincolo coniugale, l’abuso familiare costituisce violazione dei doveri reciproci di assistenza morale e materiale nonché di collaborazione nell’interesse della fami-glia (art. 143 c.c.). Orbene, in presenza di una violazione degli obblighi coniugali, l’ordine di allontanamento costituisce una misura temporanea funzionale, nelle intenzioni del legislatore, alla ricostituzione di una vita familiare improntata al reciproco rispetto e alla regola dell’accordo come modalità esclusiva per la soluzione dei contrasti tra coniugi (art. 144-145 c.c.).

L’ordine di protezione rappresenta, quindi, una misura “pre-ventiva” rispetto alla separazione personale dei coniugi, po-sto che – prima della legge n. 154/2001 – l’abuso familiare aveva la sua esclusiva rilevanza civilistica (salva l’autonoma qualificazione in sede penale) come “fatto tale da rendere in-tollerabile la prosecuzione della convivenza o da recare grave pregiudizio alla prole” (art. 151, primo comma, c.c.) e, altresì, come “comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio” (art. 151, secondo comma, c.c.) ai fini dell’ad-debito della separazione personale.

Con la nuova disciplina sugli ordini di protezione, il legi-slatore ha inteso esprimere, pertanto, un’istanza di soluzione

16 C. Cost. 27 luglio 1989, n. 454, cit.17 cianci, op. cit., 73.

“preventiva” del conflitto e un intento di salvaguardia dell’u-nità della famiglia in luogo della sua (solitamente definitiva) disgregazione conseguente alla separazione dei coniugi18.

Ne è riprova la regolamentazione dei rapporti tra il procedi-mento di emanazione degli ordini di protezione e i procedi-menti di separazione o divorzio:

– l’avvenuta instaurazione di tali procedimenti rende inap-plicabile la disciplina degli artt. 342-bis e 342-ter c.c.;

– al giudice della separazione o del divorzio è attribuita unicamente la potestà di emanare provvedimenti “aventi i contenuti indicati nell’art. 342-ter c.c.” (art. 8, 1° com-ma, l. 154/2001);

– gli ordini di protezione, adottati prima del procedimento di separazione o divorzio, perdono efficacia con la pro-nuncia dei provvedimenti temporanei e urgenti, emessi del presidente del tribunale (art. 8, secondo comma, l. 154/2001).

Nell’ottica del legislatore, dunque, gli ordini di protezione costituiscono misure volte al mantenimento della regolare at-tuazione degli obblighi coniugali; sicché, allorché la doman-da di separazione personale o di divorzio riveli, allo stato, il fallimento del tentativo di soluzione preventiva del conflitto e di ricostituzione della pacifica e collaborativa unità familiare, non v’è più alcun margine per l’applicazione degli ordini di protezione a tutela della convivenza tra i coniugi.

Per queste ragioni, in presenza di condotte abusive commes-se nel corso della vita familiare, l’estromissione del titolare del diritto non configura alcuna “requisizione” temporanea del bene, bensì l’indispensabile salvaguardia dell’integrità morale e fisica e della libertà della vittima dei soprusi e delle violenze, commessi da quel coniuge che pure si era obbligato, all’atto del matrimonio, all’osservanza dei doveri coniugali e alla de-terminazione consensuale dell’indirizzo della vita familiare.

Il difetto di qualsivoglia sospensione degli obblighi coniuga-li rende pienamente ammissibile l’allontanamento del titolare del diritto sul bene anche in assenza di figli conviventi con il coniuge assegnatario della casa familiare.

Non valgono, pertanto, in tal caso, i (condivisibili) principi, ripetutamente affermati dal Supremo Collegio19, concernenti la necessità che, nella separazione e nel divorzio, l’assegna-zione della casa familiare sia disposta soltanto in presenza (e a tutela) di figli minorenni affidati al coniuge assegnatario o maggiorenni conviventi con quest’ultimo.

Allo stesso modo, l’allontanamento del titolare del diritto è pienamente giustificato a protezione di altri componenti del nucleo familiare (ex art. 5 l. 154/2001) e, in particolare, quan-do l’abuso sia stato consumato ai danni del figlio dei coniugi conviventi. In tal caso, l’estromissione del genitore violento e la permanenza nella casa familiare del figlio-vittima e dell’al-tro genitore risponde a una ratio per molti aspetti analoga a quella che presiede l’assegnazione della casa familiare nella separazione e nel divorzio.

18 carrera, Violenza domestica e ordini di protezione contro gli abusi familiari, 2004, 390, ove si sottolinea che “la legge persegue il significativo intento di fornire una protezione tempestiva, rapida e sollecita, volta a interrompere il ci-clo della violenza nell’immediatezza dei fatti, mantenendo aperta la strada alla ricostituzione e al recupero delle relazioni familiari”.

19 Cass., sez. un., 28 ottobre 1995, n. 11297, in Dir Famiglia, 1996, 499; Cass., sez. un., 23 aprile 1982, n. 2494, in Foro It., 1982, I, 1895. Nello stesso senso, Cass., 1° agosto 2013, n. 18440.

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6. Segue: b) unione civile

L’applicabilità degli ordini di protezione contro gli abusi familiari tra le parti dell’unione civile deriva dall’espressa previsione del comma 14 dell’art. 1, legge n. 76/2016, che riproduce testual-mente – riferendolo all’unione civile – il testo dell’art. 342-bis c.c.

Ci si potrebbe chiedere come mai il legislatore non abbia ri-chiamato l’intero titolo IX-bis, così come avvenuto, ad esempio, per il titolo IV e per il titolo XIII, da parte rispettivamente del comma 13 e 19, legge n. 76/2016. La spiegazione risiede nella preoccupazione del legislatore di non accostare all’unione civile alcun richiamo alla nozione di “famiglia”, posto che l’integrale richiamo del titolo IX-bis avrebbe comportato la qualificazione della condotta abusiva di una parte dell’unione civile ai danni dell’altra in termini di “abuso familiare”. Di ciò si ha conferma sia nel comma 1 sia nel comma 11, legge n. 76/2016, che parimenti evitano ogni riferimento o accostamento alla famiglia fondata sul matrimonio e agli obblighi familiari. Tuttavia, con riguardo al titolo IX bis dedicato agli abusi familiari, la preoccupazione legi-slativa deve ritenersi ultronea, posto che le norme degli art. 342-bis e 342-ter già estendono gli ordini di protezione all’ipotesi di abusi perpetrati ai danni del “convivente”, così dimostrando che il legislatore ha accolto, in tale contesto (per evidenti ragioni di repressione di condotte violente o abusive e di tutele delle vitti-me) una nozione lata e atecnica di famiglia, includendovi anche la convivenza tra persone non legate dal vincolo matrimoniale. Pertanto, anche in difetto dell’espressa previsione del comma 14, l’applicazione delle norme sugli abusi familiari nell’ambito dell’unione civile, si sarebbe potuta realizzare anche per effetto della previsione generale di cui al comma 20, legge n. 76/2016.

Anche nell’unione civile, deve ritenersi ammissibile l’allon-tanamento del titolare del diritto sul bene anche in assenza di figli dell’unito civile assegnatario dell’immobile adibito a residenza comune20. Può ribadirsi, infatti, che, in presenza di condotte abusive commesse nel corso della vita comune, l’e-stromissione dell’unito civile/titolare del diritto non configura alcuna “requisizione” temporanea del bene, bensì l’indispen-sabile salvaguardia dell’integrità morale e fisica e della libertà della vittima dei soprusi e delle violenze.

7. Segue: b) convivenza more uxorio

Più complessa si rivela l’applicabilità dell’art. 342-ter c.c. nell’ipotesi in cui, in luogo di una relazione di coniugio o di filiazione, una mera convivenza more uxorio si ponga a fonda-mento della comunità all’interno della quale si è consumato l’abuso. Occorre suddividere, inoltre, l’analisi di tale ipotesi a seconda che la relazione more uxorio sia intrattenuta unica-mente dai conviventi, oppure ad essa si aggiunga la presenza di figli di uno o di entrambi i conviventi stessi.

Nel primo caso – convivenza more uxorio tra due soli sogget-ti, senza figli – non appaiono riproponibili le considerazioni sopra svolte con riguardo alla ratio e alle finalità degli ordini di protezione. La convivenza more uxorio si caratterizza per l’assenza di vincoli giuridici alla prosecuzione della conviven-za e per l’assoluta libertà e informalità dell’interruzione della relazione. In tal caso, quindi, non avrebbe alcun senso la qua-

20 L’assenza di figli deve ritenersi, invero, la regola nell’unione civile, stan-te l’espressa inapplicabilità delle norme sull’adozione (comma 20, legge n. 76/2016); non può escludersi, tuttavia, che l’unito civile conduca con sé, nella convivenza con l’altra parte, figli avuti da precedenti relazioni eterosessuali.

lificazione dell’ordine di protezione come misura preventiva rispetto alla disgregazione della convivenza. Proprio l’assenza di vincoli giuridici alla prosecuzione della convivenza rende legittima la richiesta, rivolta all’altro convivente da parte del titolare del diritto reale o personale di godimento sul bene im-mobile in cui la convivenza stessa si svolge, ad abbandonare l’immobile entro un termine congruo e con modalità tali da non configurare uno spoglio (art. 1168 c.c.)21. A fronte del ri-fiuto del convivente di abbandonare l’immobile, il convivente proprietario o titolare di altro diritto può agire in giudizio per pretendere la restituzione del bene22.

Orbene, in una situazione nella quale ciascuno dei convi-venti può interrompere ad nutum la relazione affettiva, occorre domandarsi come, in caso di condotta abusiva da parte di un convivente ai danni dell’altro, possa ritenersi ammissibile un ordine di allontanamento ai sensi dell’art. 342-ter c.c. Qualora, infatti, la condotta violenta sia tenuta dal convivente non titola-re di alcun diritto sull’immobile, non v’è ragione per negare al convivente – vittima la potestà di autotutela attraverso l’estro-missione – in tal caso, anche nelle forme configuranti astratta-mente spoglio ai sensi dell’art. 1168 c.c. – dell’autore dell’abu-so. Ma, allo stesso modo, deve ritenersi che, nella situazione opposta – in quella in cui, cioè, l’autore della condotta abusiva sia il titolare del diritto reale o personale sull’immobile, l’auto-tutela della vittima debba manifestarsi nel volontario abbando-no del luogo della convivenza, senza margini applicativi per la richiesta di allontanamento dalla casa del convivente violento23.

L’abuso familiare, nell’ambito della convivenza more uxorio nella quale non siano presenti figli, costituisce, in definiti-va, il più grave ed evidentemente sintomo della crisi della relazione affettiva, crisi che, qualora assurga al livello della improseguibilità nella rappresentazione soggettiva della vittima dell’abuso, legittima quest’ultima all’immediata cessazione e alla conseguente interruzione della comunanza abitativa me-diante l’abbandono volontario dell’immobile, salve le ordina-rie conseguenze risarcitorie che la vittima potrà far valere nei confronti dell’autore dell’abuso24.

A diverse conclusioni dovrà giungersi, tuttavia, nel caso in cui l’autore dell’abuso si sia obbligato a consentire il godi-mento dell’abitazione per effetto di un contratto di conviven-za stipulato ai sensi del comma 50, legge n. 76/2016.

21 Secondo la giurisprudenza, infatti, in presenza di una relazione di fatto non transeunte e tale da realizzare una stabile convivenza, il convivente more uxorio è legittimato ad agire in reintegrazione contro l’altro convivente che lo abbia estromesso dall’abitazione comune, dato che la sua posizione giuridica è quella di un detentore qualificato del bene immobile (Cass. 21 marzo 2013 n. 7214, Giust. civ., 2013, I, 2455; Trib. Perugia 22.9.1997, in Foro It., 1997, I, 3686; nello stesso senso, cfr. Pret. Firenze 27 febbraio 1992, in Foro It., 1993, I, 1712). Secondo un precedente orientamento, peraltro, “la convivenza more uxo-rio genera un rapporto di ospitalità reciproca; è, perciò, inammissibile l’azione di reintegrazione, ex art. 1168 c.c., proposta dal convivente non proprietario nei confronti del convivente proprietario, al fine di essere riammesso nell’abitazione ove si è svolta la relazione familiare di fatto” (Pret. Vigevano 10 giugno 1996, in Nuova Giur. Civ. Comm., 1997, 240 con nota di lepre; Pret. Pietrasanta 19 aprile 1988, in Giur. It., 1990, 142).

22 Pret. Pisa 30 marzo 1990, in Foro It., 1991, I, 329; Pret. Firenze 26 ottobre 1990, in Giur merito, 1992, 861.

23 Per la tesi estensiva, secondo cui la misura di protezione può essere adot-tata indipendentemente dalla circostanza del matrimonio, De giorgi, La casa nella geografia familiare, in Eur dir. priv., 3, 2013, 761.

24 Sulla vasta problematica dei rapporti tra famiglia e responsabilità civile, cfr., ex plurimis, patti, Famiglia e responsabilità civile, Milano, 1984; sesta (a cura di), La responsabilità nelle relazioni familiari, in Nuova Giurisprudenza di Diritto Civile e Commerciale, Torino, 2008.

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La violenza nelle relazioni familiari DOSSIER

Argomentazioni analoghe potrebbero essere svolte nell’ipotesi di convivenza estesa a figli di uno solo dei due conviventi. An-che in tal caso, infatti, l’estromissione del convivente violento da parte del convivente−genitore titolare del diritto sull’immobile, ovvero l’abbandono dell’immobile stesso da parte del conviven-te−genitore non titolare del diritto si rivelerebbero le soluzioni più appropriate, tali da rendere superfluo l’intervento giudizia-le “protettivo” di una convivenza che dimostra di aver perso i propri fondamenti di affettività e spontanea comunione di vita.

Non può trascurarsi, tuttavia, la rilevanza che gli interessi dei minori assumono in una tale situazione, sicché l’opportunità di evitare alla prole – anche nel contesto delle cc.dd. famiglie ri-composte – il trauma dell’allontanamento volontario dal luogo ove si è svolta fino a quel momento la loro personalità induce a privilegiare l’interpretazione estensiva e a ritenere applicabi-le la misura dell’allontanamento dalla casa familiare dell’auto-re dell’abuso, anche in difetto di un rapporto di filiazione tra l’autore stesso e la prole convivente25. Deve essere considerato, infatti, che l’instaurazione di una convivenza con persona a sua volta genitore comporta spesso l’accettazione di quel ruolo di c.d. “genitorialità sociale”, che non può essere trascurato nella prospettiva della necessaria tutela della prole.

Vi è, infine, l’ipotesi della convivenza che includa la presenza di figli di entrambi i conviventi. Non v’è dubbio che, in tale situazio-ne, occorra tutelare l’interesse della prole (o dei figli maggiorenni) al mantenimento dell’ambiente familiare in cui si svolge la sua esi-stenza, specie in presenza di condotte lesive della propria integrità o di quella dell’altro genitore, né rileva in alcun modo il fatto che i genitori non abbiano contratto matrimonio, come è dimostrato – a tacer d’altro – dalla recente riforma che ha espunto ogni residua forma di discriminazione tra figli a seconda della sussistenza o no del legame familiare tra i genitori (legge n. 219/12).

Allorché, dunque, o il convivente o il figlio sia vittima dell’a-buso commesso dall’altro convivente-genitore, si potrà adire il giudice per domandare l’allontanamento dalla casa familiare dell’autore dell’abuso ai sensi dell’art. 342-ter c.c., a prescindere dalla titolarità del diritto reale o personale sul bene immobile.

Il fondamento normativo del potere di estromissione del con-vivente violento risiede nell’art. 315-bis c.c., che attribuisce al figlio il diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, indipendentemente dalla presenza di una famiglia fondata o no sul vincolo matrimoniale

La presenza della prole, inoltre, giustifica pienamente le finalità preventive dell’ordine di protezione rispetto alla di-sgregazione della convivenza more uxorio. Il recupero, in tal caso, dell’unità della convivenza risponde all’interesse dei figli a conservare la contemporanea presenza nella vita familiare della doppia figura genitoriale, in linea con l’esigenza di un equilibrato sviluppo educativo della persona.

8. Assegno di mantenimento a carico dell’autore degli abusi

In caso di allontanamento dell’autore dell’abuso, quest’ulti-mo può essere obbligato al versamento di un contributo di mantenimento in favore del nucleo “familiare” ove si trova la vittima degli abusi.

25 In tal senso, non appare condivisibile la decisione della Suprema Corte, che ha negato l’applicazione dell’istituto dell’assegnazione della casa famiglia nella fattispecie della famiglia ricomposta: Cass., 2 ottobre 2007 n. 20688, in Giust. civ., 2008, 9, 1955.

Una parte della dottrina26 aveva sostenuto, ritenendo la sussi-stenza di un obbligo di mantenimento tra conviventi non coniu-gati in presenza di abusi familiari, si sarebbe dovuta logicamente e giuridicamente ammettere tout court l’obbligo di mantenimen-to tra conviventi. La tesi – pur assai discutibile nel precedente assetto normativo – appare comunque non più riproponibile in seguito alla legge n. 76/2016, che ha confermato l’inesistenza di un obbligo legale di mantenimento tra conviventi.

Tuttavia, la medesima legge prevede che “in caso di cessa-zione della convivenza di fatto, il giudice stabilisce il diritto del convivente di ricevere dall’altro convivente e gli alimenti qualora versi in stato di bisogno e non sia in grado di provve-dere al proprio mantenimento” (comma 65). Poiché l’abuso familiare costituisce una modalità (sia pure quella più incivile e antigiuridica) di cessazione della convivenza, deve ritener-si che l’obbligo di corresponsione degli alimenti possa essere sancito anche dal giudice investito del ricorso ex artt. 342-bis-342-ter c.c. L’assegno alimentare costituirà, in tal caso, il con-tenuto dell’ordine di protezione di natura economica nell’ipo-tesi di convivenza senza figli, e pertanto, in assenza di figli, in caso di famiglia fondata sul matrimonio l’assegno dovrà essere determinato secondo il criterio previsto in caso di separazione (art. 156 c.c.), mentre, in presenza di convivenza non matri-moniale l’importo dovrà essere commisurato in conformità al disposto dell’art. 438 c.c.

Nel caso di coniugi o conviventi con figli, l’assegno dovrà essere quantificato secondo gli ordinari criteri previsti in giu-risprudenza in attuazione degli artt. 147 e 315-bis c.c.

Il legislatore, al comma 2 dell’art. 342-ter c.c., ha previsto che il giudice fissi “modalità e termini del versamento e pre-scriva, se del caso, che la somma sia versata direttamente all’a-vente diritto dal datore di lavoro dell’obbligato, detraendola dalla retribuzione ad esso spettante”. Tale previsione è stata oggetto in dottrina di critiche27 perché, a differenza della disciplina in tema di separazione e divorzio, la disposizione del comma 2 prevede, a garanzia del pagamento dell’assegno periodico, la sola misura della distrazione dei crediti da la-voro; il che riduce notevolmente le forme di tutela cautelare esperibile, poiché esclude la prestazione obbligata di garanzie reali o personali, il sequestro, la distrazione di altri crediti non derivanti dall’attività lavorativa. Una siffatta disparità di trattamento appare effettivamente di dubbia coerenza costitu-zionale posto che la crisi della famiglia determinata dalla vio-lenza domestica impone l’affermazione del medesimo livello di tutela garantito in caso di separazione e divorzio.

La giurisprudenza28 ha affermato altresì il potere del giu-dice di disporre le adeguate cautele per assicurare anche alla persona allontanata, se non autosufficiente, il mantenimento. È ciò che accade, in particolare, nel caso in cui la persona allontanata sia il figlio, rispetto al quale i genitori conservano l’obbligo di mantenimento e – come avvenuto nel caso con-creto – la prosecuzione degli studi universitari.

26 Murgo, La misura patrimoniale dell’assegno, in Gli abusi familiari (a cura di palaDini), cit., 205.

27 cianci, op. cit., 191.28 Trib. Messina 24 settembre 2005 (in Dir. giust. 2006, 3, 32, con nota di

cascone), secondo cui “per il figlio stressato che rende invivibile la vita familiare può scattare l’allontanamento assistito. Cioè, ai fini di una pacifica convivenza domestica al ragazzo o alla ragazza viene ordinato di andare a vivere altrove, fermo restando che i genitori si fanno carico di tutto, mantenimento e spese universitarie comprese”.

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DOSSIER La violenza nelle relazioni familiari

9. La lacuna normativa in punto di “affidamento della prole”

Alla luce dell’analisi fin qui svolta, non può non rilevarsi la particolare analogia tra le misure sopra descritte e quelle so-litamente adottate nei procedimenti di separazione, divorzio o cessazione della convivenza more uxorio, ove l’assegnazione della casa familiare e l’attribuzione del contributo di manteni-mento rappresentano frequentemente l’oggetto di principale contesa tra i genitori. Nello stesso tempo, tuttavia, tale analo-gia contrasta con la manifesta lacuna legislativa concernente le modalità di frequentazione dei figli da parte del genitore al quale sia stato ordinato l’allontanamento dalla casa familiare.

Appare difficile sostenere, infatti, che – nonostante la gravità della condotta dell’abuso – il Giudice non sia chiamato, in sede di adozione degli ordini di protezione, a riconoscere e garantire il diritto del minore a “mantenere un rapporto equilibrato e con-tinuativo con ciascuno dei genitori], di ricevere cura, educazio-ne, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale” (art. 337-ter, 1° comma, c.c.). Sarebbe stato assai opportuno, pertanto, che il legislatore, nel disciplinare gli ordini di protezione contro gli abusi familiari, avesse previsto il potere-dovere del giudice di adottare il provvedimento di af-fidamento della prole e di regolamentazione della (eventuale) frequentazione tra il genitore allontanato e i figli minori.

In mancanza di una previsione legislativa in tal senso, è opportuno che l’applicazione giurisprudenziale si muova pa-rimenti nel senso della fissazione di regole per disciplinare le modalità dell’auspicabile ripristino della convivenza tra il genitore-allontanato e il figlio minore che permanga nella casa familiare.

10. Il divieto di frequentazione di determinati luoghi

Il giudice, con l’ordine di cessazione della condotta e di al-lontanamento dalla casa familiare, può prescrivere all’auto-re dell’abuso, ove occorra, il divieto di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati da chi abbia richiesto la misura protettiva, come, ad esempio, il luogo di lavoro, il domicilio della famiglia d’origine o di altri prossimi congiunti, il luogo di istruzione dei figli della coppia. La misura è finalizzata ad evitare ogni occasione di contatto fisico e di frequentazione tra l’autore dell’abuso e le sue vittime o i familiari di queste ultime, in modo da garantire l’adeguata protezione e preveni-re la reiterazione di condotte moleste o violente.

L’elenco dei luoghi che il giudice può inibire è meramente esemplificativo e la legge stessa fa salvo il caso in cui l’autore degli abusi debba frequentare i medesimi luoghi per esigenze lavorative, salva la necessità, in tal caso, di adottare cautele a contenuto atipico per proteggere la vittima.

È stato opportunamente sottolineato che, poiché la misura incide su libertà costituzionalmente tutelate (artt. 13 e 16 Cost.), il provvedimento dovrà indicare in maniera specifica – a pena di nullità o, comunque, di inefficacia della misura – i luoghi oggetto del divieto di frequentazione, anche allo scopo di consentire il controllo dell’effettivo rispetto delle prescrizioni29.

29 In questo senso, Cass. pen. 8 luglio 2011 n. 26819, che, pur in sede di applicazione della corrispondente previsione penale dell’art. 282-bis c.p.p. detta

11. Estinzione delle misure

Le misure di protezione contro gli abusi familiari perdono ef-ficacia nelle seguenti ipotesi.

Termine massimo di efficaciaGli ordini di protezione sono strutturalmente temporanei e la legge prevede che il giudice, col provvedimento di ado-zione, ne stabilisca anche la durata, la quale, in seguito alla legge n. 38/09, non può essere superiore a un anno a far data dal momento di effettiva esecuzione (art. 342-ter, 3° comma, c.p.c.). Secondo la giurisprudenza, la mancata indicazione del termine di durata deve intendersi come implicita previsione del massimo stabilito dall’art. 343-ter c.p.c.30.

Alla scadenza, il giudice, su istanza di parte, può proroga-re la durata dell’ordine di protezione, purché sussistano di “gravi motivi” e per il tempo “strettamente necessario”. Con riferimento ai gravi motivi, è stata opportunamente sostenu-to31 che si impone un’interpretazione non particolarmente rigorosa, “nel senso di riconoscere rilevanza anche a fatti e comportamenti che, pur senza tradursi direttamente in nuo-vi episodi di violenza, tuttavia siano tali, tenuto conto delle contingenze del caso concreto e in particolare della situazio-ne di conflitto venutasi a determinare, da generare ulteriori occasioni di contrasto ed esporre nuovamente a pregiudizio la persona protetta”.

Per sopravvenuto procedimento di separazioneL’art. 8, 2° comma, legge n. 154/01 prevede che “L’ordine di protezione adottato ai sensi degli artt. 2 e 3 perde efficacia qualora sia successivamente pronunciata, nel procedimento di separazione personale o di scioglimento o cessazione de-gli effetti civili del matrimonio promosso dal coniuge istante o nei suoi confronti, l’ordinanza contenente provvedimenti temporanei ed urgenti prevista, rispettivamente, dall’art. 708 c.p.c. e dall’art. 4, l. 1 dicembre 1970, n. 898 e successive modificazioni”. Sebbene, infatti, gli ordini di protezione sia-no tendenzialmente funzionali al “recupero” dell’unità della famiglia, in concreto la consumazione degli abusi familiari costituisce una condotta con elevata potenzialità di definitiva dissoluzione del legame affettivo e della comunione di vita tra i familiari conviventi, al punto che la richiesta delle mi-sure protettive si risolve spesso in un prologo alla decisione di porre fine alla convivenza. Del tutto coerentemente, per-tanto, il legislatore ha previsto che l’ordinanza presidenziale di adozione dei provvedimenti provvisori costituisca causa di estinzione dell’efficacia degli ordini di protezione, salva tutta-via la possibilità che il giudice della separazione o del divor-zio adotti provvedimenti del medesimo contenuto di quelli dell’art. 343-ter c.c. (art. 8, 2° comma, legge n. 154/01).

regole opportunamente estensibili al contenuto della misura di protezione previ-sta dall’art. 342-ter c.c. In senso contrario, invece, Trib. Genova 26 luglio 2011, in www.avvocatidifamiglia.net che si limita a sancire il “divieto di allontanarsi dal domicilio coniugale e di non avvicinarsi ad altri luoghi abitualmente frequentati dal coniuge e dai figli”.

30 Trib. Teramo 18 agosto 2006 in P.Q.M. 2006, 2, 3, 78.31 onDei, Gli ordini di protezione: problematiche sostanziali e processuali con

cenni comparatistici, Relazione all’incontro di studio organizzato dal C.S.M., Uf-ficio della formazione decentrata presso la Corte di Appello di Brescia, 11 luglio 2012.

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La violenza nelle relazioni familiari DOSSIER

In caso di cessazione della convivenza more uxorioSi pone, tuttavia, il problema di quando si verifichi l’estin-zione degli ordini di protezione nel caso di cessazione della convivenza more uxorio, nella quale non sussiste l’ordinanza presidenziale. Sul punto, la giurisprudenza32 ha sancito che, in analogia all’art. 8, 2° comma, legge n. 154/01, l’obbligo di versamento dell’assegno di mantenimento, così come stabilito con il decreto emesso ai sensi degli artt. 342-bis e 342-ter c.c., permane sino a quando non sia eventualmente adottato, pri-ma della scadenza del termine di efficacia, un diverso provve-dimento del giudice competente in materia di affidamento e di mantenimento. Pertanto – anche alla luce delle modifiche introdotte dalla legge n. 219/12 – deve ritenersi che il giudi-ce ordinario possa pronunciare, durante il procedimento o contestualmente al provvedimento di affidamento della prole (nonché all’assegnazione della casa familiare e al contributo per il mantenimento), gli ordini di protezione di cui agli artt. 342-bis e 342-ter c.c.

Per circostanze sopravvenuteOccorre chiedersi, poi, se – in caso di convivenza more uxo-rio – gli ordini di protezione possano perdere automaticamente efficacia prima che sia decorso il termine fissato dal giudice. L’art. 343-ter non prevede espressamente la revocabilità del provvedimento e neppure la disposizione processuale, intro-dotta dalla legge n. 154 del 2001 (art. 736-bis), contiene tale indicazione. Tuttavia, tale ultima norma si chiude col rinvio, per quanto non previsto, agli artt. 737 ss. c.p.c., riguardanti le disposizioni comuni ai procedimenti in camera di consiglio e, tra queste norme, l’art. 742 c.p.c. stabilisce che i decreti possono essere in ogni tempo modificati o revocati. Deve ammettersi, quin-di, che il convivente coattivamente allontanato dal luogo della convivenza possa adire il giudice, manifestando il proposito di cessare definitivamente la relazione more uxorio e chiedendo, conseguentemente, la revoca dei provvedimenti emessi.

12. Profili processuali

Il procedimento per ottenere gli ordini di protezione contro gli abusi familiari si instaura con ricorso avanti al tribunale, che provvede in camera di consiglio e in composizione mono-cratica (art. 736-bis c.p.c.)33. Il procedimento è caratterizzato da informalità, come risulta dalla possibilità che l’istanza sia presentata anche dalla parte personalmente e dal potere del giudice di procedere all’istruzione “nel modo che ritiene più opportuno”. Come nel caso di procedimenti cautelari, anche gli ordini di protezione possono essere adottati inaudita altera parte, salvo conferma, modifica o revoca del provvedimento con ordinanza successiva alla convocazione delle parti.

Il giudice, ove lo ritenga opportuno, può disporre l’inter-vento dei servizi sociali del territorio o di un centro di media-zione familiare, nonché delle associazioni che abbiano come fine statutario il sostegno e l’accoglienza di donne e minori o di altri soggetti vittime di abusi e maltrattamenti (art. 342-ter, 2° comma, c.c.)34.

32 Trib. Piacenza 23 ottobre 2008, in Foro Pad., 2010, 2, I, 430, con nota di DanoVi.

33 Per gli aspetti processuali, amplius D’alessanDro, Aspetti processuali, in Gli abusi familiari (a cura di Paladini), cit., 223 ss.

34 conForti, Il contenuto, in Gli abusi familiari (a cura di Paladini), cit., 170 ss.

Allo scopo di disporre e determinare l’assegno periodico a favore delle persone conviventi, il giudice può disporre, al-tresì, a mezzo della polizia tributaria, indagini sui redditi, sul tenore di vita e sul patrimonio personale e comune delle parti.

Avverso il provvedimento del giudice monocratico – che, in ogni caso, è provvisoriamente esecutivo – è proponibile il reclamo avanti al tribunale in composizione collegiale, senza la partecipazione del giudice che abbia emesso il provvedi-mento impugnato. Secondo quanto ritenuto dalla Suprema Corte35, il decreto emesso dal tribunale in sede di reclamo non è impugnabile per cassazione né con ricorso ordinario (stante l’espressa previsione di non impugnabilità contenuta nell’art. 736-bis c.p.c.), né con ricorso straordinario ai sensi dell’art. 111 Cost., stante il difetto dei requisiti di decisorietà e definitività del provvedimento.

13. L’ordine di protezione europeo e il riconoscimento reciproco delle misure di protezione

L’introduzione del c.d. “ordine di protezione europeo”36 e l’av-vento del sistema di riconoscimento reciproco delle misure civili di protezione37 nell’ordinamento italiano arricchiscono sensibilmente il quadro normativo della tutela giuridica della persona contro gli abusi familiari.

La Direttiva dell’Unione europea38, infatti, si propone l’espres-so obiettivo di “garantire che la protezione offerta a una perso-na fisica in uno Stato membro sia mantenuta […] in ciascun altro Stato membro”, e “che l’esercizio legittimo del diritto dei cittadini dell’Unione di circolare e risiedere liberamente nel ter-ritorio degli Stati membri […] non si traduca in una perdita di protezione” (Sesto Considerando della Direttiva). Lo strumento predisposto a tal fine è il reciproco riconoscimento delle misure civili e penali, che possono oramai “circolare” liberamente con il loro beneficiario nello spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia, senza alcuna limitazione dei propri effetti.

L’individuazione dei potenziali destinatari del regolamento “eurounitario” pone già in luce un elemento affatto trascu-rabile nel quadro complessivo della riforma, ossia la rile-vanza, ai fini della sua applicazione, di qualsiasi “relazion(e) strett(a)” fra la “persona protetta” e chi “determina il rischio” di “violenze fisiche, molestie, aggressioni sessuali, stalking, intimidazioni o altre forme indirette di coercizione” (sesto considerando). Vi rientrano, quindi, anche le misure di pro-tezione “riguardanti coppie non unite da matrimonio, partner dello stesso sesso o vicini di casa”39, mentre il riconoscimento

35 Cass. 15 gennaio 2007, n. 625; Cass. 5 gennaio 2005, n. 208.36 Decreto legislativo 11 febbraio 2015, n. 9, Attuazione della direttiva

2011/99/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011 sull’ordine di protezione europeo, in G.U. n. 44 del 23 febbraio 2015. In mate-ria, sia consentito rinviare a M. palaDini, Misure civili di protezione della persona e riconoscimento delle decisioni, in Gli abusi familiari in Europa, a cura di Belluta, Milano, 2016, 155-166.

37 Regolamento (UE) n. 606/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 giugno 2013 relativo al riconoscimento reciproco delle misure di prote-zione in materia civile, in G.U.U.E. n. l. 181 del 29 giugno 2013 (http://eur-lex.europa.eu/), entrato in vigore il 10 gennaio 2015.

38 Direttiva 2011/99/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 di-cembre 2011 sull’ordine di protezione europeo, in G.U.U.E. n. l. 338 del 21 dicembre 2011(http://eur-lex.europa.eu/).

39 Art. 1 (“Campo di applicazione”) della Proposta di Regolamento del Parla-mento europeo e del Consiglio relativo al riconoscimento reciproco delle misure di protezione in materia civile, Bruxelles, 18.5.2011, COM(2011) 276 definiti-vo, 2011/0130 (COD) (http://eur-lex.europa.eu/).

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DOSSIER La violenza nelle relazioni familiari

e l’esecuzione delle decisioni inerenti al rapporto coniugale e alla responsabilità genitoriale dovrebbero continuare a essere disciplinate dal regolamento c.d. Bruxelles II bis40 (undicesi-mo considerando)41.

L’irrilevanza tanto della coabitazione quanto del legame familiare42 è coerente con l’ampia definizione di “misura di protezione” contenuta nell’art. 3 par. 1, n. 1, reg., comprensi-va di “qualsiasi decisione, a prescindere dalla denominazione usata”, emanata dalla competente autorità di uno Stato mem-bro nei confronti di “una persona che determina il rischio” per l’integrità fisica o psichica di un’altra persona, al fine di proteggere questa seconda. Oltre l’elemento teleologico, per la configurabilità di una misura (civile o amministrativa) di protezione rileva il contenuto precettivo del provvedimento, che può avere ad oggetto:

a) il divieto d’ingresso “nel luogo in cui la persona protetta risiede o lavora o che frequenta o in cui soggiorna re-golarmente” ovvero la sua limitazione. Nel divieto di ingresso possono ritenersi impliciti sia l’allontanamen-to della casa familiare del coniuge o del convivente sia l’ingiunzione di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dall’istante (art. 342-ter comma 1 c.c.);

b) il divieto di contattarla o le condizioni a cui ciò può av-venire;

c) il divieto o la regolamentazione dell’avvicinamento alla persona protetta entro un perimetro definito43. Nell’or-dinamento italiano, l’attuazione di tale misura potrebbe coinvolgere, se ritenuto opportuno dal giudice, i servizi sociali del territorio o un centro di mediazione familiare ovvero le associazioni di sostegno e accoglienza di donne e minori o di altri soggetti vittime di abusi e maltrattati (art. 342-ter comma 2 c.c.).

Da quanto precede si desume che il pagamento periodico di un assegno ai conviventi della persona determinante il rischio

40 Regolamento (CE) n. 2201/2003 del Consiglio, del 27 novembre 2003, relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, che abroga il regolamento (CE) n. 1347/2000, in G.U.C.E. n. l. 338 del 23 dicembre 2003 (http://eur-lex.europa.eu/). Può, inoltre, escludersi, alla luce del principio di specialità, che siano applicabili le disposizioni del regolamento c.d. Bruxelles I bis sul riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commer-ciale. La proposta di regolamento della Commissione specificava direttamente (sesto considerando) che, per “le misure rientranti nel suo campo di applicazio-ne”, il testo in esame avrebbe prevalso sul reg. (CE) n. 44/2001 del Consiglio, del 22 dicembre 2000, sostituito, dal 10 gennaio 2015, con il reg. (UE) n. 1215 del 2012. Analoghe indicazioni sono desumibili dal trentaquattresimo conside-rando della direttiva 2011/99/UE, secondo cui il riconoscimento e l’esecuzione di una decisione concernente una misura di protezione, che ricada nella sfera di applicabilità dei regolamenti c.d. Bruxelles I bis e II bis o della convenzione dell’Aia del 1996, “dovrebbe essere perseguito conformemente alle disposizioni dello strumento giuridico pertinente”.

41 Potrebbe essere il caso della decisione di decadenza, ossia di “revoca totale o parziale della responsabilità genitoriale” (art. 1 par. 1, lett. b, reg. n. 2201 del 2003), per violazione dei doveri inerenti o abuso dei relativi poteri (art. 330 c.c.). Quanto ai profili sostanziali del rapporto fra ordini di protezione e separazione personale dei coniugi sia consentito il rinvio a Gli ordini di protezione contro gli abusi familiari: misure “anticipatorie” dei provvedimenti provvisori nella separazione personale?, in Fam Pers. Succ., 2010, 566 s.

42 L’esigenza di un puntuale riscontro del requisito della coabitazione per la pronuncia di un ordine di protezione ex art. 342-ter c.c. è sottolineata da renDa, voce Abusi familiari (diritto civile): a) profili soggettivi e oggettivi, in Annali Enc. dir., vol. VII, Milano, 2014, 1, che critica “l’eccessiva disinvoltura della giurispruden-za nell’applicare la disciplina a semplici relazioni interpersonali”.

43 L’ordine di protezione europeo ha analogo contenuto (art. 5 dir.), che l’art. 9, d.lgs. n. 9 del 2015 ha ricondotto alle misure cautelari di cui agli artt. 282-bis e 282-ter c.p.p.

non costituisce una “misura di protezione” ex art. 1 par. 1° reg. n. 606 del 2013. Il riconoscimento e l’esecuzione del provve-dimento patrimoniale ricadono, quindi, sotto la disciplina del regolamento n. 4 del 2009 sulle obbligazioni alimentari44. Tale regolamento, infatti, si applica a “tutte le obbligazioni alimen-tari derivanti da rapporti di famiglia, di parentela, di matrimo-nio o di affinità” (undicesimo considerando).

Inoltre, la “formulazione sopranazionale” del concetto di “obbligazione alimentare” elaborata dalla Corte di Giustizia, essendo “autonoma” dalle “categorie proprie delle legislazioni nazionali”, “va interpretata in senso ampio”45 e, così intesa, è assolutamente compatibile con la misura dell’assegno perio-dico di cui all’art. 342-ter comma 2 c.c.

14. Il rapporto tra tutela civile e penale in Europa

La Direttiva 2011/99/UE, cronologicamente antecedente al regolamento n. 606 del 2013, adotta l’impostazione binaria già seguita dal codice civile dopo la novella del 2003, de-finendo la “misura di protezione” come “una decisione in materia penale” nei confronti della “persona che determina il rischio” e contro “un atto di rilevanza penale”, che può porre “in pericolo la vita, l’integrità fisica o psichica, la dignità, la libertà personale o l’integrità sessuale” della persona protetta (art. 2 par. 1, lett. b, dir.). Da questa definizione si desume, in negativo, l’esclusione delle misure civili dall’ambito di ap-plicazione della Direttiva, esclusione testualmente affermata nel decimo considerando, ove si precisa, inoltre, l’irrilevanza della “natura penale, amministrativa o civile dell’autorità” che emana il provvedimento ai fini della sua rituale adozione.

La scelta di limitare l’ordine europeo di protezione a com-portamenti penalmente illeciti si pone in continuità con la risoluzione del Consiglio concernente il rafforzamento dei diritti e della tutela delle vittime, in particolare nei procedi-menti penali46, allorquando si affermava che il sistema di rico-noscimento reciproco delle decisioni penale avrebbe dovuto “essere integrat[o] da un adeguato meccanismo riguardante le misure adottate in materia civile” (quinto considerando47).

Il meccanismo auspicato è stato introdotto dal regolamento n. 606 del 201348 e mira ad assicurare alle vittime di atti persecutori, violenza o molestie, che abbiano beneficiato di

44 Regolamento (CE) n. 4/2009 del Consiglio del 18 dicembre 2008 relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e alla cooperazione in materia di obbligazioni alimentari, in G.U.C.E. n. l. 7 del 10 gennaio 2009 (http://eur-lex.europa.eu/).

45 Cass. civ., SS. UU., ord. 1° ottobre 2009 (ud. 22 settembre 2009), che ha qualificato come “obbligazione alimentare” il mantenimento del coniuge, dichia-rando la giurisdizione italiana per la domanda di corresponsione degli arretrati dell’assegno, proposta da una cittadina italiana nei confronti della nuova moglie del suo ex marito, trasferitosi negli Stati Uniti d’America e ivi deceduto.

46 Risoluzione del Consiglio del 10 giugno 2011 relativa a una tabella di marcia per il rafforzamento dei diritti e della tutela delle vittime, in particolare nei procedimenti penali, in G.U.U.E. n. C 187 del 28 giugno 2011 (http://eur-lex.europa.eu/).

47 La scelta di questa tecnica normativa parallela sembra motivata dalla consapevolezza delle diverse “tradizioni giuridiche degli Stati membri” e dalla volontà di non interferire con i sistemi nazionali, di cui non si richiede alcuna modifica per l’adozione delle misure di protezione (ottavo considerando della direttiva e dodicesimo considerando del regolamento). Cfr. Moioli, Le nuove mi-sure “europee” di protezione delle vittime di reato in materia penale e civile, in Eurojus, 27 febbraio 2015, 1 (http://www.eurojus.it/).

48 Per una disamina dell’iniziativa legislativa e della originaria proposta di regolamento si veda silVestri, La proposta di regolamento europeo in materia di riconoscimento delle misure di protezione, in Famiglia e diritto, 2012, 1062 s.

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La violenza nelle relazioni familiari DOSSIER

misure di protezione in uno Stato membro, forme di tutela equivalente in un altro Stato dell’Unione, senza che sia neces-sario instaurare un procedimento intermedio di exequatur49 (art. 4 reg.). Per le misure penali, al contrario, la Direttiva stabilisce che oggetto di esecuzione sia uno specifico “ordine di protezione europeo”, la cui concessione presuppone la pre-via adozione, in favore del richiedente, di un provvedimento equivalente nello Stato membro di origine (art. 6 par. 2 e 3 dir.; art. 5, d.lgs. n. 9 del 2015).

Il rapporto fra tutela civile e penale è, quindi, di autonomia e non di antinomia; l’ottavo considerando ha cura di precisare in proposito che il Regolamento integra la Direttiva 2012/29/UE, concernente i diritti, l’assistenza e la protezione delle vit-time di reato50 e che l’applicazione di una misura civile “non osta necessariamente” alla sua qualificazione come ““vittima” ai sensi di tale direttiva”.

Nella Direttiva 2011/99/UE si afferma, inoltre, che, essendo opportuna una “ampia flessibilità alle modalità di cooperazio-ne tra gli Stati membri”, […], l’autorità competente dello Sta-to di esecuzione non è tenuta ad adottare” necessariamente la stessa misura oggetto della domanda, ma dispone di un mar-gine di discrezionalità nella scelta di una misura “consona alla propria legislazione nazionale” e idonea ad “assicurare una protezione costante alla persona” (ventesimo considerando).

In questo modo, le istituzioni dell’Unione Europea mirano a favorire, all’interno dello spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia, l’attuazione della maggior parte, se non della tota-lità, delle misure di protezione, civili e penali, adottate dagli Stati membri, coerentemente con il Programma di Stoccolma e il suo piano di attuazione51.

L’irrilevanza, ai fini del riconoscimento reciproco, dell’il-liceità penale della condotta della persona che determina il rischio, consente, infatti, alla misura protettiva di spiegare ef-fetti indipendentemente dalla pendenza di un procedimento penale. Ne segue che il beneficiario di un ordine di protezione contro gli abusi familiari, concesso da un giudice italiano ex artt. 342-bis e 342-ter c.c., può ora richiedere un certificato, la cui produzione nella sede competente dell’autorità di un diverso Stato membro estenderà l’efficacia della misura nel territorio di tale Stato.

Il tredicesimo considerando prevede che, “per tener conto dei vari tipi di autorità che dispongono misure di protezione in materia civile negli Stati membri, e diversamente da al-

49 Il principio del riconoscimento automatico delle decisioni è divenuto oramai una caratteristica del diritto internazionale privato di fonte “eurouni-taria”. È sufficiente richiamare, per tutti, il Regolamento c.d. Bruxelles I-bis, n. 1215/2012 del 12 dicembre 2012, in G.U.U.E. n. l. 351 del 20 dicembre 2012 (http://eur-lex.europa.eu/), che ha sostituito, dal 10 gennaio 2015, il Regola-mento (CE) n. 44/2001 in tema di competenza giurisdizionale, riconoscimento ed esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, abolendone l’exe-quatur (art. 39).

50 Dir. 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2012 che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI, in G.U.U.E. n. l. 315 del 14 novembre 2012 (http://eur-lex.europa.eu/). In tema v. Pisapia, La protezione europea garantita alle vittime della violenza domestica, in Cass. pen., 2014, 1866.

51 Consiglio Europeo, Programma di Stoccolma, Un’Europa aperta e sicura al servizio e a tutela dei cittadini (G.U.U.E. n. C 115 del 4 maggio 2010) e Comunica-zione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato eco-nomico e sociale europeo e al Comitato delle regioni del 20 aprile 2010 - Creare uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia per i cittadini europei - Piano d’azione per l’attuazione del programma di Stoccolma [COM (2010) 171 definitivo] (http://eur-lex.europa.eu/).

tri settori della cooperazione giudiziaria, il […] regolamento dovrebbe essere applicato” anche “alle decisioni […] delle autorità amministrative”, a condizione che ne siano garantite l’imparzialità e il diritto delle parti ad un loro controllo giu-risdizionale. La disciplina “eurounitaria” è quindi applicabile anche all’ammonimento formulato del questore nei confronti dell’autore di stalking, quando non sia proposta querela (art. 8 del decreto legge 23 febbraio 2009, n. 1152), o dell’autore di delitti di percosse e lesioni personali aggravate, consumate o tentate in ambito domestico, in caso di segnalazione anonima alle forze dell’ordine (art. 3 del decreto legge 14 agosto 2013, n. 9353). Cadono, in tal modo, le incertezze sull’applicabili-tà della Direttiva 2011/99/UE a tali provvedimenti, che può ritenersi definitiva mente esclusa alla luce della loro natura extrapenale54.

15. Il certificato europeo per l’esecuzione delle mi-sure di protezione

Lo strumento di semplificazione di maggiore rilevanza intro-dotto dal Regolamento è costituito dal “certificato […] stan-dard multilingue” (art. 5 reg.), che contiene le informazioni del provvedimento di protezione, emanato in uno Stato mem-bro, essenziali al suo riconoscimento e alla sua esecuzione in un diverso Stato dell’Unione europea.

La durata del riconoscimento coincide con il termine di ef-ficacia della misura di protezione, a meno che questa abbia durata indefinita o superiore a dodici mesi: in tal caso, gli effetti del riconoscimento cessano decorsi dodici mesi dal momento del rilascio del certificato (art. 4 par. 4 reg.)55. Il Regolamento non contempla la possibilità di una proroga, al contrario di quanto prevede l’art. 342-ter comma 3 c.c. per l’ordine di protezione, quando vi siano “gravi motivi e per il tempo strettamente necessario”.

Di particolare interesse è la previsione, in favore dell’au-torità richiesta di dare esecuzione alla misura, del potere di “adegua[rne]” gli “elementi fattuali”, “ove e per quanto neces-sario” alla sua “applicazione” (art. 11 reg.). Il testo della nor-ma, invero, è alquanto anodino, essendo difficile compren-dere come il giudice (o la diversa autorità competente) possa modificare i profili di fatto della domanda. Più chiaro e di indubbio valore esegetico è la formulazione originaria dell’ar-ticolo, contenuta nella proposta dalla Commissione europea: la disciplina dell’“adattamento” – come definiva l’istituto l’art. 8 della proposta – opera nel caso in cui la misura richiesta sia “ignota al diritto nazionale del secondo Stato membro” e

52 D.l. 23 febbraio 2009, n. 11, Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori, in G.U. n. 45 del 24 febbraio 2009, convertito, con modificazioni, dalla l. 23 aprile 2009, n. 38, in G.U. n. 95 del 24 aprile 2009.

53 D.l. 14 agosto 2013, n. 93, Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commis-sariamento delle province, in G.U. n. 191 del 16 agosto 2013, convertito con mo-dificazioni dalla l. 15 ottobre 2013, n. 119, in G.U. n. 242 del 15 ottobre 2013.

54 Cfr. Minnella, Riconoscimento reciproco delle misure di protezione in materia civile, in Diritto e Giustizia, 13 gennaio 2015 (http://www.dirittoegiustizia.it/).

55 Questo limite temporale, assente in altri regolamenti dell’Unione europea nell’ambito della cooperazione giudiziaria civile, è riconducibile sia alle con-dizioni di emergenza che caratterizzano l’applicazione delle misure protettive sia alle notevoli diversità tra gli Stati membri del loro termine di durata. Cfr. Moioli, Le nuove misure “europee” di protezione delle vittime di reato in materia penale e civile, cit., 4, che coglie in ciò una potenziale vulnus alla tutela della persona protetta.

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DOSSIER La violenza nelle relazioni familiari

consente all’autorità dello Stato di esecuzione di “adattarla, per quanto possibile, a una misura del proprio diritto interno che abbia efficacia equivalente e persegua obiettivi e interessi analoghi”56.

L’esercizio di questo potere conformativo-sostitutivo è su-scettibile di sindacato giurisdizionale, su ricorso, privo di ef-ficacia sospensiva, della parte interessata ed in conformità al diritto processuale di ciascuno Stato (art. 11 par. 5 reg.).

L’interpretazione “storica” dell’art. 11 reg. è suffragata da un argomento sistematico: l’art. 13 stabilisce, infatti, che “il rico-noscimento della misura di protezione non può essere negato a motivo del fatto che il diritto dello Stato membro richiesto non prevede per i medesimi fatti un’analoga misura” (terzo paragrafo).

Ai fini del rilascio del certificato, la “persona che determina il rischio” deve aver avuto la possibilità di esercitare il proprio diritto di difesa nel procedimento conclusosi con l’emana-zione della misura protettiva (art. 6 reg.), ex ante o ex post, a seconda che il provvedimento sia pronunciato in contrad-dittorio o inaudita altera parte (art. 6 reg.)57, mentre non è necessario che questi abbia raggiunto una qualche stabilità, essendo sufficiente che la misura sia divenuta esecutiva nello Stato di origine (art. 4 par. 3 reg.).

Ove il certificato sia rilasciato in assenza di tale requisito o degli altri indicati all’art. 6 reg. cit.58, l’unica forma di con-trollo che il destinatario della misura sembra poter sollecitare è il mezzo di impugnazione previsto dal diritto dello Stato membro per la corrispondente misura di protezione59, es-

56 Uno studio sistematico dei possibili contenuti, che la misura di protezione applicata da un giudice italiano può avere, richiederebbe una riflessione a sé. Sia, quindi, consentito il rinvio alla nostra voce Abusi familiari (diritto civile), b) Contenuto dell’ordine di protezione, in Annali Enc. dir., vol. VII, Milano, 2014, 9 s.

57 Il differimento del contraddittorio è ammesso dal nostro codice di rito, in caso di “urgenza” (art. 736-bis comma 3 c.p.c.), e tale eventualità costituisce un unicum nell’ambito dei procedimento camerali: cfr. sessantini, in coMoglio, consolo, sassani, Vaccarella (diretto da), Commentario del codice di procedura civile, vol. VII, t. III, Torino, 2014, sub art. 736-bis, 219.

58 Ci si riferisce alla manifesta contrarietà della misura all’ordine pubblico (lett. a) e alla sua inconciliabilità con un provvedimento emesso o riconosciuto nello Stato membro richiesto (lett. b). Palmare è l’esiguità dei motivi di diniego in confronto alle ragioni che impediscono il rilascio dell’ordine di protezione europeo (art. 10 dir.).

59 Cfr. silVestri, La proposta di regolamento europeo in materia di riconoscimento delle misure di protezione, cit., 1065. Nel nostro ordinamento, come è noto, il decreto con cui il giudice adotta, conferma o modifica (nonché revoca) l’ordine di protezione è suscettibile di reclamo al tribunale in composizione collegiale (art. 736-bis comma 5 c.p.c.). Il decreto del tribunale non è impugnabile (art. 736-bis comma 5, ult. pt., c.p.c.), essendo privo dei requisiti della decisorietà e della definitività: cfr. Cass., 6 novembre 2009 (ud. 28 settembre 2009); Cass., 15 gennaio 2007 (ud. 21 novembre 2006). Contra Bianca, Diritto civile, 2, IV ed., Milano, 2005, 525, secondo cui l’incidenza del provvedimento sulla libertà della

sendo dal Regolamento espressamente escluso tanto il ricor-so contro il rilascio del certificato (art. 5 par. 2), quanto un riesame nel merito del provvedimento oggetto di esecuzione (art. 12).

In tal caso, se il giudice accoglie il gravame, disponendo la revoca o sospensione della misura ovvero la sospensione o la limitazione della sua efficacia esecutiva, rilascia un certificato attestante la decisione, cosicché l’interessato possa chiedere all’autorità competente nell’altro Stato membro la sospensio-ne o la revoca del riconoscimento e dell’esecuzione della mi-sura (art. 14 reg.).

Si può affermare, in conclusione, che il Regolamento n. 606 del 2013 sostituisce, nella materia degli ordini di protezione, la disciplina contenuta nella legge 31 maggio 1995, n. 21860 con norme di riconoscimento ed esecuzione, che indubbia-mente favoriscono la “circolazione” della misura protettiva nell’Unione europea: la reciprocità del riconoscimento, la creazione del “certificato standard” quale titolo per l’esecuzio-ne nello Stato richiesto e la sensibile riduzione dei motivi di diniego sono all’apparenza strumenti validi per l’esercizio e la difesa di molti dei diritti fondamentali proclamati dalla Carta di Nizza, come l’integrità fisica e psichica (art. 3), il rispetto della vita privata (art. 7) e la libertà di circolazione e soggior-no (art. 45).

La loro applicazione, tuttavia, presuppone che la persona bisognosa di protezione sia riuscita a chiedere protezione, mentre le indagini conoscitive condotte su scala europea ri-levano come, nella maggior parte dei casi, accada ancora il contrario, non instaurandosi alcun contatto tra l’autorità giu-diziaria e la vittima dell’abuso, spesso schermato proprio dal legame familiare61.

È necessario, quindi, che le iniziative dell’Unione Europea in subiecta materia per l’edificazione di un’“Europa dei dirit-ti” e “della giustizia”62, proseguano con la consapevolezza, da parte delle istituzioni, delle problematiche che precedono l’accesso delle vittime di violenza alla tutela dei loro diritti.

persona ne giustifica l’impugnazione con ricorso per cassazione per violazione di legge. Per un inquadramento della disciplina contenuta nel codice di rito si veda D’alessanDro, Profili processuali, in palaDini (a cura di), Gli abusi familiari, Padova, 2009, 223 s.

60 L. 31 maggio 1995, n. 218, Riforma del sistema italiano di diritto internazio-nale privato, in G.U. n. 128 del 3 giugno 1995, S.O. n. 68.

61 Si vedano, a titolo esemplificativo, i dati rilevati dall’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali (FRA) con una indagine su scala europea e consultabili all’indirizzo web http://fra.europa.eu/it.

62 Consiglio Europeo, Programma di Stoccolma, Un’Europa aperta e sicura al servizio e a tutela dei cittadini, cit.

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1. Introduzione: le fonti normative

In uno scenario in cui si diffonde sempre più la mobilità delle famiglie attraverso le frontiere, assume particolare rilevanza, in occasione delle crisi delle coppie, il fenomeno della sottra-zione dei minori da uno Stato all’altro1.

Le situazioni in cui tale fenomeno si estrinseca sono diverse, anche se si possono individuare due principali tipologie di sottrazione: da un lato, quella operata dalla madre (normal-mente convivente con la prole), per allontanarsi dal luogo ove la famiglia risiede per tornare nel proprio paese di origine anche (ma non necessariamente) per sfuggire a situazioni di pericolo o di violenza; dall’altro, quella posta in essere dal padre (di norma non convivente), che lamenti di essere osta-colato nella sua frequentazione con i figli minori2.

Si tratta di situazioni di notevole gravità, rispetto alle qua-li la normativa unilaterale degli Stati non può dare risposte efficienti: fuori da meccanismi multilaterali di cooperazione giudiziaria tra Stati diversi, infatti, il genitore che ha subito la sottrazione e che agisce nello Stato in cui è residente sconta le incertezze dell’esecuzione del relativo provvedimento nello Stato estero in cui il minore è stato portato o trattenuto. Ove, invece, si attivi direttamente nello Stato in cui si trova il mino-re, rischia di scontrarsi con atteggiamenti “protezionistici” dei propri cittadini da parte delle corti locali ed in ogni caso deve sostenere gli elevati costi di un’azione instaurata all’estero.

Il problema sta ricevendo risposte adeguate solo in epoca re-cente, grazie ad alcune normative internazionali multilaterali che hanno creato un efficiente sistema di cooperazione tra le

1 V., di recente, paton, The correct approach to the examination of the best in-terests of the child in abduction convention proceedings following the decision of the Supreme Court in Re E (children) (Abduction: custody appeal), in 8 Jour. priv. int. law, 2012, 547 ss. Le sottrazioni stanno aumentando anche nell’ambito dei rapporti tra gli Stati membri dell’Unione, come si evince dall’analisi compiuta da triMMings, Child abduction within the European Union, Oxford, 2013, 104.

2 L’esperienza applicativa della convenzione dell’Aja dimostra, peraltro, come, da una prima fase in cui il genitore che sottraeva la prole era soprattutto il padre non affidatario, si è giunti oggi ad una situazione in cui, per la grande maggioranza, gli adbuctors sono genitori affidatari, spesso le madri: v. silBerMan, The Hague Convention on child abduction and unilateral relocation by custodial pa-rents: a perspective from the United States and Europe, Abbott, Neulinger, Zarraga, in 63 Okla. law rev., 2011, 736. Il dato è confermato dall’esperienza dell’Auto-rità centrale italiana, alla quale si rivolgono, in ampia maggioranza, padri (oltre l’80%) che chiedono di fare rientrare minori illegittimamente portati all’estero dalle madri. Di recente v. paton, op. cit., 550; MceleaVy, Judicial communication and co-operation and the Hague convention on international child abduction, in Int. jour. proc, law, 2012, 40. Per un’analisi empirica triMMings, op. cit., passim. Da tale analisi, emerge che in più del 50% dei casi, il genitore che sottrae porta il figlio nel proprio Stato di origine (v. 79, 150 ss.).

corti di Stati diversi. La fonte normativa principale, come noto, è costituita dalla convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980 su taluni aspetti civili della sottrazione internazionale di minori, ratificata dall’Italia con la legge n. 64 del 15 gennaio 19943.

Le disposizioni della convenzione del 1980 sono rafforzate da quelle della convenzione dell’Aja del 1996 sulla tutela dei minori, entrata in vigore in Italia il 1° gennaio 20164.

Nell’ambito dell’Unione europea, inoltre, la materia trova una disciplina integrativa (e in parte modificativa) nel rego-lamento n. 2201 del 20035. La sottrazione internazionale di minori, in effetti, entra a pieno titolo nell’ambito della respon-sabilità genitoriale cui si applica la disciplina europea.

Da tale sovrapposizione di fonti, deriva, per l’Italia, la ne-cessità di coordinare le norme in materia di abduction della convenzione del 1980 e quelle del regolamento del 2003. In effetti, in base all’art. 59 del regolamento Bruxelles II bis, quest’ultimo, nei rapporti tra gli Stati membri, si sostituisce a tutte le normative convenzionali già in vigore tra tali Stati prima della sua entrata in vigore. Inoltre, ai sensi dell’art. 60, nei rapporti tra gli Stati che ne sono parte, il regolamento prevale anche su alcune importanti convenzioni multilaterali, nella misura in cui queste riguardino materie da esso disci-plinate, tra le quali appunto la convenzione dell’Aia del 25 ottobre 19806.

3 Si tratta di uno strumento normativo di grande successo, ratificato da un numero consistente di Stati, rispetto al quale esiste una bibliografia sterminata: mi limito a richiamare anton, The Hague convention on international child ab-duction, in Int. comp. law quar., 1981, 537; Bucher, L’enfant en droit international privé, Ginevra, 2003; carella, La convenzione dell’Aja del 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale dei minori, in Riv. dir. internaz. priv. proc., 1994, 777; Fiorini, Habitual residence and the newborn - A French perspective, in 61 Int. comp. law quar., 2012, 530; Kruger, International child abduction. The inadequa-cies of the law, Oxford, 2011; lena, Affidamento e custody quali presupposti per il rimpatrio del minore, tra convenzione de l’Aja e diritto interno, in Fam. dir., 2004, 190; salzano, La sottrazione internazionale di minori. Accordi internazionali a tutela dell’affidamento e del diritto di visita, Milano, 1995; silBerMan, Hague convention on international child abduction: a brief overview and case law analysis, in Fam. l. quar., 1994, 9; Vigers, Mediating international child abduction cases. The Hague convention, Oxford, 2011.

4 Su cui v. BaruFFi, La convenzione dell’Aja del 1996 sulla tutela dei minori nell’ordinamento italiano, in Riv. dir. internaz. priv. proc., 2016, 977 ss.

5 Nelle parole di Lord Wilson in Supreme Court del Regno Unito, 15 gen-naio 2014, c. In the matter of LC (Children), in 2014 UKSC 1: “B2R has added a dramatic further dimension to proceedings under the Convention in which the application is for the child’s return to a fellow EU state”. Si tratta di una novità rispetto al testo del precedente regolamento n. 1327 del 2000, oggetto peraltro di critiche sotto diversi profili: per un’analisi della questione v., di recente, triM-Mings, op. cit., passim.

6 V. Cass., 14 luglio 2010, n. 16549, in Nuova giur. civ. comm., 2011, I, 130, nota pesce.

LA SOTTRAZIONE INTERNAZIONALE DI MINORI. PROFILI PROCESSUALIMICHELE ANGELO LUPOIProfessore associato all’Università di Bologna

Sommario: 1. Introduzione: le fonti normative. - 2. Funzione e struttura della convenzione dell’Aja del 1980. - 3. Regole procedimentali. - 4. Pe-culiarità processuali nell’ambito italiano. - 5. La sottrazione internazionale di minori nel regolamento n. 2201. - 6. Regole processuali uniformi in materia di child abduction. - 7. Il riesame della decisione sul diniego di rientro ai sensi dell’art. 13. - 8. Il coordinamento tra norme uniformi europee e disciplina processuale interna. - 9. L’esecuzione dei provvedimenti in materia di rientro del minore. - 10. Conclusioni.

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DOSSIER La violenza nelle relazioni familiari

In realtà, come bene si desume anche dal suo art. 627, il regolamento n. 2201 non aspira a sostituirsi alla convenzione del 1980, ma, semmai, ad integrarsi ad essa8, dando alla sottrazione di minori tra Stati membri dell’Unione soluzioni meglio rispondenti ai principi ispiratori dello spazio europeo di giustizia, in particolare quelli della fiducia reciproca tra gli Stati membri e dell’equivalenza tra l’attività giudiziaria svolta dalle giurisdizioni nazionali. Tale approccio emerge dal consi-derando 17, per cui, in caso di trasferimento o mancato rien-tro illeciti del minore, si dovrebbe ottenerne immediatamente il ritorno e a tal fine dovrebbe continuare ad essere applicata la convenzione dell’Aia del 25 ottobre 1980, come integrata dalle disposizioni del regolamento n. 2201, in particolare il suo art. 11. I giudici dello Stato membro in cui il minore è stato trasferito o trattenuto illecitamente, inoltre, dovrebbero avere la possibilità di opporsi al suo rientro in casi precisi, debitamente motivati: tuttavia, una simile decisione dovrebbe poter essere sostituita da una decisione successiva emessa dai giudici dello Stato membro di residenza abituale del minore prima del suo trasferimento illecito o mancato rientro.

In questa ultima frase sta tutta la “filosofia” dell’approccio del regolamento alla sottrazione internazionale dei minori, che, sul punto, come si vedrà, si discosta significativamente dalla convenzione del 19809.

2. Funzione e struttura della convenzione dell’Aja del 1980

Gli obiettivi della convenzione dell’Aja, come il suo art. 1 mette in chiaro, sono assicurare l’immediato rientro dei mi-nori infra-sedicenni (v. art. 4)10 illecitamente trasferiti o trat-tenuti in qualsiasi Stato contraente nonché l’effettivo rispetto negli altri Stati contraenti dei diritti di affidamento e di visita previsti in uno Stato contraente.

In caso di istanza proposta entro un anno dalla sottrazio-ne, l’autorità giudiziaria, come regola generale, deve disporre l’immediato rientro del minore. E anche dopo la scadenza di tale termine, il ritorno va di regola ordinato, a meno che non sia dimostrato che il minore si è integrato nel suo nuovo am-biente (art. 12)11.

In linea generale, la convenzione, nel bilanciamento tra la posizione del genitore che porta via con sé o trattiene ille-gittimamente il figlio e quella del genitore che subisce tale situazione tende a valorizzare quest’ultima, seppure di riflesso rispetto alla tutela dell’interesse prevalente del minore. Non

7 Per cui gli accordi e le convenzioni di cui all’art. 59, para. 1, e agli artt. 60 e 61 continuano a produrre effetti nelle materie non disciplinate dal regolamento. Inoltre, al par. 2, si stabilisce che le convenzioni di cui all’art. 60, in particolare quella dell’Aia del 1980, continuano ad avere efficacia tra gli Stati membri che ne sono parti contraenti, conformemente all’art. 60.

8 Cass., 14 luglio 2010, n. 16549, cit.9 V. pure Cass., 14 luglio 2010, n. 16549, cit.10 Il rispetto di tale soglia d’età deve essere verificato rispetto al momento di

deposito dell’istanza di rientro: spina, La sottrazione internazionale di minori, in paDalino, pricoco, spina, La tutela sommaria e cautelare nel diritto di famiglia e nel diritto minorile, Torino, 2007, 398.

11 V. in arg. caMBoni Miller, The return of children to their non-taking parents after their kidnapping by the taking parents: the legal remedies under the 1980 Hague convention and a comparison of its implementation and enforcement in the United States and Italy, in 22 The Digest - National Italian American Bar Association Law Journal, 2014, 102, che osserva: “A court’s determination of whether the child is settled in its new environment depends upon the particular facts of the case. The respondent must establish this defense by a preponderance of the evidence”.

si tratta però di una scelta di valore “definitivo”, quanto della reazione immediata (anche in ottica deterrente) a compor-tamenti unilaterali del genitore in merito alla localizzazione del centro degli interessi del minore. In quest’ottica, le norme della convenzione mirano a ricostruire, il più in fretta possibi-le e con il minor numero di ostacoli, lo status quo precedente alla sottrazione12, per poi rimettere al giudice dello Stato da cui il minore è stato sottratto ogni decisione in merito alla po-testà genitoriale sul minore stesso, alla sua collocazione e alla regolamentazione dei rapporti con ciascuno dei due genitori.

L’art. 3 della convenzione definisce la nozione di trasferimen-to o mancato rientro illecito di un minore13, con riferimento, in particolare, alla violazione dei diritti di custodia14 assegnati ad una persona, istituzione o ogni altro ente, congiuntamente o individualmente, in base alla legislazione dello Stato nel qua-le il minore aveva la sua residenza abituale immediatamente prima del suo trasferimento o del suo mancato rientro, sul pre-supposto che tali diritti fossero effettivamente esercitati, indi-vidualmente o congiuntamente, al momento del trasferimento del minore o del suo mancato rientro, o avrebbero potuto es-serlo se non si fossero verificate tali circostanze15.

Le nozioni di diritto di affidamento e di diritto di visita al minore sono definite dall’art. 5. In particolare, il primo com-prende i diritti concernenti la cura della persona del minore, ed in particolare quello di decidere riguardo al luogo di resi-denza del minore, mentre il secondo include il diritto di con-durre il minore stesso in un luogo diverso dalla sua residenza abituale per un periodo limitato di tempo.

Come si è già accennato, la regola, in questo ambito, è che il giudice dello Stato richiesto ordini l’immediato rientro del minore. Tale regola è esplicitata dall’art. 12, che distingue a seconda che la relativa istanza sia proposta entro un anno dal trasferimento/trattenimento o in un periodo successivo. Nel primo caso, si prevede che l’autorità adita debba ordinare il ritorno immediato del minore; nel secondo, tale rientro deve comunque essere disposto, salvo che si dimostri che il minore si è integrato nel suo nuovo ambiente.

Affermata la regola, peraltro, la convenzione, sul rilievo che il rientro automatico del minore possa non corrispondere sempre al migliore interesse di quest’ultimo16, all’art. 1317, stabilisce alcune eccezioni, ovvero ipotesi che mettono l’auto-rità giudiziaria o amministrativa dello Stato richiesto in con-dizione di negare il ritorno del minore.

Ciò potrà avvenire, in particolare, qualora la persona, istitu-zione o ente che si oppone al ritorno dimostri:

12 V. Cass., 11 agosto 2011, n. 17201, in Riv. dir. internaz. priv. proc., 2012, 690.13 Per una fattispecie v. Cass., sez. un., 18 settembre 2014, n. 19664, in cui si

discute in merito alla natura temporanea della permanenza in Portogallo di due minori ivi portati dalla madre, la quale aveva manifestato al padre l’intenzione di tornare con loro in Italia.

14 Il diritto di custodia citato sub a) può, in particolare, derivare direttamente dalla legge, da una decisione giudiziaria o amministrativa, o da un accordo in vigore in base alla legislazione del predetto Stato.

15 V. spina, op. cit., 401 ss.16 V. anche paton, The correct approach, cit., 548 che scrive: “The exceptions

are ‘safety valves’ designed to strike a balance between the interests of children generally, and the interests of an individual child”.

17 La convenzione dell’Aja, infatti, non prevede né consente il rimpatrio au-tomatico del minore, avendo le autorità nazionali un certo margine di apprezza-mento al riguardo: C.e.d.u., 12 luglio 2011, c. Sneersone e Kampanella c. Italia, n. 14737/09, in Fam. dir., 2012, 63. Per alcune fattispecie italiane, Cass., 27 luglio 2007, n. 16753, in Nuova giur. civ. comm., 2008, I, 373; Cass., 5 ottobre 2011, n. 20365, in Dir. fam., 2012, 627, che nega il rientro della minore in Canada.

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a) che la persona, l’istituzione o l’ente cui era affidato il mi-nore non esercitava effettivamente il diritto di affidamen-to al momento del trasferimento o del mancato rientro, o aveva consentito, anche successivamente, al trasferi-mento o al mancato ritorno18; al riguardo, la Cassazione ha precisato che il giudice deve verificare che il diritto di affidamento, pur astrattamente previsto dalla norma-tiva applicabile in capo al genitore ricorrente, fosse da quest’ultimo esercitato effettivamente, e dunque in con-creto19; o:

b) che sussiste un fondato rischio, per il minore, di esse-re esposto, per il fatto del suo ritorno, a pericoli fisici e psichici, o comunque di trovarsi in una situazione intol-lerabile20; tale situazione deve essere adeguatamente esa-minata e motivata dal giudice, alla luce del principio del “best interest of the child”, analizzando tutte le rilevanti circostanze21; ovvero:

c) se si accerti che il minore si oppone al ritorno, e che ha raggiunto un’età ed un grado di maturità tali che sia op-portuno tener conto del suo parere22.

A tali motivi di diniego si affianca quello previsto, a mo’ di chiusura del sistema, dall’art. 20 (invero assai poco utilizzato, atteso il suo carattere eccezionale), alla cui stregua il ritorno del minore può essere rifiutato anche qualora non fosse consenti-to dai princìpi fondamentali dello Stato richiesto relativi alla protezione dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali23.

Per quanto i presupposti elencati dall’art. 13 siano interpre-tati in senso stretto24, sono tutt’altro che rari i casi in cui l’or-dine di rientro viene negato da parte del giudice dello Stato in cui il minore è trattenuto, le cui decisioni, dunque, possono mettere nel nulla quelle emesse dallo Stato “di partenza”, cre-ando conflitti di provvedimenti dai toni molto aspri25 e che però la convenzione in qualche modo tollera.

18 Cass., 29 luglio 2015, n. 16043, mette in risalto come l’accertamento del presupposto dell’“effettivo esercizio del diritto di affidamento da parte del richie-dente” debba essere puntualmente eseguito dal giudice e non possa essere omes-so. Per una fattispecie in cui il giudice ritiene che il padre avesse inizialmente dato il proprio consenso al trasferimento della prole all’estero con la madre, v. App. Catania, 16 agosto 2013, decr., in www.ilcaso.it.

19 Cass., 26 marzo 2015, n. 6139.20 paton, op. cit., 553, osserva: “This is the reason most frequently cited by

national courts globally where return of a child is refused”; v. pure MceleaVy, Judicial communication and co-operation, cit., 40; per una prospettiva statunitense, v. anche caMBoni Miller, op. cit., 103. Al riguardo, la nostra Cassazione evidenzia che l’accertamento del rischio grave per il minore “implica un’indagine di fatto, riservata al giudice del merito, censurabile in sede di legittimità soltanto se non congruamente e logicamente motivata”: Cass., 11 agosto 2011, n. 17201, cit.; Cass., 5 ottobre 2011, n. 20365, in Corr. giur., 2012, 515; Cass., 4 luglio 2003, n. 10577, in Fam. dir., 2004, 357. Per una fattispecie, Cass., 29 luglio 2015, n. 16043. V. anche spina, op. cit., 410.

21 Cass., 29 luglio 2015, n. 16043. Per Cass., 12 maggio 2015, n. 9632, nel valutare le circostanze di cui agli artt. 12, 13 e 20, il giudice può tener conto delle attitudini educative del genitore affidatario.

22 In materia, di recente Cass., 11 agosto 2011, n. 17201, cit.; Cass., 27 luglio 2007, n. 16753, cit.; Cass., 26 settembre 2016, n. 18846, in Fam. dir., 2017, 5; spina, op. cit., 415.

23 V. De santi, Sottrazione internazionale di minori e rischio per la loro incolumi-tà, in Corr. giur., 2012, 518; triMMings, op. cit., 116 ss.

24 Sul punto v. paton, op. cit., 548 ss.; per l’Italia, v. Cass., 4 luglio 2003, n. 10577, cit.

25 Ciò sembra attenuare la portata precettiva dell’art. 16 della convenzione, per cui, in pendenza del procedimento sul ritorno, le questioni inerenti ai diritto di affidamento possono essere esaminate solo di fronte ai giudici dello Stato della residenza abituale: v. anche pesce, Sottrazione internazionale di minori nell’Unione europea: il coordinamento tra il regolamento (CE) n. 2201/2003 e la convenzione dell’Aja del 1980, in 3 Cuad. der. trans., 2011, 237.

3. Regole procedimentali

Sul piano operativo, il sistema della convenzione dell’Aja si poggia sulle c.d. Autorità centrali (art. 6), che, in ogni Stato contraente, sono incaricate di adempiere agli obblighi imposti dalla convenzione e che collaborano tra loro per garantirne l’attuazione26. L’intervento di tali Autorità consente inoltre di garantire la gratuità del procedimento per la parte “vittima” della sottrazione.

Per l’Italia, il ruolo di Autorità centrale è svolto dal Dipar-timento per la Giustizia minorile del Ministero di Giustizia, al cui interno è stato creato l’Ufficio delle Autorità Centrali convenzionali27.

Nel contesto della convenzione dell’Aja, assume importan-za fondamentale la nozione di residenza abituale del minore: in effetti, l’intero sistema presuppone che il minore sottratto fosse abitualmente residente in uno Stato membro prima del suo “rapimento”.

Della residenza abituale del minore, il regolamento n. 2201 non fornisce una definizione28. È peraltro pacifico che si tratti di una nozione autonoma29, non giuridica ma fattuale, da verificare in base alle circostanze del caso concreto30: con la precisazione che la nozione in esame deve avere un significato uniforme nel contesto di tutto il regolamento n. 220131.

In generale, la residenza abituale viene intesa come il luogo in cui il minore, in virtù di una durevole e stabile perma-nenza, anche di fatto, ha il centro dei propri legami affettivi, non solo parentali, derivanti dallo svolgersi in detta località la sua quotidiana vita di relazione32. La residenza abituale di un

26 I compiti delle Autorità centrali sono elencati nell’art. 7: in particolare, esse sono chiamate e prendere tutti i provvedimenti necessari per localizzare un minore illecitamente trasferito o trattenuto, per assicurare la consegna vo-lontaria del minore, o agevolare una composizione amichevole, per scambiarsi reciprocamente, qualora ciò si riveli utile, le informazioni relative alla situazio-ne sociale del minore, per avviare o agevolare l’instaurazione di una procedura giudiziaria o amministrativa, diretta ad ottenere il rientro del minore e, se del caso, consentire l’organizzazione o l’esercizio effettivo del diritto da visita, per assicurare che siano prese, a livello amministrativo, le necessarie misure per assicurare, qualora richiesto dalle circostanze, il rientro del minore in condi-zioni di sicurezza. In arg., v. Dereatti, La tutela del provvedimento di affidamento nei rapporti internazionali, in L’affidamento dei figli nella crisi della famiglia, a cura di Sesta, Arceri, Torino, 2012, 1088; DisteFano, Interesse superiore del minore e sottrazione internazionale di minori, Padova, 2012, 79 ss. Sulla funzione “conci-liativa” delle autorità centrali v. Article 11 Working Group - Information on national proceedings, reperibile online all’indirizzo https://e-justice.europa.eu/fileDownload.do?id=6c30ffe7-40e7-4d9a-96b0-7c9a14370c3c, 8.

27 Da dati non ufficiali emerge che la nostra autorità centrale tratta in larga maggioranza istanze per ottenere il rimpatrio di minori portati all’estero. Mino-ritaria (sotto il 40 per cento) è invece l’assistenza c.d. passiva, con riferimento ad istanze provenienti da paesi stranieri. Sempre in base a dati non ufficiali, il paese verso il quale si registra il più alto numero di sottrazioni sarebbe la Romania, seguita da Polonia, Ucraina e Bulgaria. Anche l’analisi empirica di triMMings, op. cit., 76, nota 22, conferma che l’Italia è il secondo paese dell’Unione quanto a richieste di ritorno “in uscita”.

28 In arg., di recente, v. Kruger, International child abduction. The inadequacies of the law, Oxford, 2011, 20 ss.; carBallo pineiro, Cooperacion procesal internacio-nal y determinacion de la competencia judicial internacional en materia de proteccion de menores, in Rev. mex. derecho int. priv. y comparado, 2012, 131 ss.

29 Corte giust., 8 giugno 2017, c. 111/17, OL c. PQ.30 V. anche carpaneto, Giurisdizione in materia di responsabilità genitoriale: il

regolamento n. 2201/2003, in Il nuovo diritto di famiglia. Profili sostanziali, proces-suali e notarili, cit., 928.

31 Corte giust., c. OL c. PQ, cit.32 V. di recente Trib. min. Emilia Romagna, 13 ottobre 2016, decr.; Cass., 10

febbraio 2017, n. 3555, in www.questionididirittodifamiglia.it. Per una fattispecie, v. Court of Appeal, Civ. Div., 16 dicembre 2014, c. LR (A child), in 2014 EWCA Civ. 1624, che, a fronte di una pluriennale residenza di una minore in Germania, ritiene irrilevante che ella si fosse lamentata con il padre di non avere amici.

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DOSSIER La violenza nelle relazioni familiari

minore, peraltro, non coincide, di necessità, con quella dei genitori o del soggetto che esercita la responsabilità genitoria-le33. La sua posizione, dunque, deve essere valutata in modo autonomo34, anche se, come si vedrà, a certe condizioni, il rapporto con un adulto di riferimento sarà determinante ai fini dell’analisi35.

I problemi ovviamente si pongono quando un minore non abbia un centro di gravità facilmente localizzabile e, in parti-colare, laddove, prima della proposizione della domanda, si sia (o sia stato) trasferito da uno Stato all’altro.

In casi del genere, l’individuazione del luogo di residen-za abituale del minore diviene estremamente rilevante, dal momento che da tale analisi deriva l’attribuzione della giu-risdizione ad uno Stato piuttosto che ad un altro. Nei casi di (asserita) sottrazione di un minore, poi, la localizzazione della residenza abituale nello Stato del genitore che propone l’istanza determina la stessa possibilità di accedere ai rimedi offerti dalla convenzione dell’Aja del 1980. È significativo, a questo riguardo, che, almeno nell’ambito dei rapporti tra Stati membri dell’Unione, anche come reazione al meccanismo di riesame introdotto dal regolamento n. 2201 rispetto all’art. 13 della convenzione (v. infra), uno dei motivi più ricorrenti per rifiutare il rientro del minore sia costituito proprio dal fatto che quest’ultimo non sia ritenuto abitualmente residente nello Stato da cui viene inoltrata la relativa richiesta36.

Nell’analisi sulla residenza abituale, dunque, secondo i giu-dici del Lussemburgo, si deve, in particolare, tenere conto della durata, della regolarità, delle condizioni e delle ragioni del soggiorno nel territorio di uno Stato membro e del traslo-co della famiglia in tale Stato, della cittadinanza del minore, del luogo e delle condizioni della frequenza scolastica, delle conoscenze linguistiche nonché delle relazioni familiari e so-ciali del minore nel detto Stato37.

La residenza abituale di un neonato, inoltre, per la Corte di giustizia, coincide con l’ambiente sociale e familiare della cerchia di persone da cui dipende (nella specie, la madre che lo aveva accudito dalla nascita)38. La Cassazione ha invece ri-levato che la residenza dei genitori durante la gravidanza non può essere calcolata ai fini della residenza abituale del minore non ancora nato in quel periodo39.

33 V. Supreme Court del Regno Unito, 4 dicembre 2013, c. In the matter of KL (A child), in EWCA Civ, 2013, 865.

34 V. anche Frassinetti, Quando il cambio di residenza del minore è idoneo a determinare il mutamento della giurisdizione, in Int’l lis, 2014, 92.

35 Per una interessante fattispecie v. Supreme Court del Regno Unito, 15 gennaio 2014, c. In the matter of LC (Children), in 2014 UKSC 1, cit., in cui la maggioranza della Corte valorizza lo “state of mind” della figlia maggiorenne, che non aveva mai accettato la Spagna, ove la madre l’aveva portata insieme ai fratelli, come sua nuova “casa”. L’analisi della Corte è particolarmente interes-sante poiché considera l’atteggiamento mentale della ragazza “durante” la sua permanenza nello Stato in cui era stata portata dalla madre (ciò che esclude in formarsi di una residenza abituale in Spagna) e non il desiderio della stessa di restare in Inghilterra “dopo” che il padre si era rifiutato di riconsegnarla alla madre al termine di un periodo di vacanze (ciò che avrebbe potuto rilevare come motivo per negare il rientro ai sensi dell’art. 13 della convenzione).

36 V. triMMings, Child abduction within the European Union, Oxford, 2013, 128 ss. Per una lucida analisi della contestazione della residenza abituale al fine di mettere fuori gioco il meccanismo introdotto dall’art. 11 del regolamento v. Lord Wilson, in Supreme Court, c. In the matter of LC (Children), cit.

37 Corte giust., c. A., cit.; per un’applicazione, Cass., 23 gennaio 2013, n. 1527, in Fam. dir., 2014, 151.

38 Corte giust., 22 dicembre 2010, c. 497/10 PPU, Mercredi c. Chaffe, cit. V. anche Corte giust., c. OL c. PQ, cit.

39 Cass., sez. un., 13 febbraio 2012, n. 1984, in Giust. civ., 2012, I, 915.

Al riguardo, in effetti, si pone un dubbio la cui soluzione è solo apparentemente scontata, ovvero se sia possibile che un minore risieda abitualmente in uno Stato in cui non ha mai messo piede: una fattispecie di questo tipo è stata esaminata (e peraltro risolta su altre basi) dalla Corte suprema del Regno Unito nel 2013, con riferimento al figlio nato in Pakistan da una madre che era ivi trattenuta contro la sua volontà dal marito, che ne impediva il rientro in Inghilterra40. La Corte di giustizia, peraltro, pronunciandosi dapprima su una fattispe-cie diversa, ha affermato che la determinazione della residen-za abituale di un minore in un dato Stato membro richiede, quanto meno, che il minore sia stato fisicamente presente in tale Stato41. Più di recente42, poi, i giudici del Lussemburgo si sono espressi su un caso analogo a quello inglese sopra menzionato. Nella fattispecie, in particolare, i due genitori avevano la propria residenza abituale in Italia, ma la moglie greca, d’accordo con il marito italiano, si era recata a partorire in Grecia, ove il figlio era in effetti nato, con la dichiarata intenzione successivamente di tornare in Italia, come poi non era avvenuto. La Corte ha ritenuto che il figlio minore delle parti fosse residente abitualmente in Grecia, non essendo in principio decisiva l’intenzione dei genitori di determinare la residenza abituale di un minore in uno Stato in cui il minore non si sia mai recato, potendo ciò costituire solo un indizio. Al riguardo, si evidenzia che una nozione di fatto come quella di residenza abituale sarebbe difficilmente conciliabile con la necessità di considerare l’intenzione iniziale dei genitori circa il fatto che il minore risieda in un luogo determinato, anche alla luce delle complessità istruttorie per la verifica di tale in-tenzione, incompatibili, in particolare con l’urgenza di prov-vedere sull’istanza per il ritorno di un minore che si ritiene illegittimamente sottratto da un genitore all’altro. Al riguardo, d’altro canto, la Corte osserva che sarebbe contraria alla fina-lità della procedura di ritorno di un minore sottratto fissare la residenza abituale del minore stesso in uno luogo in cui non si è mai recato, poiché tale procedura mira a ristabilire lo sta-tus quo ante, ovvero della situazione che esisteva anteriormen-te al trasferimento o al mancato ritorno illeciti del minore43.

I casi di trasferimento di un minore da uno Stato all’altro poco tempo prima della proposizione della domanda giudi-ziale pongono problemi poiché il concetto stesso di residenza abituale implica che la presenza del minore sul territorio si sia stabilizzata per un significativo lasso di tempo (elemento oggettivo)44. Da questo punto di vista, superato un deter-minato periodo temporale, la presenza di un minore si può ritenere “abituale” a prescindere da qualsiasi considerazione

40 Supreme Court del Regno Unito, c. In the matter of A (Children) AP, cit., con prese di posizioni contrastanti tra Lady Hale e Lord Hughes, il quale, punto 90, accetta “the possibility that habitual residence may exist in a State which is the home of the family unit of which the infant is part, and is where he would be but for force majeure”.

41 Corte giust., c. W, V. c. X, cit.42 Corte giust., c. OL c. PQ, cit.43 Corte giust., c. OL c. PQ., cit., che osserva che il presunto comportamento

illecito di uno dei genitori non può da solo giustificare l’accoglimento di una do-manda di ritorno e il trasferimento del minore dallo Stato membro dove è nato ed ha soggiornato regolarmente in modo ininterrotto verso uno Stato membro che non gli è familiare.

44 Trib. Roma, 19 giugno 2015, decr., parla, ad esempio, di “periodo signifi-cativo di tempo”. Lord Reed, in Supreme Court, 22 maggio 2015, c. AR (Appellant) v. RN (Respondent) (Scotland), in 2015 UKSC 35, al punto 16, mette in rilievo “it is […] the stability of the residence that is important, not whether it is of a permanent character”.

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La violenza nelle relazioni familiari DOSSIER

di quel soggetto di restare a tempo indeterminato in un certo luogo (elemento soggettivo)45.

Nei casi di presenza di breve durata, si tratta sovente di sta-bilire se si tratti di una presenza solo provvisoria e tempora-nea e dunque inidonea a fondare il criterio di collegamento giurisdizionale46.

Il primo aspetto da considerare è se il trasferimento in uno Stato del minore sia stato o meno concordato o almeno ap-provato da entrambi i genitori. I trasferimenti di residenza di un minore insieme ad uno solo dei genitori, infatti, devono di norma essere concordati o approvati anche dall’altro per de-terminare uno spostamento di residenza abituale ai fini giuri-sdizionali47. In effetti, come coerentemente prevede il criterio di collegamento stabilito dall’art. 10 del reg. n. 2201 (v. infra), il fatto di trasferire illecitamente un minore all’estero da parte di un genitore costituisce un atto illecito48 che non deter-mina un immediato spostamento della residenza abituale del minore stesso. Da questo punto di vista, si deve verificare se il trasferimento non si configuri come mero espediente per sottrarre il minore alla vicinanza dell’altro genitore o alla di-sciplina generale della competenza territoriale49.

In tale contesto, gli accordi su trasferimenti “a tempo” di un minore all’estero tendono ad essere problematici, poiché, dopo il decorso di un certo lasso di tempo, la presenza di un minore in uno Stato si presta a consolidare il quel luogo la sua residenza abituale, a prescindere dalla iniziale intenzione dei genitori circa la natura temporanea del suo trasferimento nello Stato50.

Sarà poi necessaria una prognosi sulla possibilità che la nuo-va dimora diventi l’effettivo stabile e duraturo centro di affetti ed interessi del minore51.

Più in generale, rispetto a presenze in uno Stato di breve durata per le quali diviene rilevante l’elemento soggettivo so-pra menzionato, per la Corte di giustizia, l’intenzione dei genitori di stabilirsi con il minore in un altro Stato membro, manifestata attraverso determinate circostanze esterne, come l’acquisto o l’affitto di un alloggio nello Stato membro ospitan-te, può costituire un indizio del trasferimento della residenza abituale della famiglia. Un ulteriore indizio in tal senso può essere la presentazione di una domanda per ottenere un allog-gio sociale presso i relativi servizi del detto Stato52. Per contro,

45 V. Lord Reed, in Supreme Court, c. AR (Appellant) v. RN (Respondent) (Scot-land), cit.: “The absence of a joint parental intention to live permanently in the country is a question by no means decisive”.

46 V. anche Corte giust., c. OL c. PQ, cit. Per una fattispecie, Trib. Milano, 22 luglio 2014, ord., www.ilcaso.it.

47 Per una fattispecie, relativa al trasferimento non approvato dal padre di un minore in Romania v. App. Catania, 3 giugno 2015, decr., in Riv. dir. inter-naz. priv. proc., 2016, 1115; in una fattispecie “interna”, invece, sul dissenso del padre al trasferimento della residenza della prole v. Trib. Roma, 19 giugno 2015, decr.

48 V. anche Trib. Milano, 17 dicembre 2014, decr., in www.ilcaso.it.49 Cass., 20 ottobre 2015, n. 21285.50 Per una fattispecie, v. Supreme Court, c. AR (Appellant) v. RN (Respondent)

(Scotland), cit.: qui, i genitori si erano accordati nel senso che la madre avrebbe trascorso 12 mesi in Scozia coi figli durante il suo congedo di maternità. Decorso tale termine, ella aveva deciso di non tornare dal padre in Francia. Per la Corte inglese, la prole minorenne aveva acquisito “the necessary quality of stability. For the time being, their home was in Scotland”.

51 Cass., 20 ottobre 2015, n. 21285, in un contesto “interno”.52 Ad esempio, per Trib. min. Catania, 23 luglio 2008, decr., in www.mino-

riefamiglia.it, la stabilità del trasferimento di un minore può essere dimostrata dall’iscrizione dello stesso presso una classe della scuola elementare dello Stato in cui si è trasferita, frequentata con assiduità e buoni risultati, nonché dalla cir-

la circostanza che dei minori soggiornino in uno Stato mem-bro in cui, per un breve periodo, non hanno fissa dimora può essere un indizio che la residenza abituale di tali minori non si trova in questo Stato53.

Nella giurisprudenza italiana, si è, inoltre, affermato che il trasferimento del genitore con il minore in un altro Stato, poco prima del deposito del ricorso introduttivo del giudi-zio avanti all’autorità giudiziaria italiana, nel corso dell’anno scolastico e con connotati di repentinità (quindi senza una sicura programmazione che prefigurasse il proposito del suo radicarsi), non attribuisce alla nuova dimora del minore il ca-rattere della stabilità54.

Un trasferimento di residenza del nucleo familiare in uno Stato che possa essere ritenuto “provvisorio e sperimentale”, in quanto utilizzato dai genitori nel tentativo (fallito) di porre rimedio ad una crisi relazionale e durato pochi giorni, non determina la localizzazione della residenza di un minore in tale Stato55. Ad analoghe conclusioni si è giunti rispetto a periodi di trasferimento in uno Stato di breve durata e che non abbiano inciso sul concreto luogo di svolgimento della vita personale del minore56.

Può essere considerata come “provvisoria” anche la presenza di un minore a seguito dello spostamento della residenza di quest’ultimo all’estero in forza di un provvedimento giudiziario interinale ed urgente57 ovvero di una decisione di primo grado, soggetta ad impugnazione. Con la conseguenza che, ove tale provvedimento legittimante fosse successivamente revocato o riformato, non si potrebbe ritenere che il minore abbia comun-que trasferito la sua residenza abituale in quello Stato.

La tematica si pone anche nel contesto della sottrazione in-ternazionale dei minori, nel quale si è posto il dubbio se possa considerarsi “illecito” il trasferimento di un minore da uno Stato all’altro operato in attuazione di un provvedimento di rientro provvisorio, poi totalmente riformato in sede di impu-gnazione58. Al riguardo, la Corte di giustizia ha rilevato che, in caso di trasferimento da uno Stato all’altro in forza di prov-vedimento giudiziario provvisoriamente esecutivo e gravato da impugnazione, il trasferimento della residenza abituale del minore viene messo in discussione, poiché il genitore, al mo-mento di trasferirsi in un altro Stato, non poteva essere sicuro che il soggiorno in detto Stato membro non sarebbe stato solo temporaneo59. In casi del genere, si deve dunque operare un bilanciamento tra tutti gli elementi di fatto, per dimostrare se, dal momento del suo trasferimento, il minore abbia raggiunto una certa integrazione in un ambiente familiare e sociale, e, in particolare, il tempo trascorso tra il trasferimento e la deci-

costanza che l’affitto dell’appartamento in cui abita viene corrisposta dai servizi sociali del luogo.

53 Corte giust., c. A., cit.54 App. Catania, 15 ottobre 2008.55 Trib. min. Emilia Romagna, 31 ottobre 2016, decr., www.ilcaso.it.56 Cass., 18 marzo 2016, n. 5418, in Riv. dir. internaz. priv. proc., 2017, 105;

Trib. Roma, 19 giugno 2015, decr.; Trib. Milano, 22 luglio 2014, ord., www.ilcaso.it.

57 Cass., sez. un., 2 agosto 2011, n. 16864, in Fam. dir., 2012, 29.58 V. Supreme Court del Regno Unito, c. In the matter of KL (A child), cit., che

giunge a dare risposta positiva a tale quesito, ordinando il ritorno del minore dal padre in Texas.

59 Corte giust., 9 ottobre 2014, c. 376/14, C c. M, in Riv. dir. internaz. priv. proc., 2015, 200. Anche Cass., sez. un., 2 agosto 2011, n. 16864, in Fam. dir., 2012, 29, ritiene che non si verifichi uno spostamento di residenza abituale quando il minore sia stato portato all’estero in forza di un provvedimento giudi-ziario interinale ed urgente.

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66 L’Osservatorio sul diritto di famiglia | gennaio-agosto 2018

DOSSIER La violenza nelle relazioni familiari

sione giudiziaria che annulla decisione di primo grado e fissa la residenza del minore presso il domicilio del genitore che rimane nello Stato membro d’origine60.

Ciò detto, anche in caso di trasferimento non autorizzato o comunque illecito, la residenza del minore può consolidarsi nel nuovo Stato dopo il decorso di un significativo lasso di tempo (indicato in un anno nella normativa sulla sottrazione internazionale dei minori) durante il quale il genitore legitti-mato a dolersi del torto subito sia rimasto inerte61.

Sul piano probatorio, si è affermato che la residenza abituale di un minore può essere desunta da pubblici documenti e certificati attestanti la presenza del minore nel territorio62, anche se le risultanze anagrafiche hanno una rilevanza solo presuntiva63.

Rispetto al criterio in esame, inoltre, non rileva che alcuna autorità giudiziaria abbia stabilito formalmente la residenza abituale di un minore64.

La residenza abituale del minore va accertata alla data di proposizione della relativa domanda65, conformemente all’art. 16 del regolamento66.

L’accertamento della residenza abituale del minore è riserva-to all’apprezzamento del giudice del merito ed è incensurabile in sede di legittimità, salvo il riesame ai sensi dell’art. 360, n. 5 c.p.c.67.

La convenzione, all’art. 8, stabilisce che l’istanza per il rien-tro del minore sottratto può essere chiesta, in via alternativa, all’Autorità centrale della residenza abituale del minore stesso nonché a quella di ogni altro Stato contraente, sul presuppo-sto che il minore vi si trovi o vi siano indicazioni in tal senso. D’altro canto, un’istanza può essere proposta anche prima di scoprire il luogo in cui il minore sia stato portato o si trovi trattenuto, rientrando tra i compiti dell’Autorità centrale an-che quello di cercare di rintracciare il minore stesso.

La convenzione, all’art. 16, stabilisce poi che, dopo aver ri-cevuto notizia di un trasferimento illecito di un minore o del suo mancato ritorno ai sensi dell’art. 3, le autorità giudiziarie o amministrative dello Stato contraente nel quale il minore è stato trasferito o è trattenuto, non possono deliberare per quanto riguarda il merito dei diritti di affidamento, fino a quando non sia stabilito che le condizioni della convenzio-ne, relativa al ritorno del minore sono soddisfatte, a meno che non venga presentata una istanza, in applicazione della convenzione stessa, entro un periodo di tempo ragionevole a seguito della ricezione della notizia. In altre parole, anche nella convenzione opera un meccanismo che impedisce, al-meno temporaneamente, alle corti dello Stato in cui il minore

60 Corte giust., c. C c. M, cit. V. pure Corte giust., c. OL c. PQ, cit.61 Trib. Milano, 17 dicembre 2014, decr., in www.ilcaso.it, per il quale la nuo-

va residenza abituale del minore, frutto di scelta unilaterale, va contestata senza indugio dal genitore per evitare spostamenti di giurisdizione o competenza.

62 Nella specie, l’iscrizione, la frequenza e la valutazione sostanziale del suo profitto e della sua condotta presso la scuola (tedesca) nella quale era stato in-serito: Trib. min. Milano, 23 dicembre 2011, decr., in Dir. fam., 2012, 1171.

63 Trib. min. Catania, 23 luglio 2008, decr., in www.minoriefamiglia.it; sulla necessaria effettività del criterio della residenza abituale, nel prisma del principio di prossimità anche App. Bologna, 4 agosto 2014, n. 79, in www.giuraemilia.it; Trib. Roma, 19 giugno 2015, decr.

64 Trib. min. Emilia Romagna, 14 gennaio 2010, decr., in www.giuraemilia.it.65 Corte giust., 1° ottobre 2014, c. 436/13, E.c.B., in Riv. dir. internaz. priv.

proc., 2015, 199.66 Corte giust., c. W, V. c. X, cit.67 Trib. min. Emilia Romagna, 13 ottobre 2016, decr.; Frassinetti, Quando il

cambio di residenza del minore, cit., 91.

è stato portato o è trattenuto di pronunciarsi sul merito del suo affidamento, frustrando così eventuali tentativi di forum shopping del genitore responsabile della sottrazione68.

La domanda volta ad ottenere assistenza ai fini del ritorno del minore può essere proposta ad una delle Autorità centrali competenti, ai sensi dell’art. 8 della convenzione, da ogni per-sona, istituzione od ente, che adduca che un minore è stato trasferito o trattenuto in violazione di un diritto di affidamen-to. La persona in questione, ovviamente, deve essere il titolare del diritto di affidamento violato.

Il medesimo art. 8 indica gli elementi che la domanda deve contenere, ovvero le informazioni concernenti l’identità del richiedente, del minore o della persona che si adduce abbia sottratto o trattenuto il minore; la data di nascita del minore, qualora sia possibile procurarla; i motivi addotti dal richie-dente nella sua istanza per esigere il rientro del minore; ogni informazione disponibile relativa alla localizzazione del mi-nore ed alla identità della persona presso la quale si presume che il minore si trovi. La domanda può essere accompagnata o completata da una copia autenticata di ogni decisione o ac-cordo pertinente ovvero da un attestato o una dichiarazione giurata, rilasciata dall’Autorità centrale, o da altra Autorità competente dello Stato di residenza abituale, o da persona qualificata, concernente la legislazione dello Stato in materia nonché da ogni altro documento pertinente.

Ai sensi dell’art. 24 della convenzione, la domanda deve essere accompagnata da una traduzione in una delle lingue ufficiali dello Stato “richiesto”69.

L’Autorità centrale che riceve una domanda ha il compito di trasmetterla all’Autorità centrale dello Stato contraente in cui abbia motivo di ritenere che si trovi il minore, dando di ciò comunicazione all’Autorità centrale richiedente, o, se del caso, al richiedente (art. 9).

La convenzione non fornisce ulteriori dettagli sul procedi-mento da seguire nello Stato membro in cui si trova il minore ai fini della decisione sull’istanza di rientro. Essa si limita a stabilire che l’Autorità centrale dello Stato in cui si trova il minore debba prendere o fare prendere ogni adeguato prov-vedimento per assicurare la sua riconsegna volontaria del mi-nore stesso (art. 10). Il procedimento deve inoltre svolgersi in tempi rapidi: l’art. 2 stabilisce, in modo programmatico, che gli Stati contraenti, per la realizzazione degli obiettivi della convenzione, debbano avvalersi delle procedure d’urgenza a loro disposizione70. Il concetto è ribadito dall’art. 11, ove si afferma che le Autorità giudiziarie o amministrative di ogni Stato contraente devono procedere d’urgenza per quanto ri-guarda il ritorno del minore, con la specificazione che, qualo-ra l’Autorità giudiziaria o amministrativa richiesta non abbia deliberato entro un termine di sei settimane dalla data d’inizio del procedimento, il richiedente (o l’Autorità centrale dello Stato richiesto), di sua iniziativa, o su richiesta dell’Autorità centrale dello Stato richiedente, può domandare una dichia-razione in cui siano esposti i motivi del ritardo.

A livello di best practices, si raccomanda che l’autorità cen-

68 paton, op. cit., 548, osserva che la norma valorizza i vantaggi pratici as-sicurati dal fare decidere in merito all’affidamento del minore le corti della re-sidenza abituale di quest’ultimo. V. anche U.S. Court of appeals, II Circuit, 11 febbraio 2013, c. Ozaltin v. Ozaltin.

69 V. Article 11 Working Group - Information on national proceedings, cit., 3.70 A questo riguardo, peraltro, è condivisibile l’osservazione di MceleaVy, op.

cit., 41: “Expedition and the protection of children are not easy bed-fellows”.

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La violenza nelle relazioni familiari DOSSIER

trale richiesta riscontri la ricezione di una domanda di rientro entro 2 o 3 giorni lavorativi, tramite e-mail o fax71.

È possibile che la domanda stessa sia respinta, anche se si raccomanda che ciò avvenga solo in casi “ovvi”, come qualora il minore abbia più di 16 anni oppure sia indicata una resi-denza abituale del minore in uno Stato non contraente. In tali casi, peraltro, l’autorità richiesta dovrebbe avvertire l’istante, il quale dovrebbe essere in condizione di fornire informazioni supplementari72.

Il giudice competente deve accertare in modo autonomo la sussistenza delle condizioni previste dalla convenzione per il rientro del minore, svolgendo, ove necessario una propria istruzione probatoria73.

Ai sensi dell’art. 15, della convenzione, inoltre, le Autorità giudiziarie o amministrative di uno Stato contraente hanno facoltà, prima di decretare il ritorno del minore, di domanda-re che il richiedente stesso produca una decisione o attestato emesso dalle Autorità dello Stato di residenza abituale del mi-nore, comprovante che il trasferimento o il mancato rientro era illecito ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione, sempre che tale decisione o attestato possa essere ottenuto in quello Stato. Le Autorità centrali degli Stati contraenti assistono il richiedente, per quanto possibile, nell’ottenimento di detta decisione o attestato.

Nella giurisprudenza italiana, si è affermato che il provvedi-mento emesso ai sensi dell’art. 15 è privo di contenuto deci-sorio e che la richiesta dell’autorità straniera competente nella procedura di rientro del minore avrebbe natura meramente facoltativa, con la conseguenza che la relativa istanza potrebbe essere azionata dalla parte interessata ancora prima e a prescin-dere dalla formale richiesta da parte dell’autorità giudiziaria procedente dello Stato estero dove il minore è stato condotto74.

4. Peculiarità processuali nell’ambito italiano

In Italia, la disciplina processuale della convenzione è inte-grata da quella della legge di ratifica n. 64 del 199475, la quale regolamenta un procedimento qualificato come di volontaria giurisdizione76, sottoposto alle regole della camera di consi-glio77 semplificato ed “ispirato a tempi brevissimi”78 e dunque caratterizzato da un’istruttoria sommaria79.

La legge, in particolare, prevede, all’art. 7, che le richieste tendenti ad ottenere il ritorno del minore presso l’affidatario al quale è stato sottratto, o a ristabilire l’esercizio effettivo del diritto di visita, sono presentate per il tramite dell’Autorità centrale (ovvero il Dipartimento per la giustizia minorile), la quale, premessi se del caso i necessari accertamenti, trasmette

71 Article 11 Working Group - Information on national proceedings, cit., 3.72 Article 11 Working Group - Information on national proceedings, cit., 4.73 Cass., 26 settembre 2016, n. 18846, in Fam. dir., 2017, 5.74 Trib. Ancona, 15 luglio 2016, decr., ined.75 Anche molti altri Stati contraenti hanno introdotte norme di raccordo. V.

MceleaVy, op. cit., 41 ss. Ad es., negli Stati Uniti il 29 aprile 1988 è stato appro-vato l’International Child Abduction Remedies Act (Icara): U.S. Court of appeals, c. Ozaltin v. Ozaltin, cit.

76 V. chizzini, in Fam. dir., 1999, 342. Alcuni, peraltro, riconducono il pro-cedimento in esame ai processi a contenuto oggettivo, non aventi ad oggetto un diritto soggettivo della parte, ma caratterizzati dal dovere del giudice di provve-dere in presenza di specifiche situazioni previste dalla legge: v. preDini, in Fam. dir., 2001, 147.

77 Cass., 4 luglio 2003, n. 10577, in Fam. dir., 2004, 357.78 Cass., 29 novembre 2000, n. 15295, in Fam. dir., 2001, 144.79 Ma non superficiale: preDini, op. cit., 148.

senza indugio gli atti al Procuratore della repubblica presso il Tribunale per i minorenni del luogo in cui si trova il minore che, a sua volta, richiede con ricorso in via d’urgenza al Tribu-nale l’ordine di restituzione o il ripristino del diritto di visita.

La competenza del Tribunale per i minorenni in questa ma-teria non è stata “toccata” dalla riforma operata della legge n. 219 del 2012 e dunque resta tuttora ferma80. Un ricorso per mancato rientro di un minore proposto avanti al Tribunale ordinario è, invece, stato dichiarato inammissibile dal Tribu-nale di Milano81.

La Cassazione, di recente, ha affermato la competenza del Tribunale specializzato anche rispetto alla domanda di rientro in Italia di un minore portato illegittimamente all’estero (nella specie, in Polonia), nonostante la pendenza di un procedi-mento di separazione avanti al giudice ordinario, sul rilievo che tale competenza, nella legge n. 64 del 1994 sia stabilita per tutte le questioni in cui può essere coinvolto un minore nei casi previsti, per quanto ci interessa qui, dalla convenzio-ne dell’Aja del 198082.

A rigore, poiché l’azione è promossa in via esclusiva dal p.m.83, le parti del procedimento sono quest’ultimo84 e il genitore che ha portato il minore all’estero o che si oppone a un regolare esercizio del diritto di visita dell’altro. Giuri-sprudenza e dottrina, però, hanno qualificato come parte ne-cessaria anche la persona che propone l’istanza di rientro85, la cui mancata convocazione, anzi, dà luogo ad una nullità del procedimento, sanzionabile in sede di legittimità86. Per la Cassazione, invece, non assume tale qualità il minore, così che non si potrebbe configurare, nel contesto in esame, un conflitto di interessi tra quest’ultimo e i genitori né si porreb-be la questione della sua difesa tecnica87.

Il Presidente del Tribunale per i minorenni, assunte se del caso sommarie informazioni, fissa con decreto l’udienza in camera di consiglio, dandone comunicazione all’Autorità centrale nonché, per attuare il necessario contraddittorio, alla persona presso la quale si trova il minore e a quella che ha presentato la richiesta di rientro, che deve essere messa in condizione di comparire a sue spese per chiedere di essere sentita88. La legge, peraltro, non prevede un termine minimo per la comparizione delle parti e, in una decisione, la Cassa-zione ha ritenuto “congruo” un termine di ventiquattro ore tra la convocazione del genitore “convenuto” e la data dell’u-dienza89. Per le parti non si prevede la necessaria assistenza del difensore tecnico90.

80 Trib. Ancona, 15 luglio 2016, decr., ined. ritiene peraltro che, sulla dichia-razione ex art. 15 della convenzione, sarebbe competente il Tribunale ordinario, in quanto la norma in questione non è tra quelle espressamente attribuite alla competenza del Tribunale per i minorenni dalla legge n. 64 del 1994.

81 Trib. Milano, 31 marzo 2014, decr., in www.ilcaso.it.82 Cass., 11 giugno 2013, n. 14720, in Questioni dir. fam., 13 giugno 2013.83 ciVinini, Sottrazione internazionale di minori e legittimazione nel procedimento

di rimpatrio, in Fam. dir., 2000, 379.84 spina, op. cit., 427, afferma che l’attività di impulso processuale del p.m.

dà luogo ad “una sorta di rappresentanza dell’autorità centrale”, nell’interesse del richiedente, nell’adempimento di un obbligo internazionale.

85 chizzini, op. cit., 344 ss.86 Cass., 28 gennaio 1999, n. 746, in Fam. dir., 1999, 341.87 Cass., 11 agosto 2011, n. 17201, cit.88 spina, op. cit., 429.89 Cass., 29 novembre 2000, n. 15295, cit., con nota critica di preDini, che ri-

tiene sufficiente che la persona presso la quale il minore si trova e la parte istante siano stati informati dell’udienza e posti in grado di parteciparvi.

90 spina, op. cit., 435.

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DOSSIER La violenza nelle relazioni familiari

Il Tribunale è chiamato a decidere entro trenta giorni dalla data di ricezione della richiesta91, sentiti la persona presso cui si trova il minore, il pubblico ministero, e, se del caso, il minore mede-simo. Tempi così ristretti possono creare problemi rispetto alla garanzia del contraddittorio: le parti, d’altro lato, possono essere sentite anche con i meccanismi del regolamento n. 1206 (sulla raccolta delle prove all’estero) o tramite videoconferenza92. Il ter-mine in questione ha comunque natura ordinatoria, sicché, per la Cassazione, il provvedimento al riguardo, pur tardivamente adottato, non è affetto né da nullità né da decadenza93.

Poiché il procedimento è caratterizzato dall’estrema urgenza di provvedere nell’interesse del minore, la Cassazione, sul rilievo che la legge non prevede, per il deposito di atti, la citazione di testimoni, i preavvisi alle parti, le controdeduzioni, i termini e le modalità ordinariamente posti a garanzia del contradditto-rio, essendo questo assicurato dalla fissazione dell’udienza in camera di consiglio e dalla comunicazione alle parti del rela-tivo decreto, è giunta ad affermare che non costituisce motivo di nullità del procedimento la mancata concessione alle parti di un termine per esame e controdeduzione in ordine ad una relazione informativa del consultorio, acquisita agli atti il giorno precedente quello dell’udienza camerale, allorché di tale relazio-ne sia stata comunque consentita la visione alle parti presenti94.

In coerenza con questa ricostruzione, l’attività istruttoria è rapida e deformalizzata, con ampio utilizzo delle informazioni (tipiche del rito camerale) assunte del giudice nei modi ritenuti più opportuni nel caso concreto95, senza il necessario ricorso alle fonti di prova disciplinate nel codice di rito96. D’altra parte, come ha evidenziato la Corte di giustizia, in relazione all’accer-tamento della residenza abituale di un minore, una domanda di ritorno deve essere fondata su elementi rapidamente e facil-mente verificabili e, per quanto possibile, univoci97.

Sul piano dell’onere della prova, il genitore che ha chiesto il rientro del minore deve provare la legittimità del proprio di-ritto di affidamento o di custodia, mentre sta all’altro genitore, eventualmente, dimostrare la liceità del suo comportamen-to98. Si afferma inoltre che la persona, l’ente o l’organismo che si oppone al rientro del minore è tenuto a specificare la ra-gione dell’opposizione, fornendone adeguata dimostrazione, anche se non si esclude che il giudice possa e debba accertare, coi mezzi a sua disposizione, trattandosi di materia dominata dal principio dell’interesse del minore e dall’impulso ufficio-so, la reale sussistenza e le caratteristiche del motivo ostativo al rimpatrio come, nel caso, la gravità del rischio99.

91 Il termine previsto dalla norma è effettivamente piuttosto breve per gli standards italiani, ma i dati statistici dimostrano che l’attesa della decisione sulla richiesta di restituzione si colloca nel 77% dei casi sotto i sei mesi, in conformità alla legge di ratifica, la quale prevede che la decisione sia pronunciata entro trenta giorni dalla data di ricezione del ricorso del p.m.

92 spina, op. cit., 434.93 Cass., 31 marzo 2014, n. 7479, in Foro it., 2014, I, c. 1471.94 Cass., 4 luglio 2003, n. 10577, cit.95 Su questi aspetti v. spina, op. cit., 435, il quale esclude, in questo ambito,

la possibilità per il presidente di delegare ad un componente del collegio l’assun-zione delle informazioni in questione.

96 Cass., 5 ottobre 2011, n. 20365, cit.97 Corte giust., 8 giugno 2017, c. 111/17, OL c. PQ.98 spina, op. cit., 408. Di contrario parere tirini, La prova dei “diritti di affida-

mento” e della “residenza abituale” nel procedimento di sottrazione internazionale del minore”, in Aiaf Rivista, 2012, 1, 90, per cui il ricorrente dovrebbe provare anche che il minore sia stato trasferito senza il suo consenso. V. 93 ss. sulla prova delle condizioni ostative al rientro, ai sensi dell’art. 13 della con dell’Aja.

99 Cass., 4 luglio 2003, n. 10577, cit.

D’altro canto, l’onere per la persona, l’ente o l’organismo che si oppone al rientro del minore di dimostrare la sussistenza di una delle circostanze previste dall’art. 13 della convenzione non autorizza alcuna limitazione delle fonti di prova utilizza-bili dal giudice, proprio perché si tratta di materia dominata dal principio dell’interesse del minore. Ciò detto, in consi-derazione del carattere urgente e meramente ripristinatorio della situazione della procedura in esame100, la Cassazione ha escluso che il giudice adito sia obbligato a disporre una consulenza tecnica (ritenuta peraltro compatibile con il pro-cedimento in esame)101 o a chiedere informazioni all’Autorità centrale o ad altra Autorità dello Stato di residenza del mi-nore, essendo piuttosto tenuto a considerare le informazioni eventualmente fornite da tali Autorità senza attribuire loro un valore peculiare o addirittura poziore rispetto alle prove raccolte nel procedimento diretto ad accertare la sussistenza delle condizioni per l’emanazione dell’ordine di rientro102. In sostanza, il giudice competente non è tenuto a condividere le valutazioni dell’autorità giudiziaria estera103.

In quest’ottica, la scelta delle fonti del convincimento del giudice è affidata in via esclusiva al “prudente apprezzamen-to” del giudice, non sindacabile in sede di legittimità, salva la decisività del dato probatorio omesso104.

Il Tribunale decide con decreto, di cui si prevede l’imme-diata esecutività.

Contro tale provvedimento può essere proposto ricorso per cassazione105, anche da parte della persona che ha presentato l’istanza di rientro106 e pure dal p.m.107, ma la presentazione del ricorso non ne sospende l’esecuzione. Il relativo termine breve, attesa la natura bilaterale del procedimento, decorre solo dalla notifica del provvedimento, in mancanza della qua-le opera il termine lungo di cui all’art. 327 c.p.c.108.

In una materia come questa, d’altro canto, i margini per proporre un’impugnazione di legittimità non sono partico-larmente ampi. In particolare, si è negato che il controllo di legittimità possa riguardare il riesame della valutazione degli elementi probatori considerati dal giudice di merito, essendo l’ambito del giudizio limitato al riscontro, sulla base delle cen-sure prospettate, della carenza e della esaustività della motiva-zione109. Tale ambito appare oggi ancora più limitato, almeno in base alla formulazione letterale del nuovo n. 5 dell’art. 360 c.p.c., come modificato dalla recente riforma dell’estate 2012.

Il fatto che il decreto del Tribunale per i minorenni sia sog-getto solo a ricorso in cassazione fa dire alla dottrina che esso non sia soggetto al regime della piena revocabilità ex art. 742

100 Cass., 11 agosto 2011, n. 17201, cit.101 Cass., 19 dicembre 2003, n. 19546, in Giust. civ. Mass., 2004, 2.102 Cass., 27 luglio 2007, n. 16753, cit.; De santi, Sottrazione internazionale

di minori e rischio per la loro incolumità, in Corr. giur., 2012, 518. A questo ri-guardo Cass., 4 luglio 2003, n. 10577, cit., afferma che la norma dell’art. 13 della convenzione non può limitare il giudizio da rendersi allorché il rischio di danno prospettato non dipenda esclusivamente da circostanze verificabili nel luogo della residenza abituale.

103 Cass., 26 settembre 2016, n. 18846, in Fam. dir., 2017, 5.104 Cass., 23 gennaio 2013, n. 1527, cit.105 spina, op. cit., 450 definisce “inusuale” la scelta di tale mezzo di impugna-

zione. ciVinini, op. cit., 380, evidenzia che, sul piano pratico, i tempi del proce-dimento in Cassazione non potranno revocare le conseguenze dell’immediata esecutività del provvedimento impugnato.

106 chizzini, op. cit., 345.107 Cass., 8 febbraio 2017, n. 3319.108 chizzini, op. cit., 344.109 Cass., 5 ottobre 2011, n. 20365, cit.

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La violenza nelle relazioni familiari DOSSIER

c.p.c. ma solo a quello della c.d. revoca impropria, richiedibi-le al verificarsi di un mutamento nelle circostanze110.

Rispetto all’esecuzione del decreto, si prevede l’iniziativa del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni, il quale potrà avvalersi anche dei servizi minorili dell’amministrazione della giustizia. Il p.m. deve dare imme-diatamente avviso all’Autorità centrale dell’esecuzione da lui intrapresa111.

Qualora, nel corso della procedura di rimpatrio, il genitore a cui il minore dovrebbe essere restituito muoia, il relativo iter dovrà essere interrotto, in attesa che l’autorità competente dello Stato richiedente individui il soggetto legittimato a pro-seguire la procedura stessa112.

In alternativa a quanto precede, resta salva la facoltà per l’interessato (ovvero il genitore che ha subito la sottrazione del minore) di adire direttamente le competenti autorità giu-diziarie, a norma dell’articolo 29 della convenzione.

5. La sottrazione internazionale di minori nel rego-lamento n. 2201

Nell’ambito dello spazio comune di giustizia europeo, i conflitti tra giurisdizioni in materia di child abduction sono considerati idonei ad intaccare i pilastri su cui quello stesso spazio è co-struito e dunque da prevenire in ogni modo113. Per tale motivo, ad integrazione di quanto previsto dalla convenzione dell’Aja, il regolamento stabilisce, sul piano sostanziale, che un’autorità giurisdizionale non possa rifiutare di ordinare il ritorno di un minore in base all’art. 13, lett. b) della convenzione stessa qua-lora sia dimostrato che, nello Stato membro di provenienza, sono previste misure adeguate per assicurare la protezione del minore dopo il suo ritorno114 ovvero, a livello procedurale, sen-za avere dato la possibilità di essere ascoltata alla persona che abbia chiesto il ritorno del minore (art. 11, para. 5). Tale ultima

110 V. chizzini, op. cit., 344; spina, op. cit., 448.111 Maggiori dettagli in spina, op. cit., 453.112 In questo senso Trib. min. Roma, 9 novembre 1999, cit., in una fatti-

specie molto drammatica, in cui, dopo la pronuncia del decreto di rientro, il padre “rapitore” aveva ucciso la madre: la procedura era dunque stata sospesa in attesa della nomina del soggetto legittimato a portarla avanti (nella specie, il nonno materno).

113 Per un’attenta analisi statistica dell’applicazione dell’art. 13 della conven-zione nei rapporti tra gli Stati membri, triMMings, op. cit., passim, che giunge a concludere che, sebbene i casi previsti da tale norma – ed in particolare quello della lettera b) – siano i più utilizzati per negare il rientro dei minori sottratti, dal punto di vista percentuale il ruolo della norma è tutto sommato contenuto. L’a. giunge così a confutare la tesi per cui fosse necessario introdurre nel regolamen-to n. 2201 le norme qui in esame per contrastare un utilizzo troppo ampio delle eccezioni previste dall’art. 13.

114 Su tali “misure adeguate” v. pataut, Commento all’art. 11, in Brussels II bis Regulation, a cura di Magnus, Mankowski, Monaco, 2012, 137; v. pure Diste-Fano, Interesse superiore del minore e sottrazione internazionale di minori, Padova, 2012, 105 ss. Per alcuni, tale norma imporrebbe un vero e proprio obbligo per le corti del paese di origine del minore di valutare la necessità di adottare misure cautelari in modo tale da ottenere la cosiddetta “restituzione senza pericolo”, ovvero il ritorno del minore presso la sua residenza abituale, con la garanzia di potervi permanere in una situazione protetta: con queste parole salzano, Sui rapporti intercorrenti (e sulle reciproche implicazioni) tra il c.d. Regolamento di Bru-xelles II bis e la Convenzione de L’Aja del 25 ottobre 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale dei minori: per una maggiore effettiva loro tutela, in Dir. fam., 2012, 106. L’a. segnala anche la diversità di posizioni tra quanti ritengono che le “misure adeguate” dovrebbero essere “concrete, effettivamente applicate e finalizzate alla protezione giuridica, materiale e psicologica del minore” e quelli per cui, invece, sarebbe sufficiente il fatto che le misure protettive siano contem-plate dall’ordinamento e possano, alla bisogna, essere tempestivamente attivate. Critica rispetto all’efficacia di questa previsione triMMings, op. cit., 137 ss.

previsione vuole, ovviamente, garantire il diritto del genitore istante di farsi sentire direttamente dal giudice cui si è rivolto, in applicazione del principio dell’immediatezza. Si è però evi-denziato che si tratta di una disposizione di dubbia utilità, dal momento che, come si è visto, la parola finale sul rientro la può pronunciare soltanto il giudice dello Stato da cui il minore è stato illegittimamente prelevato115.

Il regolamento, inoltre, esprime un favor rafforzato per il rientro del minore nello Stato d’origine116: policy che, almeno sulla carta, appare compatibile con i principi sulla cui base è stato edificato il sistema di cooperazione e collaborazione tra le autorità giurisdizionali degli Stati membri117, ovvero la fi-ducia reciproca tra gli Stati membri e l’equivalenza delle giuri-sdizioni. La normativa europea, dunque, “supera” la conven-zione, mirando ad escludere conflitti tra le decisioni emesse nello Stato di partenza ed in quello di arrivo, attribuendo, a tal fine, prevalenza esclusiva ai provvedimenti sul rientro del minore emessi nel primo Stato118 ed escludendo che le corti dello Stato in cui si trova il minore possano neutralizzare tali provvedimenti con proprie decisioni di segno contrario119.

Tra convenzione del 1980 e regolamento n. 2201 vi sono evidenti assonanze testuali: in effetti, in questa materia, il legi-slatore europeo ha chiaramente inteso adattarsi alla “termino-logia” della convenzione. Ai sensi dell’art. 2, n. 9 del regola-mento, infatti, sulla falsariga di quanto già esaminato rispetto alla convenzione (v. supra), il “diritto di affidamento” è defini-to con riferimento ai diritti e doveri concernenti la cura della persona di un minore, in particolare il diritto di intervenire nella decisione riguardo al suo luogo di residenza. Il “diritto di visita”, invece, viene inteso, in particolare, come il diritto di condurre il minore in un luogo diverso dalla sua residenza abituale per un periodo limitato di tempo (art. 2, n. 10).

Anche rispetto alla nozione di trasferimento o mancato rien-tro illecito di un minore si registra “assonanza terminologica” tra regolamento e convenzione120. Ai sensi dell’art. 2, n. 11 del regolamento, infatti, per “trasferimento illecito o manca-to ritorno del minore”121 deve intendersi il trasferimento o il mancato rientro di un minore che avvenga in violazione dei diritti di affidamento122 derivanti da una decisione, dalla

115 V. pataut, Commento all’art. 11, cit., 139, per cui la previsione in esame potrebbe essere soddisfatta anche da una mera deposizione scritta.

116 V. anche pataut, Commento all’art. 11, cit., 129. Per una critica a tale im-postazione triMMings, op. cit., passim: l’a., in particolare, contesta l’approccio del legislatore europeo, volto a favorire il rientro dei minori sottratti senza troppo preoccuparsi della sicurezza dei minori stessa e del genitore che sia costretto a tornare con loro, spesso la madre che si afferma vittima di violenza domestica (v. in particolare 151 ss. rispetto all’inefficacia della disposizione introdotta dall’art. 11, para. 4 del regolamento n. 2201).

117 V. MceleaVy, op. cit., 46.118 Per Cass., 14 luglio 2010, n. 16549, cit., il giudice della “residenza abi-

tuale immediatamente prima del trasferimento o del mancato rientro” del mino-re è quello più vicino all’ambiente familiare e sociale vissuto dal minore prima dell’illecito trasferimento”. Sull’evoluzione del regolamento n. 2201 in questo ambito, pataut, Commento all’art. 10, in Brussels II bis Regulation, a cura di Ma-gnus, Mankowski, Monaco, 2012, 120.

119 V. pataut, Commento all’art. 11, cit., 130; paton, op. cit., 550; Corte giust., 22 dicembre 2010, c. 491/10 PPU, Andoni Aguirre Zarraga c. Pelz.

120 Mette in evidenza questa assonanza terminologica Trib. min. Bari, 12 gennaio 2011, decr., in Riv. dir. internaz. priv. proc., 2011, 1113.

121 In realtà, parte maggioritaria della dottrina sembra ritenere che il rego-lamento, in coerenza con quanto previsto dalla convenzione de L’Aja del 1980, non si applichi a tutti i “minorenni”, ma solo a quelli di età inferiore ai 16 anni: v. Kruger, op. cit., 17 ss. L’A., 27 ss., mette in evidenza che la grande maggioranza dei figli “sottratti” ha meno di 7 anni.

122 La norma qui esame, come la Corte di giustizia ha chiarito, pur facendo

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DOSSIER La violenza nelle relazioni familiari

legge o da un accordo vigente in base alla legislazione dello Stato membro nel quale il minore aveva la sua residenza abi-tuale immediatamente prima del suo trasferimento o del suo mancato rientro (lett. a)123 e se il diritto di affidamento era effettivamente esercitato, individualmente o congiuntamente, al momento del trasferimento del minore o del suo mancato rientro, o lo sarebbe stato se non fossero sopravvenuti tali eventi (lett. b)124. Non è inclusa in tale definizione, però, la violazione di un diritto di visita o di ospitare125.

Per la Corte, integra una violazione del diritto di affidamen-to, inteso nel senso che precede, il mancato ritorno del mino-re nello Stato membro d’origine in seguito ad una decisione giudiziaria di tale Stato membro che fissa la residenza del mi-nore presso il domicilio del genitore residente in tale Stato, poiché il diritto di affidamento include, secondo l’art. 2, n. 9, il diritto di decidere sul luogo di residenza del minore126.

La norma specifica anche che l’affidamento si considera esercitato congiuntamente da entrambi i genitori quanto uno dei titolari della responsabilità genitoriale non possa, confor-memente ad una decisione o al diritto nazionale, decidere il luogo di residenza del minore senza il consenso dell’altro tito-lare della responsabilità genitoriale.

Rispetto alla sottrazione internazionale di minori, la nor-mativa europea opera su due livelli: in primo luogo, intro-duce un sistema integrato di norme sulla giurisdizione, per risolvere i conflitti di attribuzioni tra corti nazionali che di sovente sorgono in questo contesto; inoltre, prevede regole processuali ad hoc per la trattazione delle istanze di rientro presentate ai sensi della convenzione dell’Aja del 1980, di cui si giunge ad integrare la disciplina procedimentale.

Dal primo punto di vista, il regolamento n. 2201 non in-terferisce con l’art. 6 della convenzione ma introduce alcune regole per disciplinare il conflitto di giurisdizioni tra gli Stati membri, rispetto alle controversie in materia di responsabili-tà genitoriale su un minore, in caso di illecito trasferimento/trattenimento del minore stesso. In tale ipotesi, infatti, ai sen-si dell’art. 10, la giurisdizione resta comunque radicata nello Stato in cui il minore stesso era in precedenza abitualmente residente127. In questo modo, si cerca di evitare che il genitore che sottrae la prole possa adire le corti dello Stato in cui lo ha

riferimento ad una nozione da interpretare in modo autonomo, rinvia, quanto al concetto di “diritto di affidamento” alla legge nazionale applicabile (nella fatti-specie decisa, con riferimento alla posizione di un padre nei confronti del figlio naturale): Corte giust., 5 ottobre 2010, c. 400/10 PPU, J.McB. c. L.E.

123 Della determinazione della residenza abituale di un minore trasferito all’e-stero in forza di un provvedimento giudiziario non definitivo ma immediatamen-te esecutivo, poi revocato in sede di impugnazione, si è occupata Corte giust., 9 ottobre 2014, c. 376/14 PPU, C.c. M, in Riv. dir. internaz. priv. proc., 2015, 200.

124 In materia, Cass., 4 luglio 2012, n. 11156, per cui l’accertamento in or-dine al concreto ed effettivo esercizio del diritto di affidamento di un genitore non è sindacabile in Cassazione se sorretto da sufficiente motivazione immune da vizi logici.

125 Corte giust., c. C c. M, cit.126 Corte giust., c. C c. M, cit.127 In Italia, alla stessa conclusione si giunge anche nella determinazione del

giudice territorialmente competente in caso di trasferimento occulto o avvenuto contro il dissenso dell’altro genitore: v. ad esempio, App. Bari, 11 maggio 2012, n. 732, in Guida dir., 2013, 2, 66, che richiama espressamente, in motivazione, i principi sottesi alla convenzione del 1980 e al regolamento Bruxelles II bis. Come afferma App. min. Bologna, 26 aprile 2012, n. 612, in www.giuraemilia.it: “la residenza abituale che deve prendersi in considerazione ai fini della giu-risdizione è sempre quella che aveva il minore immediatamente prima del tra-sferimento”.

illecitamente portato per cercare di farselo affidare128. Il giudi-ce dello Stato della (precedente) residenza abituale sarà così in grado di emettere un provvedimento comunque destinato a prevalere su quello eventualmente emesso nell’altro Stato membro129. Nella sostanza, si viene a creare uno sdoppia-mento di competenza tra procedimento sul merito dell’affida-mento e procedimento sul rientro ai sensi della convenzione dell’Aja130.

Al riguardo, la nostra Cassazione ha precisato che uno spo-stamento della residenza abituale del minore non si realizza neppure quando questi sia stato portato all’estero in forza di un provvedimento giudiziario interinale ed urgente131.

La giurisdizione dello Stato d’origine è comunque destinata a venire meno dopo il decorso di un lasso di tempo ritenuto sufficiente per considerare la prole ormai inserita nel nuovo contesto sociale e familiare in cui si è venuta a trovare a segui-to dell’abduction132. In particolare, tale competenza cessa di operare quando il minore abbia fissato la propria residenza abituale nel nuovo Stato e ciascuna persona, istituzione o altro ente titolare del diritto di affidamento abbia accettato il trasferimento o il mancato rientro133, ovvero se, trascorso un anno da quando la persona, istituzione o altro ente titolare del diritto di affidamento abbia avuto conoscenza, o avrebbe dovuto avere conoscenza, del luogo in cui il minore si trova-va134, il minore si sia integrato nel nuovo ambiente, e, entro tale lasso di tempo:

– non sia stata presentata una domanda di ritorno del mi-nore dinanzi alle autorità competenti dello Stato membro nel quale il minore è stato trasferito o dal quale non ha fatto rientro135, ovvero

128 Al riguardo, App. min. Bologna, 26 aprile 2012, n. 612, cit., afferma che la norma “è volta ad impedire che colui il quale ha consumato un’illecita sot-trazione di minore possa anche scegliersi l’autorità giurisdizionale competente a conoscere il caso, sottraendola a quella dell’altro stato che ritiene meno fa-vorevole”.

129 V. pure Cass., 12 maggio 2015, n. 9632.130 Cass., 12 maggio 2015, n. 9632.131 Cass., sez. un., 2 agosto 2011, n. 16864, in Fam. dir., 2012, 29.132 V. pure pataut, Commento all’art. 10, in Brussels II bis Regulation, a cura di

Magnus, Mankowski, Monaco, 2012, 121.133 V. pataut, op. cit., 123, che osserva: “the courts should be particularly cau-

tious and ensure that acquiescence is certain, even if it is not expressly given”. L’Autore evidenzia che un comportamento meramente “passivo” del titolare della potestà non dovrebbe essere sufficiente per essere considerato come “accettazio-ne” del trasferimento.

134 A questo riguardo, il regolamento prevede una regola “temporale” diversa rispetto alla convenzione: qui, infatti, il decorso dell’anno è collegato alla possi-bilità di conoscere il luogo in cui il minore sia stato trasportato. In altre parole, un eventuale periodo di “clandestinità” non rileva ai fini dell’integrazione del minore nella nuova realtà: v. anche BaruFFi, Discrezionalità del giudice e rimpatrio del minore in caso di legal kidnapping, in Int’l lis, 2005, 2, 84, con riferimento al caso deciso da Court of appeal inglese, 19 ottobre 1984, c. Cannon v. Cannon, ivi, 82. pataut, op. cit., 125, evidenzia che da questo “iato” tra convenzione e rego-lamento può derivare una situazione in cui una Corte si trovi nell’impossibilità di ordinare il rientro al minore, essendo al contempo priva di giurisdizione per decidere in merito all’affidamento del minore stesso. In questo scenario, peral-tro, si deve oggi tenere conto dell’art. 7 della convenzione dell’Aja del 1996 che fa decorrere il termine di un anno ai fini del radicamento della nuova residenza del minore dal momento in cui si è acquisita o si sarebbe dovuto acquisire la conoscenza del luogo in cui il minore si trova: v. BaruFFi, La convenzione dell’Aja del 1996 sulla tutela dei minori nell’ordinamento italiano, in Riv. dir. internaz. priv. proc., 2016, 994.

135 Trib. min. Bologna, 19 dicembre 2013, in Int’l lis, 2014, 89 mette in rilie-vo che il mancato rientro di un minore non può radicare la giurisdizione presso lo Stato di dimora attuale del minore stesso, tutte le volte in cui il genitore non sia rimasto inerte, ma abbia inteso far valere l’autorità del giudicato presso lo Stato di dimora attuale.

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La violenza nelle relazioni familiari DOSSIER

– sia stata ritirata una domanda di ritorno presentata dal titolare del diritto di affidamento e non ne sia stata pre-sentata una nuova, o

– un procedimento dinanzi all’autorità giurisdizionale del-lo Stato membro nel quale il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima del trasferimento o del mancato rientro sia stato definito a norma dell’art. 11, para. 7;

– l’autorità giurisdizionale dello Stato membro nel quale il minore aveva la residenza abituale immediatamente pri-ma dell’illecito trasferimento o del mancato ritorno abbia emanato una decisione di affidamento che non prevede il ritorno del minore. A quest’ultimo riguardo, i giudici europei hanno spiegato che tale disposizione deve es-sere intesa in senso restrittivo, con riferimento solo a una decisione definitiva, adottata sulla scorta di una disamina completa dell’insieme degli elementi pertinenti, con la quale il giudice competente si pronuncia sulla disciplina della questione dell’affidamento del minore, ancorché passibile di revisione o riesame periodico entro un certo periodo136.

Al verificarsi delle condizioni appena elencate, nei rappor-ti tra Stati membri dell’Unione, il criterio di collegamento dell’art. 10 viene meno e torna ad operare il criterio generale posto dall’art. 8 (ovvero la – attuale – residenza abituale del minore).

In sostanza, il termine di un anno, a fronte dell’inerzia dell’al-tro genitore, è ritenuto congruo ai fini del radicamento del minore nel suo nuovo contesto di riferimento137: il medesimo limite temporale, d’altro canto, nella convenzione dell’Aja, come si è visto, segna il confine tra il rientro obbligatorio e quello “discrezionale”.

6. Regole processuali uniformi in materia di child abduction

La ratio delle norme del regolamento in materia di trasfe-rimento illecito di minore, in caso di valutazioni divergenti tra il giudice della residenza abituale del minore e quello del luogo in cui egli è stato portato illegalmente, è di attribuire competenza esclusiva a decidere sul ritorno del minore stesso al primo giudice, senza interferenze da parte del secondo138. In questo modo, si cerca di frustrare le aspettative di quei geni-tori che, dopo aver portato illecitamente un minore all’este-ro, ne chiedano poi l’affidamento alle autorità del paese ove questi è stato condotto, per ottenere una sorta di ratifica ex post del proprio operato.

Per realizzare tale obiettivo (e, in generale, per rendere più efficienti le procedure in materia di sottrazione internazionale di minori), il regolamento introduce, all’art. 11, alcune regole processuali uniformi, per l’ipotesi in cui una persona, un’isti-tuzione o un altro ente titolare del diritto di affidamento adisca le autorità competenti di uno Stato membro affinché emanino

136 Corte giust., 1° luglio 2010, c. 211/10 PPU, Povse c. Alpago.137 L’inerzia del genitore richiedente, della durata di circa sette mesi, è uno

degli argomenti considerati da Trib. min. Emilia Romagna, 13 ottobre 2016, decr. per respingere la domanda di rientro presentata da un padre residente in Inghilterra, molti mesi dopo essere stato citato in giudizio in Italia dalla moglie per la decisione sull’affidamento della prole minorenne.

138 Corte giust., 22 dicembre 2010, c. 491/10 PPU, Andoni Aguirre Zarraga c. Pelz.

un provvedimento in base alla convenzione de L’Aja del 1980 per ottenere il ritorno di un minore illecitamente trasferito o trattenuto in uno Stato membro diverso dallo Stato membro nel quale il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima dell’illecito trasferimento o mancato ritorno (art. 11)139.

Si tratta di norme che, in sostanza, senza avere natura auto-noma140, entrano di diritto nella disciplina processuale degli Stati membri, integrandosi e, se del caso, imponendosi alle disposizioni nazionali che disciplinano la materia. Ovviamen-te, tali norme comuni possono operare solo qualora lo Stato di origine e quello di “arrivo” del minore appartengano entram-bi all’Unione141. Esse, inoltre, vengono in rilievo solo in caso di applicazione dell’art. 13 della Convenzione del 1980142.

Anche il regolamento n. 2201 esprime l’urgenza di decidere sull’istanza di rientro, ribadendo a sua volta che l’autorità giu-risdizionale adita deve procedere al pronto trattamento della domanda, utilizzando le procedure più rapide previste nella legislazione nazionale. Il regolamento, al riguardo, stabilisce che, salve circostanze eccezionali, il provvedimento debba es-sere emanato entro sei settimane143. Si tratta di una disposizio-ne priva di valore precettivo144 ma di cui si deve apprezzare l’intento di sensibilizzare il legislatore e le Corti nazionali a dedicare a queste procedure regole idonee a garantire la rapi-dità delle decisioni e un canale preferenziale rispetto ai giudizi “ordinari”145. Le enunciazioni del regolamento impongono, in effetti, agli Stati membri di predisporre meccanismi proce-durali improntati all’urgenza, con una cognizione rapida, che valorizzi la natura lato sensu cautelare del provvedimento che mira a ricostituire, senza dilazioni, lo status quo esistente pri-ma della sottrazione o del mancato rientro del minore. A ben vedere, il procedimento in esame non ha ad oggetto il merito della controversia relativa alla migliore sistemazione possibile del minore, ma solo il ripristino della situazione precedente146.

139 Corte giust., c. C c. M, cit., pone l’accento appunto sul fatto che l’art. 11, para. 1 possa essere applicato per accogliere la domanda di ritorno solo se il minore, immediatamente prima del presunto mancato ritorno illecito, aveva la sua residenza abituale nello Stato membro d’origine. È dunque compito del giu-dice dello Stato membro in cui il minore è stato trasferito verificare se il minore avesse la sua residenza abituale nello Stato membro d’origine immediatamente prima del presunto trasferimento o mancato ritorno illecito, avendo presente tutte le circostanze di fatto specifiche di ciascuna fattispecie, in ossequio ai criteri di valutazione forniti dalla giurisprudenza della Corte.

140 pataut, op. cit., 130, osserva che esse “giv[e] a complete legal framework for international abduction litigation”, con una combinazione tra diritto euro-peo e diritto internazionale.

141 pataut, Commento all’art. 11, in Brussels II bis Regulation, a cura di Magnus, Mankowski, Monaco, 2012, 131.

142 pataut, Commento all’art. 11, cit., 138.143 L’analisi statistica compiuta da triMMings, op. cit., 93 ss., 161 ss., dimo-

stra che, di media, in nessun paese europeo tale termine è in effetti rispettato e che dal 2003 al 2008 la situazione è pure peggiorata, in particolare per quanto riguarda la durata dei procedimenti che si chiudono con un rifiuto del rientro. L’Inghilterra è la giurisdizione che garantisce i tempi più rapidi per la definizione dei procedimenti in questo ambito.

144 Scrive al riguardo Kruger, op. cit., 123: “there is no sanction attached to this rule, and one can hardly think of a possible sanction”.

145 V. pure pataut, Commento all’art. 11, cit., 134; l’a. affronta anche la que-stione se, nel termine di sei mesi, il procedimento si debba sviluppare in tutti i suoi possibili gradi di giudizio oppure si debba giungere soltanto ad un prov-vedimento eseguibile. La seconda soluzione appare preferibile, anche perché la prima sembra difficilmente realizzabile anche negli ordinamenti giudiziari più rapidi ed efficienti (salva la possibilità, ovviamente, che un ordinamento escluda tout court qualsiasi possibilità di impugnare il provvedimento di prime cure).

146 Cass., 5 ottobre 2011, n. 20365, in Corr. giur., 2012, 515; Cass., 11 agosto 2011, n. 17201, cit.; Trib. min. Milano, 23 dicembre 2011, decr., in Dir. fam., 2012, 1171. spina, op. cit., 372, peraltro, evidenzia che il procedimento in que-stione non è finalizzato alla tutela possessoria del genitore cui è stato sottratto il

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DOSSIER La violenza nelle relazioni familiari

Sul piano delle best practices, per rispettare il limite tem-porale posto dal regolamento, viene raccomandato, tra l’al-tro, l’utilizzo del case management, l’attribuzione di un canale preferenziale ai casi internazionali rispetto a quelli interni, la formazione specializzata dei giudici, la standardizzazione del-le procedure147. L’Italia, da questo punto di vista, a differenza da altri ordinamenti, non ha ancora ritenuto di introdurre una normativa di raccordo tra regolamento e disciplina processuale interna: come si vedrà, questo ha “costretto” la Cassazione a ri-correre all’applicazione analogica delle norme procedurali della legge n. 64 del 1994 (di ratifica in Italia della Convenzione de L’Aja del 1980) anche ai fini dell’applicazione dell’art. 11 del regolamento.

Il regolamento n. 2201, integrando le disposizioni della convenzione, precisa che, nell’applicare gli art. 12 e 13 della convenzione stessa, il giudice nazionale durante il procedi-mento debba ascoltare il minore, se ciò non appaia inoppor-tuno in ragione della sua età148 o del suo grado di maturità149. Oggi, in effetti, il principio che il minore debba essere sentito nei procedimenti che lo riguardano è entrato a pieno titolo nel diritto processuale degli Stati membri. Il legislatore eu-ropeo ha comunque voluto introdurre una regola uniforme, da applicare e rispettare, se del caso in integrazione (o anche contro) le disposizioni nazionali in materia. In Italia, peraltro, come ben noto, da tempo si è affermata la necessità di tale ascolto come condizione di validità del procedimento riguar-dante il minore: il nuovo art. 315-bis c.c., introdotto dalla legge n. 219 del 2012, ha, in effetti, previsto tale ascolto in ogni procedimento che riguarda il minore.

Nell’ambito del giudizio per il mancato rientro nella origi-naria residenza abituale, peraltro, la Cassazione aveva inizial-mente rilevato che l’audizione del minore non fosse imposta per legge, in ragione del carattere urgente e meramente ripri-stinatorio della situazione di tale procedura. Tuttavia, anche alla luce dell’art. 11 del regolamento n. 2201, aveva aggiunto che pure nel procedimento in questione l’audizione del mi-nore fosse in via generale necessaria, onde potere valutare, ai sensi dell’art. 13, comma 2 della convenzione, l’eventuale op-posizione del minore al ritorno150. Più di recente, però, la Cor-te di legittimità ha preso una posizione più netta, invertendo i termini della questione, nel contesto normativo innovato dalla riforma del 2012, affermando che anche in questo contesto l’a-scolto del minore costituisce adempimento necessario ai sensi dell’art. 315-bis c.c., anche in mancanza di previsione norma-tiva di obbligatorietà desumile dall’art. 7, comma 3 della legge

figlio bensì alla tutela del diritto del bambino a vivere nel suo ambiente di vita e a beneficiare del complesso di relazioni interpersonali che fanno parte del suo mondo. In questo senso anche Trib. min. Roma, 9 novembre 1999, decr., in Fam. dir., 2000, 375. Al riguardo, si è coerentemente affermato che tra il pro-cedimento speciale per il rimpatrio del minore e il giudizio ex art. 317-bis c.c., sull’affidamento del minore stesso, non esiste un nesso di pregiudizialità idoneo a giustificare la sospensione del secondo procedimento ex art. 295 c.p.c. Trib. min. Roma, 23 novembre 1999, decr., in Dir. fam., 2000, 1143, con nota DanoVi, Sottrazione internazionale di minori e conflitti di giurisdizione, ivi, 1149.

147 Article 11 Working Group - Information on national proceedings, cit., 14.148 Per Cass., 31 marzo 2014, n. 7479, in Foro it., 2014, I, c. 1471, un bam-

bino di 4 anni correttamente non è stato ascoltato dal giudice di merito, anche in ragione delle forti pressioni cui il minore stesso era esposto. V. ippoliti Martini, Sottrazione internazionale di minori e mancata audizione del fanciullo in tenera età, in Fam. dir., 2014, 154.

149 Al riguardo, v. triMMings, op. cit., 182 ss.150 Cass., 19 maggio 2010, n. 12293, in Riv. dir. internaz. priv. proc., 2011,

225; Cass., 11 agosto 2011, n. 17201, cit.

n. 64 del 1994151. La Suprema Corte ha, peraltro, precisato che, pure in questo ambito, l’ascolto del minore può essere escluso, oltre che da una valutazione di non idoneità della pro-le a renderla (per età o stati psichici particolari), anche qualora essa possa recare danni gravi alla serenità del destinatario152 o esser comunque contrario agli interessi del minore153.

Questo approccio appare compatibile con il testo dell’art. 11 che, invero, non si esprime in termini di “doverosità” dell’ascolto da parte del giudice quanto di “possibilità” per il minore di fare sentire la propria voce: formulazione che por-ta alcuni interpreti a dubitare che la corte debba, di propria iniziativa, interpellare il minore per verificare se questi voglia essere ascoltato154.

La Cassazione155 ha pure specificato, già prima dell’introdu-zione dell’art. 336-bis, comma 3° c.c. ad opera del decreto le-gisl. n. 154 del 2013, che il minore, prima di essere ascoltato, deve ricevere ogni informazione pertinente al caso, in modo da consentirgli di meglio comprendere i termini della vicenda in cui è coinvolto e che l’esito del colloquio consente al giu-dicante di valutare direttamente se sussista o meno il fondato rischio, per il minore, di essere esposto, per il fatto del suo ritorno, a pericoli fisici e psichici, o comunque di trovarsi in una situazione intollerabile156.

Le dichiarazioni e le risposte del minore, anche in questo ambito, d’altro canto, non sono vincolanti per il giudice, che delle stesse può non tenere conto, dandone adeguata moti-vazione157. Anche qualora il minore esprima parere contrario al ritorno (circostanza rilevante ai sensi dell’art. 13 della con-venzione dell’Aja, come si è visto), in particolare, la suprema Corte ha ribadito che il giudice di merito non è vincolato da tale volontà, conservando al riguardo un potere discrezionale di valutazione, che esclude qualsiasi automatismo, dovendosi al riguardo considerare anche l’esistenza di eventuali “ragio-ni diverse”158. La valutazione del giudice dovrà tenere conto, a questo riguardo, del discernimento del minore, in ragione dell’età e della maturità del minore stesso, la cui volontà può essere valorizzata per respingere l’istanza di rientro159. Per la Cassazione, nello specifico, ove le risposte del minore siano indeterminate e non consentano di rilevare la volontà di que-sti, non potrebbe dirsi integrata la condizione ostativa previ-

151 Cass., 8 febbraio 2017, n. 3319. V. anche Cass., 26 settembre 2016, n. 18846, in Fam. dir., 2017, 5.

152 Cass., 27 luglio 2007, n. 16753, cit.; Cass., 19 maggio 2010, n. 12293, cit.; Cass., 23 gennaio 2013, n. 1527, cit., con riferimento ad un bambino di quattro anni.

153 Cass., 31 marzo 2014, n. 7479, in Foro it., 2014, I, c. 1471, che ritiene congrua la motivazione del giudice di merito che aveva escluso l’ascolto del minore, comunque sentito dai servizi sociali, per l’elevata conflittualità esistente tra i coniugi.

154 pataut, Commento all’art. 11, cit., 133.155 Cass., 27 luglio 2007, n. 16753, cit.156 In questo senso, di recente, Cass., 11 agosto 2011, n. 17201, cit.157 pataut, Commento all’art. 11, cit., 132 afferma peraltro, con riferimento

all’analoga norma della convenzione del 1980: “statistics show that this pro-vision […] is seldom used as a basis for the non-return order”; triMMings, op. cit., 196.

158 Cass., 27 aprile 2004, n. 8000, in Riv. dir. internaz. priv. proc., 2005, 115; Cass., 26 settembre 2016, n. 18846, in Fam. dir., 2017, 5. Cass., 5 marzo 2014, n. 5237, in Foro it., 2014, I, c. 1067, peraltro, ritiene che possa costituire auto-noma fattispecie ostativa al rientro la volontà contraria manifestata dal minore il quale, ascoltato dal giudice, abbia un’età ed una maturità tali da giustificare il rispetto della sua posizione. In arg., taccini, Sottrazione internazionale: sul rimpa-trio sceglie il minore capace di discernimento, in Nuova giur. civ. comm., 2014, I, 796.

159 Cass., 25 maggio 2016, n. 10817, in Fam. dir., 2016, 808.

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La violenza nelle relazioni familiari DOSSIER

sta dall’art. 13 della convenzione. A diverse conclusioni deve invece giungersi a fronte di una chiara determinazione di vo-lontà. In caso, poi, di permanenza del dubbio, pur a fronte di rifiuto del minore, si deve procedere ad un approfondimento istruttorio e autonomo, ad esempio mediante c.t.u. o con mo-delli di ascolto del minore più adeguati160.

7. Il riesame della decisione sul diniego di rientro ai sensi dell’art. 13

Come si è anticipato, il legislatore europeo ha creato un sistema in cui la decisione finale in materia di ritorno del minore spetta al giudice dello Stato “di provenienza”, ove sia tempestivamente attivato un procedimento in tal senso, anche dopo un provve-dimento di non rientro emesso dal giudice dello Stato in cui il minore si trova: la pronuncia di un tale provvedimento in forza all’art. 13 della convenzione dell’Aia, infatti, non impedisce l’e-secuzione di una successiva decisione che ne prescriva il ritorno emanata da un giudice competente ai sensi del regolamento, conformemente alla sezione 4 del capo III (art. 11, para. 8)161.

Il presupposto applicativo di tale meccanismo processuale è che la richiesta ai sensi della convenzione dell’Aja provenga dallo Stato membro in cui il minore aveva la sua residenza abituale immediatamente prima del mancato rientro162.

In effetti, nei rapporti tra gli Stati membri dell’Unione, qua-lora un giudice nazionale respinga la richiesta di ritorno di un minore in base all’art. 13 della convenzione163, non si può limitare ad un provvedimento di rigetto della relativa istan-za164: egli, infatti, ai sensi dell’art. 11, para. 6 del regolamento, è tenuto immediatamente a trasmettere (direttamente ovvero tramite la sua Autorità centrale) una copia del proprio prov-vedimento e dei pertinenti documenti (in particolare, una trascrizione delle audizioni svoltesi dinanzi a lui)165 all’auto-rità giurisdizionale competente166 o all’Autorità centrale dello Stato membro nel quale il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima dell’illecito trasferimento o mancato ritorno, come stabilito dalla legislazione nazionale. Tale co-municazione deve avvenire entro un mese dall’emanazione del provvedimento contro il ritorno.

A questo punto, salvo che l’autorità giurisdizionale dello Stato membro nel quale il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima dell’illecito trasferimento o del man-

160 Cass., 26 settembre 2016, n. 18846, in Fam. dir., 2017, 5, su cui toM-Maseo, La Cassazione sul rientro dei minori in caso di sottrazione internazionale, in Fam. dir., 2017, 8.

161 V. pataut, Commento all’art. 11, cit., 145.162 Corte giust., c. C c. M, cit.163 Come osserva pataut, Commento all’art. 11, cit., 140, il meccanismo intro-

dotto dall’art. 11 non si applica qualora il rientro del minore sia negato ai sensi degli artt. 12 e 20 della convenzione. triMMings, op. cit., 107, 110 ss., avanza il dubbio che il meccanismo introdotto dal regolamento n, 2201 possa indurre I giudici degli Stati membri a motivare il rifiuto del rientro del minore su basi diverse da quelle offerte dell’art. 13, n. 1, lett. b).

164 Lord Wilson, in Supreme Court, c. In the matter of LC (Children), cit., affer-ma che, nel sistema di Bruxelles I bis, il provvedimento dello Stato ad quem “may well provide no more than a breathing-space”.

165 V. pataut, Commento all’art. 11, cit., 141 afferma al riguardo: “The list of the documents that need to be transmitted is open-ended. […] The decision of the number and the nature of the documents to be transmitted is left to the requested court, which should try to convince the court of origin that its non-re-turn order was justified and should not be reversed”.

166 pataut, Commento all’art. 11, cit., 141, a questo riguardo, osserva: “in the European Community context, there is a strong tendency to favour direct communication between courts”.

cato ritorno non sia già stata adita da una delle parti, l’autorità giurisdizionale o l’Autorità centrale che riceve le informazioni appena menzionate deve informarne le parti e invitarle a pre-sentare le proprie conclusioni, conformemente alla legislazio-ne nazionale, entro tre mesi dalla data della notifica, affinché l’autorità esamini la questione dell’affidamento del minore.

La Corte di giustizia ha osservato che l’art. 11, para. 7 non sia una norma volta ad individuare l’autorità giurisdizionale competente, ma piuttosto una disposizione di natura tecnica intesa principalmente a determinare le modalità di comuni-cazione delle informazioni relative al provvedimento contro il ritorno167. Rientra, dunque, nella discrezionalità degli Stati membri individuare il giudice nazionale competente ad esami-nare le questioni relative al ritorno o all’affidamento del minore nel contesto della procedura di cui all’art. 11, para. 6-8, anche nell’ipotesi in cui, alla data della notifica del provvedimento contro il ritorno di un minore, una corte o un tribunale siano già investiti di un procedimento di merito relativo alla respon-sabilità genitoriale nei confronti dello stesso minore. In altre parole, è compatibile con il sistema del regolamento il fatto che uno Stato membro attribuisca a un’autorità giurisdizionale spe-cializzata la competenza a esaminare le questioni relative al ri-torno o all’affidamento del minore nel contesto della procedura prevista all’articolo 11, para. 7 e 8, anche qualora una corte o un tribunale siano, peraltro, già investiti di un procedimento di merito relativo alla responsabilità genitoriale nei confronti del minore. Si è comunque specificato che una siffatta attribuzione di competenza debba essere rispettosa dei diritti fondamentali del minore quali enunciati all’articolo 24 della Carta e, in par-ticolare, dell’obiettivo relativo alla rapidità di tali procedimenti. In particolare, per quanto concerne l’obiettivo della rapidità, i giudici europei ricordano che, nell’applicare le pertinenti di-sposizioni di diritto interno, il giudice nazionale chiamato ad interpretarle debba farlo alla luce del diritto dell’Unione e, se-gnatamente, del regolamento168.

Rispetto al meccanismo previsto dalla norma in esame, d’al-tro canto, la dottrina evidenzia che il termine “parti” è qui utilizzato in senso improprio, dal momento che, nello Stato di origine del minore, potrebbe non essere stato ancora instau-rato alcun procedimento169. Tale termine va dunque riferito a tutti i soggetti che esercitino responsabilità genitoriale sul mi-nore (di norma il genitore cui il minore sia stato “sottratto”), che la corte dovrà identificare e localizzare.

Allo stesso tempo, non viene specificato il termine entro il quale la Corte d’origine debba inviare alle “parti” la documen-tazione inviata dal giudice dello Stato in cui si trova il minore: ovviamente, si presuppone l’urgenza e tempi rapidi anche in tale comunicazione170.

Qualora tali conclusioni non siano fatte pervenire entro il termine stabilito, l’autorità giurisdizionale in questione ar-chivia il procedimento e, ai sensi dell’art. 10, lett. b), iii), la competenza giurisdizionale si sposterà alla corte della “nuo-va” residenza abituale del minore (v. supra).

In caso contrario, nello Stato verrà instaurato un procedi-mento che la Cassazione171, in mancanza di precisazioni da

167 Corte giust., 9 gennaio 2015, c. 498/14, Bradbrooke c. Aleksandrowicz.168 Corte giust., c. Bradbrooke c. Aleksandrowicz, cit.169 pataut, Commento all’art. 11, cit., 143.170 V. pataut, Commento all’art. 11, cit., 143.171 Cass., 14 luglio 2010, n. 16549, cit.

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DOSSIER La violenza nelle relazioni familiari

parte del legislatore europeo172, ha qualificato come riesame sommario delle valutazioni compiute dal giudice straniero con nuova e globale valutazione degli elementi probatori ac-quisiti da quest’ultimo, eventualmente da integrare con quelli ulteriormente acquisiti a seguito di sommarie informazioni, ed una autonoma interpretazione della pertinente disciplina sostanziale, al cui esito viene emessa una decisione o con-fermativa del provvedimento di diniego del ritorno – even-tualmente anche per ragioni diverse od ulteriori da quelle addotte dall’altro giudice –, ovvero “sostitutiva” dello stesso provvedimento, prescrivendo il ritorno del minore173, senza che del procedimento stesso sia oggetto necessario il diritto di affidamento come questione preliminare da decidere prima di esaminare la questione del ritorno del minore174.

Con tale procedimento, in effetti, il regolamento mira ad as-sicurare non solo il ritorno immediato del minore nello Stato in cui risiedeva prima dell’abduction, ma anche a mettere in condizione le corti d’origine di valutare le ragioni e le prove alla base dell’eventuale decisione di non rientro175.

Al riguardo, la Corte di giustizia ha affermato che la pro-nuncia del giudice d’origine sul ritorno del minore non è su-bordinata all’esistenza di una decisione definitiva dello stesso giudice in merito al diritto di affidamento176 né tale pronun-cia risolve la questione dell’affidamento del minore stesso177. In questa sede, anzi, l’oggetto del giudizio riguarda soltanto l’eventuale violazione del “diritto di affidamento” del titola-re della responsabilità genitoriale, inteso quale diritto di in-tervenire nella decisione riguardo al luogo di residenza del minore178 e non il merito della responsabilità genitoriale179. Alla luce di ciò, la Corte ha precisato che non può sussistere litispendenza tra il procedimento per il rientro di un minore e quello di merito sull’affidamento di quello stesso minore180.

La decisione sull’affidamento, dunque, resta l’obiettivo fi-nale del procedimento che si svolge nello Stato della residen-za abituale del minore, ma non pregiudica la pronuncia di provvedimenti urgenti sul rientro del minore181. Per contro, anche in caso di rigetto dell’istanza di rientro per mancanza dei presupposti di cui all’art. 11 (in particolare, per il rilievo che l’istanza non proviene dallo Stato in cui il minore aveva la sua residenza abituale prima del mancato rientro), deve af-fermarsi il prevalere della decisione di merito sull’affidamento del minore emessa dal giudice straniero, senza che, in merito all’esecuzione di questo provvedimento, possano sollevarsi contestazioni in merito alla residenza abituale del minore182. In questa sede, in effetti, l’oggetto del giudizio riguarda sol-

172 V. su tale “lacuna” pesce, Sottrazione internazionale di minori, cit., 238.173 Cass., 14 luglio 2010, n. 16549, cit. Per una fattispecie, relativa al rifiuto

delle corti svedesi, di ordinare il rientro in Italia di un minore, confermata dal giudice italiano, v. App. Bologna, 10 dicembre 2015, decr., n. 353, c. C. c. M.

174 Sul prospettabile carattere preliminare della decisione sull’affidamento del minore conteso rispetto a quella del ritorno v. pesce, op. cit., 239.

175 Corte giust., 11 luglio 2008, c. 195/08 PPU, Inga Rinau, in Guida dir., 2008, fasc. 31, 110.

176 Corte giust., c. Povse c. Alpago, cit.177 Corte giust., c. OL c. PQ, cit.178 Cass., 14 luglio 2010, n. 16549, cit.179 Corte giust., c. C c. M, cit.180 Corte giust., c. C c. M, cit.181 È peraltro possibile che il giudice dello Stato di origine, con unico proce-

dimento, si pronunci sul rientro del minore ai sensi dell’art. 11 del regolamento e, più in generale, sull’affidamento del minore: sembra questa la fattispecie su cui si pronuncia App. Bologna, 12 ottobre 2015, decr., in www.giuraemilia.it.

182 Corte giust., c. C c. M, cit.

tanto l’eventuale violazione del “diritto di affidamento” del titolare della responsabilità genitoriale, inteso quale diritto di intervenire nella decisione riguardo al luogo di residenza del minore183.

Si ritiene, peraltro, che il giudice di merito possa emettere la decisione di cui all’art. 11 anche in assenza di una formale trasmissione del provvedimento straniero e degli atti relativi, affermandosi che l’esame delle motivazioni addotte dal giu-dice straniero possa avvenire anche qualora, nella decisione, non si faccia espressamente riferimento all’art. 13 della con-venzione dell’Aja184.

8. Il coordinamento tra norme uniformi europee e disciplina processuale interna

In molti ordinamenti, sono state emesse normative per co-ordinare le disposizioni dell’art. 11 del regolamento con le norme procedurali interne185. L’Italia, dal canto suo, non ha ancora ritenuto di introdurre una normativa di questo genere. Tale lacuna ha “costretto” la Cassazione a ricorrere all’appli-cazione analogica delle norme procedurali della legge n. 64 del 1994. La suprema Corte ha, infatti, affermato che il rito da seguire in questo ambito è lo stesso prefigurato dall’art. 7, commi 3 e 4 della legge n. 64 del 1994 (v. supra): anche qui, dunque, avrà luogo un procedimento di volontaria giuri-sdizione, a natura lato sensu cautelare, sottoposto alle norme della camera di consiglio186.

La competenza viene attribuita, sempre per analogia, al Tri-bunale per i minorenni, il quale potrà assumere sommarie informazioni.

Il giudice adito potrà assumere sommarie informazioni e la decisione viene presa con decreto, ricorribile in Cassazione (sempre in base ad un’applicazione analogica delle norme procedurali stabilite dall’art. 7 della legge n. 64)187.

Questa soluzione interpretativa risolve il problema relativo alla decisione sul ritorno del minore ma ha bisogno di adat-tamento qualora l’oggetto del procedimento sia più ampio e riguardi l’affidamento del minore: si può ipotizzare un pro-cedimento bifasico, con una prima fase a carattere sommario-cautelare, con le caratteristiche sopra evidenziate dalla Cassa-zione ed una seconda governata dalle ordinarie regole del pro-cedimento camerale applicato dal Tribunale per i minorenni.

9. L’esecuzione dei provvedimenti in materia di ri-entro del minore

Le previsioni appena esaminate mirano ad assicurare non solo il ritorno immediato del minore nello Stato in cui risiedeva, ma anche di mettere in condizione le corti d’origine di va-lutare le ragioni e le prove alla base dell’eventuale decisione di non rientro188. Con tali disposizioni, peraltro, il legislatore europeo ha confermato che la decisione finale in materia di ritorno del minore spetta al giudice dello Stato “di provenien-za”, ove sia tempestivamente attivato un procedimento in tal

183 Cass., 14 luglio 2010, n. 16549, cit.184 Trib. min. Emilia Romagna, 7 maggio 2009, in Fam. dir., 2010, 38.185 V. MceleaVy, Judicial communication, cit., 41 ss.186 Per una fattispecie v. Trib. Milano, 9 luglio 2015, decr., in www.ilcaso.it.187 Cass., 14 luglio 2010, n. 16549, cit.; Cass., 21 marzo 2011, n. 6319, in

Dir. fam., 2011, 1227. App. Bologna, 12 ottobre 2015, decr., in www.giuraemilia.it.188 Corte giust., c. Inga Rinau, cit.

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La violenza nelle relazioni familiari DOSSIER

senso, anche dopo un provvedimento di non rientro da parte del giudice ad quem.

A tal riguardo, infatti, si prevede espressamente che l’ema-nazione di un provvedimento contro il ritorno del minore in base all’arti. 13 della convenzione dell’Aia, non impedisce l’esecuzione di una successiva decisione che ne prescriva il ritorno emanata da un giudice competente ai sensi del rego-lamento, conformemente alla sezione 4 del capo III (art. 11, para. 8)189.

Vengono a questo punto in rilievo i profili esecutivi dei provvedimenti emessi in questo ambito particolare.

La convenzione dell’Aja del 1980 si rivolge al giudice dello Stato in cui il minore è stato trasferito illecitamente: l’ordine di rientro emesso da quest’ultimo, in quanto provvedimento “interno”, sul piano esecutivo non pone dunque problemi di exequatur190, quanto di attuazione. L’approccio del regolamen-to n. 2201 è invece più ampio, dal momento che esso detta anche una disciplina uniforme in materia di circolazione delle decisioni emesse nella materia matrimoniale e della responsa-bilità genitoriale tra gli Stati membri dell’Unione. In particola-re, la normativa comune europea contiene disposizioni ad hoc sull’esecuzione transfrontaliera dei provvedimenti di rientro emessi in uno Stato membro rispetto a minori illecitamente trasferiti in uno Stato diverso.

Per quanto ci interessa qui, il regolamento n. 2201 prevede l’esecuzione immediata, senza necessità di previa concessione di un exequatur nello Stato ospite e senza possibilità di op-posizione, per quanto ci riguarda qui, per i provvedimenti dello Stato di origine che dispongono il rientro del minore illegittimamente trasferito all’estero ai sensi dell’art. 11, para. 8, a seguito del diniego di rientro pronunciato dal giudice straniero ai sensi dell’art. 13 della convenzione191. I provve-dimenti in questione, infatti, richiedono, di norma, un’attua-zione rapida, incompatibile con i tempi (e i meccanismi) del procedimento di exequatur192.

L’esecuzione diretta di una decisione con cui sia stato or-dinato il ritorno di un minore è disciplinata dall’art. 42, il quale richiede che la decisione in questione sia esecutiva nel-lo Stato d’origine e certificata dal giudice d’origine sulla base di un apposito modello standard. In tale certificato (redatto nella lingua della decisione), in particolare, il giudice dello Stato di origine deve attestare che il minore abbia avuto la possibilità di essere ascoltato, salvo che l’audizione sia stata ritenuta inopportuna in ragione della sua età o del suo grado di maturità193, che le parti abbiano avuto la possibilità di esse-

189 pataut, Commento all’art. 11, cit., 145 sostiene: “Article 11 (8), is probably the most radical change in the scheme of the 1980 Convention and the best proof that the Brussels II bis Regulation is indeed a major change from that which has been achieved up until now”.

190 V. pesce, op. cit., 242.191 Al riguardo, App. Catania, 21 luglio 2011, in Nuova giur. civ. comm., 2012,

I, 363, ritiene che il provvedimento cui la norma fa riferimento non può essere sommario e anticipatorio, dovendosi trattare piuttosto della statuizione di me-rito definitiva.

192 Magnus, Introductory remarks, in Brussels II bis Regulation, cit., 343, parla della necessità, in questo contesto, di un “fast track” enforcement.

193 La Corte di giustizia, al riguardo, ha specificato che l’opportunità di tale audizione è rimessa in via esclusiva al giudice che deve statuire sul ritorno di un minore, non rappresentando essa un obbligo assoluto ma il risultato di una valu-tazione discrezionale in funzione delle esigenze legate all’interesse superiore del minore in ogni caso di specie. In altre parole, per i giudici europei, il diritto del minore ad essere sentito non esige che sia necessariamente tenuta un’audizione dinanzi al giudice dello Stato membro d’origine, ma richiede che siano messe a

re ascoltate e che l’autorità giurisdizionale abbia tenuto conto, nel rendere la sua decisione, dei motivi e degli elementi di prova alla base del provvedimento emesso conformemente all’art. 13 della convenzione dell’Aia del 1980. Il certificato deve, inoltre, contenere i dettagli delle misure eventualmente adottate per assicurare la protezione del minore dopo il suo ritorno nello Stato della residenza abituale.

La Corte di giustizia ha chiarito che l’emissione del certi-ficato in questa ipotesi presuppone che, nello Stato in cui il minore sia stato trasferito illecitamente, sia stata previamente pronunciata una decisione contraria al ritorno dello stesso nello Stato di origine: secondo i giudici europei, infatti, l’art. 11, para. 8. implica un rapporto di successione temporale tra una decisione di non-rientro e la decisione successiva che di-spone invece il ritorno del minore. Da questo punto di vista, una volta che una decisione di ritorno sia stata certificata, le vicende processuali che riguardano la decisione di non-rien-tro (ad esempio, un eventuale appello o la sua sospensione) diventano irrilevanti rispetto all’applicazione delle norme del regolamento194.

Il certificato in questione può essere emesso d’ufficio, al mo-mento in cui la decisione diventa esecutiva e può essere retti-ficato in conformità alla legge dello Stato di appartenenza del giudice stesso (art. 43). Contro il rilascio di tale attestazione non è però ammesso alcun mezzo di impugnazione. Si prevede solo un procedimento di controllo e correzione di eventuali er-rori materiali, quando il certificato non rispecchi correttamente il contenuto della decisione (considerando n. 24).

La decisione sul rientro del minore può essere eseguita nello Stato ad quem dietro esibizione di una copia autentica della stessa e del relativo certificato, debitamente tradotto in una delle lingue accettate dallo Stato (art. 45): per l’Italia, l’italia-no, l’inglese o il francese.

Ai sensi dell’art. 47, l’attuazione materiale del provvedimen-to straniero nello Stato dell’esecuzione è assoggettata alla lex fori, a parità di condizioni con le decisioni nazionali.

L’art. 48, peraltro, prevede che, in sede esecutiva, l’autorità giurisdizionale richiesta possa stabilire modalità pratiche vol-te ad organizzare l’esercizio del diritto di visita, qualora le mo-dalità necessarie non siano o siano insufficientemente previste nella decisione straniera, a condizione che siano rispettati gli elementi essenziali di quella decisione. Tali modalità “integra-tive” cessano di essere applicabili a seguito della pronuncia di una decisione posteriore emessa dalle autorità giurisdizionali dello Stato membro competenti a conoscere del merito.

Come messo in evidenza dai giudici del Lussemburgo, in questi casi, il giudice dello Stato di esecuzione non può che constatare l’efficacia esecutiva di una decisione certificata ai sensi del regolamento dal giudice dello Stato di origine del minore195. L’unico limite a tale esecuzione diretta è previsto dall’art. 47, per l’ipotesi in cui la decisione “certificata” sia incompatibile con un’altra decisione esecutiva emessa poste-riormente. A questo riguardo, comunque, si è chiarito che la decisione incompatibile successiva deve essere emessa dal giudice d’origine e non da quello dello Stato dell’esecuzio-

disposizione di tale minore le procedure e condizioni legali che gli consentono di esprimere liberamente la sua opinione e che quest’ultima sia raccolta dal giu-dice: Corte giust., c. Andoni Aguirre Zarraga c. Pelz, cit.

194 Corte giust., c. Inga Rinau, cit.195 Corte giust., c. Andoni Aguirre Zarraga c. Pelz, cit.

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DOSSIER La violenza nelle relazioni familiari

ne196: si conferma ancora una volta che il regolamento mira ad escludere conflitti di decisioni tra Stati membri diversi in questa materia.

Si è pure affermato che l’esecuzione nello Stato non possa essere negata adducendo un mutamento delle circostanze, so-pravvenuto dopo la sua emanazione: un simile mutamento, infatti, dovrebbe essere dedotto dinanzi al giudice dello Stato d’origine, con un’eventuale istanza di sospensione dell’esecu-zione della sua decisione197.

La Corte ha escluso pure che il giudice dello Stato di esecu-zione possa opporsi all’esecuzione di una decisione certificata sul ritorno di un minore, adducendo che il giudice d’origine avrebbe violato l’art. 42 del regolamento, con grave violazione dei diritti fondamentali (nella specie, non sarebbe stato ascol-tato il minore). I giudici europei, in effetti, non hanno negato che una simile violazione possa essere accertata, ma hanno riservato tale esame alle corti dello Stato d’origine, precisando che l’art. 42, n. 2, comma 1, non autorizza affatto il giudice dello Stato membro dell’esecuzione ad esercitare un controllo sulle condizioni, ivi enunciate, di rilascio del certificato emes-so dal giudice d’origine, per non compromettere l’effetto utile del sistema istituito dal regolamento198.

Escludendo qualsiasi opposizione avverso la decisione “certi-ficata”, d’altro canto, si assicura che l’efficacia delle disposizioni del regolamento non sia vanificata da abusi procedurali199.

10. Conclusioni

Il regolamento n. 2201, come si è visto, aspira a dare più effi-cace implementazione all’obiettivo della convenzione dell’Aja

196 Corte giust., c. Povse c. Alpago, cit.197 Corte giust., c. Povse c. Alpago, cit.198 Corte giust., c. Andoni Aguirre Zarraga c. Pelz, cit.: nella fattispecie, la ma-

dre, che si opponeva all’esecuzione in Germania di un provvedimento spagnolo che ordinava il ritorno della figlia in Spagna, sosteneva che il certificato attestas-se che era stato ottemperato l’obbligo di sentire il minore prima della pronuncia della decisione, mentre tale audizione non aveva in realtà avuto luogo.

199 Corte giust., c. Inga Rinau, cit.

del 1980, facendo leva sui principi cardine dello spazio giu-diziario europeo.

Come la giurisprudenza della Corte di giustizia dimostra, peraltro, anche nei rapporti tra Stati membri dell’Unione con-tinuano a registrarsi conflitti tra le corti nazionali coinvolte in episodi di abduction. L’impressione è che, in alcuni casi, si fatichi a liberarsi da un certo “protezionismo” nei confronti di propri cittadini responsabili di una sottrazione internazionale di minore.

D’altro canto, l’approccio del regolamento alla materia appa-re caratterizzato da un’enfasi eccessiva sull’immediato rientro del minore, potenzialmente a scapito di altri valori rilevanti in questo contesto, in particolare la sicurezza del minore stesso e del genitore che lo ha sottratto200.

Nell’applicazione pratica delle disposizioni comune euro-pee, dunque, non si deve dimenticare che né la convenzione né il regolamento mirano ad assicurare in ogni caso il rientro del minore nello Stato di partenza e che la partita dell’integra-zione e della cooperazione giudiziaria attraverso le frontiere si gioca anche sulla capacità delle corti dello Stato di origine del minore di valutare le ragioni che hanno indotto il giudice straniero a negare il rientro senza preconcetti, in modo sereno ed obiettivo, seguendo le linee guida emergenti dalle deci-sioni della Corte di giustizia e della Corte europea sui diritti umani, che in questo ambito ha emesso alcune importanti pronunce201.

200 Anche Magnus, Introductory remarks, in Brussels II bis Regulation, cit., 343, esprime dubbi rispetto all’opportunità di dare esecuzione agli ordini di rientro del minore “under all circumstances”, poiché ciò essere contrario al “best interest of the child”.

201 Per un’analisi approfondita dei rapporti tra c.e.d.u. e regolamento Bruxel-les II bis, v. honorati, Sottrazione internazionale dei minori e diritti fondamentali, in Riv. dir. internaz. priv. proc., 2013, 5 ss.

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I diritti economici e personali nella crisi delle relazioni familiari DOSSIER

Ai sensi dell’articolo 5, comma 6, della l. n. 898 del 1970, dopo le modifiche introdotte con la l. n. 74 del 1987, il riconoscimento dell’assegno di divorzio – cui deve attribuirsi una funzione assi-stenziale ed in pari misura perequativa e compensativa – richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi o comunque dell’im-possibilità di procurarseli per ragioni oggettive, attraverso l’appli-cazione correlata ai criteri di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro di cui si deve tenere conto per la relativa attribuzione e determinazione, ed in particolare, alla luce della valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti ed al contesto sociale della famiglia, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla condu-zione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e dell’età dell’avente diritto.

Omissis

FATTI DI CAUSA1-. Il matrimonio concordatario tra le parti è stato celebrato nel 1978. La separazione personale consensuale reca la data del 18/4/2007. Le parti, in questa sede, hanno raggiunto un accordo fondato sul riequilibrio del loro matrimonio che non prevedeva la corresponsione di alcun assegno da parte di un coniuge in favore dell’altro.

2. La cessazione degli effetti civili del matrimonio è stata pronunciata con sentenza parziale del Tribunale di Reggio Emilia il 9/3/2012. Con sentenza definitiva il Tribunale ha po-sto a carico dell’ex marito la somma di Euro 4.000,00 mensili a titolo di assegno divorzile in favore della ex moglie.

3. La Corte d’Appello, in riforma della sentenza impugnata, ha negato il diritto della ex moglie al riconoscimento di un assegno di divorzio condannandola alla ripetizione delle som-me ricevute a tale titolo specifico.

3.1. A sostegno della decisione assunta, la Corte ha applica-to l’orientamento espresso nella pronuncia di questa Corte n. 11504 del 2017 secondo il quale il fondamento dell’attribu-zione dell’assegno divorzile è la mancanza di autosufficienza economica dell’avente diritto. Nel merito ha escluso che la

parte appellata fosse in tale condizione, in quanto titolare e percettrice di uno stipendio decisamente superiore alla me-dia nonché di un patrimonio mobiliare ed immobiliare molto cospicuo. Ha, pertanto, precisato che l’attribuzione dell’as-segno di divorzio si era fondata sull’orientamento, superato da quello più recente cui era stata prestata adesione, fondato sul criterio del tenore di vita, peraltro potenziale, goduto dal richiedente, nel corso dell’unione coniugale, da valutarsi alla stregua delle capacità patrimoniali ed economiche delle parti. Nella specie pur essendovi un’evidente sperequazione delle predette capacità economiche e patrimoniali in favore dell’ex marito, l’agiatezza della ex moglie aveva condotto ad esclude-re la ricorrenza dei requisiti attributivi dell’assegno, dovendo-sene escludere il difetto di autosufficienza economica.

4. Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazio-ne C.I., con richiesta, accolta con provvedimento del 30 ot-tobre 2017, di rimessione del ricorso alle Sezioni Unite. Ha resistito con controricorso C.O. La parte ricorrente ha depo-sitato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE5. Nel primo motivo di ricorso viene dedotta la violazione dell’art. 5, l. n. 898 del 1970, e successive modificazioni per le seguenti ragioni:

5.1 il criterio dell’indipendenza od autosufficienza econo-mica non trova alcun riscontro nel testo della norma che det-ta i criteri per l’attribuzione e determinazione dell’assegno di divorzio. Inoltre, non risulta chiaro quali siano i parametri al quale ancorarlo tra le diverse alternative proponibili, ovvero l’indice medio delle retribuzioni degli operai ed impiegati; la pensione sociale; un reddito medio rapportato alla classe eco-nomico sociale di appartenenza dei coniugi e alle possibilità dell’obbligato. Nell’ultima ipotesi, peraltro, il tenore di vita verrebbe ripreso in considerazione perché i mezzi adeguati non potrebbero che essere rapportati alla condizione sociale ed economica delle parti in causa e ai loro redditi;

5.2 la lettura logico sistematica dell’art. 5, comma 6, l. n. 898 del 1970 e successive modificazioni conduce al ripristino del criterio del tenore di vita, tenuto conto che il comma 9,

DOSSIER

I diritti economici e personali nella crisi delle relazioni familiari tra rigidità legislative e discrezionalità del

giudice: la sentenza delle Sezioni Unite sull’assegno di divorzio e i progetti in materia di affidamento

CORTE di CASSAZIONE, Sez. Unite Sentenza 11 luglio 2018, n. 18287PRES. MAMMONE, EST. M. ACIERNO

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DOSSIER I diritti economici e personali nella crisi delle relazioni familiari

dell’art. 5, prevede espressamente la possibilità per il Tribuna-le, in caso di contestazioni, di disporre indagini sull’effettivo tenore di vita. La stessa Corte Costituzionale con la sentenza n. 11 del 2015 ha ritenuto del tutto legittimo tale criterio, allora costantemente seguito dalla giurisprudenza;

5.3 l’applicazione del criterio dell’autosufficienza economi-ca è foriero di gravi ingiustizie sostanziali, in particolare per i matrimoni di lunga durata ove il coniuge più debole che abbia rinunciato alle proprie aspettative professionali per as-solvere agli impegni familiari improvvisamente deve mutare radicalmente la propria conduzione di vita;

5.4 il richiamo, contenuto nella sentenza n. 11504 del 2017, all’art. 337-septies c.c. che fissa il criterio dell’indipen-denza economica ai fini del riconoscimento del diritto ad un contributo per il mantenimento dei figli maggiorenni non au-tosufficienti non risulta condivisibile in quanto le condizioni soggettive rispettivamente dell’ex coniuge e del figlio mag-giorenne non autosufficiente non sono comparabili: il figlio maggiorenne ha il compito sociale, prima che giuridico, di mettersi nelle condizioni di essere economicamente indipen-dente e l’obbligo di mantenimento è definito temporalmente in funzione del raggiungimento dell’obiettivo; il coniuge, spe-cie se non più giovane, che abbia rinunciato, per scelta con-divisa anche dall’altro, ad essere economicamente indipen-dente o abbia ridotto le proprie aspettative professionali per l’impegno familiare si può trovare, in virtù dell’applicazione del criterio dell’indipendenza economica, in una situazione di irreversibile grave disparità. Infine, l’obbligo di manteni-mento del figlio maggiorenne non autosufficiente perdura fino a quando non sia raggiunto un livello di indipendenza adeguato al percorso di studi e professionale seguito, mentre all’esito del divorzio per il coniuge che abbia le caratteristiche soggettive sopra delineate, la condizione deteriore in cui versa non ha alcuna possibilità di essere emendata, essendo fondata su una sperequazione reddituale e patrimoniale non più col-mabile. Tale è la condizione della ricorrente rispetto al livello economico-patrimoniale molto più elevato dell’ex marito.

5.5 Il nuovo orientamento lede il principio della solidarietà post matrimoniale, sottolineato, invece, dal legislatore sia in ordine al diritto alla pensione di reversibilità che in relazione alla quota del trattamento di fine rapporto spettanti al titolare dell’assegno. Il criterio adottato porta ad una lettura sostan-zialmente abrogativa dell’art. 5.

6. Nel secondo motivo viene dedotta la violazione dell’art. 2033 c.c. con riferimento alla condanna alla ripetizione di quanto indebitamente versato. La statuizione della sentenza d’appello non è idonea a configurare un indebito oggettivo perché dispone per l’avvenire. Inoltre vige, nella specie, il principio dell’irripetibilità, impignorabilità e non compensa-bilità delle prestazioni assistenziali, del tutto disatteso nella specie.

7. L’esame della questione rimessa alle Sezioni Unite richie-de l’illustrazione preliminare del quadro legislativo interno di riferimento, anche sotto il profilo diacronico, dal momento che le modifiche medio tempore intervenute hanno notevol-mente influenzato gli orientamenti della giurisprudenza an-che di legittimità.

8. il quaDro legislatiVo interno.8.1. Il testo originario dell’art. 5, comma 6, della l. 1° dicembre

1970, n. 898, e gli orientamenti giurisprudenziali relativi.

Il testo originario dell’art. 5, comma 6, della l. n. 898 del 1970, aveva il seguente contenuto:

Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale dispone, tenuto conto delle condizioni economiche dei coniugi e delle ragioni della de-cisione, l’obbligo per uno dei coniugi di somministrare a favore dell’altro periodicamente un assegno in proporzione alle proprie sostanze e ai propri redditi. Nella determinazione di tale assegno il giudice tiene conto del contributo personale ed economico dato da ciascuno dei coniugi alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di entrambi. Su accordo delle parti la corresponsio-ne può avvenire in una unica soluzione. L’obbligo di corresponsione dell’assegno cessa se il coniuge, al quale deve essere corrisposto, passa a nuove nozze.

Il coniuge, al quale non spetti l’assistenza sanitaria per nessun altro titolo, conserva il diritto nei confronti dell’ente mutualistico da cui sia assistito l’altro coniuge. Il diritto si estingue se egli passa a nuove nozze.

La lettura della norma, già nella sua formulazione originaria, poteva dare luogo ad interpretazioni diverse. Valorizzando la distinzione di significato tra l’espressione “il Tribunale dispone” con la quale si apriva l’elencazione dei criteri di cui si doveva “tenere conto” ai fini del diritto alla corresponsione dell’as-segno di divorzio e l’incipit della seconda parte della norma “nella determinazione di tale assegno il giudice tiene conto” emer-geva, sul piano testuale una distinzione tra criteri attributivi (le condizioni economiche dei coniugi - profilo assistenziale; le ragioni della decisione - profilo risarcitorio) e determinativi (contributo personale ed economico dato da ciascuno dei co-niugi - profilo compensativo).

La dottrina prevalente e la giurisprudenza di questa Corte avevano, tuttavia, ritenuto che l’assegno di divorzio, alla luce dell’art. 5, comma 6, l. n. 898 del 1970, avesse una natura mista senza alcuna diversificazione e graduazione tra i criteri attributivi e determinativi.

In particolare le Sezioni Unite, poco dopo l’entrata in vigore della norma affermarono che l’assegno previsto dall’art. 5 del-la legge 1 dicembre 1970 n. 898, aveva natura composita “in relazione ai criteri che il giudice per legge deve applicare quando è chiamato a pronunciarsi sulla richiesta di corresponsione: assi-stenziale in senso lato, con riferimento al criterio che fa leva sulle condizioni economiche dei coniugi; risarcitoria in senso ampio, con riguardo al criterio che concerne le ragioni della decisione; com-pensativa, per quanto attiene al criterio del contributo personale ed economico dato da ciascun coniuge alla condizione della fami-glia ed alla formazione del patrimonio di entrambi. Il giudice, che pur deve applicare tali criteri nei confronti di entrambi i coniugi e nella loro necessaria coesistenza, ha ampio potere discrezionale, soprattutto in ordine alla quantificazione dell’assegno” (S.U. n. 1194 del 1974; conf. n. 1633 del 1975).

La coesistenza dei criteri, come espresso efficacemente nel-la massima, ne evidenziava la equiordinazione e costituiva una prescrizione di primario rilievo per la valutazione che doveva essere svolta dal giudice di merito al quale veniva ri-conosciuto un ampio potere discrezionale nella determina-zione nell’ammontare dell’assegno ma non gli era consentito di considerare recessivo, in astratto ed in linea generale, un criterio rispetto ad un altro, salvo che il rilievo concreto di alcuno di essi non fosse marginale od insussistente. Nella giurisprudenza immediatamente successiva, la formulazione

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I diritti economici e personali nella crisi delle relazioni familiari DOSSIER

generale del principio venne puntualizzata in relazione a cia-scun parametro. In particolare la Corte escluse che l’assegno potesse avere carattere alimentare proprio in relazione allo scioglimento definitivo del vincolo di parentela, dal momen-to che tale tipologia di obbligazioni postulava la permanenza del vincolo stesso e non la sua cessazione (Cass. n. 256 del 1975). Venne sottolineato come il fulcro dell’accertamento da svolgere, in questa prima fase storica di applicazione dell’art. 5, comma 6, l. n. 898 del 1970, dovesse incentrarsi sulla natura e misura dell’indebolimento della complessiva sfera economico-patrimoniale del coniuge richiedente l’assegno in relazione a tutti i fattori che possano concorrere a determinare questa sperequazione, quali l’età, la salute, l’esclusivo svolgi-mento di attività domestiche all’interno del nucleo familiare, il contributo fornito al consolidamento del patrimonio fami-liare e dell’altro coniuge, ecc. (Cass. n. 835 del 1975). Gli orientamenti furono certamente influenzati dal contesto socio economico nel quale la legge n. 898 del 1970 si è innestata, in quanto caratterizzato da un modello coniugale formato su ruoli endofamiliari distinti ed eziologicamente condizionanti la posizione economico patrimoniale di ciascuno dei coniugi dopo lo scioglimento dell’unione matrimoniale. Il rilievo pa-ritario attribuito a tutti i parametri venne condizionato dalla vis espansiva del principio di parità ed uguaglianza tra i co-niugi così come innovativamente consacrato e reso effettivo dalla riforma del diritto di famiglia.

Il criterio assistenziale, in particolare, assume, già in questa prima fase di applicazione dell’art. 5, comma 6, della l. n. 898 del 1970, una funzione perequativa della condizione di “squi-librio ingiusto” (Cass. n. 660 del 1977) che può determinarsi in relazione alla situazione economico-patrimoniale degli ex coniugi, a causa dello scioglimento del vincolo, in particolare quando la disparità di condizioni si giustifica in funzione di scelte endofamiliari comuni che hanno prodotto una netta di-versificazione di ruoli tra i due coniugi così da escludere o da ridurre considerevolmente l’impegno verso la costruzione di un livello reddituale individuale autonomo adeguato a quello familiare. Risultava evidente, pertanto, già negli orientamenti degli anni 70 che il profilo strettamente assistenziale si conta-minava con quello compensativo, soprattutto in relazione alla durata del matrimonio, così da dar luogo all’inizio degli anni 80 a principi ancora più decisamente ispirati all’esigenza di ri-stabilire “un certo equilibrio nella posizione dei coniugi dopo lo scioglimento del matrimonio” (Cass. n. 496 del 1980) da realizzarsi assumendo il parametro relativo alle condizioni economiche dei coniugi non come criterio esclusivo o pre-valente ma come elemento di giudizio da porsi in relazione con gli altri concorrenti, in considerazione delle complessive condizioni di vita garantite nel corso dell’unione coniugale e delle aspettative che tali condizioni potevano indurre (Cass. n. 496 del 1980).

La funzione dell’assegno di divorzio si caratterizza, sempre più, negli anni 80, sotto il vigore del testo originario dell’art. 5, comma 6, della l. n. 898 del 1970, come strumento pere-quativo della situazione di squilibrio economico patrimoniale che si sia determinata a vantaggio di un ex coniuge ed in pre-giudizio dell’altro. A questo fine i tre criteri contenuti nella norma operano come “presupposti di attribuzione” (Cass. n. 5714 del 1988) dell’assegno stesso. All’interno di questo orientamento, la funzione dell’assegno si risolve in uno stru-

mento volto ad intervenire su una situazione di squilibrio “ingiusto” non in senso astratto, ovvero fondato sulla mera comparazione quantitativa delle sfere economico-patrimonia-li o delle capacità reddituali degli ex coniugi ma in concreto, ponendo in luce la correlazione tra la situazione economico patrimoniale fotografata al momento dello scioglimento del vincolo ed i ruoli svolti dagli ex coniugi all’interno della re-lazione coniugale. Al riguardo sempre più frequentemente entrava nella valutazione complessiva e paritaria dei criteri ex art. 5, comma 6, il rilievo dell’apporto personale al soddi-sfacimento delle esigenze domestiche di uno solo dei coniugi (Cass. n. 3390 del 1985) ed, in particolare, l’effetto negativo sull’acquisizione di esperienze lavorative e professionali che può determinare un impegno versato essenzialmente nell’am-bito domestico e familiare (Cass. n. 3520 del 1983), tanto da far affermare che, anche in relazione all’età, il giudice del merito avrebbe dovuto accertare se fosse in concreto possibi-le per l’ex coniuge richiedente l’assegno essere competitivo sul mercato del lavoro senza dover svolgere attività lavorative troppo usuranti od inadeguate rispetto al profilo complessivo della persona (Cass. n. 3520 del 1983).

Da questi orientamenti emerge l’incidenza del principio co-stituzionale della parità sostanziale tra i coniugi, così come declinato nell’art. 29 Cost. nella valutazione in concreto dei criteri, ed in particolare di quello assistenziale e compensati-vo, sempre meno scindibili nel giudizio complessivo relativo al diritto all’assegno. L’interconnessione tra i due parametri viene precisata dall’affermazione contenuta nella pronuncia n. 6719 del 1987, secondo la quale la funzione dell’assegno di divorzio non è remunerativa ma compensativa, essendo pre-ordinata all’obiettivo del “giusto mantenimento” in relazione, non solo all’apporto del coniuge richiedente alla conduzione della vita familiare, ma anche alla formazione del patrimonio comune ed in particolare al rafforzamento della sfera econo-mico patrimoniale dell’altro coniuge.

Deve essere sottolineato come l’applicazione equilibrata dei tre criteri, assistenziale, compensativo e risarcitorio, sia sta-ta ritenuta adeguata alla varietà delle situazioni concrete ed idonea a far emergere l’effettiva situazione di squilibrio (od equilibrio) conseguente alle scelte ed all’andamento effettivo della vita familiare, tenuto conto delle condizioni economico-patrimoniali degli ex coniugi e delle cause, con particolare riferimento a quelle maturate in corso di matrimonio, che hanno concorso a determinarle.

I principi giurisprudenziali illustrati, tuttavia, furono sot-toposti a revisione critica dalla dottrina, in particolare per l’eccessiva discrezionalità rimessa ai giudici di merito che l’equiordinazione dei criteri aveva determinato. Si lamentava l’assenza di un fondamento unitario e coerente nella compo-sizione mista dei parametri di attribuzione e determinazione dell’assegno di divorzio. Si sottolineava come l’an ed il quan-tum dell’assegno fossero stati tendenzialmente stabiliti del tutto discrezionalmente e l’applicazione dei criteri, proprio in quanto composita, fosse stata utilizzata per giustificare ex post la decisione, invece che dettarne le coordinate. Inoltre, vennero poste in luce le profonde mutazioni nella società ci-vile, l’affermazione del principio di autoresponsabilità ed au-todeterminazione, da ritenere determinanti anche nelle scelte relazionali, oltre che l’evoluzione del ruolo femminile all’in-terno della famiglia e nella società. Si gettavano le basi, pur

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DOSSIER I diritti economici e personali nella crisi delle relazioni familiari

sottolineandosi la funzione complessivamente perequativa dell’assegno di divorzio, per la riforma della norma.

8.2. L’intervento della l. 6 marzo 1987 e la modifica dell’art. 5, comma 6, della l. n. 898 del 1970; l’interpretazione del nuovo testo nella giurisprudenza di legittimità.

In questo rinnovato contesto, è stato modificato l’art. 5, com-ma 6, dall’art. 10 della l. n. 74 del 1987, nel modo che segue:

“Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione fami-liare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comun-que non può procurarseli per ragioni oggettive.

La sentenza deve stabilire anche un criterio di adeguamento au-tomatico dell’assegno, almeno con riferimento agli indici di sva-lutazione monetaria. Il tribunale può, in caso di palese iniquità, escludere la previsione con motivata decisione.

Su accordo delle parti la corresponsione può avvenire in unica soluzione ove questa sia ritenuta equa dal tribunale. In tal caso non può essere proposta alcuna successiva domanda di contenuto economico.

I coniugi devono presentare all’udienza di comparizione avanti al presidente del tribunale la dichiarazione personale dei redditi e ogni documentazione relativa ai loro redditi e al loro patrimonio personale e comune. In caso di contestazioni il tribunale dispone indagini sui redditi, sui patrimoni e sull’effettivo tenore di vita, va-lendosi, se del caso, anche della polizia tributaria.

L’obbligo di corresponsione dell’assegno cessa se il coniuge, al quale deve essere corrisposto, passa a nuove nozze.

Il coniuge, al quale non spetti l’assistenza sanitaria per nessun altro titolo, conserva il diritto nei confronti dell’ente mutualistico da cui sia assistito l’altro coniuge. Il diritto si estingue se egli passa a nuove nozze”.

Il confronto testuale con la formulazione originaria della norma pone immediatamente in luce alcune differenze:

a) il rilievo dell’indagine comparativa dei redditi e dei pa-trimoni degli ex coniugi, fondato sull’obbligo di deposito dei documenti fiscali delle parti e sull’attribuzione di poteri istruttori officiosi al giudice in precedenza non esistenti in funzione dell’effettivo accertamento delle condizioni econo-mico patrimoniali delle parti, nella fase conclusiva della rela-zione matrimoniale;

b) l’accorpamento di tutti gli indicatori che compongono rispettivamente il criterio assistenziale (“le condizioni dei coniugi” ed “il reddito di entrambi”), quello compensativo (“il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune”) e quello risarcitorio (“le ra-gioni della decisione”) nella prima parte della norma, come fattori di cui si deve “tenere conto” nel disporre sull’assegno di divorzio;

c) la condizione (che costituisce l’innovazione più significa-tiva, perché assente nella precedente formulazione della nor-ma) dell’insussistenza di mezzi adeguati e dell’impossibilità di procurarli per ragioni obiettive, in capo all’ex coniuge che richieda l’assegno.

La rigida bipartizione tra criteri attributivi e determinativi, sorta per delineare più specificamente e rigorosamente i para-metri sulla base dei quali disporre l’an ed il quantum dell’as-segno di divorzio, e la ricerca del parametro dell’adeguatezza/inadeguatezza dei mezzi al di fuori degli indicatori contenuti nell’art. 5, comma 6, novellato, raggruppati nella prima parte dello stesso, non costituisce una conseguenza necessaria della nuova formulazione della norma. In primo luogo, come nella versione originaria, il legislatore impone di “tenere conto” dei fattori che compongono i tre criteri, fornendone, rispetto alla formulazione antevigente un’elencazione completa. In secon-do luogo nella norma s’introducono, al fine di sottolineare il rilievo indefettibile dell’indagine, poteri istruttori officiosi in capo al giudice del merito in ordine all’accertamento delle condizioni economico-patrimoniali di entrambe le parti, tan-to da imporre l’obbligo di produrre la documentazione fiscale fin dagli atti introduttivi del giudizio. Proprio in virtù delle due nuove caratteristiche di questa fase istruttoria (previsione ex lege di produzione della documentazione fiscale e poteri officiosi d’indagine), deve ritenersi che essa costituisca, per tutte le controversie nelle quali si discuta dell’assegno di di-vorzio, un accertamento ineludibile rivolto ad entrambe le parti, con la conseguenza che la conoscenza comparativa di tali condizioni costituisce, secondo quanto risulta dall’esame testuale della norma, pregiudiziale a qualsiasi successiva in-dagine sui presupposti dell’assegno. In terzo luogo, il dato testuale dal quale è scaturita l’opzione interpretativa della netta bipartizione tra an e quantum e della individuazione del parametro dell’adeguatezza dei mezzi al di fuori degli indica-tori contenuti nella norma, non presenta l’univocità che gli orientamenti, ancorché contrapposti, in ordine al metro di va-lutazione dell’adeguatezza dei mezzi, hanno voluto ravvisarvi. La norma stabilisce, nell’ultima parte del primo periodo, che l’obbligo per un coniuge di “somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno” (di divorzio n.d.r.) sorge quando il richiedente non ha mezzi adeguati e non può procurarseli per ragioni oggettive, ma il periodo si apre con la prescrizione espressa e completa dei criteri di cui il giudice deve tenere conto, valutandone il peso in relazione alla durata del matri-monio quando dispone sull’assegno di divorzio.

Al fine di comprendere le ragioni dell’affermazione dell’op-zione ermeneutica che ha dato luogo al contrasto di orien-tamenti su cui si fonda l’intervento delle S.U., deve rilevarsi che il dibattito che ha accompagnato la nascita della novella legislativa, si era incentrato su una netta contrapposizione di posizioni. Da un lato si sosteneva la necessità di ancorare il diritto all’assegno di divorzio esclusivamente all’accertamento di una condizione di non autosufficienza economica, varia-mente declinata come autonomia od indipendenza economi-ca, od anche capacità idonea a consentire un livello di vita dignitoso, dall’altro si poneva in luce come la comparazio-ne delle condizioni economico-patrimoniali delle parti non potesse dirsi esclusa dall’accertamento rimesso al giudice di merito, essendo una delle novità introdotte dalla novella proprio l’attribuzione di poteri istruttori officiosi all’organo giudicante, oltre al rilievo, del tutto attuale, della sostanzia-le marginalizzazione degli indici contenuti nella prima parte della norma, ove l’accertamento fosse esclusivamente incen-trato sulla condizione economico patrimoniale del creditore. Le S.U. con la sentenza n. 11490 del 1990 hanno ritenuto

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I diritti economici e personali nella crisi delle relazioni familiari DOSSIER

centrali questi ultimi profili, dando vita ad un orientamento, rimasto fermo per un trentennio, fino al mutamento deter-minato dalla sentenza n. 11504 del 2017. Nella sentenza del 1990 hanno affermato che l’assegno ha carattere esclusiva-mente assistenziale dal momento che il presupposto per la sua concessione deve essere rinvenuto nell’inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante, da intendersi come insufficienza degli stessi, comprensivi di redditi, cespiti patrimoniali ed al-tre utilità di cui possa disporre, a conservargli un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio. È stato però chiarito che non è necessario l’accertamento di uno stato di bisogno, assumendo rilievo, invece, l’apprezzabile deterio-ramento, in dipendenza del divorzio, delle precedenti con-dizioni economiche, le quali devono essere tendenzialmente ripristinate, per ristabilire un certo equilibrio. I criteri indicati nella prima parte della norma hanno funzione esclusivamente determinativa dell’assegno, da attribuirsi, tuttavia, sulla base dell’esclusivo parametro dell’inadeguatezza dei mezzi. Ove sussista tale presupposto, la liquidazione in concreto deve essere effettuata in base alla valutazione ponderata e bilate-rale dei criteri enunciati dalla legge (condizioni dei coniugi, ragioni della decisione, contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, reddito di entrambi, durata del matrimonio), con riguardo al momento della pronuncia di divorzio.

A questo consolidato orientamento si è di recente contrap-posto quello affermato dalla sentenza n. 11504 del 2017 che, pur condividendo la premessa sistematica relativa alla rigida distinzione tra criterio attributivo e determinativo, ha indivi-duato come parametro dell’inadeguatezza dei mezzi del co-niuge istante, la non autosufficienza economica dello stesso ed ha stabilito che solo all’esito del positivo accertamento di tale presupposto possano essere esaminati in funzione am-pliativa del quantum i criteri determinativi dell’assegno indi-cati nella prima parte della norma.

Entrambe le sentenze si sono richiamate ai lavori preparatori della nuova legge. In particolare, la recente sentenza n. 11504 del 2017 ha valorizzato un passaggio contenuto nella relazio-ne accompagnatoria della novella, dal quale poteva desumersi che l’intentio legis fosse quella di limitare l’accertamento sull’an debeatur alle condizioni economico-patrimoniali del creditore-richiedente l’assegno, ma si deve obiettare a questa argomen-tazione, per un verso, l’intrinseca ambiguità dell’intentio legis e dall’altro che il testo della norma, come ricordato nella sen-tenza delle S.U. n. 11490 del 1990, ha subito un significativo mutamento rispetto a quello predisposto dalla Commissione Giustizia del Senato, nel quale l’adeguatezza dei mezzi era cor-relata al conseguimento di un dignitoso mantenimento, disan-corato da quello goduto in costanza di matrimonio.

8.2.1. L’interpretazione dell’art. 5, comma 6, novellato, nella giurisprudenza di legittimità.

La lettura del nuovo testo dell’art. 5, comma 6, della l. n. 898 del 1970, non offre indicazioni applicative univoche, in ordine all’esatta determinazione del sintagma “mezzi adegua-ti” non essendo espressamente precisato quale sia il parame-tro di riferimento cui ancorare il giudizio di adeguatezza.

Questa indeterminatezza ha dato luogo a due orientamenti contrapposti, ancorché entrambi fondati sull’esigenza di limi-tare la discrezionalità dei giudici di merito, ai quali era lascia-

ta la comparazione, la selezione e, in concreto la graduazione della rilevanza dei tre criteri (assistenziale, compensativo e risarcitorio) contenuti nella norma. In particolare, sia l’orien-tamento della sentenza n. 1652 del 1990, che legava l’adegua-tezza dei mezzi al conseguimento di un’esistenza libera e di-gnitosa, intesa come autonomia ed indipendenza economica da valutarsi prescindendo dalle condizioni di vita matrimo-niale e senza un accertamento comparativo della situazione economico-patrimoniale delle parti al momento dello sciogli-mento del vincolo, sia l’orientamento opposto (Cass. n. 1322 del 1989 e n. 2799 del 1990) fatto proprio dalla sentenza delle S.U. n. 11490 del 1990, secondo il quale l’inadegua-tezza dei mezzi deve riconoscersi quando il richiedente non abbia mezzi adeguati per conseguire un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di rapporto coniugale, partono da un postulato ermeneutico comune dell’art. 5, comma 6 novellato. Entrambi gli orientamenti, forti anche di sostegno dottrinale, ritengono che la norma imponga una distinzione tra il criterio attributivo dell’assegno, di natura assistenzia-le, e gli altri, meramente determinativi. Il legislatore, avendo condizionato l’obbligo di somministrare periodicamente (od in un’unica soluzione) l’assegno di divorzio all’accertamento sull’inadeguatezza dei mezzi e sull’impossibilità oggettiva di procurarli, avrebbe inteso separare nettamente il piano assi-stenziale da quello compensativo e risarcitorio.

A questa premessa unitaria si aggiunge, l’ulteriore profilo comune costituito dal rinvenimento del parametro dell’ade-guatezza/inadeguatezza al di fuori degli indicatori contenuti nella norma. Entrambi i parametri, il tenore di vita matrimo-niale (specie se potenziale) e l’autonomia od indipendenza economica (anche nella nuova versione dell’autosufficienza economica, introdotta dalla sentenza n. 11504 del 2017) sono esposti al rischio dell’astrattezza e del difetto di colle-gamento con l’effettività della relazione matrimoniale. Tale collegamento diventa meramente eventuale ove si assuma come parametro l’autosufficienza economica ma può perdere di rilievo anche con l’ancoraggio al tenore di vita ove questo criterio venga assunto esclusivamente sulla base della compa-razione delle condizioni economico-patrimoniali delle parti e, dunque valutando la potenzialità e non l’effettività delle condizioni di vita matrimoniale.

Le due parti della norma sono state interpretate in modo dicotomico pur essendo legate da un nesso di dipendenza logica testuale che ne impone un esame esegetico unitario. Il giudice dispone sull’assegno di divorzio in relazione all’i-nadeguatezza dei mezzi ma questa valutazione avviene tenuto conto dei fattori indicati nella prima parte della norma. La scissione tra le due parti della norma e quella conseguente tra i criteri attributivi e determinativi, può condurre ad escludere nella prevalenza dei casi, l’esame degli indicatori la cui valu-tazione è imposta dall’art. 5, comma 6, oltre che dal contesto costituzionale e convenzionale di riferimento nel quale deve essere inquadrato il diritto all’assegno di divorzio quando ne ricorrano le condizioni.

9. l’esaMe coMparatiVo Dei Due orientaMenti.Esaminati gli aspetti che accomunano i due orientamenti

occorre rilevarne le ragioni di forte contrapposizione che li contraddistinguono.

Preliminarmente è necessario evidenziare che l’orientamen-to fissato nella sentenza n. 11490 del 1990, è stato costante-

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DOSSIER I diritti economici e personali nella crisi delle relazioni familiari

mente seguito dalla giurisprudenza di legittimità e di merito, ancorché con adattamenti determinati dalle esigenze concrete che di volta in volta si sono prospettate. In particolare, l’a-strattezza del criterio del tenore di vita, anche solo poten-zialmente, tenuto durante la relazione matrimoniale è stata temperata tanto in funzione della durata del rapporto (Cass. n. 7295 del 2013; n. 6164 del 2015), per cui la estrema limi-tatezza temporale della relazione coniugale può determinare l’azzeramento del diritto all’assegno, quanto in funzione della creazione di un nuovo nucleo relazionale, caratterizzato dal-la convivenza e dalla condivisione della vita quotidiana (c.d. famiglia di fatto), essendo tale circostanza ritenuta (Cass. n. 6455 del 2015; n. 2466 del 2016), fattore definitivamente impeditivo del riconoscimento del diritto dell’assegno.

Tuttavia, nonostante i criteri determinativi possano, in con-creto, incidere sull’entità dell’assegno, come fattori limitativi, deve condividersi il duplice rilievo critico che viene mosso al parametro del tenore di vita goduto o fruibile nel corso della relazione coniugale. Il primo rilievo riguarda l’assoluta preminenza della comparazione delle condizioni economico-patrimoniali dei coniugi nel giudizio sul diritto all’assegno. Questa valutazione, ove costituisca il fattore determinante l’an debeatur dell’assegno, non può sottrarsi a forti rischi di locupletazione ingiustificata dell’ex coniuge richiedente in tutte quelle situazioni in cui egli possa godere comunque non solo di una posizione economica autonoma ma anche di una condizione di particolare agiatezza oppure quando non ab-bia significativamente contribuito alla formazione della posi-zione economico-patrimoniale dell’altro ex coniuge. I criteri determinativi, ed in particolare quello relativo all’apporto fornito dall’ex coniuge nella conduzione e nello svolgimento della complessa attività endofamiliare, cui il Collegio ritiene di attribuire primaria e peculiare importanza, risultano mar-ginalizzati, con conseguente ingiustificata sottovalutazione dell’autoresponsabilità. Tale aspetto costituisce, invece, uno dei cardini delle scelte individuali e relazionali, sia nelle si-tuazioni analoghe a quella sopradescritta, sia nelle situazioni opposte, caratterizzate da condizioni economico-patrimoniali che presentino uno squilibrio nella valutazione comparativa, nelle quali la situazione di disparità economico-patrimoniale, riscontrabile alla fine del rapporto, sia il frutto esclusivo o pre-valente delle scelte adottate dai coniugi in ordine ai ruoli ed al contributo di ciascuno alla vita familiare. In questa peculiare situazione, peraltro molto frequente, il criterio compensati-vo non può essere esclusivamente un fattore di moderazione, dovendosene tenere conto al pari degli altri elementi alla luce dell’inquadramento costituzionale delle ragioni giustificative del diritto all’assegno di divorzio, così come fattori quali la salute o l’età in relazione alle capacità lavorativo-professionali e di produzione di reddito. Gli indicatori contenuti nella pri-ma parte dell’art. 5, comma 6, della l. n. 898 del 1978, hanno un contenuto perequativo-compensativo che la preminenza assoluta della comparazione quantitativa tra le condizioni economico-patrimoniali degli ex coniugi rischia di offuscare. Tuttavia, il rischio di trascurare del tutto i predetti indicato-ri, è ancora più incisivo alla luce dell’opposto orientamento, già preesistente e consacrato nella sentenza n. 1564 del 1990 ma, di recente, riaffermato, ed arricchito di rilievi critici e di nuovi elementi di valutazione giuridici e metagiuridici, con la sentenza n. 11504 del 2017.

La ragione di fondo, espressa nella motivazione di quest’ul-tima pronuncia che ha dato luogo alla modifica del conso-lidato orientamento giurisprudenziale in ordine al criterio attributivo dell’assegno di divorzio, risiede nell’indicata inat-tualità del precedente orientamento e nella sua inadeguatezza rispetto ad una mutata valorizzazione delle scelte personali e delle loro conseguenze sotto il profilo dell’autoresponsabilità, da valutarsi nel contesto costituzionale all’interno del quale tali scelte e la loro protezione giuridica si collocano.

L’opzione di fondo della pronuncia coglie un elemento di rilievo ma ne trascura altri. L’autodeterminazione individuale e la libertà di scegliere il percorso da imprimere alla propria esistenza costituisce certamente un valore assiologico por-tante nel sistema dei diritti della persona, ma è necessario che la declinazione di questo profilo dinamico dell’autode-terminazione sia effettiva ovvero non sia sconnessa dall’altro profilo fondante, quello della dignità personale, atteso che la libertà di scegliere e di determinarsi è eziologicamente con-dizionata dalla possibilità concreta di esercitare questo dirit-to. Per questa ragione, i diritti inviolabili della persona sono vivificati nella nostra Costituzione dal principio di effettività che permea l’art. 3 Cost. Alla luce di tale specifico richiamo, devono essere posti in rilievo alcuni elementi che anche il legislatore, nella composita indicazione di fattori incidenti sull’assegno di divorzio ha inteso valorizzare. In primo luogo deve sottolinearsi che con la cessazione dell’unione matrimo-niale si realizza, nella prevalenza delle situazioni concrete, un depauperamento di entrambi gli ex coniugi e si crea uno squilibrio economico-patrimoniale conseguente a tale deter-minazione.

I ruoli all’interno della relazione matrimoniale costituiscono un fattore, molto di frequente, decisivo nella definizione dei singoli profili economico-patrimoniali post matrimoniali e sono frutto di scelte comuni fondate sull’autodeterminazione e sull’autoresponsabilità di entrambi i coniugi all’inizio e nella continuazione della relazione matrimoniale. Inoltre, non può trascurarsi, per la ricchezza ed univocità dei riscontri statistici al riguardo, la perdurante situazione di oggettivo squilibrio di genere nell’accesso al lavoro, tanto più se aggravata dall’età.

La valutazione svolta nella sentenza n. 11504 del 2017 è ri-levante ma incompleta, in quanto non radicata sui fattori og-gettivi e interrelazionali che determinano la condizione com-plessiva degli ex coniugi dopo lo scioglimento del vincolo.

Lo stesso limite dell’incompletezza si deve rilevare in ordine alla ratio posta a sostegno del criterio attributivo dell’assegno di divorzio, individuato nella carenza di autosufficienza eco-nomica della parte richiedente. Solo questo parametro viene ritenuto coerente con i principi di autodeterminazione ed au-toresponsabilità che permeano la solidarietà post coniugale, su cui, in via esclusiva, si rinviene il fondamento dell’asse-gno. Il sostegno costituzionale della ratio solidaristica viene desunto dall’art. 2 Cost. e dall’art. 23 Cost. La garanzia co-stituzionale della riserva di legge in ordine al prelievo fiscale e ad ogni forma di obbligo tributario anche inteso in senso lato, risulta del tutto estraneo al contesto giuridico-costitu-zionale all’interno del quale deve collocarsi la c.d. solidarietà post coniugale, riguardando esclusivamente la relazione tra il cittadino-contribuente e l’autorità statuale o pubblica in sen-so ampio. Essa tuttavia costituisce la premessa coerente del contenuto riduttivo che nella pronuncia si attribuisce al prin-

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83L’Osservatorio sul diritto di famiglia | gennaio-agosto 2018

I diritti economici e personali nella crisi delle relazioni familiari DOSSIER

cipio di autodeterminazione ed autoresponsabilità, ancorché formalmente ancorati all’art. 2 Cost.

Della norma costituzionale viene, tuttavia, azzerata la parte, di primaria importanza, che colloca il principio di autode-terminazione all’interno delle formazioni sociali nelle quali si sviluppa la personalità dell’individuo.

La giurisprudenza costituzionale ha, del resto, ancorato pro-prio all’art. 2 Cost. ed alla dignità costituzionale che assume la modalità relazionale nello sviluppo della personalità umana, il fondamento costituzionale delle unioni e delle convivenze di fatto (Corte Cost. n. 404 del 1988; n. 559 del 1989) esten-dendo ad esse, strumenti di tutela propri dell’unione matri-moniale (diritto a succedere nella titolarità del rapporto di locazione, ecc.) mediante un processo di adeguamento incre-mentato dalla giurisprudenza di merito e di legittimità (Cass. n. 12278 del 2011; n. 9178 del 2018). Lo stesso fondamento costituzionale è stato riconosciuto alle unioni omoaffettive (Corte Cost. n. 138 del 2010; Cass. n. 2184 del 2012) prima dell’entrata in vigore della l. n. 76 del 2016. La libertà di scel-ta e l’autoresponsabilità, che della libertà è una delle principa-li manifestazioni, costituiscono il fondamento costituzionale dell’unione matrimoniale, una delle formazioni sociali che la Costituzione riconosce come modello relazionale-familiare preesistente e tipizzato. Il canone dell’uguaglianza, posto a base dell’art. 29 Cost., può essere attuato e reso effettivo sol-tanto all’interno di una relazione governata da scelte che sono frutto di determinazioni assunte liberamente dai coniugi in particolare in ordine ai ruoli ed ai compiti che ciascuno di essi assume nella vita familiare. L’uguaglianza si coniuga indisso-lubilmente con l’autodeterminazione e determina la peculia-rità della relazione coniugale così come declinata nell’art. 143 c.c., norma che ne costituisce la perfetta declinazione.

L’autodeterminazione non si esaurisce con la facoltà anche unilaterale di sciogliersi dal vincolo ma preesiste a tale deter-minazione e connota tutta la relazione ed, in particolare la definizione e la condivisione dei ruoli endofamiliari. Ugual-mente l’autoresponsabilità costituisce il cardine dell’intera relazione matrimoniale, su di essa fondandosi l’obbligo reci-proco di assistenza e di collaborazione nella conduzione della vita familiare così come tratteggiati nell’art. 143 c.c.

Nella sentenza n. 11504 del 2017, invece, lo scioglimento del vincolo coniugale, comporta una netta soluzione di con-tinuità tra la fase di vita successiva e quella anteriore. L’auto-determinazione e l’autoresponsabilità costituiscono la giusti-ficazione di questa radicale cesura e vengono assunti come principi informatori dei residui, limitati effetti, della cessata relazione coniugale. La previsione legislativa relativa all’as-segno di divorzio, alle condizioni previste dalla legge, viene ritenuta prescrizione di carattere eccezionale e derogatorio, in relazione al riacquisto dello stato libero realizzato con il divorzio. All’assegno viene, di conseguenza, riconosciuta una natura giuridica strettamente ed esclusivamente assistenziale, rigidamente ancorata ad una condizione di mancanza di auto-nomia economica, da valutare in considerazione della condi-zione soggettiva del richiedente, del tutto svincolata dalla re-lazione matrimoniale ed unicamente orientata, per il presente e per il futuro, dalle scelte e responsabilità individuali. Si deve osservare, tuttavia, che questa impostazione, pur condivisi-bile nella parte in cui coglie la potenzialità deresponsabiliz-zante del parametro del tenore di vita, omette di considerare

che i principi di autodeterminazione ed autoresponsabilità hanno orientato non solo la scelta degli ex coniugi di unirsi in matrimonio ma, ciò che è più rilevante ai fini degli effetti conseguenti al suo scioglimento così come definiti nell’art. 5, comma 6, l. n. 898 del 1970, hanno determinato il modello di relazione coniugale da realizzare, la definizione dei ruoli, il contributo di ciascun coniuge all’attuazione della rete di di-ritti e doveri fissati dall’art. 143 c.c. La conduzione della vita familiare è il frutto di decisioni libere e condivise alle quali si collegano doveri ed obblighi che imprimono alle condizioni personali ed economiche dei coniugi un corso, soprattutto in relazione alla durata del vincolo, anche irreversibile. Alla reversibilità della scelta relativa al legame matrimoniale non consegue necessariamente una correlata duttilità e flessibili-tà in ordine alle condizioni soggettive e alla sfera economi-co patrimoniale dell’ex coniuge al momento della cessazione dell’unione matrimoniale.

Il legislatore è stato largamente consapevole del forte con-dizionamento che il modello di relazione matrimoniale pre-scelto dai coniugi può determinare sulla loro condizione eco-nomico-patrimoniale successiva allo scioglimento. Per questa ragione ha imposto al giudice di “tenere conto” di una serie d’indicatori che sottolineano il significato del matrimonio come atto di libertà e di auto responsabilità, nonché come luogo degli affetti e di effettiva comunione di vita. Queste declinazioni del modello costituzionale dell’unione coniuga-le, incentrata sulla pari dignità dei ruoli che i coniugi hanno svolto nella relazione matrimoniale, non possono entrare in via esclusivamente eventuale nella valutazione che il giudice deve effettuare quando dispone sull’assegno di divorzio. La relazione coniugale è orientata fin dall’inizio dai principi di libertà ed autoresponsabilità ed il legislatore ha inteso valo-rizzare la funzione conformativa di questi principi nel regime giuridico dell’unione matrimoniale anche in relazione agli effetti che possono conseguire dopo lo scioglimento del vin-colo, senza incidere sulla efficacia solutoria di tale determi-nazione, volta al riacquisto dello stato libero ma anche senza azzerare l’esperienza della relazione coniugale alla quale si dà forte rilevanza nella norma che prefigura gli effetti di natura economica che conseguono al divorzio.

L’immanenza del principio di autoresponsabilità risulta cri-stallizzata nei criteri fissati nell’incipit dell’art. 5, comma 6, in-dividuati dal legislatore nelle condizioni dei coniugi, nelle ra-gioni della decisione, nel contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, nel reddito di entrambi, nella durata del matrimonio e, di conseguenza non può essere mai tenuta fuori dall’accertamento del diritto alla corresponsione di un assegno divorzile.

Nell’orientamento affermato dalle S.U. n. 11490 del 1990, la comparazione delle condizioni economico-patrimoniali de-gli ex coniugi conduceva sia pure in modo riflesso a tenere conto dei criteri determinativi, ma in funzione esclusivamen-te limitativa dell’astratta quantificazione dell’assegno fondata sul parametro del tenore di vita. Nell’orientamento più re-cente, tali ultimi criteri, ed in particolare quello, direttamente conseguente dal principio costituzionale della pari dignità dei coniugi, relativo al contributo dato da ciascuno di essi nella conduzione della vita familiare e nella formazione del patri-monio comune e di ciascuno, diventano meramente eventuali

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DOSSIER I diritti economici e personali nella crisi delle relazioni familiari

prospettandosi sostanzialmente una lettura dell’art. 5, comma 6, abrogatrice della prima parte, in quanto l’opzione erme-neutica prescelta è fondata sul rilievo nettamente preminente se non esclusivo del criterio attributivo dell’assegno.

10. la soluzione interpretatiVa aDottata.Le rilevanti modificazioni sociali che hanno inciso sulla rap-

presentazione simbolica del legame matrimoniale e sulla di-sciplina giuridica dell’istituto, sia per l’attribuzione a ciascuno dei coniugi del diritto unilaterale di sciogliersi dal vincolo sia per la natura di scelta libera e responsabile che caratterizza la decisione di unirsi in matrimonio, hanno determinato l’e-sigenza di valutare criticamente il criterio attributivo dell’as-segno cristallizzato nella sentenza delle S.U. n. 11490 del 1990, soprattutto in relazione al rischio di creare rendite di posizione disancorate dal contributo personale dell’ex coniuge richiedente alla formazione del patrimonio comune o dell’altro ex coniuge, ed a quello connesso della deresponsabilizzazio-ne conseguente all’adozione di un criterio fondato solo sulla comparazione delle condizioni economico-patrimoniale delle parti. Rimangono fermi, tuttavia, i rilevi formulati alla soluzio-ne radicalmente opposta proposta da Cass. n. 11504 del 2017.

Al fine d’indicare un percorso interpretativo che tenga conto sia dell’esigenza riequilibratrice posta a base dell’orientamento proposto dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 11490 del 1990 sia della necessità di attualizzare il diritto al riconoscimento dell’assegno di divorzio anche in relazione agli standards eu-ropei, questa Corte ritiene di dover abbandonare la rigida di-stinzione tra criteri attributivi e determinativi dell’assegno di divorzio, alla luce di una interpretazione dell’art. 5, comma 6, più coerente con il quadro costituzionale di riferimento costi-tuito, come già evidenziato, dagli artt. 2, 3 e 29 Cost.

Giova premettere che l’inclusione dell’art. 29 Cost. nell’oriz-zonte in cui deve collocarsi l’interpretazione dell’art. 5, com-ma 6, deriva anche dalla sentenza della Corte Cost. n. 11 del 2015, sollecitata proprio in sede di denunzia d’illegittimità costituzionale del criterio attributivo dell’assegno di divorzio costituito dal tenore di vita goduto durante il matrimonio.

Questo richiamo diretto al modello costituzionale del ma-trimonio, fondato sui principi di uguaglianza, pari dignità dei coniugi, libertà di scelta, reversibilità della decisione ed au-toresponsabilità sono stati tenuti in primaria considerazione dal legislatore in sede di definizione degli effetti economico patrimoniali conseguenti allo scioglimento del vincolo.

L’art. 5, comma 6, attribuisce all’assegno di divorzio una funzione assistenziale, riconoscendo all’ex coniuge il diritto all’assegno di divorzio quando non abbia mezzi “adeguati” e non possa procurarseli per ragioni obiettive. Il parametro dell’adeguatezza ha, tuttavia, carattere intrinsecamente rela-tivo ed impone una valutazione comparativa che entrambi gli orientamenti illustrati traggono al di fuori degli indicatori contenuti nell’incipit della norma, così relegando ad una fun-zione residuale proprio le caratteristiche dell’assegno di di-vorzio fondate sui principi di libertà, autoresponsabilità e pari dignità desumibili dai parametri costituzionali sopra illustrati e dalla declinazione di essi effettuata dall’art. 143 c.c.

L’intrinseca relatività del criterio dell’adeguatezza dei mezzi e l’esigenza di pervenire ad un giudizio comparativo desumi-bile proprio dalla scelta legislativa, non casuale, di questo pe-culiare parametro inducono ad un’esegesi dell’art. 5, comma 6, diversa da quella degli orientamenti passati. Il fondamento

costituzionale dei criteri indicati nell’incipit della norma con-duce ad una valutazione concreta ed effettiva dell’adeguatezza dei mezzi e dell’incapacità di procurarseli per ragioni ogget-tive fondata in primo luogo sulle condizioni economico-pa-trimoniali delle parti, da accertarsi anche utilizzando i poteri istruttori officiosi attribuiti espressamente al giudice della fa-miglia a questo specifico scopo. Tale verifica è da collegare causalmente alla valutazione degli altri indicatori contenuti nella prima parte dell’art. 5, comma 6, al fine di accertare se l’eventuale rilevante disparità della situazione economico-patrimoniale degli ex coniugi all’atto dello scioglimento del vincolo sia dipendente dalle scelte di conduzione della vita familiare adottate e condivise in costanza di matrimonio, con il sacrificio delle aspettative professionali e reddituali di una delle parti in funzione dell’assunzione di un ruolo trainante endofamiliare, in relazione alla durata, fattore di cruciale im-portanza nella valutazione del contributo di ciascun coniuge alla formazione del patrimonio comune e/o del patrimonio dell’altro coniuge, oltre che delle effettive potenzialità profes-sionali e reddituali valutabili alla conclusione della relazione matrimoniale, anche in relazione all’età del coniuge richie-dente ed alla conformazione del mercato del lavoro.

Il richiamo all’attualità, avvertito dalla sentenza n. 11504 del 2017, in funzione della valorizzazione dell’autoresponsa-bilità di ciascuno degli ex coniugi deve, pertanto, dirigersi verso la preminenza della funzione equilibratrice-perequativa dell’assegno di divorzio. Il principio di solidarietà, posto a base del riconoscimento del diritto, impone che l’accerta-mento relativo all’inadeguatezza dei mezzi ed all’incapacità di procurarseli per ragioni oggettive sia saldamente ancorato alle caratteristiche ed alla ripartizione dei ruoli endofamiliari. L’accertamento del giudice non è conseguenza di un’inesi-stente ultrattività dell’unione matrimoniale, definitivamente sciolta tanto da determinare una modifica irreversibile degli status personali degli ex coniugi, ma della norma regolatrice del diritto all’assegno, che conferisce rilievo alle scelte ed ai ruoli sulla base dei quali si è impostata la relazione coniugale e la vita familiare. Tale rilievo ha l’esclusiva funzione di accer-tare se la condizione di squilibrio economico patrimoniale sia da ricondurre eziologicamente alle determinazioni comuni ed ai ruoli endofamiliari, in relazione alla durata del matri-monio e all’età del richiedente. Ove la disparità abbia que-sta radice causale e sia accertato che lo squilibrio economico patrimoniale conseguente al divorzio derivi dal sacrificio di aspettative professionali e reddituali fondate sull’assunzione di un ruolo consumato esclusivamente o prevalentemente all’interno della famiglia e dal conseguente contributo fattivo alla formazione del patrimonio comune e a quello dell’altro coniuge, occorre tenere conto di questa caratteristica della vita familiare nella valutazione dell’inadeguatezza dei mezzi e dell’incapacità del coniuge richiedente di procurarseli per ragioni oggettive. Gli indicatori, contenuti nella prima parte dell’art. 5, comma 6, prefigurano una funzione perequativa e riequilibratrice dell’assegno di divorzio che permea il princi-pio di solidarietà posto a base del diritto.

Il giudizio di adeguatezza impone una valutazione compo-sita e comparativa che trova nella prima parte della norma i parametri certi sui quali ancorarsi. La situazione economico-patrimoniale del richiedente costituisce il fondamento della valutazione di adeguatezza che, tuttavia, non va assunta come

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I diritti economici e personali nella crisi delle relazioni familiari DOSSIER

una premessa meramente fenomenica ed oggettiva, svincolata dalle cause che l’hanno prodotta, dovendo accertarsi se tali cause siano riconducibili agli indicatori delle caratteristiche della unione matrimoniale così come descritti nella prima par-te dell’art. 5, comma 6, i quali, infine, assumono rilievo diret-tamente proporzionale alla durata del matrimonio. Solo me-diante una puntuale ricomposizione del profilo soggettivo del richiedente che non trascuri l’incidenza della relazione matri-moniale sulla condizione attuale, la valutazione di adeguatezza può ritenersi effettivamente fondata sul principio di solidarietà che, come illustrato, poggia sul cardine costituzionale fondato della pari dignità dei coniugi (artt. 2, 3 e 29 Cost.).

Il parametro dell’adeguatezza contiene in sé una funzione equilibratrice e non solo assistenziale-alimentare. Il rilievo del profilo perequativo non si fonda su alcuna suggestione criptoindissolubilista (l’espressione è stata usata nell’ordinan-za di rimessione alla Corte Costituzionale che ha dato luogo alla sentenza n. 11 del 2015), ma esclusivamente sul rilievo che tale principio assume nella norma regolativa dell’assegno. La piena ed incondizionata reversibilità del vincolo coniuga-le non esclude il rilievo pregnante che questa scelta, unita alle determinazioni comuni assunte in ordine alla conduzione della vita familiare, può imprimere sulla costruzione del pro-filo personale ed economico-patrimoniale dei singoli coniugi, non potendosi trascurare che l’impegno all’interno della fa-miglia può condurre all’esclusione o limitazione di quello di-retto alla costruzione di un percorso professionale-reddituale.

Ne consegue che la funzione assistenziale dell’assegno di di-vorzio si compone di un contenuto perequativo-compensati-vo che discende direttamente dalla declinazione costituziona-le del principio di solidarietà e che conduce al riconoscimen-to di un contributo che, partendo dalla comparazione delle condizioni economico-patrimoniali dei due coniugi, deve tener conto non soltanto del raggiungimento di un grado di autonomia economica tale da garantire l’autosufficienza, se-condo un parametro astratto ma, in concreto, di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspet-tative professionali ed economiche eventualmente sacrificate, in considerazione della durata del matrimonio e dell’età del richiedente. Il giudizio di adeguatezza ha, pertanto, anche un contenuto prognostico riguardante la concreta possibilità di recuperare il pregiudizio professionale ed economico de-rivante dall’assunzione di un impegno diverso. Sotto questo specifico profilo il fattore età del richiedente è di indubbio ri-lievo al fine di verificare la concreta possibilità di un adeguato ricollocamento sul mercato del lavoro.

L’eliminazione della rigida distinzione tra criterio attributi-vo e criteri determinativi dell’assegno di divorzio e la conse-guente inclusione, nell’accertamento cui il giudice è tenuto, di tutti gli indicatori contenuti nell’art. 5, comma 6, in posi-zione equiordinata, consente, in conclusione, senza togliere rilevanza alla comparazione della situazione economico-pa-trimoniale delle parti, di escludere i rischi d’ingiustificato ar-ricchimento derivanti dalla adozione di tale valutazione com-parativa in via prevalente ed esclusiva, ma nello stesso tempo assicura tutela in chiave perequativa alle situazioni, molto fre-quenti, caratterizzate da una sensibile disparità di condizioni economico-patrimoniali ancorché non dettate dalla radicale mancanza di autosufficienza economica ma piuttosto da un

dislivello reddituale conseguente alle comuni determinazioni assunte dalle parti nella conduzione della vita familiare.

11. il quaDro coMparatistico europeo eD extraeuropeo.La soluzione prospettata è largamente coerente con il quadro

della legislazione dei paesi dell’Unione europea. Il confronto, pur non essendo la materia né di competenza dell’Unione Eu-ropea né oggetto di diversa disciplina convenzionale, non può essere eluso, in considerazione della natura dei diritti in gioco e della composizione del principio solidaristico ad essi sottesi. La comparazione con alcuni ordinamenti europei (in particolare quello francese e tedesco) evidenzia, in particolare, la natura specificamente perequativo-compensativa attribuita all’assegno di divorzio correlata alla previsione della temporaneità dell’ob-bligo in quanto prevalentemente finalizzato a colmare la dispa-rità economico patrimoniale determinatasi con lo scioglimento del vincolo. Possono, tuttavia, porsi in luce alcuni principi co-muni, posti in luce dai lavori svolti dalla Commissione Europea del diritto di famiglia (C.E.F.L.), sorta al fine di armonizzare i principi che regolano il diritto di famiglia in considerazione della competenza del diritto dell’Unione Europea in ordine alla giurisdizione, al riconoscimento ed alla circolazione delle deci-sioni in materia di scioglimento dell’unione coniugale e respon-sabilità genitoriale. Si è riscontrata, in particolare, la tendenzia-le eliminazione del divorzio per colpa che, anche all’interno del nostro ordinamento, trova riscontro nella progressiva riduzione dell’importanza del c.d. criterio risarcitorio fin dall’accertamen-to dell’addebito in sede di separazione; la natura consensuale del divorzio e la preminenza del principio di autoresponsabilità anche in sede di regolazione dell’assegno le cui caratteristiche sono da cogliere nell’ancoraggio ad un criterio perequativo-assistenziale in funzione di riequilibrio della posizione dell’ex coniuge più svantaggiato (sistema francese); nel favor verso un sistema di riequilibrio economico-patrimoniale realizzato con la ripartizione pregressa delle risorse e del patrimonio familiare cui consegue l’eccezionalità dell’assegno di divorzio (sistema tedesco) ed infine nella temporaneità della disposizione, in quanto finalizzata alla ricomposizione di un quadro di parità economico patrimoniale.

Sia le linee di tendenza comuni che le differenze di regime giuridico sono ispirate dal medesimo obiettivo della pari di-gnità degli ex coniugi. In questa priorità si coglie l’esclusivo elemento di continuità tra i postulati costituzionali dell’unio-ne matrimoniale e la finalità dell’assegno di divorzio.

La conferma della centralità del principio di uguaglianza ef-fettiva tra i coniugi anche alla luce dell’esame comparatistico delle legislazioni di paesi occidentali trova riscontro effettivo nel VII Protocollo addizionale alla Convenzione Europea dei Diritti Umani, nell’art. 5. Nella norma viene stabilito che: “I coniugi godono dell’uguaglianza di diritti e di responsabilità di ca-rattere civile tra di essi e nelle loro relazioni con i loro figli riguardo al matrimonio, durante il matrimonio e in caso di suo scioglimen-to. Il presente articolo non impedisce agli Stati di adottare le misu-re necessarie nell’interesse dei figli”.

Il principio è un’evoluzione di quanto già contenuto nell’art. 16 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani procla-mata il 10 dicembre 1948. Nell’articolo è indicato che uomini e donne hanno eguali diritti riguardo al matrimonio, durante il matrimonio e all’atto del suo scioglimento.

Emerge, in conclusione, corrispondenza tra la collocazione dell’assegno di divorzio nell’alveo degli artt. 2, 3 e 29 Cost.

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DOSSIER I diritti economici e personali nella crisi delle relazioni familiari

con la conseguente preminenza della funzione perequativa ad esso attribuibile ed il quadro europeo e convenzionale di riferimento. Gli elementi che appaiono in contrasto con tale quadro, ovvero l’eccezionalità del ricorso all’assegno e la tem-poraneità dello stesso non scalfiscono la comune provenienza dal principio di parità effettiva.

In particolare la mancanza di temporaneità trova puntua-le correttivo nel meccanismo legislativo della revisione del-le condizioni della sentenza di divorzio in presenza di fatti sopravvenuti mentre il riconoscimento dell’assegno per im-porti poco elevati ed in funzione perequativa riguarda una percentuale molto modesta delle controversie in tema di di-vorzio. L’attenzione deve rivolgersi, al fine di rendere effettiva la funzione perequativa dell’assegno al rigoroso accertamento probatorio dei fatti posti a base della disparità economico-pa-trimoniale conseguente allo scioglimento del vincolo, doven-do trovare giustificazione causale negli indicatori contenuti nella prima parte dell’art. 5, comma 6 ed in particolare nel contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e, conseguentemente, alla formazione del patrimo-nio familiare e personale dell’altro coniuge. Di tale contributo la parte richiedente deve fornire la prova con ogni mezzo an-che mediante presunzioni. Del superamento della disparità determinata dalle cause sopraindicate, la parte che chiede la riduzione o la eliminazione dell’assegno posto originariamen-te a suo carico, deve fornire la prova contraria. La sostanziale assenza di preclusioni, salvo l’allegazione di mutamenti di fatto, nel procedimento di revisione, rende reversibile e mo-dificabile sine die la determinazione originaria in ordine all’as-segno di divorzio, escludendo anche sotto tale profilo, i rischi della c.d. criptoindissolubilità.

12. consiDerazioni conclusiVe.Si ritiene utile, prima di procedere alla decisione riguardante il

primo motivo di ricorso, fornire un quadro sintetico conclusivo dei principi relativi alla individuazione dei criteri sulla base dei quali può essere riconosciuto il diritto all’assegno di divorzio.

Si deve premettere una considerazione di carattere fattua-le. La determinazione e l’attuazione della scelta di sciogliere l’unione matrimoniale, determinano un deterioramento com-plessivo nelle condizioni di vita del coniuge meno dotato di capacità reddituali, economiche e patrimoniali proprie.

Il legislatore impone di accertare, preliminarmente, l’esi-stenza e l’entità dello squilibrio determinato dal divorzio mediante l’obbligo della produzione dei documenti fiscali dei redditi delle parti ed il potenziamento dei poteri istruttori officiosi attribuiti al giudice, nonostante la natura prevalen-temente disponibile dei diritti in gioco. All’esito di tale pre-liminare e doveroso accertamento può venire già in evidenza il profilo strettamente assistenziale dell’assegno, qualora una sola delle parti non sia titolare di redditi propri e sia priva di redditi da lavoro. Possono, tuttavia, riscontrarsi più situazioni comparative caratterizzate da una sperequazione nella condi-zione economico-patrimoniale delle parti, di entità variabile.

In entrambe le ipotesi, in caso di domanda di assegno da parte dell’ex coniuge economicamente debole, il parametro sulla base del quale deve essere fondato l’accertamento del di-ritto ha natura composita, dovendo l’inadeguatezza dei mezzi o l’incapacità di procurarli per ragioni oggettive essere de-sunta dalla valutazione, del tutto equiordinata degli indicatori contenuti nella prima parte dell’art. 5, comma 6, in quanto

rivelatori della declinazione del principio di solidarietà, posto a base del giudizio relativistico e comparativo di adeguatezza. Pertanto, esclusa la separazione e la graduazione nel rilievo e nella valutazione dei criteri attributivi e determinativi, l’ade-guatezza assume un contenuto prevalentemente perequativo-compensativo che non può limitarsi né a quello strettamente assistenziale né a quello dettato dal raffronto oggettivo delle condizioni economico patrimoniali delle parti. Solo così vie-ne in luce, in particolare, il valore assiologico, ampiamente sottolineato dalla dottrina, del principio di pari dignità che è alla base del principio solidaristico anche in relazione agli illustrati principi CEDU, dovendo procedersi all’effettiva va-lutazione del contributo fornito dal coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio comune e alla for-mazione del profilo economico patrimoniale dell’altra parte, anche in relazione alle potenzialità future. La natura e l’entità del sopraindicato contributo è frutto delle decisioni comuni, adottate in sede di costruzione della comunità familiare, ri-guardanti i ruoli endofamiliari in relazione all’assolvimento dei doveri indicati nell’art. 143 c.c. Tali decisioni costituisco-no l’espressione tipica dell’autodeterminazione e dell’autore-sponsabilità sulla base delle quali si fonda, ex artt. 2 e 29 Cost. la scelta di unirsi e di sciogliersi dal matrimonio.

Alla luce delle considerazioni svolte, ritiene il Collegio che debba essere prescelto un criterio integrato che si fondi sulla concretezza e molteplicità dei modelli familiari attuali. Se si assume come punto di partenza il profilo assistenziale, valo-rizzando l’elemento testuale dell’adeguatezza dei mezzi e del-la capacità (incapacità) di procurarseli, questo criterio deve essere calato nel “contesto sociale” del richiedente, un conte-sto composito formato da condizioni strettamente individuali e da situazioni che sono conseguenza della relazione coniuga-le, specie se di lunga durata e specie se caratterizzata da uno squilibrio nella realizzazione personale e professionale fuori nel nucleo familiare. Lo scioglimento del vincolo incide sullo status ma non cancella tutti gli effetti e le conseguenze delle scelte e delle modalità di realizzazione della vita familiare. Il profilo assistenziale deve, pertanto, essere contestualizzato con riferimento alla situazione effettiva nella quale s’inserisce la fase di vita post matrimoniale, in particolare in chiave pe-requativa-compensativa. Il criterio attributivo e quello deter-minativo, non sono più in netta separazione ma si coniugano nel c.d. criterio assistenziale-compensativo.

L’elemento contributivo-compensativo si coniuga senza dif-ficoltà a quello assistenziale perché entrambi sono finalizzati a ristabilire una situazione di equilibrio che con lo scioglimento del vincolo era venuta a mancare. Il nuovo testo dell’art. 5 non preclude la formulazione di un giudizio di adeguatezza anche in relazione alle legittime aspettative reddituali con-seguenti al contributo personale ed economico fornito da ciascun coniuge alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno ed a quello comune. L’adeguatezza dei mezzi deve, pertanto, essere valutata, non solo in relazione alla loro mancanza o insufficienza oggettiva ma anche in relazione a quel che si è contribuito a realizza-re in funzione della vita familiare e che, sciolto il vincolo, produrrebbe effetti vantaggiosi unilateralmente per una sola parte. Il superamento della distinzione tra criterio attributivo e criteri determinativi dell’assegno di divorzio non determi-na, infine, un incremento ingiustificato della discrezionalità

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I diritti economici e personali nella crisi delle relazioni familiari DOSSIER

del giudice di merito, perché tale superamento non comporta la facoltà di fondare il riconoscimento del diritto soltanto su uno degli indicatori contenuti nell’incipit dell’art. 5, comma 6. essendone necessaria una valutazione integrata, incentrata sull’aspetto perequativo-compensativo, fondata sulla compa-razione effettiva delle condizioni economico-patrimoniali alla luce delle cause che hanno determinato la situazione attuale di disparità. Inoltre è necessario procedere ad un accerta-mento probatorio rigoroso del rilievo causale degli indicatori sopraindicati sulla sperequazione determinatasi, ed, infine, la funzione equilibratrice dell’assegno, deve ribadirsi, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale ma soltanto al riconoscimento del ruolo e del contributo for-nito dall’ex coniuge economicamente più debole alla realizza-zione della situazione comparativa attuale.

In conclusione, alla pluralità di modelli familiari consegue una molteplicità di situazioni personali conseguenti allo scio-glimento del vincolo. Il criterio individuato proprio per la sua natura composita ha l’elasticità necessaria per adeguarsi alle fattispecie concrete perché, a differenza di quelli che si sono in precedenza esaminati non ha quelle caratteristiche di gene-ralità ed astrattezza variamente criticate in dottrina.

13. accogliMento Del priMo MotiVo e principio Di Diritto.Alla luce delle considerazioni svolte, deve essere accolto il

primo motivo di ricorso. La sentenza impugnata si è fonda-ta esclusivamente sul criterio dell’autosufficienza economica, escludendo dalla propria indagine l’accertamento dell’even-tuale incidenza degli indicatori concorrenti contenuti nell’art. 5, comma 6, della l. n. 898 del 1970 ed in particolare quello relativo al contributo fornito dalla richiedente alla conduzio-ne della vita familiare ed alla conseguente formazione del pa-trimonio comune e personale dell’altro ex coniuge. Al riguar-do nel ricorso alle pagine 14 e 15 viene sottolineato l’omesso

esame di tale criterio, unitamente a tutti quelli non ricondu-cibili al profilo strettamente assistenziale dell’autosufficienza economica. Limitatamente a tale specifica violazione dell’art. 5, comma 6, pertanto, il motivo deve essere accolto essendo necessario integrare alla luce delle allegazioni fattuali della parte ricorrente ed in relazione alla comparazione della situa-zione economico patrimoniale delle parti e della intervenuta suddivisione del patrimonio familiare, se possa riconoscersi il diritto all’assegno diverso in funzione specificamente pere-quativo-compensativa, così come prospettato in ricorso. L’ac-coglimento del primo motivo determina l’assorbimento del secondo. Alla cassazione della sentenza impugnata consegue il rinvio alla Corte d’Appello di Bologna che dovrà attenersi al seguente principio di diritto:

“Ai sensi dell’art. 5, comma 6, della l. n. 898 del 1970, dopo le modifiche introdotte con la l. n. 74 del 1987, il riconoscimento dell’assegno di divorzio, cui deve attribuirsi una funzione assi-stenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi o comunque dell’im-possibilità di procurarseli per ragioni oggettive, attraverso l’ap-plicazione dei criteri di cui alla prima parte della norma i quali costituiscono il parametro di cui si deve tenere conto per la relativa attribuzione e determinazione, ed in particolare, alla luce della valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimo-nio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all’età dell’avente diritto”.

P.Q.M.Accoglie il primo motivo di ricorso nei limiti di cui in moti-

vazione. Dichiara assorbito il secondo. Cassa la sentenza impu-gnata e rinvia anche per le spese processuali del presente giu-dizio alla Corte d’Appello di Bologna in diversa composizione

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DOSSIER I diritti economici e personali nella crisi delle relazioni familiari

1. Premessa

L’attesa sentenza del più ampio Collegio della Suprema Corte di legittimità in commento pone un punto fermo in merito alla retta interpretazione del comma 6°, dell’art. 5, l. div., su-perando il severo contrasto ripresentatosi dopo circa ventiset-te anni – pur mai sopite incertezze di vario profilo –, in esito alla svolta impressa dalla sentenza della prima sezione civile del 10 maggio 2017, n. 115041.

Quest’ultima statuizione, mutando radicalmente l’anteriore diritto vivente in ordine al riconoscimento ed alla determi-nazione dell’assegno divorzile, ha dato origine a commenti e discussioni del più vario genere, ovviamente affollando subi-to i sommari delle riviste di settore2, ed animando convegni di studio diffusi sul territorio, soprattutto nell’ambito della c.d. formazione forense e di aggiornamento dei magistrati. Lo stesso “dirompente” arresto di legittimità ha in verità ripro-

1 In questa Rivista, 2017, 80, con nota di saVi, La rilevanza del “tenore di vita” dei con-sorti nel riconoscimento del contributo al mantenimento in regime di separa-zione personale e dell’assegno post-coniugale; la cortesia del lettore è rinviata peral-tro allo studio ampliato nel successivo saggio, Il riconoscimento dell’assegno divor-zile: dal parametro del “tenore di vita” dei con-sorti alla verifica dell’autosufficienza personale del richiedente?, in Riv. dir. privato, 2017, 599; con la precisazione che la presente notazione, licenziata a pochi giorni dalla pubblicazione della senten-za, costituisce un unico percorso di studio, presupponendo tali anteriori scritti.

2 Cfr., tra altri, Bianca, L’ultima sentenza della Cassazione in tema di assegno divorzile: ciao Europa?, in www.giustiziacivile.com, editoriale 9 giugno 2017, 1; ca-saBuri, Tenore di vita ed assegno divorzile (e di separazione): c’è qualcosa di nuovo oggi in Cassazione, anzi d’antico, in Foro it., 2017, 1895; Bona, Il revirement sull’assegno divorzile e gli effetti sui rapporti pendenti, ivi, 1900; MonDini, Sulla determinazio-ne dell’assegno divorzile la sezione semplice decide “in autonomia”. Le ricadute della pronuncia sui giudizi di attribuzione e sui ricorsi per revisione dell’assegno, ivi, 1903; patti, Assegno di divorzio: un passo verso l’Europa?, ivi, 2017, 2707; Bianca, Il nuo-vo orientamento in tema di assegno divorzile. Una storia incompiuta, ivi, 2017, 2715; astone, Assegno post-matrimoniale ed autoresponsabilità degli ex coniugi, in questa Rivista, 2017, 1208; quaDri, I coniugi e l’assegno di divorzio tra conservazione del “tenore di vita” e “autoresponsabilità”: “persone singole” senza passato?, in Corr. giur., 2017, 885; Dosi, Presupposti dell’assegno divorzile e condizione femminile: perché la prima sezione civile della Cassazione non è convincente, in www.lessicodidiritto-difamiglia.com; al MureDen, L’assegno divorzile tra autoresponsabilità e solidarietà post-coniugale, in Fam dir., 2017, 642; DanoVi, Assegno di divorzio e tenore di vita matrimoniale: il valore del precedente per i giudizi futuri e l’impatto sui divorzi già definiti, ivi, 2017, 655; iD., La Cassazione e l’assegno di divorzio: en attendant Godot (ovvero le Sezioni Unite), ivi, 2018, 51; iD., la meritevolezza dell’assegno di divor-zio va valutata nel concreto svolgimento della vita coniugale, ivi, 2018, 373; roMa, Assegno di divorzio: dal tenore di vita all’indipendenza economica, in Nuova giur. civ. comm., 2017, 1001; Di MaJo, Assistenza o riequilibrio negli effetti del divorzio?, in Giur. it., 2017, 1304; riMini, Assegno di mantenimento e assegno divorzile: l’agonia del fondamento assistenziale, ivi, 1799; sesta, La solidarietà post-coniugale tra fun-zione assistenziale ed esigenze compensative, in Fam. dir., 2018, 509.

posto argomenti risalenti (minoritari), balzando prepoten-temente agli onori delle cronache come una rivisitazione di sistema del diritto di famiglia, in chiave innovativa rispetto al c.d. criterio del tenore di vita, asseritamente conforme ai tempi, in una visione che in buona sostanza può cristallizzarsi come di “liberazione” dai pesi del matrimonio che prendono titolo dallo scioglimento dello status, attribuendo all’assegno divorzile, una natura meramente assistenziale, sul dato di partenza del principio di autoresponsabilità personale, più incline alla prospettiva alimentare che al ragionevole rispetto dei valori sottesi all’impegno matrimoniale sanciti nell’art. 29 Cost.; linea accentuata dal coevo arresto della stessa sezione, del 16 maggio 2017, n. 121963, inerente l’assegno di contri-buto al mantenimento tra coniugi separati, di cui all’art. 156, comma 1°, c.c., sul quale diritto invece veniva mantenuto fer-mo l’orientamento consolidato teso a garantire il livello di vita raggiunto, segnando così tra le due previsioni una distanza incolmabile.

La soluzione proposta dalle Sezioni Unite, innegabilmente densa di questioni e temi che esigono riflessione, resterà al centro dell’analisi di dottrina e giurisprudenza di settore con l’agevole prognosi di sicura vivacità del dibattito (peraltro, ben idonea a richiamare anche l’attenzione di un legislatore distante e distratto), si pone sulla linea della ragionevole fe-deltà al complessivo dato legislativo vigente, interpretando il ruolo nomofilattico con indubbia autorevolezza.

Opportuno appare un tale esordio di approvazione, tanto più che il risultato corrisponde in buona sostanza all’auspicio di fondo espresso commentando criticamente sia la richia-mata svolta del maggio 20174, come le successive difficoltà delle Corti di merito, ed il diffuso senso di “confusione” pur-troppo prodottosi5.

3 In questa Rivista, 2017, 85.4 Cfr. opp. citt. in nota 1.5 Cfr., tra le espressioni maggiormente significative, App. Genova, 12 ottobre

2017, in Dir. fam. pers., 2018, 83, con nota di saVi, Il diritto all’assegno divorzile avanti alle Corti di merito, ovverosia, l’ennesima “torre di babele” nella cittadella della famiglia; App. Milano, 16 novembre 2017, in Giur. it., 2017, 2625, con nota di Di MaJo, Passato e presente nell’assegno divorzile; App. Napoli, 22 febbraio 2018, in Fam. dir., 2018, 360, con nota di DanoVi, cit. in nota 2. Da segnalare anche gli interessanti itinerari di giurisprudenza di piantaniDa, L’assegno di divorzio dopo la svolta della Cassazione: orientamenti (e disorientamenti) nella giurisprudenza di merito, in Fam. dir., 2018, 65; e di Mangano, La giurisprudenza del Tribunale di Roma dopo il revirement della Corte di cassazione sull’assegno divorzile, in Questione Giustizia, 10 maggio 2018.

RICONOSCIMENTO E DETERMINAZIONE DELL’ASSEGNO POST-MATRIMONIALE: IL RITROVATO EQUILIBRIO ERMENEUTICOGIANCARLO SAVIMembro dell’Esecutivo nazionale e Direttore della Scuola

Sommario: 1. Premessa. - 2. La soluzione sancita dalle Sezioni Unite in chiave di concreta meritevolezza (l’art. 5, comma 6°, l. div., il sintagma “mezzi adeguati” ed i fattori di riferimento; tramonto delle tentazioni eteronormative e del metodo decisorio c.d. bifasico; richiamo ai valori della famiglia fondata sul matrimonio). - 3. L’ulteriore presa di distanza dalla svolta del maggio 2017. - 4. Il significativo allontanamento anche dall’indirizzo avallato dalle Sezioni Unite del 1990. - 5. Il nuovo metodo decisorio ed il peso dei singoli fattori di riferimento. - 6. Le allegazioni e gli oneri probatori nel nuovo impianto. - 7. La questione della revisione del giudicato. - 8. Conclusioni.

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I diritti economici e personali nella crisi delle relazioni familiari DOSSIER

In verità, nei successivi arresti della stessa prima sezione civile, del gennaio/marzo 2018, dopo di che ha ritenuto di dover attendere proprio il responso delle Sezioni Unite in commento, erano emerse anche rilevanti incertezze6, auto-certificando così che la soluzione innovativa proposta non era in grado di regolare agevolmente tutte le fattispecie.

Opportuna appare l’ulteriore premessa inerente il caso con-creto regolato dalle Sezioni Unite. La coniuge che aveva visto riconosciuto in proprio favore l’importante assegno divorzile di €. 4.000,00= mensili dal tribunale di prime cure, risultata soccombente avanti alla corte territoriale adita dal marito, che revocava la statuizione aderendo al nuovo corso segnato dalla Corte di legittimità nel maggio 2017, insorgeva assumendo la violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 6°, l. div., essenzialmente lamentando che il criterio dell’indipendenza economica non ha alcun riscontro nella norma; che, viceversa il consolidato criterio del tenore di vita, ritenuto legittimo an-che dalla Corte delle leggi, fa parte dell’intero impianto nor-mativo del divorzio ed è conforme al principio di solidarietà post-coniugale come scolpito nelle norme positive; che nes-suna inferenza poteva trarsi dall’art. 337-septies c.c., giusta la diversità degli istituti e delle finalità delle distinte previsioni.

Da rimarcare come il ricorso è approdato alle Sezioni Unite per iniziativa della stessa moglie ricorrente, assunta ai sen-si dell’art. 376, comma 2°, codice di rito, dopo la reiezione seriale delle istanze della Procura Generale in tal senso (che evidenziava l’esatta ricorrenza della previsione ex art. 374, comma 3°), da parte della prima sezione civile.

2. La soluzione sancita dalle Sezioni Unite in chia-ve di concreta meritevolezza (l’art. 5, comma 6°, l. div., il sintagma “mezzi adeguati” ed i fattori di riferimento; tramonto delle tentazioni eteronorma-tive e del metodo decisorio c.d. bifasico; richiamo ai valori della famiglia fondata sul matrimonio)

Utile alla presente esposizione segnare subito il risultato. In estrema sintesi, decisiva appare l’affermazione secondo cui i criteri enumerati dalla norma – tutti e solo essi – valgono con

6 Il percorso della giurisprudenza di legittimità intervenuta successivamente alla svolta del maggio 2017, tra altre, al di là dell’arresto di Cass., sez. I, 22 giugno 2017 n. 15481, in banca dati Pluris, peculiarmente afferente l’ulterio-re tema della revisione del giudicato (poi meglio rimeditata con l’arresto della stessa sezione del 26 gennaio 2018 n. 2043, ivi, sulla quale questione si tornerà infra, annoverava gli arresti di, Cass., sez. VI-1, 21 luglio 2017 n. 18111, ivi (pur riprendendo lo specifico tema della totale rescissione del legame tra ex coniugi nell’ipotesi ricorrente della formazione di nuovi rapporti familiari di fatto); Id, 8 agosto 2017 n. 19721, ivi; Id., 29 agosto 2017 n. 20525, ivi; Id., 9 ottobre 2017 n. 23602, ivi; Id., 25 ottobre 2017 n. 25327, ivi; Id. 27 ottobre 2017 n. 25697, ivi; Id. 5 dicembre 2017 n. 28994, ivi; evidenziando tutte in sostanza un mero rimando motivo al precedente dell’11 maggio 2017 n. 11504. In verità, come cennato nel testo, non sono mancati successivi segni di accentuazione o di in-crinatura, quali, a titolo esemplificativo, possono cogliersi negli arresti di, Cass., sez. I, 28 gennaio 2018 n. 2042, in Fam. dir., 2018, 321, con nota di Figone, As-segno divorzile e valutazione ponderata dell’autosufficienza economica: un “apripista” per le Sezioni Unite?; e di, Cass., sez. VI-1, 7 febbraio 2018 n. 3015, in banca dati Pluris, ove addirittura si legge il seguente tratto motivo: “La conservazione del tenore di vita matrimoniale, richiamato dalla ricorrente a sostegno della richiesta di quantificazione dell’assegno in misura superiore a quella riconosciutale, non costituisce più un parametro di riferimento utilizzabile né ai fini del giudizio sull’an debeatur né di quello sul quantum debeatur, la cui determinazione è fina-lizzata a consentire all’ex coniuge il raggiungimento dell’indipendenza econo-mica”. Infine la prima sezione civile ha rinviato a nuovo ruolo le decisioni dei ricorsi ove era agitato il tema che qui ci occupa.

efficacia equiordinata per il riconoscimento del diritto all’as-segno periodico che prende titolo dalla sentenza di status di-vorzile, come per la sua determinazione nel quantum.

Il sintagma “mezzi adeguati” contenuto nell’ultima parte della norma, deve pertanto trovare il suo unico termine di pa-ragone nei fattori elencati nell’esordio dettato nel comma 6°, dell’art. 5, l. div., in quanto rivelatori della retta valutazione del principio di solidarietà da realizzare.

Riconosciuto infatti apertamente che l’interpretazione del-la norma non può prescindere dall’evidente nesso testuale di dipendenza logica, che perciò impone la sua unitaria ese-gesi; tutti i fattori rilevano e vincolano, cosicché non sono ammesse separazioni e/o graduazioni; in sostanza, il giudizio sull’adeguatezza o meno dei mezzi non può che condursi in senso relativo rispetto a quella data famiglia – quindi del suo peculiare contesto relazionale e sociale complessivamente in-teso – costituita secondo il vincolo matrimoniale ed entrata in crisi, tenuto conto dei fattori certi elencati nella prima parte della norma; in tal modo è stata giustamente abbandonata la nota dicotomia comportante rigida distinzione tra criteri attributivi e criteri determinativi.

Il metodo decisorio cosiddetto bifasico, sino ad oggi con-solidato e che in sostanza accomunava entrambi gli indirizzi fronteggiatisi, che per semplicità espositiva e con partizione estremamente sommaria proseguiamo a definire del “tenore di vita” quanto a quello consolidato e dell’“autosufficienza personale” quanto a quello innovato nel maggio 2017, è stato reputato frutto di errore ermeneutico; come noto, tale metodo si sviluppa in senso progressivo, su una prima valutazione inerente l’an debeatur e, solo al positivo scrutinio di questa, ammette il passaggio alla seconda valutazione inerente il quantum debeatur.

Respinta consequenzialmente con decisione ogni ipotesi di eterointegrazione della norma, e con ciò, allontanate tutte le insidie di deriva interpretativa che finivano per produrre la segnalata “amputazione” abrogatrice della norma stessa7, che un tale metodo di giudizio finiva giocoforza per incarnare, obbedendo in sostanza a questo o quell’arbitrio, pur in un ambito caratterizzato da apprezzamenti discrezionali.

Soccombente anche l’altra teorizzazione secondo cui per il riconoscimento dell’assegno divorzile si dovrebbe aver riguar-do unicamente alla condizione personale del coniuge richie-dente, con ciò escludendo proprio la valutazione comparativa (e così, implicitamente, anche all’inverso, nella soluzione ap-prestata dal c.d. criterio del tenore di vita, secondo cui si do-vrebbe aver riguardo unicamente al coniuge onerato), dettata giustamente dalla norma positiva, che non autorizza alcuna visione unilaterale, rimarcando invece l’esigenza contraria della valutazione di confronto e reciprocità.

Il principio di diritto dettato impone ai giudici del merito l’analisi compiuta del singolo caso concreto, che abbia effet-tivo riguardo a null’altro che a quella singola vicenda esisten-ziale matrimoniale, tra quel singolo uomo e quella singola donna, come in concreto sviluppatasi nel tempo, alla ricerca delle scelte di vita condivise, del ruolo, della realizzazione, della lealtà e della dignità di ognuno, dei peculiari tratti even-tualmente causativi di ricadute pregiudizievoli, in prospettiva

7 Secondo la fondamentale critica diffusamente esposta negli scritti citt. in nota 1.

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DOSSIER I diritti economici e personali nella crisi delle relazioni familiari

proiettata alla vita futura del coniuge svantaggiato rispetto al momento della crisi del rapporto; ricadute pregiudizievoli rilevanti ove in nesso eziologico con il ruolo endofamiliare assunto durante il rapporto. Inoltre, richiamando tutti gli artefici del processo ad abbandonare “scorciatoie” decisorie, ovvero prassi distorsive tese ad automatismi, fondati soltanto su questo o quell’elemento relazionale o sociale, quali, a titolo esemplificativo saliente, la conservazione dell’astratto tenore di vita nelle possibilità dei coniugi, la mera comparazione aritmetica del dato reddituale e la deresponsabilizzazione che sottende, la stretta funzione assistenziale declinando l’ultratti-vità del coniugio solo in virtù del principio di autoresponsabi-lità del richiedente e delle scelte di libertà, l’esclusiva verifica dell’autosufficienza personale del richiedente, e simili.

Il severo richiamo non manca alla puntuale considerazione dei valori incarnati dall’istituto matrimoniale, secondo la sua disciplina positiva, evidenziando i cardini di riferimento co-stituzionale, armonicamente letti, della composita posizione inalienabile dei singoli, della realizzazione personale e dei do-veri di solidarietà che comporta, dell’uguaglianza e della pari dignità, dell’autonomia e della responsabilità dei coniugi, e con ciò, rimarcando l’imprescindibile necessità di ricondurre la norma sancita nel ridetto comma 6°, dell’art. 5, l. div., nell’al-veo dell’art. 29 Cost.; magistrale risulta l’inquadramento siste-matico – così lineare nella sua semplicità ma non per questo scontato –, dipinto senza tentennamenti, prima nei fondamenti dettati dalla carta costituzionale agli artt. 2, 3 e 29 e poi negli artt. 143 e 144 c.c., ribadendo puntualmente la concezione del matrimonio quale formazione sociale di eguali; senza mancare infine alle opportune verifiche con i disposti ex artt. 8 e 12, CEDU, nonché 7, 9 e 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, nei loro tratti univocamente significativi.

Questo percorso motivo di obiettivo spessore, ha condotto il Supremo Collegio all’enunciazione del concetto di ragionevo-le “meritevolezza”8 della solidarietà economica post-coniugale, in chiave sì solidaristica, sì perequativa, ma non mancando di riconoscere anche l’eventuale componente compensativa, cui il Collegio dichiara apertamente di tenere in massimo riguar-do a cagione dei sacrifici personali che presuppone, come ri-sultano in concreto sostenuti nell’arco di durata del rapporto.

Con ciò significando la piena rilevanza contraria del ruolo endofamiliare del coniuge “deresponsabilizzato”, o se si vuole “recalcitrante al senso di impegno e sacrificio matrimoniale”, o che comunque non incappa in alcun pregiudizio personale in prospettiva futura, in nesso eziologico con il venir meno dello status.

Al di là delle residue perplessità, che la casistica – le Corti di merito sono ora chiamate a svolgere un ruolo attuativo im-ponente – non mancherà di evidenziare, non può sottacersi la valenza della statuizione, tutta protesa ad individuare valori

8 Corrispondente in sostanza allo sforzo critico prospettato nei due scrit-ti citati in nota 1 (paragrafo 3, p. 94, della notazione, e p. 609 del saggio), come ancor prima nel commento adesivo a Corte Cost. 11 febbraio 2015 n. 11, anche ivi diffusamente richiamato. Questa la testuale espressione che si era reputato di rimarcare: “Come a dire, la solidarietà post-coniugale dovrà risultare sostanzialmente connotata in termini di ‘ragionevole meritevolezza’, con analisi concreta ex post dei tratti comportamentali, dell’impegno rispetto al progetto di vita comune, delle dinamiche del moto d’affetto, del senso di autoresponsabilità e condivisione, del rispetto e dedizione reciproca, della lealtà, come pure del sa-crificio personale ed economico ove volto a privilegiare l’unione o l’altro rispetto all’individualità personale”.

fondanti, significativa persino nell’eleganza del linguaggio e nel dotto excursus storico e comparatistico; l’impressione prima, conforme all’agevole indicazione che già si era evidenziata, se-condo cui il tema involgeva strettamente il valore attuale del vincolo coniugale, segna anche un garbato ma forte richiamo al significato autentico della famiglia costituita secondo il mil-lenario modello coniugale; infatti, attraverso la lucida riaffer-mazione della norma positiva nella sua valenza significativa più ampia, segna un freno al dilagante modernismo di varia matrice che nei fatti, diciamo che ha posto “sotto incessante assedio” l’istituzione matrimoniale – con le significative indul-genze o comunque le timide prese di posizione della dogmatica giuridica –, in visione protesa unicamente all’esaltazione indivi-dualista più esasperante delle relazioni familiari, dimenticando in troppe occasioni e con disinvoltura il peso specifico delle norme giuridiche fondanti la formazione sociale preesistente e ciò, nonostante l’odierno “arcipelago familiare”9.

Questa conclusione “controcorrente” merita di essere se-gnalata al di là della precipua ottica giuridica, evidentemente segno di istanze culturali e sociali maggiormente consapevoli.

La logica saliente, diciamo il dato “filosofico”, dell’indirizzo impostosi nel maggio 2017, che finiva, da un lato, per “ac-centuare” il significato dello status libertatis del “già coniuge” o meglio dell’individuo senza passato10, da “liberare” quanto più agevolmente possibile da ogni peso connesso all’impe-gno assunto con il matrimonio e, dall’altro, per “amputare” il composito dettato ex art. 5, comma 6°, l. div., i cui crite-ri non rilevano nella prima fase del giudizio, cioè ai fini del riconoscimento del diritto, ma solo nella successiva fase di fissazione del quantum (fase quest’ultima che però può aprirsi solo al positivo esito del primo scrutinio in punto an), ne esce così radicalmente sconfessata.

D’altronde, il sotteso tentativo di cancellare persino le “trac-ce” od il “ricordo” del vincolo coniugale, non poteva che en-trare in stridente collisione con la natura dell’istituto e con le numerose norme positive, tanta e tale era la sua carica “irri-guardosa” della dignità dello status coniugale.

Sebbene le Sezioni Unite prendano rilevante distanza anche dal cosiddetto criterio del tenore di vita, in realtà descrivono le caratteristiche di questo criterio riducendolo ad eccesiva semplificazione poiché nel concreto risultavano maggiormen-te strutturate rispetto all’assunta “presupposizione” secondo cui, con tale criterio, la giurisprudenza intendeva unicamente prendere in considerazione il confronto delle sostanze degli ex coniugi, con evidente locupletazione sine die (stigmatiz-zando l’inaccettabilità di una concezione matrimoniale come forma di “sistemazione personale”) a favore del c.d. coniuge svantaggiato, priva di causa giustificatrice razionalmente rin-venibile nell’ordinamento positivo.

Probabilmente ha giocato un ruolo il senso di responsabilità istituzionale, nel contenimento dell’espressione di critica alla svolta del maggio 2017.

9 Busnelli, La famiglia e l’arcipelago familiare, in Riv. dir. civ., 2002, I, 509. Opportuno anche il richiamo da un lato di, rescigno, Matrimonio e famiglia. Cinquant’anni del diritto italiano, Torino, 2000, ad esempio a p. 11, sulla fermezza dell’istituzione; d’altro lato, Bianca, Diritto civile, 2.1, La Famiglia, 2014, 298; ma anche di, De Benoist, I demoni del bene. Dal nuovo ordine morale all’ideologia del genere, Napoli, 2015, ad esempio nei rilievi a p. 162, a proposito della declina-zione puramente individuale e di tipo contrattuale.

10 quaDri, I coniugi e l’assegno di divorzio tra conservazione del “tenore di vita” e “autoresponsabilità”: “persone singole” senza passato?, cit., in nota 2.

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I diritti economici e personali nella crisi delle relazioni familiari DOSSIER

Invero, come ci si sforzerà di dimostrare ancora in questa sede, le Sezioni Unite non hanno percorso la “solita” terza via, sostenendo in verità lo sforzo di indicare la prima via disponi-bile all’interprete che serenamente non manchi al proprio ruo-lo: la ricerca proprio della giustizia del caso concreto, secondo le peculiarità di quel singolo rapporto coniugale entrato in cri-si irreversibile, analisi valutativa che non può che essere il frut-to della considerazione di tutti i fattori indicati dalla norma, contemporaneamente rilevanti nell’articolazione del giudizio, non solo e non tanto scevri da una gerarchia, ma da integrare l’uno con l’altro in senso “equiordinato”, armonicamente letti sia con il dato sovraordinato che con quello codicistico.

Da salutare comunque positivamente il contestuale ab-bandono di tale linguaggio convenzionale: già nella comune percezione, sia il riferimento gergale all’autosufficienza (o in-dipendenza) personale, come al tenore di vita, evoca solo pre-giudizi persino ideologici, o di entusiastica approvazione o di netta ripulsa; inoltre, nel corso del tempo, soprattutto il c.d. criterio del tenore di vita ha finito per assumere un significato giuridico, ben oltre il suo costrutto originario e comunque oltre il dato normativo, tanto che oramai incarnava – come rileva anche la Corte – una sorta di automatismo preconcetto, aggiungiamo, arduo da mettere in discussione, persino nelle dinamiche del confronto processuale.

Anticipando il tratto conclusivo, le Sezioni Unite danno giu-sto rilievo alla responsabilità paritetica dei coniugi, ricono-scendone il più ampio significato, e cioè, declinandola secon-do tutti i suoi possibili profili e soprattutto in senso di piena reciprocità, non in quel senso unilaterale dell’autoresponsabi-lità del solo coniuge richiedente. Perciò, ai fini del riconosci-mento dell’assegno divorzile secondo la norma in questione, che si fonda sui principi costituzionali di pari dignità e soli-darietà che permeano l’unione matrimoniale anche dopo lo scioglimento del vincolo, rilevano soltanto i compositi metodi e criteri enumerati (i soli che alla luce della valutazione com-parativa delle rispettive condizioni economico-patrimoniali, consentono di concretizzare efficacemente i fattori stessi).

3. L’ulteriore presa di distanza dalla svolta del maggio 2017

Nell’animo del giurista albergano l’ambizione del dissenso ideale e non infrequentemente l’ispirazione o l’attesa di un nuovo ordine, praticamente connaturate (senza con ciò ov-viamente disconoscerne l’intrinseca nobiltà); questo perenne anelito evolutivo, non ha altro freno se non quello attinente alla funzione eventualmente ricoperta da questo o quel sin-golo giurista nell’ordinamento statuale, che non può non ri-spondere ai vincoli di una concezione normativa.

Sol che si abbia sereno riguardo all’esperienza, ad esempio, proprio i temi salienti e di primaria rilevanza del legame esisten-ziale dei singoli basato sul moto d’affetto, viepiù quello solen-nemente celebrato, della solidarietà e dell’autonomia privata, in una parola, la famiglia, stanno dentro il nostro ordinamento giuridico, ma prima ancora ci giungono come espressione di una complessa natura, che storicamente ha incessantemente ispirato dottrine filosofiche, politiche e sociologiche.

Cogliendo il tessuto sociale nella sua vivida essenza, si tratta di temi che esigono rigore concettuale ed ovviamente preci-sione linguistica; ancora esemplificando, si tratta di temi che nascono e si sviluppano alieni dalla logica antagonista della

parte, quale ad esempio risulta quella ben diversa del merca-to, intrinsecamente fondata su vincitori e vinti.

La famiglia sin dalle origini, pur in stretta interdipendenza con l’aggregato sociale generale, lega in rapporto di reciproca dipendenza i suoi membri ed il dato è certamente incarnato dall’ordinamento giuridico positivo, che ne garantisce i tratti di libertà e di dignità umana.

Questa considerazione, pur così fugace, appare quanto mai calzante, a mo’ di ulteriore premessa, rispetto all’analisi dell’e-voluzione della giurisprudenza di legittimità, come segnata dall’arresto della prima sezione civile dell’11 maggio 2017 n. 11504, che ha dato infine luogo all’intervento delle Sezioni Unite in commento, per la soluzione del contrasto emerso.

La decisione ha avuto senz’altro il merito di riproporre un tema che risultava di fatto come “archiviato”, nonostante dif-fuse prassi semplicistiche, distorsive o comunque intrise di opachi automatismi, che trascuravano largamente la norma positiva e l’impegno che essa esige proprio nelle dinamiche delle sedi giurisdizionali e nell’epilogo decisorio che conduce alla formazione del giudicato.

La sua motivazione ha però evidenziato plurimi errori.Commentandone i tratti11, era già risultato praticamente in-

confutabile che il richiamo dell’art. 23 Cost. a proposito della prima formazione sociale – quale è senz’altro la famiglia fon-data sul vincolo matrimoniale –, non coglie la benché minima possibile rilevanza; difatti, il quadro normativo di riferimento è unicamente quello disegnato negli artt. 2, 3 e 29 Cost. (con-tenuti nei principi fondamentali e nel regolamento dei rappor-ti etico-sociali della nostra carta costituzionale), quadro che esclude in radice il preteso fondamento della stessa prospetta-zione innovativa, siccome inerente il ben diverso regolamento di ogni rapporto civile comportante l’imposizione di prestazio-ne personale o patrimoniale del cittadino verso lo Stato, la cui previsione è giustamente sottoposta alla stretta riserva di legge. Non sembra perciò condivisibile che il richiamo costituisca un mero enunciato logico, coerente con la conclusione raggiunta.

Parimenti a dirsi del tentativo di ricorso all’analogia (per similitudine o per materia, a tenore dell’art. 12, comma 2, prima parte, preleggi), con la previsione avente ad oggetto la posizione giuridica del figlio maggiorenne, di cui all’art. 337-septies c.c., che regolando i doveri dei genitori segna il percorso verso l’autonomia personale adulta del figlio, prote-so per natura e per dovere sociale al raggiungimento dell’in-dipendenza. Il rapporto di coniugio ed il rapporto di filia-zione risultano difatti così ontologicamente differenziati, da non consentire certo il ricorso alla residuale interpretazione suggerita dall’analogia legis; le Sezioni Unite hanno comun-que smentito tale ipotesi, sussistendo l’elemento impeditivo primo del ricorso al caso simile od alle materie analoghe, co-stituito dallo specifico dettame di cui all’art. 5, comma 6°, l. div., nel suo significato rettamente interpretato in punto alla condizione del coniuge privo di “mezzi adeguati” (condizione su cui si era attivata la ricerca del paragone onde poterne rica-vare soluzione analoga), da correlarsi a null’altro che ai fattori elencati nell’incipit della stessa norma.

Risultata ugualmente improponibile la prospettazione secon-do cui la solidarietà post-coniugale non possa giungere al punto

11 Si rinvia ancora agli scritti menzionati in note 1, 4 e 5, ma anche alle opere degli Autori citati.

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DOSSIER I diritti economici e personali nella crisi delle relazioni familiari

da legittimare una visione di “criptoindissolubilità del matri-monio sul solo versante economico-patrimoniale”; cosicché lo scioglimento del vincolo coniugale deve considerarsi avere l’effi-cacia di recisione di una tale ultrattività, salva la mera assistenza al fine di assicurare l’autosufficienza personale, ove peraltro non risulti al contempo frutto di scelte aliene da un fattivo impegno per il raggiungimento di una tale condizione minimale (impos-sibilità di procurarsi mezzi adeguati per “ragioni oggettive”).

Un tale approdo ermeneutico ed il disvalore frustrante che intrinsecamente contiene, è risultato giustamente smentito, attraverso l’analisi di alcune delle previsioni salienti che atte-stano l’efficacia ultrattiva del vincolo di coniugio, nonostante il suo scioglimento o cessazione degli effetti. Ma ancor prima, è risultato smentito dal richiamo grandemente pertinente, secon-do cui, pur vero che il divorzio estingue il rapporto anche sul piano economico-patrimoniale, legittimamente l’ordinamento prevede diritti e doveri patrimoniali in capo agli artefici del-la famiglia destrutturata; numerose norme poste a cardine del sistema, con in testa l’art. 29 Cost., ma non meno significativi sono gli artt. 2 e 3 Cost., cui è bene aggiungere anche le ulte-riori previsioni di cui agli artt. 30, 31 e 37 Cost., sanciscono che spetta al legislatore disporre misure di protezione per il fu-turo degli ex coniugi che hanno visto naufragare la loro unione, prospettiva peraltro non negata dall’arresto n. 11504 del 2017, che ha inteso solo relegarla nell’angusta prospettiva sostanzial-mente alimentare, esaltando il divorzio come una sorta di libe-razione dall’altro ed ancor prima di indifferenza per le sue sorti.

La prospettiva in chiave meramente assistenziale, così esa-sperata, contraddice l’armonia del sistema che il legislatore ha invece avuto cura di disegnare, in particolare attraverso gli artt. 143, 144, ma anche gli artt. 107, 108, 78, 147, 148, 149, 156, 315-bis e 316-bis, e l’impianto complessivo della l. div., solo per limitarci a quelle maggiormente rilevanti; rendendo comunque ampia ragione del fatto che se da un lato il matri-monio è un vincolo personale in principio risolubile, frutto di scelta di libertà inviolabile (come la sua instaurazione), d’altro canto, la stessa parità e la stessa dignità dello status vissuto impone che i coniugi, coerentemente, escano dal matrimonio nello stesso solco della pari dignità morale e giuridica.

Ciò giustifica senz’altro la residua solidarietà, in funzione perequativa, che quindi non cessa ma si modifica, in senso protettivo del coniuge svantaggiato12.

L’efficacia ultrattiva percorre allora la strada della dignitosa considerazione del vissuto secondo il progetto di vita comune

12 Il rilievo emerge diffusamente in dottrina, tra altri, cfr., sesta, Manuale di diritto di famiglia, Padova, 2015, 183; ruscello, Diritto di famiglia, Pisa, 2017, 179. Sul versante giurisprudenziale ricorre in tal senso copiosa ed univoca con-clusione, in particolare dopo la sistemazione risalente alle Sezioni Unite del 1990, non mancando di rilevare che un tale presupposto riaffiora costantemente, ad esempio, di recente, nelle sentenze di Cass., sez. un., 17 luglio 2014 n. 16379 e n. 16380 (in Nuova giur. civ. comm., 2015, 36, con nota di roMa, Ordine pubbli-co, convivenza coniugale e pronunce ecclesiastiche di nullità del matrimonio: le sezioni unite suppliscono all’inerzia legislativa con una sostanziale modifica dell’ordinamento; e l’approfondimento di quaDri, Il nuovo intervento delle sezioni unite in tema di convivenza coniugale e delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità, ivi, II, 47; inoltre, carBone, Risolto il conflitto giurisprudenziale: tre anni di convivenza coniugale escludono l’efficacia della sentenza canonica di nullità del matrimonio, in Corr. giur., 2014, 1196), che ha sottolineato la valenza delle disposizioni che tutelano i diritti che assicurano al coniuge debole il mantenimento successivamente al divorzio, come quella corrispondente a norme di ordine pubblico, individuando ancora nell’art. 29 Cost. il dettame su cui affonda le radici la disciplina della solidarietà post-coniugale. Invero, si coglie qualcosa di più che una impressione casuale, in ordine al fatto che la Suprema Corte sembra proprio proseguire nello stesso solco.

concordato, senza che con ciò possa risultare di pregiudizio ad alcuno, appunto la responsabilità declinata in senso ambi-valente conforme al rapporto relazionale.

Questa lettura dell’art. 5, comma 6°, l. div., difatti, ribadendo la fondamentale rilevanza della solidarietà post-coniugale, pur senza negare l’importanza che ognuno sia responsabile per se stesso, ed escludendo la finalità semplicistica della ricostitu-zione del tenore di vita endoconiugale, assolve allora ad una funzione equilibratrice correlata alla singola fattispecie ed in-tegrata, eventualmente anche in chiave compensativa, idonea a riconoscere il ruolo ed il contributo dell’ex coniuge svantaggia-to, così da assicurare l’adeguatezza di mezzi non solo per sop-perire alla loro eventuale mancanza o insufficienza oggettiva, ma anche in relazione al prodursi di effetti vantaggiosi di cui si giovi uno soltanto, con corrispondente pregiudizio unilaterale.

La garanzia è ordinata attraverso l’uguaglianza morale e giu-ridica dei coniugi, non solo formale ma effettiva, principio ri-marcato come centrale, anche per la conferma che discende dal quadro giuridico europeo e convenzionale, con l’efficace pre-cisazione che “i coniugi hanno eguali diritti riguardo al matri-monio, durante il matrimonio ed in caso di suo scioglimento”.

L’elemento dell’uguaglianza come quello della salvaguardia dell’unità familiare (la regolamentazione dello scioglimento del vincolo incide all’evidenza sulla conduzione dell’organizzazio-ne familiare, proprio in ossequio al principio di consapevole autoresponsabilità), ne segna la dignità ed impone all’interprete di rimanere all’interno del binario che da un lato esige giusto riconoscimento dell’intero e concreto contesto familiare entrato in crisi, quindi, anche del contributo endofamiliare dato dal co-niuge con limitazione delle proprie prospettive individuali su arco temporale significativo; dall’altro, esige che non si trascen-da nell’arricchimento ingiustificato di uno a danno dell’altro.

4. Il significativo allontanamento anche dall’indi-rizzo avallato dalle Sezioni Unite del 1990

L’unica presa di distanza dal criterio c.d. del tenore di vita, coincide con l’unico punto di condivisione della svolta del maggio 2017.

Il confronto logico riconosce apprezzamento per il richiamo all’autoresponsabilità dei coniugi, che segna il punto di par-tenza della svolta del medesimo arresto n. 11504 del 2017.

Nelle scelte esistenziali la libertà di autodeterminazione in-dividuale costituisce il valore portante originario che permea il sistema dei diritti della persona; anche nel rapporto ma-trimoniale l’autodeterminazione è per sua natura dinamica, comportante sempre un prima, un durante ed un dopo; tale libertà personale costituisce diritto inalienabile, intimamente connesso e condizionato dalla possibilità concreta di poterlo esercitare, tanto che risulta declinabile solo in termini di di-gnità personale; dignità che evoca per ciò stesso l’autorespon-sabilità dei coniugi, in primo luogo come consapevole rispet-to dell’altro, secondo la descritta parità morale e giuridica.

Da questa prospettiva le Sezioni Unite rilevano come l’asso-luta preminenza della comparazione delle condizioni econo-mico-patrimoniali dei coniugi nel giudizio sul diritto all’as-segno periodico che trae titolo dalla sentenza di status, ove costituisca il fattore determinante dell’an debeatur non collima con la libertà di scelta dignitosa ed autoresponsabile.

In buona sostanza, il criterio c.d. del tenore di vita non consen-te di cogliere il rischio di ingiustificata locupletazione sine die del

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coniuge richiedente, persino in situazioni di piena autonomia od addirittura di agiatezza o di ruolo endofamiliare obiettivamente deresponsabilizzato, comunque scevro di significativo contribu-to e/o di pregiudizi connessi allo scioglimento del vincolo.

Da qui la conclusione secondo cui i parametri indicati nell’incipit del comma 6°, dell’art. 5, l. div., non possono fun-gere soltanto da criteri moderatori, partendo dalla disparità di condizioni e sostanze quale massimo tetto ipotizzabile, per poi diminuirne il risultato stesso attraverso la considerazione di tutti od alcuni dei medesimi fattori, sino al possibile azze-ramento, secondo l’interpretazione avallata dalla Corte delle leggi, con la sentenza n. 11 del 2015.

Rileva la Corte che in tal modo i criteri determinativi fini-scano nei fatti per risultare marginalizzati, con conseguente ingiustificata sottovalutazione proprio del canone dell’autore-sponsabilità, evenienza che si presenta maggiormente critica in relazione al parametro che esige la valutazione dell’apporto fornito dall’ex coniuge nella conduzione e nello svolgimento della complessa attività endofamiliare.

Commentando la ridetta svolta della prima sezione civile del maggio 2017 si è tentato di dimostrare che il richiamato metodo, non risultava in principio inidoneo a garantire quella moderazione perequativa alla ricerca della stessa meritevolez-za cui mira la sentenza delle Sezioni Unite, ma alla condizione imprescindibile che ci si fosse fatti carico della compiuta ed effettiva analisi della concreta vicenda familiare da regolare nel suo epilogo fallimentare, riconoscendo al contempo che effettivamente numerose erano le insidie pratiche, fatte evi-denti dalle troppe prassi distorsive emerse, dalle scorciatoie inaccettabili, dalla mancanza di consapevolezza, ecc.

Questa la vera evoluzione segnata dalle Sezioni Unite: d’ora in avanti le Corti di merito non potranno considerare quei fattori sino ad oggi qualificati fattori di moderazione del caso concreto, enumerati dal ridetto comma 6°, dell’art. 5, l. div., come ad efficacia meramente eventuale, in seconda battuta a mero “aggiustamento” del risultato determinato in virtù del c.d. tenore di vita goduto o fruibile in costanza della convi-venza coniugale, secondo l’unico rilievo della comparazione delle condizioni economico-patrimoniali.

Tali fattori devono invece incidere tutti, senza l’anteposi-zione pregiudiziale ed assorbente richiamata, che relega in posizione subordinata gli altri, appunto unitariamente con l’indicata valenza logica equiordinata.

L’imposizione irrinunciabile di questa valutazione concreta e precipua, reputato l’unico metodo fedele alla norma positiva ed idoneo ad impedire risultati inaccettabili, evidentemente è stata ritenuta soluzione che meglio garantisce la considerazio-ne concreta dei valori effettivamente rilevanti, facendo emer-gere il convincimento per cui la sola correzione del metodo utilizzato dalla giurisprudenza per lungo tempo, in applica-zione del c.d. criterio del tenore di vita, non era sufficiente a dissipare le insidie di nuove prassi similarmente distorsive o, se si vuole, “spicce”.

5. Il nuovo metodo decisorio ed il peso dei singoli fattori di riferimento

Giunti a questo risultato di principio le Sezioni Unite ne han-no tratto le conseguenze concrete.

Resta difatti da analizzare come si struttura il nuovo percor-so decisorio, che presenta indubbiamente dei passaggi logici

progressivi, secondo un quadro che può fissarsi almeno nei seguenti termini:

a) Le Sezioni Unite non potevano che prendere le mosse dall’inquadramento primo della singola fattispecie, costi-tuito dall’accertamento della sussistenza di una disparità di condizione economico-patrimoniale tra le parti; que-sto elemento comparativo è basilare e logicamente ante-posto all’ulteriore valutazione, siccome solo l’evenienza di una disparità di condizioni dei coniugi all’atto dello scioglimento fa insorgere la questione, cioè l’esigenza so-lidaristica stessa, in chiave perequativa; non sembra po-tersi dubitare che rilevano sia il reddito come ogni altra utilità economicamente valutabile delle parti, atteso che oltre alla dizione “reddito di entrambi”, la norma esor-disce con “tenuto conto delle condizioni dei coniugi”, riferendosi poi anche al “patrimonio di ciascuno o di quello comune”; tale portato è conforme alla consolidata interpretazione dell’art. 5, comma 6°, l. div.13; la Corte sottolinea da un lato la significativa importanza che as-sume l’accertamento dell’effettiva posizione economico-patrimoniale delle parti, anche attraverso il legittimo ricorso alle indagini di Polizia tributaria previsto dalla stessa norma, al comma 9°, nonostante la disponibilità del diritto in contesa; mentre, d’altro canto, sottolinea la particolare rilevanza delle capacità reddituali proiettate al futuro siccome si deve aver riguardo all’impossibilità per il coniuge richiedente di poter colmare autonoma-mente l’inadeguatezza di mezzi per ragioni oggettive; questa valutazione può intersecarsi nel concreto con le esigenze della prole non autosufficiente ed in particolare di quella in età minore, il cui accudimento può riflettere maggiori ostacoli di realizzazione lavorativa e professio-nale dell’ex coniuge nella sua veste di genitore collocata-rio (ed ancor più ove affidatario in via esclusiva); inoltre, secondo il corrente rilievo per cui la disgregazione fa-miliare comunque impoverisce tutti i suoi membri, rile-vante può risultare il godimento della ex casa familiare per effetto dell’eventuale provvedimento di assegnazione in uso al genitore collocatario non proprietario (o non proprietario esclusivo), comportando sacrificio dell’uno e corrispondente vantaggio indiretto dell’altro, senz’altro apprezzabile nel suo significato economico;

b) proseguono le Sezioni Unite, rilevando che l’eventuale disparità di condizione economico-patrimoniale tra gli ex coniugi, deve risultare “rilevante”; il significato di questa qualificazione quantitativa, che spetterà alla giu-risprudenza di merito circoscrivere, non sembra potersi relegare come a tutela dei soli casi ove gli scostamenti risultano minimi; la qualificazione sembra invece protesa ad individuare una soglia che possa apparire significa-tiva, onde giustificare l’imposizione della peculiare ob-bligazione costituita dall’assegno periodico, stante anche la natura in genere non esattamente fissa e costante dei redditi correnti; una divergenza che non assuma, in ter-mini assoluti e/o in termini percentuali, uno scostamento

13 Cfr., tra altri, Bonilini, toMMaseo, Lo scioglimento del matrimonio. Art. 149 c.c. e l. 1° dicembre 1970, n. 898, in Commentario cod. civ. Schlesinger-Busnelli, Milano, 2010, 614; totaro, Gli effetti del divorzio, in Trattato dir fam. Zatti, 1, II, Milano, 2011, 1641; Bonilini, natale, L’assegno post-matrimoniale, in Trattato di dir. fam. Bonilini, Torino, 2016, III, 2900.

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DOSSIER I diritti economici e personali nella crisi delle relazioni familiari

significativo non potrà mai dichiararsi “rilevante”, cioè considerevole; se si passa all’esemplificazione concreta, diciamo quella di massa nel suo segmento che sembra più vicino a criticità (la casistica dei coniugi meglio do-tati di risorse ed in condizione di forte disparità risulta di agevole soluzione sul punto trovando importante li-mitazione per effetto dell’abbandono del criterio c.d. del tenore di vita), il differenziale tra un ex coniuge che gode di uno stipendio mensile di €. 3.000,00=, rispetto all’al-tro che gode di uno stipendio mensile di €. 1.500,00= risulta pari al 50%, perciò considerevole sia in termini assoluti che percentuali; ma se il primo si troverà privato del godimento della casa (per effetto dell’assegnazione in uso all’altro, quale genitore collocatario di prole non autosufficiente) e giocoforza deve procurarsi il godimen-to di altra abitazione a titolo oneroso per sopperire allo stesso dignitoso bisogno (che dovrebbe perciò risultare di una certa omogeneità), ecco che il differenziale vede un secco ridimensionamento del primo che scende ad €. 2.500,00= mensili (ove il canone locativo corrisponda ad €. 500,00= mensili) ed al contempo un miglioramen-to del secondo che sale ad €. 2.000,00= (ove il valore locativo risulti similare); a questo punto il differenziale tra l’uno e l’altro si riduce alla somma di soli €. 500,00= in termini assoluti, che all’evidenza perde della qualità “rilevante”, mentre in termini percentuali il differenziale è pari soltanto a ⅕; tanto più risulta evidente la margi-nalità differenziale in parola nel caso che lo stesso ex co-niuge con maggiore reddito sia chiamato a contribuire al mantenimento della prole non convivente attraverso mi-sura perequativa mensile corrisposta al coniuge/genitore convivente, attese le note economie tipiche del convive-re nel quotidiano (utenze, vitto, ecc.). Suffraga comun-que il convincimento appena espresso il rilievo, invero fondamentale, per cui una disparità così connotata non attenta certo alla dignità degli ex coniugi, tanto più se la condizione economico-patrimoniale svantaggiata, ri-levata al momento dello scioglimento del vincolo, non risulta in nesso causale con i compiti endofamiliari con-cordemente assunti come meglio si vedrà infra, magari per cause originarie, ovvero nell’ipotesi che addirittura ricorra violazione di questo o quel dovere matrimoniale o genitoriale, condotta indebita da cui abbia preso causa la crisi che ha prodotto la destrutturazione della famiglia;

c) la sussistenza di un divario economico rilevante, all’at-to dello scioglimento del vincolo, deve poi superare la coincidente verifica che deve condursi in ordine alla pos-sibilità da parte dell’ex coniuge richiedente di colmare autonomamente la rilevata inadeguatezza di mezzi, attra-verso il consolidamento od il recupero delle proprie ca-pacità reddituali; giudizio prognostico sulle potenzialità personali che se da un lato risponde al ridetto principio di autoresponsabilità, deve dall’altro considerare la con-creta possibilità di recuperare adeguato collocamento sul mercato del lavoro, rispetto al quale incidono il fattore età e la salute, ma anche la durata dell’impegno endo-familiare (che invero potrebbe parzialmente proseguire anche dopo lo scioglimento in relazione alle necessità di cura della prole in diretta connessione del regime di affidamento statuito, ove risulti esclusivo o comunque

per il ricorrere di un ruolo genitoriale prevalente) e le capacità obiettive; la chiamata all’impegno che questa ve-rifica sottende evoca anch’essa i fondamenti del coniugio (i noti doveri di collaborazione e contribuzione costitu-iscono portato inconfutabile), che di certo non tollera le condotte deresponsabilizzate, ma sulla base di una ra-gionevolezza concreta e ponderata, appunto secondo la regola dell’uguaglianza morale e giuridica, in una parola, in conformità alla dignità matrimoniale; in ciò risiede il carattere oggettivo delle ragioni che impediscono l’auto-nomo superamento dello squilibrio; per concretizzare un esempio ostativo per evidente difetto della coincidente condizione in parola, si pensi al caso dell’ex coniuge che ha interrotto volontariamente la propria attività lavorati-va in epoca prossima alla crisi del rapporto, con decisio-ne assunta unilateralmente o contro la volontà dell’altro;

d) a questo punto la Suprema Corte, sul presupposto del rile-vante squilibrio acclarato nei sensi appena ripercorsi, non colmabile o colmabile solo parzialmente dal richiedente per ragioni oggettive, impone come imprescindibile, una rigorosa analisi di correlazione e confronto con tutti gli altri parametri certi, parimenti rilevanti14, enumerati dall’art. 5, comma 6°, l. div., di cui si è discorso nei precedenti punti; questo stadio valutativo si profila come saliente oltre che denso di maggiori difficoltà processuali, in particolare sotto il profilo delle allegazioni e della prova; la direttiva impres-sa è quella della concreta verifica dei tratti che hanno carat-terizzato l’unione con peculiare attenzione alla sua evolu-zione nel tempo di durata del rapporto e perciò delle scelte di conduzione della vita familiare, adottate e condivise in costanza di matrimonio; tutti i fattori debbono verificarsi in tale ottica, con valenza equiordinata, mentre il fattore di durata del rapporto e, quindi, per logica connessione, l’età raggiunta dall’ex coniuge richiedente che versi nella detta posizione di rilevante svantaggio, assurge a “cruciale importanza”, incidendo, secondo regola d’esperienza indu-bitabile, per la futura condizione di vita degli ex coniugi, insomma una cartina di tornasole; ma, non basta; si ag-giunge, con particolare sottolineatura, che l’evenienza non infrequente, per cui uno degli ex coniugi abbia apportato alla realizzazione della vita familiare un contributo perso-nale tale da aver sacrificato totalmente o parzialmente la propria realizzazione personale, le proprie aspettative lavo-rative, professionali ed economiche, secondo concorde in-dirizzo della condivisione esistenziale instaurata con il co-niugio, assume un peso specifico particolarmente signifi-cativo, tale da legittimare una perequazione anche in senso compensativo per la spendita di questo “capitale umano”, di cui l’altro si è al contempo obiettivamente avvantaggia-to; viene esplicitamente chiarito che il coniuge che abbia acquisito maggiori capacità reddituali e professionali grazie all’apporto fornito ed ai sacrifici sopportati dall’altro, viep-più se la dedizione familiare si è strutturata su lungo arco temporale, deve trovare riconoscimento in guisa da proteg-

14 Sino ad oggi, come già sottolineato, è risultato prevalente il canone della scelta discrezionale di questo o quel parametro, seppur principalmente valo-rizzato – in sede di determinazione – soltanto quello della comparazione delle condizioni economiche delle parti; cfr., tra molteplici, a titolo esemplificativo, le recenti, Cass., sez. I, 20 febbraio 2018 n. 4091, in banca dati Juris; Cass. sez. VI-1, 18 novembre 2016 n. 23574, ivi.

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I diritti economici e personali nella crisi delle relazioni familiari DOSSIER

gere chi quel contributo abbia dato e si ritroverebbe suo malgrado in condizione pregiudicata; il profilo può rilevare proprio come contributo alla formazione del patrimonio sia esclusivo che comune, al pari dell’eventuale contribu-zione economica in senso stretto; la ricerca di riequilibrio risulta significativa già nel linguaggio, richiamando i valori sottesi e situazioni altrimenti connotate persino in termini di iniquità; difatti, un ruolo endofamiliare preponderan-te, tutto proteso alla conduzione familiare, evoca sacrifici che possono incidere profondamente dopo la fine dell’u-nione matrimoniale, proprio sotto il profilo economico-patrimoniale da rivolgere prospetticamente al futuro, pur costituendo il frutto di decisioni concordate dai coniugi, libere e responsabili, come prefigurate nella regola prima di cui all’art. 144 c.c.15;

e) se dunque l’analisi progressiva della singola fattispecie evidenzia una disparità di condizione economico-patri-moniale rilevante, se questo divario non risulta supera-bile autonomamente dal richiedente l’assegno per ragioni oggettive, il Giudice si trova infine di fronte ad ulteriore verifica: deve acclarare che tale portato sia connesso cau-salmente con le scelte fatte in costanza di convivenza; deve cioè verificare se sussiste o meno un nesso eziologico tra la condizione di pregiudizio che si produce in capo al co-niuge richiedente al momento delle scioglimento del vin-colo con lo sguardo rivolto al futuro e le scelte che hanno caratterizzato la convivenza familiare, viepiù se in termini di vero e proprio sacrificio personale nell’interesse dell’al-tro e della famiglia; tutti i fattori relazionali/contributivi di riferimento enumerati nell’incipit del comma 6°, dell’art. 5, l. div., concatenati ed unitariamente rilevanti, debbo-no apprezzarsi in tal senso, confermando la meritevolezza della protezione solidaristica riconosciuta dalla norma, in funzione perequativa ed eventualmente compensativa;

f) superata positivamente anche tale verifica il Giudice ri-conosce un assegno divorzile, ma la sua misura pur da determinarsi in termini correlati all’intero contesto della famiglia disgregatasi non può avere come termine di pa-ragone – da colmare – il tenore di vita coniugale (tanto meno quello potenziale), ma non può avere come termi-ne di paragone neppure la frustrante assicurazione della mera autosufficienza economica personale del richie-dente, eventualmente da garantire ovvero da integrare; all’interno di questo ampio binario sono i ridetti fattori enumerati dalla norma a rilevare per l’individuazione dei termini di adeguatezza concreta rispetto alla specificità dell’unione, alle scelte operate, all’impegno profuso ed al contributo apportato alla realizzazione della vita familia-re, sino al vero proprio sacrificio delle legittime aspettati-ve di realizzazione personale ed economica.

Si parva licet, ammettendo che anche il giurista possa oc-casionalmente utilizzare un linguaggio informale in tono di-messo ma efficace, sembra evidente che la norma positiva che regola l’assegno post-coniugale, rettamente interpretata, “non regala niente a nessuno”, mentre il “meritato” riconoscimento a salvaguardia della dignità matrimoniale presuppone un po-sitivo vaglio frutto di ardue dinamiche processuali.

15 Cfr., tra altri, paraDiso, I rapporti personali tra coniugi, artt. 143-148, in Commentario cod. civ. Schlesinger-Busnelli, Milano, 2012, 170 ss.

Come si coglie a piene mani, trattasi di un percorso deci-sorio davvero complesso, siccome proteso alla ricerca fluida della Giustizia del caso concreto, tutta tesa al rinvenimento degli elementi di meritevolezza della protezione solidaristica post-matrimoniale. D’altronde, non risultano più ammissibili casi in cui, da un lato, l’assegno divorzile è riconosciuto in favore di chi versa in condizione personale già estremamente agiata ovvero nonostante un rapporto effimero; e, dall’altro lato, ove riconosciuto, massivamente relegato nella sostanza in anguste determinazioni, secondo una tipica funzione ten-denzialmente “alimentare”.

L’abbondante esposizione motiva della sentenza e le stesse parole di commento qui spese nell’immediatezza pur voluta-mente limitate allo schematico, sembrano come circonvolute, quasi a correre il rischio di finire per indurre una qualche confusione; invero, è solo una impressione di prima lettura, essendosi ricercata una complessiva chiave di soluzione razio-nale, compiuta e definitiva, in una materia ove la molteplicità delle esperienze concrete, appunto tra quel singolo uomo e quella singola donna, sono davvero innumerevoli, mentre la norma che vi presiede deve essere in grado di risolvere tutte le fattispecie, nessuna esclusa.

Ciò significa che l’elemento delle difficoltà concrete di un giudizio sì fatto, come appena ripercorso e solo per sommi capi di mero orientamento iniziale, emerge fortemente anche in chiave di preoccupazione operativa, rendendo ad esempio chiarissimo che tali controversie debbono riservarsi a Corti e, prima ancora, ad Avvocati, di rango specialistico, esigenza non più rinviabile.

Da qui anche la constatazione che il nostro ordinamento ap-pare maturo ad ammettere che l’esercizio dell’autonomia ne-goziale dei coniugi possa fare ulteriore passo avanti, abilitando i nubendi a fissare già al momento del matrimonio i patti che presiederanno alla soluzione dell’eventuale crisi del rapporto.

Nell’attesa, dovendo tutti rimanere fedeli alla norma posi-tiva, come all’autorevole richiamo delle Sezioni Unite, non mancano certo i dubbi e le perplessità, diciamo le prime che subito si affollano nelle riflessioni.

Sembra sorgere all’impronta qualche ragionevole perplessi-tà, indotta dal recupero della chiave “compensativa”, quale possibile componente funzionale dell’assegno divorzile.

L’interrogativo che sembra affacciarsi può essere così for-mulato: la Suprema Corte nel suo chiaro intendimento di disapplicare qualunque automatismo, ha finito per discrimi-nare ovvero per segnare una gerarchia tra i vari fattori certi di paragone enumerati dalla norma? In connessione, non v’è contraddizione tra il principio secondo cui tutti i criteri deb-bono incidere con valenza equiordinata e l’altra secondo cui la componente compensativa per gli eventuali “sacrifici matri-moniali” assume particolare importanza?

Si reputa però che una tale impressione sia da scartare.I Giudici del merito debbono cogliere il radicale cambio di

visuale o, se si vuole, l’essenza autentica dell’insegnamento loro fornito dalle Sezioni Unite, secondo cui il riconoscimen-to dell’assegno post-coniugale passa solo attraverso la valuta-zione complessiva e comparata della condizione delle parti: partendo dal dato obiettivo al momento della celebrazione del matrimonio e cogliendo parimenti il dato finale al mo-mento dello scioglimento del vincolo, sono i comportamenti tenuti in costanza di matrimonio a risultare decisivi per il ri-

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DOSSIER I diritti economici e personali nella crisi delle relazioni familiari

conoscimento e la determinazione della misura di protezio-ne; l’evenienza ulteriore del ricorrere addirittura di “sacrifici matrimoniali” che pregiudicano il futuro dell’ex coniuge, ri-sponde invero alla stessa logica di meritevolezza, cogliendo solo un tratto specifico particolarmente significativo (si licet, ancor più meritevole) e null’altro; non ponendosi in contrap-posizione con gli altri criteri si spiega la coerenza del tessuto motivo della Suprema Corte.

I fattori di riferimento enumerati al comma 6°, dell’art. 5, l. div., allora sono e restano tutti unitariamente rilevanti ed equiordinati.

Certo non può escludersi che nel singolo caso si rinvengano fattori pro e fattori contro, l’uno positivo e l’altro negativo per la conclusione di meritevolezza della protezione o comunque della sua biunivoca adeguatezza determinativa; tanto per in-tenderci le “ragioni della decisione” potrebbero stagliarsi in recisa contrapposizione con l’eventualità di “sacrifici matri-moniali”, oppure sussistere sacrifici reciproci di ardua “pe-satura”; ma questo non muta che entrambi tali fattori deb-bano essere valutati, unitamente a tutti gli altri, traendone la conclusione ponderata di prevalenza in un senso o nell’altro, come accade in ogni apprezzamento di merito.

È vero che questi fattori, seppur anteriormente qualificati fat-tori di moderazione o ponderazione rispetto al c.d. tenore di vita coniugale, che costituiva l’apice monetario astratto di par-tenza (dato che attraverso l’analisi di tali fattori serenamente può persino azzerarsi), risultavano nei fatti sostanzialmente inappli-cati e comunque calati con grande riluttanza nei singoli casi di specie, come evidenziato nell’occasione del commento della svolta della prima sezione civile del maggio 2017, ma è proprio questa l’essenza fluida da cui non si può più prescindere.

Non è peraltro fuori luogo osservare come, a proposito dell’e-ventuale ricorrenza dei “sacrifici matrimoniali”, se è vero che la Corte ha avuto l’obiettivo di tutelare giustamente sia il coniuge che lavora che quello che si sacrifica all’interno della casa, ciò non toglie che il Giudice del merito deve pur sempre acclarare che di sacrificio si sia trattato realmente. Quest’ultimo inciso ci consente peraltro di evidenziare il caso, non infrequente, secon-do cui tutti i fattori di riferimento elencati nella norma stessa non risultino di alcun particolare significato da poter coniugare nei ridetti termini di meritevolezza, rimanendo solo la condi-zione di disparità rilevante (od addirittura la totale assenza di redditi e sostanze in capo al richiedente), nell’impossibilità di colmarla per ragion oggettive; la solidarietà post-coniugale in questo caso si staglierà solo su questo elemento, ma ovviamen-te per assicurare una misura solidaristica in termini di mera salvaguardia della dignità matrimoniale.

Tutto ciò sta anche a significare che la lucida sentenza in commento non si presta affatto ad illusioni prospettiche, o meglio, a poterci legittimamente vederci ciò che ognuno vor-rebbe vederci.

6. Le allegazioni e gli oneri probatori nel nuovo im-pianto

Le Sezioni Unite pongono qualche cenno a proposito del ri-parto dell’onere probatorio.

È ben evidente che il ruolo degli Avvocati assume un con-notato critico, siccome il percorso valutativo sopra descritto esige grandissimo impegno, da profondere nella ricostruzione dei tratti di vita concreta della coppia, circostanze spesso cu-

stodite all’interno delle mura domestiche, viepiù ove la con-vivenza si è strutturata sulle connaturate evoluzioni che ine-vitabilmente caratterizzano i rapporti di lunga durata, magari con più figli, od anche su più decenni, o vicissitudini similari.

Le Sezioni Unite stesse si esprimono consapevolmente af-fermando che si potrà e dovrà inevitabilmente ricorrere alla prova per presunzioni.

Questo però non toglie che l’opera allegativa prima e quel-la probatoria poi, debbano risultare particolarmente attente, vaste e specifiche, dovendo acquisirsi tutti gli elementi utili che qui occupano; inoltre, una tale attività è da espletarsi op-portunamente già per la fase presidenziale, in tutti quei casi in cui si intenda domandare l’anticipazione di provvedimenti temporanei e urgenti, ai sensi dell’art. 4, comma 8, l. div., magari a modificazione od integrazione dei provvedimenti vigenti in regime di separazione personale (non raro il caso in cui neppure sussista una previsione di mantenimento ex art. 156, commi 1° e 2°, c.c., in sede di separazione e venga invece domandato l’assegno divorzile, stante le ontologiche diversità tra l’una e l’altra posizione di diritto). L’inciso ci con-sente di segnalare come l’assegno post-coniugale prende tito-lo dalla sentenza di status e sino a questo momento vige co-munque il regime dettato in sede di separazione personale16, ragione per cui l’eventuale anticipazione, in via temporanea ed urgente, pur astrattamente possibile salvo il regolamento definitivo che poi dovrà farne la sentenza, dovrebbe limitarsi, come indica la norma, all’eccezionale ipotesi secondo cui ri-sulti “strettamente necessario”.

Il riparto dell’onere probatorio non si colloca in senso diffor-me rispetto alla regola generale, salva l’espansione dei poteri officiosi in relazione all’accertamento della disparità rilevante tra le condizioni economico-patrimoniali delle parti, di cui al comma 9°, dello stesso art. 5, l. div. – ricorso ad indagini an-che di Polizia tributaria17 –, sui quali la sentenza si sofferma con una certa pregnanza di significato; in verità, la sottoline-atura sarebbe propriamente coerente soltanto con la natura solidaristica della protezione prefigurata dalla norma; difatti, anche a voler prescindere dalla disponibilità del diritto, è sta-ta recisamente esclusa la sua natura prettamente assistenziale.

Dall’ordinario riparto dell’onere della prova ex artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c., salva l’eventuale attivazione dei detti poteri offi-ciosi, deriva che il coniuge richiedente è onerato della prova di tutti gli elementi costitutivi necessari all’accoglimento della domanda; anche il ricorso alla prova per presunzioni deve co-munque trovare i suoi fisiologici punti fermi di partenza.

Tuttavia, nell’ipotesi in cui il coniuge richiesto della presta-zione post-coniugale, non intenda limitarsi alla contestazione allegativa e alla prova contraria, seguendo in tal guisa l’impo-stazione circostanziata dal richiedente, ma intenda fornire an-che la prova diretta del “fatto contrario”, queste costituiscono

16 Regime che difatti si estingue con il passaggio in giudicato della sentenza di status divorzile; la questione non vede una quantità di precedenti, attesa l’ov-vietà del principio connaturato allo status coniugale in regime di vita separata ex art. 156 c.c.; cfr. ad ogni modo, Cass., sez. I, 13 maggio 2011 n. 10648, in banca dati Juris; Id., 1° agosto 1986 n. 4915, in Giust. civ., 1987, I, 2929; App. Genova, 17 luglio 1996, in Dir. fam. pers., 1999, 88, con nota di scaraBello, In tema di conseguenze patrimoniali della sentenza non definitiva di divorzio; Trib. Reggio Calabria, 3 novembre 2003, in Giur. merito, 2004, 220.

17 Cfr., tra altri, Bonilini - toMMaseo, Lo scioglimento del matrimonio. Art. 149 c.c. e l. 1° dicembre 1970, n. 898, in Commentario cod. civ. Schlesinger-Busnelli, Milano, 2010, 759.

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dinamiche di scelta e strategia processuale che ovviamente comportano il correlato onere probatorio, che pertanto non potrà che risultare modulato in conformità; particolarmente significativa risulterà allora l’allegazione e la prova del fatto contrario che possa dimostrare come la disparità economico-patrimoniale non trova origine nei “sacrifici matrimoniali”, bensì ad esempio in condotte disimpegnate.

Il punto in questione delle difficoltà allegative e probatorie, sollecita invero una riflessione che può risultare rilevante; fer-mo il fatto che allo stato delle cose il nostro ordinamento non ammette la valida stipulazione di pattuizioni cosiddette pre-matrimoniali18, sappiamo che le convenzioni matrimoniali sul regime patrimoniale della famiglia non possono derogare né ai diritti, né ai doveri che nascono dal matrimonio (art. 160 c.c.); di contro, le intese correnti e duttili con cui i coniugi concorda-no tra loro l’indirizzo della vita familiare, oggetto nel quale ti-picamente rientra la conduzione della famiglia nel quotidiano, secondo la regola aurea prefigurata nel fondamentale art. 144 c.c. (meglio, nei limiti ivi sanciti, la ricerca dell’accordo corri-sponde ad un preciso dovere coniugale), possono validamente attestarsi per iscritto; sia attraverso atto bilaterale che unilatera-le, con dichiarazioni che esprimano o consentano di ricostruire meglio la volontà dell’uno, dell’altro o di entrambi; una evi-denza pattizia di tal fatta che provi l’incontro del comune vo-lere, consente anche di far risultare le evoluzioni prodottesi in prosieguo di tempo, attesa la naturale instabilità o, se si vuole, la temporaneità di tali intese, esposte a continue modificazioni od aggiustamenti; cosicché, ai nostri fini, l’evidenza documen-tale può risultare idonea ad assumere valore probatorio, che certamente può agevolare l’istruttoria, altrimenti affidata alle maggiori incertezze della prova costituenda.

Questa non è peraltro la sola riflessione che si può cogliere utilmente; difatti, sul fronte strettamente processuale, emerge l’importanza dell’audizione personale dei coniugi19, quanto-meno durante il confronto prefigurato innanzi al presidente del tribunale, all’esordio del giudizio, che impone la compa-rizione personale delle parti (art. 4, comma 7°, l. div.); questo momento può risultare preziosa occasione atta ad acquisire un quadro almeno sommario, seppur il suo valore probatorio non si eleva oltre una sostanza indiziaria, direttamente dalla voce degli artefici del coniugio disgregatosi.

7. La questione della revisione del giudicato

L’art. 9, comma 1°, l. div., riconosce il diritto di domandare in ogni tempo, su istanza di parte, la revisione del giudicato che contiene la previsione dell’assegno post-coniugale, di durata vitalizia20.

Il presupposto è testualmente sancito con la dizione: “Quan-do sopravvengano giustificati motivi dopo la sentenza…”.

L’interpretazione consolidata reclama la sopravvenienza di fatti circostanziali idonei ad influire sul quadro valutativo a

18 Cfr., ex pluribus, Cass., sez. I, 21 dicembre 2012 n. 23713, in Giur. it., 2013, 1795. Si veda anche, Cass., sez. I, 13 gennaio 2017 n. 788, in Foro it., 2017, I, 1286. Tuttavia non è da trascurare la contraria tesi minoritaria, soste-nuta in particolare da oBerto, da ultimo con peculiare sintonia a quanto qui in discorso, in Fam. dir., 2014, 88, Suggerimenti per un intervento in tema di accordi preventivi sulla crisi coniugale; iD., Gli accordi prematrimoniali in cassazione, ovvero quando il distinguishing finisce nella haarspaltemaschine, ivi, 2013, 323.

19 Cfr., saVi, Audizioni personali ed ascolto del minore, in Avv. fam., 2015, 3-4, 36.20 Bianca, Diritto civile. 2.1. La famiglia, Milano, 2014, 289.

base dell’accertamento conclusosi con la sentenza divorzile, segnando certamente indifferenza rispetto ai mutamenti di indirizzo giurisprudenziale.

Ora ci troviamo nuovamente al cospetto di un cambio di in-dirizzo e l’effetto su una massa di statuizioni che sono titolo di obbligazioni periodiche che proseguono nel tempo, assume nei fatti una certa gravità obiettiva.

Già dopo la svolta del maggio del 2017 si presentò rude-mente questa stessa problematica e persino la giurisprudenza della Corte di Cassazione esprimeva senso di incertezza, giun-gendo però infine alla considerazione secondo cui la nuova interpretazione della norma poteva incidere, ma solo alla con-dizione imprescindibile che la riconsiderazione della situa-zione potesse legittimamente fondarsi sulla sopravvenienza di un fatto idoneo a modificare il quadro delle circostanze sostanziali su cui si era formato il giudicato21, appunto allo stato delle cose22, secondo la nota clausola di salvaguardia in materia espressa con il brocardo rebus sic stantibus.

È vero che la norma esige soltanto la sopravvenienza di “giu-stificati motivi”, ma salvo che non si voglia percorrere la via dell’integrale risistemazione dell’istituto, secondo prospetta-zione della dottrina processual-civilistica che dovrebbe pro-porre ex professo le nuove basi sistematiche, magari partendo dal rilievo che l’obbligazione periodica si compone di tante, diverse, obbligazioni singole, rispetto a quelle anteriori ed a quelle future (e qui rileverebbero solo queste ultime), appare arduo prospettare una soluzione che prescinda dal concetto stesso di cosa giudicata come idonea a coprire “il dedotto ed il deducibile”; ragione per cui la diversa interpretazione della norma che può fondare o meno un diritto soggettivo rientra negli oneri allegativi di chi agisce in giudizio, esposto come tale alle scelte operate.

Tuttavia, quid iuris nei casi in cui la parte che abbia agito in giudizio affidandosi ragionevolmente all’interpretazione opera-ta dal Collegio all’apice del potere giurisdizionale, cui è attribu-ita la specifica funzione nomofilattica, ribaltato il giorno dopo?

Tra gli scenari apertisi, non è da trascurare il fatto che tut-ti i contenziosi pendenti presenterebbero quantomeno una istruttoria erratica, avendo le parti fatto affidamento sul “di-ritto vivente” non conforme o parzialmente conforme rispetto al responso delle Sezioni Unite in commento.

Come cennato, i “giustificati motivi” rilevanti ai fini dell’ac-coglimento di una domanda di revisione delle condizioni di-vorzili, in virtù della natura del giudicato, soggetto appunto all’eccezionale rimedio della “revisione” in forza del muta-mento delle condizioni soggettive delle parti, rispetto alla ri-cognizione comparativa già scrutinata, o meglio, rispetto alle condizioni sussistenti sino al momento in cui si è prodotta la preclusione deduttiva nel procedimento che ha condotto alla statuizione resa, sono stati intesi, da granitica giurispru-denza di legittimità, sempre ed esclusivamente come “circo-stanze di fatto”. Ben noto, rispetto ad una “patologia” post-matrimoniale da accertarsi sì anch’essa in via retrospettiva come d’ordinario, che il giudicato in parola non è insensibile

21 Cfr., l’iniziale indirizzo di Cass., sez. I, 22 giugno 2017 n. 15481, in banca dati Pluris, poi corretto con il successivo arresto di Cass., sez. I, 26 gennaio 2018 n. 2043, in Fam. dir., 2018, 324.

22 Cfr., caponi, L’efficacia del giudicato civile nel tempo, Milano, 1991. Rilevante interesse ha suscitato in tema, Cass., sez. I, 18 settembre 2013 n. 21331, in Dir. fam. pers., 2014, 111, con nota di canonico, Nullità matrimoniale e pretesa sopravvivenza dell’assegno divorzile.

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DOSSIER I diritti economici e personali nella crisi delle relazioni familiari

all’evolversi delle condizioni di vita degli attori del rapporto, siccome prodottesi nei fatti in prosieguo di tempo. Appare certo come un qualsivoglia indirizzo giurisprudenziale, per quanto autorevole sia l’organo da cui promana e convincen-ti le sue motivazioni, non possa essere ricondotto neppure nell’alveo dello ius superveniens; peraltro, come noto, anche questo costituisce elemento sopravvenuto di norma precluso dal giudicato; tanto che il nostro ordinamento presenta detta-mi anche recenti – specificatamente in ambito familiare – nei quali il legislatore ha rettamente disciplinato la modalità di adeguamento delle statuizioni giudiziali vigenti, assistite dalla cosa giudicata, all’introduzione di radicali riforme di sistema (un esempio su tutti, l’art. 4, comma 2°, l. 8 febbraio 2006 n. 54), altrimenti appunto intangibili ex art. 2909 c.c.

Sul tema la giurisprudenza di legittimità, espressasi nei vari settori, si staglia comunque nitida23.

Ora, incide anche l’altalenarsi degli indirizzi della Supre-ma Corte che solo con l’arresto in commento ha composto i contrasti, ragione che fa propendere per il mantenimento del solco tradizionale, secondo cui, come detto, il giudicato copre il dedotto ed il deducibile, potendosi semmai ipotizzare l’ap-plicazione della previsione che ammette la rimessione in ter-mini, ovvero un intervento legislativo “tampone”, che rimetta in termini le parti per l’esplicazione dell’attività deduttiva e probatoria, in un termine decadenziale, ponendo rimedio ad una questione di così vasta rilevanza sociale.

A proposito della revisione debbono evidenziarsi altri due aspetti.

Rilevano le Sezioni Unite che nel caso in cui l’obbligato domandi la riduzione o l’eliminazione dell’assegno già rico-nosciuto all’ex coniuge, sull’assunto del superamento della disparità determinata dalle cause sopraindicate (cioè secondo tutto quanto abbiamo sopra ripercorso), deve fornire la prova contraria. Il criterio del riparto dell’onere probatorio in sede di revisione è chiaro: grava su chi agisce la prova del/i fatto/i sopravvenuto/i e della incidenza idonea a modificare la com-plessiva valutazione su cui è già sceso il giudicato. L’equivoci-tà dell’espressione, risalta per il fatto che ci troviamo di fronte a più mutamenti nell’interpretazione della norma, susseguitisi nel tempo, che nel momento in cui muta la situazione di fatto abbisogna obiettivamente di una complessiva riconsiderazio-ne, ed allora la modulazione dell’onere probatorio è tutt’altro che scontata in quei termini.

Ancora, sottolinea la sentenza in commento, come nell’e-sperienza di altri ordinamenti del contesto Europeo è diffu-sa la soluzione che vede estinguersi la protezione post-ma-trimoniale, con il decorso di un certo tempo e che questa

23 Cfr., ex plurimis, Cass., sez. I, 10 dicembre 2010 n. 24996, in banca dati Juris; Cass., sez. un., 16 giugno 2014 n. 13676, in banca dati Pluris; Cass., sez. VI-5, 9 gennaio 2015 n. 174, in Nuova giur. civ. comm., 2015, 501, con nota di Molinaro, Mutamento di giurisprudenza e tutela dell’affidamento: alla ricerca di una soluzione coerente; Cass. sez. I, 28 ottobre 2015 n. 22008, in Giur. it., 2016, 663, con nota di DalMotto, Mezzi di impugnazione della declinatoria di competenza e clausola per arbitrato societario; iD. 1° febbraio 2016 n. 1863, in banca dati Pluris; Cass., sez. lav., 23 febbraio 2016 n. 3488, ivi; Cass., sez. II, 11 marzo 2016 n. 4826, ivi; Cass., sez. VI-5, 27 luglio 2016 n. 15530, ivi; Cass., sez. lav., 12 aprile 2017 n. 9398, ivi; Cass., sez. III, 20 aprile 2017 n. 9954, ivi.

costituisce soluzione da non trascurare, con eloquenza rivolta evidentemente all’orecchio del legislatore.

Questo inciso motivo però va oltre, e cioè pone una sorta di elogio dell’ordinamento interno, paragonando la sensata solu-zione straniera alla nostrana possibilità di procedere in revi-sione del giudicato divorzile, che sarebbe persino da preferire.

L’assunto, al di là dell’evidente diversità obiettiva, può as-sumere però il peso di una indicazione di tutto rilievo; in-fatti, abbiamo visto che il nesso causale tra le caratteristiche della vita matrimoniale ed il futuro del coniuge svantaggiato, conforme a dignità matrimoniale, deve ricorrere in uno alla prova dell’impossibilità a colmare autonomamente il divario e, quindi, presuppone anche un impegno responsabile in prosieguo di tempo; se di ciò non può dubitarsi, evidente che il trascorrere del tempo costituisce di per sé elemento circo-stanziale di fatto, ed il persistere dell’impossibilità oggettiva a colmare il ridetto divario deve essere giustificato da prova rigorosa (in senso crescente proporzionalmente al trascorrere del tempo), prova che scansi ogni dubbio in ordine al ricor-rere di condotte deresponsabilizzate, tanto più quanto ci si allontani dalla data del giudicato divorzile.

8. Conclusioni

Il diritto del coniuge che si ritrova in condizione economico-patrimoniale svantaggiata, privo di mezzi adeguati in misura rilevante, al momento dello scioglimento del vincolo e legit-timato a tenore dell’art. 5, comma 6°, l. div., ad invocare l’as-sistenza solidaristica che trae titolo dalla sentenza di status, finalmente recupera un equilibrio interpretativo.

Superando tutti gli indirizzi che si sono alternati nel tempo, il risultato sancisce il metodo della comparazione e della recipro-ca responsabilità, escludendo sia l’epilogo dell’arricchimento, come quello dell’impoverimento frustrante, irrispettosi della dignità matrimoniale; la ricerca fattiva della Giustizia del caso concreto, secondo le sue specifiche peculiarità relazionali, trova quale termine di paragone valutativo fluido i soli fattori enume-rati nella norma, tutti unitariamente da analizzare con valenza equiordinata e biunivoca, sia per il riconoscimento che per la determinazione dell’assegno post-matrimoniale; la sostanza di una tale ricerca si traduce nel riconoscimento secondo merite-volezza della protezione stessa, in conformità ai valori fondan-ti della famiglia coniugale, come sancito in primo luogo negli artt. 2, 3 e 29 Cost.; meritevolezza anche del risultato secondo il livello del ruolo endofamiliare e contributivo in concreto as-sunto manente matrimonio, sino al riconoscimento della com-ponente compensativa nel caso ricorrano significativi “sacrifici matrimoniali”, risultati in nesso eziologico con il divario incol-mabile prodottosi in pregiudizio dell’ex coniuge richiedente e di corrispondente vantaggio per l’onerato.

Alla casistica avanti alle Corti di merito ora il compito impo-nente di attuare lo schema di principio e della specificazione dei suoi confini concreti, recependo il metodo affermato dalla Corte di legittimità, come l’unico modus procedendi conforme al comando positivo, e con la consapevolezza dell’impegno che una tale opera decisoria rivendica.

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I diritti economici e personali nella crisi delle relazioni familiari DOSSIER

L’Osservatorio Nazionale sul Diritto i Famiglia, evidenzia il plauso per la composizione del contrasto creatosi nell’indirizzo giurisprudenziale di legittimità, superato dalle Sezioni Unite, con la sentenza 11 luglio 2018 n. 18287, che consente di dissi-pare il senso di “confusione” diffusasi avanti le corti di merito.

La soluzione, di evidente pregio motivo, approfondito sotto tutti i profili in discussione, come in particolare emersi dopo la perentoria svolta segnata dalla prima sezione con la nota sentenza 10 maggio 2017 n. 11504, difatti, richiama l’inter-prete all’effettivo tenore ed all’effettiva mens legis dell’art. 5, comma 6°, l. div.

Particolarmente rilevante l’abbandono deciso, sia del criterio cosiddetto del “tenore di vita”, come del criterio alternativo co-siddetto dell’“autosufficienza personale”, stigmatizzati quali in-debite etero integrazioni normative, mettendone particolarmen-te in luce anche la loro incapacità alla soluzione di ogni singolo caso. Decisiva l’affermazione secondo cui i criteri enumerati dal-la norma – e solo essi – debbono valere sia per il riconoscimento del diritto che per la sua determinazione nel quantum.

Il severo richiamo ai valori incarnati dall’istituto matrimo-niale, alla sua disciplina positiva, armonicamente evidenziati alla luce dei valori costituzionali dell’uguaglianza, della pari dignità e dell’autonomia dei coniugi, ha condotto il Supremo Collegio al concetto di “meritevolezza”, in chiave perequa-tiva-compensativa, della solidarietà economica che prende titolo dalla sentenza di status divorzile.

Il principio di diritto dettato impone l’esame del singolo caso concreto, che abbia riguardo a null’altro che a quella singola vicenda esistenziale, richiamando tutti gli artefici del processo a non percorrere “scorciatoie” decisorie.

Tuttavia, l’Osservatorio al di là delle difficoltà operative e soprattutto di prova su ogni singolo criterio dettato dal com-ma 6° dell’art. 5, l. div., tanto più se inerente rapporti coniu-gali di lunga durata, reputa matura la stagione per interventi normativi di revisione complessiva della famiglia fondata sul matrimonio, che armonizzi il sistema tenendo conto:

– dell’esigenza di prefigurare agevoli forme pattizie che possano condurre i coniugi a preventive regolamentazio-ni delle crisi del rapporto;

– dell’esigenza di segnare distinguo quanto all’ipotesi di breve durata della convivenza – da intendersi sino alla separazione personale, ove non si ritenga di superare il doppio step separazione/divorzio – in particolare nell’i-potesi in cui si sciolga entro il termine, oramai diffusa-mente rilevante, inferiore al triennio e/o non veda la pre-senza di prole;

– dell’esigenza di prefigurare una tendenziale tempo-raneità delle obbligazioni post-coniugali, fissando un limite temporale massimo o quantomeno in rapporto proporzionale alla durata del matrimonio, ferme re-stando tutte le altre circostanze che segnano la singola vicenda familiare.

RISULTATI DEL GRUPPO DI LAVORO DI ONDIF TENUTOSI IL 20 LUGLIO 2018, SUL TEMA DELL’ASSEGNO DIVORZILEGIANCARLO SAVICoordinatore del Gruppo di lavoro

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100 L’Osservatorio sul diritto di famiglia | gennaio-agosto 2018

DOSSIER I diritti economici e personali nella crisi delle relazioni familiari

RELAZIONE ILLUSTRATIVAOnorevoli Senatori! Il presente disegno di legge vuole dare attuazione al contratto di governo stipulato dalla maggioranza parlamentare che prevede, con riguardo al diritto di famiglia, alcune rilevanti modifiche normative idonee ad accompagna-re questa delicata materia verso una progressiva de-giurisdi-zionalizzazione, rimettendo al centro la famiglia e i genitori e soprattutto restituendo in ogni occasione possibile ai genitori il diritto di decidere sul futuro dei loro figli, e lasciando al giudice il ruolo residuale di decidere nel caso di mancato ac-cordo, ovvero di verificare la non contrarietà all’interesse del minore delle decisioni assunte dai genitori.

Come soleva dire Arturo Carlo Jemolo, la famiglia è un’isola che il diritto può solo lambire, essendo organismo normal-mente capace di equilibri e bilanciamenti che la norma giuri-dica deve saper rispettare quanto più possibile.

I criteri dettati dal contratto di governo sono sostanzialmen-te quattro: a) mediazione civile obbligatoria per le questioni in cui siano coinvolti i figli minorenni; b) equilibrio tra en-trambe le figure genitoriali e tempi paritari; c) mantenimento in forma diretta senza automatismi; d) contrasto della aliena-zione genitoriale.

Quanto alla mediazione civile obbligatoria, sono note le que-stioni pregiudiziali sollevate da taluni con riguardo alla possi-bilità per la norma di imporre un procedimento di mediazione. È tuttavia ben strano che sia stata imposta la mediazione pre-ventiva in settori assai meno coinvolgenti la vita delle persone e invece si pongano forti limitazioni con riguardo alla materia del diritto di famiglia. Eppure, meccanismi di Alternative Di-spute Resolution (ADR), ben concepiti e caldeggiati, potrebbero evitare a molte famiglie la lite giudiziaria, di per sé autonoma espressione di fallimento e foriera di conseguenze personali e relazionali, le cui spese vengono in ogni caso pagate a caro prezzo dai molti minori coinvolti. A fronte della imposizione normativa del procedimento ADR è pertanto necessario garan-tire uno strumento realmente capace di incidere positivamente sulle situazioni concrete ed evitare, per quanto possibile, che le famiglie con minori siano costrette al tunnel giudiziario.

Per quanto concerne l’affido condiviso, la legge 8 febbraio 2006, n. 54, si è rivelata un fallimento, cosicché l’Italia ri-mane uno degli ultimi Paesi del mondo industrializzato per quanto riguarda la co-genitorialità (co-parenting) delle coppie separate. Nel mondo occidentale il principio della bigenito-rialità viene affermato e applicato a partire dalla Convenzione sui diritti del fanciullo, promulgata a New York il 20 novem-

bre 1989, ratificata ai sensi della legge 27 maggio 1991, n. 176. In realtà, però, presso alcune corti degli Stati Uniti già nel 1970 gruppi di magistrati avevano iniziato a redigere sen-tenze che prevedevano l’affido congiunto della prole in caso di divorzio dei genitori. Ben presto gli analisti si resero conto che dietro la locuzione joint custody si potevano celare diffe-renti forme di affidamento: in molti casi dietro il concetto di pari responsabilità genitoriali si nascondevano forme di affi-damento identiche a quelle normalmente previste in caso di affidamento esclusivo (si trattava della cosiddetta joint legal custody), mentre in altre a una suddivisione giuridico-formale si aggiungeva una condivisione materiale delle cure e dei tem-pi di permanenza (joint physical custody).

Senza minimamente prendere in considerazione le espe-rienze estere, in Italia solo nel 2006, dopo un faticoso lavoro durato ben quattro legislature, si è riusciti a far passare come forma privilegiata l’affidamento formalmente (o legalmente) condiviso nel 2006. Il risultato, però, è stato fallimentare: in Italia l’affido a tempi paritetici è stimato intorno all’1-2%, in Belgio supera il 20%, in Quebec il 25%, in Svezia il 28%. In Italia l’affido materialmente condiviso (considerando tale una situazione nella quale il minore trascorre almeno il 30% del tempo presso il genitore meno coinvolto) riguarda il 3-4% dei minori, tasso fra i più bassi al mondo, in Belgio il 30%, in Quebec il 30%, in Svezia il 40%. In Italia l’affido mate-rialmente esclusivo riguarda oltre il 90% dei minori, in Bel-gio circa il 50%, in Quebec circa il 40%, in Svezia il 30%. Nel nostro Paese troviamo quindi una situazione estrema che sicuramente non rispecchia la volontà del legislatore e che sta danneggiando moltissimi minori. È giunta pertanto l’ora di dare piena applicazione alla risoluzione n. 1079/2015 del Consiglio d’Europa che consiglia gli stati membri di adottare legislazioni che assicurino l’effettiva uguaglianza tra padre e madre nei confronti dei propri figli, al fine di garantire ad ogni genitore il diritto di essere informato e di partecipare alle decisioni importanti per la vita e lo sviluppo del loro fi-glio, nel miglior interesse di quest’ultimo, consigliando altresì di introdurre nella legislazione il principio della doppia resi-denza o del doppio domicilio dei figli in caso di separazione, limitando le eccezioni ai casi di abuso o di negligenza verso un minore, o di violenza domestica. È la stessa risoluzione a suggerire di adottare tutte le misure necessarie a garanti-re la piena esecuzione delle decisioni relative alla residenza dei figli e agli incontri coi genitori, anche dando seguito a reclami relativi alla mancata frequentazione dei bambini, in-

Senato della Repubblica

XVIII LEGISLATURA

DISEGNO DI LEGGEdi iniziativa dei senatori

Pillon, Candura, Pellegrini, Ostellari, Piarulli, D’Angelo, Evangelista, Giarrusso, Riccardi

Norme in materia di affido condiviso,mantenimento diretto e garanzia di bigenitorialità

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I diritti economici e personali nella crisi delle relazioni familiari DOSSIER

coraggiando in ogni caso la mediazione all’interno delle pro-cedure giudiziarie in materia famigliare relativamente ai mi-nori, istituendo un incontro informativo obbligatorio stabilito dal giudice. La risoluzione si conclude chiedendo che i paesi membri incoraggino l’elaborazione di piani parentali che per-mettano ai genitori di definire loro stessi i principali aspetti della vita di loro figlio.

In modo analogo, si ritiene maturo il tempo per applicare il principio del mantenimento diretto, pur astrattamente previ-sto dalla norma come modalità di default per provvedere alla prole. Eppure, oltre ad essere costume esteso ed inveterato di molti Stati progrediti (California, Svezia, Belgio, Stato di Wa-shington) esso, come rilevato da molte ricerche, contribuisce ad una percezione nel minore di maggior benessere econo-mico (non dovendo più il genitore veder mediato il proprio contributo da una persona – l’ex partner – di cui, a torto o ragione, non ha fiducia). In Italia, invece, si è rimasti fermi all’antiquata idea dell’assegno, priva di valenze relazionali a carico di uno dei genitori.

La norma già oggi vigente manifesta la netta preferenza del legislatore verso un mantenimento diretto della prole a carico dei genitori, individuando l’assegno perequativo solo quale espediente residuale. Tuttavia nell’applicazione pratica, ciò che doveva restare residuale si è trasformato in ordinario e sono davvero rarissimi i casi in cui nei provvedimenti di separazione, divorzio o di mantenimento di figli nati fuori dal matrimonio non si preveda un assegno mensile a carico dell’uno o dell’altro genitore. È dunque ora di mettere mano alla norma per indicare con ulteriore e inemendabile chia-rezza la netta preferenza del legislatore per la forma diretta di mantenimento, anche in considerazione del fatto che, tra-scorrendo il minore tempi sostanzialmente equipollenti con ciascuno dei genitori, è molto più agevole per questi ultimi provvedere direttamente alle esigenze della prole.

Per questa ragione è importante far passare il principio che entrambi i genitori sono tenuti al mantenimento in forma di-retta, possibilmente individuando i costi standard e i capitoli di spesa

Medesimo discorso va fatto anche in ordine ad una delle componenti più significative della contribuzione economica dei genitori alle esigenze della prole: la “assegnazione” della casa familiare.

Non potendosi più identificare un genitore collocatario, ma dovendosi prendere atto che il bambino potrà finalmente fare conto su “due case”, in perfetta conformità con l’osservazio-ne di Jemolo, è opportuno ripensare in modo significativo nell’ambito del corpus normativo l’istituto “monstrum” dell’as-segnazione che ha richiesto negli anni un continuo adegua-mento giurisprudenziale a fini di coordinamento rispetto alle norme sulla proprietà, altri diritti reali nonché ai contratti per l’utilizzo degli immobili (si veda, in particolare, l’art. 6 della legge 392/78).

Lo stesso istituto dell’assegnazione, alla luce del raggiunto consenso scientifico sulla sostanziale irrilevanza dell’eventua-le assegnazione ai fini del benessere della prole in relazione all’autentico significato e concetto sostanziale dell’affidamen-to condiviso, presenta forti dubbi di costituzionalità (rispetto all’art. 42 Cost.).

In caso di separazione, il conflitto tra i genitori nella sua più aspra declinazione giudiziale è statisticamente e positi-

vamente determinato dall’interesse economico all’assegnazio-ne della casa familiare piuttosto che da un reale scetticismo sull’idoneità dell’altro genitore, che inflaziona il processo con accertamenti peritali e altro.

Con riferimento al caso statisticamente più frequente di casa familiare co-intestata ad entrambi i genitori, la proposta di modifica richiama la regolamentazione secondo le norme sul-la comunione (art. 1100 e ss. del codice civile) che prevede il diritto a un corrispettivo da parte del comproprietario che utilizza il bene in via esclusiva, nelle more della divisione. In caso di proprietà esclusiva in capo a uno dei due genitori o a terzi, si dovranno in ogni caso applicare le vigenti norme in materia di proprietà, comodato d’uso, diritto di usufrutto o di abitazione e locazione.

L’istituto che meglio aiuterà i genitori a evitare contrasti stru-mentali e a concentrarsi sulla centralità dei figli sarà quello del piano genitoriale, autentico strumento di lavoro sul quale padre e madre saranno chiamati a confrontarsi per individua-re le concrete esigenze dei figli minori e fornire il loro contri-buto educativo e progettuale che riguardi i tempi e le attività della prole e i relativi capitoli di spesa.

Il continuo rimando della proposta alle procedure ADR (conciliazione, mediazione e coordinazione genitoriale) ha lo scopo di restituire la responsabilità decisionale ai genitori stessi, aiutandoli e sostenendoli quando, a causa della diffi-coltà di dialogo, i medesimi non appaiono in grado di mante-nere pervio il canale comunicativo nell’interesse del minore.

Anche i nonni potranno intervenire e far sentire la loro voce con interventi ad adiuvandum che siano propositivi e che tu-telino il diritto dei minori a intrattenere rapporti significativi con i propri ascendenti

È poi necessario superare la concezione nominalistica dell’a-lienazione genitoriale che in passato ha suscitato consistenti polemiche e avere riguardo al dato oggettivo: in molti casi si presenta il fenomeno del rifiuto manifestato dal minore in or-dine a qualsiasi forma di relazione con uno dei genitori. Alie-nazione, estraniazione, avversità, sono solo nomi mutevoli che non possono impedire al legislatore di prendersi cura di una delle condizioni più pericolose per il corretto e armonico svi-luppo psicofisico del minore. Nell’ambito dei rapporti all’in-terno della famiglia e, in particolare, nelle relazioni tra genitori e figli, si parla di una nuova categoria di diritti che la recente riflessione sociologica ha definito con la locuzione di diritti rela-zionali o diritti alla relazione. Essi rappresentano i diritti specifici di ogni relazione umana nella sua dimensione affettiva ed emo-tiva, relazione della quale l’ordinamento ed i giuristi sempre più si stanno occupando. È grazie al godimento del diritto ad avere relazioni con i propri familiari che le persone possono, nel contempo, esercitare i doveri legati al “fare famiglia”.

Il presente disegno di legge si compone di 24 articoli.All’articolo 1 si istituisce e regolamenta la funzione pubblica

e sociale della professione del mediatore familiare, stabilen-do i requisiti per l’esercizio di tale professione. Si delineano in modo estremamente puntiglioso e rigoroso i titoli di stu-dio, le specializzazioni e i percorsi di formazione necessari all’espletamento del ruolo di mediatore familiare, professione che non può essere improvvisata, ma che necessita di una formazione approfondita. Si stabilisce che le regioni debbano istituire ed aggiornare annualmente gli elenchi di iscrizione per i mediatori.

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DOSSIER I diritti economici e personali nella crisi delle relazioni familiari

All’articolo 2 si sancisce l’obbligo di riservatezza per segreto professionale, stabilendo anche che gli atti e i documenti del procedimento di mediazione non possano essere esibiti nei procedimenti giudiziali, se non previo accordo sottoscritto dal mediatore, dalle parti e dai rispettivi legali.

L’articolo 3, con rimandi alla normativa vigente in materia di mediazione civile, definisce e regolamenta il procedimento della mediazione familiare prevedendone l’accesso volonta-rio delle parti, con durata non superiore a sei mesi, che, in qualsiasi momento, possono interromperne la partecipazione. L’esperimento della mediazione familiare rimane condizione di procedibilità qualora nella controversia siano coinvolti diret-tamente o indirettamente persone minorenni. Al comma 8 si prevede l’omologazione del tribunale competente per territorio al fine dell’esecutività dell’accordo raggiunto a seguito del pro-cedimento di mediazione familiare. Il tribunale deve decidere, entro quindici giorni dalla richiesta, in camera di consiglio.

All’articolo 4 si prevede che le spese e i compensi per il me-diatore siano stabiliti con decreto del Ministro della giustizia, da emanarsi entro 180 giorni dall’entrata in vigore della legge.

L’articolo 5, nell’ambito della coordinazione genitoriale qua-le processo di risoluzione alternativa delle controversie fra genitori, qualifica la figura del coordinatore genitoriale. Si tratta di esperto qualificato con funzione mediativa, dotato di formazione specialistica in coordinazione genitoriale, iscritto all’Albo di una delle professioni regolamentate di ambito sa-nitario o socio-giuridico. Il medesimo, operando come terzo imparziale, nell’ambito delle disposizioni di natura legale e deontologica della rispettiva professione, ha il compito di ge-stire in via stragiudiziale le controversie eventualmente sorte tra i genitori di prole minorenne relativamente all’esecuzione del piano genitoriale. La sua attività è volta al superamento di eventuali ostacoli al corretto e sereno esercizio della co-genitorialità assistendo i genitori nell’attuazione del piano ge-nitoriale, monitorandone l’osservanza e risolvendo tempesti-vamente le controversie. Il Giudice, su richiesta dei genitori di incaricare un coordinatore genitoriale, ne dispone la nomina ove ritenuto necessario nell’interesse del minore.

L’articolo 6 modifica l’articolo 178 codice di procedura civile (Controllo del collegio sulle ordinanze) con l’aggiunta di un comma per stabilire che l’ordinanza del giudice istruttore in materia di separazione e di affidamento dei figli è impugnabi-le dalle parti, con reclamo immediato al collegio.

L’articolo 7, che modifica l’articolo 706 del codice di pro-cedura civile (Forma della domanda), sancisce che le coppie con figli devono procedere alla mediazione obbligatoria per aiutare le parti a trovare un accordo nell’interesse dei minori. In ogni caso il mediatore familiare rilascia ai coniugi un’atte-stazione, sottoscritta dai coniugi medesimi, in cui si dà atto del tentativo di mediazione e del relativo esito.

L’articolo 8, di modifica all’articolo 708 del codice di proce-dura civile, stabilisce che all’udienza di comparizione il presi-dente, nel caso di conciliazione infruttuosa, il presidente deb-ba informare le parti della possibilità di avvalersi della media-zione familiare (obbligatoria in presenza di figli minori). Si stabilisce, per i procedimenti di separazione di genitori con figli minorenni, la verifica anche d’ufficio del rispetto delle prescrizioni di cui all’art. 706. Il presidente è altresì tenuto a valutare i rispettivi piani genitoriali assumendo con ordinan-za i provvedimenti opportuni nell’interesse della prole e dei

coniugi, secondo quanto previsto dagli art. 337-ter e seguenti del codice civile.

L’articolo 9, sostituendo il vigente articolo 709-ter del codi-ce di procedura civile (Soluzione delle controversie e prov-vedimenti in caso di inadempienze o violazioni), rende più incisivo il ricorso in quanto la mera ammonizione si è rivelata un’arma spuntata ed incapace di frenare gli atteggiamenti più spregiudicati dei genitori.

Con l’articolo 10, sostitutivo del vigente articolo 711 del codice di procedura civile (Separazione consensuale), si stabi-lisce che nel caso di separazione consensuale i genitori di figli minori, a pena di nullità, devono indicare nel ricorso il piano genitoriale concordato, secondo quanto previsto dall’artico-lo 706, quinto comma del presente codice e dall’art. 337-ter del codice civile. Ove riscontri che i coniugi non vi abbiano adempiuto, il presidente è tenuto ad esperire preliminarmen-te un tentativo di conciliazione. In caso positivo si procede come previsto dall’articolo 708, secondo comma. In caso ne-gativo il presidente dà atto nel processo verbale del consenso dei coniugi alla separazione e delle condizioni riguardanti i coniugi stessi e la prole, come previste dal ricorso e dai piani educativo e di riparto delle spese. I coniugi che abbiano depo-sitato ricorso congiunto per la separazione consensuale sono esentati dalla mediazione obbligatoria.

L’articolo 11 riguarda i provvedimenti concernenti i figli. Con la sostituzione del vigente articolo 337-ter del codice ci-vile, il nuovo articolato prevede, in maniera oltremodo inno-vativa, il diritto del minore al mantenimento di un rapporto equilibrato e continuativo con il padre e la madre, a ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambe le figure genitoriali, e a trascorrere con ciascuno dei genitori tempi adeguati, paritetici ed equipollenti, salvo i casi di im-possibilità materiale. Si garantiscono tempi paritari qualora anche uno solo dei genitori ne faccia richiesta. Si garantisce comunque la permanenza di non meno di 12 giorni al mese, compresi i pernottamenti, presso il padre e presso la madre, salvo comprovato e motivato pericolo di pregiudizio per la sa-lute psico-fisica del figlio in casi tassativamente individuati. Si sancisce il suo diritto a conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale. L’artico-lo prevede inoltre che il giudice, nell’affidare in via condivisa i figli minori, debba stabilire il doppio domicilio del minore ai fini delle comunicazioni scolastiche, amministrative e relative alla salute. Nel piano genitoriale deve essere indicata anche la misura e la modalità con cui ciascuno dei genitori provvede al mantenimento diretto dei figli, sia per le spese ordinarie sia per quelle straordinarie, anche attribuendo a ciascuno specifici capitoli di spesa, in misura proporzionale al proprio reddito e ai tempi di permanenza presso ciascun genitore secondo le esigenze indicate nel piano genitoriale, considerando sempre le esigenze del minore, il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori, i tempi di permanenza presso ciascun genitore, le risorse economiche di entrambi i genitori e la valenza economica dei compiti do-mestici e di cura assunti da ciascun genitore. In mancanza di accordo, il giudice, sentite le parti, stabilisce il piano genitoria-le determinando i tempi e le modalità della presenza dei figli presso ciascun genitore fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi dovrà contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli sulla base del

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103L’Osservatorio sul diritto di famiglia | gennaio-agosto 2018

I diritti economici e personali nella crisi delle relazioni familiari DOSSIER

costo medio dei beni e servizi per i figli individuato su base locale alla luce del costo medio della vita come calcolato dall’I-STAT, individuando le spese ordinarie, le spese straordinarie e attribuendo a ciascun genitore specifici capitoli di spesa, dando applicazione al protocollo nazionale sulle spese straor-dinarie. Si sancisce infine che, ove le informazioni di carattere economico fornite dai genitori non risultino sufficientemente documentate, il giudice possa disporre un accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto della contesta-zione, anche se intestati a soggetti diversi.

Con l’articolo 12, che sostituisce l’articolo 337-quater del co-dice civile (Affidamento a un solo genitore e opposizione all’af-fidamento condiviso), si stabilisce che il giudice, nei casi di cui all’art. 337-ter, comma 2, possa disporre l’affidamento dei figli ad uno solo dei genitori qualora ritenga che l’affidamen-to all’altro sia contrario all’interesse del minore, garantendo sempre il diritto del minore alla bi-genitorialità. Il genitore cui sono affidati i figli in via esclusiva, salva diversa disposizione del giudice, ha l’esercizio esclusivo della responsabilità genito-riale su di essi; egli deve attenersi alle condizioni determinate dal giudice, favorendo e garantendo in ogni modo la frequen-tazione dei figli minori con l’altro genitore, a meno che ciò non sia stato espressamente vietato dal giudice con provvedimento motivato. Salvo che non sia diversamente stabilito, le decisioni di maggiore interesse per i figli sono adottate da entrambi i genitori. Il genitore cui i figli non sono affidati ha il diritto ed il dovere di vigilare sulla loro istruzione ed educazione e può ricorrere al giudice quando ritenga che siano state assunte decisioni pregiudizievoli al loro interesse. Sono previsti casi di temporanea impossibilità ad affidare il minore ai propri ge-nitori. In tali casi il giudice deve porre in essere ogni misura idonea al recupero della capacità genitoriale dei figli.

L’articolo 13, sostitutivo dell’art. 337-quinquies del codice civile, reca la revisione delle disposizioni concernenti l’affi-damento dei figli e i casi di conflittualità genitoriale introdu-cendo il secondo tentativo di mediazione e il coordinatore genitoriale quali estremi tentativi di restituire ai genitori la capacità di decisione autonoma, prima della definitiva deci-sione del giudice. I genitori hanno diritto di chiedere in ogni tempo la revisione delle disposizioni concernenti l’affidamen-to dei figli, la revisione dei piani genitoriali e dei tempi di frequentazione con la prole, l’attribuzione dell’esercizio della responsabilità genitoriale su di essi e delle eventuali disposi-zioni relative alla misura e alla modalità del contributo.

L’articolo 14, che sostituisce l’articolo 337-sexies, verte sulla residenza del minore presso la casa familiare e sulle prescri-zioni in tema di residenza. Il giudice può stabilire nell’interes-se dei figli minori che questi mantengano la residenza nella casa familiare, indicando in caso di disaccordo quale dei due genitori potrà continuare a risiedervi. Si stabilisce che non possa continuare a risedere nella casa familiare il genitore non proprietario o non titolare di specifico diritto che non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio.

All’articolo 15, che sostituisce l’articolo 337-sexies vertente su disposizioni in favore dei figli maggiorenni, si chiarisce che il giudice possa disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente, su loro richiesta, il pagamen-

to di un assegno periodico a carico di entrambi i genitori. Tale assegno è versato direttamente all’avente diritto.

L’articolo 16, che sostituisce l’articolo 337-octies del codice civile (Poteri del giudice e ascolto del minore), prevede che il giudice disponga l’ascolto del figlio minore che abbia com-piuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento. L’ascolto del minore deve essere sempre svolto alla presenza del giudice e di un esperto da lui designato e deve essere videoregistrato. Le parti, che possono assistere in locale separato collegato mediante video, possono presentare domande per mezzo del giudice, ma sono vietate domande dirette ad ottenere risposte relativamente al desiderio del mi-nore di stare con uno dei genitori ovvero quelle potenzial-mente in grado di suscitare preferenze o conflitti di lealtà da parte del minore verso uno dei genitori.

L’articolo 17 modifica all’art. 342-bis del codice civile (Or-dini di protezione contro gli abusi familiari) aggiungendo un comma per prevedere da parte del giudice, su istanza di parte, l’adozione con decreto di provvedimenti nell’esclusivo inte-resse del minore, anche quando – pur in assenza di evidenti condotte di uno dei genitori – il figlio minore manifesti co-munque rifiuto, alienazione o estraniazione con riguardo ad uno di essi.

L’articolo 18 introduce il nuovo articolo 342-quater nel co-dice civile, con il quale si attribuisce al giudice il potere di ordinare al genitore che abbia tenuto la condotta pregiudi-zievole per il minore la cessazione della stessa condotta; può inoltre disporre con provvedimento d’urgenza la limitazione o sospensione della sua responsabilità genitoriale. Egli può, in ogni caso, disporre l’inversione della residenza abituale del figlio minore presso l’altro genitore ovvero il collocamento provvisorio del minore presso apposita struttura specializza-ta, previa redazione da parte dei Servizi Sociali o degli opera-tori della struttura di uno specifico programma per il pieno recupero della bigenitorialità del minore, nonché dell’indica-zione del responsabile dell’attuazione di tale programma.

L’articolo 19 dispone l’abrogazione del comma 2 dell’arti-colo 151 del codice civile, in tema di separazione giudiziale, che attualmente prevede che il giudice, pronunziando la se-parazione, dichiari, ove ne ricorrano le circostanze e ne sia richiesto, a quale dei coniugi sia addebitabile la separazione, in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio.

Con l’articolo 20 si modifica l’articolo 6 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito dalla legge 10 novembre 2014, n. 162, al fine di stabilire che le parti e i rispettivi legali devono in ogni caso applicare le disposizioni di cui agli artt. 337-ter e seguenti del codice civile.

Con l’articolo 21, quale logica conseguenza del principio del mantenimento diretto della prole, si procede ad abrogare l’art. 570-bis del codice penale.

L’articolo 22 applica i principi previsti per la separazione anche alla legge sul divorzio.

L’art. 23 stabilisce che le norme della presente legge si appli-chino anche ai procedimenti pendenti alla data dell’entrata in vigore della medesima.

L’articolo 24 infine contiene una clausola di invarianza fi-nanziaria.

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104 L’Osservatorio sul diritto di famiglia | gennaio-agosto 2018

DOSSIER I diritti economici e personali nella crisi delle relazioni familiari

ART. 1.(Istituzione dell’albo nazionale per la professione

di mediatore familiare)1. È istituito l’albo professionale dei mediatori familiari. La

Repubblica riconosce la funzione sociale della mediazione fa-miliare.

2. Entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore della pre-sente legge, con uno o più regolamenti, da emanare ai sensi dell’articolo 17, comma 1, lettera b), della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro della Giustizia, sono adottate le norme di attuazione delle disposizioni di cui al presente articolo, te-nuto conto dei seguenti principi:

a) Possono esercitare la professione di mediatore familiare le persone in possesso della laurea specialistica in disci-pline sociali, psicologiche, giuridiche, mediche o peda-gogiche, nonché della formazione specifica, certificata da idonei titoli quali master universitari ovvero specializza-zioni o perfezionamenti presso enti di formazione rico-nosciuti dalle regioni, aventi durata biennale e di almeno 350 ore.

b) Possono altresì esercitare l’attività di mediazione familia-re coloro che alla data di entrata in vigore della presente legge sono in possesso di laurea specialistica e che hanno già ottenuto la qualifica di mediatore familiare a seguito della formazione specifica almeno biennale certificata da master universitari ovvero a seguito della frequenza e del superamento dell’esame finale presso corsi di formazione almeno biennali e della durata di almeno 350 ore, pur-ché svolti e conclusi entro il 31 dicembre 2018.

c) La qualifica di mediatore familiare può essere attribui-ta anche agli avvocati iscritti all’ordine professionale da almeno 5 anni e che abbiano trattato almeno 10 nuovi procedimenti in diritto di famiglia e dei minorenni per ogni anno.

d) La professione di mediatore familiare può essere eserci-tata in forma individuale o associata secondo le disposi-zioni stabilite dalla legge 14 gennaio 2013, n. 4.

e) Il Ministero di Giustizia, entro sei mesi dalla data di en-trata in vigore della presente legge, istituisce e successi-vamente cura annualmente, l’aggiornamento dello speci-fico albo professionale al quale possono fare domanda di iscrizione i mediatori familiari in possesso dei requisiti di cui al presente articolo.

f) Il servizio di mediazione familiare può essere altresì of-ferto nei consultori familiari pubblici e privati da perso-ne aventi la qualifica di mediatori familiari iscritti negli albi di cui alla lettera precedente.

g) Il mediatore familiare deve essere particolarmente e spe-cificamente esperto nelle tecniche di mediazione e deve essere in possesso di approfondite conoscenze in diritto, psicologia e sociologia con particolare riferimento ai rap-porti familiari e genitoriali.

h) L’iscrizione all’albo è subordinata al superamento di una prova di esame da svolgersi annualmente e la cui disci-plina è rimessa ad appositi decreti ministeriali, emanati d’intesa con il Ministero dell’Istruzione e della Famiglia.

i) L’istituendo consiglio nazionale dei mediatori familiari provvede entro sei mesi dalla sua istituzione all’emanazio-ne di un codice deontologico ispirato ai seguenti principi:

j) Il mediatore familiare deve essere terzo e imparziale ri-spetto alle parti;

k) Il mediatore familiare ha un obbligo informativo in favo-re delle parti circa la possibilità di avvalersi della consu-lenza matrimoniale al fine di salvaguardare per quanto possibile l’unità della famiglia come previsto dall’art. 708 del codice di procedura civile, rispetto del best interest of child; deve altresì adoperarsi per impedire o per risolvere gravi conflittualità che possono produrre ogni forma di violenza endofamiliare, anche informando le parti della possibilità di ottenere l’aiuto di altri specialisti.

l) Il mediatore deve astenersi dal fornire consulenza legale o psicologica alle parti.

ART. 2.(Obbligo di riservatezza)

1. Il mediatore familiare è tenuto al segreto professionale ai sensi dell’art. 622 c.p. Nessuno degli atti o documenti del procedimento di mediazione familiare può essere prodotto dalle parti nei procedimenti giudiziali ad eccezione dell’ac-cordo, solo se sottoscritto dal mediatore familiare e controfir-mato dalle parti e dai rispettivi legali, ovvero della proposta di accordo formulata dal mediatore ai sensi dell’articolo 4.

ART. 3.(Procedimento di mediazione familiare)

1. Il procedimento di mediazione familiare è informale e ri-servato. Partecipano al procedimento di mediazione familiare le parti e i rispettivi legali. La partecipazione al procedimento di mediazione di minori – purché aventi età superiore a dodi-ci anni – può essere ammessa solo con il consenso di tutte le parti e, comunque, di entrambi i genitori.

2. Le parti devono rivolgersi a un mediatore familiare scelto tra quelli che esercitano la professione nell’ambito del distret-to del tribunale competente per territorio ai sensi del codice di procedura civile.

3. La partecipazione al procedimento di mediazione familia-re è volontariamente scelta dalle parti e può essere interrotta in qualsiasi momento. L’esperimento della mediazione fami-liare è comunque condizione di procedibilità secondo quanto previsto dalla legge qualora nel procedimento debbano essere assunte decisioni che coinvolgano direttamente o indiretta-mente i diritti delle persone minorenni.

4. Il procedimento di mediazione familiare ha una durata non superiore a sei mesi, decorrenti dal primo incontro cui hanno partecipato entrambe le parti. Le parti devono par-tecipare al primo incontro del procedimento di mediazione familiare assistite dai rispettivi avvocati qualora esse abbiano già dato loro mandato.

5. Il mediatore familiare, su accordo delle parti, può chiede-re che gli avvocati di cui al comma 4 non partecipino agli in-contri successivi. Gli stessi devono comunque essere presenti, a pena di nullità e inutilizzabilità, alla stipulazione dell’even-tuale accordo, ove raggiunto.

DISEGNO DI LEGGE

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105L’Osservatorio sul diritto di famiglia | gennaio-agosto 2018

I diritti economici e personali nella crisi delle relazioni familiari DOSSIER

6. Gli avvocati e le parti hanno il dovere di collaborare leal-mente con il mediatore familiare.

7. Si applicano gli articoli 8, 9, 10, 11, 13 e 14, commi 1 e 2, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, e successive modificazioni.

8. L’efficacia esecutiva dell’accordo raggiunto a seguito del procedimento di mediazione familiare deve in ogni caso esse-re omologata dal tribunale competente per territorio ai sensi del codice di procedura civile.

9. Il tribunale di cui al comma 8 decide in camera di consi-glio entro quindici giorni dalla richiesta.

ART. 4(Spese e compensi per il mediatore familiare)

1. Entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministro della giustizia, con proprio decreto, stabilisce i parametri per la determinazione dei compensi pro-fessionali per i mediatori familiari, prevedendo in ogni caso la gratuità del primo incontro. Gli avvocati e gli altri professionisti che operino in funzione di mediatori familiari debbono appli-care le tariffe professionali relative a tale ultima funzione.

ART. 5(Il coordinatore genitoriale)

1. La coordinazione genitoriale è un processo di risoluzio-ne alternativa delle controversie centrato sulle esigenze del minore, svolta da professionista qualificato, che integra la va-lutazione della situazione conflittuale, l’informazione circa i rischi del conflitto per le relazioni genitori-figli, la gestione del caso e degli operatori coinvolti, la gestione del conflitto ricercando l’accordo tra i genitori o fornendo suggerimenti o raccomandazioni e, assumendo, previo consenso dei genitori, le funzioni decisionali.

2. Il coordinatore genitoriale è un esperto qualificato con funzione mediativa, dotato di formazione specialistica in co-ordinazione genitoriale, iscritto all’Albo di una delle seguenti professioni regolamentate di ambito sanitario o socio-giuridico

– Psichiatra– Neuropsichiatra– Psicoterapeuta– Psicologo– Assistente sociale– Avvocato– Mediatore familiare3. Il coordinatore genitoriale deve osservare tutte le disposi-

zioni di natura legale e deontologica della rispettiva professio-ne. Il medesimo opera come terzo imparziale e ha il compito di gestire in via stragiudiziale le controversie eventualmente sorte tra i genitori di prole minorenne relativamente all’esecu-zione del piano genitoriale. La sua attività è volta al supera-mento di eventuali ostacoli al corretto e sereno esercizio della co-genitorialità con l’obiettivo di:

– assistere i genitori con alto livello di conflitto nell’attua-zione del piano genitoriale,

– monitorarne l’osservanza, risolvendo tempestivamente le controversie

– salvaguardare e preservare una relazione sicura, sana e significativa tra il minore ed entrambi i suoi genitori.

4. Lo svolgimento dell’attività di coordinazione genitoriale non dà luogo a responsabilità personali salvo i casi di dolo o colpa grave.

5. Il Giudice prende atto della volontà dei genitori di inca-ricare un coordinatore genitoriale nell’interesse del minore. L’accordo di incarico e il consenso informato (per le profes-sioni sanitarie) alla coordinazione genitoriale, devono essere sottoscritti dai genitori e sono recepiti contestualmente alla nomina del coordinatore.

ART. 6(Modifica all’articolo 178 del codice di procedura civile)

1. Dopo il terzo comma dell’articolo 178 del codice di pro-cedura civile è inserito il seguente: “L’ordinanza del giudice istruttore in materia di separazione e di affidamento dei figli è impugnabile dalle parti con reclamo immediato al collegio. Il reclamo deve essere proposto nel termine perentorio di venti giorni dalla lettura alla presenza delle parti oppure dalla ri-cezione della relativa notifica. Il collegio decide in Camera di Consiglio entro 30 giorni dal deposito del reclamo”.

ART. 7(Modifiche all’articolo 706 del codice di procedura civile)

1. All’articolo 706 del codice di procedura civile sono ap-portate le seguenti modificazioni:

a) è premesso il seguente comma:“I genitori di prole minorenne che vogliano separarsi devo-

no – a pena di improcedibilità – iniziare un percorso di me-diazione familiare. I genitori debbono redigere, eventualmen-te con l’aiuto del mediatore familiare e dei rispettivi legali, un piano genitoriale come previsto dall’art. 337-ter del codice civile. In ogni caso il mediatore familiare deve rilasciare ai coniugi un’attestazione, sottoscritta dai coniugi medesimi, in cui dà atto che gli stessi hanno tentato la mediazione e infor-ma del relativo esito”;

b) al comma 3, le parole: “novanta giorni dal deposito del ricorso” sono sostituite dalle seguenti: “quaranta giorni dal deposito del ricorso”;

c) è aggiunto, in fine, il seguente comma:“Nel caso di cui al quarto comma, il ricorso e la memoria

difensiva di cui al terzo comma, a pena di nullità, devono con-tenere altresì, a cura dei genitori, una dettagliata proposta di piano genitoriale che illustrino la situazione attuale del minore e le proposte formulate in ordine al suo mantenimento, alla sua istruzione, alla sua educazione e alla sua assistenza morale secondo i punti previsti dall’art. 337-ter del codice civile”;

ART. 8(Modifiche all’articolo 708 del codice di procedura civile)

1. All’articolo 708 del codice di procedura civile sono ap-portate le seguenti modificazioni:

a) il secondo comma è sostituito dal seguente:“Qualora la conciliazione riesca il presidente allega agli atti il

verbale di conciliazione e ordina la cancellazione della causa dal ruolo e l’immediata estinzione del procedimento”;

b) il terzo comma è sostituito dal seguente:“Qualora la conciliazione non sia riuscita, il presidente in-

forma le parti della possibilità di avvalersi della mediazione familiare. Nei procedimenti di separazione di genitori con figli minorenni il presidente verifica anche d’ufficio il rispetto delle prescrizioni di cui all’art. 706 e in caso contrario rinvia il proce-dimento per un termine massimo di due mesi e ordina alle par-ti di rivolgersi ad un mediatore familiare. Il presidente all’esito,

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106 L’Osservatorio sul diritto di famiglia | gennaio-agosto 2018

DOSSIER I diritti economici e personali nella crisi delle relazioni familiari

sentiti i coniugi e i rispettivi difensori, valuta i rispettivi piani genitoriali e assume con ordinanza i provvedimenti che repu-ta opportuni nell’interesse della prole e dei coniugi secondo quanto previsto dagli art. 337-ter e seguenti del codice civile, accogliendo le rispettive proposte ove convergenti e non con-trarie all’interesse della prole e motivando le proprie decisioni ove ritenga di discostarsi dalle indicazioni dell’uno o dell’altro genitore in ordine al piano genitoriale. Se uno dei genitori non compare ovvero non presenta un proprio piano genitoriale, il presidente accoglie nell’ordinanza le proposte indicate dall’al-tro, ove congrue e non contrarie all’interesse della prole”.

ART. 9(Modifica dell’articolo 709-ter del codice di procedura civile)

1. L’articolo 709-ter del codice di procedura civile è sostitu-ito dal seguente:

“ART. 709-ter. - (Soluzione delle controversie e provvedimenti in caso di inadempienze o violazioni).

Per la soluzione delle controversie insorte tra i genitori in ordine all’esercizio della responsabilità genitoriale o delle mo-dalità dell’affidamento è competente il giudice del procedi-mento in corso. Per i procedimenti di cui all’articolo 710 è competente il tribunale del luogo di residenza del minore. A seguito del ricorso, il giudice convoca le parti e adotta i provvedimenti opportuni. In caso di gravi inadempienze, di manipolazioni psichiche o di atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell’affidamento, nonché in caso di astensione ingiustificata dai compiti di cura di un genitore e comunque in ogni caso ove riscontri accuse di abusi e violenze fisiche e psicologiche evidentemente false e infondate mosse contro uno dei genitori, il giudice valuta prioritariamente una modi-fica dei provvedimenti di affidamento ovvero, nei casi più gra-vi, la decadenza della responsabilità genitoriale del responsa-bile ed emette le necessarie misure di ripristino, restituzione o compensazione. Il giudice può anche congiuntamente:

1) disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti del minore;

2) disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti dell’altro;

3) condannare il genitore inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, da un minimo di 600,00 euro a un massimo di 6.000,00 euro. I provvedimenti assunti dal giudice del procedimento sono impugnabili nei modi ordinari”.

ART. 10(Modifica dell’articolo 711 del codice di procedura civile)

1. L’articolo 711 del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:

“ART. 711. — (Separazione consensuale)Nel caso di separazione consensuale previsto dall’articolo

158 del codice civile, entrambi i coniugi presentano ricorso congiunto.

I genitori di figli minori devono a pena di nullità indicare nel ricorso il piano genitoriale concordato, secondo quanto previsto dall’articolo 706, quinto comma del presente codice e dall’art. 337-ter del codice civile. Il presidente, ove riscontri che i coniugi non hanno svolto in precedenza il tentativo di conci-liazione di cui all’articolo 706, tenta preliminarmente di conci-

liarli nel corso della medesima udienza. Se la conciliazione rie-sce, procede come previsto dall’articolo 708, secondo comma. Se la conciliazione non riesce il presidente dà atto nel processo verbale del consenso dei coniugi alla separazione e delle con-dizioni riguardanti i coniugi stessi e la prole, come previste dal ricorso e dai piani educativo e di riparto delle spese.

La separazione consensuale acquista efficacia con l’omolo-gazione del tribunale, che provvede in camera di consiglio su relazione del presidente. Le condizioni della separazione consensuale sono modificabili a norma dell’articolo 710”.

ART. 11(Modifica all’art. 337-ter del codice civile)

L’articolo 337-ter del codice civile è sostituito dal seguente:“Articolo 337-ter (Provvedimenti riguardo ai figli)1. Indipendentemente dai rapporti intercorrenti tra i due

genitori, il figlio minore, nel proprio esclusivo interesse mo-rale e materiale, ha il diritto di mantenere un rapporto equi-librato e continuativo con il padre e con la madre, di ricevere cura, educazione e istruzione e assistenza morale da entrambe le figure genitoriali, con paritetica assunzione di responsabili-tà e di impegni e con pari opportunità. Ha anche il diritto di trascorrere con ciascuno dei genitori tempi paritetici o equi-pollenti, salvo i casi di impossibilità materiale.

2. Qualora uno dei genitori ne faccia richiesta e non sussi-stano oggettivi elementi ostativi, il giudice assicura con ido-neo provvedimento il diritto del minore di trascorrere tempi paritetici in ragione della metà del proprio tempo, compresi i pernottamenti, con ciascuno dei genitori. Salvo diverso ac-cordo tra le parti, deve in ogni caso essere garantita alla prole la permanenza di non meno di 12 giorni al mese, compresi i pernottamenti, presso il padre e presso la madre, salvo com-provato e motivato pericolo di pregiudizio per la salute psico-fisica del figlio minore in caso di:

1) Violenza2) Abuso sessuale3) Trascuratezza4) Indisponibilità di un genitore5) Inadeguatezza evidente degli spazi predisposti per la vita

del minore.3. Il giudice o le parti, quando le circostanze rendano diffi-

cile attuare una divisione paritaria dei tempi su base mensile, possono prevedere adeguati meccanismi di recupero durante i periodi di vacanza, onde garantire una sostanziale equiva-lenza dei tempi di frequentazione del minore con ciascuno dei genitori nel corso dell’anno.

4. Il figlio minore ha anche il diritto di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale. Gli ascendenti del minore possono intervenire nel giudizio di affidamento con le forme dell’art. 105 del codice di procedura civile. Il giudice nei procedimenti di cui all’art. 337-bis adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa.

5. Il giudice, salvo che ciò sia contrario al superiore interesse del minore, affida in via condivisa i figli minori a entrambi i genitori e prende atto, se non contrari all’interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori. Stabilisce il doppio domicilio del minore presso l’abitazione di ciascuno dei geni-tori ai fini delle comunicazioni scolastiche, amministrative e relative alla salute.

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107L’Osservatorio sul diritto di famiglia | gennaio-agosto 2018

I diritti economici e personali nella crisi delle relazioni familiari DOSSIER

6. Entrambi i genitori predispongono un piano genitoriale in ordine a:

1) Luoghi abitualmente frequentati dai figli2) Scuola e percorso educativo del minore3) Eventuali attività extrascolastiche, sportive, culturali e

formative4) Frequentazioni parentali e amicali del minore5) Vacanze normalmente godute dal minoreNel piano genitoriale deve essere indicata anche la misura

e la modalità con cui ciascuno dei genitori provvede al man-tenimento diretto dei figli, sia per le spese ordinarie che per quelle straordinarie, attribuendo a ciascuno specifici capitoli di spesa, in misura proporzionale al proprio reddito secondo quanto previsto nel piano genitoriale, considerando:

– le attuali esigenze del figlio;– le risorse economiche di entrambi i genitori;– la valenza economica dei compiti domestici e di cura as-

sunti da ciascun genitore.7. Il giudice esamina e approva il piano genitoriale concor-

dato dai due genitori ove non contrastante col superiore inte-resse o con i diritti del minore. In mancanza di accordo o in caso di accordo parziale, il giudice, sentite le parti, recepisce quanto parzialmente concordato dai genitori e stabilisce co-munque il piano genitoriale determinando i tempi e le moda-lità della presenza dei figli presso ciascun genitore e fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve con-tribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educa-zione dei figli, applicando in ogni caso mantenimento diretto come indicato ai commi precedenti e sulla base del costo me-dio dei beni e servizi per i figli, individuato su base locale in ragione del costo medio della vita come calcolato dall’ISTAT, indicando altresì le spese ordinarie, le spese straordinarie e attribuendo a ciascun genitore specifici capitoli di spesa.

8. Il giudice stabilisce, ove strettamente necessario e solo in via residuale, la corresponsione a carico di uno dei genitori, di un assegno periodico per un tempo determinato in favo-re dell’altro a titolo di contributo al mantenimento del figlio minore. Nel medesimo provvedimento deve anche indicare quali iniziative devono essere intraprese dalle parti per giun-gere al mantenimento diretto della prole, indicando infine i termini entro i quali la corresponsione di assegno periodico residuale verrà a cessare. I benefici previdenziali e fiscali ero-gati in favore della prole o ai genitori per i figli a carico sono in ogni caso attribuiti sulla base del reciproco accordo ovvero su disposizione del giudice in misura direttamente propor-zionale ai rispettivi redditi. Ove le informazioni di carattere economico fornite dai genitori non risultino sufficientemente documentate, il giudice dispone un accertamento della poli-zia tributaria sui redditi e sui beni oggetto della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi.

9. All’attuazione dei provvedimenti relativi all’affidamento della prole provvede il giudice del merito. La responsabili-tà genitoriale è esercitata da entrambi i genitori. Le decisioni quotidiane vengono assunte dal genitore che in quel mo-mento si trova col figlio minore, mentre quelle di maggiore interesse per i figli relative all’istruzione, all’educazione, alla salute e alla scelta della residenza abituale del minore sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice. Qualora il ge-

nitore non si attenga alle condizioni dettate, il giudice valu-terà detto comportamento anche al fine della modifica della forma di affidamento.

ART. 12(Modifica all’art. 337-quater del codice civile)

L’articolo 337-quater del codice civile è sostituito dal se-guente:

“Articolo 337-quater (Affidamento a un solo genitore e op-posizione all’affidamento condiviso)

1. Il giudice, nei casi di cui all’art. 337-ter, comma 2, può disporre temporaneamente l’affidamento dei figli ad uno solo dei genitori qualora ritenga con provvedimento motivato che l’affidamento all’altro sia contrario all’interesse del minore. In ogni caso deve garantire il diritto del minore alla bi-genitoriali-tà disponendo tempi adeguati di frequentazione dei figli minori col genitore non affidatario e promuovendo azioni concrete per rimuovere le cause che hanno portato all’affidamento esclusivo.

2. Ciascuno dei genitori può, in qualsiasi momento, chiedere l’affidamento esclusivo quando sussistono le condizioni indica-te al primo comma. Il giudice, se accoglie la domanda, dispone l’affidamento esclusivo al genitore istante, facendo salvi, per quanto possibile, i diritti del minore previsti dal primo com-ma dell’articolo 337-ter. Se la domanda risulta manifestamente infondata, il giudice può considerare il comportamento del ge-nitore istante ai fini della determinazione dei provvedimenti da adottare nell’interesse dei figli, rimanendo ferma l’applicazione dell’articolo 96 del codice di procedura civile. Il genitore cui sono affidati i figli in via esclusiva, salva diversa disposizione del giudice, ha l’esercizio esclusivo della responsabilità genito-riale su di essi; egli deve attenersi alle condizioni determinate dal giudice, favorendo e garantendo in ogni modo la frequen-tazione dei figli minori con l’altro genitore, a meno che ciò sia stato espressamente limitato dal giudice con provvedimento motivato. Salvo che non sia diversamente stabilito, le decisioni di maggiore interesse per i figli sono comunque adottate da entrambi i genitori. Il genitore cui i figli non sono affidati ha il diritto ed il dovere di vigilare sulla loro istruzione ed educa-zione e può ricorrere al giudice quando ritenga che siano state assunte decisioni pregiudizievoli al loro interesse.

3. Il giudice, nel caso di temporanea impossibilità di affidare il minore ai suoi genitori dispone l’affidamento familiare in altro nucleo familiare, anche d’ufficio, e per un tempo non superiore ai due anni, preferendo in ogni caso nuclei familiari di parenti o comunque, in mancanza di questi, di famiglie residenti nel medesimo territorio del minore. A tal fine co-pia del provvedimento di affidamento è trasmessa a cura del pubblico ministero al giudice tutelare. Deve in ogni caso esse-re garantito al minore alla bi-genitorialità disponendo tempi adeguati di frequentazione con ciascun genitore, salvo che ciò sia motivatamente ritenuto come assolutamente contra-rio all’interesse del minore. Deve altresì essere posta in essere ogni misura idonea e opportuna per il recupero della capacità genitoriale dei genitori del minore, favorendo il reinserimento immediato in famiglia non appena possibile.

ART. 13(Modifica all’art. 337-quinquies del codice civile)

L’articolo 337-quinquies del codice civile è sostituito dal se-guente:

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DOSSIER I diritti economici e personali nella crisi delle relazioni familiari

“Articolo 337-quinquies (Revisione delle disposizioni con-cernenti l’affidamento dei figli – conflittualità genitoriale – mediatore e coordinatore genitoriale)

1. I genitori hanno diritto di chiedere in ogni tempo la re-visione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli, la revisione dei piani genitoriali, il ricalcolo dei tempi di fre-quentazione con la prole e l’attribuzione dell’esercizio della responsabilità genitoriale su di essi e delle eventuali disposi-zioni relative alla misura e alla modalità del contributo.

2. Il giudice, nei casi di conflittualità tra le parti, invita nuo-vamente i genitori ad intraprendere un percorso di mediazio-ne familiare per la risoluzione condivisa delle controversie. Qualora le parti accettino, il giudice sospende il procedimen-to per non più di sei mesi e rimette le parti avanti il mediatore familiare, sorteggiandone il nome tra due scelti dalle parti in caso di disaccordo. Qualora la mediazione riesca, il giudice esamina il piano genitoriale redatto dalle parti con l’aiuto del mediatore e lo recepisce nel proprio provvedimento ove non ritenuto contrario al superiore interesse del minore.

3. In caso di rifiuto o di fallimento della mediazione il giu-dice, qualora la conflittualità persista, propone alle parti la nomina di un coordinatore genitoriale, con il compito di faci-litare le parti nel dialogo e nella relazione genitoriale, nell’in-teresse dei figli minori. Il mediatore può sentire le parti sepa-ratamente e congiuntamente. Le parti possono anche attribu-ire al coordinatore genitoriale il potere di assumere decisioni limitatamente a specifici ambiti e sostenerle nell’attuazione del piano genitoriale. Le eventuali modifiche al piano genito-riale concordate in coordinazione dovranno essere sottoposte al giudice per il tramite dei legali delle parti.

4. Gli oneri della coordinazione genitoriale sono ripartiti tra i genitori nella misura del 50%, salvo diverso accordo tra le parti.

5. Qualora le parti rifiutino di intraprendere la mediazione o la coordinazione genitoriale il giudice decide della questione applicando i principi di cui al comma 1 del presente articolo e di cui all’ultima parte del comma 2 dell’art. 337-ter.

ART. 14(Modifica all’art. 337-sexies del codice civile)

L’articolo 337-sexies del codice civile è sostituito dal seguente:“Articolo 337-sexies (Residenza presso la casa familiare e

prescrizioni in tema di residenza)1. Fermo il doppio domicilio dei minori presso ciascuno dei

genitori secondo quanto stabilito dal comma 5. dell’art. 337-ter, il giudice può stabilire nell’interesse dei figli minori che questi mantengano la residenza nella casa familiare, indican-do in caso di disaccordo quale dei due genitori potrà conti-nuare a risiedervi. Quest’ultimo è comunque tenuto a versare al proprietario dell’immobile un indennizzo pari al canone di locazione computato sulla base dei correnti prezzi di mercato.

2. Le questioni relative alla proprietà o alla locazione della casa familiare sono risolte in base alle norme vigenti in mate-ria di proprietà e comunione. Non può continuare a risedere nella casa familiare il genitore che non ne sia proprietario o titolare di specifico diritto di usufrutto, uso, abitazione, co-modato o locazione e che non abiti o cessi di abitare stabil-mente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio.

3. In presenza di figli minori, ciascuno dei genitori è ob-bligato a comunicare all’altro, almeno trenta giorni prima,

l’intenzione di cambiare la propria residenza o domicilio. La mancata comunicazione obbliga al risarcimento del danno eventualmente verificatosi a carico dell’altro genitore o dei figli per la difficoltà di reperire il soggetto.

4. In ogni caso il trasferimento del minore, il suo cambia-mento di residenza e la sua iscrizione ad un istituto scolastico sono sempre soggetti al preventivo consenso scritto di en-trambi i genitori, ovvero alla decisione del giudice tutelare in caso di mancato accordo. Qualsiasi trasferimento del minore non autorizzato in via preventiva da entrambi i genitori o dal giudice deve esser ritenuto contrario al suo superiore interes-se e privo di ogni efficacia giuridica. È compito delle autorità di pubblica sicurezza, su segnalazione di uno dei genitori, adoperarsi per ricondurre immediatamente il minore alla sua residenza qualora sia stato allontanato senza il consenso di entrambi i genitori o l’ordine del giudice.

ART. 15(Modifica all’art. 337-septies del codice civile)

L’articolo 337-septies del codice civile è sostituito dal se-guente:

“Articolo 337-septies (Disposizioni in favore dei figli mag-giorenni)

1. I genitori possono concordare con il figlio maggiorenne non ancora autosufficiente economicamente un piano geni-toriale con le forme di cui al comma 6 dell’art. 337-ter. Il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente e su loro richiesta il pagamento di un assegno periodico a carico di entrambi i genitori. Tale assegno, è versato da entrambi i genitori direttamente all’avente diritto, fermi per il figlio gli obblighi di cui all’art. 315-bis.

2. Ai figli maggiorenni portatori di disabilità grave si appli-cano integralmente le disposizioni previste in favore dei figli minori.

3. Fatto salvo quanto previsto al precedente comma, nei confronti dei figli maggiorenni cessa ogni obbligo di mante-nimento al compimento del venticinquesimo anno di età ov-vero qualora la mancanza di una loro occupazione o impiego lavorativo sia dipesa da negligenza o rifiuto ingiustificato di opportunità di lavoro offerte ovvero si dimostri la colpevole inerzia nel prorogare il proprio percorso di studi senza alcun effettivo rendimento.

ART. 16(Modifica all’art. 337-octies del codice civile)

L’articolo 337-octies del codice civile è sostituito dal seguente:“Articolo 337-octies Poteri del giudice e ascolto del minore1. Prima dell’emanazione, anche in via provvisoria, dei

provvedimenti di cui all’articolo 337-ter, il giudice può assu-mere, ad istanza di parte o d’ufficio, mezzi di prova. Il giudice dispone, inoltre, l’ascolto del figlio minore che abbia compiu-to gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discer-nimento. Nei procedimenti in cui si omologa o si prende atto di un accordo dei genitori, relativo alle condizioni di affida-mento dei figli, il giudice non procede all’ascolto se in con-trasto con l’interesse del minore o manifestamente superfluo.

2. L’ascolto del minore deve essere sempre svolto alla pre-senza del giudice e di un esperto da lui designato. L’ascolto deve essere videoregistrato. Le parti possono assistere in lo-

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109L’Osservatorio sul diritto di famiglia | gennaio-agosto 2018

I diritti economici e personali nella crisi delle relazioni familiari DOSSIER

cale separato collegato mediante video e possono presentare domande per mezzo del giudice. Sono vietate le domande manifestamente in grado di suscitare conflitti di lealtà da par-te del minore verso uno dei genitori”.

ART. 17(Modifica all’art. 342-bis del codice civile)

All’articolo 342-bis del codice civile (Ordini di protezione contro gli abusi familiari) dopo il comma 1, è aggiunto il se-guente:

“Quando in fase di separazione dei genitori o dopo essa la condotta di un genitore è causa di grave pregiudizio ai diritti relazionali del figlio minore e degli altri familiari, ostacolando il mantenimento di un rapporto equilibrato e continuativo con l’altro genitore e la conservazione rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale, il giudice, su istanza di parte, può adottare con decreto uno o più dei provvedimenti di cui agli artt. 342-ter e 342-quater. I provvedimenti di cui a quest’ultimo articolo possono essere applicati – nell’esclusivo interesse del minore – anche quando – pur in assenza di evidenti condotte di uno dei genitori – il figlio minore manifesti comunque rifiuto, alienazione o estra-niazione con riguardo ad uno di essi”.

ART. 18(Introduzione dell’art. 342-quater del codice civile)

Dopo l’articolo 342-ter è inserito il seguente:“Art. 342-quater1. Con il decreto di cui all’articolo 342-bis il giudice ordina

al genitore che ha tenuto la condotta pregiudizievole per il minore la cessazione della stessa condotta; può inoltre dispor-re con provvedimento d’urgenza la limitazione o sospensione della sua responsabilità genitoriale. Il giudice può applicare in tali casi anche di ufficio e inaudita altera parte uno dei provve-dimenti contenuti nell’art. 709-ter c.p.c.

2. Il Giudice, nei casi di cui all’art. 342-bis, può in ogni caso disporre l’inversione della residenza abituale del figlio minore presso l’altro genitore oppure limitare i tempi di permanen-za del minore presso il genitore inadempiente, ovvero il col-locamento provvisorio del minore presso apposita struttura specializzata previa redazione da parte dei Servizi Sociali o degli operatori della struttura di uno specifico programma per il pieno recupero della bigenitorialità del minore, non-ché dell’indicazione del responsabile dell’attuazione di tale programma. Con il medesimo decreto il giudice determina le modalità di attuazione. Ove sorgano difficoltà o contestazioni in ordine all’esecuzione, lo stesso giudice provvede con de-creto ad emanare i provvedimenti più opportuni per tutelare i diritti delle persone interessate, ivi compresi quelli di cui agli artt. 337-ter e 337-quater”.

ART. 19(Modifiche all’art. 151 del codice civile)

1. L’articolo 151 comma 2 del codice civile è abrogato.

ART. 20(Modifiche all’art. 6 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132)1. Dopo il comma 3 dell’art. 6 del decreto-legge 162/2014

convertito dalla legge 10 novembre 2014, n. 162, è aggiunto il seguente: “3-bis. Le parti e i rispettivi legali devono in ogni

caso applicare le disposizioni di cui agli artt. 337-ter e se-guenti del codice civile”.

ART. 21(Abrogazione dell’art. 570-bis CP)

1. L’articolo 570-bis del codice penale è abrogato.

ART. 22(Modifiche all’art. 4 della legge 1 dicembre 1970, n. 898)

L’art. 4 della legge 1° dicembre 1979 n. 898 è sostituito dal seguente:

“Articolo 4.1. I genitori di prole minorenne che vogliano presentare ri-

corso per lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio devono a pena di improcedibilità iniziare un percorso di mediazione familiare. I genitori debbono redige-re, eventualmente con l’aiuto del mediatore familiare e dei rispettivi legali, un piano genitoriale secondo quanto previsto dall’art. 337-ter del codice civile. In ogni caso il mediatore familiare deve rilasciare ai coniugi un’attestazione, sottoscritta dai coniugi medesimi, in cui dà atto che gli stessi hanno ten-tato la mediazione e del relativo esito”;

2. La domanda per ottenere lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio si propone al tribunale del luogo in cui il coniuge convenuto ha residenza o domicilio. Qualora il coniuge convenuto sia residente all’estero o risulti irreperibile, la domanda si propone al tribunale del luogo di residenza o di domicilio del ricorrente e, se anche questi è residente all’estero, a qualunque tribunale della Repubblica. La domanda congiunta può essere proposta al tribunale del luogo di residenza o di domicilio dell’uno o dell’altro coniuge.

3. La domanda si propone con ricorso, che deve contenere l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto sui quali la domanda di scioglimento del matrimonio o di cessazione de-gli effetti civili dello stesso è fondata. Qualora la coppia abbia figli minori, la domanda deve contenere a pena di inammis-sibilità una proposta di piano genitoriale redatto secondo i criteri di cui all’art. 337-ter del codice civile.

4. Del ricorso il cancelliere dà comunicazione all’ufficiale dello stato civile del luogo dove il matrimonio fu trascritto per l’annotazione in calce all’atto.

5. Il presidente del tribunale, nei cinque giorni successivi al deposito in cancelleria, fissa con decreto la data di com-parizione dei coniugi davanti a sé, che deve avvenire entro quaranta giorni dal deposito del ricorso, il termine per la no-tificazione del ricorso e del decreto ed il termine entro cui il coniuge convenuto può depositare memoria difensiva e do-cumenti. Il presidente nomina un curatore speciale quando il convenuto è malato di mente o legalmente incapace.

6. Al ricorso e alla prima memoria difensiva sono allegate le ultime tre dichiarazioni dei redditi rispettivamente presentate.

7. I coniugi devono comparire davanti al presidente del tri-bunale personalmente, salvo gravi e comprovati motivi, e con l’assistenza di un difensore. Se il ricorrente non si presenta o rinuncia, la domanda non ha effetto. Se non si presenta il coniuge convenuto, il presidente può fissare un nuovo giorno per la comparizione, ordinando che la notificazione del ricor-so e del decreto gli sia rinnovata. All’udienza di comparizione, il presidente deve sentire i coniugi prima separatamente poi congiuntamente, e tenta preliminarmente di conciliarli. Se i

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110 L’Osservatorio sul diritto di famiglia | gennaio-agosto 2018

DOSSIER I diritti economici e personali nella crisi delle relazioni familiari

coniugi si conciliano, il presidente fa redigere processo verba-le della conciliazione.

8. Se la conciliazione non riesce, il presidente informa le parti della possibilità di avvalersi della mediazione familiare. Nei procedimenti con figli minorenni il presidente verifica anche d’ufficio che le parti abbiano iniziato un percorso di mediazione familiare. In caso contrario rinvia il procedimen-to per un termine massimo di due mesi e ordina alle parti di rivolgersi ad un mediatore familiare. I genitori debbono redi-gere, eventualmente con l’aiuto del mediatore familiare e dei rispettivi legali, un piano genitoriale come previsto dall’art. 337-ter del codice civile. In ogni caso il mediatore familiare deve rilasciare ai coniugi un’attestazione, sottoscritta dai co-niugi medesimi, in cui dà atto che gli stessi hanno tentato la mediazione e del relativo esito.

9. Il presidente all’esito, sentiti i coniugi e i rispettivi di-fensori nonché disposto l’ascolto del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici nei casi e con le modalità di cui all’art. 337-octies del codice civile, esamina i rispettivi piani genitoriali e assume con ordinanza i provvedimenti tempora-nei e urgenti che reputa opportuni nell’interesse dei coniugi e della prole secondo quanto previsto dagli articoli 337-ter e seguenti del codice civile, accogliendo le rispettive proposte ove convergenti e non contrarie all’interesse della prole e mo-tivando le proprie decisioni ove ritenga di discostarsi dalle indicazioni dell’uno o dell’altro genitore in ordine al piano genitoriale. Se uno dei genitori non compare ovvero non presenta un proprio piano genitoriale, il presidente accoglie nell’ordinanza le proposte indicate dall’altro, ove congrue e non contrarie all’interesse della prole.

10. Con la medesima ordinanza il presidente, nomina il giu-dice istruttore e fissa l’udienza di comparizione e trattazione dinanzi a questo. Nello stesso modo il presidente provvede, se il coniuge convenuto non compare, sentito il ricorrente e il suo difensore. L’ordinanza del presidente può essere revocata o modificata dal giudice istruttore. Si applica l’articolo 189 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile.

11. Tra la data dell’ordinanza, ovvero tra la data entro cui la stessa deve essere notificata al convenuto non comparso, e quella dell’udienza di comparizione e trattazione devono intercorrere i termini di cui all’articolo 163-bis del codice di procedura civile ridotti a metà.

12. Con l’ordinanza di cui al comma 9, il presidente assegna altresì termine al ricorrente per il deposito in cancelleria di memoria integrativa, che deve avere il contenuto di cui all’ar-ticolo 163, terzo comma, numeri 2), 3), 4), 5) e 6), del codice di procedura civile e termine al convenuto per la costituzione in giudizio ai sensi degli articoli 166 e 167, primo e secondo comma, dello stesso codice nonché per la proposizione delle eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’uf-ficio. L’ordinanza deve contenere l’avvertimento al convenuto che la costituzione oltre il suddetto termine implica le deca-

denze di cui all’articolo 167 del codice di procedura civile e che oltre il termine stesso non potranno più essere proposte le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio.

13. All’udienza davanti al giudice istruttore si applicano le disposizioni di cui agli articoli 180 e 183, commi primo, se-condo, quarto, quinto, sesto e settimo, del codice di procedu-ra civile. Si applica altresì l’articolo 184 del medesimo codice.

14. Nel caso in cui il processo debba continuare per la de-terminazione dell’assegno, il tribunale emette sentenza non definitiva relativa allo scioglimento o alla cessazione degli ef-fetti civili del matrimonio. Avverso tale sentenza è ammesso solo appello immediato. Appena formatosi il giudicato, si ap-plica la previsione di cui all’articolo 10.

15. Quando vi sia stata la sentenza non definitiva, il tribu-nale, emettendo la sentenza che dispone l’obbligo della som-ministrazione dell’assegno, può disporre che tale obbligo pro-duca effetti fin dal momento della domanda.

16. Per la parte relativa ai provvedimenti di natura economi-ca la sentenza di primo grado è provvisoriamente esecutiva.

17. L’appello è deciso in camera di consiglio.18. La domanda congiunta dei coniugi di scioglimento o di

cessazione degli effetti civili del matrimonio, è proposta con ricorso al Presidente del Tribunale. I genitori di figli minori devono a pena di nullità indicare nel ricorso il piano geni-toriale concordato secondo quanto previsto dal comma 3 e dall’art. 337-ter del codice civile. Il presidente, ove riscontri che i coniugi non hanno svolto in precedenza il tentativo di conciliazione di cui al comma 7, tenta preliminarmente di conciliarli anche avvalendosi della collaborazione di esperti e di consulenti familiari. Se la conciliazione riesce il presidente fa redigere verbale di conciliazione. Se la conciliazione non riesce il presidente, sentiti i coniugi, verificata l’esistenza dei presupposti di legge e valutata la rispondenza delle condizio-ni all’interesse dei figli, rimette gli atti al collegio che provvede in camera di consiglio con sentenza. Qualora il tribunale rav-visi che le condizioni relative ai figli sono in contrasto con gli interessi degli stessi, si applica la procedura di cui ai commi 8 e 9”.

ART. 23(Disposizioni transitorie)

1. Le disposizioni di cui alla presente legge si applicano an-che ai procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore della medesima.

ART. 24(Clausola di invarianza finanziaria)

1. Dall’attuazione della presente legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

2. Le amministrazioni interessate svolgono le attività pre-viste dalla presente legge con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.

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I diritti economici e personali nella crisi delle relazioni familiari DOSSIER

1. Premessa

Il disegno di legge che viene proposto all’attenzione dei lettori è freschissimo, essendo stato presentato il 2 agosto 2018 al Senato, primo firmatario il Senatore Simone Pillon, preceduto – episodio devo dire unico nella storia della Repubblica – da una presentazione alle Associazioni specialistiche familiariste (erano presenti, oltre all’Osservatorio, Aiaf e CamMino), e alle maggiori associazioni dei mediatori familiari.

Con Aiaf, l’Osservatorio aveva preparato un documento che non ha consegnato al Senatore, per la complessità del disegno di legge, che necessita di una riflessione, tanto che a partire da settembre sarà organizzato una tavolo permanente di con-fronto tra le Associazioni in vista della probabile convocazio-ne in Commissione Giustizia, per un’audizione istituzionale.

Peraltro ONdiF aveva già avviato un gruppo di lavoro al suo interno presieduto dall’Avv. Silvia Manildo, membro dell’Ese-cutivo nazionale.

Per questa ragione ritengo di non esprimermi nel merito del disegno di legge perché voglio rispettare l’opinione che si forme-rà in sede interassociativa, come all’interno della nostra Associa-zione, e comunque necessito di un tempo lungo di riflessione.

Mi limito solo ad un’esposizione, pur sintetica, evidenzian-do i passi più salienti della riforma con alcune annotazioni finali, inserendo considerazioni di carattere strettamente tec-nico-legislativo e non di merito

2. La riforma del processo

Un’osservazione di carattere generale che poi è all’origine dell’annotazione finale, il disegno di legge non si occupa af-fatto e solo di affidamento e mantenimento, ma si occupa in maniera diffusa di processo.

a) I reclami. Viene modificato e novellato l’art. 178 c.p.c. che estende il reclamo, in sede di separazione e divorzio non solo alle ordinanze presidenziali, come già l’art. 708 c.p.c., ma an-che alle ordinanze del giudice istruttore (osservazione tecnica: quale rito segue il reclamo, quello camerale dell’art. 739 c.p.c. o quello cautelare dell’art. 669-terdecies c.p.c.? inoltre qual è il destino dei provvedimenti anticipatori, ormai ampiamente ammessi, pronunciati nei procedimenti di merito che seguo-no il rito camerale? Sono reclamabili, innanzi a quale giudice visto che sono resi collegialmente?).

b) I ricorsi. Con la modifica all’art. 706 e 4 della legge sul divorzio, si introduce un elemento di contenuto formale nel ricorso introduttivo (e nella memoria), a pena di nullità dell’atto – il che fa pensare, ai sensi dell’art. 164 c.p.c., la sua sanabilità con rinnovazione –, costituito dal c.d. piano geni-toriale, meglio definito nell’art. 337-ter c.c.: “in ordine a: 1) luoghi abitualmente frequentati dai figli; 2) scuola e percorso educativo del minore; 3) eventuali attività extrascolastiche, sportive, culturali e formative; 4) frequentazioni parentali e amicali del minore; 5) vacanze normalmente godute dal mi-nore”, nonché alla contribuzione economica per il manteni-mento del figlio. Osservazione tecnica: nel ricorso per separa-zione il disegno di legge riferisce (correttamente) che si tratta di un’ipotesi di nullità, ma nel ricorso per divorzio, all’art. 4, 3° comma novellato, la sanzione è ben diversa: quella della inammissibilità, che, se concetto processuale consapevole, deve intendersi come vizio insanabile che conduce diritto ad una sentenza processuale di chiusura del procedimento. For-se le norme devono essere coordinate.

c) La mediazione familiare obbligatoria. Si introduce una nuo-va condizione di procedibilità (e non di ammissibilità) che conduce in difetto ad un rinvio di due mesi dell’udienza presidenziale (art. 708 c.p.c. novellato) con invito alle parti di provvedervi, costituito da un tentativo di mediazione fa-miliare (che si inserisce tuttavia in una disciplina completa della mediazione familiare in altra parte del progetto, come professione regolata da una legge speciale, da appositi albi organizzati e a cui possono accedere anche gli avvocati, molti dei quali sono anche mediatori). Osservazione tecnica: il le-gislatore ancora non chiarisce le conseguenze del mancato espletamento della mediazione familiare nonostante l’invito del giudice, peraltro questa lacuna è presente pure nelle di-scipline dedicate alla mediazione civile e alla negoziazione assistita, nei casi di obbligatorietà. Il processo prosegue? Il processo viene dichiarato estinto senza una misura? (si badi bene un processo che ha ad oggetto diritti indisponibili in capo al minore necessitanti anche d’ufficio di misure urgenti).

d) La separazione consensuale, come anche il divorzio congiun-to devono contenere nel ricorso il piano genitoriale concorda-to, ancora a pena di nullità, ed essere preceduti da un tentati-vo di (ri-)conciliazione da parte del presidente. Naturalmente

IL DISEGNO DI LEGGE PILLON N. 735 “NORME IN MATERIA DI AFFIDO CONDIVISO, MANTENIMENTO DIRETTO E GARANZIA DI BIGENITORIALITÀ”

Breve nota esplicativaCLAUDIO CECCHELLAPresidente di ONDiF

Sommario: 1. Premessa. - 2. La riforma del processo. - 3. La riforma dell’affidamento, del contributo di mantenimento del figlio dell’assegnazione della casa coniugale. - 4. La regolamentazione per legge della professione di mediatore familiare. - 5. La forte interferenza del disegno di legge con gli aspetti processuali.

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112 L’Osservatorio sul diritto di famiglia | gennaio-agosto 2018

DOSSIER I diritti economici e personali nella crisi delle relazioni familiari

resta la norma che consente al tribunale di valutare il piano nella prospettiva dell’interesse del minore (sopravvissuto art 158 del codice civile ed espressa previsione nell’art 4 novel-lato). Osservazione tecnica: in quest’ultima disposizione (l’art. 4) il vaglio della coerenza con l’interesse del minore sembra fatta dal Presidente, superata la quale egli rimette al collegio per la sentenza (il che è da pensare non esclude certamente un ulteriore vaglio del collegio; forse la norma lascia spazio al Presidente per chiedere una modifica delle conclusioni con-giunte ed evitare di giungere al collegio costringendo l’organo a convertire il rito da consensuale a contenzioso, ai sensi dei commi 8 e 9 della stessa disposizione); non si chiarisce la ne-cessità del difensore tecnico, sia nella formulazione dedicata alla separazione e sia nella formulazione dedicata al divorzio.

e) Alcune modifiche minori dedicate al processo divorzile: la coe-renza con le regole sulla competenza dopo la declaratoria di incostituzionalità (sentenza n. 169 del 2008) del testo dovuto alla legge n. 80 del 2005 (“ultima residenza dei coniugi” cui non fa più riferimento la norma; la riduzione dei termini per la fissazione della udienza di comparizione (quaranta giorni, anziché novanta), a cui si allinea anche il ricorso per separa-zione; la non necessità di motivazione dell’ordinanza presi-denziale che aderisce al piano genitoriale comune.

f) L’ascolto. È obbligatorio in sede di udienza presidenziale e ogni qual volta si dispongano misure di carattere personale che riguardano il minore e condotto dal giudice ma – la novella usa la congiunzione “e” – quindi sempre coadiuvato da un esperto. La esclusione degli avvocati dall’ascolto è tassativa (mentre at-tualmente può essere autorizzata; tuttavia l’art. 336-bis c.c. non viene abrogato, ponendosi un problema di coordinamento); i difensori e le parti possono assistere solo in locale separa-to e porre domande purché non “manifestamente in grado di suscitare conflitti di lealtà da parte del minore verso uno dei genitori” (la terminologia necessita forse di un miglioramento tecnico lessicale, si vorrà intendere evitare domande suggestive che possano influenzare psicologicamente il minore). La norma ha il pregio almeno di imporre l’utilizzo di sistemi audiovisivi, presenti in molti tribunali, ma usati solo in sede penale.

L’obbligo sembra subire un’attenuazione quando i genito-ri raggiungono l’accordo e il giudice deve solo omologarlo e prenderne atto.

Osservazione tecnica: sembra molto avvilita la tutela del di-ritto del minore in caso di conflitto con i genitori, poiché l’accordo non è elemento sufficiente, potendo esserci latente un conflitto di interesse con entrambi i genitori: tutto resta troppo relegato alla sensibilità del giudice.

g) Viene abrogato l’art. 152, 2° comma c.c. sulla domanda di addebito. Osservazione tecnica: l’abrogazione non mi pare faccia venire meno la possibilità di una domanda di danni provocati dagli inadempimenti ai doveri coniugali o verso il figlio, la-sciando impregiudicato il grave problema, oggetto di dibatti-to insoluto, sulla proponibilità incidentale della domanda in sede di separazione e divorzio e necessita di un coordinamento con altre norme, come l’art. 156, 1° comma, c.c. che esclude il contributo di mantenimento in caso di addebito (la norma sopravvive?), il rischio è che la sopravvivenza di quest’ultima norma apra la strada ad una domanda di addebito autonoma

ed esercitabile in qualsiasi momento, proprio ciò che forse si vuole evitare (e la giurisprudenza sino ad oggi ha evitato).

h) In sede di controversie nascenti dall’attuazione dei provve-dimenti personali, si interviene anche sull’art. 709-ter c.p.c.

Le gravi inadempienze che possono essere all’origine di una modifica dei provvedimenti di merito sono descritte più par-ticolarmente: oltre appunto alle “gravi inadempienze”, anche le “manipolazioni psichiche” l’“astensione ingiustificata dei compiti di cura di un genitore”, le “accuse di abusi e vio-lenze fisiche e psicologiche evidentemente false e infondate mosse contro uno dei genitori”. La misura di modifica può espressamente giungere alla “decadenza della responsabilità genitoriale” sino alle “necessarie misure di ripristino, restitu-zione o compensazione”. Osservazione tecnica: appare poco comprensivo il riferimento a misure restitutorie, ripristinato-rie e compensative, trattandosi di profili esclusivamente per-sonali. Congiuntamente a tali misure il provvedimento può condannare il genitore inadempiente al risarcimento del dan-no causato al minore o all’altro genitore, sino ad una sanzione amministrativa pecuniaria. Osservazione tecnica: la sottolinea-tura di risarcimento del danno sembra escludere l’annovero delle misure nell’ambito delle misure coercitive su basi ogget-tive, sulla cui natura si era invero allineata la giurisprudenza espressami sulla norma vigente (proprio in direzione contra-ria alla ratio della norma che sembra essere per i casi di viola-zione del diritto del genitore alla genitorialità molto più seve-ra che il recente passato). Il carattere coercitivo resta relegato alla sanzione amministrativa il cui massimo (6.000,00 euro, la norma oggi riferisce un massimo di 5.000,00 euro) non pare in molti casi essere deterrente sufficiente. La attenuazio-ne delle misure coercitive in sede di diritti personali violati, si accompagna ad identico orientamento in relazione ai diritti economici, essendo abrogato l’art. 570-bis c.c. di recente co-nio. Osservazione tecnica: le misure personali ed economiche per il loro carattere latu sensu infungibile non possono non godere di un adeguato apparato di misure coercitive, come attualmente godono, ed essere relegate esclusivamente alle forme dell’esecuzione del libro III del codice di rito.

i) Gli ordini di protezione, non soccorrono più al solo caso della violenza domestica ma, attraverso la introduzione di un nuo-vo comma dell’art. 342-bis c.c., anche alla “condotta di un genitore […] causa di grave pregiudizio ai diritti relazionali del figlio minore e degli altri familiari, ostacolando il mante-nimento di un rapporto equilibrato e continuativo con l’altro genitore e la conservazione di rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale”. Sino ad intervenire – ma qui l’osservazione tecnica è necessaria –, in quale misura non si intende, anche per il caso che “il figlio minore manifesti comunque rifiuto, alienazione o estraniazio-ne con riguardo ad uno di essi”: chi deve essere allontanato, il genitore rifiutato?

Il nuovo art. 342-bis (che avrebbe forse dovuto trasmigrare per il suo contenuto piuttosto nel codice di rito, dopo l’art. 736-bis c.p.c.), consente anche le misure della sospensione o revoca della responsabilità genitoriale e dei provvedimenti contenuti nell’art. 709-ter “anche di ufficio e inaudita altera parte” (l’espressione così forte offre tanta farina al sacco del-la tesi sul carattere coercitivo e non risarcitorio delle misure

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dell’art. 709-ter c.p.c., anche se l’immediatezza della misura senza il contraddittorio dovrà comunque condurre ad un’u-dienza di convalida a contraddittorio perfezionato, altrimenti la disposizione si scontra con gli artt. 24 e 111 Cost.). Ugual-mente, appaiono nuove le misure della inversione della resi-denza abituale del minore o dei limiti alla permanenza presso il genitore inadempiente o infine del collocamento provviso-rio del minore in apposita struttura.

l) Il piano genitoriale è contenuto necessario anche degli ac-cordi di negoziazione assistita, come anche le misure personali dettate dagli artt. 337-ter c.c. e ss.

m) Le disposizioni transitorie, che rendono possibile l’imme-diata applicazione del nuovo regime, pongono non tanto problemi di diritto sostanziale, quanto di diritto processuale, tenuto conto della deroga al principio tempus regit actum e delle numerose novità: che ne è delle domande di addebito introdotte? che ne è delle ordinanze del g.i. per le quali sono decorsi i termini del reclamo secondo il nuovo regime? I ri-corsi introduttivi sono nulli perché non contengono il piano genitoriale, ancorché depositati prima della riforma? L’obbligo di mediazione familiare deve essere esaudito qualunque sia la fase in cui si trova il processo, anche in appello? Che efficacia hanno gli ascolti raccolti con la partecipazione degli avvoca-ti? Lo ius superveniens potrà indurre all’immediata revoca dei provvedimenti provvisori (probabilmente non del giudicato, poiché in tal caso il processo non è più pendente).

Insomma, un regime transitorio che pone più problemi piuttosto che risolverli.

n) Si prevede il diritto degli ascendenti ad un intervento volon-tario ex art. 105 c.p.c. nel giudizio (art. 337-ter c.c.), benché la loro tutela sia affidata in via principale ad un rito camerale, ma poi nella disposizione sui figli maggiorenni, art. 337-sep-ties c.c., si dimentica il problema processuale dell’intervento del figlio maggiorenne, nella controversia di separazione e divorzio (per buona sorte risolto dalla giurisprudenza preva-lente in termini, ancora, di intervento volontario).

o) Infine, nei giudizi di revoca e modifica dei provvedimenti sui profili personali, sempre possibili a prescindere da fatti soprav-venuti, all’art. 337-quinquies c.c., questa volta condizionata alla volontà di entrambe le parti, è consentita la facoltà del giudice di suggerire la via della mediazione familiare oppu-re quella della scelta di un coordinatore genitoriale, punto di riferimento continuativo per i genitori nei rapporti con i propri figli. Quest’ultima figura, al cui ruolo possono ambire anche gli avvocati (art. 5), non coincide necessariamente con un mediatore familiare ed è del tutto nuova, auspicata dalla scienza psicologica, la cui opportunità è nella scelta assoluta-mente condivisa dei genitori. Si tratta di una frontiera tutta nuova da sperimentare, sulla quale l’Osservatorio si era già aperto, con un saggio pubblicato sul n. 3/16 della Rivista.

3. La riforma dell’affidamento, del contributo di mante-nimento del figlio dell’assegnazione della casa coniugale

Naturalmente in coerenza al titolo, il disegno di legge si oc-cupa di alcuni istituti di diritto sostanziale che regolano la responsabilità genitoriale.

L’affidamento e il collocamento vengono riformati rispetto all’intervento della legge n. 54 del 2016, seguito dalle norma-tive sulla filiazione del 2012 e 2013, sancendo un principio di bi-genitorialità pieno e rigido, nel primo comma dell’art. 337-ter c.p.c., intenso come diritto di trascorrere con ciascu-no dei genitori tempi paritetici e equipollenti, salvo i casi di “impossibilità materiale”, in ragione “della metà del proprio tempo, compresi i pernottamenti, con ciascuno dei genitori”.

E da ritenere che l’impossibilità materiale dipenda da ra-gione logistiche, ovvero non avere uno dei genitori un luogo idoneo per ospitare per il periodo il proprio figlio e non da altre ragioni (tra di esse il “nomadismo” del minore oppure la perdita di un luogo di riferimento per l’educazione e la crescita, sulla quale la scienza psicologica ha speso fiumi di inchiostro).

Ciò rende la norma applicabile ai genitori con reddito alto e quindi patrimonio che consente idonee separate abitazioni personali e non ai genitori con redditi basso o peggio anco-ra privi di patrimonio, ai quali normalmente la separazione conduce a significative difficoltà economiche per reperire un alloggio alternativo, anche solo per sé stessi.

Forse per tale ragione il legislatore, al secondo comma, sem-bra rettificare l’espressione generale con cui si apre lo stesso comma (“tempi paritetici”), prevendendo (evidentemente per il genitore non collocatario) almeno 12 giorni al mese da tra-scorrere con il figlio.

La deroga ulteriore è tuttavia il “comprovato e motivato pe-ricolo di pregiudizio per la salute psico-fisica del figlio minore in caso di 1) violenza, 2) abuso sessuale; 3) trascuratezza; 4) indisponibilità di un genitore; 5) inadeguatezza degli spazi predisposti per la vita del minore”.

La norma dunque è nella direzione di un più limitato potere discrezionale del giudicante, essendo rese in maniera molto oggettiva e precisa le ipotesi che escludono i tempi rigorosa-mente paritetici.

Inoltre il criterio adottato dal legislatore può sempre essere derogato da un diverso accordo tra i coniugi, fatto comunque salvo (si deve pensare comunque soggetto ad un vaglio di rispondenza con l’interesse del minore da parte del giudice, rimanendo comunque inesitato il profilo del conflitto di inte-ressi che imporrebbe comunque una rappresentanza proces-suale del minore).

I periodi paritetici assicurati come criterio preferenziale salvo la graduazione delle deroghe di cui si è detto, prelu-de, negli ultimi commi novellati dell’art. 337-ter c.c. al c.d. contributo “diretto”: al mantenimento, senza erogazione di un assegno, che se anche previsto (si deve pensare nei casi di de-roga ai periodi paritetici), deve essere sempre temporaneo (il giudice ne fissa infatti un termine) e comunque condurre ad ogni iniziativa opportuna tra le parti per il suo superamento.

Quanto al figlio maggiorenne (art. 337-septies c.c.), è ribadi-ta l’azione diretta a tutela del proprio mantenimento (ancora nel silenzio della legge nelle forme ordinarie di un processo di cognizione), con cessazione al compimento del venticin-quesimo anno di ogni obbligo di contribuzione (norma assai discutibile sul piano della costituzionalità) oppure nel caso, questo certamente condivisibile, com’è insegnamento del giu-dice di legittimità, del figlio “bamboccione” che rifiuta occa-sioni di lavoro o ritarda ingiustificatamente l’esaurimento del ciclo di studi.

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È questa evidentemente la parte che sarà più discussa sul piano del merito.

L’affidamento condiviso è la formula ovviamente ancora pre-valente, potendo essere relegato quello esclusivo solo ad ipo-tesi estreme, senza che sia negato al genitore non affidatario il diritto di avere rapporti significativi con il proprio figlio e di condividere le decisioni di maggiore interesse per il figlio, di vigilare sul comportamento del genitore affidatario e di ricor-rere al giudice se necessario.

Nell’ipotesi che l’affidamento non possa essere disposto ad alcuno dei genitori, è privilegiato l’affidamento familiare in altro nucleo familiare (e non in casa famiglia), preferibilmente parentale o di famiglia nel luogo di residenza del minore, sen-za che sia negato il diritto dei genitori a rapporti significativi con il minore e sia favorito un recupero della capacità genito-riale dei genitori naturali.

La riforma dell’assegnazione della casa familiare è destinata a suscitare numerose perplessità nel merito (sulle quali non mi pronuncio), ma anche sul piano tecnico.

Pure nel caso la periodizzazione paritetica del collocamento si sancisce la doppia residenza del minore, ciò che esclude l’assegnazione della casa coniugale.

Resta la facoltà del giudice di provvedervi nel superiore inte-resse del minore, ma in tal caso il genitore che risiederà nella casa familiare non è quello che assicuri una maggiore con-tinuità assistenziale ed educativa (sempre nell’interesse del minore), ma solo quello che abbia un diritto di proprietà o reale minore o personale di godimento sull’immobile oppure quello che comunque potrà versare all’altro, titolare dei diritti menzionati, un indennizzo pari al canone di mercato (ma non si intende per quanto tempo possa risiedervi, perché la norma sembra privilegiare la permanenza nella casa familiare dell’al-tro, titolare del diritto dominicale o personale).

Insomma la madre priva di reddito o di un patrimonio, per scelta di continuità anche educativa dei figli, magari condivisa dal marito prima della crisi, non potrà risiedere nell’abitazio-ne familiare di proprietà del marito o sulla quale questi abbia un diritto dominicale o personale.

Una soluzione retta da criteri diversi dall’interesse del mino-re, quanto alla scelta del genitore coabitante, desta forti dubbi di costituzionalità.

Invece certamente auspicabili le norme, 3° e 4° comma dell’art. 336-sexies c.c., sull’obbligo di comunicazione del cambio di residenza di un genitore all’altro e sulla necessità di un consenso di entrambi, per il caso che uno dei genitori voglia trasferire il minore in altro luogo o iscriverlo in una diversa scuola (con la sanzione, in caso di violazione, di un recupero manu militari del minore trasferito da parte dell’au-torità di pubblica sicurezza, deve intendersi senza ordine del giudice?).

4. La regolamentazione per legge della professione di mediatore familiare

Gli artt. da 1 a 4, regolamentano finalmente ex lege la pro-fessione del mediatore familiare, a cui possono avere accesso anche gli avvocati, dando un crisma di professionalità attra-verso l’iscrizione all’albo nazionale e le verifiche necessarie e fissando regole allo svolgimento dell’attività di mediazione, che si giustificano particolarmente alla luce del vincolo di me-diazione in limine litis imposta in tutte le controversie in cui sono coinvolti diritti personali ed economici dei minori.

5. La forte interferenza del disegno di legge con gli aspetti processuali

Si è evidenziato ed esposto l’intervento i più luoghi del pro-getto sul processo.

L’intento è certamente lodevole, ma non può essere avulso da una visione sistematica e razionale imposto da una riforma generale del processo minorile e famigliare, con superamen-to dei riparti di competenze e della diversità di riti del tutto irrazionale, che restato sullo sfondo dell’intento riformatore.

Sul piano tecnico l’auspicio è che il disegno osi di più sul piano processuale, essendo a parere dello scrivente auspicabi-le che la riforma generale del processo familiare sia del tutto avulsa dalla riforma del processo civile comune (alle cui sor-ti non può essere trascinata come nello scorcio della scorsa legislatura), per la sua evidente diversità, e che possa avere luogo proprio nel contesto di un progetto che tocca alcuni fondamentali istituti di diritto sostanziale.

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L’Autorità garante dell’infanzia ha convocato OnDiF ad un’au-dizione sul tema dei diritti del minore, il 20 luglio 2018; han-no partecipato all’incontro, oltre al Presidente di ONDiF, l’Avv. Emanuela Comand e l’Avv. Michela Labriola, si pubblica il do-cumento consegnato all’Autorità, qualche giorno prima, redatto dall’Avv. Emanuela Comand e dal Prof. Avv. Claudio Cecchella.

Ill.maDott. Filomena AlbanoAutorità garanteper l’infanzia e l’adolescenzaRoma, sede

Faccio seguito, nella mia qualità di Presidente dell’Osserva-torio Nazionale sul diritto di Famiglia, al cortese invito per un’audizione sul tema delicato dei diritti del minore nella crisi familiare, a cui volentieri aderisco.

Le rimetto in calce una breve e sintetica riposta, redatta con la collaborazione dell’Avv. Emanuela Comand, ai temi che ha rite-nuto di sottoporre alla mia Associazione, pur precisandole che è in corso nella nostra Associazione un dibattito sul tema, an-che alla luce di preannunciate riforme, al termine solo del quale potrà emergere definitivamente l’opinione dell’Osservatorio.

Nel contempo mi permetto di evidenziare, non rivenendo questo profilo nei quesiti che ha ritenuto di sottoporci, come il tema della tutela giurisdizionale dei diritti in caso di conflitto, quando la rappresentanza dei genitori entra in crisi nel proce-dimento che ha ad oggetto (anche o solo) i diritti del minore, alla luce proprio delle Convenzioni di New York e di Gine-vra, entrambe ratificate dall’Italia, nonché delle leggi speciali in materia di adozione e di responsabilità genitoriale, che ha novellato l’art. 336 c.c., renda necessario la soluzione di uno dei nodi più delicati che è quello della rappresentanza, non solo sul piano sostanziale (con il curatore speciale), ma anche e soprattutto sul piano processuale (con un difensore tecnico) del minore, come accade in numerosi altri ordinamenti.

Il minore è anche parte formale dei procedimenti che lo riguardano, normalmente è rappresentato dal genitore e dal suo difensore, con il limite tuttavia del conflitto di interessi.

Mi permetterò quindi di soffermarmi anche su questo de-licato tema, ricco di implicazioni sul piano delle garanzie e della tutela dei diritti e probabilmente necessitante di un in-tervento legislativo.

1a DOMANDACosa si intende per bi-genitorialità e come si declina nell’interesse della persona di minore età?Il concetto di bi-genitorialità rappresenta il punto di arrivo di un processo di trasformazione dei rapporti genitori-figli, che corrisponde ad una precisa evoluzione della normativa in materia.

Grazie alla Convenzione di N.Y. che ha trovato una sicura sponda nella legge n. 154/2013, preceduta dalla legge n. 54

del 2006, il rapporto genitori-figli si è totalmente trasformato e da un concetto patrio-centrico della famiglia e della genito-rialità, si è passati ad un concetto paido-centrico, mettendo al centro della complessa rete di rapporti, diritti e doveri fa-miliari, il fanciullo, ogni fanciullo (usando il linguaggio con-venzionale).

Ciò significa che tutti i minori, matrimoniali e non, sono i protagonisti del rapporto affettivo ed educativo.

Il termine bigenitorialità rappresenta tuttavia la codificazio-ne dottrinale e giurisprudenziale di un concetto che estrapo-liamo dall’art. 337-ter c.c., che identifica come essenziali per l’interesse morale materiale del minore, tre elementi:

– il mantenimento di un rapporto equilibrato e continuati-vo con ciascun genitore;

– il diritto di ricevere cura, educazione, istruzione e assi-stenza morale da entrambi i genitori;

– il diritto di mantenere rapporti significativi con gli ascen-denti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale.

Tali elementi dovrebbero concorrere assieme al soddisfaci-mento del benessere del minore.

Lo strumento individuato dalla giurisprudenza, in linea con la legge, come più aderente a tali esigenze è sicuramente l’affidamento condiviso, da intendersi quale mezzo di con-servazione di quella unità familiare che si è disgregata, con riferimento al rapporto matrimoniale, deve continuare sotto il profilo della condivisione della genitorialità, scevra, se pos-sibile, da conflitti.

In realtà il perseguimento della bi-genitorialità si è dimo-strato molto più complesso rispetto alle auspicabili iniziali interpretazioni e applicazioni.

La ricerca applicativa della stabile convivenza con uno o en-trambi i genitori, si è via via trasformata in un’applicazione alle volte viziata da una notevole dose di automatismo, tra affidamento condiviso (credendosi con ciò di aver rispettato il principio di bi-genitorialità) e la collocazione prevalente pres-so l’uno o l’altro genitore (anche in questo caso tale termine non ha trovato ingresso nell’art. 337-ter c.c. ed è stato frutto di interpretazione giurisprudenziale).

Ciò che va evidenziato è:1. la bi-genitorialità è un diritto del minore e non un diritto

dei genitori;2. la bi-genitorialità non corrisponde automaticamente al

regime di affidamento condiviso, ma abbraccia un con-cetto più ampio che vede nel mantenimento dei rapporti con entrambi i genitori la sua massima espressione;

3. la continuità dei rapporti tra genitori e figli non corri-sponde necessariamente ad una loro paritetica colloca-zione, ma deve essere valutata caso per caso con spe-cifico riferimento alla residenza dei genitori, alla loro prossimità, alle incombenze dei figli, alla loro età, ai loro desideri ed alle loro esigenze;

4. nessun automatismo può giustificare un regime prede-terminato dal punto di vista legislativo, ma ogni caso

RISPOSTA DI ONDIF CONSEGNATA ALL’AUTORITÀ GARANTE PER L’INFANZIA, ROMA 20 LUGLIO 2018EMANUELA COMAND E CLAUDIO CECCHELLA

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deve corrispondere all’accordo dei genitori o ad un prov-vedimento giudiziario che ponga al centro l’interesse del minore.

2a DOMANDAQuali sono i comportamenti auspicabili che i genitori de-vono tenere nella separazione e quali quelli negativi (spe-cificare tre degli uni e tre degli altri)?I genitori devono anteporre la loro genitorialità alla loro con-flittualità.

Poiché i sentimenti di dolore, frustrazione, rancore, ecc., sono spesso collegati alla crisi ed alla fine del rapporto coniu-gale o di convivenza, qualora siano consapevoli di non essere in grado di superare tale condizione, dovrebbero accettare un supporto quali la mediazione familiare e/o il sostegno tera-peutico (psicologi, psicoterapeuti, neuropsichiatri, ecc.).

Tuttavia la mediazione, essendo un percorso basato sulla vo-lontarietà dei soggetti, non può essere coattiva, ma deve esse-re frutto di un profondo mutamento culturale che sostituisca al concetto di fallimento, quello di crisi, da intendersi quale fase di cambiamento.

Ciò in generale.Per quanto attiene ai singoli COMPORTAMENTI POSITIVI:A) COMUNICAZIONE: comunicare ai figli insieme tutte le

decisioni che si sono assunte e che li riguardano, con particolare riferimento alla volontà di separarsi, valoriz-zando il mantenimento del legame genitori-figli, al di là e a prescindere dal mantenimento del rapporto tra i due genitori.

B) COMPORTAMENTO: disponibilità, tolleranza, elasticità.Qualunque processo separativo comporta una notevole ca-

rica di dolore, stress, frustrazione.I genitori devono, compatibilmente con le loro possibilità

e senza pretese di assurdi comportamenti compiacenti, mantenere nei confronti dei figli un atteggiamento di apertura verso le loro esigenze.

C) LINGUAGGIO: ci esprimiamo con le parole quindi la parola assume un’importanza essenziale nei confronti dei figli che attraversano un periodo di crisi separativa.

Evitare in tutti i modi possibili critiche, aggressioni, ingiurie nei confronti dell’altro genitore e nel contempo mantenere un atteggiamento coerente, evitando inutili menzogne, quando il rapporto è definitivamente compromesso.

I figli hanno più buon senso degli adulti e dobbiamo metter-li nella condizione di elaborare il loro lutto.

Ciò non significa adottare un linguaggio crudo, ma esporre la situazione, tenendo conto dell’età dei figli, affinché com-prendano ciò che sta realmente accadendo.

COMPORTAMENTI NEGATIVIA) COMUNICAZIONE: ai figli non va comunicata brutal-

mente la ragione per cui due genitori si separano ed an-che se la colpa appartiene apparentemente ad uno solo, i doveri che assumiamo con la nascita di un figlio devono darci la forza di mantenere nei loro confronti quella luci-dità che ci permette di non aggredire verbalmente l’altro coniuge, anche se ha ragione oppure di incolparlo in via esclusiva della crisi. Ciò senza mai dimenticare che i fi-gli tendono ad assumersi la colpa del fallimento dei loro genitori. Frasi del tipo: “Tuo padre, tua madre, ci hanno abbandonato per quello, per quella, ragione, ecc.” tendo-

no ad essere rielaborati dai figli come espressione di una loro colpa.

B) COMPORTAMENTO: mantenere ove possibile la quo-tidianità, anche se si possono verificare cambiamenti; mantenere per quanto possibile inizialmente anche la stabilità abitativa, tenendo tuttavia presente che la dif-ferenza è determinata dalle abitudini di ogni famiglia, dall’età del figlio, dal numero dei figli. Evitare una con-vivenza immediata con il nuovo o la nuova partner e comunque interromperla, dando una priorità al figlio, in caso di palese rifiuto. Il tempo cura le ferite, ma va rispettato il ruolo prevalente dell’altro genitore, evitando qualunque confusione o sostituzione.

Specialmente di fronte a figli molto piccoli.C) LINGUAGGIO: evitare critiche, accuse all’altro genitore,

utilizzando linguaggi violenti e scurrili.

3a DOMANDAQuali sono le esigenze delle persone di minore età che emergono nella separazione?ANNI 0-5Senza trascurare le difficoltà individuali dei figli, la prima in-fanzia presenza problematiche più materiali che psichiche.

Da valutare e valorizzare la figura del genitore non conviven-te, tenendo presente che vanno rispettate le esigenze del neo-nato, ma nel contempo, senza spezzare il legame con la madre, mantenere in tutti i modi il legame con la figura del padre.

Valutare il fatto, non secondario, che se apparentemente la separazione nei primi anni di vita viene assorbita con moda-lità più semplici da parte dei figli, nell’adolescenza possono sorgere problematiche legate all’assenza della figura materna o paterna.

ANNI 6-10Età scolare. In questo periodo è possibile aumentare decisa-mente la frequentazione tra figli e genitore non collocatario prevalente, tenendo presente che il figlio comincia a non considerare la famiglia come l’unico centro di interesse e di affetti e che pertanto la funzione dei genitori, pur rispettosa dei rispettivi ruoli, deve essere particolarmente elastica ed im-prontata alla disponibilità.

Fondamentale la partecipazione attiva ed effettiva dei geni-tori a tutte le attività dei figli.

ANNI 11-13Preadolescenza. Massima attenzione ai desideri, esigenze dei figli.

Si tratta di un periodo delicatissimo in cui si verificano le prime critiche, le contestazioni alle scelte dei genitori.

Massima collaborazione tra i genitori.Necessità di un ascolto del minore nel processo, prima di

assumere determinazioni che lo riguardano.

ANNI 14-18È fatto notorio che uno dei periodi peggiori per affrontare una separazione sia quello dell’adolescenza.

In questo periodo il figlio ha comunemente un atteggiamen-to provocatorio nei confronti dei genitori.

Ne discende che i genitori dovranno cercare di creare un fronte comune sia verbale che comportamentale, evitando di

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dare la possibilità ai figli di sfruttare le loro divergenze per crearsi spazi di libertà incontrollati.

4a DOMANDAQuando e come pensate che il figlio minorenne possa e debba partecipare alla riorganizzazione familiare?L’età è un elemento fondamentale ed il bambino piccolo non deve in alcun modo essere responsabilizzato per adattarsi a nuovi regimi di vita, che non siano adeguati alle sue esigenze.

Diverso se il discorso si sposta verso la preadolescenza e l’adolescenza.

I figli non sono nostri amici e la loro sicurezza dipende da un dialogo sempre aperto, mai condizionato dal timore di perdere il loro affetto.

Di fronte ad una decisione comune, anche se frutto di com-promesso, daremo al figlio la giusta e corretta indicazione che al di là della fine dei rapporti legati al legame coniugale, il rap-porto tra genitori è sempre mantenuto sul piano del rispetto e della convivenza civile.

In quest’ottica il figlio minorenne (ma con tutti i correttivi relativi alle varie fasce di età) può partecipare alla riorganiz-zazione familiare, solo nel senso di essere un componente consapevole delle decisioni dei genitori, ma mai responsabile direttamente di queste.

5a DOMANDAQuale peso dare al desiderio del figlio minore nella fase separativa?Sia la Convenzione di N.Y. (art. 12) sia la Convenzione di Strasburgo (art. 6) – i cui principi sono stati trasfusi nell’art. 337-octies c.c. – impongono al Giudice di ascoltare e tenere conto dei desideri del figlio ultradodicenne; anche più picco-lo se capace di discernimento.

Ciò significa che gli dovrà essere data la possibilità di essere informato sulle ragioni che stanno alla base delle decisioni che lo riguardano e di esprimersi.

Al di là del precetto normativo (allo stato adeguatamente di-sciplinato dall’art. 337-octies c.c.) l’ascolto va al di là dell’idea “dei desideri del minore”.

L’ascolto è nel contempo mezzo e strumento per compren-dere le esigenze del minore, esigenze che devono essere valu-tate anche a prescindere dai suoi desideri contingenti.

Con l’ovvia conseguenza che maggiore sarà l’età del figlio, maggiore dovrà essere la considerazione che genitori e giudici dovranno avere nei suoi confronti.

Resta comunque la necessità di una valutazione discreziona-le del Giudice all’esito dell’ascolto sulle soluzioni più oppor-tune alla salvaguardia del suo interesse, imponendosi l’obbli-gatorietà l’ascolto, ma non un vincolo sui suoi esiti.

6a DOMANDACome e quando e se ritenete opportuno il ricorso alla me-diazione familiare?La mediazione è uno strumento fondamentale per dirimere il conflitto tra genitori, ma lo strumento non può essere uti-lizzato con l’introduzione dell’obbligatorietà, come accade in materie aventi ad oggetto diritti disponibili.

In questo caso è essenziale che, ove sussista una forte con-flittualità nella fase propedeutica alla separazione, gli avvocati abbiano la sensibilità per capire quando il suo utilizzo è fon-damentale per far recuperare ai coniugi o partners in crisi, un sufficiente dialogo.

Anche il giudice durante e dopo la separazione, come già accade, ha la possibilità di consigliare, come pure il ctu, un percorso di mediazione, ma la decisione deve essere frutto di un’indicazione persuasiva e non potestativa.

La mediazione deve rappresentare una libera scelta, mai il rispetto di un ordine, anche se proviene dall’autorità giudi-ziaria.

Questo perché può trasformarsi in una composizione della conflittualità fasulla, al solo fine di evitare conseguenze sul piano processuale.

Si tratta di un cambiamento di mentalità che deve riguarda-re giudici, avvocati, consulenti, servizi sociali, psicologi, ecc. e che solo la specializzazione può offrire.

Si aggiunga che è necessaria una legge sui requisiti anche formativi dei mediatori familiari professionali e sugli Enti in grado di offrire un servizio di mediazione in grado di rispon-dere alle esigenze del conflitto nelle relazioni familiari.

In attesa di incontrarLa colgo l’occasione per porgerLe i più cordiali saluti.

Prof. Avv. Claudio Cecchella

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118 L’Osservatorio sul diritto di famiglia | gennaio-agosto 2018

DOSSIER I diritti economici e personali nella crisi delle relazioni familiari

Alla riunione del 20 luglio è stato possibile avere un primo scambio di riflessioni sulle modalità di applicazione della leg-ge 54 del 2006 e sulla necessità o meno di una riforma ed eventualmente quale.

Indubbio è che la ratio della legge non sia stata rispettata e che molti giudici continuino a dare un’immotivata prevalenza alle madri, spesso ingiustificata.

Sul punto le opinioni non sono state convergenti: vi è chi sostiene che i figli debbano avere un’abitazione prevalente, che da loro stabilità e chi (come la sottoscritta) sostiene che la stabilità viene assicurata dalla qualità della relazione, dalla possibilità di beneficiare della presenza e delle cure quotidia-ne di entrambi i genitori.

Sono sempre di più i padri che vogliono fare i padri, che si ritagliano tempi per poter stare con i figli, per seguirli, per crescerli, magari assestando il sistema di deleghe che pote-vano (ma non è sempre così!) aver dato alla madre nel corso della convivenza.

Il prof. Giovanni Camerini, neuro psichiatra infantile, au-tore di numerosi scritti sull’argomento, presente nel Grup-po, ha riportato la testimonianza di molti gli studi che hanno verificato il maggior benessere dei figli, anche piccoli, gestiti da entrambi i genitori, non necessariamente in modo perfet-tamente equivalente, ma comunque in un range – non meno di 1/3 del tempo con il genitore non collocatario, non più di 2/3 con quest’ultimo.

Il rischio di perdita di un genitore continua ad essere elevato e così pure le gravi conseguenze sopportate dai figli privati da un genitore.

Sono stati poi individuati dei fattori ostativi all’affidamento paritetico, quali la conflittualità, le condizioni economiche limitate, la condizione femminile, il pericolo di strumenta-lizzazione.

Il nostro Presidente, Prof. Cecchella ha espresso il timore che i progetti di legge sul punto, impongano una rigidità in-compatibile con la funzione giurisdizionale, timore assoluta-mente condivisibile, ma ora la rigidità esiste, a contrariis con la maternal preference.

Su un punto il Gruppo era d’accordo e cioè sulla necessità che il magistrato motivi il suo provvedimento, sia con riferi-mento alla gestione dell’affidamento, sia sulle questioni eco-nomiche, considerando la specificità di ogni famiglia.

Per cercare di arrivare alla redazione di un documento con-diviso, in vista del prossimo incontro, è stata richiesta la cor-tesia di rispondere, in modo sintetico, con consegna i primi di settembre, ai seguenti quesiti:

1) Ritenete che con la legge 54/2006 sia stato effettivamente introdotto il principio di bigenitorialità?

2) Cosa si intende per bigenitorialità?3) I tempi di frequentazione dei figli che peso hanno nell’e-

sercizio condiviso della responsabilità genitoriale?4) La tenera età dei figli può essere un ostacolo per un affi-

damento paritetico?5) Quando e come deve essere tenuta in considerazione la

volontà dei figli?6) Quali strumenti possono essere utilizzati per accompa-

gnare i genitori nell’esercizio di una condivisione genito-riale (coordinatore genitoriale, facilitatore della comuni-cazione, mediazione)

7) Nel vostro Tribunale viene disposto un affidamento pari-tetico su richiesta di un solo genitore?

8) Quali sono i tempi di permanenza maggiormente previ-sti nel vostro Tribunale per il genitore non collocatario? Ritenete questi provvedimenti adeguati?

Il prossimo incontro è fissato il 28 settembre p.v. alle ore 10, a Roma sempre all’hotel Nuova Bethlem.

RISULTATI DEL GRUPPO DI LAVORO DI ONDIF TENUTOSI IL 20 LUGLIO 2018, SUL TEMA DELL’AFFIDAMENTOSILVIA MANILDOCoordinatrice del gruppo di lavoro

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LE ULTIMISSIME DELLA GIURISPRUDENZA

La casa di proprietà e la pensione minima non consento-no di escludere il diritto all’assegno divorzile della donna ultrasessantacinquenne. Corte di Cassazione, ordinanza 5 dicembre 2017 n. 28994.L’allontanamento dal parametro del tenore di vita come pre-supposto per disporre il diritto all’assegno divorzile per il co-niuge più debole, non esclude che questo non possa essere disposto in caso di oggettiva differenza fra i redditi e fra i beni posseduti, ove la corresponsione della somma non cagioni le-sione del reddito eccessiva per il soggetto obbligato.

Nella specie, la corte territoriale aveva opportunamente va-lutato le condizioni obiettive economiche dei singoli coniu-gi secondo il principio che sarebbe poi stato definito quello di autoresponsabilità economica ed appurato che, mentre la donna, ormai non più in giovane età e non più in grado di re-perire attività lavorativa, percepiva una pensione di € 400,00 ed era proprietaria della casa in cui viveva e di alcuni fondi terrieri all’estero di scarso valore, l’uomo godeva di maggio-re disponibilità economica e poteva corrispondere assegno divorzile all’ex moglie senza che ciò determinasse eccessiva lesione alla sua sfera patrimoniale. Dovuto e congruo viene quindi ritenuto l’assegno da 600,00 euro all’ex moglie.

Congruo il risarcimento per il danno non patrimoniale sofferto dalla famiglia di una neonata, deceduta per pa-tologia congenita non diagnosticata. Corte di Cassazione, sentenza 7 dicembre 2017 n. 29333.Alla base del risarcimento economico a seguito di danno non patrimoniale subito dai genitori di una neonata deceduta a seguito di patologia congenita non diagnosticata per errore c’è la necessità di risarcire il dolore sofferto dai genitori per una morte verificatasi per cause naturali, a causa della mancata diagnosi delle malformazioni e della consequenziale mancata interruzione della gravidanza.

Non deve essere considerato inadeguato o irrisorio l’impor-to, proprio perché alla base del corrispettivo c’è la considera-zione della mancata diagnosi e della perdita di chance conse-guente al non aver potuto scegliere in modo consapevole se portare avanti la gravidanza o interromperla. Non si tratta di risarcire la perdita di un rapporto parentale causata dall’ina-dempimento di un medico. Per la Corte, quindi, il richiamo alle tabelle di Milano relativo al danno parentale è stato cor-rettamente compiuto dal giudice del merito a titolo meramen-te orientativo con lo scopo di evitare liquidazioni arbitrarie. Si tratta, in altre parole, di una liquidazione che costituisce “il risultato di un apprezzamento equitativo che non viola norme o criteri giuridici e che non è sindacabile in sede di legittimità”. Ciò posto, corretta è anche la diversificazione del risarcimento tra i due genitori, che deriva dalla specificità del pregiudizio da risarcire, dal più diretto coinvolgimento della madre nella scelta abortiva preclusa e dall’inconscio senso di colpa sofferto dalla donna per le malformazioni.

La cittadinanza si acquisisce anche senza il giuramento previsto dalla legge, qualora per grave disabilità acclarata, l’interessata non possa prestarlo. Corte Costituzionale, sentenza 7 dicembre 2017 n. 258.Nel caso di specie l’amministratore di sostegno di una ragazza, gravemente disabile, che ne era anche il padre, richiedeva al giudice tutelare che fosse trascritto il decreto concessivo della cittadinanza a favore della figlia in assenza del prescritto giu-ramento, dato che la figlia non sarebbe in grado di prestare tale atto, in quanto affetta da “epilessia parziale con secondaria generalizzazione” e “ritardo mentale grave in pachigiria focale”. La giovane beneficiaria, ascoltata in udienza per saggiarne l’i-doneità a prestare il prescritto giuramento, era apparsa del tutto disorientata nel tempo e nello spazio. Il Tribunale di Modena sollevava la questione di legittimità costituzionale dell’art. 10 della legge 5 febbraio 1992, n. 91 (Nuove norme sulla cittadi-nanza), nella parte in cui non prevede che sia esonerata dal giu-ramento la persona incapace di soddisfare tale adempimento in ragione di grave e accertata condizione di disabilità.

La Corte riconosceva nell’impedimento ad un soggetto disa-bile impossibilitato a prestare giuramento per la sua patologia una intollerabile lacuna normativa e dichiarava l’illegittimità costituzionale della normativa summenzionata, nella parte in cui non prevede deroghe all’obbligo della prestazione del giu-ramento, quale condizione per l’acquisizione della cittadinan-za italiana, in presenza di “condizioni personali di infermità mentale in cui versi il futuro cittadino, impeditive del compi-mento dell’atto formale in discorso”.

La non manifesta infondatezza della questione emerge dal contrasto con l’art. 2 Cost., che riconosce i diritti inviolabili dell’uomo: “non permettere al disabile psichico l’acquisizione di un diritto fondamentale”, qual è lo status di cittadino, “dal momento che non è in grado della prestazione dell’atto for-male del giuramento, significherebbe, alla fin fine, non “ga-rantire” tale diritto; escludendo, così, l’infermo di mente dalla nuova collettività in cui è nato e si è formato, solo a causa dell’impedimento determinato dalla sua condizione psichica di natura personale”.

Anche i nipoti hanno diritto al risarcimento del danno per perdita del nonno. Corte di Cassazione, 7 dicembre 2017 n. 29332.La moglie la figlia ed i nipoti di una persona deceduta a se-guito di un sinistro stradale domandavano il risarcimento del danno patrimoniale e non a seguito della perdita del con-giunto. In primo e in secondo grado il risarcimento veniva accordato alla sola nipote convivente con il defunto mentre venivano esclusi gli altri nipoti. Veniva proposto ricorso per Cassazione sostenendo che il rapporto tra nonno e nipote debba essere riconosciuto come “legame presunto che legitti-ma il risarcimento per la perdita familiare”, a prescindere dal rapporto di convivenza.

PERSONE, MINORI E FAMIGLIAA CURA DI CESARE FOSSATI E FRANCESCA ZADNIKAvvocati in Genova

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120 L’Osservatorio sul diritto di famiglia | gennaio-agosto 2018

LE ULTIMISSIME DELLA GIURISPRUDENZA

Il motivo viene ritenuto fondato in conformità al principio secondo cui, “in caso di domanda di risarcimento del danno non patrimoniale “da uccisione”, proposta iure proprio dai congiunti dell’ucciso, questi ultimi devono provare la effet-tività e la consistenza della relazione parentale, rispetto alla quale il rapporto di convivenza non assurge a connotato minimo di esistenza, ma può costituire elemento probatorio utile a dimostrarne l’ampiezza e la profondità, e ciò anche ove l’azione sia proposta dal nipote per la perdita del nonno. Non pare condivisibile limitare la “società naturale”, cui fa riferimento l’art. 29 Cost., all’ambito ristretto della sola c.d. “famiglia nucleare”, il rapporto nonni-nipoti non può essere ancorato alla convivenza, per essere ritenuto giuridicamente qualificato e rilevante, escludendo automaticamente, nel caso di non sussistenza della stessa, la possibilità per tali congiunti di provare in concreto l’esistenza di rapporti costanti di reci-proco affetto e solidarietà con il familiare defunto”.

Nonostante la contrarietà della fecondazione eterologa al nostro ordinamento, va tutelato l’interesse del minore nato con tali pratiche. Corte Costituzionale, sentenza 18 dicembre 2017 n. 272.Il giudizio era stato deferito alla Consulta dalla Corte d’appel-lo di Milano, che sospettava l’incostituzionalità dell’articolo 263 del codice civile, nella parte in cui rendeva possibile il di-sconoscimento del figlio avuto con modalità diverse da quelle naturali anche quando quest’azione giuridica contrastava con l’interesse del piccolo.

La Consulta ha respinto la questione di legittimità costi-tuzionale, partendo dal presupposto che la verità biologica non è condizione necessaria per l’interesse del minore ma ha anche stabilito che, è necessario “riconoscere un accentua-to favore dell’ordinamento per la conformità dello status alla realtà della procreazione, e che per attribuire la filiazione di un bimbo nato da un utero in affitto, bisogna innanzitutto considerare la grande contrarietà della pratica al nostro cor-pus giuridico. Se fosse per ciò solo, dunque, il piccolo non potrebbe esser ritenuto figlio di chi l’ha fatto “assembleare” e “gestare” a pagamento. Bisogna tuttavia verificare se questa soluzione sia o meno superabile alla luce dell’interesse del minore. Mentre vi sono casi in cui non è possibile disconosce-re un figlio, sebbene non abbia elementi genetici in comune con il genitore, come nel caso di fecondazione eterologa con donazione ovocita, vi sono altri casi in cui questo è possibile, nell’interesse del minore, facendo riferimento a determinati criteri come “Durata del rapporto instauratosi col minore”, “modalità del concepimento e della gestazione”, “presenza di strumenti legali che consentano la costituzione di un legame giuridico col genitore contestato”. La consulta definisce poi come intollerabile la surrogazione di maternità, che “offen-de in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane”, ribadendo la necessità di un bilanciamento fra interesse del minore ad essere riconosciuto e verità della filiazione.

L’obbligo al mantenimento continua se non è dimostrata l’inerzia del figlio maggiorenne a reperire un lavoro. Corte di Cassazione, ordinanza 20 dicembre 2017 n. 30540.Le doglianze del ricorrente non possono essere accolte poiché la Corte territoriale aveva già escluso l’esistenza della colpevo-

le inerzia del figlio maggiorenne della coppia, di 24 anni, che aveva tentato di lavorare presso l’azienda del padre ma che ne era stata estromesso, dato l’inasprirsi dei rapporti fra i due a causa della difficile separazione dalla madre del giovane e dalla grande differenza di età fra padre e figlio, circa 70 anni. Ciò che si richiede alla suprema corte in questa circostanza è di rivalutare conclusioni e decisioni relative a fatti ed elementi rilevanti emersi nella fase di merito. Dalla quale poi è emersa la correttezza della motivazione volta a stabilire l’indimostra-ta inerzia del ragazzo ad intraprendere una vita lavorativa. Le difficoltà da lui rinvenute per mantenere un lavoro presso l’azienda del padre durante gli studi universitari infatti non sono state certo dovute alla sua inerzia ma al difficile rap-porto con il padre, suo datore di lavoro, che gli ha impedito di fatto di raggiungere autonomia nella posizione lavorativa. Fintanto che non verrà dimostrata l’indipendenza economica del figlio maggiorenne, il padre dovrà pertanto continuare a mantenerlo.

Permane addebito della separazione ad entrambi i coniugi con conseguente esclusione di assegno di mantenimento. Ricorso inammissibile. Corte di Cassazione, ordinanza 21 dicembre 2017 n. 30746.I giudici di legittimità ritengono inammissibile il ricorso da parte della moglie, volto all’ottenimento di assegno di man-tenimento in seguito alla separazione. La donna impugnava la decisione della corte territoriale che aveva confermato che la separazione era da ritenersi con addebito per entrambi i coniugi, senza pertanto prevedere alcun assegno di manteni-mento. La Corte di Cassazione ritiene il ricorso meramente volto a contrapporre una valutazione di merito a quella de-terminata dalla Corte di Appello, senza incidere o provare a dimostrare il vizio di motivazione.

La censura della valutazione del giudice di merito è infatti possibile solo con la valutazione del presunto vizio di moti-vazione della decisione, che in questo caso non è dimostrato.

Titolo alla conservazione dell’assegno divorzile è rappre-sentato dall’ingiunzione di sfratto all’ex moglie. Corte di Cassazione, 21 dicembre 2017 n. 30738.Soddisfatti i requisiti del piano oggettivo del diritto al perce-pimento dell’assegno divorzile, secondo la verifica a doppio binario della legittimazione a percepire emolumento indicata dalla nota sentenza del maggio scorso, che richiede la valuta-zione in primis dell’an debeatur e poi del quantum sulla base della condizione economica del soggetto richiedente. Secon-do tali nuovi parametri, nel caso di specie, corretto è il mante-nimento dell’assegno a favore della donna che era stata sfrat-tata e che viveva presso una anziana signora alla quale forniva assistenza in cambio della possibilità di vivere con essa. Mai tale condizione era stata celata nel processo e la correttezza della quantificazione della somma non poteva essere oggetto di valutazione da parte della Corte di legittimità.

La donna pertanto, le cui modeste condizioni economiche erano state ampliamente dimostrate nel giudizio di merito, an-che dalla ingiunzione di sfratto che l’aveva costretta a lasciare la propria abitazione, conservava il titolo a percepire assegno di-vorzile, a nulla rilevando che nella quantificazione dello stesso non si sarebbe più dovuto avere considerazione per il parame-tro del tenore di vita tenuto in costanza di matrimonio.

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LE ULTIMISSIME DELLA GIURISPRUDENZA

Prevalente l’interesse del minore figlio di genitori non uni-ti in matrimonio, per la sua collocazione abitativa. Corte di Cassazione, ordinanza 14 dicembre 2017 n. 30126.In un caso di figlio di genitori non uniti in matrimonio è stato accolto il ricorso della madre per la scelta del genitore collo-catario. L’interesse del minore è prevalente. Il minore era stato collocato presso il padre nonostante avesse vissuto insieme alla madre e frequentato le scuole in zone vicine alla residenza della madre. La madre aveva reperito una attività lavorativa e aveva sempre dimostrato la sua apertura alla frequentazio-ne del minore con il padre naturale, con il quale non viveva più per intercorsa rottura della relazione. Il minore però non era stato nemmeno ascoltato, sebbene fosse ormai in grado di esprimere la propria opinione avendo compiuto dieci anni.

La revoca del consenso alla fecondazione eterologa e l’in-teresse del figlio. Corte di Cassazione 18 dicembre 2017 n. 30294.Un coppia di italiani stipulava in Spagna un contratto di feconda-zione assistita eterologa, stante l’incapacità a generare del marito.

La fattispecie, benché vietata dalla legge n. 40/2004, è stata riconosciuta ammissibile in caso di sterilità assoluta ed irre-versibile dalla Corte Costituzionale (sentenza 162/2014).

Il marito, che aveva prestato l’assenso all’inseminazione, lo revocava quando il trattamento era già iniziato ma appena prima dell’impianto dell’ovulo.

L’art. 9 della legge 40/2004 impedisce l’azione di disconosci-mento di paternità per il coniuge o il convivente il cui consenso è ricavabile da atti concludenti, in caso di inseminazione eterologa.

Ciò in quanto tale possibilità priverebbe il nato di una delle due figure genitoriali e del connesso rapporto affettivo ed as-sistenziale, stante l’impossibilità di accertare la reale paternità a fronte dell’impiego di seme di provenienza ignota.

Il mero divario fra le posizioni reddituali degli ex coniugi non giustifica l’assegno di divorzio. Corte di Cassazione, 15 dicembre 2017 n. 30257.La Corte d’Appello riformava la sentenza di primo grado che attribuiva alla moglie un assegno divorzile pari a € 700 rite-nendo insufficiente la prova del mero divario reddituale ai fine della concessione dell’emolumento. La Corte di Cassazio-ne conferma quanto deciso dalla Corte territoriale, ribadendo la natura assistenziale dell’assegno di divorzio, che pertanto non può essere concesso qualora non venga data la prova di uno stato di necessità. Nella fattispecie l’ex moglie aveva per molti anni continuato la propria attività lavorativa senza chie-dere nulla ed era anche riuscita ad acquistare un immobile. Viene peraltro accolto il ricorso incidentale del marito il quale si doleva della decorrenza fissata per la revoca dell’assegno di divorzio, ossia la data di deposito della sentenza di appello. La Corte di legittimità ritiene che la data di cessazione decorra dal momento in cui passa in giudicato la sentenza di cessazio-ne del vincolo matrimoniale.

Per il riconoscimento della dimora abituale del minore serve una prognosi sul suo stabile ed effettivo centro d’in-teressi. Corte di Cassazione, 15 dicembre 2017 n. 30219.Il Tribunale di Bologna dichiarava la propria incompetenza territoriale quanto alla domanda di affidamento del minore e rientro presso l’abitazione di uno dei genitori.

Il trasferimento era avvenuto solo 9 mesi prima, contro la volontà del ricorrente, ma per il Tribunale non assume alcun rilievo la mera residenza anagrafica o eventuali trasferimenti contingenti o temporanei, dal momento che per l’individua-zione in concreto della dimora non può farsi riferimento ad un dato meramente quantitativo, ma è necessaria una pro-gnosi sulla probabilità che la “nuova” dimora diventi l’effetti-vo e stabile centro d’interessi del minore.

Nel caso di specie risultava che il minore dimorava presso l’abitazione della nonna materna, dove aveva un effettivo e stabile radicamento, e che il suo trasferimento non era confi-gurabile come un espediente unilaterale della madre per sot-trarlo al giudice naturale.

Sussiste il reato di cui all’art. 660 c.p.c. per il figlio che subissa il padre di sms e mail. Corte di Cassazione, sez. pen. 9 gennaio 2018 n. 343.Il Tribunale di Milano condannava ex art. 660 c.c.p. un fi-glio che subissava il padre di continue telefonate, sms, email e comportamenti indesiderati. Il ricorso in Cassazione viene respinto per motivi procedurali, in quanto il difensore solo in sede di gravame aveva richiesto l’applicazione dell’art. 131-bis c.p., ossi all’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto. Rimane dunque il dubbio che, a seguito di richiesta tempestivamente proposta, la sentenza avrebbe potuto avere esito diverso. Quel che risulta comunque evidente è che nella valutazione della condotta del figlio nessun tipo di rilievo sia stato dato allo strettissimo rapporto esistente fra vittima e reo, che dunque non costituisce in alcun modo né una scriminan-te, né un elemento degno di considerazione.

Ammessa la delibazione della sentenza ecclesiastica di annullamento delle nozze religiose anche se la conviven-za si è protratta per dieci anni. Corte di Cassazione, 18 gennaio 2018 n. 1178.Nonostante il matrimonio religioso della coppia sia perdurato per dieci anni ed abbia anche portato alla nascita di una figlia, purtroppo prematuramente scomparsa, la corte suprema di legittimità ammette la delibazione della sentenza del tribunale ecclesiastico che ha dichiarato nulle le nozze. Nel corso del giudizio infatti, secondo la corte, si è raggiunta la prova che la coppia, pur convivendo per dieci anni, non aveva mai rag-giunto la “consuetudine coniugale”, stabile e continuata nel tempo, ed esteriormente riconoscibile attraverso riconoscibili comportamenti.

Le spese straordinarie debbono essere caratterizzate da imprevedibilità ed eccezionalità. I ticket sanitari non pos-seggono tali caratteristiche. Corte di Cassazione, 17 gen-naio 2018 n. 1070.Accolto il ricorso, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio al tribunale del territorio in diversa composizione, di un uomo che si era visto contestare il mancato pagamento di spese sostenute dalla propria ex moglie affidataria dei figli mi-norenni e che erano state catalogate come spese straordinarie, cioè dovute pro quota da entrambi i genitori. La suprema cor-te ritiene che nel caso di specie la corte del territorio non si sia soffermata adeguatamente sull’analisi delle caratteristiche che debbono essere detenute dalle spese c.d. “straordinarie” che devono essere cioè “imprevedibili ed eccezionali” per loro na-

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LE ULTIMISSIME DELLA GIURISPRUDENZA

tura, a prescindere dalla loro entità. I ticket sanitari sostenuti dalla madre dei figli dell’uomo, in particolare, sembrano non possedere questa caratteristica, essendo spese assolutamente prevedibili e quantificabili.

Non si viola il provvedimento del giudice se questo è trop-po generico e plausibile di ampia interpretazione. Corte di Cassazione, sez. pen. 16 gennaio 2017 n. 1748.In sede di separazione, due coniugi vedevano disciplinata la frequentazione della figlia minore con un provvedimento che lasciava al genitore non affidatario, in questo caso il padre, la più amplia possibilità di frequentare la figlia, potendo veder-la ogniqualvolta egli lo desiderasse. Questa previsione, che nelle intenzioni del Tribunale doveva probabilmente essere mirante a lasciare che padre e figlia si frequentassero senza limitazione ed in modo libero e pieno, aveva però ingenerato grande confusione nella coppia, ove permaneva alto il tasso di conflittualità.

Il diritto d’abitazione dell’assegnatario e affidatario della prole non viene meno per effetto della morte dell’ex coniu-ge divorziato. Corte di Cassazione, 15 gennaio 2018 n. 772.La Cassazione precisa che, a seguito dell’intervenuto provve-dimento giudiziale di assegnazione della casa familiare al co-niuge, all’epoca separato, affidatario in esclusiva della prole, il terzo successivo acquirente è tenuto, negli stessi limiti di durata nei quali è a lui opponibile il provvedimento stesso, a rispettare il godimento del coniuge del suo dante causa, nello stesso contenuto e nello stesso regime giuridico propri dell’as-segnazione, quale vincolo di destinazione collegato all’inte-resse dei figli. Letteralmente “il terzo successivo acquirente dell’immobile, già adibito a casa familiare prima della sepa-razione, assegnato al coniuge affidatario della prole all’epoca minorenne, con provvedimento giudiziale, immediatamente trascritto nei pubblici registri, confermato in sede di sentenze di separazione personale e cessazione degli effetti civili del matrimonio, non può opporre, a sostegno della domanda di condanna al rilascio, il solo decesso dell’ex coniuge divorziato dante causa”.

Irrilevante la crisi economica per la determinazione dell’as-segno di mantenimento, specie in un settore che non co-nosce crisi. Corte di Cassazione, 15 gennaio 2018 n. 769.La Cassazione non ritiene credibili la situazione di disoccupa-zione di un uomo con specifica professionalità acquisita nel campo dell’idraulica né le dichiarazioni dei redditi dallo stes-so presentate. L’uomo presentando dette dichiarazioni presu-mibilmente tentava di sottrarsi all’obbligo di versare assegno all’ex moglie e contributo al mantenimento dei figli minori. Verosimilmente, infatti, lo stesso svolgeva attività di lavoro, forse in nero o disponeva di accantonamenti.

Infondato si palesa, pertanto il ricorso dell’uomo in Cassa-zione teso a contestare gli esborsi a suo carico: l’uomo ritene-va che il giudice a quo abbia fondato la decisione su afferma-zioni frutto di scienza privata e su fatti non qualificabili come notori, ignorando le prove sulla sua situazione economica precaria e ritenendo non credibili le sue dichiarazioni fiscali. Ma i giudici di legittimità precisano che le dichiarazioni dei redditi abbiano una funzione tipicamente fiscale, sicché, nelle controversie relative a rapporti estranei al sistema tributario,

come quello relativo all’attribuzione o quantificazione dell’as-segno di mantenimento, queste non hanno valore vincolante per il giudice che, nella sua valutazione discrezionale, può fondare il convincimento anche su altre risultanze probatorie.

È sempre possibile tutelare il figlio non riconosciuto an-che con la revoca del testamento, rilevando la tutela del figlio nella ratio della norma. Corte di Cassazione, 5 gen-naio 2018 n. 189.Il fondamento dell’istituto della revocazione risiede nell’esi-genza di assicurare la tutela del figlio sopravvenuto in con-seguenza della modificazione della situazione familiare. La tutela esclusiva della volontà del testatore, sia pure con di-verse sfumature, non può essere condivisa, essendo peraltro maturata in un diverso contesto storico sociale, dovendosi sia escludere l’idea che alla base della norma vi sia una presun-zione di volontà di revoca, sia quella che reputa sussistere una sorta di vizio della volontà del testatore. La scelta del testatore di non riconoscere il figlio naturale nonostante ne fosse venu-to a conoscenza e con cui aveva iniziato una frequentazione non può pertanto secondo la suprema corte ledere l’interesse del figlio, configurandosi l’istituto de quo quale mezzo di tu-tela ulteriore, e non alternativo rispetto a quello approntato dalle norme a tutela dei legittimari.

La riconciliazione richiede una reale ripresa delle relazio-ni materiali e spirituali e va dedotta specificamente. Corte di Cassazione, 23 gennaio 2018 n. 1630.L’attrice impugnava il testamento del marito, dal quale era separata con addebito, rivendicando la qualità di erede le-gittimaria per essere cessati gli effetti della separazione per asserita ricostituzione del vincolo coniugale.

Per la Corte gli effetti della separazione personale, in man-canza di una dichiarazione espressa di riconciliazione, ces-sano soltanto col fatto della coabitazione, la quale non può, quindi, ritenersi ripristinata per la sola sussistenza di ripetute occasioni di incontri e di frequentazioni tra i coniugi, ove le stesse non depongano per una reale e concreta ripresa delle relazioni materiali e spirituali, costituenti manifestazione ed effetto della rinnovata società coniugale.

Il giudice del merito aveva ritenuto che l’attrice non avesse specificamente allegato l’avvenuta cessazione degli effetti del-la separazione. L’avvenuta riconciliazione dei coniugi, quale causa estintiva degli effetti della separazione, concreta un’ec-cezione in senso proprio, che deve essere formulata mediante una specifica deduzione, non essendo sufficiente la generica istanza di rigetto della domanda avversaria.

L’assegnazione della casa è diritto personale di godimen-to esercitabile nei limiti delle esigenze di tutela dei figli. Corte di Cassazione, 24 gennaio 2018 n. 1744.Lungo contenzioso giudiziario originato dalla vendita di una casa in sede di giudizio di scioglimento della comunione tra i coniugi: il terzo acquirente conveniva in giudizio entrambi gli ex coniugi al fine di far dichiarare occupante senza titolo la moglie e di ottenere il riconoscimento di un’indennità di occupazione.

Quest’ultima si costituiva eccependo la propria legittima-zione derivante da provvedimento di assegnazione in sede di separazione, risalente al 1992, trascritto nel 1996.

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123L’Osservatorio sul diritto di famiglia | gennaio-agosto 2018

LE ULTIMISSIME DELLA GIURISPRUDENZA

Il giudice del merito rigettava la domanda di rilascio, accer-tando l’esistenza di un diritto personale di godimento opponi-bile al terzo, in quanto trascritto, anche oltre il novennio, fino a revoca dell’assegnazione da parte del tribunale della separazio-ne o del divorzio. Riconosceva tuttavia il diritto ad un’indenni-tà di occupazione da determinarsi in separato giudizio.

Il giudice di appello confermò che il provvedimento di as-segnazione costituisce un diritto personale di godimento che l’assegnatario può opporre ai terzi nei limiti in cui sussistono le esigenze di tutela dei figli conviventi.

Per la Cassazione il terzo è legittimato ad esperire giudizio di accertamento della permanenza delle eccezionali condizioni che giustificano l’assegnazione della casa, riconducibili esclu-sivamente alle esigenze di tutela dei figli non autosufficienti.

Vi è litisconsorzio necessario fra gli eredi in caso di do-manda di risoluzione del legato per mancato assolvimento dell’onere. Corte di Cassazione, 22 gennaio 2018 n. 1468.La testatrice disponeva a favore delle Pontificie Opere Mis-sionarie un legato avente ad oggetto tutto il denaro della de cuius depositato presso un Istituto nonché tutti i titoli e/o va-lori mobiliari depositati presso lo stesso Istituto con l’onere che venissero celebrate 30 Messe Gregoriane in suffragio del-la propria anima, di quella dei defunti genitori e dei defunti fratelli.

Intervenuto il decesso della testatrice l’ente beneficiario del legato richiedeva agli eredi l’adempimento, inoltrando copia del testamento anche all’istituto di credito, apprendendo poi che i conti erano già stati chiusi dagli eredi. Ne seguiva un lungo contenzioso, avente ad oggetto anche gli importi de-positati la cui appartenenza alla de cuius veniva contestata e uno dei coeredi in via riconvenzionale domandava anche la risoluzione del suddetto legato, in quanto, ancorché già in parte adempiuto dagli altri eredi che non avevano partecipato al giudizio e che non erano stati in esso evocati, non risultava che l’onere fosse stato assolto.

La Corte conclude che la proposizione della domanda di risoluzione per l’inadempimento dell’onere apposto alla pre-visione a titolo di legato gravante su tutti i coeredi, impone di ritenere che sussista il litisconsorzio necessario, non solo tra il ricorrente e la legataria, ma anche nei riguardi di tutti gli altri onerati.

A tal fine va altresì ricordato che a mente dell’ultimo comma dell’art. 677 c.c., nel caso in cui risulti pronunziata la riso-luzione del legato, che nella fattispecie ha carattere unitario essendo posto a carico di tutti i coeredi, ancorché tenuti al suo inadempimento pro quota, gli eredi subentrerebbero nell’onere, sicché appare confermata la correttezza della so-luzione che impone che al giudizio che investe la risoluzione del modus debbano necessariamente prendere parte tutti i soggetti che verrebbero a subentrare negli obblighi imposti dal de cuius al legatario inadempiente.

Deve quindi affermarsi che il litisconsorzio necessario operi anche laddove la domanda di risoluzione investa la disposi-zione testamentaria che in maniera unitaria abbia previsto un legato a carico di tutti i coeredi.

L’accoglimento di tale principio ha comportato il rinvio della causa al giudice di primo grado, dato che già presso il Tri-bunale il litisconsorzio non era stato correttamente integrato.

La rinuncia all’azione di riduzione da parte del legittima-rio pretermesso non può essere dedotta da comportamen-ti taciti ai sensi dell’art. 590 c.c. Corte di Cassazione, 5 gennaio 2018 n. 168.Nella presente controversia ereditaria, avente ad oggetto un testamento di dubbia interpretazione e disposizioni che erano suscettibili di ledere i diritti del legittimario, una delle parti sosteneva in giudizio che il comportamento dell’attore che domandava l’azione di riduzione era stato di acquiescenza alle disposizioni asseritamente lesive e che di conseguenza di era stata una rinuncia. Secondo la Corte d’Appello tale argo-mentazione andava ad impedire l’accoglimento dell’azione di riduzione era anche la circostanza che il ricorrente aveva te-nuto una serie di condotte che implicavano l’accettazione dei legati disposti in suo favore, e dalle quali era possibile ricavare in maniera inequivoca la volontà di rinunciare a far valere la lesione, anche alla luce di quanto prevede l’art. 590 c.c.

La sentenza viene cassata ritenendo la Suprema Corte inap-propriato il richiamo compiuto dalla Corte distrettuale alla previsione di cui all’art. 590 c.c., che non è invocabile, al fine di escludere la tutela dei diritti del legittimario. La costante giurisprudenza di legittimità che ha avuto modo di affermare che la conferma della disposizione testamentaria o la volon-taria esecuzione di essa non opera rispetto alle disposizioni lesive della legittima, in quanto gli effetti convalidativi di cui all’art. 590 c.c., si riferiscono alle disposizioni testamenta-rie nulle, mentre tali non sono quelle lesive della legittima, essendo soltanto soggette a riduzione Pertanto, l’esecuzione volontaria di per sé non preclude al legittimario l’azione di riduzione, salvo che egli abbia manifestato anche tacitamente la volontà di rinunziare all’integrazione della legittima, po-tendosi però desumersi l’esistenza di una rinunzia tacita at-traverso un complesso di elementi concordanti da cui emerga che la parte interessata abbia avuto la consapevolezza dell’e-sorbitanza della disposizione testamentaria dai limiti della porzione disponibile e tuttavia abbia eseguito integralmente la disposizione medesima.

Errata l’interpretazione del provvedimento presidenziale da parte della corte territoriale. L’uomo non era tenuto al paga-mento per intero delle rate del mutuo dopo il divorzio. Corte di Cassazione, ordinanza 17 gennaio 2018 n. 1072.

I Giudici di secondo grado avevano rilevato che il provve-dimento presidenziale con il quale erano state stabilite in via provvisoria le condizioni economiche del divorzio pur non avendo posto a carico dell’uomo l’obbligo di pagamento della rata integrale del mutuo, quale misura sostitutiva dell’assegno divorzile non accordato alla moglie, si fondava tuttavia sulla premessa dell’assunzione volontaria di tale impegno da parte del marito; impegno che andava qualificato quale accollo in-terno. L’uomo propone ricorso e lo stesso è accolto. Si ritiene, infatti, che la prova dell’accollo non potesse desumersi dalle mere premesse di un provvedimento presidenziale (peraltro temporaneo e destinato ad esaurire i suoi effetti col passaggio in giudicato della sentenza di divorzio) che non solo non con-teneva alcuna statuizione a riguardo, ma ometteva di dare atto delle modalità attraverso le quali l’odierno ricorrente aveva manifestato l’effettiva volontà di assumere per l’intero, in via definitiva, l’obbligazione di pagamento. i giudici infatti preci-sano che “il successivo passaggio motivazionale, con il quale la corte del merito si è limitata a rilevare che il capo della sen-

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LE ULTIMISSIME DELLA GIURISPRUDENZA

tenza di divorzio che aveva rigettato la domanda della donna di corresponsione di un assegno divorzile non incideva sulla propria decisione, ma ha omesso totalmente di considerare che detta sentenza, dopo aver escluso (in contrasto con quan-to da essa accertato) che il provvedimento presidenziale aves-se tenuto conto dell’impegno assunto dal marito di pagare in via esclusiva il mutuo gravante sulla casa coniugale, aveva anche respinto l’ulteriore domanda della signora, volta ad ot-tenere che l’obbligo di pagamento delle rate del mutuo fosse posto a carico esclusivo dell’ex coniuge”.

Il parametro dell’autosufficienza economica è più attinen-te allo spirito della legge sul divorzio. Corte di Cassazio-ne, sentenza 26 gennaio 2018 n. 2042.In merito alla spettanza di un assegno divorzile, la Cassazione ritiene che il nuovo orientamento del maggio 2017 fornisca un parametro assai più rispettoso della ratio dell’art. 5, com-ma sesto, della legge 898 del 1970 quanto alla spettanza o meno dell’assegno divorzile, ovverosia quello dell’autosuffi-cienza economica del richiedente l’esborso. È molto più con-sono alla lettera e alla ratio nella norma, esclude dalla fase dell’an qualsiasi comparazione delle condizioni economiche dei coniugi e ogni riferimento al tenore di vita pregresso. Ciò non implica comunque che l’assegno non possa essere som-ministrato a favore del coniuge che non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive. In caso di effettivo e concreto bisogno della parte più debole della coppia, spiega la Corte, “continuerà a operare la giurispru-denza pregressa”, non solo per ragioni di salute, ma anche di età, inidoneità a inserirsi nel mercato del lavoro, mancanza di attività pregressa, di specializzazione.

Vengono individuati come elementi essenziali determinanti all’erogazione dell’assegno alcuni specifici parametri indica-tori di “autosufficienza economica”: il possesso di redditi di qualsiasi specie, cespiti patrimoniali mobiliari e immobiliari (tenuto conto degli oneri imposti e del costo della vita nel luogo di residenza), le capacità effettive di lavoro personale, la stabile disponibilità di una casa di abitazione e altri elementi che potranno rilevare nel caso di specie.

Anche la donazione in favore della moglie può essere re-vocata per sopravvenienza di figli. Corte di Cassazione, 29 gennaio 2018 n. 2106.Nel caso in esame viene trattata la richiesta di revoca di una donazione effettuata a suo tempo dal marito alla moglie: ces-sato il matrimonio e con la nascita di una figlia da altra rela-zione, con rapporti evidentemente molto deteriorati, il marito domandava la revoca per ingratitudine ai sensi dell’art. 801 c.c. ovvero per sopravvenienza di figli ex art. 803 c.c. Le corti di merito accolgono entrambe la domanda di revoca per so-pravvenienza di figli rigettando quella per ingratitudine. La moglie ricorre in Cassazione sostenendo l’irrevocabilità della donazione in quanto rimuneratoria e sostenendo che la cor-te territoriale avrebbe errato nel non escludere la revocabilità della donazione in favore del coniuge, sulla base del principio enunciato dalla Suprema Corte di Cassazione con sentenza n. 1112 del 1965, la quale aveva sancito l’irrevocabilità delle liberalità a vantaggio dei figli naturali riconosciuti. Nel caso di specie, la moglie sosteneva che la donazione era stata fatta per ricompensarla del sostegno alla sua attività di giocatore

di basket professionista, ma la Cassazione conferma da un lato che la donazione avrebbe dovuto essere spontanea e non un corrispettivo ed inoltre che l’assistenza prestata rientrava nei doveri coniugali ex art. 143 c.c., mentre dall’altro afferma che la non estensione dell’irrevocabilità delle donazioni per sopravvenienza dei figli al coniuge si porrebbe in contrasto con l’articolo 3 Cost., poiché differenzierebbe la posizione di soggetti che compongono il nucleo fondamentale familiare (nella specie, moglie e discendenti). Infatti, la situazione del coniuge e quella del figlio non sono del tutto equiparabili, nonostante entrambi siano elementi del gruppo familiare, considerato che il legame fra genitore e discendente è espres-sione di una relazione giuridica diretta destinata a non venire meno, mentre il rapporto fra i coniugi ha natura diversa ed è soggetto a modificazioni nel corso della vita.

La pendenza del procedimento di separazione fra coniu-gi esclude la competenza del tribunale per i Minorenni. Cass., 14 febbraio 2018 n. 3501.Il Tribunale per i minorenni aveva originariamente disposto la sospensione dei genitori dall’esercizio della responsabili-tà genitoriale nei confronti di uno solo dei figli, con il col-locamento del minore presso una comunità terapeutica e la nomina di un tutore, successivamente il procedimento era stato in seguito esteso anche all’altro figlio con l’affidamen-to di entrambi i minori ai Servizi sociali. La Corte escludeva che la successiva instaurazione di un giudizio di separazio-ne tra i genitori dinanzi al Tribunale ordinario comportasse l’incompetenza funzionale del Tribunale per i minorenni, os-servando che il provvedimento impugnato era stato adottato nell’ambito di un procedimento incardinato in precedenza. Viene dunque proposto regolamento di competenza. La Su-prema Corte rileva come il principio della concentrazione delle tutele richiamato dalla giurisprudenza di legittimità, come espressione del canone costituzionale di ragionevole durata del processo, in riferimento alla crisi dell’unione di fat-to, al fine giustificare l’attrazione alla competenza del giudice minorile, prevista dall’art. 38 disp. att. c.p.c. soltanto per i provvedimenti riguardanti l’affidamento dei figli, anche delle domande, non contemplate dall’art. 317-bis c.c., concernenti il mantenimento degli stessi, se contestualmente avanzate, in modo tale da evitare disparità di trattamento rispetto ai figli di genitori coniugati. Al medesimo principio si è ispirato in seguito il legislatore, che, nel modificare l’art. 38 disp. att. c.p.c., con la l. n. 219 del 2012, art. 3, comma 1, ha attribuito alla competenza del giudice ordinario, se proposte in penden-za di un giudizio di separazione o divorzio o di un giudizio ai sensi dell’art. 316 c.c., le azioni dirette ad ottenere provve-dimenti ablativi o limitativi della responsabilità genitoriale, che pertanto, in deroga alla competenza attribuita dell’art. 38 cit., comma 1, primo periodo al tribunale per i minorenni, restano devolute, nella predetta ipotesi, al tribunale ordina-rio, se sia ancora in corso il giudizio di primo grado, o alla corte d’appello in composizione ordinaria, se penda il termi-ne per l’impugnazione o sia stato proposto appello. La ratio di tale concentrazione dev’essere individuata non tanto nella esigenza di consentire una valutazione globale ed unitaria del conflitto familiare e delle attitudini genitoriali dei coniugi, de-stinata a rimanere comunque esclusa in caso di proposizione successiva della domanda di separazione o divorzio, quanto

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LE ULTIMISSIME DELLA GIURISPRUDENZA

nella connessione oggettiva e soggettiva tra dette domande e quelle di cui agli artt. 330 e 333 c.c., che ne legittima la proposizione congiunta dinanzi al giudice del conflitto fami-liare, nonché nella possibile interferenza tra i provvedimenti riguardanti l’affidamento dei figli e quelli ablativi o limitativi della responsabilità genitoriale, e nella conseguente necessità di garantire la coerenza delle relative determinazioni.

Il prelievo da conto corrente cointestato non costituisce automaticamente atto di accettazione di eredità. Cass., 22 febbraio 2018, n. 4320.Una donna chiamata all’eredità aveva effettuato prelievi sul conto corrente cointestato con il de cuius fino a farne calare il saldo a debito e aveva di fatto attinto anche dalla quota di spettanza in via teorica di quest’ultimo. Da tale condotta si voleva inferire automaticamente l’accettazione tacita dell’e-redità in oggetto. La Suprema Corte precisa che nel conto corrente bancario intestato a più persone, i rapporti interni tra correntisti, anche aventi facoltà di compiere operazioni di-sgiuntamente, sono regolati dall’art. 1298 c.c., comma 2, in virtù del quale debito e credito solidale si dividono in quote uguali solo se non risulti diversamente; ne consegue che, ove il saldo attivo risulti discendere dal versamento di somme di pertinenza di uno solo dei correntisti, si deve escludere che l’altro possa, nel rapporto interno, avanzare diritti sul saldo medesimo. A fronte di tale dato, il mero probabile richiamo (implicito) della parte ricorrente alla spettanza al de cuius della metà del saldo in base alla presunzione dell’art. 1298 c.c., non è idoneo a far emergere che il prelievo totale abbia rappresentato un atto che il chiamato “non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede” (art. 476 c.c.), non risul-tando in alcun modo che si sia discusso in causa chi abbia ef-fettuato i versamenti che hanno condotto al saldo, al netto dei prelevamenti, nell’ambito di un’azione di accertamento della qualità di erede in cui l’onere probatorio dell’accettazione è a carico di chi agisce in giudizio contro il chiamato.

La valutazione complessiva degli elementi della fattispe-cie consente il riconoscimento dell’assegno divorzile. Cass., 23 marzo 2018 n. 7342.È nel solco della giurisprudenza della Corte di Cassazione, inaugurata con la sentenza 11504 del 10 maggio 2017, la pronuncia della Corte d’Appello di Genova che conferma l’obbligo del marito di contribuire al mantenimento della ex moglie tenendo conto di una serie di parametri rappresentati da: limitata capacità e possibilità effettiva di lavoro personale e di reddito della beneficiaria, non destinata a incrementar-si in futuro; disponibilità di una casa di abitazione; mancata fruizione di trattamenti pensionistici; venir meno del contri-buto al mantenimento della figlia ormai autonoma; durata del matrimonio pari a 27 anni. A fronte di tali elementi è stata ritenuta congrua la misura di euro 500 di assegno divorzile, a fronte di un reddito mensile dell’uomo di euro 2.700.

L’erede pretermesso ha diritto a succedere nella metà dell’asse ereditario. Cass., 22 marzo 2018 n. 7178.L’erede pretermesso ha diritto alla dichiarazione di nullità del testamento, ai sensi dell’art. 735, comma 1 c.c. e non ai rimedi previsti per la diversa ipotesi di lesione della quota legittima. Il legislatore ha distinto le due ipotesi: preterizione,

dalla quale consegue l’annullamento della scheda testamen-taria, e lesione di legittima, il cui rimedio consta nell’azione di riduzione. I giudici di merito avevano inteso conservare validità alle volontà espresse dal de cuius e avevano rigettato la domanda principale di nullità, mentre avevano accolto le domande formulate in via subordinata di riduzione proposte dall’attrice. Di diverso avviso il giudice di legittimità: il giu-dice di appello è incorso nella violazione del primo comma dell’art. 735 c.c., determinando il mancato riconoscimento, in favore della ricorrente principale, del diritto a succedere nella metà (indistinta) dell’intero asse relitto.

La quota del TFR spetta se liquidato a partire dalla do-manda di divorzio, non per il periodo precedente. Cass., 22 marzo 2018, n. 7239.L’ex coniuge divorziato, titolare di assegno di divorzio, ha di-ritto alla quota del TFR dell’obbligato solo ove la liquidazione sia avvenuta successivamente alla proposizione della doman-da di divorzio. L’espressione, contenuta nell’art. 12-bis della legge 10 dicembre 1970, n. 898, secondo cui il coniuge ha diritto alla quota del trattamento di fine rapporto anche se questo “viene a maturare dopo la sentenza”, implica che tale diritto copre tutto il periodo che va dalla proposizione della domanda di divorzio e per l’avvenire, ma non può retroagire a periodo addirittura precedente la presentazione della do-manda di divorzio.

Incombe su chi chiede il mantenimento l’onere della prova di dimostrarne il bisogno. Cass., 20 marzo 2018 n. 6886.La Corte rigetta il ricorso di una donna che aveva impugnato la revoca del proprio assegno di mantenimento, lamentando violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 del codice civile e gli artt. 115 e 116 c.p.c., per avere erroneamente posto a suo carico l’onere di dimostrare lo stato di bisogno relativo alla percezione dell’assegno di mantenimento. La donna a parere della Corte era tenuta infatti a dimostrare il proprio stato di bisogno, non sussistente data la sua disoccupazione non in-colpevole, l’alto grado di istruzione, la giovane età e la buona salute goduta.

Se i fratelli biologici dell’adottato lo permettono, egli può accedere alle informazioni che lo riguardano. Cass., 20 marzo 2018 n. 6963.Importante puntualizzazione dell’esercizio del diritto dell’a-dottato a conoscere le proprie origini, viene eseguita dalla Corte di Cassazione. Secondo la Corte non è possibile limi-tare l’accesso alle informazioni ai soli genitori biologici, ma è necessario estenderlo anche ai congiunti più stretti, come i fratelli e le sorelle, a prescindere dal fatto che l’articolo 28 della legge 184/1983 non li menzioni espressamente. Il dirit-to dell’adottato ad accedere alle informazioni concernenti le sorelle e i fratelli biologici adulti è possibile per i giudici solo dopo il compimento del 25esimo anno di età dell’adottato e “previo interpello dei fratelli e delle sorelle, mediante proce-dimento giurisdizionale idoneo ad assicurare la massima ri-servatezza ed il massimo rispetto della dignità dei soggetti da interpellare, al fine di acquisirne il consenso all’accesso alle informazioni richieste o di constatarne il diniego, da ritenersi impeditivo dell’esercizio del diritto”.

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126 L’Osservatorio sul diritto di famiglia | gennaio-agosto 2018

LE ULTIMISSIME DELLA GIURISPRUDENZA

Per il procedimento volto a dichiarare adottabile un mino-re è sempre necessaria la partecipazione di una figura di tutela dello stesso, pena la nullità del giudizio. Cass., 14 marzo 2018 n. 6384.La cassazione precisa che il procedimento per la dichiarazione di adottottabilità di un minore debba svolgersi sempre alla presenza dello stesso, che ne deve essere parte sin dall’inizio, o tramite un curatore speciale o rappresentante legale, sogget-to a cui compete la nomina di un difensore tecnico. Va da sé che se ciò non avviene, il giudizio deve essere annullato “de quo”, non avendo potuto il minore esercitare il potere di veri-fica e di contraddittorio su tutti gli atti processuali che hanno costituito elemento di decisione per il giudice.

Non si raggiunge l’accordo per il beneficio dell’assegno divorzile una tantum se non è espressamente dichiarato e sottoscritto dalle parti in causa. Cass., ord. 28 febbraio 2018 n. 4764.La Cassazione sottolinea come la domanda di corresponsione dell’assegno divorzile una tantum non possa essere ritenuta implicita sulla scorta di quanto concordato in sede di separa-zione consensuale, laddove – come nel caso di specie – attese le posizioni di aperta contrapposizione delle parti nel giudizio divorzile, non sia stata puntualmente verificata proprio in detta sede la sussistenza dei presupposti di legge in merito all’accor-do secondo quanto previsto dalla l. n. 898 del 1970, articolo 5, comma 8. Invero, la decisione impugnata, ove sembra attribu-ire alla previsione contenuta negli accordi di separazione con-sensuale omologati il valore di preventiva pattuizione anche sul quantum della obbligazione divorzile, non risulta conforme al principio della Cassazione ricordato. Pertanto la sentenza viene cassata e rinviata alla corte di appello in diversa composizione.

Avverso la revoca di nomina di amministrazione di so-stegno da parte dell’Ente pubblico che aveva delegato un professionista non sono esperibili i rimedi processuali or-dinari. Cass. ord. 5 marzo 2018 n. 5123.Non è impugnabile con i tradizionali mezzi impugnatori la so-stituzione dell’amministratore di sostegno determinata dall’en-te pubblico che era ab origine stato individuato dal giudice tutelare come amministratore d sostegno di un soggetto fragile. La sostituzione del professionista che era stato delegato dall’en-te a svolgere le mansioni di amministratore di sostegno, come previsto dalla legge, che stabilisce che anche un ente pubblico possa essere nominato Ads e che possa poi delegare una perso-na fisica che legittimamente e praticamente svolga le funzioni, era stata necessaria per gravi lacune nella gestione patrimonia-le e contabile del beneficiario. La cassazione ritiene però che l’impugnazione della sostituzione effettuata dall’Ente non possa ritenersi esperibile con i mezzi ordinari di impugnazione poi-ché trattasi di attività di sostituzione di un delegato, come tale attività meramente amministrativa ed ordinatoria e che nulla ha a che fare con attività di apertura o chiusura del procedimento di amministrazione di sostegno, provvedimenti invece aventi requisito della definitività e pertanto impugnabili davanti all’or-gano gerarchicamente sovraordinato.

Il danno aquiliano da violazione dei doveri coniugali è ammissibile ma deve essere rigorosamente dimostrato. Cass., 23 febbraio 2018 n. 4470.

La moglie tradita chiede nel corso del giudizio di separazione l’addebito della stessa nonché il risarcimento del danno ex art. 2043 e 2059 c.c. L’addebito viene pronunciato, mentre il risar-cimento del danno aquiliano non viene concesso né in primo né in secondo grado: viene dunque proposto ricorso In Cas-sazione. Non è dato conoscere i fatti ma la sentenza fa com-prendere che la condotta maritale fosse stata caratterizzata da episodi connotati da estrema gravità, tanto che non pare venire in discussione che vi sia stata una violazione dei diritti della persona costituzionalmente garantiti quale l’onore il e il deco-ro della moglie. Ciò che viene però sottolineato dalla Suprema Corte è che non basta la prova della condotta contra legem, il danno deve essere specificamente dimostrato con rigore nell’an e nel quantum, non potendo essere ravvisato in re ipsa.

Non si può dichiarare lo stato di abbandono del minore prima di aver verificato se i parenti possano svolgere il ruolo genitoriale con l’ausilio dei servizi sociali. Cass., 16 febbraio 2018 n. 3915.La vicenda verte sulla dichiarazione dello stato di abban-dono di un minore di padre ignoto la cui madre, affetta da insufficienza mentale, non risultava idonea ad assumere la responsabilità genitoriale. L’indagine circa il nucleo familiare ove viveva la giovane non sembrava aver dato esito positivo, atteso che i nonni, per diversi motivi, non apparivano ade-guati a prendersi cura del piccolo, mentre l’unico soggetto che poteva avere le caratteristiche idonee, ossia lo zio ven-tiquattrenne, era stato escluso in ragione della giovane età e degli impegni lavorativi. La Suprema Corte accoglie il ricorso presentato dallo zio in quanto la conclusione in merito alla sua inidoneità non aveva preso in considerazione un possi-bile percorso pubblico di accompagnamento e di supporto, che non era stato neppure prospettato. La Cassazione, citan-do anche la giurisprudenza CEDU, afferma che in tema di dichiarazione dello stato di adottabilità di un minore, ove i genitori siano considerati privi delle capacità genitoriali, un giudizio altrettanto negativo sugli stretti parenti, in rapporti significativi con il bambino, deve essere formulato attraverso la considerazione di dati oggettivi, osservazioni e disponibili-tà rilevate dai servizi sociali, che hanno avuto contatti con il bambino e monitorato anche il suo stretto ambito familiare, con una valutazione della personalità e della capacità educati-va e direttiva del minore posseduta dai componenti di quello, in considerazione dei diritti personalissimi coinvolti dall’esito finale del giudizio e del principio secondo cui l’adozione ul-trafamiliare deve considerarsi come approdo estremo.

L’atto di cointestazione di un rapporto bancario può esse-re qualificato come donazione indiretta solo quando sia verificata l’esistenza dell’animus donandi. Cass., 28 feb-braio 2018 n. 4682.La vicenda si fonda su una contesa relativa alla cointestazio-ne di un conto, del quale una parte chiedeva l’attribuzione della metà del saldo mentre l’altra si opponeva alla ricostru-zione prospettata da controparte quale donazione indiretta. La Cassazione conferma quanto stabilito nella sentenza del Tribunale di Potenza del 16 dicembre 2017 già pubblicata sul sito. L’atto di cointestazione di un conto corrente e del relativo saldo a firma disgiunta, con provvista proveniente dalle risorse di una parte, con firma e disponibilità disgiunte,

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LE ULTIMISSIME DELLA GIURISPRUDENZA

può essere qualificato come donazione indiretta solo quan-do sia verificata l’esistenza dell’animus donandi. Deve dunque essere accertato che il proprietario del denaro non aveva, nel momento della cointestazione, altro scopo che quello della liberalità. Nella donazione indiretta la liberalità si realizza, anziché attraverso il negozio tipico di donazione, mediante il compimento di uno o più atti che, conservando la forma e la causa che è ad essi propria, realizzano, in via indiretta, l’effetto dell’arricchimento del destinatario: non è sufficiente dunque dimostrare il compimento dell’atto, ma occorre di-mostrare la volontà ad esso sottesa.

Il provvedimento di assegnazione della casa ha efficacia anche contro i proprietari che avevano concesso l’immo-bile in comodato al coniuge non assegnatario. Cass., 12 febbraio 2018 n. 3302.Nel caso i genitori avevano concesso in comodato gratuito l’immobile al figlio, il quale poi si era sposato, aveva avuto figli e quindi si era separato ed aveva divorziato. La casa era rimasta in assegnazione alla moglie ed alla figlia. I genitori avevano agito in giudizio per cercare di riottenere la dispo-nibilità dell’immobile, adducendo fra l’altro che si trattasse di comodato concesso non per motivi di famiglia ma per esi-genze lavorative e che comunque la sentenza di divorzio si limitava a stabilire che la minore dovesse vivere con la ma-dre senza nulla stabilire sull’assegnazione. Richieste, respinte nelle corti di merito, vengono rigettate anche dalla Suprema Corte la quale da un lato stabilisce che qualora i comodanti nulla a suo tempo abbiano obiettato all’eventuale mutamento dell’uso per esigenze familiari, nulla possono pretendere dette esigenze permangano. Dall’altro stabilisce che costituisce “jus receptum” che il provvedimento con il quale il Giudice della separazione o del divorzio dispone l’assegnazione della casa coniugale – anche a favore del coniuge che non sia titolare di diritti reali o personali sul bene nei confronti del terzo pro-prietario – non investe il titolo negoziale che regolava la uti-lizzazione dell’immobile prima del dissolvimento della unità del nucleo familiare (Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 13603 del 21 luglio 2004), alla stregua del quale continuano ad es-sere disciplinate le obbligazioni derivanti dal rapporto tra le parti, venendo soltanto a “concentrare” l’esercizio dei diritti e delle obbligazioni esclusivamente in capo al coniuge assegna-tario (nella specie non contraente il comodato) a favore del quale, pertanto, non viene costituito alcun nuovo diritto che va a limitare la preesistente situazione giuridica del dominus.

Non c’è diritto all’assegno di mantenimento dopo la sepa-razione, se si hanno disponibilità economiche, attività la-vorative e giovane età. Cass., ord. 8 marzo 2018 n. 5593.In considerazione della breve durata del matrimonio e dell’in-sussistenza di un divario delle condizioni reddituali dei co-niugi, tenuto conto che l’uomo pensionato, aveva un reddito di euro 750,00 mensili, era proprietario di un piccolo locale sfitto ed aveva dovuto vendere un immobile per fare fronte a debiti consistenti e viveva in una casa in affitto, la Cassazio-ne ritiene che non vi siano i presupposti per un assegno di mantenimento dopo la separazione per la donna. La stessa, molto più giovane del marito, gestiva una lavanderia ed era proprietaria di una villa. Il ricorso di lei viene pertanto dichia-rato inammissibile.

Non si è tenuti al mantenimento del figlio maggiorenne, se lo stesso al termine del ciclo di studi, è diventato av-vocato si è iscritto all’albo professionale. Cass., 5 marzo 2018 n. 5088.La Cassazione accoglie le doglianze del padre di un neo av-vocato che, conclusi gli studi ed iscrittosi al relativo albo professionale, chiedeva di essere dichiarato non più tenuto a corrispondere al figlio le somme previste per il suo man-tenimento. L’esistenza dell’iscrizione all’albo professionale e l’effettiva attività di avvocato svolta dal giovane presso uno studio legale, nonché l’esistenza di alcuni conti correnti a nome del figlio sui quali erano presenti somme derivanti dalla sua attività lavorativa hanno convinto la Corte che fosse stato errato l’operato dei giudici di merito, che avevano ritenuto che tali circostanze (l’aver terminato il percorso di studi ed il conseguente avvio della professione forense) non fossero suf-ficienti a comprovare l’indipendenza economica del neoavvo-cato, rigettando l’istanza di informativa, avanzata dallo stesso padre, sui conti correnti e depositi bancari del figlio. La Corte d’appello dovrà, pertanto, tenendo conto del più recente indi-rizzo ermeneutico in tema di mantenimento dei figli maggiori di età di cui all’art 147 cc, e consentire al padre di fornire la prova del raggiungimento dell’autosufficienza economica del figlio neoavvocato.

Le spese straordinarie non devono considerarsi futili se sono mirate ad escludere un disagio per il minore. Cass., 7 marzo 2018 n. 5490.I giudici della prima sezione civile hanno respinto il ricorso del padre di una ragazza, nata da una relazione more uxorio, il quale non voleva rimborsare alla ex compagna poco più di 5 mila euro: la quota parte dovuta per un trattamento estetico volto a rimuovere dal viso della figlia strati di peluria anomali. Detta condizione determinava un forte disagio nella ragazza e nelle sue relazioni. La madre pertanto l’aveva fatta sottoporre a trattamenti estetici di epilazione permanente. Ma il padre si opponeva a tale richiesta economica. A detta dell’uomo, infatti, in assenza di una concertazione preventiva e di pre-scrizioni mediche che attestassero l’utilità della “cura”, l’inter-vento si doveva considerare futile e inutile e dunque il denaro richiesto dalla madre affidataria non era dovuto. Secondo i giudici di legittimità invece non è ipotizzabile a carico del genitore affidatario un obbligo di informazione né un accordo preventivo, sulla determinazione delle spese straordinarie se queste riguardano una decisione di “maggiore interesse” per il figlio. Di conseguenza il genitore non affidatario è tenuto al rimborso nel caso non abbia tempestivamente fornito validi motivi di dissenso.

Giustificato il beneficio dell’amministratore di sostegno se si è dipendenti dalle spese futili e dal gioco. Cass., 7 marzo 2018 n. 5492.Può adottarsi la misura di protezione dell’amministrazione di sostegno, nell’interesse del beneficiario, anche quando ricor-ra una condizione di prodigalità. La Corte di Appello aveva escluso la legittimità del procedimento volto all’inabilitazione di una donna che aveva contratto in poco tempo una serie in-credibile di debiti, fra gli altri anche per acquisto di consuma-zioni al bar e di “gratta e vinci” (34 mila euro circa) ed anche per finanziamenti, a fronte di entrate derivanti da reddito da

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pensione pari ad € 1600 circa. La Corte di Appello aveva con-statato l’esistenza dei presupposti per la nomina di un ammi-nistratore di sostegno. La Cassazione ritiene corretto questo assunto. Il giudice di secondo grado ha dunque correttamente applicato l’amministrazione di sostegno in quanto “maggior-mente idonea ad adeguarsi alle esigenze del soggetto, attesa la sua flessibilità e la maggiore agilità della procedura appli-cativa meno afflittiva rispetto alla inabilitazione”. Importante il passaggio della Cassazione, secondo cui la prodigalità “cioè un comportamento abituale caratterizzato da larghezza nello spendere, nel regalare o nel rischiare eccessivamente rispetto alle proprie condizioni socio-economiche ed al valore ogget-tivamente attribuibile al denaro”, configura “autonoma causa di inabilitazione, indipendentemente da una sua derivazione da specifica malattia o comunque infermità, e, quindi, anche quando si traduca in atteggiamenti lucidi, espressione di libe-ra scelta di vita, purché sia ricollegabile a motivi futili”.

La stabile convivenza more uxorio esclude il diritto all’as-segno di mantenimento. Cass., 5 febbraio 2018 n. 2732.In un procedimento di modifica di condizioni di divorzio, la Corte d’Appello di Brescia, riformava la pronuncia di pri-mo grado, escludendo che la convivenza more uxorio dell’ex coniuge, beneficiario di assegno facesse venir meno il diritto all’assegno stesso. Ne segue il ricorso in Cassazione del co-niuge onerato. La Suprema Corte accoglie il ricorso. Giuri-sprudenza di legittimità, ampiamente consolidata da alcuni anni (tra le altre, Cass. n. 17195 del 2011; Cass. n. 6855 del 2015; Cass. 18111 del 2017), afferma che la scelta dell’ex coniuge di costituire una convivenza more uxorio stabile e duratura, che all’evidenza, ben diversa da una mera coabita-zione tra soggetti estranei, fa venir meno il diritto all’assegno. Ciò del tutto indipendentemente dalla posizione economica di ciascun convivente. La Corte peraltro puntualizza che oc-corre avere attenzione al momento in cui la convivenza si è instaurata, dato che è proprio tale momento che fa decorrere la cessazione del diritto all’assegno.

Anche la donazione in favore della moglie può essere re-vocata per sopravvenienza di figli. Cass., 29 gennaio 2018 n. 2106.Nel caso in esame viene trattata la richiesta di revoca di una donazione effettuata a suo tempo dal marito alla moglie: ces-sato il matrimonio e con la nascita di una figlia da altra rela-zione, con rapporti evidentemente molto deteriorati, il marito domandava la revoca per ingratitudine ai sensi dell’art. 801 c.c. ovvero per sopravvenienza di figli ex art. 803 c.c. Le corti di merito accolgono entrambe la domanda di revoca per so-pravvenienza di figli rigettando quella per ingratitudine. La moglie ricorre in Cassazione sostenendo l’irrevocabilità della donazione in quanto rimuneratoria e sostenendo che la cor-te territoriale avrebbe errato nel non escludere la revocabilità della donazione in favore del coniuge, sulla base del principio enunciato dalla Suprema Corte di Cassazione con sentenza n. 1112 del 1965, la quale aveva sancito l’irrevocabilità delle liberalità a vantaggio dei figli naturali riconosciuti. Nel caso di specie, la moglie sosteneva che la donazione era stata fatta per ricompensarla del sostegno alla sua attività di giocatore di basket professionista, ma la Cassazione conferma da un lato che la donazione avrebbe dovuto essere spontanea e non

un corrispettivo ed inoltre che l’assistenza prestata rientrava nei doveri coniugali ex art. 143 c.c., mentre dall’altro afferma che la non estensione dell’irrevocabilità delle donazioni per sopravvenienza dei figli al coniuge si porrebbe in contrasto con l’articolo 3 Cost., poiché differenzierebbe la posizione di soggetti che compongono il nucleo fondamentale familiare (nella specie, moglie e discendenti). Infatti, la situazione del coniuge e quella del figlio non sono del tutto equiparabili, nonostante entrambi siano elementi del gruppo familiare, considerato che il legame fra genitore e discendente è espres-sione di una relazione giuridica diretta destinata a non venire meno, mentre il rapporto fra i coniugi ha natura diversa ed è soggetto a modificazioni nel corso della vita.

Il figlio biologico ha diritto all’accesso ai dati della madre naturale qualora la stessa sia deceduta. Cass., 7 febbraio 2018 n. 3004.Il ricorrente, essendo figlio adottivo, chiedeva al Tribunale per i Minorenni di Torino di accedere alle informazioni riguardanti l’identità dei propri genitori biologici. Il Tribunale, avendo ac-certato all’esito delle indagini compiute, che il padre era ignoto, che la madre era deceduta e che, al momento del parto, aveva chiesto di non essere nominata, rigettava il ricorso, rilevando che la morte rendeva per il figlio impossibile accedere all’iden-tità della madre, il cui interpello – previsto dalla Corte costitu-zionale con la sentenza n. 278 del 2013, al fine di consentirle di revocare la dichiarazione di non essere nominata – non era più possibile e considerato anche il termine, previsto dal d.lgs. n. 196 del 2003, art. 93, comma 2, di cento anni dalla formazione del documento per il rilascio della copia integrale del certifi-cato di assistenza al parto o della cartella clinica, comprensivi dei dati personali che rendono identificabile la madre che ab-bia dichiarato di non voler essere nominata. La sentenza veniva confermata in appello. La Cassazione ribalta la pronuncia, af-fermando che nel caso di parto anonimo, sussiste il diritto del figlio, dopo la morte della madre, di conoscere le proprie origini biologiche mediante accesso alle informazioni relative all’iden-tità personale della stessa, non potendosi considerare operativo, oltre il limite della vita della madre che ha partorito in anonimo, il termine previsto dal d.lgs. n. 196 del 2003, art. 93, comma 2. Una diversa soluzione determinerebbe la cristallizzazione di tale scelta anche dopo la sua morte e la definitiva perdita del diritto fondamentale del figlio, in evidente contrasto con la necessaria reversibilità del segreto (Corte Cost. n. 278 del 2013).

Il mantenimento della prole verte su entrambi i genito-ri, anche se l’uno già provvede l’altro non può esimersi. Cass. pen., 14 febbraio 2018 n. 7179.La corte ribadisce che sussistano comunque i presupposti dell’art. 570 c.p. contestati all’imputato, ritenendo che lo stato di bisogno di un figlio minorenne, presunto dalla legge, non è eliso dal fatto che alla erogazione dei mezzi di sussistenza provveda l’altro genitore, perché persiste comunque l’obbligo di entrambi i genitori di provvedere al mantenimento dei figli minorenni. Inoltre è fuori di dubbio che il reato è integra-to dal mero inadempimento dell’obbligo di corresponsione dell’assegno, prescindendo dalla prova dello stato di bisogno dell’avente diritto. L’imputato, avendo versato solo € 100,00 (cento)a fronte dei 350,00 dovuti previsti dalla sentenza sta-bilita in sede di separazione, ha messo in gravi difficoltà la

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prole che si è vista privata di mezzi di sussistenza anche se a loro provvedeva l’altro genitore.

Impossibile per l’ufficiale di stato civile trascrivere l’atto di nascita di due minori, nati da fecondazione eterologa e figli di una coppia omosessuale coniugata in Canada. Cass. 22 febbraio 2018 n. 4382.In merito al riconoscimento del provvedimento giurisdizionale straniero, che dichiarava due minori figli di una coppia di uo-mini coniugata secondo le leggi canadesi, ci si pone l’interroga-tivo della possibile delibazione nel vigente ordinamento italiano di una tale disposizione. Con le possibili conseguenze in merito alla delimitazione dell’ordine delle regole di ordine pubblico ed al loro valore intrinseco. Sotto il profilo di legittimità invece vengono a toccarsi questioni attinenti alla carenza di legittimità processuale del sindaco della città, del Ministro dell’Interno e del Procuratore generale. Proprio per tali complesse situazioni vertenti su entrambi i piani di merito e legittimità, la Corte su-prema con la presente ordinanza interlocutoria, rimette le que-stioni riunite al Primo Presidente, per l’eventuale assegnazione alle sezioni unite, ai sensi dell’art 374 c.p.c., in ragione e per la risoluzione di questioni di particolare importanza.

Essere mantenuti con il medesimo tenore di vita che i ge-nitori potevano offrirgli prima della separazione è diritto dei figli. Cass., ord. 19 febbraio 2018 n. 3922.La disparità di redditi fra i coniugi e la valutazione degli stessi in ordine ai compiti ed alle esigenze da svolgere nell’interesse dei figli non deve creare loro disagi o limitazioni. L’esigenza dei figli a prescindere dalla separazione dei genitori è diretta-mente collegata a mantenere le stesse possibilità economiche che avevano in costanza di convivenza coi genitori. L’interes-se degli stessi non è meramente legato al raggiungimento di autosufficienza economica per il proprio sostentamento ma verte su altre voci di spesa, come quelle relative alle attività scolastiche, parascolastiche, sportive ed educative. I figli han-no pertanto diritto a mantenere il tenore di vita che i genitori offrivano loro in costanza di matrimonio.

L’obbligo di corrispondere assegno divorzile ha fonda-mento personalissimo ed è intrasmissibile agli eredi. Cass., 20 febbraio 2018 n. 4092.Alla morte del soggetto obbligato al pagamento dell’assegno divorzile all’ex coniuge, qualora si versi ancora nelle more del giudizio attinente alla sfera dell’entità delle somme, l’obbligo non può essere trasferito in via successoria agli eredi dello stesso. L’obbligo di corrispondere all’ex coniuge l’assegno di divorzio è sempre legato indissolubilmente allo status, come tale elemento personalissimo ed intrasferibile, poiché può es-sere accertato solo in relazione all’esistenza della persona cui lo status di ex coniuge si riferisce. Pertanto è improseguibile nei confronti degli eredi dell’obbligato l’azione di riconosci-mento dell’assegno divorzile da parte del coniuge superstite e non può richiedersi di subentrare nella posizione processuale dell’obbligato agli eredi del de cuius.

La violenza verso il coniuge non è mai giustificata dalla condotta dell’altro. Cass., ord. 19 febbraio 2018 n. 3293.All’esito di un giudizio di separazione, la stessa veniva ad-debitata all’uomo, responsabile di fatti violenti nei confronti

della moglie che avevano determinato l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza. Ricorreva in appello l’uomo, sollevando eccezioni in merito all’omessa valutazione del comportamento della donna, e la corte territoriale dichiara-va la separazione addebitabile anche alla donna. Ricorreva in cassazione quest’ultima, ritenendo che il proprio compor-tamento fosse da ascrivere alle continue violenze subite dal marito, che l’avevano di fatto spinta ad intraprendere una nuova relazione in costanza di matrimonio. Dispone la corte suprema di legittimità che le doglianze della donna, attinenti al merito, non possano e non debbano essere discusse in tale sede, dichiarando il ricorso inammissibile. Comunque viene ribadito il principio che il comportamento violento di un co-niuge non possa mai essere giustificato dalla condotta dell’al-tro e che, tale comportamento, non possa nemmeno essere utilizzato per giustificare il tradimento del coniuge.

Corretta l’autonomia del padre separato nelle questioni re-lative alla salute dei figli, anche se in regime di affidamento condiviso. Cass., ord. del 16 febbraio 2018 n. 3913.La madre ricorreva in Cassazione per le modifiche alle dispo-sizioni in materia di affidamento condiviso dei figli minori, la-mentando che i bambini non fossero stati nuovamente ascol-tati nonostante fossero stati dichiarati capaci di discernimen-to. La donna si doleva del fatto che i figli fossero stati collocati presso il padre non a causa del loro miglior interesse ma rela-tivamente a delle proprie posizioni di intransigenza nei con-fronti di ricorso alla medicina non tradizionale, all’omeopatia e al rifiuto della stessa di sottoporre alla vaccinazione i propri figli. La Cassazione rilevava il corretto operato del tribunale territoriale, sia ove non aveva ritenuto opportuno riascoltare i bambini, sia ove aveva ritenuto che il loro miglior interesse fosse permanere con il padre, date le convinzioni della donna su tecniche mediche e omeopatia, opinioni e convincimenti che non aveva saputo meglio giustificare o spiegare in sede di ricorso avverso la sentenza appellata.

Il parametro dell’autosufficienza economica è più attinen-te allo spirito della legge sul divorzio. Cass., sent del 26 gennaio 2018 n. 2042.In merito alla spettanza di un assegno divorzile, la Cassazione ritiene che il nuovo orientamento del maggio 2017 fornisca un parametro assai più rispettoso della ratio dell’art. 5, com-ma sesto, della legge 898 del 1970 quanto alla spettanza o meno dell’assegno divorzile, ovverosia quello dell’autosuffi-cienza economica del richiedente l’esborso. È molto più con-sono alla lettera e alla ratio nella norma, esclude dalla fase dell’an qualsiasi comparazione delle condizioni economiche dei coniugi e ogni riferimento al tenore di vita pregresso. Ciò non implica comunque che l’assegno non possa essere som-ministrato a favore del coniuge che non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive. In caso di effettivo e concreto bisogno della parte più debole della coppia, spiega la Corte, “continuerà a operare la giurispru-denza pregressa”, non solo per ragioni di salute, ma anche di età, inidoneità a inserirsi nel mercato del lavoro, mancanza di attività pregressa, di specializzazione. Vengono individuati come elementi essenziali determinanti all’erogazione dell’as-segno alcuni specifici parametri indicatori di “autosufficienza economica”: il possesso di redditi di qualsiasi specie, cespiti

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patrimoniali mobiliari e immobiliari (tenuto conto degli oneri imposti e del costo della vita nel luogo di residenza), le ca-pacità effettive di lavoro personale, la stabile disponibilità di una casa di abitazione e altri elementi che potranno rilevare nel caso di specie.

Errata l’interpretazione del provvedimento presidenziale da parte della corte territoriale. L’uomo non era tenuto al pagamento per intero delle rate del mutuo dopo il divor-zio. Cass., ord. del 17 gennaio 2018 n. 1072.I Giudici di secondo grado avevano rilevato che il provvedi-mento presidenziale con il quale erano state stabilite in via provvisoria le condizioni economiche del divorzio pur non avendo posto a carico dell’uomo l’obbligo di pagamento della rata integrale del mutuo, quale misura sostitutiva dell’assegno divorzile non accordato alla moglie, si fondava tuttavia sulla premessa dell’assunzione volontaria di tale impegno da parte del marito; impegno che andava qualificato quale accollo in-terno. L’uomo propone ricorso e lo stesso è accolto. Si ritiene, infatti, che la prova dell’accollo non potesse desumersi dalle mere premesse di un provvedimento presidenziale (peraltro temporaneo e destinato ad esaurire i suoi effetti col passaggio in giudicato della sentenza di divorzio) che non solo non con-teneva alcuna statuizione a riguardo, ma ometteva di dare atto delle modalità attraverso le quali l’odierno ricorrente aveva manifestato l’effettiva volontà di assumere per l’intero, in via definitiva, l’obbligazione di pagamento. i giudici infatti preci-sano che “il successivo passaggio motivazionale, con il quale la corte del merito si è limitata a rilevare che il capo della sen-tenza di divorzio che aveva rigettato la domanda della donna di corresponsione di un assegno divorzile non incideva sulla propria decisione, ma ha omesso totalmente di considerare che detta sentenza, dopo aver escluso (in contrasto con quan-to da essa accertato) che il provvedimento presidenziale aves-se tenuto conto dell’impegno assunto dal marito di pagare in via esclusiva il mutuo gravante sulla casa coniugale, aveva anche respinto l’ulteriore domanda della signora, volta ad ot-tenere che l’obbligo di pagamento delle rate del mutuo fosse posto a carico esclusivo dell’ex coniuge”.

Non c’entra solo l’età dei genitori, l’analisi dell’idoneità genitoriale si fonda sull’effettiva capacità di comprendere i bisogni del figlio. Cass., sent. 14 febbraio 2018 n. 3594.Due genitori chiedevano la revocazione della sentenza di cas-sazione che dichiarava adottabile la loro bambina, a seguito di un episodio abbandonico della stessa avvenuto anni prima. Secondo la coppia era stato dato rilievo solo al requisito ana-grafico della differenza di età con la bambina, senza esamina-re il concreto svolgimento dei fatti. Dopo aver esaminato la storia processuale e le relazioni tecniche dei servizi sociali e dei consulenti, con i numerosi approfondimenti, la Suprema corte afferma che la bimba, nata da genitori non culturalmen-te né socialmente o economicamente disagiati, non era mai davvero stata in pericolo o in stato di abbandono in quel fran-gente. L’analisi della corte si incentra però sulla effettiva ca-pacità della coppia di comprendere le esigenze della minore. La storia processuale evidenziava infatti già una difficile fase antecedente il parto con segnalazione alle competenti figure professionali della possibilità dei genitori di essere inadeguata alla gestione quotidiana della prole, il rifiuto della madre di

farsi sostenere nelle prime fasi della vita della bambina, l’a-iuto accettato solo in fase post giudiziale. La Suprema corte ha evidenziato che corretto è stato il lavoro svolto dalla cor-te territoriale, che ha esaminato le problematiche non solo fondandosi sul requisito anagrafico della differenza di età fra i genitori e la bambina, pur rilevandolo come elemento im-portante nella valutazione, ma soffermandosi sulla struttura inadeguata della coppia genitoriale, vittima di una “inemen-dabile difficoltà a rispondere ai bisogni della piccola”. Infatti si evidenzia come il padre fosse totalmente dipendente dalle aspettative e dai desideri della moglie mentre quest’ultima era chiusa in un narcisismo che le impediva di percepire la mino-re come investimento affettivo.

La rinuncia all’azione di riduzione da parte del legittima-rio pretermesso non può essere dedotta da comportamen-ti taciti ai sensi dell’art. 590 c.c. Cass., 5 gennaio 2018 n. 168.Nella presente controversia ereditaria, avente ad oggetto un testamento di dubbia interpretazione e disposizioni che erano suscettibili di ledere i diritti del legittimario, una delle par-ti sosteneva in giudizio che il comportamento dell’attore che domandava l’azione di riduzione era stato di acquiescenza alle disposizioni asseritamente lesive e che di conseguenza di era stata una rinuncia. Secondo la Corte d’Appello tale argomen-tazione andava ad impedire l’accoglimento dell’azione di ridu-zione era anche la circostanza che il ricorrente aveva tenuto una serie di condotte che implicavano l’accettazione dei legati disposti in suo favore, e dalle quali era possibile ricavare in maniera inequivoca la volontà di rinunciare a far valere la le-sione, anche alla luce di quanto prevede l’art. 590 c.c. La sen-tenza viene cassata ritenendo la Suprema Corte inappropriato il richiamo compiuto dalla Corte distrettuale alla previsione di cui all’art. 590 c.c., che non è invocabile, al fine di escludere la tutela dei diritti del legittimario. La costante giurisprudenza di legittimità che ha avuto modo di affermare che la conferma della disposizione testamentaria o la volontaria esecuzione di essa non opera rispetto alle disposizioni lesive della legittima, in quanto gli effetti convalidativi di cui all’art. 590 c.c., si rife-riscono alle disposizioni testamentarie nulle, mentre tali non sono quelle lesive della legittima, essendo soltanto soggette a riduzione Pertanto, l’esecuzione volontaria di per sé non pre-clude al legittimario l’azione di riduzione, salvo che egli abbia manifestato anche tacitamente la volontà di rinunziare all’in-tegrazione della legittima, potendosi però desumersi l’esisten-za di una rinunzia tacita attraverso un complesso di elementi concordanti da cui emerga che la parte interessata abbia avuto la consapevolezza dell’esorbitanza della disposizione testa-mentaria dai limiti della porzione disponibile e tuttavia abbia eseguito integralmente la disposizione medesima.

Vi è litisconsorzio necessario fra gli eredi in caso di do-manda di risoluzione del legato per mancato assolvimen-to dell’onere. Cass., 22 gennaio 2018, n. 1468.La testatrice disponeva a favore delle Pontificie Opere Mis-sionarie un legato avente ad oggetto tutto il denaro della de cuius depositato presso un Istituto nonché tutti i titoli e/o va-lori mobiliari depositati presso lo stesso Istituto con l’onere che venissero celebrate 30 Messe Gregoriane in suffragio della propria anima, di quella dei defunti genitori e dei defunti fra-

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telli. Intervenuto il decesso della testatrice l’ente beneficiario del legato richiedeva agli eredi l’adempimento, inoltrando co-pia del testamento anche all’istituto di credito, apprendendo poi che i conti erano già stati chiusi dagli eredi. Ne seguiva un lungo contenzioso, avente ad oggetto anche gli importi depositati la cui appartenenza alla de cuius veniva contestata e uno dei coeredi in via riconvenzionale domandava anche la risoluzione del suddetto legato, in quanto, ancorché già in parte adempiuto dagli altri eredi che non avevano partecipato al giudizio e che non erano stati in esso evocati, non risultava che l’onere fosse stato assolto. La Corte conclude che la pro-posizione della domanda di risoluzione per l’inadempimento dell’onere apposto alla previsione a titolo di legato gravante su tutti i coeredi, impone di ritenere che sussista il litiscon-sorzio necessario, non solo tra il ricorrente e la legataria, ma anche nei riguardi di tutti gli altri onerati. A tal fine va altresì ricordato che a mente dell’ultimo comma dell’art. 677 c.c., nel caso in cui risulti pronunziata la risoluzione del legato, che nella fattispecie ha carattere unitario essendo posto a ca-rico di tutti i coeredi, ancorché tenuti al suo inadempimento pro quota, gli eredi subentrerebbero nell’onere, sicché appare confermata la correttezza della soluzione che impone che al giudizio che investe la risoluzione del modus debbano ne-cessariamente prendere parte tutti i soggetti che verrebbero a subentrare negli obblighi imposti dal de cuius al legatario ina-dempiente. Deve quindi affermarsi che il litisconsorzio neces-sario operi anche laddove la domanda di risoluzione investa la disposizione testamentaria che in maniera unitaria abbia previsto un legato a carico di tutti i coeredi. L’accoglimento di tale principio ha comportato il rinvio della causa al giudice di primo grado, dato che già presso il Tribunale il litisconsorzio non era stato correttamente integrato.

Anche al padre, come alla madre, spetta il danno esofa-miliare da errore medico. Cass., 5 febbraio 2018 n. 2675.In tema di responsabilità del medico per erronea diagnosi concernente il feto e conseguente nascita indesiderata, il risar-cimento dei danni che costituiscono conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento della struttura sanitaria all’ob-bligazione di natura contrattuale spetta non solo alla madre, ma anche al padre, atteso il complesso dei diritti e doveri che, secondo l’ordinamento, si incentrano sulla procreazione co-sciente e responsabile, considerando che, agli effetti negativi della condotta del medico ed alla responsabilità della strut-tura in cui egli opera, non può ritenersi estraneo il padre, il quale deve considerarsi tra i soggetti “protetti” e quindi tra coloro rispetto ai quali la prestazione mancata o inesatta è qualificabile come inadempimento, con il correlato diritto al risarcimento dei conseguenti danni, immediati e diretti, fra i quali deve ricomprendersi il pregiudizio di carattere patrimo-niale derivante dai doveri di mantenimento dei genitori nei confronti dei figli.

L’assegnazione della casa è diritto personale di godimen-to esercitabile nei limiti delle esigenze di tutela dei figli. Cass., 24 gennaio 2018 n. 1744.Lungo contenzioso giudiziario originato dalla vendita di una casa in sede di giudizio di scioglimento della comunione tra i coniugi: il terzo acquirente conveniva in giudizio entrambi gli ex coniugi al fine di far dichiarare occupante senza titolo

la moglie e di ottenere il riconoscimento di un’indennità di occupazione. Quest’ultima si costituiva eccependo la propria legittimazione derivante da provvedimento di assegnazione in sede di separazione, risalente al 1992, trascritto nel 1996. Il giudice del merito rigettava la domanda di rilascio, accertan-do l’esistenza di un diritto personale di godimento opponibile al terzo, in quanto trascritto, anche oltre il novennio, fino a revoca dell’assegnazione da parte del tribunale della separa-zione o del divorzio. Riconosceva tuttavia il diritto ad un’in-dennità di occupazione da determinarsi in separato giudizio. Il giudice di appello confermò che il provvedimento di asse-gnazione costituisce un diritto personale di godimento che l’assegnatario può opporre ai terzi nei limiti in cui sussistono le esigenze di tutela dei figli conviventi. Per la Cassazione il terzo è legittimato ad esperire giudizio di accertamento del-la permanenza delle eccezionali condizioni che giustificano l’assegnazione della casa, riconducibili esclusivamente alle esigenze di tutela dei figli non autosufficienti.

La riconciliazione richiede una reale ripresa delle rela-zioni materiali e spirituali e va dedotta specificamente. Cass., 23 gennaio 2018 n. 1630.L’attrice impugnava il testamento del marito, dal quale era separata con addebito, rivendicando la qualità di erede legit-timaria per essere cessati gli effetti della separazione per asse-rita ricostituzione del vincolo coniugale. Per la Corte gli effetti della separazione personale, in mancanza di una dichiarazio-ne espressa di riconciliazione, cessano soltanto col fatto della coabitazione, la quale non può, quindi, ritenersi ripristinata per la sola sussistenza di ripetute occasioni di incontri e di frequentazioni tra i coniugi, ove le stesse non depongano per una reale e concreta ripresa delle relazioni materiali e spiritua-li, costituenti manifestazione ed effetto della rinnovata società coniugale. Il giudice del merito aveva ritenuto che l’attrice non avesse specificamente allegato l’avvenuta cessazione degli effetti della separazione. L’avvenuta riconciliazione dei coniu-gi, quale causa estintiva degli effetti della separazione, concre-ta un’eccezione in senso proprio, che deve essere formulata mediante una specifica deduzione, non essendo sufficiente la generica istanza di rigetto della domanda avversaria.

Non si devono ignorare le modifiche delle condizioni di vita delle parti quando incidano sul quantum dell’assegno di mantenimento. Cass., 3 febbraio 2018 n. 2620.La corte territoriale ha omesso di considerare, nel determi-nare aumento dell’assegno di contributo al mantenimento, le esigenze degli altri tre figli che l’obbligato aveva nel frattem-po avuto, considerando come primarie solo le esigenze della primogenita, avuta dal precedente matrimonio. La ragazza nel frattempo divenuta maggiorenne, secondo la cassazione aveva ormai esigenze di crescita diverse da quelle dei suoi fratelli, tutti minori, e continuare a garantirle un assegno di € 500,00 avrebbe limitato le possibilità degli stessi di essere sostenuti dal padre.

Il coniuge separato con addebito ha comunque titolo alla reversibilità della pensione del coniuge defunto. Cass., 2 febbraio 2018 n. 2606.Accolte le doglianze di una donna separata, con sentenza non passata in giudicato, che aveva ricevuto il diniego dell’ente

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erogatore di benefici previdenziali ad ottenere la reversibilità della pensione del marito, deceduto. La motivazione addotta dall’ente riguardava la pronuncia della separazione, addebitata alla donna. Per tale condizione di separazione con addebito, che come tale la escludeva dalla possibilità di fruire dell’asse-gno di mantenimento, secondo l’ente, la donna non avrebbe avuto diritto alla reversibilità. La cassazione invece ribalta la situazione condannando l’Inps a versare alla donna le erogazio-ni negate. La ratio della previsione previdenziale infatti è mera-mente quella di porre al riparo il coniuge superstite dallo stato di bisogno, indipendentemente dalla causa della separazione.

È sempre possibile tutelare il figlio non riconosciuto an-che con la revoca del testamento, rilevando la tutela del fi-glio nella ratio della norma. Cass., 5 gennaio 2018 n. 189.

Il fondamento dell’istituto della revocazione risiede nell’esi-genza di assicurare la tutela del figlio sopravvenuto in con-seguenza della modificazione della situazione familiare. La tutela esclusiva della volontà del testatore, sia pure con di-verse sfumature, non può essere condivisa, essendo peraltro maturata in un diverso contesto storico sociale, dovendosi sia escludere l’idea che alla base della norma vi sia una presun-zione di volontà di revoca, sia quella che reputa sussistere una sorta di vizio della volontà del testatore. La scelta del testatore di non riconoscere il figlio naturale nonostante ne fosse venu-to a conoscenza e con cui aveva iniziato una frequentazione non può pertanto secondo la suprema corte ledere l’interesse del figlio, configurandosi l’istituto de quo quale mezzo di tu-tela ulteriore, e non alternativo rispetto a quello approntato dalle norme a tutela dei legittimari.

SUCCESSIONIA CURA DI VALERIA CIANCIOLOAvvocato in Bologna

Cassazione civile, sez. VI, ordinanza 16 novembre 2017, n. 27160Retratto successorio e lesione di legittima, erede e legata-rio. Il punto della CassazioneLa riduzione della disposizione testamentaria conseguente all’accoglimento della domanda del legittimario che si ritenga leso nella sua quota di riserva, non derivando da un vizio di nullità dell’atto dispositivo, rende tale atto soltanto inefficace “ex nunc” nei confronti del legittimario vittorioso, sicché, fino a quando non sia intervenuta la pronuncia di accoglimento della domanda di riduzione, le disposizioni testamentarie o le donazioni lesive della quota di legittima esplicano la loro effi-cacia. Ne consegue che la controversia relativa all’azione di ri-duzione non si pone in rapporto di pregiudizialità necessaria con la domanda di rilascio di un bene oggetto di disposizione testamentaria suscettibile di riduzione in caso di accoglimen-to della domanda proposta dal legittimario che si ritenga leso, non potendosi comunque verificare il contrasto di giudicati.

Cassazione civile, sez. II, sentenza 30 novembre 2017 n. 28758La prova dell’incapacità naturale del de cuius al momento della redazione del testamento olografoGli Ermellini hanno rigettato il ricorso avverso la sentenza della Corte d’Appello di Torino, con la quale il Giudice di me-rito, confermando integralmente la sentenza di primo grado, aveva considerato inidonee le istanze istruttorie relative alla prova della presunta incapacità della de cuius e rigettato la do-manda proposta dal figlio relativa alla conseguente invalidità del testamento olografo.

È onere di colui che impugna il testamento fornire la prova dell’incapacità di testare del de cuius, al momento della re-dazione del testamento stesso. Nel caso in cui il testatore sia affetto da incapacità totale e permanente, spetta, invece, a co-lui che intende avvalersi del testamento provare che il docu-mento sia stato redatto in un momento di lucidità del de cuius.

Cassazione civile, sez. I, ordinanza 14 dicembre 2017 n. 30122Impugnazione del riconoscimento del figlio naturale da parte di un soggetto terzoNella fattispecie in esame viene in rilievo la impugnazione proposta da parte di un nipote per difetto di veridicità del riconoscimento effettuato dal proprio zio, scomparso da tem-po, in favore di tre presunti figli naturali con atti trascritti nel registro delle nascite del competente comune.

Defunto lo zio imprenditore, i nipoti si sfidano a colpi di riconoscimenti e disconoscimenti di paternità.

Il Collegio ritiene di confermare, la pur risalente giurispru-denza di legittimità secondo cui: “L’impugnazione del rico-noscimento di figlio naturale, per difetto di veridicità, da parte del suo autore a norma dell’art. 263 c.c., ancorché non richieda la sopravvenienza di elementi di conoscenza nuovi rispetto a quelli noti al momento del riconoscimento, non ne costituisce una revoca, di cui l’art. 256 c.c., sancisce il divieto, poiché l’autore che impugna il riconoscimento, è tenuto alla giudiziale dimostrazione della non rispondenza del ricono-scimento al vero”.

Cassazione civile, sentenza 5 gennaio 2018, n. 168Il godimento dei beni legati non vale quale rinuncia all’a-zione di riduzioneCentro nevralgico della motivazione della sentenza in com-mento è rappresentato dalla (ribadita) affermazione del prin-cipio di diritto in tema di rinuncia all’azione di riduzione, che può avvenire sia espressamente, sia per fatti concludenti.

La Corte di cassazione, definendo una difficile contesa ere-ditaria, ha stabilito che l’acquisto dei legati, con immissione del successore nel godimento dei beni stessi, non può valere, di per sé solo, quale rinuncia a far accertare la lesione dei diritti che la legge riserva in favore dei legittimari, né ai sensi dell’art. 590 c.c., applicabile solo nelle ipotesi in cui si deduca la nullità della scheda testamentaria o di alcune sue clausole,

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né in via generale, in quanto il fatto che il legittimario non integralmente pretermesso abbia goduto dei beni legatigli non può ritenersi elemento idoneo a concretare una rinun-cia tacita alla tutela delle sue ragioni successorie, ove non si accompagni ad altre manifestazioni della volontà abdicativa, espresse o per fatti concludenti.

Cassazione civile, sez. II, sentenza 5 gennaio 2018, n. 169La revocazione del testamento a causa di sopravvenienza di figliL’art. 687, comma 1, c.c. ha un fondamento oggettivo, indivi-duabile nella modificazione della situazione familiare in rela-zione alla quale il testatore aveva disposto dei suoi beni e, per l’effetto, poiché tale modificazione sussiste sia quando il testa-tore abbia riconosciuto un figlio naturale, sia quando nei suoi confronti sia stata esperita vittoriosamente l’azione di accerta-mento di filiazione naturale, dal combinato disposto dell’art. 277, comma 1, e 687, comma 1, c.c. deriva che la revoca del testamento è ricollegabile anche al secondo di tali eventi.

Con la citata sentenza, è stato univocamente affermato che il testamento redatto da chi sapeva dell’esistenza di propri fi-gli naturali deve essere revocato anche qualora l’accertamento della filiazione avvenga dopo la morte del testatore, a seguito della dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale.

Cassazione civile, sez. II, ordinanza 15 gennaio 2018, n. 726Divisione ereditaria giudiziale: l’estrazione a sorte non è inderogabileNella divisione giudiziale il criterio dell’estrazione a sorte previsto, nel caso di uguaglianza di quote, dall’art. 729 c.c., a garanzia della trasparenza delle operazioni divisionali con-tro ogni possibile favoritismo, non ha carattere assoluto, ma soltanto tendenziale, e, pertanto, è derogabile in base a va-lutazioni discrezionali, che possono attenere non soltanto a ragioni oggettive, legate alla condizione funzionale ed econo-mica dei beni, ma anche a fattori soggettivi di apprezzabile e comprovata opportunità.

Nel caso di specie ci si trovava dinanzi a quote diverse tra loro, in quanto la successione testamentaria della madre delle due sorelle aveva previsto che i due terzi del proprio patrimo-nio venissero trasmessi ad una delle figlie (alla quale aveva destinato sia la legittima che la disponibile), mentre all’altra figlia spettava la quota pari alla sola legittima e quindi pari ad un terzo.

Pertanto, considerando che l’art. 729 c.c. prevede espressa-mente che in caso di porzioni diseguali si procede mediante attribuzione, non vi era alcun presupposto che prevedesse l’utilizzo del sorteggio.

Cassazione civile, ordinanza 22 febbraio 2018, n. 4318Testamento falso: l’accertamento in sede penale rileva nel giudizio civileNell’ambito del procedimento civile di accertamento nega-tivo, infatti, la falsità della scheda ben potrà essere prova-ta facendo ricorso agli elementi raccolti nel procedimento penale svoltosi tra le medesime parti e avente ad oggetto il medesimo accertamento materiale (la falsità del testamento). Una volta che si sia definito tale procedimento penale, con sentenza passata in giudicato, il giudice civile deve rilevare officiosamente (in ogni stato e grado del processo) il c.d. giu-

dicato esterno, sicché l’accertamento della falsità della scheda, ancorché raggiunto nell’ambito di un processo penale, come tale caratterizzato da una differente struttura e da un diverso regime probatorio, farà stato anche nel giudizio civile.

Cassazione civile, sez. II, ordinanza 22 febbraio 2018, n. 4320I prelievi anche dell’intero deposito bancario non possono ritenersi effettuati nella qualità di eredeIl prelevamento anche dell’intera giacenza del conto corren-te a firma disgiunta, da parte del cointestatario del de cuius, non può costituire accettazione tacita dell’eredità, potendo essere esercitato in qualità di mero cointestatario e non ne-cessariamente nella qualità di erede. A meno che, chi agisce in giudizio contro il cointestatario per vedere riconosciuta l’accettazione tacita dell’eredità da parte di quest’ultimo, non dimostri che il saldo attivo del conto corrente debba ritenersi discendere anche dal versamento di somme di pertinenza del defunto, ossia facenti parte dell’asse ereditario.

Cassazione civile, sez. II, sentenza 22 marzo 2018, n. 7178Nulla la divisione del testatore che pretermette un legit-timarioDeve essere accolta la domanda di nullità, proposta dal le-gittimario pretermesso nel testamento (o, in sostituzione del medesimo, da un suo erede), della divisione del patrimonio ereditario disposta direttamente dal testatore, qualora lo stes-so legittimario (o un suo erede agente iure successionis), da considerarsi preterito per non essere stato compreso nella divisione, abbia positivamente esperito in via preventiva l’a-zione di riduzione.

Cassazione civile, sez. II, sentenza 26 marzo 2018, n. 7477L’accettazione con beneficio di inventario è fattispecie a formazione progressivaLa Suprema Corte, nel rigettare i primi due motivi di ricorso, ha ribadito l’orientamento secondo cui, disponendo che “l’ac-cettazione col beneficio d’inventario si fa mediante dichiara-zione” e che questa “deve essere preceduta o seguita dall’in-ventario”, l’art. 484 c.c. chiaramente delinea una fattispecie a formazione progressiva, per la cui realizzazione i due adem-pimenti sono entrambi indispensabili, come suoi elementi costitutivi. Dunque la dichiarazione di accettazione, ha ex se una propria immediata efficacia, comportando il definitivo acquisto della qualità di erede da parte del chiamato e quindi il suo subentro in universum ius defuncti, compresi i debiti del de cuius, senza però incidere sulla limitazione della relativa responsabilità intra vires hereditatis, la quale è condizionata (anche) alla preesistenza o alla tempestiva sopravvenienza dell’inventario, mancando il quale l’accettante “è considerato erede puro e semplice” (artt. 485, 487, 488 c.c.), come se non avesse conseguito il beneficio ab initio.

Cassazione civile, sez. I, ordinanza 21 maggio 2018, n. 12460Il Palazzaccio in tema di amministrazione di sostegno, ha affermato che, in presenza di situazioni di eccezionale gra-vità, tali da indurre a ritenere che il processo di formazione e manifestazione della volontà del beneficiario possa andare incontro a turbamenti per l’incidenza di fattori endogeni o di

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agenti esterni, l’esclusione della capacità di testare o donare, disposta dal giudice tutelare anche d’ufficio, costituisce uno strumento di tutela assai più efficace – non solo dell’interesse di coloro che aspirano alla successione o destinatari dell’atto di liberalità – ma, soprattutto, dell’amministrato.

L’ordinanza riafferma, in tema di capacità di testare e di do-nare dell’amministrato, i principi espressi nella sentenza n. 11536/2017 nel senso della piena sovrapponibilità delle mi-sure di gestione adottabili nell’amministrazione di sostegno con quelle dell’interdizione, fermo restando la diversa ratio tra i due istituti.

Non vi è dunque alcun ostacolo al ricorso ai mezzi di tutela ordinaria per i familiari o i soggetti interessati al testamento o alla donazione, ammettendo comunque la possibilità per i familiari di impugnare l’atto (testamento o donazione): un’e-stensione del divieto di testamento o di atto di donazione dall’interdetto all’amministrato, corrisponde ad evidenti ra-gioni sistematiche, di operare un “travaso” di disciplina dall’u-no all’altro istituto, almeno sul piano sostanziale, qualora vi sia una singolare gravità delle condizioni dell’amministrato.

Cassazione civile, sez. VI, ordinanza 5 giugno 2018, n. 14406Successione legittima. Il valore del diritto di abitazione si calcola in base alle tabelle dell’usufruttoL’ordinanza esamina la questione inerente alla quantificazio-ne della c.d. riserva in favore del coniuge superstite, prevista dall’art. 540, co. 2, c.c. ai sensi del quale: “Al coniuge, anche quando concorra con altri chiamati, sono riservati i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni. Tali diritti gravano sulla porzione disponibile e, qualora que-sta non sia sufficiente, per il rimanente sulla quota di riserva del coniuge ed eventualmente sulla quota riservata ai figli”.

Il Palazzaccio afferma: “sebbene la disciplina dell’usufrutto e quella del diritto di abitazione divergano in parte, per attri-buire il legislatore all’usufruttuario facoltà maggiori rispetto a quelle assegnate al titolare del diritto di abitazione, tuttavia la divergenza di valore tra i due diritti non può non tenere conto anche delle peculiarità del bene sul quale viene a costituirsi il diritto di abitazione.

Nel caso di specie trattasi di un immobile pacificamente destinato a casa coniugale, e peraltro di una quota indivisa del bene, di talché, tenuto conto della obiettiva attitudine del bene stesso a soddisfare le esigenze abitative del coniuge su-perstite, palesandosi del tutto inverosimile che il bene possa essere distratto da tale finalità, considerata anche la circostan-za che si tratta di bene ad uso abitativo, risulta evidente che le utilità ritraibili dall’usufruttuario appaiono sostanzialmente identiche a quelle che può trarre l’abitatore, di modo che nel caso in esame, le pur sussistenti differenze di disciplina, non appaiono tali da indurre a ravvisare anche una differente valu-tazione del diritto dal punto di vista della sua quantificazione economica, risultando quindi non irrazionale e non conte-stabile la scelta della Corte di Appello di avvalersi dei criteri usati per determinare il valore dell’usufrutto, per pervenire al valore del prelegato spettante alla convenuta”.

In sostanza, poiché nel caso in esame, l’immobile era la casa destinata ad abitazione della famiglia, considerata l’idoneità del bene a soddisfare le esigenze abitative del coniuge superstite,

era evidente che le utilità ritraibili dall’usufruttuario erano so-stanzialmente identiche a quelle che ne poteva trarre l’habitator.

Si è arrivati ad un punto chiaro con questa ordinanza: le tabelle in tema di usufrutto si utilizzano non solo per deter-minare il valore del diritto di usufrutto, ma anche per deter-minare il valore del diritto di abitazione, seppur costituito ai sensi dell’art. 540 c.c., cioè, a favore del coniuge superstite (oltre che nel caso del diritto di abitazione di cui all’articolo 1022 c.c., costituito con contratto, quindi con atto tra vivi).

Trib. Latina Sez. I, 12 gennaio 2018Sulla configurabilità di una scrittura privata come testa-mento olografoAi fini della configurabilità di una scrittura privata come te-stamento olografo, non è sufficiente il riscontro dei requisiti di forma individuati dall’art. 602 c.c., occorrendo, altresì, l’ac-certamento dell’oggettiva riconoscibilità nella scrittura della volontà attuale del suo autore di compiere non già un mero progetto, ma un atto di disposizione del proprio patrimonio per il tempo successivo al suo decesso: tale accertamento, che costituisce un prius logico rispetto alla stessa interpretazione della volontà testamentaria, è rimesso al giudice del merito e, se congruamente e logicamente motivato, è incensurabile in sede di legittimità.

Trib. Savona, Sent., 21 novembre 2017Annullamento del testamento per incapacità del testatorePer l’annullabilità di un testamento, ai sensi dell’art. 591 cod. civ., non basta la sussistenza di una qualsiasi infermità che turbi il processo di determinazione ed estrinsecazione della volontà, ma occorre che lo stato fisico-mentale del testatore sia tale da sopprimere del tutto l’attitudine a determinarsi liberamente e coscientemente. L’incapacità in questione deve avere caratteri-stiche tali da determinare, ove fosse stata abituale, la pronuncia di interdizione. Gli stati emotivi e passionali non sono suffi-cienti ad escludere la capacità di intendere e di volere.

Poiché lo stato di capacità costituisce la regola e quello di incapacità l’eccezione, spetta a chi impugna il testamento di-mostrare la dedotta incapacità, salvo che il testatore risulti affetto da incapacità totale permanente, nel qual caso spetta a chi vuole avvalersi del testamento dimostrare che esso fu redatto in un momento di lucido intervallo.

Tribunale di Milano, Sez. impr., 18 maggio 2017L’ordinario regime di trasmissione successoria della quota di S.r.l. non è derogato dall’art. 2470 c.c.Anche nella società a responsabilità limitata, avendo i succes-sibili per testamento accettato l’eredità del de cuius, in parti-colare chiedendo la iscrizione nel Registro delle imprese del trasferimento a loro nome della quota, viene ad operare la disciplina ex art. 459 c.c., prevedente effetto retroattivo della accettazione al momento dell’apertura della successione.

L’iscrizione ex art. 2470 c.c. nel Registro delle Imprese dell’acquisto mortis causa di quota di società a responsabilità limitata ha valenza di pubblicità dichiarativa e quindi rende senz’altro l’acquisto opponibile all’interno della compagine, a tali fini da considerare terza secondo lo schema generale di pubblicità dichiarativa ex art. 2193 c.c.

La disciplina di pubblicità dichiarativa ex artt. 2193 e 2470 c.c. non può rendere inapplicabile lo schema generale di retroattività

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dell’accettazione dell’eredità di cui all’art. 459 c.c., ai fini della legittimazione ad agire, schema generale da considerare preva-lente quando l’accettazione risulti intervenuta medio tempore.

Corte d’Appello di Napoli, sez. V, sentenza 12 gennaio 2018, n. 118Il creditore del legittimario pretermesso può impugnare la rinuncia all’azione di riduzioneLa rinuncia all’azione di riduzione da parte del legittimario totalmente pretermesso, non ha efficacia nei confronti dei

creditori i cui diritti siano lesi dalla rinuncia, dovendo rico-noscersi ad essi – ed al curatore del fallito legittimario, nel caso di specie – in forza del principio di coerenza del sistema normativo e di quello di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost., la possibilità di esperire l’azione di riduzione ex art. 524 cod. civ., richiedendo la riduzione delle donazioni e delle dispo-sizioni testamentarie lesive della quota di riserva spettante per legge al debitore legittimario, surrogandosi a quest’ultimo ovvero, nel caso di soggetto dichiarata fallito, direttamente da parte della curatela.

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMOA CURA DI VALERIA MAZZOTTAAvvocato in Bologna

Permessi o congedi parentali

ALEXANDRU ENACHE c. ROMANIA, RICORSO N. 16986/12, CORTE EUROPEA DEI DIRITTI UMANI (QUARTA SEZIONE), SENTENZA 3 OTTOBRE 2017diverrà definitiva alle condizioni definite nell’articolo 44 § 2 della ConvenzioneNon costituisce un trattamento discriminatorio, ai sensi dell’ART. 4 CEDU, in combinato disposto con l’art. 8 CEDU, negare al padre il rinvio dell’esecuzione della pena detentiva fino al primo compleanno del figlio, come, invece, previsto dalla legge rumena per le donne. Una differenza di tratta-mento è discriminatoria se priva di giustificazione obiettiva e ragionevole, cioè se non persegue un obiettivo legittimo o se manca un rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e l’obiettivo perseguito. L’obiettivo legittimo perseguito dalla legislazione rumena è quello di tutelare il migliore interesse del minore neonato, nonché i legami speciali tra madre e fi-glio durante i primi mesi dopo la nascita. In particolare, l’art. 4, par. 2 CEDU sull’eliminazione di tutte le forme di discri-minazione nei confronti delle donne prevede espressamente che misure speciali volte a proteggere la maternità, adottate dagli Stati membri, non devono essere considerate come atti discriminatori.

Prostituzione infantile

V.C. c. ITALIE, RICORSO N. 54227/14 (PRIMA SEZIO-NE) SENTENZA 1 FEBBRAIO 2018diverrà definitiva alle condizioni definite nell’articolo 44 § 2 della ConvenzioneL’Italia è stata condannata per violazione dell’art. 3 sul divieto di tortura e trattamenti inumani e degradanti, e dell’art. 8 sul rispetto alla vita privata e familiare. La decisione rileva nella misura in cui non è la legislazione nazionale sotto accusa, bensì la sua mancata attuazione; come più volte sottolinea-to dalla Corte europea, infatti, non è sufficiente che la legge nazionale predisponga strumenti di tutela, ma occorre che i meccanismi di protezione previsti dal diritto interno effettiva-mente funzionino entro un termine ragionevole.

Secondo la Corte, l’art. 1 CEDU impone agli Stati di ga-rantire i diritti e le libertà tutelate, prevedendo l’adozione di misure appropriate per impedire che gli individui subiscano

trattamenti disumani o degradanti. Tali misure, soprattutto con riguardo ai minori soggetti particolarmente vulnerabili, devono fornire una protezione efficace nel rispetto della di-gnità umana e del superiore interesse del fanciullo. Affinché si realizzi un obbligo positivo, occorre che le autorità siano a conoscenza – o comunque siano nelle condizioni di esserlo – dell’esistenza di un rischio reale e immediato in capo ad un individuo. Il Tribunale per i minorenni e i servizi sociali, sapendo che erano in corso indagini penali per sfruttamento sessuale e stupro, avevano il dovere di considerare e valutare la situazione psicologica e fisica della minore quindicenne, ponendo in essere misure cautelari, rapide e appropriate, per prevenire gli abusi. L’assenza del consenso della minore al collocamento presso una struttura protetta non può, da sola, esonerare le autorità italiane dagli obblighi positivi imposti in forza degli articoli 3 e 8 CEDU.

Sottrazione internazionale

VILENCHIK VS UCRAINA, RICORSO N. 21267/14 (QUARTA SEZIONE) SENTENZA DEL 3 OTTOBRE 2017diverrà definitiva alle condizioni definite nell’articolo 44 § 2 della ConvenzioneI giudici nazionali, nei procedimenti di ritorno dei minori, disciplinati dalla Convenzione dell’Aja sulla sottrazione inter-nazionale, ai sensi dell’art. 8 CEDU hanno l’obbligo di ope-rare un’attenta analisi della questione e di adottare motiva-zioni specifiche e sufficientemente dettagliate alla luce delle circostanze del caso. La nozione di “residenza abituale” non è chiarita nella Convenzione dell’Aja e viene diversamente in-terpretata nelle varie giurisdizioni. Il limite tra gli obblighi positivi e negativi dello Stato ex art. 8 CEDU non può es-sere definito con precisione, ma i principi applicabili sono comunque simili. Seppure nel caso all’esame sia stato garan-tito il giusto equilibrio tra gli interessi concorrenti, tenendo nella massima considerazione l’interesse del minore, vi è stata una violazione dell’art. 8 in relazione alla durata complessiva del procedimento che non è giustificata dalle circostanze del caso. Le procedure di cui alla Convenzione dell’Aja richie-dono un trattamento urgente, in quanto il passare del tempo può avere conseguenze irrimediabili per i rapporti tra i mino-ri e il genitore non convivente.

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136 L’Osservatorio sul diritto di famiglia | gennaio-agosto 2018

LE ULTIMISSIME DELLA GIURISPRUDENZA

SEVERE C. AUSTRIA, RICORSO N. 53661/15, CORTE EUROPEA DEI DIRITTI UMANI (QUINTA SEZIONE), SENTENZA DEL 21 SETTEMBRE 2017diverrà definitiva alle condizioni definite nell’articolo 44 § 2 della ConvenzioneLa vicenda all’esame della Corte è molto complessa: il ricorren-te, il sig. Sévère, cittadino francese, aveva avuto due figli con C.B., cittadina francese e austriaca, con la quale viveva in Fran-cia. Nel dicembre 2008 C.B. aveva lasciato la Francia per trasfe-rirsi a Vienna, portando con sé i due figli. In Francia e in Austria si sono susseguiti diversi processi: in Francia, il procedimento per la custodia sui minori, all’esito del quale è stato decisa la cu-stodia congiunta dei figli con residenza principale presso il pa-dre; erano poi stati intrapresi diversi procedimenti penali contro C.B. per il sequestro di minori, a seguito dei quali la donna era stata condannata a un anno di reclusione. In Austria, era stato promosso il procedimento contro il ricorrente per abusi sessua-li, successivamente archiviato, e quello contro C.B. per il seque-stro di minori. Il sig. Sévère ha anche presentato in Austria un ricorso per il rientro dei figli ai sensi della Convenzione dell’Aia, che è stato accolto dai giudici, i quali hanno emesso un ordine per il ritorno dei bambini, divenuto definitivo nell’ottobre 2009. Nel dicembre 2009, le autorità austriache hanno fatto un primo tentativo di far eseguire l’ordine di ritorno, ma non sono state in grado di rintracciare né la madre né i figli. Nei successivi cinque anni e mezzo si sono susseguiti diversi procedimenti giudiziari all’esito dei quali i tribunali austriaci hanno, infine, rifiutato di far eseguire l’ordine di ritorno. In particolare, secondo i giudici, il ritorno in Francia sarebbe stato traumatico per i bambini, sia a causa della separazione dalla madre (che stava affrontando una pena detentiva in Austria), sia in quanto ormai si erano adattati bene a vivere in Austria.

Secondo la Corte EDU, adita dal padre, sussiste violazione dell’articolo 8 della Convenzione. La Corte EDU ribadisce che spetta alle Autorità nazionali stabilire se, in base all’analisi di tutti i fattori concorrenti, possa essere emesso l’ordine di rim-patrio di un minore illegalmente sottratto. Spetta, invece, alla Corte EDU valutare se le Autorità nazionali abbiano fatto tutto il possibile per evitare che il minore possa essere sottoposto ad un concreto rischio di grave pregiudizio, in ipotesi di rimpatrio o di mancato rientro. Nel caso di mancata esecuzione di un ordine di rimpatrio, spetta alla Corte EDU stabilire se il decorso del tempo possa aver consolidato situazioni di fatto pregiudizievoli all’in-teresse del minore. Laddove non vi siano periodi di inattività processuale particolarmente lunghi, in quanto le Autorità na-zionali dei Paesi di origine e di destinazione del minore abbiano scambiato note ed audizioni, sino a propendere per l’emissione di un ordine di rimpatrio, ma vi sia stata una (ingiustificata) fase di stallo durata cinque anni e mezzo che abbia, di fatto, reso inattuabile l’ordine di rimpatrio, a fronte del grave pregiudizio che sarebbe derivato al minore (che si sarebbe dovuto, trauma-ticamente, separare dalla madre) in ipotesi di rientro, vi è una conseguente violazione del diritto alla vita familiare del genitore che non potrà vedere rientrare il proprio bambino.

MCILWRATH C. RUSSIA, RICORSO N. 60393/13, COR-TE EUROPEA DEI DIRITTI UMANI (TERZA SEZIONE), SENTENZA DEL 18 LUGLIO 2017diverrà definitiva alle condizioni definite nell’articolo 44 § 2 della Convenzione

In materia di illecito trasferimento di persona di età minore, ed in assenza di applicabilità della Convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980, violano l’art. 8 CEDU le Autorità nazionali del Paese di destinazione che, a seguito del diniego di riconosci-mento e di esecuzione della sentenza di divorzio pronunciata dal Paese di provenienza, contenente anche disposizioni in ma-teria di affidamento di figli minori, non si attivino per favorire il percorso di riavvicinamento tra figli e genitore al quale gli stessi sono stati illecitamente sottratti. Ciò a maggior ragione laddove – come nel caso di specie – il Tribunale del Paese di destinazione, nel frattempo divenuto competente, si pronunci nei due anni successivi in ordine ai diritti ed ai doveri connessi all’esercizio della responsabilità genitoriale, senza che, in tale lasso di tempo, sia stato posto in essere alcunché per favorire (e ricostruire) la relazione tra genitore e figli, con conseguenze irrimediabilmente pregiudizievoli per entrambi.

Unioni civili

ORLANDI E ALTRI C. ITALIA, RICORSI NN. 26431, 26742, 44057, 60088712 (PRIMA SEZIONE) SENTENZA 14 DICEMBRE 2017diverrà definitiva alle condizioni definite nell’articolo 44 § 2 della ConvenzioneL’Italia è stata condannata per violazione dell’art. 8 CEDU per avere rifiutato a sei coppie di cittadini italiani dello stes-so sesso di trascrivere i loro matrimoni contratti all’estero, così negando qualsiasi forma di riconoscimento e tutela alle loro relazioni. Fra l’altro, essi deducevano, come motivo di doglianza, la discriminazione subita a causa del loro orienta-mento sessuale.

La Corte europea ha rilevato che gli Stati dispongono di am-pia discrezionalità in merito alla possibilità di consentire o no matrimoni tra persone del medesimo sesso, ma ha aggiunto che le coppie formate da persone dello stesso sesso hanno diritto al riconoscimento legale e alla protezione della loro relazione ed hanno diritto di essere messe nelle condizioni di proteggere i loro diritti.

Nel caso di specie, contratto il matrimonio all’estero, le coppie non sono state adeguatamente tutelate perché la legge italiana, prima dell’entrata in vigore della legge sulle unioni civili (l. n. 76 del 2016) non aveva garantito alcuna protezio-ne legale o riconoscimento.

La Corte, nel compiere la valutazione sull’equo bilanciamen-to degli interessi dello Stato e delle coppie, prima dell’entrata in vigore della l. n. 76, ripercorre il rapido sviluppo avvenuto in questo settore, sia a livello nazionale interno che a livello europeo, in quanto 27 dei 47 Stati del Consiglio d’Europa oggi dispongono di normative che riconoscono le unioni tra persone del medesimo sesso come matrimonio o unione ci-vile o relazione registrata. Essa ha anche precisato che esiste una significativa diversità di valutazioni, quanto alla registra-zione di matrimoni tra persone dello stesso sesso contratti all’estero, alla luce dell’ampio margine di apprezzamento de-gli Stati in materia.

Tuttavia, l’assenza di qualunque riconoscimento aveva la-sciato le coppie in una situazione di vuoto normativo, che aveva trascurato di prendere in considerazione la realtà socia-le delle stesse e le aveva costrette ad affrontare ostacoli nella vita quotidiana, senza che fosse emerso alcun interesse della comunità idoneo a giustificare tale conclusione.

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LE ULTIMISSIME DELLA GIURISPRUDENZA

La Corte ha quindi ritenuto che l’Italia non abbia garantito l’equilibrio tra gli interessi in gioco e ci sia stata quindi una violazione degli artt. 8, 14 (divieto di discriminazione) e 12 (diritto al matrimonio) CEDU, con condanna a pagare a cia-scun ricorrente 5.000,00 euro per danni non patrimoniali, oltre alle spese processuali.

RATZENBOCK E SEYDL C. AUSTRIA, RICORSO N. 28475/12, CORTE EUROPEA DEI DIRITTI UMANI (QUINTA SEZIONE), SENTENZA DEL 26 OTTOBRE 2017diverrà definitiva alle condizioni definite nell’articolo 44 § 2 della ConvenzioneUna coppia eterosessuale di cittadini austriaci, dopo una lun-ga convivenza, chiedeva all’autorità austriaca di concludere una unione registrata; detta richiesta veniva tuttavia respinta perché la legge austriaca sulle unioni civili limita l’accesso all’istituto alle sole coppie dello stesso sesso. La coppia ri-correva pertanto alla Corte EDU lamentando che l’esclusione della coppia eterosessuale dall’istituto dell’unione registrata violerebbe gli artt. 8 e 4 CEDU in quanto priverebbe i ri-correnti della possibilità di beneficiare di un regime legale complessivamente meno rigido e caratterizzato da maggio-ri vantaggi, ciò risolvendosi in una discriminazione basata sull’orientamento sessuale rispetto al trattamento garantito alle coppie dello stesso sesso.

Secondo la Corte EDU, l’esclusione deve essere esaminata alla luce del quadro giuridico generale dello Stato, che di-sciplina il riconoscimento giuridico delle relazioni. L’unio-ne civile rappresenta un’alternativa al matrimonio, al fine di mettere a disposizione delle coppie dello stesso sesso, che non potrebbero sposarsi, un istituto sostanzialmente simile quanto a riconoscimento giuridico. In questo quadro secon-do la legge austriaca matrimonio e unione civile sono istituti complementari.

Secondo la Corte EDU la normativa austriaca che impedisce alle coppie eterosessuali di contrarre un’unione registrata non viola l’art. 14, in combinato disposto con l’art. 8, in quanto le coppie eterosessuali possono avere accesso al matrimonio, e nel caso di specie i ricorrenti non hanno addotto specifi-che “discriminazioni”, quanto piuttosto la specifica istanza di voler accedere ad un istituto istituzionalmente più “leggero” rispetto a quello del matrimonio.

Le loro esigenze sono quindi ben diverse da quelle delle coppie dello stesso sesso che invece non hanno una alternati-va all’unione civile al fine di ottenere un riconoscimento giu-ridico della loro relazione.

Affidamento a terzi

M.L. C. NORVEGIA, RICORSO N. 43701/14 (QUINTA SEZIONE), SENTENZA DEL 7 SETTEMBRE 2017diverrà definitiva alle condizioni definite nell’articolo 44 § 2 della ConvenzioneNon viola l’art. 8 CEDU (diritto al rispetto della vita privata e familiare) la decisione delle autorità nazionali di collocare il figlio minore della ricorrente presso una casa famiglia piut-tosto che presso i nonni (nel caso di specie nonna materna e compagno della stessa, non, quindi, nonno biologico), in un caso in cui il bambino era stato allontanato dalla madre, nota per interventi del Servizio sociale, a fronte di una scar-sa idoneità genitoriale, frutto anche di disordini psichiatrici

con la madre e il patrigno della stessa, già affidatari del figlio maggiore. Il Giudice nazionale, effettuando una valutazione equilibrata e ragionevole dei rispettivi interessi di ciascuno, ha ritenuto che tale collocamento corrispondesse al migliore interesse del minore. I motivi addotti per giustificare tale decisione sono rilevanti e sufficienti; non viene, pertanto, superato il margine di apprezzamento concesso allo Stato convenuto.

Azioni di stato e termini di decadenza

SILVA E MONDIM CORREIA C. PORTOGALLO, RICOR-SI N. 72105/14 E 20415/15, CORTE EUROPEA DEI DI-RITTI UMANI (QUARTA SEZIONE), SENTENZA DEL 3 OTTOBRE 2017diverrà definitiva alle condizioni definite nell’articolo 44 § 2 della ConvenzioneIl rigetto della domanda di riconoscimento della paternità, presentato oltre i termini di decadenza da parte di coloro che conoscevano da tempo l’identità del genitore biologi-co, non determina una violazione dell’articolo 8 della Con-venzione. Invero, quando lo spirare dei termini è frutto di una ingiustificata assenza di diligenza delle parti (che, nel caso di specie hanno lasciato decorrere, rispettivamente, cinquantadue e ventisei anni) non può più dirsi operante il criterio della prevalenza dell’interesse dei ricorrenti alla verità biologica.

Violenza domestica e abusi

Ž.B. C. CROAZIA, RICORSO N. 47666/13, CORTE EU-ROPEA DEI DIRITTI UMANI (SECONDA SEZIONE), SENTENZA DEL 11 LUGLIO 2017diverrà definitiva alle condizioni definite nell’articolo 44 § 2 della ConvenzioneLa giurisprudenza della Corte EDU ha delineato precisi prin-cipi per la tutela dei soggetti vulnerabili (donne e bambini) che, se vittime di violenza, hanno diritto ad una protezione efficace. Tali principi sono i seguenti: - il concetto di “vita pri-vata” include (anche) il diritto alla tutela della integrità fisica e psicologica di una persona che, come tale, è protetto dall’ar-ticolo 8 della Convenzione; - poiché gli Stati hanno il dovere di proteggere l’integrità fisica e psicologica di un individuo da altre persone, essi devono dotarsi di un adeguato “arsena-le giuridico” che consenta di applicare concretamente norme adeguate ed idonee a garantire la protezione dagli atti di vio-lenza da parte di privati; - le vittime di violenza domestica sono particolarmente vulnerabili e la necessità di un attivo coinvolgimento nella loro protezione da parte delle Autori-tà pubbliche e degli Stati è sottolineata in diversi strumenti normativi internazionali; - compito della Corte EDU non è quello di sostituirsi alle Autorità nazionali competenti per de-terminare i metodi più appropriati per proteggere gli indivi-dui dagli attacchi alla loro integrità personale, bensì rivedere, a norma della Convenzione, le decisioni che tali Autorità ab-biano adottato nell’esercizio dei loro poteri discrezionali. Tali criteri vanno considerati congiuntamente e, pertanto, pur in presenza di un quadro normativo adeguato anche all’assetto dettato dalla normativa internazionale in materia, la mancata attivazione da parte delle Autorità nazionali dei meccanismi di protezione delle vittime di violenza domestica determinano

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LE ULTIMISSIME DELLA GIURISPRUDENZA

il mancato rispetto degli obblighi positivi dello Stato, ai sensi dell’articolo 8, II comma, CEDU che, come tale risulta violato. In presenza di un sospetto abuso a danno di persona di età minore, le indagini devono essere celeri ed efficaci, volte, in ogni caso, a chiarire e contestualizzare la portata delle affer-mazioni del bambino.

M.S. V. UCRAINA, RICORSO N. 2091/13, CORTE EURO-PEA DEI DIRITTI UMANI (QUARTA SEZIONE), SEN-TENZA DEL 11 LUGLIO 2017diverrà definitiva alle condizioni definite nell’articolo 44 § 2 della ConvenzioneNon condurre indagini dettagliate, ed in tempi celeri, in presenza di sospetto abuso a danno di una persona di mino-re età determina una violazione dell’articolo 8 della Conven-zione. In particolare, non può costituire una giustificazione la circostanza che le sole affermazioni del bambino in ordi-ne a sospetti abusi subiti dallo zio non conducano all’indi-viduazione dell’elemento psicologico del reato, essendo, a maggior ragione, indispensabile che le Autorità organizzino indagini anche finalizzate alla raccolta di prove che consen-tano di sollevare e chiarire tutte le affermazioni della perso-na di età minore.

Allontanamento temporaneo dei minori

ACHIM C. ROMANIA, RIC. 45959/11 CORTE EUROPEA DEI DIRITTI UMANI (QUARTA SEZIONE) SENTENZA 24 OTTOBRE 2017diverrà definitiva alle condizioni definite nell’articolo 44 § 2 della ConvenzioneL’allontanamento temporaneo dei minori, per tutelarli, è com-patibile con l’art. 8 Cedu.

Per circa due anni, sette dei figli dei ricorrenti erano stati col-locati presso affidatari e case famiglia, perché i servizi sociali attestarono che i genitori, coppia rom, non erano in grado di assolvere ai loro doveri nei confronti dei minori: non erano scolarizzati, non avevano un medico di famiglia, vivevano in una casa insalubre ed i genitori erano in precarie condizioni finanziarie. Una volta seguito il programma di aiuti imposto dai servizi, i genitori iniziarono ad assolvere ai loro obblighi, migliorarono la loro condizione finanziaria e ristrutturano la loro casa, con i fondi del comune, e i figli, con i quali avevano sempre mantenuto i rapporti, furono loro restituiti.

Secondo la Corte EDU, le autorità hanno equamente bilan-ciato i contrapposti interessi, poiché l’allontanamento tem-poraneo era stato deciso a fronte delle sopradette difficoltà e carenze dei genitori, e quindi era stato revocato una volta che questi le avevano risolte.

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LA GIURISPRUDENZA ANNOTATA

1. Premessa

I diritti del minore e la loro tutela nell’ambito giurisdizionale affondano le proprie radici nella Convenzione di New York del 1989 sui diritti del fanciullo, che all’art. 12 stabilisce l’im-pegno degli stati contraenti a garantire al minore capace di discernimento il diritto di esprimere liberamente la sua opi-nione su ogni questione che lo interessa, e che detta opinione debba essere debitamente presa in considerazione tenendo conto della sua età e del suo grado di maturità; a tal fine, deve essere data al fanciullo la possibilità di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo concerne, sia direttamente, sia tramite un rappresentante o un organo ap-propriato, in maniera compatibile con le regole di procedura della legislazione nazionale.

Successivamente, la Convenzione Europea sull’esercizio dei diritti dei minori, adottata dal Consiglio d’Europa il 25 gen-naio 1996, ha affermato nel preambolo la necessaria promo-zione dei diritti e degli interessi dei minori, definiti “superio-ri”; a tal fine tali diritti dovrebbero essere esercitati in tutte le procedure che li vedono coinvolti, in particolar modo in ma-teria di diritto di famiglia, ed all’art. 6 la Convenzione dispo-ne che nei procedimenti che riguardano un minore l’autorità giudiziaria, prima di giungere a qualunque decisione, debba in primo luogo esaminare se esso disponga di informazioni sufficienti al fine di tutelare l’interesse superiore del minore e, se necessario, ottenere informazioni supplementari, in par-ticolare da parte dei detentori delle responsabilità genitoriali.

Quando il diritto interno ritiene che il minore abbia una capacità di discernimento sufficiente l’autorità giudiziaria deve consultare lo stesso personalmente, se necessario in privato, direttamente o tramite altre persone od organi, con una forma adeguata alla sua maturità, a meno che ciò non sia manifestamente contrario agli interessi superiori del minore.

Il giudice deve, sempre nel rispetto della Convenzione, per-mettere in ogni momento al minore di esprimere la propria opinione e tenerla in debito conto.

Non meno importante è la tutela garantita dalla Carta di Nizza del 7 dicembre 2000, il cui art. 24, par. 1, prevede che i bambini abbiano diritto alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere, e possano esprimere liberamente la propria opinio-ne; questa viene presa in considerazione sulle questioni che li riguardano in funzione della loro età e della loro maturità.

Venendo alla normativa interna, la legge 219/12 ed il d.lgs. 154/13 hanno contribuito al riassetto ed alla risistemazione del complesso normativo in materia, che trova la propria col-locazione negli articoli 315-bis, 336-bis e 337-octies del codice civile come attualmente formulati.

L’art. 315-bis del codice civile, manifesto dello status di figlio non a caso rubricato “Diritti e doveri del figlio”, al III comma dispone che il minore che abbia compiuto gli anni dodici, e che anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e procedure che lo riguardano; più specificamente l’art. 336-bis stabilisce che se l’ascolto è in contrasto con l’interesse del minore, o manife-stamente superfluo, il giudice non procede all’adempimento dandone atto con provvedimento motivato; al comma succes-sivo si dispone che l’ascolto sia condotto dal giudice anche avvalendosi di esperti o altri ausiliari, ed i genitori, i difensori delle parti, il curatore del minore ed il PM possono partecipa-re solo se autorizzati dal magistrato, al quale possono propor-re argomenti prima che sia iniziato l’adempimento. Prima dar corso all’ascolto il giudice informa il minore della natura del procedimento, e dell’ascolto è redatto verbale che descriva il contegno del minore o è effettuata registrazione audio-video.

Infine l’art. 337-octies del codice civile, nell’ambito delle controversie relative all’esercizio della responsabilità genito-riale in seguito alla fine del rapporto matrimoniale o per i figli nati fuori da esso, prevede che il giudice debba procedere all’ascolto del minore nelle modalità sopra descritte.

2. La Corte di Cassazione e le Convenzioni interna-zionali

Su questo tessuto normativo, da tenere a mente anche nella sua scansione temporale sia per quanto riguarda la normativa interna che quella sovranazionale, si snoda il percorso com-piuto dalla Cassazione negli anni, con pronunciamenti che via via necessariamente hanno preso atto dei diversi impulsi, come detto in primo luogo provenienti dalle convenzioni in-ternazionali, andando ad incidere significativamente sui vari istituti via via trattati adeguandoli ai principi formulati nelle Convenzioni sopra ricordate.

Si fa riferimento ad esempio nella sentenza n. 13657 del 7 dicembre 1999, sezione I, oltre che alla già richiamata Con-venzione di New York, anche all’art. 13 comma 2 della Con-venzione dell’Aja del 1980 in materia di sottrazione interna-zionale di minore, per affermare che le suddette convenzioni non prevedono una indiscriminata possibilità per il minore di esprimere la sua opinione su ogni questione che lo interessa, ma l’ascolto è subordinato, secondo un apprezzamento di-screzionale da parte del giudice, alla capacità di discernimen-to, all’età ed al grado di maturità del minore stesso.

Anche le sentenze n. 15145 del 10 ottobre 2003, sezione I, così come con la di poco successiva n. 19544 del 19 dicembre 2003, recepiscono il contenuto delle Convenzioni dell’Aja, di

L’ASCOLTO DEL MINORE: LA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONEPAOLO CRISTOFANI MENCACCIAvvocato in Lucca e Rappresentante della Sezione di Lucca di ONDiF

Sommario: 1. Premessa. - 2. La Corte di Cassazione e le Convenzioni internazionali. - 3. I poteri discrezionali del Giudice. - 4. Gli aspetti proces-suali. - 5. Sull’opinione fornita dal minore in sede di ascolto. - 6. Sulle modalità dell’ascolto del minore.

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140 L’Osservatorio sul diritto di famiglia | gennaio-agosto 2018

LA GIURISPRUDENZA ANNOTATA

New York e Strasburgo; in particolare riguardo a quest’ultima la Suprema Corte ha osservato come essa imponga agli Stati contraenti di esaminare l’opportunità di concedere ai minori il diritto di esercitare le prerogative di “parte processuale”, ma mentre nei procedimenti ex art. 336 c.c. il minore è da con-siderarsi parte, nelle procedure sommarie, in difetto di una espressa previsione legislativa, questa non è una via obbligata.

La sentenza n. 16753 del 27 luglio 2007, sezione I detta inol-tre un principio che, prendendo lo spunto ancora una volta dalla materia della sottrazione internazionale dei minori, ha valenza generale: sebbene lo Stato italiano, al momento del deposito dello strumento di ratifica della convenzione di Stra-sburgo del 1996, esercitando il dovere di designare “almeno tre categorie di controversie familiari dinnanzi ad un’autorità giudiziaria cui la presente Convenzione può applicarsi” (art. 1, comma 4 della legge di ratifica), abbia elencato come campo di applicazione della stessa (comunicato del Ministero degli affari esteri 10 settembre 2003, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 210 del 10 settembre 2003) soltanto quattro procedimenti – quelli in materia di intervento del Giudice in caso di disac-cordo tra i genitori, quelli in tema di azione di disconoscimen-to di paternità, quelli in tema di autorizzazione ad impugna-re il riconoscimento, e quelli in materia di amministrazione dei beni del minore da parte dei genitori –, senza includervi i procedimenti di sottrazione internazionale dei minori e, in genere, di controllo della potestà genitoriale, le disposizioni di detta Convenzione relative all’ascolto del minore, per la loro valenza di principio e per il loro significato promozionale, sono comunque e sempre suscettibili di influenzare l’attività interpretativa anche nei procedimenti che si collocano al di fuori dell’elenco delle categorie di controversie formulato dallo Stato italiano, orientando il senso delle disposizioni di cui il Giudice è chiamato a fare diretta applicazione.

3. I poteri discrezionali del Giudice

Orientamento costante della Suprema corte attribuisce al magistrato un potere discrezionale in merito alla valutazione circa la capacità di discernimento del minore, infra o ultra dodicenne, ed alla effettiva utilità dell’audizione del stesso.

La sentenza n. 4124 del 21 marzo 2003, sezione I, in tema di adozione, ha disposto che l’adottando debba essere perso-nalmente sentito se ha compiuto i dodici anni, e ciò sia pos-sibile anche nel corso del corso del giudizio di opposizione alla dichiarazione di adattabilità nonché in quello di appello; in ogni caso la necessità o l’opportunità di procedere ad un nuovo ascolto del minore e di valutarne le dichiarazioni sul piano del giudizio rientrano nei poteri discrezionali del giu-dice di merito, il cui mancato uso non è censurabile in sede di legittimità sotto il profilo della violazione di legge. Secon-do la prima Sezione infatti l’esigenza di ascoltare il minore costituisce una costante – ed anche qui viene richiamata la Convenzione di New York – intesa ad attribuire rilievo alla personalità ed alla volontà della persona in relazione a prov-vedimenti che trovano la loro ragion d’essere proprio nell’in-teresse di quest’ultimo.

Sul punto la Suprema Corte è tornata in seguito, con la sen-tenza n. 19202 dell’11 settembre 2014, sezione I, onerando il giudice dell’appello che non intende dar seguito alla richiesta di nuovo ascolto del minore dell’esposizione dei motivi per cui ritenga superfluo procedere nuovamente.

L’accertamento della capacità di discernimento del minore, secondo la Suprema Corte, rientra (nel caso di specie, trat-tandosi di sottrazione internazionale di minori) nell’insinda-cabile giudizio del Tribunale per i Minorenni, senza che sus-sista l’obbligo per il giudice specializzato, istituzionalmente competente per natura, composizione e funzioni a rendersi direttamente conto del grado di sviluppo intellettivo del mi-nore, di disporre specifici mezzi di accertamento di tale capa-cità, come la consulenza tecnica di ufficio, considerati anche i ritmi serrati in cui il procedimento è scandito, essendo la materia caratterizzata dall’urgenza di provvedere (Cass. Civ. Sez. I n. 7479 del 31 marzo 2014, Cass. Civ. Sez. I. n. 6081 del 18 marzo 2006); in ogni caso, ove sussistano particolari ragioni che sconsigliano l’audizione del minore, esse devo-no essere indicate specificamente (Cass. Civ. Sez. I, n. 3319 dell’8 febbraio 2017).

La capacità del minore peraltro non può essere esclusa con mero riferimento al dato anagrafico dello stesso, mentre può presumersi in genere ricorrente, anche considerati temi e fun-zioni dell’audizione, quando si tratti di minori per età sogget-ti ad obblighi scolastici e, quindi, normalmente in grado di comprendere l’oggetto del loro ascolto e di esprimersi consa-pevolmente (Cass. Civ. Sez. I. n. 752 del 19 gennaio 2015).

Sempre in merito ai poteri discrezionali del giudice, la sen-tenza n. 13241, sezione I, del 16 giugno 2011, precisa inol-tre che l’ascolto del minore, pur essendo caratterizzato nella sua concreta modalità da profili inevitabilmente connessi alla discrezionalità del magistrato procedente, consente di dar forma al diritto dello stesso di partecipare alla sua tutela attra-verso un interlocutore che lo ascolta e che lo considera in ciò che dice, ma ciò solo a condizione che il minore stesso riceva le informazioni pertinenti ed appropriate con riferimento alla sua età ed al suo grado di sviluppo, a meno che tali informa-zioni nuocciano al suo benessere.

Prima dell’avvento delle riforme del 2012 e del 2013 pe-raltro particolarmente significativo era stato l’impatto della l. 54 del 2006 che ha introdotto, in tema di ascolto del mino-re, l’art. 155-sexies del codice civile, contenente la disciplina dell’ascolto del minore prima che essa trovasse la sua defini-tiva formulazione con la riforma portata dal d.lgs. 54/2013; la legge 54 fa assumere maggiore centralità all’interesse della prole rispetto alle conseguenze della disgregazione del rap-porto della coppia, interesse tutelato dalla disciplina, appun-to, dell’ascolto del minore (Cass. sez. I n. 10265 del 10 mag-gio 2011).

Con la sentenza n. 18538 del 2 agosto 2013, sez. I, la Cas-sazione prende in considerazione per la prima volta l’art. 315-bis del codice civile, come introdotto dalla l. 219/2012, per evidenziare che il diritto all’ascolto del minore debba essere sempre previsto per tutte le questioni e i procedimenti che lo riguardano, salvo che quest’ultimo possa essere in contrasto con il suo superiore interesse (in senso conforme anche Cass. civ. Sez. I n. 19327 del 29 settembre 2015).

Relativamente ai motivi per derogare all’obbligo di ascolto del minore, la Suprema Corte ha ritenuto che essi non siano validamente integrati dal riferito stress causato dall’audizione in considerazione dell’affermato precario equilibrio psicoe-motivo della minore stessa con conseguente possibilità che la volontà non venisse espressa in modo genuino (Cass. Civ. Sez. I n. 18469 del 27 luglio 2017).

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LA GIURISPRUDENZA ANNOTATA

Con la pronuncia n. 5676, sez. I, del 7 marzo 2017 la Suprema Corte si sofferma sulle condizioni dell’ascolto del minore infradodicenne. Premesso che la capacità di discer-nimento dell’ultradodicenne si ha per presunta, per quanto riguarda i più giovani in capo al giudice si pongono una serie di poteri ed obblighi, che la richiamata sentenza elenca. In particolare, il giudice ha il potere discrezionale ufficioso di disporre l’ascolto dell’infradodicenne, anche al fine di verifi-carne la capacità di discernimento e quindi di partecipare alle scelte che lo concernono in modo consapevole ed effettivo; a fronte di una specifica istanza di parte, deve essere disposto l’ascolto o motivata l’omissione (incombente altrimenti non necessario in assenza di una specifica sollecitazione); il giudi-ce deve in ogni caso procedere all’ascolto, anche di ufficio, in caso si compimento dei dodici anni in corso di causa, anche nel giudizio di appello, motivando altrimenti l’omissione.

4. Gli aspetti processuali

Per quanto riguarda gli aspetti processuali, la Cassazione in-terviene in materia di filiazione e riconoscimento della prole naturale (procedimento disciplinato dall’art. 250 IV comma del codice civile) per affermare che l’audizione del minore non va disposta se il giudice non lo ritenga capace, per ra-gioni di età o altre cause, di affrontare l’esame e di rispondere coerentemente alle domande; non vanno comunque motivate espressamente le ragioni del mancato nel caso in cui il giudi-ce abbia fondato il proprio convincimento ricorrendo ad altri mezzi di indagine, compresa la consulenza tecnica di ufficio.

In ogni caso, in sede di gravame, l’omissione immotivata dell’audizione del minore non è rilevabile di ufficio, ma deve essere eccepita dalla parte.

La Suprema Corte ha inoltre precisato che la prescrizione concernente l’audizione del minore è rivolta a soddisfare l’esi-genza di accertare se il rifiuto del consenso dell’altro genitore, che per primo abbia proceduto al riconoscimento (sempre in tema di riconoscimento), risponda o meno all’interesse del figlio; tale audizione può essere disposta anche di ufficio, con il solo limite dell’incapacità del minore, ed il giudice ha l’ob-bligo di esporre le ragioni che hanno impedito l’incombente solo se il relativo adempimento sia stato a lui richiesto o il mancato ascolto sia stato eccepito (Cass. Civ. Sez. I, n. 395 dell’11 gennaio 2006).

Il susseguirsi delle diverse Convenzioni internazionali ha inoltre portato la Cassazione a pronunciarsi a Sezioni Unite con la sentenza n. 22238 del 21 ottobre 2009; nell’enunciare nuo-vamente il carattere necessario dell’ascolto del minore in tutti i procedimenti che li riguardano, come previsto dall’art. 12 del-la Convenzione di New York e dall’art. 6 della Convenzione di Strasburgo (nonché all’epoca dell’art. 155-sexies del codice civile), la Suprema Corte ha stabilito che l’omissione di detto adempimento costituisce violazione del principio del contrad-dittorio e dei principi del giusto processo, salvo che il mancato ascolto sia sorretto da espressa motivazione sull’assenza di di-scernimento che ne può giustificare l’omissione, in quanto il minore è portatore di interessi contrapposti e diversi da quelli del genitore in sede di affidamento e diritto di visita, e pertanto per tale profilo è qualificabile come parte in senso sostanziale.

L’influenza del riassetto della normativa in materia si perce-pisce anche nella sentenza n. 28645 del 24 dicembre 2013, Sez. I, che prevede che nel procedimento proposto a seguito

dell’opposizione del genitore che per primo abbia riconosciu-to il figlio nato fuori dal matrimonio al successivo riconosci-mento da parte dell’altro, il giudice deve procedere, a pena di nullità all’ascolto del figlio anche infrasedicenne, o deve motivare le ragioni dell’omissione.

Nel contesto del nuovo quadro normativo, peraltro, l’ascolto del minore assume una importanza tale da far sì che la nomi-na del curatore speciale e del difensore al minore trovi appli-cazione soltanto per i provvedimenti limitativi ed eliminativi della potestà genitoriale, ove si pone in concreto un problema di conflitto di interessi tra genitori minore, e non nelle con-troversie relative al regime di affidamento e visita, nel qual caso la partecipazione del minore nel conflitto genitoriale si esprime, quando ne ricorrano i presupposti, mediante il suo ascolto (Cass. Civ. Sez. I, n. 8100 del 21/4/2014, Cass. Civ. Sez. I, sentenze n. 7478 e 7479 del 31 marzo 2014).

Caso particolare è quello esaminato dalla Cassazione con la sentenza n. 6129 del 26 marzo 2015, Sez. I, in cui la Suprema Corte prende in esame la fattispecie della valutazione delle indicazioni date dal minore data in sede di appello: il giudi-ce del gravame, qualora il minore stesso sia stato già sentito nel precedente grado di giudizio, non è tenuto a reiterarne l’ascolto, né è vincolato dalle indicazioni che il minore aveva dato; qualora intenda disattenderle, tanto già se in riforma del provvedimento di prime cure, deve motivare sul perché da un lato abbia ritenuto non necessaria una nuova audizio-ne, dall’altro perché abbia individuato il genitore affidatario o collocatario in contrasto com la volontà espressa dal minore, dovendo altrimenti dispone nuovamente l’ascolto; peraltro, a prescindere dal fatto che il minore sia stato sentito o meno nella fase del primo grado, ove nella fase di appello il Giu-dice provveda non può prescindere dal tener conto delle re-lative risultanze, in quanto tale incombente costituisce una modalità tra le più rilevanti di riconoscimento del suo diritto fondamentale ad essere informato e ad esprimere le proprie opinioni nei procedimenti che lo riguardano, nonché elemen-to di primaria importanza nella valutazione del suo interesse, anche nel quadro del necessario bilanciamento tra l’esigenza di affermare la verità biologica con l’interesse alla stabilità dei rapporti familiari (Cass. Civ. Sez. I, n. 11890 del 9 giugno 2015, Cass. Civ. Sez. I, n. 2770 del 2 febbraio 2017, Cass. Civ. Sez. I, n. 7762 del 27 marzo 2017).

5. Sull’opinione fornita dal minore in sede di ascolto

Sull’importanza da attribuire alle dichiarazioni rese dal mi-nore, anche tenendo evidentemente a mente quanto enun-ciato nelle varie convenzioni internazionali, pronunciandosi in tema di sottrazione internazionale di minori la Cassazione ha stabilito che all’opinione espressa dal minore (nel caso di specie contrario al rimpatrio) può attribuirsi efficacia non di causa esclusiva del rigetto dell’istanza, bensì di elemento cor-roborante il convincimento del giudice sulla sussistenza del pregiudizio psichico (nello stesso senso, poi, Cass. Civ. Sez. I, n. 17201 dell’11 agosto 2011 e Cass. Civ. Sez. I, n. 29118 del 5 dicembre 2017); sono tuttavia emersi anche orientamenti più “sfumati”, con Cass. Civ. Sez. I, n. 5237 del 5 marzo 2014, per cui la volontà contraria manifestata in ordine al proprio rientro da un minorenne ritenuto sufficientemente maturo può costituire ipotesi distintamente valutabile ostativa all’ac-coglimento della domanda di rimpatrio.

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LA GIURISPRUDENZA ANNOTATA

Più dettagliatamente, con altra decisione sul medesimo tema, la Suprema Corte ha precisato che la Convenzione dell’Aja impone l’ascolto del minore al fine di verificare se vi sia una precisa opposizione del medesimo ove munito di discernimento, ritenendo tale opposizione un motivo ostativo autonomo all’ordine di rientro; il tribunale per i minorenni non può dunque opporre una valutazione alternativa della relazione con il genitore con il quale il predetto minore do-vrebbe vivere in esito al rientro, salvo procedere a un appro-fondimento istruttorio autonomo (Cass. Civ. Sez. I, n, 18846 del 26 settembre 2016).

Sempre sul tema della rilevanza da riconoscersi all’opinione espressa dal minore, la già richiamata Sentenza n. 16753 del 27 luglio 2007, sezione I, conferma la circostanza per cui la volontà di esso di opporsi al rientro (ancora in tema di sot-trazione internazionale) non integra di per sé una condizione preclusiva dell’emanazione dell’ordine di rimpatrio da parte del giudice dello Stato richiesto quando provenga da un mi-nore che, secondo il motivato apprezzamento del Tribunale per i minorenni, non abbia raggiunto l’età ed il grado di ma-turità tali da giustificare il rispetto della sua opinione; in tal caso l’ascolto del minore, avente capacità di discernimento, ha una rilevanza cognitiva, in quanto l’esito di quel colloquio consente giudice di valutare direttamente se sussista o meno il fondato rischio, per il minore medesimo, di essere esposto per il fatto del suo ritorno a pericoli fisici e psichici, o comun-que di trovarsi in una situazione intollerabile.

Ferma restando poi la possibilità per il giudice di discostarsi dal convincimento espresso dal minore in sede di audizione solo a tutela del superiore interesse di esso, la Suprema Corte impone in tal caso un più stringente obbligo di motivazione, onere la cui entità deve ritenersi direttamente proporzionale al grado di discernimento attribuito, nel caso di specie, al figlio della coppia opposta nella causa di separazione (Cass. Civ. Sez. I n. 7773 del 17 maggio 2012, Cass. Civ. Sez. I n. 16658 del 22 luglio 2014, Cass. Civ. Sez. I n. 19007 del 10 settembre 2014, Cass. Civ. Sez. I, n. 21101 del 7 ottobre 2014).

6. Sulle modalità dell’ascolto del minore

Con successive decisioni la Suprema Corte ha precisato che, pur essendo obbligatoria l’audizione del minore, tanto da rendere invalido in sua mancanza il provvedimento assunto, tuttavia non sono indicate le modalità dell’ascolto dello stes-

so, che potrà in circostanze particolari quindi essere sentito dal Giudice direttamente o tramite un ausiliare, psicologo o educatore, che riferirà in ordine anche alla sua capacità di discernimento (Cass. Civ. sez. I n. 21651 del 19 ottobre 2011 e n. 11687 sez. I n. 11687 del 15 maggio 2013).

Particolare è il caso dell’ascolto del minore con cui la Cas-sazione si misura nella sentenza n. 6694 del 3 maggio 2012, sezione I, vale a dire quello dell’espulsione del parente del minore straniero: in questo caso, l’inespellibilità del suddetto parente si configura anche nel caso di minorenne non ancora capace di discernimento a causa dell’età e, per la Cassazione, il diritto all’ascolto si configura non solo direttamente, ma an-che tramite un rappresentante o un organo appropriato.

La Suprema Corte ha inoltre inquadrato l’audizione del mi-nore come un momento normale del procedimento finaliz-zato a raccogliere le opinioni ed i bisogni rappresentati dal minore in merito alla vicenda in cui è coinvolto e deve esple-tarsi in modo tale da garantire l’esercizio effettivo del diritto del minore di esprimere liberamente la propria opinione. Il giudice deve, dunque, verificare il grado di maturità del mi-nore, sia al fine di escluderne giustificatamente l’audizione, se necessario, sia al fine di adeguare le modalità dell’ascolto alle esigenze del caso concreto, anche delegando l’audizione ad un organo più appropriato e professionalmente più attrezza-to, in modo da adottare delle le cautele e le modalità atte ad evitare interferenze, turbamenti e condizionamenti; in ogni caso, non può ritenersi sufficiente a tale scopo, che il minore sia stato interpellato o esaminato sa soggetti (come gli assi-stenti sociali) le cui relazioni vengano poi successivamente acquisite al fascicolo processuale. La mancata audizione, per-tanto, non determina in via automatica la nullità processuale per violazione del principio del contraddittorio, dovendo es-sere verificata in concreto la ragione di tale esclusione (Cass. civ. Sez. I n. 21662 del 4 dicembre 2012, in senso conforme anche Cass. civ. Sez. I n. 9780 del 12 maggio 2016).

L’ascolto del minore costituisce inoltre strumento principe, tra tutti quelli propri della materia, in materia di accertamen-to della sussistenza di condotte espressive di “PAS”, sindrome da alienazione parentale, poste in essere dal genitore collo-catario o affidatario nei confronti dell’altro, pur imponendo al giudice uno stringente obbligo di motivazione a tutela del diritto alla bigenitorialità in capo al minore (Cass. Civ. Sez. I. n. 6919 dell’8 aprile 2016).

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LA GIURISPRUDENZA ANNOTATA

1. Introduzione

Henry Peter Brougham, politico britannico, avvocato scoz-zese scriveva: “L’avvocato è un uomo che salva i vostri beni dai vostri nemici tenendoli per sé”. Purtroppo di questi tempi non è un brocardo di moda perché per sé l’avvocato non rie-sce a trattenere neanche l’importo di una parcella. Argomento pertanto attualissimo specie nelle realtà del Sud Italia dove è diventato davvero difficile inseguire il proprio cliente per il pagamento della parcella. Intanto il danno oltre la beffa è che bisogna accuratamente studiare e alacremente lavorare pure per farsi pagare. Le Sezioni Unite civili, nel febbraio scorso sono intervenute in materia di procedimenti da adire con rife-rimento ai crediti per spese giudiziali dell’avvocato. Facciamo un passo indietro secondo l’art. 28 ed i successivi art. 29 e 30, della previgente legge 13 giugno 1942 n. 794 un avvocato de-terminato a recuperare un credito professionale per prestazio-ni giudiziali poteva scegliere tra tre strade: 1) il procedimento speciale di cui agli artt. 28 e ss. l. n. 794/1942 (limitatamen-te ai crediti relativi a procedimenti civili);2) il procedimento monitorio per decreto ingiuntivo; 3) il giudizio ordinario di cognizione. L’art. 34 d.lgs. n. 150/2011 ha abrogato i citati artt. 29 e 30 legge n. 794/1942 ed ha così modificato l’art. 28: “Per la liquidazione delle spese, degli onorari e dei diritti nei confronti del proprio cliente l’avvocato, dopo la decisione della causa o l’estinzione della procura se non intende segui-re la procedura di cui all’art. 633 e seguenti del codice di procedura civile, procede ai sensi dell’articolo 14 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150”. Allo stato il povero malcapitato avvocato che intende recuperare l’onorario ora ha due strade: 1) il decreto ingiuntivo; 2) il procedimento previsto dall’articolo 14 del d.lgs. n. 150/2011 che disciplina attualmente le controversie in materia di liquidazione degli onorari e dei diritti di avvocato”, prevedendo testualmente quanto segue: “Le controversie previste dall’articolo 28 della legge 13 giugno 1942, n. 794, e l’opposizione proposta a nor-ma dell’articolo 645 del codice di procedura civile contro il decreto ingiuntivo riguardante onorari, diritti o spese spettan-ti ad avvocati per prestazioni giudiziali sono regolate dal rito sommario di cognizione, ove non diversamente disposto dal presente articolo”. Pertanto se l’avvocato preferisce scegliere la strada del decreto ingiuntivo, l’opposizione al decreto in-giuntivo è comunque regolata dal rito sommario di cognizio-ne, in alternativa potrà comunque usare il procedimento del rito sommario di cognizione (ex art. 14 d.lgs. 150/2011 che ha modificato l’art. 28 legge 13 giugno 1942 n. 794). Però, la normativa del capo III bis relativa al processo sommario

di cognizione prevede che si può passare dal rito sommario al procedimento ordinario e viceversa ed occorre valutare se tale scelta è esercitabile anche per le controversie che hanno ad oggetto il recupero delle spese e l’onorario dell’avvocato. L’ulteriore domanda da porre è se il procedimento somma-rio di cognizione è applicabile ad ogni contestazione relativa all’onorario (quantum, ma anche all’esistenza del rapporto), oppure se tale procedimento è applicabile solo quando è con-testato il quantum e non quando si contesta l’esistenza del rapporto, oppure, in modo più generico, ci si potrebbe chie-dere “se” è derogabile il procedimento delineato dal decreto legislativo n. 150/2011. Le conseguenze derivanti dallo sce-gliere una tesi piuttosto che un’altra portano, nel caso di con-testazioni sull’an del rapporto professionale ad una pronuncia di inammissibilità da parte del giudice del procedimento spe-ciale, al contrario, secondo una diversa ricostruzione il ricorso sommario proposto dall’avvocato sarebbe suscettibile di evol-vere, previa conversione del rito ex art. 4 d.lgs. n. 150/2011 in rito ordinario, allorché il convenuto contesti anche l’an o proponga domanda riconvenzionale. Ipotizzando una terza tesi, l’intero giudizio di liquidazione dei compensi, quando comprende la contestazione sull’an debeatur, dovrebbe essere trattato con il “nuovo” rito sommario (quale procedimento inderogabile) e di conseguenza, nel caso in cui il giudizio in tale materia venga introdotto con rito ordinario e, dunque, con atto di citazione (o con atto di citazione in opposizione avverso il decreto ingiuntivo), il Presidente del Tribunale o della Sezione tabellarmente competente dovrebbe, in primis disporre il mutamento del rito da ordinario in sommario ai sensi dell’art. 4 d.lgs. n. 150/2011, nominare il Giudice rela-tore; ed infine fissare l’udienza di comparizione partì avanti al Collegio per la trattazione.

2. Corte di Cassazione sez. civile 29 febbraio 2016 n. 4002

La Cassazione del 29 febbraio 2016 n. 4002 ha stabilito che le controversie previste dall’art. 28 legge 13 giugno 1942 n. 794 (come modificato dall’art. 34 d.lgs. n. 150/2011) per la liquidazione delle spese, degli onorari e dei diritti dell’avvo-cato devono essere trattate con la procedura prevista dall’ar-ticolo 14 del decreto legislativo del 1° settembre 2011 n. 150 anche quando la domanda riguardi l’an della pretesa, senza possibilità per il giudice di trasformare il rito sommario in rito ordinario o di dichiarare l’inammissibilità della domanda. Quest’ultima tesi è quella accolta dalla Corte di Cassazione, perché il legislatore scegliendo per questo caso il procedi-

LA TUTELA DEI CREDITI PROFESSIONALI PER ATTIVITÀ GIUDIZIALI SECONDO LA GIURISPRUDENZA DI LEGITTIMITÀBEATRICE MARANÒAvvocato in Taranto e Rappresentante della Sezione di Taranto

Sommario: 1. Introduzione. - 2. Corte di Cassazione sez. civile 29 febbraio 2016 n. 4002. - 3. Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza del 23 febbraio 2018, n. 4485. - 4. Competenza: vecchio art. 28 l. 794/42 e nuovo art. 28 sostituito dal d.lgs. n. 150 del 2011. - 5. Art. 14 del d.lgs. 150 del 2011 e praticabilità dei diversi riti. - 6. Quantum e an debeatur.

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LA GIURISPRUDENZA ANNOTATA

mento sommario obbligatorio disciplinato dall’art. 3, d.lgs. n. 150/2011, ha compiuto una verifica, astratta ed irrevocabile, a monte sulla base delle caratteristiche riscontrate in alcu-ne specie di controversie che hanno ad oggetto determinate specifiche materie. Una tale soluzione ha evidenti vantaggi di economia processuale e sarebbe conforme al principio di conservazione degli atti processuali, evitando la declaratoria di inammissibilità che è espressamente esclusa dall’art. 3, 1° comma, d.lgs. 150/2011, nella parte in cui esclude l’applica-bilità dell’art. 702-ter, 2° comma, c.p.c. Tale soluzione è in linea con quanto affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza 26 aprile 2014 n. 65 che, con riferimento alla dedot-ta violazione dei principi della legge delega riferita all’art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 150 del 2011, ed in particolare all’e-sclusione della convertibilità del rito sommario, ha rilevato che la norma in esame costituisce immediata applicazione del criterio direttivo di cui all’art. 54, comma 4, lettera b), nu-mero 2), della legge n. 69 del 2009, il quale riconducendo al modello del procedimento sommario quei procedimenti nei quali sono prevalenti caratteri di semplificazione della tratta-zione o dell’istruzione della causa, afferma che resta “esclu-sa per tali procedimenti la possibilità di conversione nel rito ordinario”. La non convertibilità del rito sommario discende quindi dalla espressa prescrizione impartita dalla legge dele-ga (art. 54, comma 4, lettera b, numero 2, della legge n. 69 del 2009) e corrisponde altresì alla inammissibilità – ripetu-tamente affermata anche prima della riforma del 2009 – del procedimento speciale previsto dalla legge n. 794 del 1942 nel caso in cui il thema decidendum si estenda a questioni che esulano dalla mera determinazione del compenso. Il divie-to di conversione del rito è chiaro nell’art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 150 del 2011 per le controversie regolate dal rito sommario di cognizione, conseguentemente prevedere che questo divieto cada con riferimento ai soli procedimenti di liquidazione degli onorari forensi, costituirebbe un’eccezione rispetto al modello procedimentale prescelto dal medesimo d.lgs. n. 150 del 2011. Siffatta eccezione risulterebbe incom-patibile con le finalità, perseguite dalla riforma del 2011, di riduzione e semplificazione dei riti civili. Le controversie previste dall’articolo 28 della legge 13 giugno 1942, n. 794, come modificato dall’art. 34 d.lgs. n. 150/2011, ed a seguito dell’abrogazione degli artt. 29 e 30 legge n. 794/1942, per la liquidazione delle spese, degli onorari e dei diritti nei con-fronti del proprio cliente da parte dell’avvocato devono essere trattate con la procedura prevista dall’articolo 14 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150 anche in ipotesi che la domanda riguardi l’an della pretesa, senza possibilità per il giudice adito di trasformare il rito sommario in rito ordinario o di dichiarare l’inammissibilità della domanda.

3. Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza del 23 febbraio 2018, n. 4485

Anche le sezione unite della Cassazione con sentenza del 23 febbraio 2018, n. 4485 in particolare hanno affermato che è esclusa la possibilità di introdurre l’azione sia con il rito di cognizione ordinaria e sia con quello del procedimen-to sommario ordinario di cui agli artt. 702-bis e ss. c.p.c. I fatti posti a fondamento di questa sentenza erano i seguenti: il difensore del ricorrente adiva il Tribunale di Civitavecchia con ricorso ex art. 702-bis cod. proc. civ. e assumeva di avere

svolto attività professionale giudiziale sia nel primo che nel secondo grado del giudizio di separazione personale fra la sua assistita ed il coniuge, rispettivamente davanti al Tribunale di Roma ed alla Corte d’Appello di Roma, sia richiedendo ed ottenendo vari decreti ingiuntivi dal Giudice di Pace di Roma per somme dovute dal coniuge a titolo di assegno mensile di mantenimento per i figli ed a titolo di contribuzione in spe-se straordinarie. Adducendo di avere inutilmente chiesto alla sua assistita di provvedere al saldo delle relative competenze professionali, ne chiedeva la condanna alla corresponsione. Con un decreto iniziale il Giudice designato alla trattazione fissava per la comparizione “l’udienza collegiale” (così detto espressamente nel provvedimento) ma, su istanza del ricor-rente nella quale egli rappresentava di avere introdotto, come si evinceva dalle conclusioni del ricorso, un “ordinario” pro-cedimento sommario ai sensi dell’art. 702-bis e seguenti, del codice di procedura civile (da trattarsi e decidersi, pertanto, dal Tribunale in composizione monocratica) – lo stesso Giu-dice, con decreto in pari data, revocava il precedente decreto e fissava l’udienza di comparizione ai fini della trattazione in composizione monocratica. All’udienza di comparizione il Tribunale si riservava e, con ordinanza, dichiarava l’inammis-sibilità del ricorso a norma dell’art. 14 del d.lgs. n. 150 del 2011, perché a) competente a decidere le controversie di cui all’art. 28 della legge n. 794 del 1942 è l’ufficio giudiziario di merito adito per il processo nel quale l’avvocato ha prestato la propria opera, e quindi gli uffici giudiziari di Roma; b) perché parte resistente aveva eccepito la sussistenza di cause estintive dell’obbligazione; tenuto conto che lo speciale procedimento di cui all’art. 14 del d.lgs. n. 150 del 2011 non trova appli-cazione laddove, anche a seguito delle eccezioni sollevate dal cliente convenuto in giudizio, si verifichi un ampliamento del thema decidendum oltre la semplice determinazione degli onorari forensi, come si desume sia dai lavori preparatori del citato testo di legge sia dalla giurisprudenza formatasi nel vi-gore degli artt. 28 e 29 della legge n. 794 del 1942, costan-temente ritenuta applicabile anche al “nuovo” procedimento di cui all’art. 14 del d.lgs. n. 150 del 2011 (cfr. in tal senso Cass. 17053/2011; Cass. 13640/10; Cass. 23344/2008; Cass. 17622/2007) ed infine perché la convenuta risiede in Roma; Avverso l’ordinanza l’avvocato proponeva ricorso per regola-mento di competenza, chiedendo dichiararsi la competenza del Tribunale di Civitavecchia in composizione monocratica ed a sostegno adduceva: di avere introdotto il giudizio con un ricorso ai sensi dell’art. 702-bis cod. proc. civ. secondo il rito sommario ordinario e che ad esso era applicabile la regola di competenza di cui all’art. 18 cod. proc. civ. e che il Tribunale di Civitavecchia aveva errato, perché il d.lgs. n. 150 del 2011 aveva lasciato inalterati gli strumenti ordinari di tutela utilizzabili dal difensore in alternativa al procedimento speciale già regolato dalla l. n. 794 del 1942 e, dunque, sia il procedimento di cognizione ordinario sia il procedimento sommario ordinario ex art. 702-bis cod. proc. civ. Al ricorso per regolamento non vi è stata resistenza. La Sesta Sezione-2 richiedeva al Pubblico Ministero presso la Corte di formula-re, ai sensi dell’art. 380-ter cod. proc. civ. le sue conclusioni scritte ed all’esito del loro deposito veniva fissata la trattazione in adunanza camerale, in vista della quale il ricorrente deposi-tava memoria. A seguito dell’adunanza la Sesta Sezione-2, con ordinanza n. 13272 del 25 maggio 2017, ravvisata l’esistenza

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LA GIURISPRUDENZA ANNOTATA

nella giurisprudenza delle sezioni semplici di un contrasto sulla ricostruzione dei limiti e dell’oggetto del giudizio di cui all’art. 14 del d.lgs. n. 150 del 2011, nonché di discordi opi-nioni della dottrina e della giurisprudenza di merito, rimette-va il procedimento al Primo Presidente per l’assegnazione alle Sezioni Unite. Competenza: vecchio art. 28 l. 794/42 e nuovo art. 28 sostituito dal d.lgs. n. 150 del 2011

4. Competenza: vecchio art. 28 l. 794/42 e nuovo art. 28 sostituito dal d.lgs. n. 150 del 2011

Riguardo al ricorso per regolamento di competenza è stato doveroso per le sezioni unite l’esame del tessuto motivaziona-le del grado impugnato, che si sviluppa con due affermazioni, l’una iniziale e l’altra a chiusura, che esprimono o comunque implicano la negazione della competenza del tribunale adito e sono fra loro intervallate da una valutazione di “inammissi-bilità” del procedimento ricollegata all’atteggiarsi delle difese della convenuta: in tal senso si deve ritenere che l’ordinanza impugnata debba interpretarsi come una decisione che ha inteso negare la competenza. E, pertanto, sulla base di que-sti rilievi si deve allora ritenere che il tribunale, pur avendo conclusivamente dichiarato il procedimento inammissibile, risulta, in realtà, avere declinato su di esso la propria com-petenza, come se avesse inteso negare la propria competenza sia ai sensi degli artt. 702-bis e ss. cod. proc. civ, cioè secondo il procedimento sommario codicistico (con un’ordinanza ai sensi del primo comma dell’art. 702-ter), sia ai sensi dell’art. 14 del d.lgs. n. 150 del 2011. Ne consegue che, avuto riguar-do alla sostanza del decisum, risulta corretta la valutazione con cui il ricorrente ha ritenuto di assoggettare la pronun-cia a regolamento di competenza, sicché l’impugnazione con tale mezzo risulta ammissibile, perché la decisione non si può considerare come effettiva pronuncia ai sensi dell’art. 702-ter, secondo comma, cod. proc. civ.ma si deve, invece, reputare pronuncia ai sensi del primo comma di quella norma. Non può avere rilievo in senso contrario la circostanza che, ne-gando la propria competenza sia ai sensi dell’art. 14 citato, sia ai sensi dell’art. 702-ter, primo comma, cod. proc. civ. il Tribunale di Civitavecchia si sia astenuto, dal fornire espres-samente l’indicazione del giudice competente, ove tale indi-cazione si considerasse mancata, il regolamento sarebbe stato in ogni caso ammissibile, perché è esperibile quando il giu-dice di merito non indichi il giudice ritenuto competente (si veda già Cass. n. 777 del 1963; più di recente, Cass. n. 9515 del 1992 e Cass. (ord. interloc.) n. 27373 del 2005. Nella sentenza è inoltre contenuta un interessante dissertazione su come la competenza era regolata prima della riforma. Il vec-chio testo dell’art. 28, sotto la rubrica “Forma dell’istanza di liquidazione degli onorari e dei diritti” recitava: “Per la liqui-dazione delle spese, degli onorari e dei diritti nei confronti del proprio cliente l’avvocato (o il procuratore), dopo la decisione della causa o l’estinzione della procura, deve, se non intende seguire la procedura di cui all’art. 633 e seguenti del codi-ce di procedura civile, proporre ricorso al capo dell’ufficio giudiziario adito per il processo”. Il nuovo testo dell’art. 28, sostituito dall’art. 34, n. 16, lettera a) del d.lgs. 1° settembre 2011 n. 150, sotto la stessa rubrica, dispone ora che: “Per la liquidazione delle spese, degli onorari e dei diritti nei con-fronti del proprio cliente l’avvocato, dopo la decisione della causa o l’estinzione della procura, se non intende seguire il

procedimento di cui agli art. 633 e ss. del codice di procedu-ra civile, procede ai sensi dell’art. 14 del d.lgs. 1° settembre 2011 n. 150”. Occorre fare una preliminare osservazione con-tenuta in sentenza: quell’art. 28 del vecchio testo contenuto nella legge n. 794 del 1942 coincise con la data di efficacia del codice di procedura civile disposta dall’art. 1 del r.d. 28 ottobre 1940 n. 1443, ciò escludeva che alla disciplina della legge del 1942 si potesse attribuire il ruolo di lex specialis. A supporto di tale contemporaneità vi è l’uso da parte del legislatore nell’art. 28 (testo originario) del verbo “deve”, con-dizionato all’altra espressione “se non intende”, tanto più che l’art. 30 della l. n. 794 del 1942, per il caso in cui l’azione fos-se stata esercitata con il rito monitorio, prevedeva nel primo comma la trattazione con il rito camerale e non con quello di cognizione piena, giacché al secondo comma, rinviava all’art. 29, che regolava lo svolgimento del procedimento introdot-to ai sensi dell’art. 28. Nella logica del legislatore dell’epoca questa opzione era in funzione della garanzia al professionista di un mezzo rapido per ottenere le sue spettanze e, quindi, suonava come privilegiata, anche se, come contraltare vi era la previsione della inimpugnabilità del provvedimento e, prima ancora, il carattere deformalizzato o poco formalizzato delle regole del processo camerale, pur con le specificazioni di cui alle due citate norme. Entrata in vigore la Costituzione, d’al-tro canto, la negatività della prima previsione risultava, poi, neutralizzata dall’art. 111 della stessa che garantiva l’impu-gnazione per violazione di legge in Cassazione. Restava solo la seconda. L’interpretazione della dottrina e della giurispruden-za variegata negli anni posero, nei primi anni di applicazione della legge speciale, il problema della concorrenza con le due forme di azione previste dall’art. 28 e ss. L’opzione esegeti-ca che lasciava al difensore la possibilità di introdurre la lite individuata dall’art. 28 anche con un ordinario giudizio di cognizione risultò affermata, di seguito, da Cass. n. 152 del 1966 secondo la quale: “L’espressione dell’art. 28 della l. 13 giugno 1942, n. 794 – a norma del quale per la liquidazione delle spese, degli onorari e dei diritti nei confronti del proprio cliente, l’avvocato o il procuratore, dopo la decisione della causa o l’estinzione della procura, deve, se non intende se-guire la procedura di cui all’art. 633 e seguenti del cod. proc. civ. proporre ricorso al capo dell’ufficio giudiziario adito per il processo – va intesa nell’ambito della possibilità di addiveni-re, sulla base della parcella, alla sollecita creazione di un titolo esecutivo, e non esclude la facoltà di ottenere l’accertamento giudiziale del credito secondo le norme ordinarie”. Succes-sivamente la soluzione positiva non consta aver dato adito a contenzioso arrivato in Cassazione. Ma la domanda da fare è interrogarci sul se il criterio dell’invarianza della competenza sia stato rispettato con la sostituzione del testo dell’art. 28 e l’introduzione del procedimento di cui all’art. 14 e la questio-ne esige che ci si debba chiedere se la permanenza o meno della possibilità di agire con il rito ordinario interferisca con quel criterio, in tal senso è necessario individuare il giudice che – prima delle modifiche legislative e stante il ricordato approdo della giurisprudenza di questa Corte – sarebbe sta-to competente sulla domanda identificata nell’art. 28 della legge n. 794 del 1042. Chi avesse voluto individuare quella competenza avrebbe dovuto dare – limitando il discorso alla situazione ordinamentale esistente al momento della soprav-venienza dell’art. 14 – le seguenti risposte:

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LA GIURISPRUDENZA ANNOTATA

a) l’azione avrebbe potuto essere introdotta con le forme del-la cognizione ordinaria, di cui agli artt. 163 e ss. cod. proc. civ., nel qual caso, trattandosi di pretesa relativa a somma di danaro, operavano le ordinarie regole di competenza per valore, con la conseguenza che l’azione poteva incar-dinarsi davanti al giudice di pace o davanti al tribunale in composizione monocratica, mentre, sotto il profilo della competenza territoriale, avrebbero trovato applicazione i criteri generali di radicazione della competenza di cui agli artt. 18 e 19 e quello speciale ex art. 20 cod. proc. civ.;

b) l’azione si sarebbe potuta, inoltre, introdurre con le forme degli artt. 633 e ss. cod. proc. civ, nel qual caso – ferma l’applicazione alla eventuale successiva opposi-zione del rito di cui agli artt. 29 e 30 della l. n. 794 del 1942 – la competenza risultava regolata dall’art. 637 cod. proc. civ. e, quindi, secondo il testo vigente al momento dell’introduzione del procedimento di cui all’art. 14 (che era ed è quello sostituito dall’art. 100 del d.lgs. n. 51 del 1998), negli stessi termini indicati per l’azione intraduci-bile con il procedimento di cognizione ordinaria (primo comma), giusta il disposto del primo comma dell’art. 637, ma anche, ferma sempre la successiva applicazione del rito camerale di cui agli artt. 28 e 29 citati;

c) ai sensi del secondo comma della norma, con la previsio-ne di un criterio concorrente di competenza per materia (nel quale la materia era rappresentata dall’essere il cre-dito inerente a prestazioni svolte presso l’ufficio adito) e per territorio, quello dell’ufficio giudiziario cui il credito si riferiva (che in tal caso poteva essere il giudice di pace, il tribunale o anche la corte d’appello ed appariva sostan-zialmente coincidente con quello individuato dall’art. 29 della l. n. 794 del 1942);

d) ai sensi del terzo comma della norma con quella del giu-dice competente per valore (giudice di pace o tribunale monocratico) del luogo sede del consiglio dell’ordine di iscrizione dell’avvocato;

e) l’azione si sarebbe potuta introdurre con ricorso “al capo dell’ufficio adito per il processo “e, quindi, con attribu-zione di una competenza per materia, secondo il proce-dimento ex artt. 28 e ss. della legge del 1942 e si sarebbe dovuta trattare con il procedimento camerale previsto in relazione ad essa, giusta il disposto dell’art. 30;

f) inoltre, a seguito della introduzione, con la l. n. 69 del 2009, del procedimento di cognizione sommario di cui agli artt. 702-bis e ss. cod. proc. civ. qualora la domanda fosse stata introducibile ratione valoris davanti al tribu-nale in via ordinaria e, dunque, davanti al tribunale mo-nocratico, essa avrebbe potuto essere introdotta secondo quel procedimento;

g) al quadro descritto occorreva, tuttavia, aggiungere gli effetti della introduzione della disciplina del c.d. foro del consu-matore che veniva in considerazione allorquando il cliente contro il quale fosse stata proposta la domanda individuata dall’art. 28 avesse rivestito la qualità di consumatore.

5. Art. 14 del d.lgs. 150 del 2011 e praticabilità dei diversi riti

La riforma del 2011 non ha determinato alcun effetto sul-la possibilità che l’azione venga introdotta con le forme del procedimento per decreto ingiuntivo ai sensi degli artt. 633 e

ss. cod. proc. civ. atteso che l’art. 28 della l. n. 794 del 1942, pur nel testo sostituito dal d.lgs. n. 150 del 2011, la prevede e l’art. 14 la disciplina. Ne deriva che l’operatività della com-petenza ai sensi dell’art. 637 cod. proc. civ. (secondo tutte le ipotesi colà previste) è rimasta immutata ed immutata è rimasta pure l’omologia di rito con l’introduzione diretta con il (nuovo) procedimento sommario speciale, poiché l’art. 14 dispone che a seguito dell’opposizione al decreto il giudizio si tratti con la forma speciale del procedimento sommario, non diversamente da quanto accadeva secondo vigente la disci-plina della l. n. 794 del 1942. Viceversa, ritengono le Sezioni Unite (23.2.2018, n. 4485 cfr. nota 3) non è sostenibile che sia rimasta praticabile – come invece aveva supposto la ricor-rente nel ricorso – né la possibilità di esercitare l’azione di cui all’art. 28 citato con il rito sommario codicistico di cui agli artt. 702-b/s e ss. cod. proc. civ., né la possibilità di esercitarla con il rito ordinario. Il “procede” di cui all’art. 28, coniugato con l’alternativa previsione del solo procedimento monitorio, destinato, però, ad evolversi nell’opposizione secondo il rito sommario, giustifica l’affermazione che la controversia di cui all’art. 28 della l. n. 794 del 1942 deve necessariamente in-trodursi con le due alternative forme da tale norma previste, restando escluso, invece, che si possa introdurre con il rito ordinario e con quello sommario codicistico. Pertanto la pri-ma questione posta dall’ordinanza di rimessione deve, con-cludersi con l’affermazione del seguente principio di diritto: “A seguito dell’introduzione dell’art. 14 del d.lgs. n. 150 del 2011, la controversia di cui all’art. 28 della l. n. 794 del 1942, come sostituito dal citato d.lgs., può essere introdotta: 1) o con un ricorso ai sensi dell’art. 702-bis, cod. proc. civ. che dà luogo ad un procedimento sommario “speciale”, disciplinato dal combinato disposto dell’art. 14 e degli artt. 3 e 4 del ci-tato d.lgs. e dunque dalle norme degli artt. 702-bis e ss. cod. proc. civ. salve le deroghe previste dalle dette disposizioni del d.lgs.; 2) o con il procedimento per decreto ingiuntivo ai sensi degli artt. 633 e ss. cod. proc. civ. l’opposizione avverso il quale si propone con ricorso ai sensi dell’art. 702-bis e ss. cod. proc. civ. ed è disciplinata come sub a), ferma restando l’applicazione delle norme speciali che dopo l’opposizione esprimono la permanenza della tutela privilegiata del credi-tore e segnatamente degli artt. 648, 649 e 653 cod. proc. civ. (quest’ultimo da applicarsi in combinato disposto con l’ul-timo comma dell’art. 14 e con il penultimo comma dell’art. 702-ter cod. proc. civ.). Resta, invece, esclusa la possibilità di introdurre l’azione sia con il rito di cognizione ordinaria e sia con quello del procedimento sommario ordinario codicistico, di cui agli artt. 702-bis e ss. cod. proc. civ.

6. Quantum e an debeatur

La recente sentenza di Cassazione (23 febbraio 2018, n. 4485) ha affrontato altresì il problema di quale contenuto si debba attribuire, nel nuovo regime di cui all’art. 14 del d.lgs. n. 150 del 2011, alle controversie che dall’art. 28 della l. n. 794 del 1942, come sostituito dal d.lgs. n. 150 del 2011. Il nuovo te-sto, infatti, ha conservato non solo la stessa rubrica, che allude alla “Forma dell’istanza di liquidazione degli onorari e dei di-ritti”, ma anche lo stesso tenore, che individua le controversie che (ne erano e) ne sono oggetto in quelle introducibili dall’av-vocato “per la liquidazione delle spese, degli onorari e dei di-ritti nei confronti del proprio cliente […] dopo la decisione

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147L’Osservatorio sul diritto di famiglia | gennaio-agosto 2018

LA GIURISPRUDENZA ANNOTATA

della causa o l’estinzione della procura”. È noto che per un lungo periodo, anche registrando l’eco di dibattiti dottrinali, la giurisprudenza della Corte aveva ritenuto che, nonostante l’espressione “liquidazione”, intesa alla lettera, sembrasse allu-dere all’attivazione del procedimento in casi nei quali la lite fra legale e cliente avesse riguardato solo la determinazione del quantum dovuto, il procedimento speciale potesse esperirsi utilmente o restare praticabile anche quando fosse sussistita già all’atto della introduzione o fosse insorta controversia non solo sul quantum, ma anche sull’an debeatur, restando escluso solo dall’insorgenza di una contestazione circa l’esistenza del rapporto di clientela, che di quella procedura costituisce l’in-defettibile presupposto. Successivamente però, salvo qualche eccezione la limitazione della impraticabilità all’ipotesi di con-testazione del rapporto di clientela, venne superata, a partire sostanzialmente da Cass. n. 1920 e Cass. n. 12748 del 1993, che statuiva che lo speciale procedimento, previsto dalla legge 13 giugno 1942 n. 794 per la determinazione della misura del compenso spettante al difensore di un giudizio civile non è applicabile quando si controverta in ordine all’an del credito del legale, con la conseguenza che, in questa ultima ipotesi, la trattazione e la decisione della lite devono avvenire con il rito ordinario, nonché la seconda pronuncia che prevede, nei casi in cui l’opponente abbia introdotto, ampliando il thema decidendum, una eccezione di compensazione per credito non liquido o non esigibile o una eccezione o domanda riconven-zionale sulla quale il giudice investito della domanda del pro-fessionista ritenga di pronunciarsi, il giudizio di opposizione non può procedere con il rito semplificato previsto dalla di-sposizione dell’art. 30 della legge 13 giugno 1942 n. 794 e deve essere definito con sentenza impugnabile con i normali mezzi e non con il ricorso per cassazione di cui all’art. 111 della Costituzione, che è previsto solo contro le sentenze (o i provvedimenti ad esse assimilabili, perché decisori) non altri-menti impugnabili”. Il nuovo principio che così si venne affer-mando (che riguardava anche l’opposizione proposta contro il decreto ingiuntivo, ove il legale avesse scelto la via monito-ria) può essere riassunto nella massima di Cass. n. 7652 del 2004, secondo cui la controversia deve essere trattata con il rito speciale, qualora il cliente, nell’eccepire l’estinzione totale o parziale del credito in considerazione dei pagamenti effet-tuati, non abbia esteso il thema decidendum. Ora, è vero che la rubrica ha il seguente tenore: “Delle controversie in materia di liquidazione degli onorari e dei diritti di avvocato”. Ma, il lettore della norma deve considerare che il legislatore delegato avrebbe potuto limitarsi, in coerenza con tale rubrica, allu-dente allo stesso concetto di “liquidazione” presente nell’art. 28 (e tanto nell’immutata rubrica, quanto nella disposizione),

a riferirsi alle “controversie indicate nell’art. 282, poiché una simile formulazione non avrebbe potuto che comprendere sia la controversia introdotta direttamente ai sensi dell’alt. 14 stesso ed indicata dall’art. 28 con l’espressione “procede ai sensi dell’art. 14 del d.lgs. n. 150 del 20112, sia la contro-versia introdotta con il ricorso monitorio ed indicata con l’e-spressione “se non intende seguire il procedimento di cui agli artt. 633 e ss. del codice di procedura civile”. E tanto perché la rubrica dell’art. 28, nel, riferirsi alla “forma dell’istanza”, attribuisce ad essa l’efficacia di accomunarle e di disciplinare direttamente appunto la forma di introduzione, che nel primo caso è quella diretta di cui all’art. 14 e nel secondo è invece quella degli artt. 633 e ss. del cod. proc. civ. Sulla seconda questione allo stato la soluzione dell’ordinanza di rimessio-ne è la seguente: “La controversia di cui all’art. 28 della l. n. 794 del 1942, tanto se introdotta con ricorso ai sensi dell’art. 702-b/s cod. proc. civ., quanto se introdotta con ricorso per decreto ingiuntivo, ha ad oggetto la domanda di condanna del cliente al pagamento delle spettanze giudiziali dell’avvo-cato tanto se prima della lite vi sia una contestazione sull’an debeatur quanto se non vi sia e, una volta introdotta, resta soggetta (nel secondo caso a seguito dell’opposizione) al rito indicato dall’art. 14 del d.lgs. n. 150 del 2011 anche quando il cliente dell’avvocato non si limiti a sollevare contestazio-ni sulla quantificazione del credito alla stregua della tariffa, ma sollevi contestazioni in ordine all’esistenza del rapporto, alle prestazioni eseguite ed in genere riguardo all’an. Soltan-to qualora il convenuto svolga una difesa che si articoli con la proposizione di una domanda (riconvenzionale, di com-pensazione, di accertamento con efficacia di giudicato di un rapporto pregiudicante), l’introduzione di una domanda ulte-riore rispetto a quella originaria e la sua esorbitanza dal rito di cui all’art. 14 comporta – sempre che non si ponga anche un problema di spostamento della competenza per ragioni di connessione (da risolversi ai sensi delle disposizioni degli artt. 34, 35 e 36 cod. proc. civ.) e, se è stata adita la corte di ap-pello, il problema della soggezione della domanda del cliente alla competenza di un giudice di primo grado, che ne impone la rimessione ad esso – che, ai sensi dell’art. 702-ter, quarto comma, cod. proc. civ., si debba dar corso alla trattazione di detta domanda con il rito sommario congiuntamente a quella ex art. 14, qualora anche la domanda introdotta dal cliente si presti ad un’istruzione sommaria, mentre, in caso contrario, si impone di separarne la trattazione e di procedervi con il rito per essa di regola previsto (non potendo trovare applicazione, per l’esistenza della norma speciale, la possibilità di unitaria trattazione con il rito ordinario sull’intero cumulo di cause ai sensi dell’alt. 40, terzo comma, cod. proc. civ.)”.

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148 L’Osservatorio sul diritto di famiglia | gennaio-agosto 2018

LA GIURISPRUDENZA ANNOTATA

Nei giudizi de potestate la posizione del figlio è contrapposta a quella di entrambi i genitori, anche se il provvedimento è richiesto nei confronti di uno solo.

Nei cosiddetti giudizi de potestate la posizione del figlio risulta sempre contrapposta a quella di entrambi i genitori, anche quando il provvedimento venga richiesto nei confronti di uno solo di essi, non potendo in questo casso stabilirsi ex ante la coincidenza e la omogeneità dell’interesse del minore con quello dell’altro genitore (che potrebbe presentare il ricorso o aderire a quello presentato a uno degli altri soggetti legittimati, per scopi meramente personali o, per contro, in questa seconda ipotesi, chiederne la reiezione) e dovendo pertanto, trovare applicazione il principio secondo cui è ravvisabile il conflitto di interessi tra chi è incapace di stare in giudizio personalmente e il suo rappresentante legale – con con-seguente necessità della nomina d’ufficio di un curatore speciale che rappresenti e assista l’incapace (articolo 78, comma 2, del c.p.c.) – ogni volta che la incompatibilità delle loro rispettive po-sizioni è anche solo potenziale, a prescindere dalla sua effettività. (Nella specie, in cui la richiesta della adozione del provvedimento ex articolo 336 del c.c. proveniva dal Pubblico ministero ed era rivolta contro entrambi i genitori, ha precisato la Suprema corte, la sussistenza del conflitto era certa e indubitabile, pertanto, che la rappresentanza nel procedimento del minore doveva essere affi-data a un curatore speciale, cui il ricorso andava comunicato e al quale spettava di esaminare gli atti processuali e di formulare le conclusioni ritenute più opportune nell’interesse del minore.

(omissis)Ragioni della decisione.1) Preliminarmente deve essere affermata l’ammissibilità del

ricorso.Infatti, secondo il più recente orientamento di questa Corte,

cui il collegio intende dare continuità, il provvedimento abla-tivo della responsabilità genitoriale, emesso dal giudice mino-rile ai sensi degli artt. 330 e 336 c.c., ha attitudine al giudicato “rebus sic stantibus”, in quanto non revocabile o modificabile salva la sopravvenienza di fatti nuovi; il decreto della corte di appello che, in sede di reclamo, lo conferma, lo revoca o lo modifica è pertanto impugnabile con ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7 (Cass. n. 26633/016).

2) Con il primo motivo i ricorrenti deducono la violazione dell’art. 336 c.c., u.c. e la conseguente nullità dell’intero pro-cedimento, per la mancata nomina di un difensore del mino-re, o, quantomeno di un curatore speciale per la sua rappre-sentanza legale e processuale.

La censura è fondata nei termini che di seguito si precisano.Questa Corte ha già avuto modo di affermare che il proce-

dimento ex art. 336 cit., pur se non prettamente contenzioso, non ha ad oggetto preminente, o addirittura esclusivo, un’at-tività di controllo del giudice sull’esercizio della responsabilità genitoriale, che escluda la presenza di parti processuali fra di loro in conflitto: l’articolo in esame (più volte novellato) sta-bilisce infatti quali sono i soggetti legittimati a promuovere il ricorso, prevede che genitori e minori siano assistiti da un

difensore, sancisce l’obbligo di audizione dei genitori nonché (nel testo già applicabile nella specie ratione temporis) l’obbligo di ascolto del minore dodicenne, od anche di età inferiore ove dotato di discernimento. Non si dubita, poi, che il provvedi-mento adottato dal primo giudice sia immediatamente recla-mabile, oltre che revocabile ad istanza del genitore interessato. Infine, ed è argomento che appare dirimente, il decreto che dispone la limitazione o la decadenza della responsabilità ge-nitoriale incide su diritti di natura personalissima, di primario rango costituzionale (Cass. n. 26633/016 cit. n. 12650/015).

Del resto la Corte Costituzionale, con la sentenza interpre-tativa di rigetto n. 1 del 2002, ha chiarito che dalla novità introdotta dalla l. n. 149 del 2001, art. 37, comma 3 (che ha aggiunto all’art. 336 c.c., un comma 4, il quale stabilisce che “per i provvedimenti di cui ai commi precedenti – ovvero adottati ai sensi degli artt. 330,333 c.c. – i genitori e il minore sono assistiti da un difensore”) si evince l’attribuzione della qualità di parti del procedimento che, in quanto tali, hanno diritto ad averne notizia ed a parteciparvi, non solo dei ge-nitori ma anche del minore; ed ha aggiunto che la necessità che il contraddittorio sia assicurato anche nei confronti del minore, previa eventuale nomina di un curatore speciale ai sensi dell’art. 78 c.p.c., può trarsi anche dall’art. 12, comma 2, della Convenzione sui diritti del fanciullo, resa esecutiva con l. n. 176 del 1991 e perciò dotata di efficacia imperati-va nell’ordinamento interno, che prevede che al fanciullo sia data la possibilità di essere ascoltato in ogni procedura giudi-ziaria o amministrativa che lo concerne, sia direttamente sia tramite un rappresentante o un organo appropriato.

Una volta chiarito che il figlio minore è parte necessaria del procedimento, ne discende, come logica conseguenza, che la mancata integrazione del contraddittorio nei suoi confronti comporterà la nullità del procedimento medesimo, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 354 c.p.c., comma 1.

Occorre a questo punto stabilire a chi spetti la rappresen-tanza del minore nel processo qualora, come nel caso in esa-me, questi non sia già rappresentato da un tutore provvisorio, nominato dal giudice in via cautelare ed urgente od all’atto dell’adozione di precedenti provvedimenti meramente limita-tivi della responsabilità genitoriale.

Ad avviso del collegio, nei c.d. giudizi de potestate la posizio-ne del figlio risulta sempre contrapposta a quella di entrambi i genitori, anche quando il provvedimento venga richiesto nei confronti di uno solo di essi, non potendo in questo caso sta-bilirsi ex ante la coincidenza e l’omogeneità dell’interesse del minore con quello dell’altro genitore (che potrebbe presenta-re il ricorso, o aderire a quello presentato da uno degli altri soggetti legittimati, per scopi meramente personali, o, per contro, in questa seconda ipotesi, chiederne la reiezione) e dovendo pertanto trovare applicazione il principio, più volte enunciato in materia, secondo cui è ravvisabile il conflitto di interessi tra chi è incapace di stare in giudizio personalmente e il suo rappresentante legale con conseguente necessità del-la nomina d’ufficio di un curatore speciale che rappresenti

Cass., sez. I, 6 marzo 2018, n. 5256 Pres. Tirelli, Rel. Cristiano

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149L’Osservatorio sul diritto di famiglia | gennaio-agosto 2018

LA GIURISPRUDENZA ANNOTATA

ed assista l’incapace (art. 78 c.p.c., comma 2) – ogni volta che l’incompatibilità delle loro rispettive posizioni è anche solo potenziale, a prescindere dalla sua effettività (Cass. nn. 1957/016, 16533/010, 12290/010).

Nel caso di specie, peraltro, in cui la richiesta di adozione del provvedimento proveniva dal P.M. ed era rivolta contro entrambi i genitori, la sussistenza del conflitto era certa ed era pertanto indubitabile che la rappresentanza nel procedi-mento del piccolo F. dovesse essere affidata ad un curatore speciale, cui il ricorso andava comunicato ed al quale spettava di esaminare gli atti processuali e di formulare le conclusioni ritenute più opportune nell’interesse del minore.

Dall’esame del fascicolo d’ufficio, cui questa Corte ha acces-so in ragione della denuncia di un error in procedendo, non ri-sulta che il Tribunale dei minori di Bologna abbia provveduto alla nomina del curatore speciale, nonostante la sollecitazione rivoltagli in tal senso dallo stesso P.M. richiedente.

Al contrario, secondo quanto emerge dalla lettura del decre-to con il quale ha dichiarato decaduti M. e B. dalla responsa-bilità genitoriale, il giudice di primo grado ha sostanzialmente

ignorato la qualità del minore di parte del procedimento, li-mitandosi a sentire gli odierni ricorrenti e ad acquisire infor-mazioni dai servizi sociali.

Va ancora precisato che non risulta che il reclamo proposto dai genitori sia stato notificato al tutore provvisorio del mino-re, per la prima volta nominato dal tribunale proprio con il provvedimento reclamato, ma che, in ogni caso, un eventuale ordine di integrazione del contraddittorio disposto nei suoi confronti dalla corte d’appello non sarebbe valso a sanare il vizio procedurale verificatosi per effetto della mancata parte-cipazione del minore al giudizio di prime cure, che avrebbe dovuto essere assicurata attraverso la nomina di un curatore speciale che ne rappresentasse gli interessi.

Il decreto impugnato deve pertanto essere cassato e, ricor-rendo l’ipotesi disciplinata dall’art. 383 c.p.c., comma 3, il processo deve essere rinviato al Tribunale dei minori di Bolo-gna, in diversa composizione, perché provveda all’integrazio-ne del contraddittorio nei confronti del minore.

Resta assorbito il secondo motivo del ricorso, che investe la decisione di merito (omissis).

L’AVVOCATO DEL MINOREMICHELA LABRIOLAAvvocato in Bari e membro dell’Esecutivo di ONDiF

La Suprema Corte torna a rimarcare alcuni principî sull’impor-tanza della presenza del minore nei giudizi che lo riguardano.

Preliminarmente esprimendosi sulla natura di giudicato dei provvedimenti ablativi della responsabilità genitoriale, la Cor-te ha ribadito quanto, di recente, è stato già sancito, sempre in sede di legittimità, e cioè che queste decisioni, sempre che siano definitive, sia pure rebus sic stantibus – in quanto il giu-dice di merito se ne è definitivamente spogliato, incidendo su diritti personalissimi di rango costituzionale – sono ricorribili per cassazione ai sensi dell’art. 111 cost.1.

Per di più, anche i provvedimenti implicanti i rapporti con i nonni, qualora siano irrevocabili e definitivi, sia pure rebus sic stantibus, sono ricorribili per Cassazione2.

A rafforzare la possibilità di reclamo avverso i provvedimenti de potestate, la Corte di legittimità3, recentemente, decidendo sulla esclusione, disposta dalla Corte d’Appello di Bari, della legittimazione ad agire del genitore sospeso dalla responsabi-lità, ha confermato che i provvedimenti limitativi od ablativi possono essere assunti soltanto in un giudizio nel quale alla madre ed al padre, anche se decaduti, sia riconosciuta la na-tura di parti necessarie, in quanto munite del pieno potere di agire, contraddire ed impugnare le decisioni che producano effetti provvisori o definitivi sulla titolarità o sull’esercizio del-la responsabilità genitoriale.

1 Cass. civ., sez. I, 21 n ovembre 2016, n. 236332 Cass. civ., sez. I, 29 gennaio 2016, n. 1746. La S.C., precisando che non

sono impugnabili i provvedimenti che limitano la loro operatività ad un periodo predefinito, anche disponendo attività istruttorie, ha ritenuto inammissibile il ricorso in Cassazione proposto avverso un provvedimento adottato dal giudice minorile nell’ambito di una procedura non conclusa di decadenza materna dalla responsabilità genitoriale, che escludeva, per un periodo limitato e ormai decor-so, i rapporti del minore con la nonna materna.

3 Cass, Civ. Ord., 20 febbraio 2018, n. 4099.

Il rafforzarsi della assoluta imprescindibilità di garanzie processuali nei procedimenti relativi ai minori rappresenta la pietra angolare su cui costruire le tutele di soggetti che hanno avuto minor voce sino alla riforma n. 154/2013. Sullo stes-so binario deve viaggiare, alla luce della modifica introdotta nell’art. 111 Cost., il bilanciamento tra l’interesse del minore e quello alla conservazione, ove possibile, dei rapporti paren-tali. D’altro canto, la natura sommaria del procedimento ca-merale non deve, nel processo minorile, esonerare il collegio dall’operare una valutazione approfondita circa gli interessi coinvolti, ciò sarà possibile se nel processo sono tutti presenti.

La seconda questione affrontata della sentenza n. 5256/2018 è quella inerente alla natura di parte processuale del minore. Dopo aver affermato l’ammissibilità del reclamo, la Cassazione risolve le criticità attinenti alla difesa del minore quale parte attiva nei procedimenti ablativi della responsabilità genitoriale.

Nel caso di specie, nell’impugnare i provvedimenti di me-rito, i reclamanti, genitori entrambi decaduti dalla responsa-bilità genitoriale, deducevano la nullità dell’intero percorso processuale attesa la assenza di una rappresentanza del mino-re sin dal primo grado, ai sensi dell’art. 336 cod. civ. ult. co. Censura fondata. L’art. 336 cod. civ., riformulato più volte nel corso di questi anni, obbliga sia all’ascolto del minore che ab-bia compiuto i dodici anni sia all’audizione del genitore inte-ressato, inoltre, prescrive la difesa tecnica per questi soggetti.

Se si analizzano altri istituti di diritto minorile si rileva come, in tema di accertamento dello stato di adottabilità (art. 8 l. 184/1983)4, la vincolatività ed imprescindibilità della di-

4 Art. 8 l. 149/2001 ult. co., “Il procedimento di adottabilità deve svolgersi fin dall’inizio con l’assistenza legale del minore e dei genitori o degli altri parenti, di cui al comma 2 dell’articolo 10”.

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LA GIURISPRUDENZA ANNOTATA

fesa del minore sia prevista normativamente. Il procedimento si svolge, sin dalla sua apertura, con l’assistenza legale del mi-nore, il quale è parte a tutti gli effetti del procedimento e, in mancanza di una disposizione specifica, sta in giudizio a mez-zo di un rappresentante secondo le regole generali e, quindi, a mezzo del rappresentante legale ovvero, in caso di conflit-to d’interessi, di un curatore speciale, soggetti cui compete la nomina del difensore tecnico. Ne consegue, in mancanza dell’assistenza legale del minore, la nullità del relativo proce-dimento. Inoltre, ancorché non sia obbligatoria la presenza di un avvocato per il minore, non vi è alcun dubbio, che la natura di parte quantomeno in senso sostanziale del minore concerna anche i procedimenti con contenuto prettamente patrimoniale, oltre a quelli relativi allo status filiationis.

Nelle controversie sullo status filiationis in cui il genitore è in grado di rappresentare il minore – si pensi ai casi di riconosci-mento di paternità – la presenza di quest’ultimo, quale parte, è garantita; in altri istituti sullo status – disconoscimento, con-testazione, impugnazione – il litisconsorzio necessario è legi-slativamente previsto, pertanto, sul presupposto che vi sia un conflitto di interessi, deve essere nominato un curatore speciale. La presenza dell’avvocato del minore, in tali ipotesi è eventuale, atteso che nessuna norma obbliga alla difesa tecnica.

Questa premessa è fondamentale per comprendere la po-sizione del minore nei giudizi che lo riguardano, soprattutto in quanto soggetto che patisce spesso gli effetti di un accerta-mento giudiziale introdotto da altri.

Infine, vi è stata, sino ad una più recente giurisprudenza, una esclusione della partecipazione del minore in quei giudi-zi, separazione, divorzio e regolamentazione dei rapporti per i figli non matrimoniali, che non sembrano dover incidere profondamente sul percorso identitario del minore.

La Corte di legittimità a S.U. ha, però, aperto un varco che ha cambiato prospettiva sulla necessarietà della presenza del minore in questi tipi di contenziosi sostenendo che “è neces-saria l’audizione del minore dodicenne od ultradodicenne, o dotato di capacità di consapevole discernimento, se infrasedi-cenne, nei processi che riguardano il suo affidamento, salvo che tale ascolto sia contrario al suo superiore, poziore inte-resse, dovendosi motivare l’assenza di consapevole discerni-mento del minore che possa giustificare l’omesso ascolto. La mancanza di motivata giustificazione produce la nullità del procedimento per violazione dei principi del contradditto-rio e del giusto processo ai sensi e per gli effetti dell’art. 111 cost., essendo il minore parte sostanziale del procedimento in quanto portatore di interessi contrapposti o, comunque, diversi da quelli dei genitori”5. Si può concludere, sul pun-to, che in tali ipotesi la posizione del minore nel processo sia solo sostanziale. Inoltre, si può agevolmente sostenere che le norme sull’ascolto del minore, recentemente implementate, confermano la qualità di parte sostanziale dello stesso.

Come si è mossa la giurisprudenza, invece, nel caso di prov-vedimenti de potestate, atteso che l’art. 336 cod. civ. novellato ha previsto espressamente la difesa tecnica a tutela del mino-re? Il quesito che emerge è se, in tali ipotesi, il minore possa essere considerato sempre litisconsorte necessario ex lege, tan-to da doversi rendere obbligatoria la nomina di un avvocato.

La disciplina in generale prevede che si è “parti in senso

5 Cass. civ., S.U., 21/10/2009, n. 22238.

processuale” quando, ai sensi dell’art. 75 c.p.c., si è destinata-ri degli effetti degli atti del processo, invece, chi è titolare del rapporto sostanziale per cui è lite, e subisce gli effetti dell’ac-certamento giudiziale, è “parte in senso sostanziale” (art. 1 cod. civ). “Secondo un principio generale di indisponibilità del potere di stare in giudizio e di necessario collegamento tra diritto alla tutela giurisdizionale e affermazione della titolari-tà del diritto sostanziale, si verifica una normale coincidenza soggettiva fra la parte in senso formale e la parte in senso sostanziale; ciò non avviene unicamente allorché il titolare del rapporto controverso sia privo di capacità processuale, oppu-re quando venga conferita la rappresentanza processuale a co-lui che già sia investito di un potere rappresentativo di natura sostanziale in ordine al rapporto dedotto in giudizio (art. 77 c.p.c), casi nei quali si ha un soggetto (parte in senso formale) che sta in giudizio in nome e per conto di altri (parte in senso sostanziale)”6. È pleonastico ricordare come il minore parte è privo però di capacità processuale, ma possa essere affian-cato da un rappresentante legale (artt. 75 co. 2 e 78 c.p.c.).

Secondo alcuni autori7 la nozione di parte in senso sostan-ziale è relativa ai soggetti dell’azione, pertanto, la titolarità dell’eventuale contenzioso non attribuisce di per sé al sogget-to inteso come parte un ruolo attivo nel processo. “Il concetto di parte in senso sostanziale del processo è strettamente col-legato con la capacità giuridica di cui all’art. 1 cod. civ. […]; è al momento della nascita che ciascun individuo, divenuto soggetto giuridico, acquista anche la capacità di essere parte in senso sostanziale di una lite processuale futura”. Questa riflessione prende le mosse dal fatto di come non vi sia sem-pre coincidenza tra soggetto degli atti e soggetto degli effetti del processo.

Come si è già sottolineato, la natura di parte processuale oltre che sostanziale del minore è ammessa con riferimento ai pro-cedimenti de potestate, in ragione del fatto che l’articolo 37, co. 3 l. 149/2001, che ha aggiunto, all’ultimo comma dell’ar-ticolo 336 cod. civ., la seguente frase “per i provvedimenti di cui ai commi precedenti i genitori ed il minore sono assistiti da un difensore”.

Ha chiarito molti dubbi la nota sentenza della Corte Co-stituzionale n. 1/2002, nella parte in cui, rigettando la q.l.c. avanzata dal Tribunale per i Minorenni di Torino, evidenziava che, “in riferimento agli art. 2 e 31 comma 2 cost., in relazio-ne all’art. 12 della convenzione sui diritti del fanciullo, resa esecutiva con l. n. 176 del 1991, nonché agli art. 3 commi 1 e 2 (per irragionevolezza della disciplina censurata e per di-sparità di trattamento rispetto alla procedura di adottabilità) e 111 commi 1 e 2 (per violazione del principio del giusto pro-cesso) cost., la q.l.c. dell’art. 336 comma 2 c.c., nella parte in cui non prevede che nei procedimenti camerali concernenti la potestà dei genitori siano sentiti il minore ultradodicenne e, se opportuno, anche quello di età inferiore, o altrimenti i suoi genitori o il tutore, in quanto trattasi di questione che muove da una premessa interpretativa erronea, dal momento che l’art. 12 della citata convenzione è idoneo ad integrare la disciplina dell’art. 336 comma 2 c.c., nel senso di configurare il minore capace di discernimento come “parte” del procedi-mento che lo concerne, con la necessità del contraddittorio

6 www.iusexplorer.it, Codici commentati art. 75 c.p.c. Scarpa.7 poliseno, Profili di tutela del minore nel processo civile, Napoli, 2017.

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LA GIURISPRUDENZA ANNOTATA

nei suoi confronti, se del caso previa nomina di un curatore speciale” confermando, nella sostanza, la necessità ed anche il dovere di ammettere un difensore per il minore.

Quindi, sulla base di queste formulazioni di principio della corte delle leggi, la sentenza qui commentata attribuisce la qualità anche di parti processuali, nel procedimento de pote-state, sia ai genitori decaduti dalla responsabilità genitoriale sia al minore, previa, per quest’ultimo, eventuale nomina di un curatore speciale ai sensi dell’art. 78 c.p.c.

Si noti, però, che la conclusione cui giunge la S.C. omette di valorizzare l’obbligatorietà della nomina contestuale di un avvocato. Come è stato rilevato, “considerando che in tutti i casi in cui la riforma ha previsto la nomina di un difensore al minore è presupposta di fatto una situazione di conflitto di interessi tra il minore e i suoi genitori, la prima prospettiva di attuazione del tutto ragionevole da ipotizzare è che la rappre-sentanza sostanziale del minore venga attribuita al difensore, appunto all’avvocato del minore”8 senza che sia necessario passare attraverso la nomina del curatore o del tutore.

La sentenza in commento rafforza il concetto per cui la mancata integrazione del minore nel processo, qualora non sia già rappresentato da un tutore provvisorio, nominato dal giudice in via cautelare ed urgente o all’atto di adozione di provvedimenti precedenti meramente limitativi della respon-sabilità genitoriale, comporterà la nullità del procedimento medesimo ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 354, co. 1° c.p.c.

In realtà la Corte nulla dice circa la presenza del difensore del minore, ma rimanda alla imprescindibilità della nomina del curatore speciale cui, si indotti a ritenere, sia demandata la nomina di un avvocato.

8 Dosi, Lessico di diritto di famiglia, 1, gennaio 2018,121, Roma.

Tuttavia, la vera novità del provvedimento sta nel fatto di aver chiarito quanto, anche nei procedimenti de poteste, il conflitto di interessi tra genitori e minori vada sempre pre-sunto. Si asserisce, infatti, che “nei giudizi de potestate la posizione del figlio risulta sempre contrapposta a quella di entrambi i genitori, anche quando il provvedimento venga richiesto nei confronti di uno solo di essi, non potendo in questo caso stabilirsi ex ante la coincidenza e l’omogeneità dell’interesse del minore con quello dell’altro genitore […] e dovendo pertanto trovare applicazione il principio, più volte enunciato in materia, secondo cui è ravvisabile il conflitto di interessi tra chi è incapace di stare in giudizio personalmente e il suo rappresentate legale – con conseguente necessità della nomina d’ufficio di un curatore speciale che rappresenti ed assista l’incapace”.

Gli ermellini aggiungono, infine, che una integrazione del contraddittorio, disposto dalla Corte d’Appello, non avrebbe sanato il vizio procedurale derivante dalla mancata partecipa-zione del minore nel procedimento di primo grado.

La riluttanza dei giudici all’applicabilità effettiva dell’ultimo comma dell’art. 336 cod. civ. – l’avvocato del minore nei giu-dizi de potestate – ha comportato, sino ad oggi, una fonda-mentale violazione delle garanzie processuali del minore; il pregio del provvedimento annotato è quello di aver ribadito una interpretazione che, ancora una volta, ci avvicina alla normativa trasfrontaliera.

Di conseguenza, l’allargamento delle ipotesi di obbligatorie-tà della difesa del minore, la cui violazione è sanzionabile con la nullità dell’intero procedimento, induce a riflettere sulla validità di tutti quei giudizi che, ai sensi dell’art. 38 disp. att. cod. civ., per vis attractiva, si svolgono davanti al tribunale ordinario che può decidere anche su questioni de potestate nei confronti di un solo genitore, benché in assenza, per prassi consolidata, del difensore del minore.

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LA GIURISPRUDENZA ANNOTATA

È revocato di diritto, ai sensi dell’art. 687 c.c., il testamento nell’i-potesi in cui, a seguito di una dichiarazione giudiziale di paternità intervenuta dopo la morte del testatore, risulti che il testatore ave-va generato un figlio (non riconosciuto), il quale non risulti con-templato nel testamento stesso. La norma dell’art. 687 c.c. va cioè interpretata in senso oggettivo, e la sua ratio è ravvisata nella tu-tela di un interesse familiare a fronte del mutamento della compo-sizione della famiglia, e precisamente nella tutela degli interessi dei più stretti familiari del de cuius, e cioè dei figli, lì dove ignorati o sopravvenuti. La revocazione avviene a prescindere dal fatto che il de cuius fosse o meno a conoscenza dell’esistenza del figlio. Infatti l’assenza di una previsione analoga a quella contenuta nell’art. 803 c.c. nella norma di cui all’art. 687 c.c., in tema di testamento, fa propendere per la soluzione secondo cui la sola conoscenza del rapporto di filiazione, in assenza dell’acquisizione dello stato giu-ridico di figlio non preclude la revocazione del testamento.

Svolgimento del processo - Motivi della decisione

1. A.A.M. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Vel-letri C.S., C.R. e C.A., nipoti ex sorore del defunto Na.An., P.E., vedova del de cuius, N.A. e N.L., sorelle del defunto, e N.P. e Stefano, figli del fratello premorto del de cuius, Na.Ar., deducendo che era stata concepita a seguito di una relazione tra il defunto e la madre A.B. risalente al 1967, senza che però fosse mai intervenuto il riconoscimento da parte del padre, che temeva le reazioni del di lui padre.

Per l’effetto la madre aveva dato alla luce, oltre all’attrice, anche una sorella gemella, A.A.R., affidando entrambe le figlie a vari istituti di beneficenza.

Al compimento della maggiore età, l’istante aveva iniziato a contattare il padre biologico, incontrandolo poi con frequen-za a far data dal 1986, senza che però mai manifestasse la volontà di riconoscere le figlie, temendo uno scandalo, anche perché nelle more si era sposato con la convenuta P.E.

In data 15 febbraio 2003 il padre era deceduto e la sua suc-cessione era regolata dal testamento olografo del 20 febbraio 1990 con il quale lasciava alla moglie, in sostituzione della quota di legittima l’usufrutto di tutto il patrimonio immobi-liare e la proprietà delle somme contanti, lasciando invece la nuda proprietà ai nipoti C.A., R. e S., figli della sorella L. Ciò premesso chiedeva accertarsi la paternità naturale del defun-to Na.An., con la conseguente attribuzione del cognome pa-terno, dichiarando la revoca del testamento olografo ai sensi dell’art. 687 c.c.

Si costituivano i germani C. che contestavano la fondatezza della domanda sia per quanto concerneva il riconoscimento della paternità, sia per la richiesta di revoca del testamento, adducendo che dalla stessa narrazione dei fatti, emergeva che il de cuius era a conoscenza dell’esistenza delle figlie, sicché la mancata modifica del testamento doveva ritenersi espressi-va della volontà di confermarne il contenuto. Inoltre non era dato invocare la revocazione nel caso in cui la dichiarazione giudiziale di paternità fosse stata richiesta in epoca successiva alla morte del genitore, impedendo a quest’ultimo di poter

adeguare le proprie volontà testamentarie al nuovo evento giuridico.

Si costituiva anche P.E. la quale non si opponeva alla do-manda di dichiarazione giudiziale di paternità, evidenziando che a sua volta aveva introdotto autonoma domanda per la declaratoria di nullità del testamento, mostrando quindi di aderire anche alla richiesta di cui all’art. 687 c.c.

2. Il Tribunale adito, all’esito dell’istruttoria, con la sentenza n. 1612 del 16 ottobre 2012, accoglieva integralmente la do-manda attorea, ma a seguito di impugnazione proposta dai C., la Corte d’Appello di Roma con la sentenza n. 4889 del 18 settembre 2013, in parziale riforma della decisione gravata, rigettava la domanda di revocazione, annullando l’attribuzio-ne all’appellata del cognome paterno.

I giudici di appello, dopo avere richiamato le rationes che la dottrina ha tradizionalmente assegnato quale giustificazione dell’istituto di cui all’art. 687 c.c. (tutela della volontà pre-sunta, ipotetica o viziata del testatore che ignorava l’esistenza di figli, ovvero tutela rafforzata degli interessi successori dei figli a discapito di quella degli estranei) e pur dando atto che la giurisprudenza più recente di legittimità sembrava propen-dere per la seconda, reputava però che non fosse possibile aderire a tale opinione.

E, invero, sempre secondo la decisione gravata, la tutela successoria dei diritti dei figli trova adeguato riscontro nella disciplina della successione necessaria, laddove l’art. 687 c.c., nella lettura offertane dalla più recente giurisprudenza, tute-lerebbe solo i figli dei testatori ignari di questioni giuridiche, i quali non avrebbero la capacità di adeguare le loro volontà testamentarie al sopravvenire di discendenti.

La derogabilità della previsione di cui all’art. 687 c.c., che consente di far salvo il testamento mediante una diversa pre-visione, si pone in antitesi con la natura inderogabile della successione dei legittimari, e depone a favore della tesi se-condo cui l’istituto in esame è posto a tutela della volontà del testatore, sebbene in senso oggettivo, quale espressione dell’id quod plerumque accidit.

Inoltre, ammettere che il testamento sia revocato di diritto an-che nel caso in cui la dichiarazione giudiziale di paternità inter-venga dopo la morte del testatore, contravviene alla regola della centralità della volontà testamentaria recentemente riaffermata con il riconoscimento della validità della clausola diseredativa.

In tale ottica, quando la dichiarazione giudiziale di pater-nità abbia luogo ovvero venga introdotta nel corso della vita del testatore, appare possibile dare seguito all’opinione della Corte di legittimità, dovendosi invece escludere l’effetto ca-ducatorio nella diversa ipotesi, che ricorre nel caso di specie, in cui la dichiarazione giudiziale di paternità sia richiesta a successione già aperta, essendo quindi impedito al de cuius di poter modificare il proprio testamento, e ciò malgrado fosse consapevole dell’esistenza dell’attrice.

L’equiparazione tra dichiarazione giudiziale di paternità e ri-conoscimento, sulla base di quanto previsto dall’art. 277 c.c.,

Cass., sez. II, sentenza 5 gennaio 2018, n. 169 Pres. Mazzacane, Rel. Criscuolo

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LA GIURISPRUDENZA ANNOTATA

può quindi predicarsi solo laddove la dichiarazione stessa sia richiesta prima della morte.

La soluzione fatta propria dal Tribunale si poneva poi anche contro l’attuale modello familiare, nel quale non è più attribu-ita al figlio primogenito la parte del leone, logica nella quale risulta invece inserirsi la previsione di cui all’art. 687 c.c.

Ne discende che la norma de qua deve essere letta in senso restrittivo, limitandosi l’equiparazione delle due ipotesi di ac-quisto dello status di figlio al solo caso in cui la dichiarazione giudiziale di paternità ovvero l’introduzione del relativo giu-dizio intervengano prima della morte del de cuius.

Per l’effetto respingevano la domanda di revocazione.Infine, in accoglimento dell’appello incidentale riformavano la

decisione del giudice di prime cure di sostituzione del cognome dell’attrice con quello del padre, avendo la stessa dichiarato che riteneva preferibile conservare il solo cognome materno.

3. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso A.A.M. sulla base di un motivo.

Separato ricorso ha proposto altresì P.E., sempre affidato ad un motivo.

C.S., R. ed Andrea hanno resistito ad entrambi con contro-ricorso.

Gli altri intimati non hanno svolto difese in questa fase.Con ordinanza del 21 agosto 2017, questa Sezione, all’e-

sito dell’udienza camerale del 21 giugno 2017, riteneva che la controversa avesse particolare valenza nomofilattica e che pertanto dovesse essere trattata in pubblica udienza, confor-memente peraltro alle richieste delle parti.

Tutte le parti hanno depositato memorie in prossimità dell’udienza.

4. Preliminarmente occorre dare atto dell’avvenuta riunione dei ricorsi separatamente proposti dalla A. e dalla P. trattando-si di impugnazioni promosse avverso la medesima decisione, e dovendosi, in ragione della posteriorità cronologica, corret-tamente qualificare il ricorso proposto dalla P. come ricorso incidentale.

5. L’unico motivo del ricorso principale ed incidentale, di te-nore pressoché identico, denuncia la violazione e falsa appli-cazione degli artt. 687, 277 e 315 c.c., in relazione agli artt. 12 e 14 disp. gen., nonché la violazione degli artt. 3 e 30 Cost., e art. 42 Cost., ultimo capoverso.

In primo luogo si segnala che la decisione gravata, nella par-te in cui esclude che si abbia revocazione ex art. 687 c.c., nel caso in cui la dichiarazione giudiziale di paternità sia stata ri-chiesta dopo la morte del testatore, determina una irragione-vole disparità di trattamento tra figli, ed in particolare rispetto ai figli giudizialmente dichiarati, in contrasto con il principio, oggi riaffermato anche dalla l. n. 219 del 2012, dell’unicità dello status di figlio.

La soluzione del giudice di appello in realtà non tiene conto del più recente approdo del giudice di legittimità, che ha indi-viduato il fondamento della revocazione de qua in un’esigen-za di carattere oggettivo rappresentata dalla tutela dei figli in conseguenza di una modificazione della situazione familiare, in relazione alla quale il testatore aveva disposto.

Si sostiene invece che le diverse opinioni che individuano la ratio fondante dell’istituto nella tutela della volontà del te-

statore, sia pure con diverse sfumature, non possano essere condivise, essendo peraltro maturate in un diverso contesto storico sociale, dovendosi sia escludere l’idea che alla base della norma vi sia una presunzione di volontà di revoca, sia quella che reputa sussistere una sorta di vizio della volontà del testatore.

Va quindi ribadito che il fondamento della revocazione ri-siede nell’esigenza di assicurare la tutela del figlio sopravve-nuto in conseguenza della modificazione della situazione fa-miliare, configurandosi l’istituto de quo quale mezzo di tutela ulteriore, e non alternativo rispetto a quello approntato dalle norme a tutela dei legittimari.

La soluzione della Corte distrettuale, inoltre, determina un’irragionevole discriminazione in danno del figlio che, ma-gari senza responsabilità, non abbia potuto reclamare il pro-prio status prima della morte del genitore.

La natura derogabile della previsione di cui all’art. 687 c.c., non depone in maniera inequivoca per la soluzione cui è per-venuta la Corte d’appello, essendo altresì improprio il richia-mo al principio del favor testamenti che invece costituisce uno strumento di interpretazione delle volontà testamentarie, ma non anche delle norme di legge.

Infine, oltre ad evocarsi l’argomento secondo cui la ratio dell’art. 687 c.c., individuata come volta a tutela delle modifi-cazioni della condizione familiare, dovrebbe condurre a repu-tare applicabile la revocazione anche nel caso di sopravvenien-za di figli in capo a colui che già ne aveva e sapeva di averne, si ribadisce che la piena equiparazione che l’art. 277 c.c. pone tra riconoscimento della filiazione e dichiarazione giudiziale della medesima, non consente in alcun modo di impedire l’applica-zione della norma in esame per l’ipotesi in cui il procedimento giudiziale di dichiarazione di paternità sia stato introdotto in epoca successiva all’apertura della successione.

6. Ritiene la Corte che le censure complessivamente sviluppa-te dalle ricorrenti siano fondate e che pertanto debbano essere accolte.

6.1. Partendo dalla ratio che è a fondamento dell’istituto della revocazione del testamento per sopravvenienza di figli, occor-re ricordare come la dottrina abbia espresso punti di vista di-versi, in quanto, secondo alcuni, il legislatore, tramite la nor-ma dell’art. 687 c.c., avrebbe voluto predisporre una forma di tutela della volontà del testatore che abbia ignorato l’esistenza di figli, o non abbia previsto la loro possibile sopravvenienza, mentre, secondo altri, il legislatore, tramite la norma dell’art. 687 c.c., avrebbe voluto predisporre una speciale forma di tutela degli interessi familiari, e, più precisamente, degli inte-ressi dei più stretti familiari del de cuius, e cioè dei figli, lì dove ignorati o sopravvenuti.

La prima tesi, chiaramente di matrice volontaristica, si è poi sviluppata in due varianti, in quanto accanto a chi ha soste-nuto che il legislatore avrebbe inteso tutelare la volontà di chi, ignaro dell’esistenza, o non avendo previsto la sopravvenien-za di figli, si sia determinato a testare in favore di soggetti che non sono né figli né discendenti, vi è invece chi ha affermato che il legislatore (più genericamente) avrebbe inteso tutelare la volontà di chi, ignaro dell’esistenza, o non avendo previsto la sopravvenienza di figli, si sia determinato a testare in modo diverso da quanto avrebbe altrimenti fatto.

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LA GIURISPRUDENZA ANNOTATA

La valutazione della tutela della volontà del donante deve ritenersi che costituisca effettivamente il fondamento della revocazione della donazione per sopravvenienza di figli di cui all’art. 803 c.c., in tema di donazioni, come peraltro di recente affermato da Cass. n. 5345/2017, che ha appunto ri-badito che la revocazione della donazione per sopravvenienza di figli o discendenti, rispondendo all’esigenza di consentire al donante di riconsiderare l’opportunità dell’attribuzione li-berale a fronte della sopravvenuta nascita di un figlio, ovvero della sopravvenuta conoscenza della sua esistenza, in funzio-ne degli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione che derivano da tale evento, è preclusa ove il donante avesse consapevolezza, alla data dell’atto di liberalità, dell’esistenza di un figlio ovvero di un discendente legittimo. Né tale previ-sione contrasta con gli artt. 3, 30 e 31 Cost., non determinan-do alcuna ingiustificata disparità di trattamento o lesione del diritto dei figli sopravvenuti, i quali sono tutelati solo in via mediata ed indiretta, in quanto l’interesse tutelato dalla nor-ma è quello di consentire al genitore di soddisfare le esigenze fondamentali dei figli, sicché è proprio l’assenza in assoluto di discendenti al momento della donazione che legittima la revocazione, al fine di assicurare rilevanza giuridica ad un intimo e profondo sentire dell’essere umano, che può non es-sere stato valutato adeguatamente dal donante che non abbia ancora avuto figli, diversamente da quello che, avendo già provato il sentimento di amore filiale, si è comunque deter-minato a beneficiare il donatario, benché conscio degli oneri scaturenti dalla condizione genitoriale.

In tal caso si è appunto rilevato che l’esigenza di approntare tutela al donante si pone, in quanto con l’instaurazione di un nuovo rapporto di filiazione sorgono in capo al genitore do-nante nuovi doveri di mantenimento, istruzione ed educazio-ne per il cui adempimento egli deve poter disporre di mezzi adeguati. Proprio a tal fine il legislatore consente al donante di valutare se per la sopravvenienza di figli e per l’adempimento dei menzionati doveri sia necessario recuperare le precedenti attribuzioni patrimoniali. In sostanza l’interesse tutelato dal legislatore attraverso l’istituto della revocazione della dona-zione per sopravvenienza di figli è quello di consentire al ge-nitore donante di soddisfare le esigenze fondamentali dei figli.

La norma si spiega per la complessità della psiche umana, presumendo il legislatore che il donante non può avere valuta-to adeguatamente l’interesse alla cura filiale, allorquando non abbia ancora figli, e quando quindi non ha ancora provato il sentimento di amor filiale con la dedizione che esso determina ed il superamento che esso provoca di ogni altro affetto.

È quindi evidente che, nell’ottica privilegiata dal legislatore, finalizzata ad assicurare rilevanza giuridica a quella che viene ritenuta essere una innata connotazione della psiche umana, la preesistenza di un figlio ovvero di un discendente legittimo alla data della donazione, escluda il fondamento applicativo della previsione, dovendosi infatti ritenere che l’atto di libera-lità sia stato compiuto da chi già aveva avuto modo di provare l’affetto filiale, e che quindi si è determinato a beneficiare il donatario pur nella consapevolezza degli oneri scaturenti dal-la condizione genitoriale.

6.2. Diversa appare invece la tesi di altra parte della dottrina che invece propende per un’individuazione della ratio della previsione in chiave oggettiva, identificabile nella modifica-

zione della situazione familiare in relazione alla quale il testa-tore aveva disposto dei suoi beni.

A tale opinione ha peraltro aderito anche la più recente giu-risprudenza di questa Corte, come peraltro segnalato anche dalla sentenza di appello, sebbene poi manifesti espresso dis-senso da tale opinione.

In particolare si segnala, per essere stata la prima occasio-ne in cui questa Corte ha optato per una lettura della previ-sione normativa in chiave oggettiva, Cass. n. 1935 del 1996 (cui successivamente ha fatto seguito in chiave adesiva anche Cass. n. 5037/2011, in tal senso non potendosi condividere quanto riferito dai giudici di appello circa il carattere isolato del precedente a favore della tesi oggettiva).

La vicenda decisa dalla Corte concerneva appunto un’ipotesi in cui la sopravvenienza dello stato di figlio era conseguente ad un accertamento giudiziale della paternità, e nella quale del pari si adduceva come argomento contrario all’applicazione della norma, la circostanza che l’acquisto della qualità di figlio era avvenuto in contrasto con la volontà del testatore, elemen-to questo che avrebbe invece giocato un ruolo non irrilevante nella prospettiva volontaristica del fondamento della norma.

La Corte in tale occasione, ancorché abbia rilevato che l’in-terpretazione della espressione “riconoscimento di un figlio naturale”, di cui all’art. 687 c.c., comma 1, non possa essere dilatata fino a ricomprendervi la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità, non potendo la revoca del testamen-to a seguito del verificarsi di tale evento essere ricollegata ad un’applicazione diretta della norma in questione, ha però fatto leva sulla previsione di cui all’art. 277 c.c., comma 1, la quale stabilisce che la sentenza che dichiara la filiazione naturale produce gli effetti di un riconoscimento. Inoltre ha escluso che l’ampia formulazione della norma in questione potesse essere contrastata con l’argomento costituito dalla ratio sottesa alla disposizione di cui all’art. 687 c.c., osser-vandosi che la revoca del testamento ex art. 687 c.c., comma 1, non sia sempre ricollegabile alla presunzione che la vo-lontà del testatore si sarebbe formata diversamente se egli, al tempo del testamento, avesse conosciuto la reale situazione. In tal direzione si è valorizzato l’argomento secondo cui la norma in questione opera, ad esempio, anche quando tra la sopravvenienza di un figlio legittimo, la conoscenza della sua esistenza, il riconoscimento di un figlio naturale da un lato, e la morte del testatore, dall’altro, intercorra un notevole lasso di tempo; in tal caso non solo non sembra corretto invocare la presunzione di una diversa volontà del testatore, se questi al tempo del testamento avesse conosciuto la reale situazione, ma, anzi, si potrebbe parlare di una manifestazione tacita di volontà di confermare il testamento.

Ha poi aggiunto che la revoca del testamento è ricollegabile anche alla sopravvenienza di un figlio postumo; anche in tal caso sembra difficile invocare la presunzione di una diversa volontà del testatore, in quanto l’evento che avrebbe giustifi-cato una modifica del testamento viene ad esistenza quando tale modifica non è più possibile.

Per l’effetto si è ritenuto che l’art. 687 c.c., comma 1, abbia un fondamento oggettivo, individuabile nella modificazione della situazione familiare in relazione alla quale il testatore aveva disposto dei suoi beni, e poiché tale modificazione sussiste sia quando il testatore abbia riconosciuto un figlio naturale, sia quando nei suoi confronti sia stata esperita vit-

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LA GIURISPRUDENZA ANNOTATA

toriosamente l’azione di accertamento di filiazione naturale, dal combinato disposto dell’art. 277 c.c., comma 1, e art. 687 c.c., comma 1, deriva che la revoca del testamento è ricollega-bile anche al secondo di tali eventi.

7. Ritiene il Collegio che debba darsi seguito a tale valutazio-ne della norma in chiave oggettiva (cfr. in tal senso anche la recente Cass. n. 18893/2017, sebbene riferita alla diversa ipo-tesi di sopravvenienza di figli per il testatore che già ne aveva in precedenza), e nell’ottica prevalente della tutela dei figli, senza che tale soluzione si ponga in contrasto con il diver-so approccio volontaristico che è invece alla base dell’esegesi della previsione di cui all’art. 803 c.c., deponendo in tal senso anche le differenze di disciplina ed effetti evidentemente esi-stenti tra le due norme.

7.1. In primo luogo, la revocazione della donazione è rimessa ad un’iniziativa del donante ovvero dei suoi eredi ed è assog-gettata ad un breve termine di decadenza, palesandosi in tal modo come la perdita di efficacia della donazione sia ricolle-gata ad una specifica iniziativa individuale e che il ripensa-mento del donante debba intervenire in un tempo contenuto, laddove a contrario la fattispecie in esame opera di diritto, ed anche laddove il de cuius abbia potuto fruire di un termine anche ampio per procedere alla revoca del precedente testa-mento ed ad una eventuale nuova manifestazione di volontà (si pensi al caso in cui la sopravvenienza del figlio, successiva alla redazione del testamento, preceda di vari anni la morte del testatore).

Ancora, in caso di revocazione della donazione, i beni rien-trano nella disponibilità assoluta del donante, che, fatti salvi i limiti derivanti dall’operare delle regole in tema di succes-sione necessaria, può nuovamente provvedere secondo il pro-prio insindacabile giudizio, senza che quindi gli stessi beni oggetto della donazione revocata siano essenzialmente vinco-lati in favore dei figli sopravvenuti.

Viceversa, in caso di revocazione del testamento, non essen-do più in vita il testatore, e non avendo in precedenza dispo-sto altrimenti, è destinata ad operare la successione legittima, con immediato e diretto vantaggio in favore del figlio o del discendente sopravvenuto.

Inoltre la valorizzazione dell’elemento soggettivo e della tutela della volontà del donante trova il conforto anche nel dettato letterale dell’art. 803 c.c., il quale con specifico ri-ferimento all’ipotesi del riconoscimento del figlio (fattispecie alla quale viene ad assimilarsi quella qui in esame, giusta il disposto dell’art. 277 c.c.) prevede che la revocazione possa darsi anche a seguito del riconoscimento di un figlio naturale, “salvo che si provi che al tempo della donazione il donante aveva notizia dell’esistenza del figlio”.

L’assenza di un’analoga disposizione nel testo dell’art. 687 c.p.c., appare al Collegio costituire un ulteriore argomento a favore della tesi oggettiva del fondamento della revocazione, in quanto solo nel caso di donazione la consapevolezza della esistenza del rapporto di filiazione, sebbene non ancora con-sacrato dal riconoscimento, impedisce la revocazione, posto che tale consapevolezza esclude la necessità di approntare una tutela per una volontà che non può reputarsi viziata ov-vero formatasi in difformità di quanto è dato ritenere secondo l’id quod plerumque accidit.

Ed, invero ciò che rileva ai fini della caducazione del testa-mento è la sopravvenienza o la scoperta dell’esistenza di una filiazione in senso giuridico, e non anche in senso meramen-te naturalistico, e ciò dovendosi far richiamo all’opinione di questa Corte che ha sempre ritenuto irrilevante la conoscenza dell’esistenza di figli biologici, che il testatore non ha ricono-sciuto per scelta, posto che la scoperta di figli biologici, non riconosciuti, non preclude quindi la revocazione, se il testa-tore, per esempio, aveva già notizia dell’esistenza di altri figli naturali non riconosciuti (così Cass. n. 612/1961).

Infine, un ulteriore argomento portato a contrasto della tesi c.d. soggettiva è quello che ha riguardo al fatto che la revo-ca non si verifica, stando a quanto previsto nell’art. 687 c.c., u.c., se i figli o discendenti non vengono alla successione e non si fa luogo a rappresentazione: nell’ottica della presun-zione di volontà, si è rilevato che una simile previsione non si spiegherebbe, in quanto anche in tal caso la revocazione, se veramente fondata sulla volontà presunta del testatore, do-vrebbe avere luogo.

7.2. Peraltro, e ribadita l’adesione del Collegio alla tesi soste-nuta nella più recente giurisprudenza di questa Corte, anche gli argomenti addotti in senso contrario dalla decisione grava-ta non paiono cogliere nel segno.

Ed, invero, quanto alla compatibilità dell’istituto de quo con le disposizioni in tema di tutela dei legittimari ovvero con il principio della prevalenza della volontà testamentaria, le consi-derazioni del giudice di appello appaiono volte più che a con-futare l’applicabilità dell’art. 687 c.c., alla fattispecie in esame, piuttosto a porre in dubbio la stessa ragion d’essere dell’istituto, sollecitando nella realtà una disapplicazione della norma in ra-gione dell’irrazionalità del rimedio accordato, in presenza di un meccanismo di tutela del tutto diverso rispetto a quello offerto dal codice civile ai legittimari, essendo la norma ancorata ad un modello di famiglia, nel quale il primogenito “fa la parte del leone”, e che viene ritenuto anacronistico.

Ed, ancora, quanto al fatto che la norma dell’art. 687 c.c., deroghi ai princìpi della successione necessaria, in quanto volta ad attuare un “bilanciamento” diverso da quello cui i principi medesimi mirano, vale osservare che l’art. 687 cod. civ., pur sovrapponendosi in parte alla disciplina della c.d. successione necessaria, realizza “per i legittimari un risultato ulteriore rispetto a quello che questi potrebbero conseguire con la semplice azione di riduzione”, rientrando nella discre-zionalità del legislatore individuare quali siano gli strumenti giuridici ritenuti più idonei ad accordare tutela a coloro che rivestono la qualità di legittimari (sebbene facendo ricorso ad una soluzione che distingue tra le varie categorie di legitti-mari – e si veda in tal senso il differente trattamento di favore accordato dalla riforma del 1975 al coniuge superstite quanto al diritto di uso e di abitazione di cui all’art. 540 c.c. –, pri-vilegiando la situazione del primo figlio, dovendosi ravvisare in ciò la penetrazione di una valutazione oggettivizzata della volontà, sebbene nella prospettiva della tutela della condizio-ne del figlio, nel senso che la “revoca legale” del testamen-to per sopravvenienza di figli, è giustificata legislativamente dalla considerazione del “dato di comune esperienza che la mancanza di figli condiziona la volontà testamentaria, e che di regola una persona non fa testamento o lo fa diversamente se ha un discendente”).

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LA GIURISPRUDENZA ANNOTATA

Quanto invece al preteso vulnus al principio della tutela della volontà testamentaria, da un lato può osservarsi che la norma in esame rappresenta una specificazione e puntuale applicazione al caso del più generale principio posto dall’art. 457 c.c., comma 2, ma dall’altro si traduce in una più intensa ed efficace tutela dei figli e discendenti del de cuius (tutela che, come conferma la disciplina della successione necessaria con-sente anche di rendere priva di efficacia la contraria volontà del de cuius), tutela destinata a recedere nel solo caso in cui emerga una espressa volontà di mantenere ferme le disposi-zioni testamentarie ovvero laddove il testatore abbia diversa-mente provveduto, non potendosi quindi fondare l’esclusione della revocazione su di una presunzione di prevalenza della volontà testamentaria di rendere intangibili le proprie dispo-sizioni di ultima volontà (e ciò in particolare nel caso in cui sia sopravvenuta la conoscenza dell’esistenza del figlio), ma su una espressa volontà in tale direzione.

8. La combinazione della individuazione della ratio della nor-ma nella esigenza di tutela oggettiva della situazione dei figli in presenza di una modificazione della condizione familia-re, con il principio della equiparazione dello stato di figlio dichiarato giudizialmente a quello riconosciuto, consente quindi di affermare la erroneità della soluzione alla quale è pervenuta la Corte distrettuale.

Ma anche a voler propendere per una lettura in chiave sog-gettiva della norma, stante la sostanziale adesione dei giudici di appello al principio della equiparazione dello status di fi-glio, a prescindere dalle modalità con le quali sia stato acqui-sito, non appare idoneo a fondare il convincimento al quale è pervenuto il giudice di appello l’argomento valorizzato in sentenza secondo cui la revocazione sarebbe esclusa solo nel caso in cui la dichiarazione giudiziale di paternità intervenga o la relativa domanda sia stata introdotta prima della morte del de cuius, poiché solo in tale ipotesi sarebbe preservata la facoltà del testatore di poter disporre per testamento secondo la propria volontà.

Tuttavia tale affermazione non appare confrontarsi con il testo della norma che contempla l’ipotesi di revocazione del testamento anche nel caso di sopravvenienza di figli postumi, ipotesi questa che rende evidente come per la perdita di effi-cacia del testamento non sia coessenziale la previa possibilità per il testatore di poter disporre altrimenti.

Sempre in tale prospettiva nemmeno appare assumere ri-levanza decisiva ai fini del rigetto delle censure mosse dalle ricorrenti, l’argomento sviluppato nel controricorso, secondo cui il dato peculiare della fattispecie sarebbe rappresentato, non tanto e non solo dalla circostanza che l’azione giudizia-le sarebbe stata proposta in epoca successiva al decesso del testatore, ma il fatto che il de cuius fosse consapevole dell’e-sistenza della ricorrente e del fatto che fosse sua figlia, non avendo quindi inteso procedere al suo riconoscimento.

Al di là della contraddizione di tale considerazione con quanto espresso dal giudice di appello, che ha invece fatto leva per escludere la revocazione sul dato costituito dalla im-possibilità per il de cuius di poter diversamente disporre, in quanto la consapevolezza dell’esistenza di una figlia, sebbene ancora priva dello stato giuridico, avrebbe potuto indurlo a disporre per l’ipotesi di successiva introduzione del giudizio di accertamento giudiziale della paternità, è lo stesso diritto

positivo che impone di dover dissentire dalla tesi difensiva dei controricorrenti.

In primo luogo, non va trascurato il diverso dettato dell’art. 803 c.c., come sopra segnalato che, sebbene in relazione all’i-potesi di riconoscimento del figlio, prevede che non possa chiedersi la revocazione della donazione, laddove il donante all’epoca della donazione avesse notizia dell’esistenza del fi-glio, attribuendo quindi rilievo all’elemento della conoscenza che viene appunto sottolineato dai C.

L’assenza, tuttavia, di analoga previsione nella norma di cui all’art. 687 c.c., lascia quindi propendere per la diversa so-luzione, secondo cui la sola conoscenza del rapporto di fi-liazione, in assenza dell’acquisizione dello stato giuridico di figlio, come sopra delineato, non preclude la revocazione del testamento.

Inoltre, non deve trascurarsi quanto specificamente dispo-sto dall’art. 687 c.c., comma 2, che prevede che la revocazio-ne abbia luogo anche se il figlio è stato concepito al momento del testamento.

La norma che fa evidentemente riferimento al caso di fi-glio postumo, va riferita anche all’ipotesi in cui il testatore fosse consapevole, nel momento in cui testava, dell’avvenuto concepimento, apparendo condivisibile l’opinione dottrinale secondo cui, a voler diversamente opinare la norma dovreb-be essere altrimenti classificata come superflua, in quanto il caso in cui il testatore, nel momento in cui testava, non fosse consapevole dell’avvenuto concepimento, ben può essere in-fatti compreso già nell’ambito di riferimento della previsione generale che ha riguardo alla ignoranza, al tempo del testa-mento, dell’esistenza di figli.

La più volte ribadita equiparazione della condizione del fi-glio, la cui paternità sia frutto dell’accertamento giudiziale a quella degli altri figli, impone quindi di estendere tale previ-sione anche all’ipotesi in cui il genitore, all’epoca di redazione del testamento, fosse cosciente dell’esistenza del figlio, che solo in epoca successiva al decesso abbia però introdotto la domanda di accertamento giudiziale.

9. Tali considerazioni danno altresì contezza dell’infondatezza del dubbio di costituzionalità prospettato dai controricorrenti alla p. 37 del controricorso, in relazione al preteso trattamen-to eguale di situazioni diverse, nella parte in cui non potrebbe assimilarsi la situazione in cui si trova il de cuius che ignori l’esistenza del figlio alla data del testamento a quella in cui invece ne conosceva l’esistenza.

Ed, infatti, oltre a doversi richiamare quanto condivisibil-mente sottolineato dal giudice di primo grado, secondo cui la eccezione parte dall’erronea equiparazione tra la condizione del figlio in termini giuridici a quella in termini naturalistici (nella quale appunto versa il figlio nato al di fuori del matri-monio prima del riconoscimento ovvero della sentenza che ne accerti Io status), è la stessa norma censurata a contem-plare l’irrilevanza ai fini dell’applicazione della norma, della conoscenza o meno del rapporto di filiazione, sebbene inteso in senso naturalistico.

Quanto invece alla deduzione secondo cui l’interpretazio-ne della norma sostenuta dalle ricorrente confliggerebbe con l’art. 3 Cost., per violazione del principio di ragionevolezza e proporzionalità, dando prevalenza all’interesse del figlio con ingiustificato sacrificio della volontà del de cuius, trattasi di

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157L’Osservatorio sul diritto di famiglia | gennaio-agosto 2018

LA GIURISPRUDENZA ANNOTATA

denuncia che investe la stessa discrezionalità del legislatore, senza palesarsi come connotata da manifesta irragionevolez-za, rispondendo come sopra esposto, alla medesima logica che presiede alla prevalenza delle norme in tema di tutela dei legittimari rispetto alla contraria volontà del de cuius.

10. Il ricorso deve pertanto essere accolto e la sentenza impu-gnata deve essere cassata.

Tuttavia non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito, accogliendosi la domanda attorea e dichiarandosi che il testamento olografo di Na.An. del 20 febbraio 1990 pubblicato con atto per notar Domenico Pastorino del 15 aprile 2003 rep. n. 32868, racc. n. 16602, è revocato di diritto ex art. 687 c.c.

11. Attesa la complessità delle questioni giuridiche trattate, che hanno imposto la puntualizzazione della precedente giu-

risprudenza con la disamina di numerosi istituti del diritto successorio, oggetto di dibattito dottrinale, si ritiene che sus-sistano giusti motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese dell’intero giudizio.

Nulla a provvedere quanto agli intimati che non hanno svol-to difese in questa fase.

P.Q.M.Accoglie il ricorso principale ed incidentale e per l’effetto cas-sa la sentenza impugnata, e decidendo nel merito dichiara che il testamento olografo di Na.An. del 20 febbraio 1990, pubblicato con atto per notar P.D. del (OMISSIS), è revocato di diritto ex art. 687 c.c.

Compensa integralmente le spese dell’intero giudizio.Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezio-

ne Seconda Civile, il 5 dicembre 2017.Depositato in Cancelleria il 5 gennaio 2018

LE REVOCAZIONE DEL TESTAMENTO A CAUSA DI SOPRAVVENIENZA DI FIGLI

Nota a Cassazione civile, sez. II, sentenza 5 gennaio 2018, n. 169VALERIA CIANCIOLOAvvocato in Bologna

La lunga e ben articolata sentenza che qui si annota, riguarda la particolare ipotesi successoria in tema di revocabilità (di diritto) delle disposizioni testamentarie disciplinata dall’art. 687 c.c. che come noto, contempla l’ipotesi in cui il figlio sopravvenga rispetto alla data di predisposizione del testa-mento, ove la situazione familiare sia connotata dalla assenza ovvero dalla ignoranza assoluta di avere figli.

La decisione fa il punto sui diversi orientamenti cimentatisi con l’interpretazione della suddetta norma e opta, per la riso-luzione della concreta controversia, per la preferibilità della teoria c.d. oggettiva, pervenendo all’accoglimento del ricorso e alla diretta definizione della causa nel merito, non risultan-do necessari ulteriori accertamenti di fatto.

Il caso

Una donna conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Velletri la consorte di un signore deceduto, le due sorelle di quest’ultimo e i suoi nipoti. Parte attrice affermava di esse-re figlia naturale del “de cuius” il quale aveva in precedenza intessuto una relazione extraconiugale con la di lei madre e con cui aveva avuto modo anche di incontrarsi quando era in vita. Pertanto, chiedeva che venisse giudizialmente accer-tata la paternità naturale del defunto e che, per effetto di tale pronuncia, si provvedesse – ai sensi dell’art. 687 c.c. – alla dichiarazione della revoca del testamento olografo redatto da colui che assumeva essere il suo padre naturale, mediante il quale aveva devoluto le sue sostanze, mobiliari ed immobilia-ri, a vario titolo a vantaggio dei predetti convenuti.

Nella costituzione dei medesimi convenuti che si opponeva-no all’accoglimento della domanda, ad eccezione della moglie del “de cuius” che invece vi aderiva, il Tribunale accoglieva integralmente la domanda e, quindi, dichiarava la revoca del testamento impugnato ai sensi dell’art. 687 c.c.

Eppure, sul gravame proposto dai convenuti soccombenti, la Corte di appello capitolina, con sentenza dell’ottobre 2012, riformava la sentenza di prime cure e, per l’effetto, rigettava la domanda di revocazione del contestato testamento, annul-lando l’attribuzione all’appellata del cognome paterno che le era stato assegnato per effetto della dichiarazione giudiziale di paternità statuita con la decisione adottata all’esito del giudi-zio di primo grado.

la Corte territoriale evidenziava, sostanzialmente, che il cita-to art. 687 c.c. dovesse intendersi in senso restrittivo, ovvero limitandosi l’equiparazione dei casi di acquisto dello “status” di figlio alla sola ipotesi in cui la dichiarazione giudiziale di paternità ossia l’introduzione del relativo giudizio siano inter-venuti prima della morte del testatore.

Avverso la sentenza di appello formulava ricorso per cassa-zione l’originaria attrice (poi appellata soccombente).

La Corte di legittimità, nella resistenza degli intimati, con la sentenza qui segnalata accoglieva l’impugnazione di ultima istanza, decidendo anche il giudizio nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti fattuali, con la conseguente dichiarazione della revocazione di diritto ai sensi dell’art. 687 c.c. dell’impugnato testamento olografo.

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158 L’Osservatorio sul diritto di famiglia | gennaio-agosto 2018

LA GIURISPRUDENZA ANNOTATA

La ratio dell’art. 687 c.c.

La revoca, tanto delle disposizioni a titolo universale, quanto a titolo particolare, opera in presenza del verificarsi di un pre-supposto a carattere oggettivo che può, tuttavia, manifestarsi in un duplice modo: l’ignoranza dell’esistenza di figli al momento della redazione del testamento o la sopravvenienza degli stessi1.

Operando di diritto, peraltro, la revoca stessa non richiede né istanza degli interessati, né provvedimento dell’autorità giudiziaria2.

Una stretta interpretazione porta ad escludere che la revoca possa operare qualora il testatore, sapendo di avere figli, igno-rasse solo l’esistenza di altri, o quando altri ne sopravvengano alla redazione del testamento3, anche se non manca chi ne propone un’interpretazione estensiva, dettata dalla comune ratio legis, tale da rendere operante la norma anche nell’ipotesi di sopravvenienza di altri figli4.

Della disposizione dettata dall’articolo 687 c.c. si danno es-senzialmente due spiegazioni.

Secondo la dottrina tradizionale, il fondamento della revo-cazione di diritto andrebbe ricercato nel rispetto della volontà “presunta”, “ipotetica” o “viziata” (secondo diverse varianti ricostruttive) del testatore: il testamento sarebbe revocato di diritto dovendosi presumere, in buona sostanza, che il testatore avrebbe disposto diversamente, si nascituros filios cogitasset5. Si è obbiettato che la menzionata presunzione non avrebbe in effetti fondamento in tutti i casi in cui la so-pravvenienza del figlio ovvero la scoperta della sua esistenza abbia luogo nell’arco temporale compreso tra la confezione del testamento e l’apertura della successione, soprattutto se di molto successiva all’atto di ultima volontà: in tal caso, non avere il testatore provveduto egli stesso a revocare il testamen-to, starebbe semmai a testimoniare che egli vuol conservare proprio quelle disposizioni, e non vuole affatto che vengano travolte. Ed inoltre, la revoca del testamento è ricollegabile anche alla sopravvivenza di un figlio postumo, nel qual caso è arduo ipotizzare una presunzione di una diversa volontà del testatore, dal momento che l’evento che avrebbe giustificato una modifica del testamento viene ad esistenza quando tale modifica non è più possibile.

Secondo l’indirizzo che in questo momento sembra esse-re prevalente, anche in giurisprudenza, la ratio dell’art. 687 c.c. è da ravvisare nella volontà del legislatore di fornire una tutela rafforzata agli interessi successori dei figli, a discapito di quelli degli estranei al nucleo familiare. In questo senso è la decisione, più volte richiamata dal primo giudice, secondo cui l’art. 687, 1°co., c.c., ha un fondamento oggettivo indivi-duabile nella modificazione della situazione familiare in re-lazione alla quale il testatore aveva disposto dei suoi beni6.

1 rossi, Revoca degli atti (Revoca del testamento), in EG, XXVII, Roma, 1991, 15.2 calice, La sopravvenienza di figli o discendenti, in Bonilini (diretto da), Trat-

tato di diritto delle successioni e donazioni, II, Milano, 2009, 1735.3 azzariti, Le successioni e le donazioni, 2a ed., Napoli, 1990, 651.4 talaManca, Successioni testamentarie, in Comm. Scialoja, Branca, sub artt.

679-712, Bologna-Roma, 1975, 217.5 Nello stesso senso è la giurisprudenza meno recente: Cass. 6 ottobre 1954,

n. 3298, in Giust. civ., 1954, I, 222; Cass. 19 aprile 1956, n. 1192, in Foro it., 1956, I, 672; Cass. 22 agosto 1956, n. 3146, in Giust. civ., 1957, I, 1116; Cass. 29 gennaio 1970, n. 187, in Foro it., 1970, I, 1124, in motivazione.

6 Cass. 9 marzo 1996, n. 1935, in Foro it., 1996, I, 1229; Cass. 1° marzo 2011, n. 5037, in Foro it., 2011, I, 2776; Trib. Reggio Emilia 13 ottobre 2006, in Il merito, 2007, 5, 40.

La giurisprudenza più recente, peraltro, afferma che il testa-mento redatto da chi sapeva dell’esistenza di propri figli na-turali deve essere revocato anche qualora l’accertamento della filiazione avvenga dopo la morte del testatore, a seguito della dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale7.

A questo punto rimane però ancora da chiedersi se può dav-vero ritenersi corretta l’idea secondo cui il fondamento del rimedio caducatorio di cui all’art. 687 cod. civ. risiederebbe in un vizio presunto della volontà testamentaria o se non deve invece considerarsi preferibile l’insegnamento accolto finora anche dalla Suprema Corte secondo cui la “revoca di diritto” sarebbe un meccanismo di tutela rafforzata degli interessi suc-cessori dei figli e dei discendenti.

Con riferimento all’art. 687, co. 3°, cod. civ. da tempo è stato autorevolmente osservato8 che quella previsione “non è in contrasto con la interpretazione oggettiva […] della norma, […] ma anzi la conforta”. E ciò perché “la legge ha inteso far salva con questa disposizione una devoluzione del patrimo-nio anche a persone diverse dai figli e discendenti del de cu-ius, ma solo in quanto sussista una effettiva volontà in questo senso del testatore”9, di modo che – sarebbe questo il vero significato della norma in questione – figli e discendenti del de cuius “non possono venire esclusi dalla successione del loro congiunto neppure per la parte disponibile del patrimonio ereditario ove non risulti una diversa volontà di quest’ultimo consacrata in un testamento”. Ne consegue che l’art. 687 cod. civ., pur sovrapponendosi in parte alla disciplina della c.d. successione necessaria, realizza “per i legittimari un risultato ulteriore rispetto a quello che questi potrebbero conseguire con la semplice azione di riduzione”. Quella norma, infatti, “da un verso rappresenta una specificazione e puntuale ap-plicazione al caso del più generale principio posto dall’art. 457, comma 2°, cod. civ.”, ma “dall’altro si traduce in una più intensa ed efficace tutela dei figli e discendenti del de cuius”.

Né serve sostenere che l’art. 687 cod. civ. non si applica in ogni caso di preterizione di figli o discendenti, ma solo nel caso di una loro sopravvenienza non prevista dal testatore o anche in caso di successiva conoscenza della loro esistenza da parte dello stesso. Certo non è contestabile che la “revo-ca di diritto” reagisce unicamente a una preterizione dovuta

7 T. Belluno 4 maggio 2005: “Qualora sopravvenga l’accertamento giudiziale di un rapporto di filiazione naturale, va revocato di diritto il testamento redatto dal genitore, ancorché quest’ultimo in vita avesse avuto contezza dell’esistenza del figlio naturale”, in Foro it., 2005, 1, 2580. T. Catania 12 febbraio 2001: “La revoca di diritto delle disposizioni ‘mortis causa’ fatte da chi al tempo del testa-mento non aveva o ignorava di avere figli o discendenti, nell’ipotesi di esistenza o sopravvenienza di figli o discendenti legittimi, ovvero di riconoscimento suc-cessivo di figli naturali, ex art. 687 c.c., opera anche nell’ipotesi di successiva dichiarazione giudiziale di paternità, stante l’equiparazione del riconoscimento volontario alla dichiarazione giudiziale, voluta dall’art. 277 c.c.” in Giur. di me-rito, 2002, 39.

8 Sempre nel senso che la “revoca di diritto” del testamento ex art. 687 cod. civ. ha un fondamento oggettivo riconoscibile in “una esigenza di tutela del-la filiazione (legittima, legittimata, naturale, riconosciuta, adottiva)”, v. pure i penetranti rilievi di scalisi, La revoca non formale del testamento e la teoria del comportamento concludente, Milano, 1974, 105 ss. La tesi secondo cui la “revoca” del testamento ex art. 687 cod. civ. sarebbe funzionale alla tutela della filiazio-ne è senz’altro maggioritaria nella dottrina sotto il codice del 1942: cfr. anche pugliatti, Dell’istituzione d’erede e dei legati, in Commentario del cod. civ., diretto da D’Amelio e Finzi, Libro delle successioni per causa di morte e delle donazioni, II, Firenze, 1941, 588; Falzea, La condizione e gli elementi dell’atto giuridico, Milano, 1941, 47 ss.; FeDele, Le invalidità del negozio giuridico di diritto privato, Torino, 1943, 201 ss., nt. 1; Barassi, Le successioni per causa di morte, Milano, 1947, 457 s.; Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, Torino, 2013, 376.

9 scalisi, op. cit., 106 e ss.

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LA GIURISPRUDENZA ANNOTATA

a un difetto di conoscenza o di previsione del testatore. Di per sé, però, questo dato non vale a escludere la possibilità di ravvisarne il fondamento nella tutela di figli e discendenti e non della volontà del testatore. Non c’è dubbio insomma, che il legislatore, nel prevedere la “revoca legale” del testa-mento per sopravvenienza di figli, sia stato mosso dalla con-siderazione del “dato di comune esperienza che la mancanza di figli condiziona la volontà testamentaria, e che di regola

una persona non fa testamento o lo fa diversamente se ha un discendente”10.

È altrettanto indubbio però che l’art. 687 cod. civ. connette direttamente l’inefficacia delle disposizioni testamentarie alla ricorrenza di fatti oggettivi e non di un vizio della volontà testamentaria.

10 Bianca, Diritto civile, 2, La famiglia. Le successioni, Milano, 2005, 827.

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LA GIURISPRUDENZA ANNOTATA

Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 263 c.c., in riferimento agli artt. 2, 3, 30, 31 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata e resa esecutiva con l. 4 agosto 1955, n. 848, nella parte in cui non prevede che l’impugnazione del riconoscimento del figlio minore per difetto di veridicità possa essere accolta solo quando sia rispondente al suo interesse, in quanto l’affermazione della necessità di considerare il concreto interesse del minore in tutte le decisioni che lo riguardano è fortemente radicata nell’ordinamento sia interno, sia internazionale, dovendosi escludere che l’accertamento della verità biologica e genetica dell’individuo costituisca un valore di rilevanza costituzionale assoluta, tale da sottrarsi a qualsiasi bilanciamento, pur esistendo un accentuato favore dell’ordinamento per la confor-mità dello status alla realtà della procreazione.

omissisConsiderato in diritto1. Nel corso di un procedimento di impugnazione del rico-

noscimento di figlio naturale per difetto di veridicità, la Corte d’appello di Milano ha sollevato questione di legittimità co-stituzionale dell’art. 263 del codice civile, in riferimento agli artt. 2, 3, 30, 31 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (d’ora in avanti: CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848.

La disposizione è censurata nella parte in cui non prevede che l’impugnazione del riconoscimento del figlio minore per difetto di veridicità possa essere accolta solo quando sia ri-spondente all’interesse dello stesso.

2. Secondo la difesa del Presidente del Consiglio dei mini-stri, intervenuto nel giudizio incidentale, la questione sareb-be inammissibile in quanto volta ad inserire, attraverso una pronuncia additiva, una condizione esclusiva (l’interesse del minore) ai fini dell’impugnazione del riconoscimento del fi-glio naturale. Spetterebbe, viceversa, al legislatore stabilire se l’accoglimento di tale impugnazione debba essere subordina-to all’interesse del minore all’appartenenza familiare.

L’eccezione di inammissibilità è priva di fondamento.Al riguardo, va rilevato che il petitum del rimettente è volto al

riconoscimento della possibilità di valutare l’interesse del mino-re, ai fini della decisione sull’impugnazione del riconoscimento. Ove si neghi tale possibilità, l’accoglimento della domanda ri-marrebbe condizionato soltanto all’accertamento della non ve-ridicità del riconoscimento. In definitiva, attraverso l’intervento invocato, è denunciata l’irragionevolezza di un automatismo de-cisorio che impedirebbe di tenere conto degli interessi in gioco.

Il sindacato di legittimità rimesso a questa Corte è limitato, pertanto, alla verifica del fondamento costituzionale del de-nunciato meccanismo decisorio, senza alcuna interferenza sul contenuto di scelte discrezionali rimesse al legislatore.

3. Sempre in via preliminare, occorre delimitare l’ambito dell’indagine che il giudice intende rimettere alla Corte in questa occasione.

Secondo questa prospettazione, il giudizio a quo ha per og-getto l’accertamento dell’inesistenza del rapporto di filiazione di un minore nato attraverso il ricorso alla surrogazione di maternità realizzata all’estero. Non è tuttavia in discussione la legittimità del divieto di tale pratica, previsto dall’art. 12, comma 6, della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in ma-teria di procreazione medicalmente assistita), e nemmeno la sua assolutezza. Risulta parimenti estraneo alla odierna que-stione di legittimità costituzionale il tema dei limiti alla tra-scrivibilità in Italia di atti di nascita formati all’estero.

La questione sollevata dalla Corte d’appello di Milano ha per oggetto, infatti, la disciplina dell’azione di impugnazione prevista dall’art. 263 cod. civ., volta a rimuovere lo stato di figlio, già attribuito al minore per effetto del riconoscimento, in considerazione del suo difetto di veridicità.

4. Nel merito, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 263 cod. civ. non è fondata.

Nell’interpretazione fatta propria dal rimettente la norma censurata si porrebbe in contrasto con i principi di cui agli artt. 2, 3, 30, 31 e 117, primo comma, Cost., poiché, nel giu-dizio di impugnazione del riconoscimento del figlio naturale, essa non consentirebbe di tenere conto, in concreto, dell’in-teresse del minore “a vedersi riconosciuto e mantenuto uno stato di filiazione quanto più rispondente alle sue esigenze di vita”. Tuttavia, siffatta interpretazione non può essere condi-visa, neppure nei casi nei quali il legislatore imponga di non pretermettere la verità.

4.1. Pur dovendosi riconoscere un accentuato favore dell’or-dinamento per la conformità dello status alla realtà della pro-creazione, va escluso che quello dell’accertamento della verità biologica e genetica dell’individuo costituisca un valore di rilevanza costituzionale assoluta, tale da sottrarsi a qualsiasi bilanciamento.

Ed invero, l’attuale quadro normativo e ordinamentale, sia interno, sia internazionale, non impone, nelle azioni volte alla rimozione dello status filiationis, l’assoluta prevalenza di tale accertamento su tutti gli altri interessi coinvolti.

In tutti i casi di possibile divergenza tra identità genetica e identità legale, la necessità del bilanciamento tra esigenze di accertamento della verità e interesse concreto del minore è resa trasparente dall’evoluzione ordinamentale intervenuta e si proietta anche sull’interpretazione delle disposizioni da applicare al caso in esame.

4.1.1. A questo riguardo va preliminarmente osservato che la disposizione dell’art. 263 cod. civ. è stata censurata dal rimettente nella versione, applicabile ratione temporis, ante-cedente alle modifiche apportate dal decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154 (Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219).

In particolare, l’art. 28 del medesimo d.lgs., in vigore dal 7 febbraio 2014, nel modificare l’art. 263 cod. civ., ha limitato l’imprescrittibilità dell’azione esclusivamente a quella eserci-tata dal figlio. Analoga previsione è stata inserita – con rife-rimento all’azione di disconoscimento di paternità – nell’art.

Corte cost., 18 dicembre 2017, n. 272 Pres. Grossi, Rel. Amato

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LA GIURISPRUDENZA ANNOTATA

244, quinto comma, cod. civ., nel testo introdotto dall’art. 18, primo comma, del d.lgs. n. 154 del 2013. Gli altri legittimati, laddove intendano proporre le suddette azioni di contesta-zione degli status, sono ora tenuti a rispettare i termini di decadenza previsti dalla nuova disciplina.

Il legislatore delegato ha così garantito, senza limiti di tem-po, l’interesse primario ed inviolabile dei figli all’accertamento della propria identità e discendenza biologica. Per converso, la previsione di termini di decadenza per gli altri legittimati ha circoscritto entro rigorosi limiti temporali l’esperibilità del-le azioni demolitorie dello status filiationis, assicurando così tutela al diritto del figlio alla stabilità dello status acquisito.

La necessità del bilanciamento dell’interesse del minore con il pubblico interesse alla certezza degli status è, altresì, espressamente prevista dal legislatore nelle azioni in materia di riconoscimento dei figli (artt. 250 e 251 cod. civ.), volte all’estensione dei legami parentali del minore.

4.1.2. D’altra parte, già l’art. 9 della legge n. 40 del 2004 aveva escluso che il coniuge o il convivente che abbiano ac-consentito al ricorso a tecniche di procreazione medicalmen-te assistita di tipo eterologo potessero promuovere l’azione di disconoscimento o impugnare il riconoscimento ai sensi dell’art. 263 cod. civ.

Al riguardo questa Corte ha ritenuto “confermata sia l’inam-missibilità dell’azione di disconoscimento della paternità […] e dell’impugnazione ex art. 263 cod. civ. (nel testo novellato dall’art. 28 del d.lgs. n. 154 del 2013), sia che la nascita da PMA di tipo eterologo non dà luogo all’istituzione di relazio-ni giuridiche parentali tra il donatore di gameti ed il nato, essendo, quindi, regolamentati i principali profili dello stato giuridico di quest’ultimo” (sentenza n. 162 del 2014).

Anche in questo caso, in un’ipotesi di divergenza tra ge-nitorialità genetica e genitorialità biologica, il bilanciamento è stato effettuato dal legislatore attribuendo la prevalenza al principio di conservazione dello status filiationis.

4.1.3. Proprio al fine di garantire tutela al bambino concepi-to attraverso fecondazione eterologa, sin da epoca anteceden-te alla legge n. 40 del 2004, questa Corte – senza mettere in discussione la legittimità di tale pratica, “né […] il principio di indisponibilità degli status nel rapporto di filiazione, prin-cipio sul quale sono suscettibili di incidere le varie possibilità di fatto oggi offerte dalle tecniche applicate alla procreazione” – si è preoccupata “invece di tutelare anche la persona nata a seguito di fecondazione assistita, venendo inevitabilmente in gioco plurime esigenze costituzionali. Preminenti in pro-posito sono le garanzie per il nuovo nato […], non solo in relazione ai diritti e ai doveri previsti per la sua formazione, in particolare dagli artt. 30 e 31 della Costituzione, ma ancor prima – in base all’art. 2 della Costituzione – ai suoi diritti nei confronti di chi si sia liberamente impegnato ad accoglierlo assumendone le relative responsabilità: diritti che è compito del legislatore specificare” (sentenza n. 347 del 1998).

4.1.4. Come evidenziato dallo stesso rimettente in riferi-mento alla violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., an-che il quadro europeo ed internazionale di tutela dei diritti dei minori evidenzia la centralità della valutazione dell’inte-resse del minore nell’adozione delle scelte che lo riguardano.

Tale principio ha trovato la sua solenne affermazione dap-prima nella Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge

27 maggio 1991, n. 176, in forza della quale “[i]n tutte le de-cisioni relative ai fanciulli, di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione premi-nente” (art. 3, paragrafo 1).

Nella stessa direzione si pongono la Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, fatta a Strasburgo il 25 gen-naio 1996, ratificata e resa esecutiva con legge 20 marzo 2003, n. 77, e le Linee guida del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa per una giustizia a misura di minore, adottate il 17 novembre 2010, nella 1098ª riunione dei delegati dei ministri.

Infine, l’art. 24, secondo comma, della Carta dei diritti fon-damentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 di-cembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, sancisce il principio per il quale “[i]n tutti gli atti relativi ai bambini, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da isti-tuzioni private, l’interesse superiore del bambino deve essere considerato preminente”.

D’altra parte, pur in assenza di un’espressa base testuale, la garanzia dei best interests of the child è stata riportata, nell’in-terpretazione della Corte europea dei diritti dell’uomo, sia all’art. 8, sia all’art. 14 della CEDU. Ed è proprio in casi di surrogazione di maternità, nel valutare il rifiuto di trascrizio-ne degli atti di nascita nei registri dello stato civile francese, che la Corte di Strasburgo ha affermato che il rispetto del mi-gliore interesse dei minori deve guidare ogni decisione che li riguarda (sentenze del 26 giugno 2014, rese nei casi Men-nesson contro Francia e Labassee contro Francia, ricorsi n. 65192 del 2011 e n. 65941 del 2011).

4.1.5. Va altresì rammentato che, in linea con i principi enunciati dalla giurisprudenza della Corte EDU, la legge 19 ottobre 2015, n. 173 (Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, sul diritto alla continuità affettiva dei bambini e del-le bambine in affido familiare) ha valorizzato l’interesse del minore alla conservazione di legami affettivi che sicuramente prescindono da quelli di sangue, attraverso l’attribuzione di rilievo giuridico ai rapporti di fatto instaurati tra il minore dichiarato adottabile e la famiglia affidataria.

D’altra parte, il distacco tra identità genetica e identità le-gale è alla base proprio della disciplina dell’adozione (legge 4 maggio 1983, n. 184, recante “Diritto del minore ad una famiglia”), quale espressione di un principio di responsabilità di chi sceglie di essere genitore, facendo sorgere il legittimo affidamento sulla continuità della relazione.

4.1.6. Anche la giurisprudenza di questa Corte ha rico-nosciuto, da tempo, l’immanenza dell’interesse del minore nell’ambito delle azioni volte alla rimozione del suo status fi-liationis (sentenze n. 112 del 1997, n. 170 del 1999 e n. 322 del 2011; ordinanza n. 7 del 2012).

In tale giurisprudenza si trovano affermazioni sul particolare valore della verità biologica. Tuttavia – diversamente da quanto ritiene il giudice a quo – essa non ha affatto negato la possibilità di valutare l’interesse del minore nell’ambito delle azioni de-molitorie del rapporto di filiazione. È stato riconosciuto che la verità biologica della procreazione costituisce “una componen-te essenziale” dell’identità personale del minore, la quale con-corre, insieme ad altre componenti, a definirne il contenuto.

Pertanto, nell’auspicare una “tendenziale corrispondenza” tra certezza formale e verità naturale, si è riconosciuto che anche

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LA GIURISPRUDENZA ANNOTATA

l’accertamento della verità biologica fa parte della complessiva valutazione rimessa al giudice, alla stregua di tutti gli altri ele-menti che, insieme ad esso, concorrono a definire la complessi-va identità del minore e, fra questi, anche quello, potenzialmen-te confliggente, alla conservazione dello status già acquisito.

Costituisce infatti “compito precipuo del tribunale per i mi-norenni, […] verificare se la modifica dello status del mino-re risponda al suo interesse e non sia per lui di pregiudizio; così come contemporaneamente occorre anche verificare, sia pure con sommaria delibazione, la verosimiglianza del pre-teso rapporto di filiazione, dovendosi garantire il diritto del minore alla propria identità” (sentenza n. 216 del 1997, sulla previgente disciplina dell’azione di disconoscimento della pa-ternità, di cui agli artt. 273 e 274 cod. civ.).

Nell’evoluzione normativa e ordinamentale del concetto di famiglia, a conferma del rilievo giuridico della genitorialità sociale, ove non coincidente con quella biologica, vi è anche l’espresso riconoscimento, da parte di questa Corte, che “il dato della provenienza genetica non costituisce un imprescindibile requisito della famiglia stessa” (sentenza n. 162 del 2014).

4.1.7. L’esigenza di operare un’adeguata comparazione de-gli interessi in gioco, alla luce della concreta situazione dei soggetti coinvolti e, in particolare, del minore, è stata recente-mente riconosciuta anche dalla Corte di cassazione, con rife-rimento all’azione di disconoscimento della paternità.

La giurisprudenza di legittimità ha escluso, infatti, che il fa-vor veritatis costituisca un valore di rilevanza costituzionale assoluta da affermarsi comunque, atteso che l’art. 30 Cost. non ha attribuito un valore indefettibilmente preminente alla verità biologica rispetto a quella legale. Nel disporre, al quarto comma, che “[l]a legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità”, l’art. 30 Cost. ha demandato al legislatore ordinario il potere di privilegiare, nel rispetto degli altri valori di rango costituzionale, la paternità legale rispetto a quella naturale, nonché di fissare le condizioni e le modalità per far valere quest’ultima, così affidandogli anche la valutazione in via generale della soluzione più idonea per la realizzazione dell’interesse del figlio (Corte di cassazione, sezione prima ci-vile, sentenze 30 maggio 2013, n. 13638; 22 dicembre 2016, n. 26767; e 3 aprile 2017, n. 8617).

4.2. È alla luce di tali principi, immanenti anche nel mutato contesto normativo e ordinamentale, che si pone la questione di legittimità costituzionale dell’art. 263 cod. civ.

L’affermazione della necessità di considerare il concreto in-teresse del minore in tutte le decisioni che lo riguardano è fortemente radicata nell’ordinamento sia interno, sia interna-zionale e questa Corte, sin da epoca risalente, ha contribuito a tale radicamento (ex plurimis, sentenze n. 7 del 2013, n. 31 del 2012, n. 283 del 1999, n. 303 del 1996, n. 148 del 1992 e n. 11 del 1981).

Non si vede conseguentemente perché, davanti all’azione di cui all’art. 263 cod. civ., fatta salva quella proposta dallo stesso figlio, il giudice non debba valutare: se l’interesse a far valere la verità di chi la solleva prevalga su quello del minore; se tale azione sia davvero idonea a realizzarlo (come è nel caso dell’art. 264 cod. civ.); se l’interesse alla verità abbia anche

natura pubblica (ad esempio perché relativa a pratiche vieta-te dalla legge, quale è la maternità surrogata, che offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane) ed imponga di tutelare l’interesse del mi-nore nei limiti consentiti da tale verità.

Vi sono casi nei quali la valutazione comparativa tra gli inte-ressi è fatta direttamente dalla legge, come accade con il divie-to di disconoscimento a seguito di fecondazione eterologa. In altri il legislatore impone, all’opposto, l’imprescindibile presa d’atto della verità con divieti come quello della maternità sur-rogata. Ma l’interesse del minore non è per questo cancellato.

La valutazione del giudice è presente, del resto, nello stesso procedimento previsto dall’art. 264 cod. civ., volto alla no-mina del curatore speciale del figlio minore, laddove l’azione di contestazione dello status sia esercitata nel suo interesse. È anche in questa sede, infatti, che il legislatore – sia pure con i limiti derivanti dalla natura camerale del procedimento – ha affidato al giudice specializzato il compito di valutare, ancor prima dell’instaurazione dell’azione, l’interesse del minore all’assunzione di tale iniziativa giudiziale.

4.3. Se dunque non è costituzionalmente ammissibile che l’esigenza di verità della filiazione si imponga in modo au-tomatico sull’interesse del minore, va parimenti escluso che bilanciare quell’esigenza con tale interesse comporti l’automa-tica cancellazione dell’una in nome dell’altro.

Tale bilanciamento comporta, viceversa, un giudizio com-parativo tra gli interessi sottesi all’accertamento della verità dello status e le conseguenze che da tale accertamento possa-no derivare sulla posizione giuridica del minore.

Si è già visto come la regola di giudizio che il giudice è tenu-to ad applicare in questi casi debba tenere conto di variabili molto più complesse della rigida alternativa vero o falso. Tra queste, oltre alla durata del rapporto instauratosi col minore e quindi alla condizione identitaria già da esso acquisita, non possono non assumere oggi particolare rilevanza, da un lato le modalità del concepimento e della gestazione e, dall’altro, la presenza di strumenti legali che consentano la costituzione di un legame giuridico col genitore contestato, che, pur diver-so da quello derivante dal riconoscimento, quale è l’adozione in casi particolari, garantisca al minore una adeguata tutela.

Si tratta, dunque, di una valutazione comparativa della qua-le, nel silenzio della legge, fa parte necessariamente la consi-derazione dell’elevato grado di disvalore che il nostro ordi-namento riconnette alla surrogazione di maternità, vietata da apposita disposizione penale.

P.Q.M.La Corte costituzionaledichiara non fondata la questione di legittimità costituziona-

le dell’art. 263 del codice civile, sollevata dalla Corte d’appel-lo di Milano, in riferimento agli artt. 2, 3, 30, 31 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

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LA GIURISPRUDENZA ANNOTATA

1. Con la pregevole decisione in esame il giudice delle leggi torna sul tema della filiazione1, proseguendo nel filone da essa inaugurato alcuni anni or sono, che vede al centro del sistema il profilo identitario del nato, con la conseguenza che, anche riguardo alle azioni, l’attribuzione dello status va vista essen-zialmente in relazione alla tutela del figlio e all’attuazione piena della sua identità personale, a prescindere dall’effettiva trasmissione dei geni.

Il provvedimento della Consulta risolve la questione, solle-vata dalla Corte d’Appello di Milano2, di legittimità costitu-zionale dell’art. 263 c.c. (impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità), nella parte in cui non consente la valutazione da parte del giudice dell’effettivo interesse del mi-nore ai fini della pronuncia ablativa dello stato di figlio. Esso prende le mosse da una vicenda che ha visto una coppia ete-rogenitoriale ricorrere alla gestazione per altri3, realizzata in

1 Tema che ha conosciuto negli ultimi lustri un notevole approfondimento, anche a seguito dell’ultima riforma, attuata dal compilatore con l. 10 dicembre 2012, n. 219 e con il successivo d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, in vigore dal 7 febbraio 2014. Per la trattatistica, cfr. palazzo, La filiazione, in Tratt. dir. civ. comm. Cicu e Messineo, 2a ed., Milano, 2013; Sassi, Scaglione, SteFanelli, La filiazione e i minori, in Tratt. dir. civ. Sacco, 2a ed., Torino, 2018. Per un commento organico alla riforma del 2012-2013, cippitani, steFanelli (a cura di), La parificazione degli status di filiazione, Roma-Perugia-México, 2013; Bianca (a cura di), La riforma della filiazione. Commentario sistematico, in Nuove leggi civ. comm., 2013, 437 ss.; Bocchini, Diritto di famiglia. Le grandi questioni, Torino, 2013; Bianca (a cura di), Filiazione. Commento al decreto attuativo, Milano, 2014; BuFFone, Le novità del “decreto filiazione”, Milano, 2014; chiappetta (a cura di), Lo stato unico di figlio, Napoli, 2014; pane (a cura di), Nuove frontiere della famiglia. La filiazione, Napo-li, 2014; salanitro, La riforma della disciplina della filiazione dopo l’esercizio della delega (I parte e II parte), in Corr. giur., 2014, 540 ss. e 675 ss.; più di recente, aMagliani, L’unicità dello stato giuridico di figlio, in Riv. dir. civ., 2015, 554 ss.; Bian-ca (a cura di), La riforma della filiazione, Padova, 2015; Morozzo Della rocca, La nuova disciplina della filiazione, Rimini, 2015; troiano, Novità e questioni irrisolte del diritto della filiazione a un anno dal completamento della riforma (I parte e II parte), in Studium iuris, 2015, 277 ss. e 389 ss.; per le voci enciclopediche, l’u-nica aggiornata alla riforma è di Sesta, Filiazione (dir. civ.), in Enc. dir. Ann., VIII, Milano, 2015, 445 ss. Le opere sulla filiazione che precedono la riforma del 2012-2013 hanno sempre trattato disgiuntamente filiazione “legittima” e “na-turale”, sia per le differenze presenti in fase di costituzione sia, soprattutto, per quelle concernenti gli effetti e i rapporti familiari. Una visione più moderna si rinviene soltanto in palazzo, La filiazione, cit., già dalla 1a ed. (Milano, 2007), ove lo stato di filiazione è trattato unitariamente e viene utilizzata la terminologia di figlio “matrimoniale” e “non matrimoniale”, adottata poi dal legislatore della riforma e dalla dottrina successiva che se ne è occupata. Per un quadro unitario, sebbene fornito sempre nell’ottica della tradizionale distinzione tra filiazione “legittima” e “naturale”, cfr. FerranDo, Filiazione legittima e naturale, in Dig. disc. priv., Sez. civ., VIII, Torino, 1992, 295 ss.; sesta, La filiazione, in auletta (a cura di), Filiazione. Adozione. Alimenti, in Tratt. dir. priv. Bessone, IV, Torino, 2011, 3 ss.; collura, lenti, MantoVani (a cura di), Filiazione, in Tratt. dir. fam. Zatti, II, 2a ed., Milano, 2012.

2 App. Milano, 25 luglio 2016 (pubblicata in G.U. n. 4 del 25 gennaio 2017, 1a serie spec.), si può leggere in Foro it., 2016, I, 3258, con nota di casaBuri, La surrogazione di maternità tra divieto legislativo e aperture giurisprudenziali: lo stato dell’arte.

3 Sui complessi profili giuridici della gestazione per altri, si rinvia a Sassi, Scaglione, SteFanelli, La filiazione e i minori, cit., spec. 134-204, ed ivi ampi riferimenti dottrinali e giurisprudenziali, anche prospettiva comparatistica, ove

India attraverso ovodonazione. Questi i fatti. A seguito della trascrizione dell’atto formato all’estero, relativo alla nascita di un bambino, riconosciuto come figlio non matrimoniale dalla coppia in questione, e delle successive indagini avviate dalla Procura della Repubblica minorile, è stato avviato il proce-dimento per la dichiarazione di adottabilità, conclusosi con dichiarazione di non luogo a provvedere, avendo i genitori contratto matrimonio ed essendo risultata certa, sulla base di test eseguito sul DNA, la paternità biologica dell’autore del riconoscimento. Tuttavia, su richiesta del p.m., il giudice ha autorizzato la proposizione dell’impugnazione del ricono-scimento per difetto di veridicità nei confronti della madre, nominando all’uopo un curatore speciale del minore, impu-gnazione accolta in prime cure dal Tribunale di Milano, che disponeva le conseguenti annotazioni da parte dell’ufficiale di stato civile.

A seguito di gravame, la Corte d’Appello ha sollevato que-stione di legittimità costituzionale, evidenziando: a) che, nel caso esaminato, l’atto di nascita comprovante la genitorialità del minore già risulta trascritto in Italia, con la conseguenza che è estranea al thema decidendum la questione della trascrivi-bilità di atti di nascita formati nei paesi che consentono la ma-ternità surrogata, non essendo richiesta la trascrizione di uno status filiationis riconosciuto all’estero, ma la rimozione di uno status già attribuito, in considerazione della sua non veridici-tà; b) che, al contrario, va prospettata una diversa questione di legittimità costituzionale, tale da porre al centro l’interes-se del bambino, nato a seguito di surrogazione di maternità realizzata all’estero, a vedersi riconosciuto e mantenuto uno stato di filiazione quanto più rispondente alle sue esigenze di vita, questione concernente, in particolare, l’art. 263 c.c., nella parte in cui non prevede che l’impugnazione del rico-noscimento per difetto di veridicità possa essere accolta solo laddove ritenuta rispondente all’interesse del minore; infatti, nel caso in esame, le norme inderogabili che definiscono e di-

si dà conto (142 ss.) delle ragioni per cui è preferibile adottare la locuzione “gestazione per altri”, in luogo di “maternità surrogata” o di “surrogazione di maternità”, che presuppongono l’aver risolto in favore della gestante l’accerta-mento della condizione di madre, mentre l’aggettivo si riferisce a ciò che tenta di imitare l’originale, ma resta inferiore; ma v., in un’ottica più restrittiva e tesa a limitare il più possibile gli effetti costitutivi dello stato di figlio, l’ampia indagine di RenDa, La surrogazione di maternità ed il diritto della famiglia al bivio, in Europa dir. priv., 2015, 415 ss.; sul piano antropologico e sociale, si rivela molto inte-ressante la recente analisi di Marchi, Mio, tuo, suo, loro. Donne che partoriscono per altri, Roma, 2017, spec. 11, la quale, tuttavia, a proposito dell’espressione “gestazione per altri”, evidenzia come “Quegli “altri” implica un maschile. Come se vi ricorressero solo gli uomini, i maschi. Alla surrogazione di maternità ricor-rono per la maggioranza donne, in coppia o meno, che non possono partorire per mancanza dell’utero, per problemi di cuore, per malattie genetiche, per un cancro disabilitante. Si potrebbe utilizzare gestazione per “altre” ma non sarebbe altrettanto corretto. In italiano manca il neutro, genere che i nostri padri latini, lungimiranti, contemplavano”.

L’INTERESSE DEL MINORE NELLE AZIONI DI STATO: LA CORTE COSTITUZIONALE CONFERMA L’ORIENTAMENTO DELLA SEZ. I DELLA S.C.ANDREA SASSIOrdinario di diritto privato nell’Università di Perugia

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164 L’Osservatorio sul diritto di famiglia | gennaio-agosto 2018

LA GIURISPRUDENZA ANNOTATA

sciplinano la genitorialità, ed in particolare la maternità, non consentirebbero a madre e figlio di vedersi riconosciuto tale legame giuridico, se non per il tramite dell’adozione in casi particolari, nel presupposto che l’interesse del minore, di cui lo stesso curatore è portatore, debba identificarsi nel favor ve-ritatis; viceversa, ove fosse consentita una valutazione in con-creto dell’interesse del minore, non coincidente con il favor veritatis, esso potrebbe essere misurato anche alla stregua di altri profili, riguardanti le particolari modalità della nascita, la possibilità di altro legame giuridico, certo e egualmente tute-lante, con la madre intenzionale, e tutte le circostanze, anche relative al rapporto con quest’ultima, che possono emergere nella singola fattispecie.

La Corte costituzionale, con il provvedimento in esame, ha viceversa dichiarato non fondata la questione, essendo l’affer-mazione della necessità di considerare il concreto interesse del minore in tutte le decisioni che lo riguardano fortemente radicata nell’ordinamento sia interno, sia internazionale, do-vendosi escludere che l’accertamento della verità biologica e genetica dell’individuo costituisca un valore di rilevanza co-stituzionale assoluta, tale da sottrarsi a qualsiasi bilanciamen-to, pur esistendo un accentuato favore dell’ordinamento per la conformità dello status alla realtà della procreazione.

2. Come accennato in apertura, l’attuazione dell’interesse del figlio in relazione alla sua identità e, quindi, la tutela della sua affettività ha assunto un profilo di rilevanza costituzionale, accolto nella giurisprudenza del giudice delle leggi4.

4 A proposito della posizione di parte processuale del minore, Corte cost., 11 marzo 2011, n. 83, in Giur. cost. 2011, 1264; in Fam. dir., 2011, 545, con nota di ToMMaseo, La Corte costituzionale sul minore come parte nei processi della giustizia minorile; in Foro it., 2011, I, 1289; in Giur. it., 2012, 270, con nota di grisi, Chi rappresenta e difende il minore infrasedicenne, parte del giudizio di opposizione di cui all’art. 250 c.c.? Ombre e luci di una sentenza interpretativa di rigetto; in Nuove leggi civ. comm., 2012, 167, con nota di cinque, Il minore è parte del procedimento ex art. 250, comma 4°, c.c.: luci ed ombre nella sentenza della Consulta; v. inoltre BernarDini De pace, La navigazione della legge 219/2012 tra scogli e nuovi orizzonti, in cippitani, steFanelli (a cura di), La parificazione degli status di filiazione, cit., 38 ss.; saVi, Il ruolo processuale del minore, ivi, 295 ss.; ID., L’atto processuale dell’a-scolto ed i diritti del figlio minore, in Dir. fam. pers., 2013, 1345 ss. Un ampio e ponderato quadro delle tutele del minore è offerto da Scaglione, Ascolto, capacità e legittimazione del minore, in cippitani, steFanelli (a cura di), La parificazione degli status di filiazione, cit., 271 ss.; v. anche Sassi, Scaglione, SteFanelli, La filiazione e i minori, cit., 560 ss., spec. 566 ss. In tema di parto anonimo, Corte cost., 22 novembre 2013, n. 278, in Corr. giur., 2014, 471, con nota di auletta, Sul diritto dell’adottato di conoscere la propria storia: un’occasione per ripensare alla disciplina della materia; in Fam. dir., 2014, 11, con nota di carBone, Un passo avanti del diritto del figlio, abbandonato e adottato, di conoscere le sue origini rispetto all’ano-nimato materno; in Nuova giur. civ. comm., 2014, I, 279, con note di Marcenò, Quando da un dispositivo di incostituzionalità possono derivare incertezze, e di long, Adozione e segreti: costituzionalmente illegittima l’irreversibilità dell’anonimato del parto; su cui SaVi, La Corte costituzionale rimedita l’anteriore indirizzo sulla rigida irreversibilità dell’opzione materna per l’anonimato della genitura, in questa Rivista, 4/2013, 38; steFanelli, Reversibilità del segreto della partoriente e accertamento della filiazione, in Giur. cost., 2013, 4031 ss.; checchini, Anonimato materno e diritto dell’adottato alla conoscenza delle proprie origini, in Riv. dir. civ., 2014, 3 ss.; Morace Pinelli, Il diritto di conoscere le proprie origini e i recenti interventi della Corte costituzionale. Il caso dell’Ospedale Sandro Pertini, ivi, 2016, 242 ss., spec. 246 ss. Per un inquadramento sistematico della questione v. già steFanelli, Parto anonimo e conoscenza delle proprie origini, in Donati, garilli, Mazzarese, sassi (a cura di), Diritto privato. Studi in onore di Antonio Palazzo, Torino 2009, 2, 833 ss.; iD., Parto anonimo e diritto a conoscere le proprie origini, in Dir. fam. pers. 2010, 426 ss.; e, più di recente, pane, Ancora sul diritto di conoscere le proprie origini, in Dir. succ. e fam. 2015, 435 ss., spec. 443 ss.; in prospettiva europea, colcelli, La tutela privata e familiare attraverso il diritto di conoscere le proprie origini, in casset-ti (coord.), L’effettività dei diritti alla luce della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, consultabile in diritti-cedu.unipg.it. Più di re-cente la Corte costituzionale ha riaffermato e rafforzato l’importanza del profilo

Del resto, l’esistenza dello stato giuridico di figlio consente al nato la tutela propria del rapporto filiale, cioè a dire quella massima prevista dal sistema. La costituzione di un rapporto giuridico (di diritto civile) tra genitore e figlio, basato sulla discendenza ingenita o sull’affettività, porta infatti a compi-mento il sistema approntato a tutela della persona umana dalla gran parte degli ordinamenti contemporanei riferibili al nostro sostrato culturale (cfr., per l’ordinamento italiano, spec. gli artt. 2, 3 e 30 Cost.); tutela che consta di tre livelli: a) uno di base derivante dall’evento nascita; b) altro connesso all’accertamento di detto evento; c) altro, infine, legato all’ac-certamento della filiazione5.

La tutela di base sub a) consegue direttamente alla nascita come fatto giuridico e, quindi, al venire ad esistenza da parte del nuovo soggetto, che, in quanto tale, gode – a prescinde-re dall’accertamento della nascita e, eventualmente, della di-scendenza – dello statuto della persona umana previsto dalle Convenzioni internazionali e dalle Costituzioni dei vari Sta-ti, nonché dalle fonti primarie di quei sistemi che realizzano l’integrazione regionale, come quello dell’Unione Europea. Di essa si occupano gli studiosi dei diritti fondamentali o, più genericamente, dei diritti umani6.

La tutela sub b) deriva all’accertamento della nascita e dall’i-scrizione del nato nei registri dello stato civile, di modo che l’evento nascita sia noto nell’ambito del sistema dato, così da attribuire i segni distintivi della persona e dare concreta attua-zione al principio della capacità giuridica, enunciato nell’or-dinamento italiano dall’art. 1 c.c., oltre a consentire l’accesso agli strumenti sociali predisposti per i residenti nel Paese.

La tutela sub c) è legata all’accertamento della discendenza (biologica o affettiva), a seguito del quale il nato diviene giuri-dicamente figlio di uno o due soggetti determinati, verso i quali egli ha i diritti derivanti dall’esistenza dello status di filiazione.

Quest’ultima si rivela dunque centrale nell’esistenza e nello sviluppo della personalità di ciascun individuo. Essa si realizza – in un sistema, qual è quello italiano, in cui non v’è mai attri-buzione automatica della genitorialità, ma è sempre necessaria

identitario in materia di trasmissione del cognome, qualificata non tanto quale segno di appartenenza ad una determinata comunità familiare, ma specialmente come diritto della personalità del nato, un segno distintivo che fa parte della sua identità e contribuisce pienamente allo sviluppo e alla completa realizzazione del soggetto: Corte cost., 21 dicembre 2016, n. 286, in Giur. it., 2017, 815, con nota di FaVale, Il cognome dei figli e il lungo sonno del legislatore; in Corr. giur., 2017, 165, con nota di CarBone, Per la Corte costituzionale i figli possono avere anche il cognome materno, se i genitori sono d’accordo; in Nuova giur. civ. comm., 2017, 818, con nota di FaVilli, Il cognome tra parità dei genitori ed identità dei figli; in Fam. dir., 2017, 213, con nota di Al MureDen, L’attribuzione del cognome tra parità dei genitori e identità personale del figlio; in Foro it., 2017, I, 1, con osservazioni di CasaBuri; in Dir. fam. pers., 2017, 13.

5 Come abbiamo avuto modo di rilevare in Sassi, Tutele crescenti della persona e status familiari in Italia e nell’Unione Europea, in Urbe et ius, 14, 2015, spec. 62 s. (consultabile anche in urbeetius.org); Sassi, Scaglione, SteFanelli, La filiazione e i minori, cit., 7 s.

6 V. almeno FerraJoli, Diritti fondamentali, Roma-Bari, 2001, 5-175; Azzariti, Studi sui diritti in Europa, Roma, 2006, spec. 19 ss. e 177 ss.; RiDola, Diritti fonda-mentali. Un’introduzione, Torino, 2006, 93 ss., spec. 134 ss.; con uno sguardo an-che ad altre realtà, FaunDes peñaFiel, Derechos fundamentales y derechos humanos, in ÁlVarez leDesMa, cippitani (coords.), Diccionario analítico de derechos humanos e integración jurídica, Roma-Perugia-México, 2013, 181 ss.; ÁlVarez leDesMa, Dere-chos humanos (teoria general), ivi, 198 ss.; ID., Teoría general y protección suprana-cional de los Derechos Humanos, in Urbe et ius, 14, 2015, spec. 37 ss. (consultabile anche in urbeetius.org); e con riferimento all’attività del Consiglio d’Europa e alla protezione della persona umana nella CEDU e nei relativi Protocolli addizionali, Sanz caBallero, El sitema del Convenio de Derechos Humanos como factor di inte-gración en Europa, ivi, 20 ss.

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LA GIURISPRUDENZA ANNOTATA

un’attività giuridica in tal senso7 – attraverso il riferimento, da un lato, all’assunzione di responsabilità da parte dell’autore della procreazione, ma anche di chi è già legato al minore o vuole instaurare con esso rapporti parentali basati sull’affettivi-tà, e, dall’altro, alla ricerca della discendenza ingenita, che co-munque costituisce criterio fondamentale del sorgere della re-sponsabilità da procreazione di cui all’art. 30, 1° comma, Cost.

Consegue che la sua rimozione, perché non rispondente alla discendenza ingenita, comporta una seria valutazione di tutti gli interessi del figlio, che viene privato dell’identità acquisita e, verso il genitore e i parenti che discendono dallo stesso stipite, dei diritti (anche patrimoniali) derivanti dal predetto rapporto.

3. Il riconoscimento dei diritti fondamentali del figlio si deve, nell’ordinamento italiano, in gran parte all’intensa attività delle Corti: la giurisprudenza sovente supplisce, a tutela dei diritti fondamentali, alla non attualità di una disciplina legale, che nel nostro Paese sconta la mancanza di un dibattito poli-tico sereno e tecnicamente corretto sui temi che compongono lo statuto filiale, quasi tutti eticamente sensibili, e come tale fatica a tenere il passo con i tempi8.

In particolare, la recente giurisprudenza del giudice di le-gittimità, che, soprattutto negli ultimi tempi, ha fornito con-tributi di grande spessore, tesi al superamento di concezioni inveterate, derivanti da lunghe consuetudini ormai avulse dall’odierna realtà sociale, culturale e giuridica, in cui il feno-meno procreativo non è più soltanto affidato a regole naturali, sulla base delle quali la partoriente necessariamente trasmette

7 Sono i risultati cui è pervenuta la dottrina più autorevole che da decenni si occupa di questi problemi: v., in particolare, palazzo, La filiazione fuori del matrimonio, Milano, 1965, spec. 171 ss.; sino ai recenti ID., Atto di nascita e riconoscimento nel sistema di accertamento della filiazione, in Riv. dir. civ., 2006, I, 145 ss.; iD., La filiazione, cit., spec. 251 ss.; iD., La riforma dello status di filiazione, in Riv. dir. civ., 2013, 245 ss.; iD., I vuoti normativi tra codice, leggi speciali e legge 219/2012, in cippitani, steFanelli (a cura di), La parificazione degli status di filia-zione, cit., spec. 12 ss.; russo, Il problema della filiazione, in Dir. fam. pers., 2001, 3 ss., ora in iD., Studi sul diritto di famiglia, Roma, 2009, 513 ss., spec. 517 ss.; ma v. già cicu, La filiazione, in Tratt. dir. civ. Vassalli, 2a ed., Torino, rist. 1954, 2 ss., che parla di “Titolo dello stato di filiazione”, affermando in particolare: “I diritti e doveri connessi con lo stato di filiazione non possono essere fatti valere se non in quanto lo stato consti legalmente cioè sia documentato”; e Michele gior-gianni, Madre, in Enc. dir., XXV, Milano, 1975, 135, secondo cui “l’accertamento della generazione fisiologica […] avviene nel nostro ordinamento attraverso le indicazioni contenute nell’atto di nascita, redatto in base alla ‘dichiarazione di nascita’”; v. anche Bonilini, Lo status o gli status di filiazione?, in Donati, garilli, Mazzarese, sassi (a cura di), Diritto privato, cit., 2, 100 ss., spec. 101 e 107, ove correttamente si sottolinea che il rapporto filiale presuppone l’esistenza dello status, che, a sua volta, presuppone l’avvenuto accertamento della filiazione; e sesta, Stato unico di filiazione e diritto ereditario, in Riv. dir. civ., 2014, 18 s.; ID., L’accertamento dello stato di figlio dopo il decreto legislativo n. 154/2013, in Fam. dir., 2014, 455. La costruzione giuridica prospettata dalla migliore civilistica trova autorevole conferma in campo sociologico: Saraceno, Coppie e famiglie. Non è questione di natura, Milano, ed. agg. 2016, 70 ss., secondo la quale anche sul piano sociale nascere non significa divenire figlio, escludendosi l’automatismo tra nascere ed entrare nello stato di figlio.

8 Sulla funzione anche “creativa” del giudice, a tutela di interessi fondamentali, v. recentemente le importanti analisi di Lipari, Il diritto civile tra legge e giudizio, Mi-lano, 2017, spec. 15 ss.; di Luciani, Interpretazione conforme a costituzione, in Enc. dir. Ann., IX, Milano, 2016, 410 ss.; e, prima, di Alpa, L’arte di giudicare, Roma-Bari, 1996, 9 ss., spec. 12-16; ID., Trattato di diritto civile, I, Storia, fonti, interpretazio-ne, Milano, 2000, 813 ss.; e di Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italo-comunitario delle fonti, 3a ed., Napoli, 2006, spec. 22 ss. e 546 ss.; più in generale, v. Berruti, Il ruolo del giudice nella formazione del diritto. La “dottrina delle Corti”, in Diritto e processo. Annuario giuridico dell’Università degli Studi di Perugia, 2014, 33 ss. (consultabile anche in rivistadirittoeprocesso.eu); Alpini, La funzione “nomofilaetica” della Corte di cassazione, in Giusto proc. civ., 2016, 219 ss.; e, con riferimento anche ai sistemi che realizzano l’integrazione regionale in ambito europeo, Azzariti, Alla ricerca della legalità, in Pol. del dir., 1994, 435 ss.

gameti al nato, ma si assiste vieppiù al ricorso a tecniche di procreazione eterologa o alla gestazione per altri, con conse-guenti problemi di attribuzione non solo della paternità, ma anche e soprattutto della maternità, come nel caso che ha ori-ginato la pronuncia in commento.

In questo senso, la S.C. ha enucleato un minimo comune denominatore rappresentato dall’interesse primario del nato, che viene concretamente soddisfatto, con un procedimento sostanzialmente equitativo9, mediante l’applicazione o il bi-lanciamento di vari criteri fondamentali, quali la ricerca della verità biologica, la tutela dell’affettività adeguatamente conso-lidata, il diritto ad avere uno stato ovvero a mantenere quello acquisito anche se non corrispondente alla discendenza effet-tiva. In sostanza, il richiamato interesse può qualificarsi nel sistema attuale come il principio adeguatore dell’attribuzione della genitorialità, che, pertanto, avviene con i caratteri dell’a-dattabilità alla singola fattispecie, senza che vi sia un criterio necessariamente prevalente, sebbene l’ordinamento accordi preminenza a quello della trasmissione dei geni10. Deriva che anche il concetto di responsabilità genitoriale, alla base dell’art. 30 Cost. e del reg. CE 27 novembre 2003, n. 2201, necessariamente conseguente alla costituzione dello stato di filiazione, va sempre visto, in funzione dell’interesse del figlio e, quindi, del suo esercizio effettivo basato sull’affettività, cioè a dire, in definitiva, sull’assunzione consapevole della genitu-ra e della predetta responsabilità11.

Così, nel caso di richiesta di rimozione dello stato inveridi-co, è sempre l’accertamento del concreto interesse del minore (che va sempre e comunque valutato nelle azioni di stato) a dover condurre l’interprete verso una decisione che tenga conto di tutti gli interessi in giuoco, rigettando la domanda ablativa quando dal suo accoglimento possa derivarne un pregiudizio12. I concetti enunciati dalla S.C., che hanno ora trovato autorevole conferma nella giurisprudenza della Corte costituzionale, rappresentano la sintesi della nostra concezio-ne dell’accertamento dello stato di filiazione13.

9 Si rinvia sul punto a sassi, Equità e interessi fondamentali nel diritto privato, Roma-Perugia, rist. 2011, spec. 339 ss.; il procedimento, del resto, fonda le sue radici nella storia del diritto e nell’incontro, avvenuto con la rinascita degli studi giuridici nel medioevo, tra diritto giustinianeo e diritto canonico: cfr. l’importan-te indagine di grossi, L’ordine giuridico medievale, 7a ed., Roma-Bari, 2014, spec. 175 ss. e 203 ss.; e, con uno sguardo sistematico alla cultura giuridica europea, ID., L’Europa del diritto, 2a ed., Roma-Bari, 2017, 48 ss.

10 Cfr., più ampiamente, Sassi, Scaglione, SteFanelli, La filiazione e i minori, cit., 17 ss.

11 In proposito vengono alla mente i migliori studi sociologici sui rapporti familiari, secondo cui: “La trasformazione di un bambino in figlio non è solo un atto sociale fortemente regolato. Implica sempre anche un atto di ricono-scimento e accettazione. Da questo punto di vista, i figli (non automaticamente i bambini e tantomeno i nascituri o gli embrioni) sono sempre ‘voluti’, ovvero accolti (persino appropriati, fatti propri, in alcuni casi) in un sistema di relazioni codificate”: Saraceno, Coppie e famiglie, cit., spec. 73 s.

12 Cass., 22 dicembre 2016, n. 26767, in Giur. it., 2017, 5; in Foro it., 2017, I, 119; su cui Scia, Disconoscimento della paternità tra favor veritatis e interesse del minore, in Nuova giur. civ. comm., 2017, 851 ss.; questa la massima: la tutela dell’interesse concreto del minore è centrale anche nell’azione di disconoscimen-to della paternità ed in generale in quelle di stato, atteso che la ricerca della verità biologica (c.d. favor veritatis) non ha preminenza assoluta, in quanto, in un’ot-tica di bilanciamento, debbono garantirsi anche la certezza e la stabilità degli status, nonché i rapporti affettivi sviluppatesi all’interno della famiglia e l’identità così acquisita dal figlio, non necessariamente correlata al dato genetico, anche allorché l’azione sia stata proposta da un curatore speciale nominato dal p.m. Conf. Cass., 3 aprile 2017, n. 8617, in Foro it., 2017, I, 1532; contra, isolata-mente, Cass., 15 febbraio 2017, n. 4020, ivi, 1237, con osservazioni di CasaBuri.

13 Seguendo Palazzo, La filiazione, cit., spec. 251 ss.

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LA GIURISPRUDENZA ANNOTATA

Questi principi, esplicitamente riferiti a tutte le azioni di stato, comportano sul piano sostanziale e processuale almeno due ordini di conseguenze.

Anzitutto, essi consentono di soverchiare l’orientamento ormai risalente della S.C., fondato sulla rilevanza esclusiva del favor veritatis, che propugnava l’applicazione delle re-gole in tema di rettificazione, previste dall’art. 95, d.P.R. n. 396/2000, alle ipotesi di condanna penale per delitti sullo sta-to civile – con particolare riferimento a quello p. e p. dall’art. 567 c.p. (Alterazione di stato)14 – e conseguente cancellazione dello stato inveridico, omettendo l’applicazione delle tute-le approntate a favore del figlio15. Infatti, si sosteneva che, all’esito della dichiarazione di falsità contenuta nella sentenza penale, conseguiva necessariamente la cancellazione dagli atti di stato civile della registrazione dell’atto di nascita compiuto in violazione di legge e di ogni altro conseguente, rientran-do la fattispecie tra quelle di rettificazione (art. 95, d.P.R. n. 396/2000), il cui procedimento è volto ad eliminare una dif-formità tra la situazione di fatto, qual è o dovrebbe essere nella realtà secondo legge, e quale invece risulta dagli atti di stato civile per un vizio comunque e da chiunque originato nel procedimento di formazione dell’atto stesso16.

Ma è evidente l’equivoco in cui sono caduti i giudici, poi-ché l’atto in questione non è affatto indebitamente registrato, esistendo all’epoca un atto di autoresponsabilità compiuto nelle forme previste e, quindi, produttivo di effetti, né è falsa la conseguente registrazione negli atti di stato civile. Il vizio, se di vizio si può tecnicamente parlare, non attiene agli atti del procedimento di registrazione in loro considerati, ma alla veridicità della dichiarazione effettuata dal genitore, con la conseguenza che per la rimozione dei predetti atti è sempre necessaria un’azione di stato, tanto più che nella filiazione matrimoniale la rimozione dell’accertamento contestuale alla nascita può avvenire soltanto nei casi tassativamente indicati dall’art. 238 c.c.

Detta azione è soggetta a proprie peculiari regole, concer-nenti soprattutto la legittimazione e i termini per l’esperimen-to, regole poste a tutela degli interessi fondamentali del figlio alla certezza e alla conservazione dello status, anche se non veridico, e all’affettività; ed è proprio questa funzione di bi-lanciamento tra diritti fondamentali del figlio, in una visione costituzionalmente orientata, quella propria delle azioni di

14 Secondo la giurisprudenza, la norma è posta a garanzia dell’identità del neonato, del rapporto effettivo di procreazione per come naturalmente si de-termina e, quindi, dell’integrità dello stato di filiazione, quale attributo della personalità. Essa prevede due distinte ipotesi di delitto di alterazione di stato, diverse nella nozione e nella pena: la prima si consuma quando nei registri di stato civile si fa figurare uno stato di filiazione diverso da quello reale mediante sostituzione di neonato, mentre la seconda si compie a seguito di false certifi-cazioni, false attestazioni o altre falsità, avvenendo l’alterazione quando, nella formazione dell’atto di nascita, si inserisce un dato non veritiero sull’identità, sulla discendenza, sulla qualità di figlio matrimoniale o meno, sul sesso, ecc.: cfr. Cass., 18 marzo 1975, A., in Riv. pen., 1976, 69; Cass., 9 giugno 1981, V., ivi, 1982, 177; Cass., 27 aprile 1983, M., ivi, 1984, 241; e, sui caratteri della condotta, Cass., 21 ottobre 1980, D.U., ivi, 1981, 179; Cass., 12 febbraio 2003, R. e V., in Giur. it., 2004, 1712, con nota di Sim. Ferrari, Considerazioni sul delitto di alterazione dello status filiationis; G.i.p. Trib. Torino, 6 febbraio 2013, C. e S., in leggiditalia.it.

15 Cfr., più ampiamente, Sassi, Scaglione, SteFanelli, La filiazione e i minori, cit., 17 ss.

16 Cass., 2 ottobre 2009, n. 21094, in leggiditalia.it, tra l’altro in un caso di opposizione esplicita del figlio alla rimozione dello stato inveridico, che, nelle fasi di gravame, ha proposto reclamo avverso i provvedimenti prima del Tribu-nale e poi della Corte d’Appello.

stato. Il relativo provvedimento del giudice non può quindi dar luogo a cancellazione ex art. 95, d.P.R. ordinamento di stato civile, ma costituisce autonomo titolo per l’annotazione prevista nel precedente art. 49 [v., in particolare, 1° comma, lett. l), m) e o)].

In secondo luogo, l’affermata rilevanza dell’interesse del minore nelle azioni di stato di figlio, consente, in linea con quanto enunciato dal giudice delle leggi nella parte motiva del provvedimento in commento, di superare le obiezioni sollevate nell’ordinanza di rimessione dai giudici milanesi17, essendo la valutazione da parte del giudice del suo effettivo interesse non solo possibile, ma addirittura sempre necessa-ria; ciò, del resto, in linea con quanto ritenuto, nel dichiarare inammissibile la questione di legittimità degli artt. 35 e 36, l. adozione, in merito all’interesse del minore da valutarsi ob-bligatoriamente da parte del giudice del singolo procedimen-to, escludendo qualsiasi automatismo nel riconoscimento dei provvedimenti stranieri in tema di adozione18.

Detta valutazione bilanciata degli interessi fondamentali del figlio (accertamento della verità biologica, tutela dell’af-fettività e dello stato acquisito, partecipazione del figlio alle scelte che lo riguardano, ecc.), attribuita dal sistema nel suo interesse, impone, a nostro avviso, una ponderazione massi-ma delle situazioni giuridiche soggettive in giuoco da parte di tutti gli attori della vicenda giudiziaria, specie laddove il figlio sia minore di età. In particolare, in questo caso, il curatore speciale deve sempre valutare la sua posizione prima di pro-porre o proseguire l’azione, poiché la pronuncia del giudice, sia essa di accoglimento o di rigetto, è idonea a passare in cosa giudicata, con la conseguenza che lo stato così determinatosi non può più essere modificato successivamente, nemmeno dal figlio stesso. Quindi, il curatore che agisce, e il giudice che lo autorizza, si assumono la responsabilità dinanzi al minore rappresentato di cristallizzare in via definitiva una situazio-ne secondo le statuizioni del giudice adito, il quale ne valuta l’interesse al momento della domanda, o comunque in corso di causa. E non è detto che esso sia coincidente con quello futuro, o con quello ritenuto preminente dal figlio una volta compiuta la maggiore età.

4. Il quadro tracciato, che pone al centro delle azioni di stato l’interesse del figlio, specie se minore di età, trova ulteriore conferma nelle novità introdotte dalla riforma recentemente varata dal legislatore.

Il figlio, infatti, sia esso matrimoniale o meno, è divenuto l’interprete privilegiato del suo interesse allo stato, che è prin-cipio cardine della rilevanza giuridica della filiazione, sotto il profilo della sua identità personale. È lui che potrà, in qualsi-asi tempo, considerare più favorevole la rimozione dello stato esistente (ovviamente se non corrisponde alla verità biologi-ca), ad esempio per ottenerne la costituzione di uno diverso nei confronti del vero genitore eventualmente più abbiente o con cui abbia intessuto rapporti affettivi, oppure potrà de-cidere di mantenerne sine die l’efficacia, sebbene non corri-

17 App. Milano, 25 luglio 2016, cit.18 Corte cost., 7 aprile 2016, n. 76, in Giur. cost., 2016, 691, con nota di

Schillaci, Una inammissibilità che “dice” molto: la Corte costituzionale e la trascri-zione dei provvedimenti stranieri di adozione coparentale in coppia omosessuale; in Nuova giur. civ. comm., 2016, 1172, con nota di Marzialetti, Le sentenze straniere di stepchild adoption omogenitoriale. Il discrimine tra automaticità del riconosci-mento e giudizio di delibazione.

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167L’Osservatorio sul diritto di famiglia | gennaio-agosto 2018

LA GIURISPRUDENZA ANNOTATA

sponda alla propria discendenza genetica, ma piuttosto all’af-fettività e all’esperienza della vita familiare. In questo caso, egli potrà sempre esperire verso il genitore biologico l’azione diretta ad ottenere il mantenimento, l’istruzione e l’educazio-ne, o la domanda degli alimenti in caso di bisogno ex art. 279 c.c.; vanterà, infine, nei confronti dell’eredità di costui i diritti di cui agli artt. 580 e 594 c.c.19.

La previsione di termini per i legittimati diversi dal figlio (semestrale, annuale o, al massimo, quinquennale), corretta-mente qualificati di decadenza dal giudice delle leggi nella parte motiva della decisione in esame20, che pregiudicano, in tal modo, l’azionabilità del diritto del genitore a rimuovere lo status inveridico, supera le tesi che vedevano nella veridicità dello status l’espressione di un interesse pubblico assoluto, alla pari di quanto ha insegnato, anche nell’applicazione pra-tica, la disciplina degli artt. 122, 4° comma, e 119, 2° comma, c.c., che dettavano il brevissimo termine mensile per l’annul-lamento del matrimonio per errore, violenza o interdizione, a tutela della famiglia come istituzione portatrice di interessi superiori a quelli dei suoi componenti21.

19 Cfr., sui diritti di cui all’art. 279 c.c. e su quelli successori di cui ai succes-sivi artt. 580 e 594, paraDiso, Status di filiazione e diritti successori nella riforma, in cippitani, steFanelli (a cura di), La parificazione degli status di filiazione, cit., 242; troiano, Diritto allo stato e figli “senza stato”, ovvero i figli non riconoscibili dopo la riforma della filiazione, in Jus civile, 2015, spec. 243; sassi, Accertamento indiretto di stato e diritti successori nella riforma della filiazione, in Riv. dir. civ., 2015, 611 ss., spec. 620 ss.; per un inquadramento sistematico, Sassi, Scaglione, SteFanelli, La filiazione e i minori, cit., 397 ss. e 716 ss. In giurisprudenza, esplicitamente, Cass., 1° aprile 2004, n. 6365, in Arch. civ., 2004, 1408; in Gius, 2004, 3267; in Corr. giur., 2004, 718, con nota di carBone, La responsabilità del padre naturale sussiste anche se non è stato chiesto il disconoscimento di paternità; in Giur. it., 2005, 484 e ivi, 1830, con nota di prosperi, Paternità naturale, stato di figlio legittimo altrui, efficacia preclusiva degli atti di stato civile e dubbi sulla perdurante operatività dell’art. 279 c.c.; in Fam. dir., 2005, 27, con nota di sesta, Un ulteriore passo avanti della S.C. nel consentire la richiesta di alimenti al preteso padre naturale da colui che ha lo stato di figlio legittimo altrui.

20 La natura decadenziale dei termini deriva dall’indisponibilità dei diritti ad essi sottesi, verso i quali la preclusione può essere legata esclusivamente al loro esercizio (artt. 2934, 2° comma, e 2964 c.c.), e dalla funzione da loro svolta di cristallizzare e tutelare la situazione di affettività venutasi a creare a seguito dell’accertamento inveridico, demandando soltanto al figlio il compito di opera-re un proprio personale bilanciamento tra i diritti ad acquisire lo stato biologico o a mantenere quello affettivo: Sassi, Scaglione, SteFanelli, La filiazione e i minori, cit., 430 s. Sulla predetta natura secondo l’art. 244 c.c., precedente formulazio-ne, palazzo, La filiazione, cit., 343 ss.; e ora, riguardo al testo novellato, rosetti, Modifica della disciplina del disconoscimento e limiti all’imprescrittibilità dell’azione di disconoscimento della paternità, in Bianca (a cura di), Filiazione, cit., 52; garlatti, La prescrizione nelle azioni di stato, in Bianca (a cura di), La riforma della filiazione, cit., spec. 422 ss., la quale, in aggiunta a condivisibili considerazioni di ordine sistematico, sottolinea che l’art. 2, lett. g), l. n. 219/2012 ha attribuito il potere di delega (sebbene esplicitamente soltanto per l’impugnazione del riconoscimen-to) per prevedere una “limitazione della imprescrittibilità dell’azione solo per il figlio e con l’introduzione di un termine di decadenza per l’esercizio dell’azione da parte degli altri legittimati”. In giurisprudenza l’assunto è pacifico: di recen-te, oltre a Corte cost., 12 gennaio 2012, n. 7, cit., v. almeno Cass., 26 giugno 2014, n. 14556, in leggiditalia.it; Cass., 30 maggio 2013, n. 13638, ivi; Cass., 11 luglio 2012, n. 11644, in Foro it., 2012, I, 3348; in Fam. dir., 2012, 1150; in Nuova giur. civ. comm., 2013, I, 51, con nota di cossu, Inseminazione eterologa, non scienza del marito, “diritto vivente” e disconoscimento di paternità; Cass., 2 febbraio 2010, n. 15777, in Fam. dir., 2011, 329, con nota di ricci, Disconoscimento della paternità e prova dell’adulterio; Cass., 23 ottobre 2008, n. 25623, in Nuova giur. civ. comm., 2009, I, 478, con nota di checchini, Decorrenza del termine di deca-denza nell’azione di disconoscimento della paternità dopo Corte cost. n. 266/2006: una frenata della Cassazione; trattandosi di termine processuale, esso è comunque soggetto alla sospensione feriale: Cass., 3 luglio 1999, n. 6874, in Giur. it., 2000, 1393; in Fam. dir., 2000, 141, con nota di Vullo, Sospensione feriale dei termini per la proposizione dell’azione di disconoscimento di paternità.

21 Cfr. FerranDo, querici, L’invalidità del matrimonio e il problema dei suoi effet-ti, Milano, 2007, 67; GiacoBBe, Il matrimonio, I, L’atto e il rapporto, in Tratt. dir. civ. Sacco, Torino, 2011, spec. 319 ss. e 335 ss.; in giurisprudenza, Cass., 7 febbraio

Inoltre, attribuendosi rilevanza all’intersoggettività, con la nuova concezione viene meno la centralità del favor veritatis come insuperabile criterio di attribuzione della discendenza familiare, in modo da soddisfare in maniera il più possibile compiuta i bisogni primari del figlio, che non è detto si re-alizzino sempre attraverso l’accertamento della discendenza biologica. In sostanza, la riforma ha aperto la strada all’ap-plicazione da parte del giudice di più criteri di individuazio-ne della genitorialità, che, come detto, sono applicati dalla giurisprudenza secondo un minimo comune denominato-re, rappresentato dall’interesse primario del nato. Quindi, e in ultima istanza, è proprio questo l’interesse avuto di mira dall’ordinamento, interesse che di volta in volta può essere attuato attraverso l’accertamento della verità biologica con ef-fetti acquisitivi o privativi dello stato, o, di contro, mediante la tutela dell’affettività consolidata e/o dello stato esistente.

Consegue che la stabilità affettiva del figlio giustifica il man-tenimento di uno status inveridico ogni volta che lui stesso o il giudice lo ritenga coincidere con i bisogni esistenziali prima che patrimoniali del primo, fermo restando la possibilità di realizzare verso l’autore della procreazione le proprie aspetta-tive di natura economica attraverso la responsabilità per man-tenimento di cui all’art. 279 c.c., che traduce in atto l’obbligo di cui all’art. 30, 1° comma, Cost., pur senza costituire quello status che è anche il presupposto della responsabilità genito-riale e della cura del minore, che non a caso sono escluse dal dettato della disposizione citata.

5. Ciò posto, occorre evidenziare quali siano le conseguen-ze della pronuncia della Corte costituzionale nella fattispecie concreta che l’ha originata e, più in generale, nelle azioni di stato esclusivamente ablative (disconoscimento e impugna-zione del riconoscimento).

La predetta fattispecie risulta caratterizzata dal ricorso alla gestazione per altri e, soprattutto, all’ovodonazione. Infatti, qualora vi fosse stata corrispondenza genetica tra il nato e la madre giuridica, l’impugnazione non avrebbe sicuramente avuto esito, essendo provata la discendenza a prescindere dal-le circostanze della nascita: il più recente orientamento della S.C. correttamente ritiene che la riferibilità del parto costi-tuisce, non già il criterio di attribuzione della maternità, ma soltanto un mezzo di prova della discendenza, sempre su-perabile attraverso la prova ematogenetica, unica idonea ad accertare inequivocabilmente la verità biologica (artt. 269, 2° e 3° comma, c.c.)22.

In proposito, meritano particolare attenzione le afferma-zioni del giudice delle leggi, riportate in chiusura della parte motiva, che qualificano il bilanciamento tra interesse del mi-nore e giudizio di riprovevolezza, riservato dal sistema alla gestazione per altri, come corretto approccio ermeneutico

1972, n. 2633, in Giust. civ., 1972, I, 1698. Il medesimo interesse alla stabilità dello status giuridico e sociale fonda l’apprezzamento, riservato alla pubblica amministrazione, delle ragioni che possono ostare al mutamento del cognome, secondo TAR Lombardia, Milano, Sez. I, 13 marzo 2013, n. 676, in leggiditalia.it.

22 Sul punto, Sassi, Scaglione, SteFanelli, La filiazione e i minori, cit., 391 ss., spec. 392 s.; Cass., 30 settembre 2016, n. 19599, in Nuova giur. civ. comm., 2016, 362, con nota di PalMeri, Le ragioni della trascrivibilità del certificato di nascita redatto all’estero a favore di una coppia same sex; in Foro it., 2016, I, 3329; in Corr. giur., 2017, 181, con nota di FerranDo, Ordine pubblico e interesse del minore nella circolazione degli status filiationis; in Vita not., 2017, 131, con nota di Di gesu, La tutela dei rapporti di filiazione sorti all’estero in coppia omogenitoriale; assunto ri-badito, più di recente, da Cass., 15 giugno 2017, n. 14878, in dirittoegiustizia.it.

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LA GIURISPRUDENZA ANNOTATA

nella soluzione del caso concreto, in particolare indirizzando l’attività dell’interprete sul diverso strumento dell’adozione in casi particolari (artt. 44 ss., l. n. 184/1983). È comunque significativo il fatto che nella parte motiva, correttamente, il giudice delle leggi dedichi ampio spazio al profilo generale della rilevanza dell’interesse del minore nelle azioni di stato, relegando la questione della gestazione per altri alle righe fi-nali: ciò evidenzia inequivocabilmente, in una interpretazione costituzionalmente orientata, la preminenza del richiamato interesse anche nella predetta modalità di gestazione, inte-resse che deve sempre guidare l’interprete nella soluzione del caso, pur in presenza dell’elevato grado di disvalore che l’or-dinamento italiano riconnette ad essa.

In sostanza, dunque, il giudice si trova di fronte a due prin-cipi fondamentali, attraverso i quali operare il bilanciamento nella singola situazione vagliata: quello poziore all’attuazione dell’interesse del minore alla genitorialità e, quindi, allo stato giuridico di figlio e la limitazione del ricorso alla gestazione per altri come strumento generativo, limitazione conseguente all’avversione dall’ordinamento interno, che la sanziona pe-nalmente (art. 12, 6° comma, l. n. 40/2004, e mancata esclu-sione della punibilità ex 8° comma della disposizione)23.

Per una corretta soluzione della complessa questione, ci sembra che dalle affermazioni del giudice delle leggi e dai principi regolatori della materia, orientati quanto più possibi-le alla tutela del nato e all’attuazione del suo diritto a divenire “figlio”, si possano ricavare alcune regole di applicazione pra-tica, distinguendo due ipotesi di gestazione per altri: a) una, effettuata in un Paese estero, nel rispetto delle norme poste dal sistema ivi presente; b) altra, compiuta in Italia o in altro Stato, al di fuori delle regole giuridiche.

Sub a), in una interpretazione costituzionalmente orienta-ta, non vi può essere dubbio sulla reiezione della domanda ablativa, sulla base del preminente interesse del minore al mantenimento dello stato giuridico esistente verso il genitore intenzionale. Dall’adozione in casi particolari, infatti, deriva la costituzione di un legame giuridico tra il nato e il genitore intenzionale dai contenuti meno pregnanti e più limitati: si tratta, infatti, di un’ipotesi che è stata definita di adozione “ge-nitoriale”, in cui – al contrario dell’adozione c.d. legittiman-te, piena o “parentale”, ove il contenuto del rapporto filiale è speculare a quello del figlio biologico – l’adottato instaura rapporti giuridici soltanto con l’adottante e non riguardo ai parenti di questo, mantenendo, tuttavia, i rapporti con la fa-miglia di origine (o la possibilità di costituirli). E, nella fat-tispecie vagliata, il ricorso a detto strumento imporrebbe al figlio la costituzione di uno stato giuridico deteriore, in cui vengono meno i rapporti parentali con gli altri appartenenti al nucleo familiare (ascendenti o collaterali), senza alcuna pos-sibilità (nemmeno teorica) di poter instaurare relazioni con l’autore o gli autori della procreazione, essendo precluso, nel-le varie legislazioni, il riconoscimento di un legame giuridico sia verso i fornitori di gameti che verso la partoriente24: di conseguenza, il suo diritto alla genitorialità può essere attuato soltanto verso il genitore intenzionale e la rimozione dello

23 Sull’orientamento recente della giurisprudenza, che esclude l’esistenza di condotte di rilevanza penale in capo ai genitori che hanno fatto ricorso alla ge-stazione per altri nei Paesi esteri ove è ammessa, Sassi, Scaglione, SteFanelli, La filiazione e i minori, cit., spec. 180 ss.

24 Cfr. ancora Sassi, Scaglione, SteFanelli, La filiazione e i minori, cit., 146 ss.

stato verso questi può avvenire soltanto quando dalla sua esi-stenza possa derivare un pregiudizio al figlio.

Sub b), viceversa, l’interesse del minore alla genitorialità ben può essere efficacemente realizzato, almeno in via tendenzia-le, attraverso il ricorso all’adozione in casi particolari, che, non recidendo i rapporti ingeniti con la famiglia biologica, non preclude al nato un’eventuale ricerca della verità, consen-tendogli, allo stesso tempo, di soddisfare immediatamente il diritto alla genitorialità verso il genitore intenzionale.

La soluzione proposta appare coerente anche sul piano equitativo. È evidente che al ricorso alla gestazione per altri praticata legalmente, sebbene in uno Stato estero, deve con-seguire anche nel nostro sistema la tutela prevista per chi ha ivi acquisito lo stato di figlio, tutela che il ricorso a pratiche illecite non può e non deve, almeno di regola, garantire in pari grado, fermo restando, anche in questa ipotesi, l’attua-zione concreta dell’interesse del minore all’instaurazione di un rapporto giuridico di filiazione in grado di tutelarlo ade-guatamente, poiché, se si ritenesse diversamente, si darebbe ingresso ad un esito sanzionatorio ricadente essenzialmente su un soggetto debole, che in nessun modo ha concorso a de-terminare il sorgere della situazione vagliata, ricreando quel-la automaticità dell’effetto ablativo che anche la Consulta ha stigmatizzato con il provvedimento in esame.

Del resto, ciò che la dottrina più attenta (prima dell’emana-zione della l. n. 40/2004) ha definito “filiazione per scelta”25, cioè a dire fondata sull’intenzione e sulla volontà di divenire genitori, ha trovato ingresso legale nel nostro sistema – a tutela del figlio – nella procreazione eterologa (quasi sempre presente nella gestazione per altri, in cui la gestante ben difficilmente è madre biologica del nato). In sostanza, ora la responsabilità può fondarsi, oltre che sulla trasmissione genetica, anche su una scelta di affettività compiuta dal genitore, affettività rile-vante per il diritto e posta dal sistema a fondamento del divieto di accertamento negativo contenuto nell’art. 9, l. n. 40/2004 e, specularmente, del diritto del figlio ad acquisire lo stato su di essa fondato26. Ciò è ancora più vero nelle azioni di accer-tamento negativo, in cui la rimozione del titolo della filiazione incide su un rapporto già costituito, con la conseguenza che una diversità di trattamento tra figli trova ora ancor minore giu-stificazione, giusta il dettato dell’art. 315 c.c.

6. In conclusione, appare opportuno svolgere alcune consi-derazioni finali.

L’impostazione prospettata consente, a nostro avviso, di su-perare anche la questione dell’individuazione della nozione di ordine pubblico inderogabile, che da qualche tempo occupa la S.C.27, questione che i giudici milanesi, nell’ordinanza di

25 Del prato, La scelta come strumento giuridico di filiazione?, in Familia, 2001, 1035 ss., ora in ID., Lo spazio dei privati. Scritti, Bologna, 2016, 487 ss.

26 Si rinvia a Sassi, Scaglione, SteFanelli, La filiazione e i minori, cit., spec. 359 ss. e 408 ss.

27 Per l’orientamento che vede nell’ordine pubblico internazionale un limite costituito anche dai principi inderogabili del diritto interno (come il divieto di maternità surrogata), Cass., 11 novembre 2014, n. 24001, in Foro it., 2014, I, 3408, con nota di casaBuri, Sangue e suolo: la Cassazione e il divieto di maternità surrogata; su cui v. i fondamentali rilievi di Palazzo, Surrogazione materna e in-teresse del minore, in Libero osservatorio dir., 1/2015, 1 ss.; di Chiappetta, L’azione di reclamo dello stato di figlio, in Bianca (a cura di), La riforma della filiazione, cit., 481 ss.; e di Venuti, Coppie sterili o infertili e coppie “same-sex”. La genitorialità negata come problema giuridico, in Riv. crit. dir. priv., 2015, 276 s. La pronuncia ha costituito il punto di partenza dell’ampia indagine sulla maternità surrogata,

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LA GIURISPRUDENZA ANNOTATA

rimessione, hanno ritenuto non pertinente al caso vagliato, considerando che l’atto di nascita è stato legittimamente for-mato all’estero e già trascritto nei registri di stato civile italiani (come in effetti è), ma che potrebbe teoricamente porsi nel momento in cui a detto atto si attribuisce efficacia nell’ordina-mento interno. Infatti, l’attuazione dell’interesse del minore, considerato in via tendenziale necessariamente prevalente su qualsiasi altro principio, sposta il piano dell’indagine, attri-buendo valenza al rapporto genitore-figlio, a prescindere dal-la nozione di ordine pubblico accolta.

Il fatto che il sistema attuale, a tutela del richiamato inte-resse, secondo il richiamato art. 9, l. n. 40/2004, attribuisca valenza all’affettività e all’intenzionalità anche al di fuori della filiazione adottiva, legittima un tale approccio ermeneutico in tutti i casi in cui il riconoscimento o il mantenimento giu-ridico del rapporto corrisponde all’interesse preminente del minore, non essendo più soltanto la discendenza ingenita l’unico criterio per l’attribuzione diretta dello stato di figlio. La rigida distinzione tra filiazione fondata sulla generazione e filiazione adottiva basata sull’affettività è venuta meno con la possibilità di operare un accertamento diretto della filiazione verso il genitore intenzionale nella p.m.a., con la conseguenza che lo stato di figlio matrimoniale o non matrimoniale può oggi prescindere dalla trasmissione dei geni.

In definitiva, accertamento diretto della filiazione e adozio-ne sono oggi meri strumenti costitutivi dello stato di figlio, che vanno sempre visti nell’ottica della concreta realizzazione del suo preminente interesse.

sostanzialmente adesiva alle tesi della S.C., di RenDa, La surrogazione di maternità ed il diritto della famiglia al bivio, cit., 415 ss. Per la tesi più restrittiva che vede il limite esclusivamente nei diritti fondamentali dell’individuo e nei principi costi-tuzionali, cfr. Cass., 30 settembre 2016, n. 19599, cit.; sul punto, Sassi, Scaglio-ne, SteFanelli, La filiazione e i minori, cit., 159 ss. Il problema della individuazio-ne della nozione di ordine pubblico internazionale e del limite al recepimento di atti o provvedimenti formati all’estero è stato da ultimo rimesso dalla Sez. I al Primo Presidente della S.C., affinché valuti l’opportunità che la materia venga trattata dalle S.U.: Cass. (ord.), 22 febbraio 2018, n. 4382, in articolo29.it, nella controversia relativa alla trascrizione di un atto di nascita formato in Canada, recante l’indicazione di due padri.

Infine, sebbene non sia attinente all’ipotesi vagliata in cui l’azione è stata proposta nell’interesse del figlio, occorre ri-chiamare l’attenzione sugli eventuali effetti che possano deri-vare dalla circostanza che gli autori del riconoscimento con-traggano matrimonio prima della proposizione dell’impugna-zione per difetto di veridicità.

Nel vigore della precedente normativa, la legittimazione del figlio naturale, anche se avveniva per provvedimento del giu-dice, non modificava la fattispecie (art. 263, 2° comma, c.c., precedente formulazione, secondo cui l’impugnazione era ammessa anche dopo la legittimazione; norma richiamata dal 1° comma del successivo art. 289, ora abrogato). E ci sembra che il principio possa valere anche dopo la riforma, poiché l’atto che si impugna è sempre il riconoscimento del figlio nato fuori del matrimonio.

Tuttavia, va evidenziato il mancato coordinamento con il principio di parità dei figli, solennemente enunciato dal ci-tato art. 315 c.c. Infatti, come si è rilevato28, la diversità di presupposti e legittimazione, presente nel disconoscimento rispetto all’impugnazione del riconoscimento, si giustifica oggi soltanto con la tutela dell’interesse all’unità affettiva della famiglia legittima, unità che non consente a soggetti ad essa alieni di agire per la rimozione dello stato, anche se inveridico (art. 243-bis, 1° comma, c.c.). Ma se così è, è evidente che il predetto interesse sussiste anche nel caso in cui la rimozio-ne riguardi il figlio non matrimoniale di genitori coniugatisi successivamente alla sua nascita (e prima della proposizione dell’azione ablativa), che dovrebbe poter ricevere la medesi-ma tutela del figlio nato in matrimonio.

28 Palazzo, La filiazione, cit., 584; Sassi, Scaglione, SteFanelli, La filiazione e i minori, cit., spec. 7, 52 e 406. Sul tema v. inoltre perlingieri, Riflessioni sull’“unità della famiglia”, in iD. (a cura di), Rapporti personali nella famiglia, Napoli, 1982, 7 ss.; ID., Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italo-comunitario delle fonti, cit., 929 ss.; Del prato, Matrimonio, famiglia, parentela: prospettive di inizio secolo, in Donati, garilli, Mazzarese, sassi (a cura di), Diritto privato, cit., 2, 227 ss., ora in ID., Lo spazio dei privati, cit., 567 ss.

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170 L’Osservatorio sul diritto di famiglia | gennaio-agosto 2018

L’ELZEVIRO DELL’OSSERVATORIO

Legge 40: pubblicata la relazione annuale (luglio 2018)

Il Ministero della Salute con lettera 28 giugno 2018 ha tra-smesso al Parlamento la Relazione annuale sullo stato di at-tuazione della legge 40/2004 in materia di Procreazione me-dicalmente assistita (PMA), relativamente all’attività di centri PMA nell’anno 2016 e all’utilizzo dei finanziamenti (artt. 2 e 18) nell’anno 2017.

Sono i centri pubblici e privati convenzionati ad effettuare il maggior numero dei trattamenti di fecondazione assistita. Infatti, nonostante i centri PMA privati siano in numero su-periore a quelli pubblici (101 vs 64), nel privato si effettuano, tuttavia, meno cicli di trattamento:

– il 35,0% dei centri è pubblico ed effettua il 37,1% dei cicli– il 9,8% è privato convenzionato ed effettua il 28,8% dei cicli– il 55,2% è privato ed effettua il 34,1% dei cicli

Emilia Romagna. Apportate modifiche relative al regime di accesso alla PMA

La Giunta regionale dell’Emilia Romagna ha emanato un de-creto in data 18/06/2018 con il quale ha apportato alcune modifiche relative al regime di accesso alla procreazione me-dicalmente assistita e alla qualificazione delle stesse prestazio-ni sanitarie di pma.

Le modifiche più incisive che riguardano i potenziali richie-denti delle prestazioni di pma sono:

– l’innalzamento dell’età massima delle donne che possono accedervi, portata da 43 a 46 anni;

– il numero massimo di cicli di trattamento che possono essere effettuati, portati da 3 a 6.

Le raccomandazioni della SIAARTI (Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia In-tensiva) nell’approccio con la persona morente

Nel 2006 la SIAARTI, tramite il suo Gruppo di Studio per la Bioetica, pubblicò il documento “Le cure di fine vita e l’A-nestesista Rianimatore: Raccomandazioni SIAARTI per l’ap-proccio al paziente morente” che seguiva le “Linee guida per la ammissione e la dimissione dalla Terapia Intensiva (TI) e per la limitazione dei trattamenti in TI” pubblicato nel 2003.

Da allora la sensibilità e le riflessioni in Italia e all’estero rela-tive a questi temi sono fortemente cresciute, vi sono stati im-portanti pronunciamenti ufficiali e novità legislative. Alla luce di tutto questo, è stato necessario un update del documento del 2006, che, pur rimanendo valido nel suo impianto, deve essere adattato alla nuova realtà per guidare la costruzione di protocolli locali di gestione del fine-vita sia in TI che in Ospedale.

Il primo obiettivo del documento è quello di produrre rac-comandazioni per orientare i processi decisionali di fine vita,

tenendo conto dei vincoli e delle opportunità dei singoli con-testi professionali e organizzativi.

Il secondo obiettivo è fornire all’Anestesista Rianimatore (AR) suggerimenti operativi per la gestione della persona mo-rente, sia in TI, che in Pronto Soccorso (PS) e nei Reparti di Degenza Ordinaria (RDO). In questo modo, il documen-to può facilitare la pianificazione dell’approccio e del tipo di cura che l’equipe ritiene possa essere offerto a una persona al termine della vita e alla sua famiglia e può stimolare la rifles-sione interna a ciascun ospedale per realizzare un progetto condiviso di gestione interdisciplinare di questa fase partico-larmente complessa.

Francia. Presentato lo studio “Révision de la loi de bioéthique: quelles options pour demain?”

Lo studio, commissionato dal Primo Ministro francese a di-cembre 2017, è stato condotto da un gruppo di lavoro com-posto da membri del Consiglio di Stato, da membri esterni con competenze professionali specifiche come medici, giuri-sti, filosofi, come pure rappresentanti dei cittadini e da perso-nale dell’amministrazione.

Dopo la lettura delle peculiarità e degli sviluppi del modello francese di bioetica, fondato sui principi di dignità, libertà individuale e solidarietà, il Consiglio di Stato si sofferma su alcune tematiche bioetiche specifiche.

Con riferimento alla procreazione medicalmente assistita, ad esempio, il rapporto non ritiene sussistano principi giuridici che impongano di mantenere lo stato attuale della normativa né che impediscano di modificare le condizioni di accesso alla PMA. L’apertura a coppie di donne o a donne sole si ritiene es-sere una scelta politica, rispetto alla quale il Consiglio di Stato prospetta alcuni possibili scenari, evidenziando la necessità di creare un sistema specifico di determinazione della filiazione.

Nell’ambito del fine vita, lo studio prende in esame la nor-mativa in materia di cure palliative, interruzione dei tratta-menti, sedazione profonda e continua e interventi volti ad alleviare il dolore che possono avere come effetto quello di abbreviare la vita.

Sul punto, il Consiglio di Stato, pur non affermando di dare una risposta definitiva, ritiene non sia auspicabile una mo-difica dell’attuale legislazione che vieta il suicidio assistito e l’eutanasia.

Portogallo. Approvata legge per garantire transgen-der e intersex

Il 13 aprile 2018 il Parlamento portoghese ha approvato, con una maggioranza di 109 voti a favore, 106 contrari e 15 aste-nuti, una nuova legge al fine di semplificare le procedure di cambio anagrafico del genere e per tutelare le persone con caratteristiche intersex.

L’ELZEVIRO DELL’OSSERVATORIOVALERIA CIANCIOLOAvvocato in Bologna

Con questo numero si apre una rubrica dedicata a notizie di rilievo, anche di carattere internazionale, offerte sinteticamente ai lettori. I documenti a cui le notizie si riferiscono sono reperibili sul sito www.osservatoriofamiglia.it

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171L’Osservatorio sul diritto di famiglia | gennaio-agosto 2018

L’ELZEVIRO DELL’OSSERVATORIO

Si tratta di una legge che tutela le persone transgender e riconducibile ad un modello improntato alla piena autodeter-minazione nell’identità di genere. Inoltre, è particolarmente innovativa poiché è la seconda in Europa dopo Malta, a sta-bilire una protezione delle caratteristiche sessuali dei minori intersex.

Questi i principali contenuti della legge.All’art. 2 si trova una previsione di diritto antidiscriminato-

rio – e che vincola anche i privati – in cui si proibiscono di-scriminazioni sulla base dell’identità di genere, di espressione di genere e delle caratteristiche sessuali.

All’art. 5 si trova invece la previsione ad hoc per la prote-zione dei minori intersex. Si prevede che, salvo situazioni di comprovato rischio per la salute, i trattamenti e gli interventi chirurgici, farmacologici o di altro genere che vadano a modi-ficare le caratteristiche sessuali di un minore intersex non deb-bano essere realizzati fino al momento in cui questo esprima la propria identità di genere. La previsione tutela il minore da interventi prematuri, rimandando al momento della consape-volezza sulla propria identità e sulle proprie scelte qualsiasi intervento medico-chirurgico.

Il Capo II, dall’art. 6 all’art. 9, è interamente dedicato al pro-cedimento di modificazione del genere anagrafico ed è deno-minato “Riconoscimento giuridico dell’identità di genere”.

Il procedimento è meramente amministrativo e può esse-re avviato da persone di nazionalità portoghese maggiorenni la cui identità di genere non corrisponda al sesso attribuito alla nascita. È specificato che a tale procedimento possono accedere anche i minori portoghesi di età compresa fra i 16 ed i 18 tramite i propri rappresentati legali. Tuttavia questi soggetti dovranno essere ascoltati dall’autorità pubblica al fine di acquisire un consenso pieno e attuale, in conformità al principio del superiore interesse del minore derivato dal sistema CEDU. Anche le persone intersex possono attivare tale procedimento dal momento in cui la propria identità di genere è acclarata. La decisione dell’autorità deve pervenire entro otto giorni dalla richiesta e nessuna persona può essere obbligata a presentare documentazione in merito ad interven-ti chirurgici, trattamenti ormonali o trattamenti psicologici o psichiatrici subiti.

Il Capo III, intitolato “Mezzi di protezione”, concentra previ-sioni differenti. La prima è volta alla protezione della salute delle persone che desiderano accedere a trattamenti medici o interventi chirurgici al fine di raggiungere la propria au-todeterminazione del genere. L’art. 11 è invece una previsio-ne riguardante il sistema scolastico-educativo che vincola lo Stato all’adozione di vari provvedimenti, fra cui quelli per combattere le discriminazioni relative all’identità di genere e alle caratteristiche sessuali e quelli volti alla formazione di insegnanti sulle tematiche di genere. Inoltre, vincola tutti gli istituti scolastici, sia privati che pubblici, a porre le condizioni affinché i giovani possano esprimersi ed essere rispettati nella propria identità di genere, espressione di genere, o per le pro-prie caratteristiche sessuali.

Il Capo IV, denominato “Mezzi di difesa”, stabilisce delle re-gole per agire in giudizio a tutela del diritto all’autodetermi-nazione di genere e l’art. 15 riconosce anche ad associazioni e organizzazioni non governative la possibilità di agire per la difesa di tale diritto

Inghilterra. Le prime linee guida in tema di gestazione per altri

Il 28 febbraio 2018 il Department of Health and Social Care ha emanato le prime linee-guida sulla gestazione per altri, prati-ca resa legale nel Regno Unito con il Surrogacy Arrangements Act del 1985 (da ultimo modificato dallo Human Fertilisation and Embriology Act del 2008).

Nello specifico, sono stati pubblicati due diversi documenti contenenti direttive da seguire: uno destinato alle coppie che facciano richiesta della GPA e alla madre surrogata, e l’altro destinato ai medici e agli operatori sanitari che entrino in con-tatto con loro.

Per quanto riguarda il primo documento, esso anzitutto spiega cos’è la maternità surrogata e in che limiti è consentita dalla legge del Regno Unito. Poi, fornisce informazioni alle coppie su come trovare una clinica autorizzata che le aiuti intraprendere la GPA, evidenziando i rischi e tutte le implica-zioni, anche economiche (nel Regno Unito non è consentito pagare la madre surrogata, ma quest’ultima ha diritto a un rimborso spese che può ammontare al massimo a 15.000 ster-line) che questa pratica comporta.

Poiché in UK il procedimento si attua attraverso un vero e proprio contratto tra la coppia e la gestante (“surrogacy agree-ment”), nel documento vengono tracciate in modo accurato le caratteristiche che dovrebbe avere un tale accordo: dev’essere preferibilmente redatto per iscritto; deve contenere dettagli relativi ai genitori richiedenti e alla madre surrogata, e gli accordi presi dalle tre parti su come gestire tutte le fasi del processo, dal concepimento alla nascita del bambino, nonché sulle modalità con cui la coppia farà richiesta ai giudici per ottenere il parental order.

L’accordo deve anche prendere in considerazione potenziali situazioni problematiche che si potrebbero verificare durante la GPA (per esempio: un aborto spontaneo, la volontà di re-scindere il contratto da parte di uno dei contraenti, la fine della relazione tra i membri della coppia…) e come le parti inten-dono risolverle. Infine, occorre tener conto anche delle spese mediche o legali che saranno affrontate durante la gestazione dalla madre surrogata o da un suo eventuale partner, e stabilire dunque in che modo la coppia rimborserà la gestante.

Le linee-guida si occupano poi di fornire direttive alle coppie richiedenti su come richiedere il parental order e su come rela-zionarsi con il bambino una volta divenuti legalmente genitori.

Le linee-guida destinate a medici e operatori sanitari, in-vece, oltre a contenere anch’esse una spiegazione di cosa sia la maternità surrogata e in che termini sia consentita dalla legge, si concentrano prevalentemente sui doveri tecnici dei professionisti nelle tre fasi del concepimento, della gestazione e del parto.

Argentina. Il Senato boccia la legge sulla legalizza-zione dell’aborto

In Argentina il Senato ha bocciato la legge che avrebbe le-galizzato l’aborto: 38 senatori si sono espressi contro la pro-posta, 31 a favore e due si sono astenuti. Lo scorso giugno, il provvedimento era stato approvato dalla Camera, ma con la mancata ratifica dell’altro ramo del parlamento non potrà essere convertito in legge e con la bocciatura del Senato non potrà essere ridiscusso prima di un anno

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172 L’Osservatorio sul diritto di famiglia | gennaio-agosto 2018

L’ELZEVIRO DELL’OSSERVATORIO

Seppure la legge argentina garantisca in rari casi, tra cui la violenza sessuale, il diritto di abortire, un giudice di merito ha ordinato ai sanitari la sospensione dell’intervento che avreb-bero dovuto procedere all’interruzione di gravidanza su una donna rapita, violentata e costretta alla prostituzione.

È dovuta intervenire la Corte Suprema Argentina nel 2012 (Corte Suprema de Justicia de la Nacion, Pro Familia Asociación Civil el GBCA y otros, 11.10.12) per ribaltare il provvedimento e affermare che è diritto delle donne stuprate accedere all’a-borto in sicurezza e senza l’intervento della magistratura.

Irlanda. Il Referendum tenutosi in Irlanda il 25 maggio 2018 ha legalizzato l’interruzione volontaria di gravidanza

La decisione rappresenta anche una risposta alle osservazioni conclusive del Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, seguite alla visita di novembre 2016 in Irlanda. Queste chiedono il rispetto della salute e dei diritti sessuali e riproduttivi delle donne. La relazione raccomanda alle autorità irlandesi di riformare la disciplina sull’aborto in senso meno restrittivo.

Con il referendum è stato abrogato l’Ottavo emendamento della Costituzione. Infatti l’art 43.3.3 della Costituzione irlan-

dese, emendato con referendum nel 1983, riconosce il diritto alla vita del non nato con il (solo) dovuto riguardo per l’egua-le diritto alla vita della donna.

Un primo spiraglio in tal senso era già stato dato da una sentenza del marzo 2018 della Corte Suprema d’Irlanda che aveva stabilito che i nascituri non godono di tutele ulteriori rispetto alla sola copertura dell’articolo 40.3.3. (ottavo emen-damento) che equipara il diritto alla vita del nascituro a quel-lo della madre. La Corte Suprema ha dunque, ritenuto che non ci sia alcun legame tra l’ottavo emendamento e l’art. 42, il quale si riferisce esclusivamente ai bambini ormai nati.

La piena tutela prevista per i minori alla luce dell’articolo 42 Cost. non può quindi essere estesa fino a ricomprendere anche i feti, che non appartengono alla categoria dei neonati.

Successivamente a tale pronuncia, il Governo ha approvato un documento che illustra 21 principi dei quali tenere conto per la riforma normativa resasi ora necessaria, avendo il refe-rendum raggiunto esito positivo.

La nuova legge dovrebbe prevedere la possibilità di abor-tire senza particolari restrizioni entro la 12esima settimana, mentre limiti più ampi potrebbero essere concessi in casi di particolare pericolo per la salute e la vita della madre, sotto la consulenza di due medici.

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173L’Osservatorio sul diritto di famiglia | gennaio-agosto 2018

RECENSIONI

“Signore, il signor Moreau, vostro zio, essendo morto ab inte-stat… Ereditava!… Si passò la mano sulla faccia, non si fidava dei suoi occhi, credeva di sognare ancora e, per riattaccarsi alla realtà, spalancò la finestra”.

È questo l’epilogo della prima parte dell’Educazione senti-mentale di Flaubert.

Il protagonista, Federico Moreau, eredita un patrimonio co-spicuo e ingente. Eredità inattesa, improvvisa, imprevista ma che segna il romanzo, definendone così un cambio di tono e registro. Il passaggio all’età adulta è deciso da un evento chia-ro e definito: la destinazione di eredità.

Nell’economia ottocentesca, e così anche nel secolo successi-vo, il testamento era strumento centrale nella circolazione della ricchezza. L’aspettativa dell’eredità tracciava il sentiero di molti giovani, che trascorrevano l’adolescenza in auspice attesa. Il passaggio di generazione – per introdurre il nostro tema – si compiva, sotto il profilo giuridico, attraverso un atto singolo e individuo: l’accettazione di eredità, che decideva, in modo immediato e radicale, chi diventava proprietario dei beni.

È ancora così? Lo strumento testamentario è ancora uno strumento adatto al XXI secolo?

La materia delle successioni rappresenta un ambito dell’atti-vità negoziale irto di insidie in ragione dei molteplici limiti e divieti imposti all’autonomia privata del testatore, tra i quali, i patti successori.

Il libro in oggetto si presenta, quindi, non soltanto come un importante contributo alla ricerca, sul piano teorico, ma anche, sul piano pratico, come un prezioso strumento per gli operatori del diritto chiamati a dare voce all’agire dei pri-vati. L’indagine condotta dall’autore, che si snoda attraverso l’esame di una ricca casistica di negozi tratti dalla realtà so-cio-economica, filtrata dalla prassi giudiziaria, notarile e pro-fessionale, evita il rischio di apparire ispirata da un interesse meramente accademico.

L’autore analizza la corretta interpretazione della nozione di atto mortis causa, da non leggersi in contrapposizione a quella di atto inter vivos, come, invece, comunemente si fa, posto che l’e-spressione mortis causa vale a caratterizzare la struttura dell’atto.

Dopo l’entrata in vigore del Codice del ’42, l’elaborazione dottrinale si è soffermata su argomenti quali la capacità di te-stare, l’interpretazione della volontà del testatore, la patologia del testamento, non addentrandosi nel delicato tema dei pos-sibili contenuti della scheda testamentaria se non per aspetti isolati, quali quelli relativi agli elementi accidentali. Solo qual-che lustro fa, si rifletteva sul contenuto atipico del testamen-to che aprì allora uno squarcio sul quale si è molto lavorato negli anni successivi sulle ampie possibilità del testamento. Il torpore dottrinale è stato risvegliato da lavori monografici di estremo interesse. Il pensiero, per citare alcuni esempi, va alla pubblicazione di Bin in materia di diseredazione, di Criscuoli sulle obbligazioni testamentarie, di Giorgianni sul contenuto del testamento. Il merito di tali lavori è quello di aver posto il

problema dei margini da riconoscere all’autonomia testamen-taria nella predisposizione di programmi da far valere per il tempo successivo alla morte. In essi si concentra l’attenzione sul testamento quale fonte di rapporti obbligatori sulle dispo-sizioni negative di esclusione dalla successione, sulle dispo-sizioni non patrimoniali, elementi questi che in precedenza non erano stati approfonditi dagli studiosi della materia.

Vigendo il vecchio codice e per l’impostazione culturale del diritto di cui quello era espressione, la nostra dottrina si sfor-zava maggiormente nel tentativo di spiegare il fondamento tecnico della successione testamentaria, che non a occupar-si del suo contenuto non patrimoniale. D’altra parte, in quel quadro culturale, la regolamentazione di situazioni giuridiche esistenziali era una manifestazione, obbiettivamente, limitata e, soprattutto, era spesso elusa da ragionamenti vòlti a ridur-re disposizioni a contenuto, palesemente, non patrimoniale entro i confini di quelle patrimoniali. Ad esempio, la disposi-zione testamentaria sui funerali o sulla sepoltura la si conside-rava, comunque, una disposizione a contenuto patrimoniale, perché finiva con l’imporre all’erede o al legatario l’obbligo di pagare le spese del funerale o della sepoltura. Come pure la disposizione testamentaria di revocazione del testamento era da considerare patrimoniale, dal momento che il suo ef-fetto consisteva nell’attribuire i beni agli eredi nominati con l’eventuale testamento anteriore ovvero agli eredi individuati dalla legge. Attraverso questo escamotage, ferma l’idea che il testamento era un atto a contenuto esclusivamente patrimo-niale-attributivo, si negava che disposizioni a contenuto non patrimoniale potessero considerarsi contenuto del testamento e, dunque, che fossero valide ed efficaci.

La teoria patrimoniale del testamento e l’idea che si debba distinguere tra disposizioni testamentarie aventi contenuto patrimoniale, alle quali si applica sia la disciplina sostanziale sia quella formale del testamento, e disposizioni aventi conte-nuto non patrimoniale, alle quali si applica soltanto la disci-plina formale del testamento, viene ampiamente sviluppata dall’opera di Giorgio Giampiccolo.

Ma i tempi cambiano e il testamento cambia con le esigenze della società e della famiglia.

Doverosa dunque, una nuova riflessione dell’atto di ultima vo-lontà e la consapevolezza che esso, quale manifestazione dell’au-tonomia privata, attraverso il quale si concretizza la dignità della persona, è passibile, con il limite delle istituzioni di erede e dei legati, di tutti i contenuti che risultino leciti e meritevoli, potreb-bero assegnare nuove potenzialità al diritto successorio.

Si consideri, ad esempio, il crescente utilizzo della dispo-sizione testamentaria quale fonte di rapporti obbligatori tra coeredi o legatari in ambiti profondamente diversi da quelli riconosciuti in passato, come nel caso di disposizioni costi-tutive di obblighi di fare o non fare. In proposito, particolare rilievo ha il ruolo che la disposizione testamentaria ha assunto nella genesi di rapporti contrattuali.

Autonomia negoziale e devoluzione testamentaria, di Carlo Berti, Giuffrè, Milano, 2018VALERIA CIANCIOLOAvvocato in Bologna

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174 L’Osservatorio sul diritto di famiglia | gennaio-agosto 2018

RECENSIONI

Un’attenta valutazione va alla delicata materia del trust testa-mentario la cui costituzione a mezzo del negozio testamenta-rio, è espressamente prevista dall’articolo 2 della Convenzio-ne dell’Aja, dove la vicenda segregativa e destinatoria diviene, in tal caso, parte integrante del programma testamentario

Senza nulla togliere alla centralità che l’istituto del trust an-glosassone, merita in ragione delle sue molteplici potenzialità esplicative, dirette al soddisfacimento di interessi connessi sia alla amministrazione e gestione di beni che al mantenimento di persone, durante la vita e per il tempo successivo alla morte del disponente o dei beneficiari, all’autore sembra che analogo rilievo possa attribuirsi al negozio fiduciario, sulla scia di quel-la corrente dottrinaria che, attraverso una ricostruzione nuova dell’istituto, giunge alla sublimazione della praticità ed efficien-za della fiducia ed all’avvicinamento di essa al trust anglosas-sone ed agli altri istituti omologhi degli ordinamenti stranieri.

Anche Facebook ha individuato nuove regole da valere per il tempo successivo alla morte, specificando in che modo esse possano essere, immediatamente e direttamente, compiute dal titolare di un account.

E ancora. Come salvaguardare il favor testatoris attraverso il testamento. Come salvaguardare la volontà di una persona

fragile come un anziano? Rendere obbligatoria la forma del testamento pubblico?

Si pensi al tortuoso percorso che ha portato una parte dell’e-redità di Puccini a essere spartita da una famiglia allargata di assicuratori, casalinghe e disoccupati. Una vicenda che si sno-da nei decenni, degna dell’opera pucciniana Gianni Schicchi, la cui trama ruota proprio attorno al destino di una ricca eredi-tà. Una sentenza del 2016 del Tribunale di Milano ha chiuso una disputa lunga 92 anni, dichiarando “nullo” il testamento firmato nel 2005 dal maggiordomo di Antonio Puccini, figlio segreto del grande musicista, Pasquale Belladonna.

Verosimilmente il diritto ereditario, più degli altri settori del diritto civile, è quello che richiede maggiori sforzi e sui quali, l’operatore indugia. Ma è certo quello che, da questo punto di vista, si presta a offrire risultati che decenni or sono erano impensabili.

In conclusione, l’opera si segnala per la metodologia appli-cata e per il risultato. L’attenzione portata sulla prassi nego-ziale, dimostra che l’autore annota con sensibilità bisogni e necessità di essere della società, in una concezione del diritto che supera il limitato orizzonte normativo.

I provvedimenti nell’interesse dei figli minori ex art. 709-ter c.p.c., di Romolo Donzelli, Giappichelli, Torino, 2018CLAUDIO CECCHELLAPresidente di ONDiF

Da qualche tempo, i terreni minati dall’Accademia, perché ritenuti non degni di un sistema o di una teoria, come le con-troversie familiari e minorili, sono arati dai processualisti del-la generazione di mezzo o dai più giovani.

In realtà proprio questo è il terreno dove i sistemi e le teorie si misurano con la realtà corposa, materiale, sostanziale, pregnan-te dei diritti e degli interessi protetti e dove la tutela giurisdi-zionale dei diritti, con la sua forza incontenibile, spinge verso i (pochi) canali offerti dal sistema ed esalta il mestiere del proces-sualista: quello di rendere effettivi i diritti, mettendo a prestito lo strumento prediletto (la teoria, il sistema) alla pratica.

Ecco che dopo Tommaseo, Danovi, Graziosi, Salvaneschi, Vullo, arrivano Querzola, Poliseno e, appunto, Romolo Don-zelli. È noto come anche io non sia immune da questo con-tagio, ma la mia è una storia diversa, che qui non interessa.

Romolo Donzelli, processualista dell’Università di Macerata e tanto vicino alla nostra Associazione, perché protagonista di tanti eventi formativi, si è cimentato con il punto focale della tu-tela dei diritti nelle controversie minorili, l’attuazione della tute-la. La cognizione si scontra qui con la materia dei rapporti e dei conflitti e il processualista, di fronte ad un legislatore lacunoso e atecnico, deve mettere a frutto i ferri del suo mestiere, plasman-do la realtà materiale al diritto, se necessario con l’accetta.

Donzelli sceglie la via più ardua, quell’art. 709-ter c.p.c., in relazione ai diritti personali, e coglie in esso la differen-

ziazione propria delle controversie di famiglia, a cui non può rispondere il sistema esecutivo formale del libro III del c.p.c. (che i nostalgici difendono ancor oggi, come in un recente dibattito lucchese, sempre in seno all’Osservatorio, nel quale mi sono trovato al fianco del nostro Autore): non c’è né ci può essere diversità del giudice dell’esecuzione rispetto al giudice del merito e lo strumento non è formale e precostituito per tutti i casi, ma attuazione in via breve in forme discrezionali che il giudice del merito sceglie per le particolarità del caso: in ultima analisi il “bastone nodoso” della misura coercitiva e nella persistente inottemperanza, il mutamento delle scelte di merito compiute in sede cognitiva.

Ecco è sul “bastone nodoso” che Donzelli dissente, prefe-rendo un’interpretazione letterale di una norma che fa riferi-mento ad un risarcimento del danno collocando la sanzione nell’ambito della responsabilità civile.

Il libro contiene anche alcuni capitoli che vanno oltre l’a-spetto puramente esecutivo, laddove affronta il dramma della partecipazione del minore al procedimento, sul quale di fron-te ad un giudice di legittimità ancora restìo deve intervenire finalmente il legislatore senza timori di spesa pubblica (visti i diritti costituzionali in gioco) e i mille problemi del processo familiare e delle sue impugnazioni.

Un testo che non può mancare nella biblioteca dell’avvocato specializzato e un po’ anche nella sua preparazione.

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175L’Osservatorio sul diritto di famiglia | gennaio-agosto 2018

RECENSIONI

Claudio Cecchella, processualcivilista dell’Ateneo pisano, dedi-to alla ricerca specialistica ed alla formazione in ambito forense, in particolare nel contesto dell’Osservatorio Nazionale sul Dirit-to di Famiglia, associazione forense specialistica maggiormente rappresentativa che oggi presiede, nel volume in rassegna af-fronta in ottica sistematica la tutela delle posizioni giuridiche soggettive delle persone con peculiare riferimento alle relazioni familiari, come oggi prefigurate negli alternativi modelli.

Il percorso risulta davvero impegnativo nel momento in cui riesce a coniugare tutte le posizioni di diritto sostanziale, specchiandole con le forme di tutela apprestate dall’ordina-mento processuale positivo.

Il risultato mette in luce le carenze severe praticamente dell’intero strumentario di tutela delle fondamentali posizio-ni di diritto dei singoli coinvolte, con particolare riguardo a quelle delle persone vulnerabili, attese le numerose criticità individuate in concreto, derivate da stratificazioni legislati-ve casuali, accumulate nel tempo senza un’armonica visione d’insieme ispirata all’efficienza necessaria.

L’auspicio di sottofondo risulta anche teso a sollecitare una riforma strutturale degli organi giurisdizionali chiamati a ga-rantire i diritti nascenti dalle relazioni familiari.

La trattazione parte dall’individuazione delle ragioni di una tutela giurisdizionale differenziata, particolarmente incisiva, nel solco dell’insegnamento emerso negli anni Settanta e reso particolarmente efficace da Andrea Proto Pisani, coniugando-la alle persone ed alla famiglia.

Particolarmente incisive le critiche alla frammentazione ed alla molteplicità dei riti, con l’emersione di un quadro di illo-gicità ed inefficienze di sistema da sanare a livello legislativo, che tenga unicamente ben presenti i diritti e gli status coinvol-ti, che spaziano dalla titolarità di diritti fondamentali con lo spessore dell’inviolabilità sovraordinata, al più comune diritto economico-patrimoniale ma funzionalizzato alla realizzazio-ne della persona, viepiù in età evolutiva.

Da sottolineare la cura riservata alla posizione del figlio in età minore, portatore di diritti ed interessi superiori e preminenti e ciò nonostante, relegato in posizione processuale problematica, secondo l’equivoca soluzione che vede altalenarsi il ruolo di

c.d. parte sostanziale a quella di parte processuale, od ancora a quella di soggetto garantito dal mero ascolto personale.

La visione sistematica risulta protesa ad indicare una tutela a tutto campo che possa assicurare realmente, con prontezza ed efficacia concreta, il risultato delle tutele conformi ai diritti affermati dall’ordinamento positivo e, ciò non di meno, assicu-rare con la forza del giudicato l’accertamento conforme a Giusti-zia. L’epilogo dell’elaborazione propone una visione unitaria in chiave funzionale, della cognizione di merito necessariamente coniugata alla cautela anticipatoria ed all’attuazione esecutiva, richiamando senza infingimenti l’interprete a farsi carico dell’ef-fettiva attuazione concreta dei diritti ed interessi coinvolti.

L’analisi poi affronta le garanzie assicurate dai mezzi di im-pugnazione ed esalta le forme di tutela per accordo negozia-le, nelle quali intravede la possibile soluzione prevalente dei conflitti relazionali di natura familiare.

L’ispirazione dello sforzo posto in campo, con importante sfoggio di argomenti, appare cogliere senz’altro il segno, con la passione di lungo corso, emersa per i temi del diritto delle persone e delle relazioni familiari.

Le mille difficoltà di testi normativi succedutisi nel tempo attraverso le varie riforme di adeguamento secondo le impli-cazioni sociali e politiche sottese agli istituti sostanziali, in ge-nere sull’onda di questo o quel momento contingente, ovvero di questa o quella ispirazione ideale, hanno anche l’ambizione di disegnare il possibile futuro di un tribunale dedicato alla famiglia, con rinnovate energie specialistiche, il superamento dell’attuale modello minorile e la concentrazione dei riti, ri-dotti ad un numero minimo di modelli; incedere processuale esattamente conformato alla singola tutela invocata, e che non manchi mai di assicurare le garanzie cardine scritte nella carta fondamentale e nelle fonti sovraordinate, secondo i principi del contraddittorio e della difesa dei singoli.

L’apprezzamento dell’opera risiede anche in altro motivo: l’esposizione risulta condotta con metodo cui non è estranea la proposizione dubbiosa dell’alternativa, ma che non ha ti-more di affermare con decisione la possibile soluzione, né di affrontare questioni aperte misurandosi con le diverse opinio-ni di vasto respiro.

Diritto e processo nelle controversie familiari e minorili, di Claudio Cecchella, Zanichelli, Bologna, 2018GIANCARLO SAVIMembro dell’esecutivo nazionale e Direttore della Scuola

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RECENSIONI

Il volume di Andrea Sassi, Francesco Scaglione e Stefania Ste-fanelli La filiazione e i minori, collocato nel Trattato di diritto civile diretto dal Decano di civilisti italiani, Rodolfo Sacco, ed edito da Utet Giuridica, è giunto alla seconda edizione soltanto dopo due anni dalla sua prima uscita, avvenuta nel dicembre del 2015.

L’opera analizza la filiazione alla luce della fondamentale e recente riforma, entrata in vigore nel febbraio del 2014, che ha parificato lo stato di figlio.

Questa seconda edizione tiene conto delle numerose recenti novità, considerando che la materia è in continua evoluzio-ne. In particolare, essa è aggiornata alla l. n. 175/2015 sulla continuità affettiva, alla l. 76/2016 in materia di unioni civili, alla l. n. 119/2017 sull’obbligo vaccinale, e tiene conto delle disposizioni di legge in materia di direttive anticipate di trat-tamento, nonché dei progetti in tema di parto anonimo e di attribuzione del cognome, che non hanno visto un’approva-zione definitiva nella legislatura appena terminata.

Il testo rivolge particolare attenzione all’attività dell’ultima giurisprudenza italiana, sovranazionale e straniera, con l’ana-lisi di numerosi casi pratici realmente risolti, rielaborati e sin-tetizzati per far comprendere il percorso logico ed ermeneuti-co compiuto dal giudice nella risoluzione della controversia, con riferimento anche ai fondamentali recenti pronunciamen-ti della Corte costituzionale sulla procreazione medicalmente assistita e sul cognome di figli, della Corte di Strasburgo in tema di maternità surrogata, nonché della S.C. (con partico-lare riferimento alla sezione prima) sull’adozione in casi par-ticolari nella coppia formata da persone dello stesso sesso, c.d. stepchild adoption (Cass., 22 giugno 2016 n. 12962), sul riconoscimento della maternità biologica e della valenza dello stato acquisito all’estero (Cass., 30 settembre 2016 n. 19599), sulla tutela dell’affettività consolidata del minore (Cass., 22 dicembre 2016 n. 26767), sul diritto a conoscere le proprie origini nel parto anonimo (Cass., sez. un., 25 gennaio 2017 n. 1946), nonché sull’attuazione del diritto costituzionale del

minore ultradodicenne ad essere informato e ad esprimere le proprie opinioni ed opzioni in tutti i procedimenti che lo con-cernono (Cass., 7 marzo 2017 n. 5676).

L’opera mantiene la struttura della prima edizione ed è di-visa in due parti: la prima dedicata allo stato giuridico dei figli, la seconda al rapporto filiale e allo statuto del minore. È soprattutto la prima ad aver beneficiato dei maggiori incre-menti, viste anche le numerose novità legislative e giurispru-denziali. In particolare: il primo capitolo disegna un quadro sistematico di insieme, in cui è ora ancor più valorizzato il contributo delle Corti a tutela dei diritti fondamentali del nato e nella formazione del diritto filiale; il secondo riassu-me i cardini dello stato di figlio; il terzo capitolo affronta i problemi legati alla filiazione intenzionale derivante da fe-condazione assistita e da gestazione per altri, con specifico riferimento alla circolazione dello status filiationis; il quarto analizza i titoli costitutivi, dedicando ampio spazio all’adozio-ne parentale e genitoriale, materie in cui si sono concentrati gli ultimi contributi della giurisprudenza; il quinto ripercorre le azioni di stato suggerendone una ricostruzione unitaria; il sesto capitolo è dedicato alla tutela dei profili identitari del figlio (conoscenza delle origini biologiche e diritto al nome), secondo l’insegnamento più recente del giudice delle leggi e di quello di legittimità.

In definitiva, il testo fornisce al lettore un quadro completo della materia della filiazione e dei minori, con riferimento ai diritti fondamentali che derivano dalla nascita e a quelli con-seguenti l’accertamento dello stato di figlio. In questo ambito, particolare attenzione è riservata ai titoli costitutivi, anteriori, contestuali o successivi alla nascita, fondati sulla discendenza o sull’affettività, di autoresponsabilità o giudiziali, nonché alla di-sciplina del rapporto filiale, della capacità del minore, della re-sponsabilità genitoriale e della gestione dei beni, e, infine, delle conseguenze parentali, anche in materia successoria, che con l’ultima riforma hanno visto una parificazione del figlio nato fuori del matrimonio a quello generato da genitori coniugati.

La filiazione e i minori, Trattato di Diritto Civile diretto da Rodolfo Sacco, di Andrea Sassi, Francesco Scaglione, Stefania Stefanelli, Utet, Torino, 2018GIANCARLO SAVIMembro dell’esecutivo nazionale e Direttore della Scuola

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ONDIF E IL TEATRO

Nel biennio 2016/2017 ONDiF, sempre sensibile all’Arte per il suo elevatissimo valore comunicativo (la rivista è infarci-ta di opere di artisti contemporanei), ha avviato una intensa esperienza di condivisione della sua proposta formativa spe-cialistica con il teatro, sia attraverso la stretta collaborazio-ne con il Teatro Golden di Roma e le sue produzioni, grazie alle iniziative di Laura Ruocco e dei fratelli Augusto e Toni Fornari, e sia attraverso il patrocinio e la collaborazione con l’Università di Roma Tre, che ha prodotto e rappresentato al Teatro Palladium di Roma una nuova edizione di “Vestire gli ignudi” di Luigi Pirandello e di cui seguirà, per la Rivista, la testimonianza della collega avv. Barbara Manganelli, resa in occasione del Convegno di Roma del 12 marzo 2018, di cui si sono pubblicati nel presente numero gli atti.

Molti degli eventi formativi della nostra Associazione sono stati l’occasione per una sinergia tra i temi giuridici esaminati e dibattuti e la rappresentazione teatrale del dramma fami-liare, condotto sulla scena con ironia e leggerezza, ma certa-mente anche con l’intensità e la profondità di analisi che solo il teatro riesce ad offrire.

A Firenze – dove si è svolto prima della rappresentazione teatrale un dibattito tra Avvocati, Magistrati e attori sul palco scenico, grazie all’iniziativa delle colleghe avv. Gabriella Sto-maci e avv. Francesca Scattolini – a Treviso, con l’iniziativa dell’Avv. Silvia Manildo, a Prato grazie all’apporto dell’Avv. Alessandra Rosati e infine a Torino, con l’avv. Germana Bertoli e Lucia Zeppetelli, il teatro Golden ha proposto a margine di un convegno la commedia brillante Finché Giudice non sepa-ri (di Augusto Fornari, Toni Fornari, Andrea Maia, Vincenzo Sinopoli, con la regia di Augusto Fornari) che racconta la sto-ria di Mauro, Paolo, Roberto e Massimo, quattro amici, tutti separati.

Il testo è di grande interesse: Massimo è fresco di separa-zione e ha appena tentato il togliersi la vita. Il giudice gli ha tolto tutto: la casa, la figlia e lo ha costretto a versare un co-spicuo assegno mensile alla moglie. Con quello che resta del suo stipendio si può permettere uno squallido appartamento al piano seminterrato di un condominio di 35 mq, ammobi-liato Ikea.

I tre amici gli stanno vicino per rincuorarlo e controllare che non riprovi a mettere in atto l’insensato gesto. Ognuno, redu-ce da esperienze non dissimili, da consigli su come affrontare la separazione e come ritornare a vivere una vita normale.

Proprio quando i tre sembrano essere riusciti a riportare alla ragione il loro amico, un’avvenente vicina di casa, che abita ai piani superiori, suona alla porta. Massimo ha una crisi isteri-ca, perché la vicina è colei che ha pronunciato la separazione e giudicato sul suo caso.

Finché giudice non ci separi, costituisce una piéce brillante che pur proponendo i profili personali più dolorosi di una separazione allo stesso tempo ironizza sul difficile tema tra-scinando lo spettatore, attraverso i sensi di colpa, le arrab-biature, la disperazione, l’ironia e il sarcasmo, dei personaggi all’interno di una divertente vicenda piena di colpi di scena, a rappresentare il dramma della vita di tutti i personaggi.

In occasione, invece, del Forum di aprile (nella triplice edi-zione degli anni 2017 e 2018, sul tema della giurisprudenza della Corte di Giustizia), ONDiF è stata ospite direttamente del Teatro Golden e la sera del primo giorno ha assistito ad un’altra simpatica pièce in perfetto stile di commedia francese Un piccolo gioco senza conseguenze di Jean Dell e Gerard Si-bleyras, regia di Augusto Fornari una produzione di Vincenzo Sinopoli. La pochade è scritta dai commediografi francesi Jean Dell e Gerard Sibleyras e vincitrice, nel 2000, in Francia, di ben 5 prestigiosi premi Moliére degli otto a cui era candidata.

L’ironia del titolo è evidente, poiché il gioco a cui si fa rife-rimento è quello che la protagonista Chiara innesca fin dalle prime battute, un gioco, articolato in un susseguirsi di colpi di scena, che avrà, di fatto, delle conseguenze catastrofiche.

Una sciocca bugia detta agli amici di sempre che rispon-deranno in modo inaspettato rivelando verità nascoste, che porteranno ad un finale impensabile.

Chiara e Bruno infatti sono fidanzati da 12 anni e per tutti sono una coppia da imitare. Durante la festa che celebra la vendita del casale di campagna della famiglia di Bruno, la sua fidanzata Chiara, pur di mettere a tacere il cugino di Bruno, da sempre sostenitore accanito della coppia e rompiscatole sopraffino, gli confessa che la loro storia si è appena conclusa. Bruno, preso di sorpresa, si ritrova, suo malgrado, a dover reggere il gioco iniziato da Chiara. Entrambi, però, sono igna-ri di quanto questa piccola bugia riuscirà a scatenare poiché, già da tempo, c’è chi aspetta la fine del loro fidanzamento.

Anche in questo caso, come protagonisti Laura Ruocco e Augusto Fornari, un episodio di collaborazione tra le due iniziative culturali che avrà certamente anche altre numerose altre occasioni.

LA COLLABORAZIONE CON IL TEATRO GOLDEN DI ROMA E LE SUE PRODUZIONICLAUDIO CECCHELLA

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ONDIF E IL TEATRO

Innanzitutto vorrei ringraziare l’Avv. Fiorella D’Arpino per avermi dato la possibilità di intervenire in questo interessan-te convegno, sia pure non in veste di avvocato, professione che svolgo a tutto tondo da anni, ma come amante del teatro e come produttrice teatrale, passione che coltivo dall’anno 20101. È proprio in occasione di tale mia ulteriore attività, che ho conosciuto Gaetano Aronica regista ed attore dello spettacolo “Vestire gli ignudi” che andrà in scena a Roma pres-so il teatro Palladium, gestito e diretto dall’Università Roma Tre, nei giorni del 15,16,17 e 18 marzo. Il regista Gaetanto Aronica avrebbe voluto essere qui con noi a commentare il suo spettacolo, ma è impegnato ad Agrigento come Presidente della fondazione Pirandello. Sarò io, molto indegnamente, a parlare in sua vece e con i suoi preziosi suggerimenti, con la speranza di essere altrettanto convincente nell’incuriosirvi in merito a questo bellissimo ennesimo lavoro che la mente ge-niale di Luigi Pirandello ha partorito nel lontano 1922 e che l’altrettanto impegno, originalità e bravura del regista, hanno contribuito a rendere più che mai attuale alla luce di quanto la cronaca ci racconta sul rapporto uomo-donna. Stiamo par-lando di poco più di un secolo fa eppure, Vestire gli ignudi” è davvero attualissimo e leggendolo se ne ha la convinzione. L’opera è del 1922 mentre i “Sei personaggi in cerca di autore” altro colosso della genialità pirandelliana imperversava con successo sui palcoscenici di tutta Europa. Secondo il regista il fantasma di quel capolavoro ancora aleggiava nella mente dello scrittore. Non a caso Ersilia Drei, la protagonista di “Ve-stire gli ignudi” è stata considerata a più voci come il settimo personaggio pirandelliano in cerca d’autore, con una diffe-renza: i primi compaiono evocati dalla mente di chi li ha cre-ati, Ersilia arriva direttamente dalla strada fatto di non poca importanza che ci riporta inevitabilmente ai giorni nostri. La storia è forse nota: una giovane donna ventenne, Ersilia Drei, appunto, viene ritrovata in fin di vita in un giardino pubblico. La sua storia raccontata da un giornalista sale alla ribalta del-le cronache e diventa un caso nazionale, ma le dichiarazioni della giovane provocano uno scandalo che pare trasformarsi in un intrigo inestricabile. La vicenda si svolge come un giallo rovesciato dove ad una verità iniziale se ne sostituisce un’altra ben più inquietante della prima. La vittima non è l’elemento da cui scaturisce l’indagine, ma la conseguenza di esse. Man mano che viene distrutta la prima verità Ersilia assume con-

1 L’intervento ha aperto il convegno “Violenza domestica: ipotesi di reato, strategie di contrasto” - “Un ricordo di Tina Lagostena Bassi a 10 anni dalla sua morte”, tenutosi Roma il 12 marzo 2018.

sapevolezza di sé e del mondo che la circonda. Ed è proprio in questo passaggio interiore in questo flusso di coscienza che sta la modernità del dramma. Ersilia smaschera gli uomini che l’hanno usata per il desiderio di possederla e ora le ricom-paiono davanti come fantasmi del passato per toglierle ogni illusione di una nuova vita. Ma lei non è più quella di prima, lei è cambiata. “Vestire gli ignudi” è una storia di sesso, potere e visibilità mediatica che sembra scritta ai giorni nostri. Ed è soprattutto la storia di una libertà, di una ribellione ad una società imprigionata nei meccanismi della forma. Il regista che è anche autore dell’adattamento teatrale è convinto che in nessun altro testo pirandelliano il contrasto tra maschile e femminile si incarna in modo così preciso nella celebre dico-tomia tra “forma” e “vita”. Ed è proprio questa chiave di lettu-ra, la centralità di questo contrasto che offre spunti per riflet-tere sul tema della violenza di genere a sfondo familiare. Da una parte gli uomini con il loro freddo e vuoto formalismo, dall’altra la donna è tutta nel suo movimento interiore, nei suoi sentimenti, nella capacità di mettersi a nudo, rischiando di essere travolta dal flusso inarrestabile della “vita”. Giorni orsono ho avuto modo di ascoltare un’intervista radiofonica alla Presidente dell’associazione “Telefono Rosa”, Maria Ga-briella Moscatelli in occasione dei 30 anni dalla fondazione, la quale, alla domanda che cosa è cambiato per la donna in questi ultimi 30 anni ha risposto: “La consapevolezza”. Ecco è proprio sulla consapevolezza che ritroviamo il messaggio che già oltre 100 anni fa Pirandello trasmetteva all’umanità e che la donna, oggi, fa propria come nuova chiave di lettura della società e realtà che la circonda. Lo spettacolo è toccante, graf-fiante, innovativo, cinematografico. La scena è un’installazio-ne di ispirazione futurista (Boccioni) ed i fumetti, pur mante-nendo il sapore del noir anni 30, sono rubati dalla tradizione nobile del fumetto d’autore (Manara, Pratt, Pazienza) e danno allo spettacolo un cromatismo vivace e fantasioso. L’autore ri-uscendo a mantenere un equilibrio ed un profondo rispetto per l’opera che rimane autentica rilegge Pirandello nei suoi aspetti più innovativi e persino rivoluzionari utilizzando sia l’invenzione del teatro nel teatro (Ersilia settimo personaggio in cerca d’autore) che il rinnovamento creato dalle avanguar-die storiche sin dalle prime a lui contemporanee (futurismo, dadaismo, espressionismo), fino alle seconde, quelle degli anni 60, arrivando sino alla pop art. Questa ricerca compren-de anche la scelta delle musiche “mascherate” da classiche, ma in realtà di autori e musicisti pop/rock (Lou Reed, Mark Knopfler, Chet Baker).

Presentazione dell’adattamento teatrale tratto dall’opera Vestire gli ignudi di Luigi PirandelloBARBARA MANGANELLI