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DIOCESI DI MASSA CARRARA - PONTREMOLI UFFICIO EVANGELIZZAZIONE E CATECHESI 5° INCONTRO - 18 FEBBRAIO 2016 APPROCCIO PSICO-PEDAGOGICO ALLA CATECHESI Renata Gianni INTRODUZIONE 1. UN METODO PER LEDUCAZIONE Un’educazione umana integrale sarà tanto più valida e adeguata quanto più efficace sarà il metodo che adotta. La Didattica e la Pedagogia ci hanno mostrato molti metodi validi, ma mi piace ricordare come gli antichi educavano i propri figli: raccontavano e attraverso ricordi, leggende, miti, storie costruivano l’identità personale, culturale, territoriale e giuridica del popolo. Si raccontava un grande evento, la vita e le gesta di grandi personaggi-eroi. Allo stesso modo nel Deuteronomio si descrive come il padre debba raccontare al figlio il nucleo della storia della salvezza, e, come il padre racconta al figlio la storia degli interventi di Dio a favore del suo popolo, così, in qualche modo, la comunità cristiana dovrebbe raccontare la storia della salvezza. L'identità storica, politica, religiosa di un popolo è legata ai racconti, che conservano il patrimonio di valori che sta alla base di determinati modelli di comportamento. I miti, le leggende, le saghe sono gli strumenti per raccontare e tenere viva la memoria e l'identità di un popolo. Un popolo senza racconti è destinato a perdere la propria identità, a morire. Dice il testo della Scrittura: "quando in avvenire tuo figlio ti domanderà: che significano queste istruzioni, queste leggi e queste norme che il Signore nostro Dio vi ha dato? tu risponderai a tuo figlio: eravamo schiavi del faraone in Egitto e il Signore ci fece uscire dall'Egitto con mano potente" ( Dt 6, 20-21). Dunque, la comunità cristiana può educare i suoi membri e trasmettere loro i valori fondamentali, raccontando la storia della salvezza, e contribuendo così a costruire la loro identità. 2. 2 - L'AZIONE EDUCATIVA DI DIO 2.1. Dalla storia della salvezza, quindi, ricaviamo l’insegnamento che Dio Padre è un educatore, che educa il suo popolo con uno stile particolare. Di conseguenza, la pedagogia della comunità cristiana, della famiglia e della scuola, luoghi primari di formazione umana e cristiana, non può non riprodurre in qualche modo una immagine della "pedagogia Dei", ossia della pedagogia di Dio che educa il suo popolo come un padre educa il figlio. In ultima analisi, tutta la storia della salvezza è una grande pedagogia divina dei popoli e dei singoli uomini. La Dei Verbum scrive che i libri dell'AT sebbene contengano cose imperfette e temporanee dimostrano tuttavia una vera pedagogia divina (Dv, 15). E la caratteristica di questa pedagogia divina è quella di porre al centro Dio stesso. Essa, perciò, prima ancora di una possibile valenza formativa, ha una valenza soteriologica e mette in risalto come la dignità dell'uomo da educare abbia il suo ultimo fondamento nell'essere questi creato ad immagine e somiglianza di Dio. A differenza della paideia greca, la paideia biblica ha come oggetto ultimo la salvezza che viene operata da Dio stesso, non la felicità o l'intera autoformazione dell'uomo. Essa non può perciò fornire indicazioni dirette per una pedagogia umana, ma rivela l'agire salvifico di Dio, che ama educando ed educa amando. La lettera agli Ebrei (Eb 12, 9-11) presenta un serrato confronto tra lo stile pedagogico dell'uomo e quello di Dio, ed evidenzia la profonda differenza che esiste tra la paideia divina e quella umana: effimera, penosa e dai criteri incerti la paideia dei padri terreni (si pensi, in Ef 6,4, alla condanna di una educazione paterna improntata a durezza); veramente proporzionata ad efficaci risultati di santità e perfezione quella del Padre celeste. Questa paideia del Padre celeste segue la strategia dei tempi lunghi e perciò richiede il coraggio della pazienza e della speranza per poter conseguire frutti di gioia, di pace, di giustizia. Il traguardo del lungo processo educativo divino, comunque, non è un uomo autosufficiente e in pace con sé, ma un uomo virtuoso e in pace con Dio. L'azione educativa di Dio per il suo popolo è ben delineata dal Cantico di Mosè riportato in Dt 32, 10-12: "Egli lo trovò in una terra deserta, in una landa di ululati 1

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DIOCESI DI MASSA CARRARA - PONTREMOLI

UFFICIO EVANGELIZZAZIONE E CATECHESI

5° INCONTRO - 18 FEBBRAIO 2016

APPROCCIO PSICO-PEDAGOGICO ALLA CATECHESI

Renata Gianni

INTRODUZIONE

1. UN METODO PER L’EDUCAZIONE

Un’educazione umana integrale sarà tanto più valida e adeguata quanto più efficace sarà il metodo che adotta. LaDidattica e la Pedagogia ci hanno mostrato molti metodi validi, ma mi piace ricordare come gli antichi educavano ipropri figli: raccontavano e attraverso ricordi, leggende, miti, storie costruivano l’identità personale, culturale,territoriale e giuridica del popolo. Si raccontava un grande evento, la vita e le gesta di grandi personaggi-eroi. Allo stessomodo nel Deuteronomio si descrive come il padre debba raccontare al figlio il nucleo della storia della salvezza, e, comeil padre racconta al figlio la storia degli interventi di Dio a favore del suo popolo, così, in qualche modo, la comunitàcristiana dovrebbe raccontare la storia della salvezza.L'identità storica, politica, religiosa di un popolo è legata ai racconti, che conservano il patrimonio di valori che sta allabase di determinati modelli di comportamento. I miti, le leggende, le saghe sono gli strumenti per raccontare e tenereviva la memoria e l'identità di un popolo. Un popolo senza racconti è destinato a perdere la propria identità, a morire.Dice il testo della Scrittura: "quando in avvenire tuo figlio ti domanderà: che significano queste istruzioni, queste leggi equeste norme che il Signore nostro Dio vi ha dato? tu risponderai a tuo figlio: eravamo schiavi del faraone in Egitto e ilSignore ci fece uscire dall'Egitto con mano potente" (Dt 6, 20-21). Dunque, la comunità cristiana può educare i suoimembri e trasmettere loro i valori fondamentali, raccontando la storia della salvezza, e contribuendo così a costruire laloro identità.

2. 2 - L'AZIONE EDUCATIVA DI DIO

2.1. Dalla storia della salvezza, quindi, ricaviamo l’insegnamento che Dio Padre è un educatore, che educa il suo popolocon uno stile particolare. Di conseguenza, la pedagogia della comunità cristiana, della famiglia e della scuola, luoghiprimari di formazione umana e cristiana, non può non riprodurre in qualche modo una immagine della "pedagogia Dei",ossia della pedagogia di Dio che educa il suo popolo come un padre educa il figlio. In ultima analisi, tutta la storia dellasalvezza è una grande pedagogia divina dei popoli e dei singoli uomini. La Dei Verbum scrive che i libri dell'AT sebbenecontengano cose imperfette e temporanee dimostrano tuttavia una vera pedagogiadivina (Dv, 15). E la caratteristica di questa pedagogia divina è quella di porre al centro Dio stesso. Essa, perciò, primaancora di una possibile valenza formativa, ha una valenza soteriologica e mette in risalto come la dignità dell'uomo daeducare abbia il suo ultimo fondamento nell'essere questi creato ad immagine e somiglianza di Dio. A differenza dellapaideia greca, la paideia biblica ha come oggetto ultimo la salvezza che viene operata da Dio stesso, non la felicità ol'intera autoformazione dell'uomo. Essa non può perciò fornire indicazioni dirette per una pedagogia umana, ma rivelal'agire salvifico di Dio, che ama educando ed educa amando.La lettera agli Ebrei (Eb 12, 9-11) presenta un serrato confronto tra lo stile pedagogico dell'uomo e quello di Dio, ed

evidenzia la profonda differenza che esiste tra la paideia divina e quella umana:effimera, penosa e dai criteri incerti la paideia dei padri terreni (si pensi, in Ef 6,4,alla condanna di una educazione paterna improntata a durezza); veramenteproporzionata ad efficaci risultati di santità e perfezione quella del Padre celeste.Questa paideia del Padre celeste segue la strategia dei tempi lunghi e perciò richiedeil coraggio della pazienza e della speranza per poter conseguire frutti di gioia, dipace, di giustizia. Il traguardo del lungo processo educativo divino, comunque, non èun uomo autosufficiente e in pace con sé, ma un uomo virtuoso e in pace con Dio.L'azione educativa di Dio per il suo popolo è ben delineata dal Cantico di Mosèriportato in Dt 32, 10-12: "Egli lo trovò in una terra deserta, in una landa di ululati

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solitari. Lo educò, ne ebbe cura, lo allevò, lo custodì come pupilla del suo occhio. Come aquila che veglia la sua nidiata,che vola sopra i suoi nati, egli spiegò le sue ali e lo prese, lo sollevò sulle sue ali. Il Signore lo guidò da solo, non c'era con lui alcun Diostraniero". Questo passo biblico non è isolato ma esprime una persuasione costante della Scrittura: il grande educatoredel suo popolo è Dio. Il castigo più terribile che potrebbe colpire gli uomini della Bibbia non sarebbe quello di punizioniparticolari, ma quello di sentirsi abbandonati dalla guida amorevole, sapiente, instancabile di Dio, Padre provvidente esignore del futuro.Se si riflette un momento su questo passo del Deuteronomio, si può vedere come nell'azione educativa divina sipossano individuare alcuni connotati ben precisi. Essa comporta dei momenti di rottura con il passato (l'uscita dallaterra deserta, dalla landa di ululati solitari); si compie attraverso una crescita progressiva, propiziata da gesti diattenzione e di amore (lo educò, ne ebbe cura, lo custodì); comporta una partnership e una elevazione profonda dellospirito (lo sollevò sulle sue ali); esige una fiducia assoluta e incondizionata (il Signore lo guidò da solo, non c'era con luialcun Dio straniero).Secondo il Card. Martini (Dio educa il suo popolo, Centro Ambrosiano, Milano 1987), molti insuccessi educativi hanno laloro radice nel non aver capito che è precisamente Dio che educa il suo popolo, come espresso chiaramente nelleScritture, nel non essersi alleati col vero educatore della persona. D'altro canto una fiducia rinnovata nella forzaeducativa del Vangelo può ridare fiato a molti nostri docenti, togliere loro la sensazione di dover portare un pesosuperiore alle proprie forze e di lottare contro nemici troppo forti.I valori che esprime una retta concezione di Dio - educatore non sono in contrasto con quelli che esprime una sanacomprensione laica dell'educare, intesa nei suoi aspetti positivi, e cioè nella percezione dell'importanza della libertà, nelsommo rispetto per chi è educato, nella rinuncia a ogni manipolazione. Infatti il vero senso della libertà presuppone chesi sappia per che cosa si è liberi; il rispetto per l'educando non viene dato con un atto di fiducia cieco, ma confidando nel"maestro interiore", che muove e attira ciascuno; ogni manipolazione educativa viene esclusa dalla certezza che è nelsantuario della coscienza, nel cuore, che ciascuno assume le decisioni definitive.

3. L’AZIONE EDUCATIVA E LA QUESTIONE ANTROPOLOGICA

Oggi la visione cristiana dell’uomo sottesa alla pedagogia divina si scontra con la cosiddetta questione antropologica. IlConcilio Vaticano II e il magistero postconciliare dei pontefici hanno difeso con coraggio e profezia la visione cristianadella natura e del destino dell'uomo alla luce del mistero di Cristo. Soprattutto Giovanni Paolo II, difensore strenuo deidiritti dell'uomo, ha indicato ripetutamente l'uomo come la via fondamentale della Chiesa. Negli ultimi decenni,tuttavia, si è dolorosamente registrata una distanza sempre più accentuata tra la visione cristiana dell'uomo e quelladella cultura liberale-radicale. Con l'affermarsi delle biotecnologie e del riduttivismo scientista da una parte, e ildiffondersi dell'indifferenza religiosa dall'altra, si è drammaticamente imposta, appunto, la "questione antropologica"."E' in corso, infatti, con una forza e una radicalità che si sono accresciute negli ultimi decenni, una trasformazione oridefinizione dei modelli di vita, dei comportamenti diffusi e dei valori di riferimento, e sempre più anche delle sceltelegislative, amministrative e giudiziarie, che cambia in profondità gli assetti sociali e i profili di una civiltà formatasiattraverso i secoli con il contributo determinante del cristianesimo. Ciò avviene con particolare evidenza negli ambitidella tutela della vita umana, della famiglia, della procreazione e di tutto il complesso dei rapporti affettivi, cherappresentano, insieme al lavoro, al guadagno e al sostentamento, e naturalmente alla sicurezza del vivere, ifondamentali interessi e le preoccupazioni quotidiane della gente" (C. Ruini, La Chiesa in Italia: Da Loreto ai compiti delpresente, in Vita e Pensiero, 6(2004)7-16, qui 12). 3.2. E’ importante precisare, tuttavia, che l'origine della questioneantropologica è strettamente intrecciata con la questione teologica. Il problema dell'uomo, cioè, è direttamenteintrecciato con il problema di Dio. La crisi di Dio, infatti, ha condotto lentamente alla crisi dell'uomo. La postmodernità,con la crisi della metafisica e l'avvento del pensiero debole, ha messo in crisi i classici assoluti metafisici: "Dio, uomo,mondo". La prima conseguenza dell'indebolimento del concetto di Dio è l'indebolimento del concetto dell'uomo.All'idea forte della natura umana, considerata immutabile perché creata da Dio, si è sostituita, perciò, l'idea debole diuna natura umana, considerata manipolabile, perché prodotta dalla biotecnologia. La conseguenza terribile di questatrasformazione è che tutto ciò che è "fatto" può essere anche "disfatto". L'uomo postmoderno non vuole accettare ilimiti della natura umana e tenta di creare nuovi modelli di esistenza, determinati non dalla "sacralità" della vita madalla "qualità" della medesima. L'avvento delle correnti del post-umanesimo e del trans-umanesimo nel mondo dellabioetica e dell'ingegneria genetica rende più difficile la ricerca delle tracce di Dio nella vita, perché la traccia divina piùeloquente è l'uomo stesso, sia perché egli è stato creato a immagine di Dio, sia, soprattutto, perché Dio stesso èdiventato uomo. Se l'uomo non è procreato ma clonato, viene considerato una fotocopia dell'uomo e non un dono diDio. Inoltre, se l'uomo è trasformato in simil-macchina, si ammira la potenza della macchina ma si dimentical'onnipotenza di Dio, il cui "nome è grande su tutta la terra"(Sal 8). Quest'uomo della postmodernità ha sete dellatrascendenza, ma cerca inutilmente di estinguere tale sete con le cose immanenti di questa terra: beni materiali,gratificazioni culturali, successo professionale, legami affettivi. Si sono moltiplicati i pozzi della tecnologia e

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dell'ideologia, capaci di creare nuovi desideri ma incapaci di estinguere la sete di senso. Abbondano i mezzi, mascarseggiano i significati. Si dilatano i desideri, e questi, non gratificati, producono la rivalità mimetica, che è all'originedella violenza e del conflitto sociale. La civiltà dei desideri ha preso il posto della società dei bisogni. Però lasoddisfazione dei desideri materiali produce solo il "benessere" dell'uomo, mentre solo la soddisfazione dei bisognispirituali arricchisce l'"essere" del medesimo. Per legare i desideri ai bisogni è urgente la coniugazione d'una giustaantropologia del limite con una sapiente pedagogia della creaturalità, nonché l'attenta individuazione delle domandevere cui dare delle risposte giuste. La questione antropologica, in definitiva, evidenzia che il nemico contro il qualebisogna oggi combattere la battaglia di civiltà non è tanto l'ateismo e quindi il problema di Dio-non Dio, ma quelloancora più elementare dell'umanità dell'uomo e quindi il problema di uomo-non uomo. La Chiesa si trova oggi nellanecessità di difendere l'uomo per difendere Dio, mentre prima difendeva Dio per poter difendere l'uomo. Ciò che vienemesso a rischio dal biocentrismo della cultura radicale e da una mentalità di scienza senza coscienza è proprio l'umanitàdell'uomo, quel qualcosa che non si può ridurre a semplice materiale biologico.La scienza, cui oggi si è demandato il compito di risolvere ogni problema umano, togliendolo dalla fede o dalla religione,dispone di un concetto "ridotto" di vita, che consiste nella pura e semplice vita biologica, senz'altro senso né altrosignificato che oltrepassi la pura e semplice funzionalità degli organi umani. L'uomo è ridotto a materia prima, allamateria prima più importante, come scrisse Heidegger già nel 1951. La individualità della vita personale è diluita nellagenericità della vita biologica, nella pura materia biologica, nella funzionalità organica delle "parti separate" dell'uomo.La vita umana è diventata un materiale biologico, una materia di ricambio, una riserva di donazione di organi. Se l'uomoè ridotto a un prodotto della biologia, tutti lo possono manipolare e non è più inviolabile, mentre se è una persona,rimane un mistero che tutti devono rispettare nella sua trascendenza. Prima faceva problema impostare in modocorretto il rapporto uomo-sovrumano, e cioè il rapporto dell'uomo con il soprannaturale, con l'alto, con il divino. Ora faproblema invece impostare correttamente il rapporto uomo-infraumano, cioè il rapporto dell'uomo con l’altro uomo econ le creature a lui inferiori, con il mondo animale e il mondo delle cose. Chiaramente in questa situazione sarà tantopiù difficile riuscire ad avere un rapporto con Dio. Pertanto potremmo affermare l’assioma che la formazione oggi debbaessere impostata sull’uomo per poter arrivare sia all’umanità dell’uomo sia a Dio

Renata Gianni

Questionario

Quando programmo un incontro, qual è la prima cosa a cui penso?

• Che cosa ho fatto la settimana precedente? • Di quale argomento parlerò oggi? • Che cosa è successo in questa settimana di interessante per poterne parlare? • Che cosa devo fare per far lavorare insieme? • Come mi accoglieranno, in che stato d’animo saranno?. • …………………………….

Quando penso alla lezione, che cosa mi preoccupa di più?

• Ho preparato bene tutto l’argomento? • Ho organizzato con precisione tutte le fasi e i passaggi della spiegazione? • Riuscirò a tener desta l’attenzione per tutta l’ora? E se la situazione mi sfugge di mano?• L’argomento sarà interessante o no? Ho un argomento di riserva?• ………………………………• ..............................

Penso che sia andato tutto bene quando:• sono riuscito a svolgere tutto il programma che avevo previsto ; • ho spiegato tutto con chiarezza; • l’argomento proposto ha suscitato un notevole dibattito; • tutti sono stati zitti ad ascoltarmi; • non abbiamo fatto molto, ma ci siamo divertiti tantissimo;

Se dovessi definire il mio modo di insegnare con una metafora, a chi mi paragonerei?Condottiero? Allenatore? Compagno di viaggio?Mamma? Papà? Amico? Cantastorie? Acrobata?maestro?

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1 CAPITOLOProviamo ad entrare nello specifico: il mio intervento si dividerà in tre parti:

1- Crediamo veramente in Dio?2- Come parlarne a un adulto?3- Come nasce il concetto del trascendente?

PRIMA QUESTIONE:LA DOMANDA che come catechisti ed educatori ci facciamo è < COME PARLARE DI DIO OGGI? COME EVANGELIZZARE?>

Guardando la realtà non possiamo non notare che i credenti – se per tali individuiamo coloro che vanno in chiesa-stanno diminuendo in maniera esponenziale e spesso sentiamo dire: <io credo in Dio ma nella Chiesa NO>

Il primo presupposto (errato) è il fatto che si pone la questione con il "come".

"Come" e non "perché", e nemmeno "cos'è parlare di Dio?". Diamo per scontato che le due questioni "perché parlare diDio?" e "cos'è parlare di Dio?" siano già risolte in partenza e che, in fin dei conti, parlando di Dio, sappiamo giàesattamente ciò di cui si tratta, per cui non dovremmo far altro che cercare il "come fare".

La scienza moderna ha accantonato il "cosa" e il "perché" a vantaggio del "come". Infatti non cerca le cause, ma il"come" avviene un fenomeno, come funziona, per conseguire un controllo sulle forze della natura. Il che è certamentemolto utile, ma ovviamente molto limitante, in quanto riduce la nostra visione a una visione funzionale, utilitaristicadelle cose: una visione che si può definire tecnicistica. Pertanto, anteporre il “come” al “perché” significa sottomettersia questa visione tecnica.

Ultimamente anche nella Chiesa spesso soccombiamo al dominio della tecnocrazia. Molti pensano che la nuovaevangelizzazione consista nel migliorare solo le nostre tecniche di comunicazione o la nostra padronanza delle nuovetecnologie. È uno dei problemi attuali nell’insegnamento: abbiamo smesso di sviluppare la pedagogia. Non abbiamosmesso di sviluppare i metodi di insegnamento, ma non sappiamo più perché insegniamo; questo comporta una perditadi motivazioni tanto da parte degli allievi quanto da parte degli educatori

Allora ci dovremmo chiedere <La verità, la bontà, la bellezza, la giustizia a che cosa servono?> Non servono a niente, èvero, non esistono per servire, ma per essere servite. Tuttavia, con il metro dell’utilitarismo, per cui nulla vale se nonpossiamo servircene, la bellezza, la bontà, la verità, la giustizia non servono a niente, salvo nella contraffazione delleloro parodie: la seduzione, l’efficienza, l’apparenza.

Se credere in Dio significa credere che la bellezza, l’amore, la giustizia e la verità vengono da Lui e da Lui sono vivificate,allora è necessario che un vero cristiano lo dimostri:

VIVENDO SECONDO QUESTI IDEALI

SMASCHERANDO I FALSI IDEALI, anche contrastando il linguaggio, che attraverso le <comunicazioni inavvertite>e le <bugie semiologiche> , di cui siamo circondati, ci portano confusione

E’ NECESSARIO RITORNARE ALLA REALTA’, ALL’ESSENZA DELLE COSE

SECONDA QUESTIONESeconda osservazione e seconda perplessità di fronte alla domanda: «Come parlare di Dio oggi?». Ora, parlare nonimplica solo parlare di qualcosa o di qualcuno, ma sempre anche parlare a qualcuno.

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Ci si chiede COME PARLARE DI DIO OGGI E COME PARLARNE AD UN ADULTO, AD UN GIOVANE AD UN BAMBINO… il chesuppone che oggi si incontri una particolare difficoltà. Questa particolare difficoltà, che richiama d'altronde a una nuovaevangelizzazione, è quella di dover parlare di Dio, almeno per noi europei, a popoli scristianizzati. Ma c'è stato mai unperiodo storico in cui fosse più facile parlare di Dio? Spesso si vagheggia una cristianità d'altri tempi, una cristianità in cuitutto era facile, dove si parlava di Dio come si parlava del pranzo di oggi, della pioggia o del bel tempo. Ora, tutta questafacilità per sé stessa fa difficoltà. Come non ricordare le persecuzioni patite nei secoli dai cristiani e che tutt’oggi sonopresenti in tanti paesi del mondo? Ma di per sé, a prescindere dal tempo in cui ci si trova, è facile parlare diDio? Sant'Agostino, nel primo libro delle Confessioni, dice: «Che dice mai chi parla di te? Eppure sventurati coloro chetacciono di te, poiché sono muti ciarlieri». Tutta la nostra riflessione si colloca all'interno di questa doppia affermazione:non possiamo parlare veramente, interamente, pienamente di Dio ineffabile e allo stesso tempo non possiamo tacere dilui

Ora è evidente che "Dio" non è una soluzione finale, ma piuttosto il riconoscimento di un abisso, di qualcosa che cisupera. La parola "Dio" non è tanto una risposta quanto un'invocazione, un'esigenza. E proprio per questo a chi dice <Ionon credo in Dio> bisogna fargli questa domanda <Cosa intendi con questa parola?> La parola "Dio" non è, come si suoldire, un tappabuchi, qualcosa per turare le crepe, ma, al contrario, qualcosa che spalancava un abisso, che preserva ilmistero dell'esistenza, che ci lascia in qualche modo aperti e pieni di meraviglia. La parola "Dio" è la parola che ci diceche non abbiamo l'ultima parola. Il Nome di Dio non è chiusura del dialogo, ma, al contrario, accoglienza del mistero.

Bisogna tener conto poi del problema della banalizzazione della parola "Dio", una banalizzazione fondamentalista, e ilproblema opposto della rimozione umanistica del termine. Si deve stare attenti che il discorso su Dio non escluda ognialtra forma di discorso, che escluda i discorsi sulle cose. È in questo senso che un tale discorso finisce per banalizzare“Dio” e soprattutto lo rende un termine invadente, intrusivo, espulsivo di ogni altra idea, e comporterà una reazione, lareazione dell’ateismo. <Perché mi rimandi a un qualcosa che per me è incerto? Perché fuggi dalla realtà delle cose?> sichiede l’ateo, per cui finirà per convincersi che la fede del fondamentalista, cristiano o musulmano che sia, altro non èche nichilismo.

L’ateo, proprio come il fondamentalista, parla con facilità di Dio. Un ateo non smette mai di parlare di Dio. Il problemadell'ateismo è l'ossessione di Dio, il tentativo di rigettare questa parola ripetendola in continuazione. L'ateo pretende diparlare di Dio con enorme facilità. Ciò che accomuna il fondamentalismo e l'ateismo è questa facilità nell'uso deltermine "Dio", da un lato per una sorta di propaganda meccanica, dall'altro nel tentativo di farla scomparire .

In Matteo si dice: <Molti diranno:” Signore, Signore, non abbiamo forse profetizzato nel tuo nome? E nel tuo nome nonabbiamo forse scacciato demoni?...” Ma allora dichiarerò loro “Non vi ho mai conosciuti. Allontanatevi da me, voi cheoperate iniquità” (Mt 7,22-23). Gesù sta parlando di chi banalizza Dio, a chi lo strumentalizza per accrescere il propriopotere e tornaconto, e non opera nella giustizia.

Ma se possiamo essere giusti senza parlare di Dio, possiamo essere giusti senza Dio.

La rimozione umanistica che troviamo in alcuni cristiani provoca invece la reazione dell'agnosticismo. L'agnosticismodichiara: ecco, è sufficiente essere giusti. Si può essere giusti senza credere in Dio, la conoscenza di Dio non cambianiente. Gli agnostici sostengono una morale, ma una morale senza Dio, perché la morale non suppone la conoscenza diDio. In realtà, la questione andrebbe posta così: Chi ci mostrerà la giustizia? Se suppongo di poter essere giusto senzaDio, significa che io cercherò il fondamento della giustizia in qualcos'altro che non sia Dio, dunque penserò che l'uomo èla misura del giusto e dell'ingiusto.

Ma se l'uomo è la misura del giusto e dell'ingiusto non c'è più nulla di trascendente, non ci sono più leggi trascendenti,dunque tutto diventa manipolabile. E ci troveremo necessariamente o nel lassismo, dove tutto è permesso, o in unanorma di giustizia da imporre a tutti, finendo nel totalitarismo. Non è vero che possiamo essere perfettamente giustisenza una conoscenza almeno implicita di Dio. Perché altrimenti presenteremmo noi stessi come maestri di giustizia, ilche è assolutamente impossibile per l’uomo e quindi falso. La domanda che bisogna porre allora alle persone non è:"Credi in Dio?", ma: "Quale principio divinizzi nella tua vita?". Se sono credente dirò <Dio>, se sono ateo non crederò innulla, ma soprattutto non divinizzerò l'ateismo. Perché se faccio dell'ateismo una sorta di nuova religione, sono incontraddizione. Non devo divinizzare il mio ateismo, non devo nemmeno divinizzare il mio giudizio, non devo divinizzareme stesso, né il denaro, né il piacere, né la letteratura... se sono ateo per davvero, devo accettare di non disporredell'ultima parola, di non avere l'ultima parola

Parlare di Dio quindi non è parlare di una cosa tra le altre, ma parlare dell’origine di tutte le cose. Ecco, senza dubbio, ilpunto più importante: parlare di Dio non è parlare di una cosa tra le altre, come se si trattasse di una super-creatura .Non è una cosa a fianco alle altre, non è una cosa in mezzo alle altre, ma la loro origine trascendente. La parola di Dionon è quindi una parola esclusiva, come crede il fondamentalismo, ma una parola inclusiva. È una parola sempre attentae amorosa, io infatti parlo davvero di Dio se mi meraviglio delle sue opere

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Sullo sfondo allora emerge una questione metafisica fondamentale, la questione della relazione tra il Creatore e lacreatura. Spesso, in proposito, abbiamo una visione concorrenziale. Quando dico visione concorrenziale, mi riferiscoall’idea che per far posto alla creatura bisognerebbe allontanare il Creatore e che, reciprocamente, per far posto alCreatore, bisognerebbe allontanare, cacciare la creatura. Altrimenti, terza possibilità, se vogliamo salvare entrambi,lasciare una parte al Creatore e una parte alla creatura. Ora, queste tre opzioni sono false. La verità è che più vado versola creatura, più vado verso il Creatore, perché è la sua origine. E più vado verso il Creatore, più mi volgo alle creature,perché sono opera sua.

A questo punto dovremmo chiederci come uscire dalle chiacchiere? Come superare lo stadio della comunicazioneanimale? Come accade che una parola sia vera? C'è un requisito fondamentale per la verità di una parola, ed è che laverità della parola deve contenere la verità dell'esistenza.

E che cos'è la verità dell'esistenza? È che io desidero la felicità e che io morirò.

Per questa ragione tutte le parole vere contengono un grido, un grido d'invocazione, l'invocazione verso un Salvatore,l'invocazione di una salvezza, altrimenti non sarebbero che chiacchiera, passatempo. Qui non mi sto riferendosemplicemente a Cristo, al mistero dell’Incarnazione: mi riferisco al mistero stesso della Trinità . Il mistero della Trinità cirivela che Dio non è un oceano di luce anonimo e impersonale, ma è comunione di Persone. Per cui parlare di Dio non ètanto trasmettere un messaggio, ma vivere una comunione profonda a partire dal mistero trinitario. La Rivelazione infondo ci mostra che i volti sono più importanti delle idee. E che se, a un certo punto, preoccupato di trasmettere unmessaggio, mi metto a disprezzare il volto dell’altro, la presenza del mio interlocutore... beh, da quel momento hotravalicato i limiti della verità cristiana.

TERZA QUESTIONE

COME NASCE IL CONCETTO DI TRASCENDENTE?

Tenuto conto di quanto detto, proviamo ad affrontare il TEMA del corso : è possibile educare al trascendente ed ècomprensibile ad ogni età l’importanza di superare l’immanente per elevare il nostro spirito verso ideali capaci

1- di dare senso alla nostra vita 2- di portarci sull’orlo dell’abisso3-di farci desiderare di vedere il volto di Dio, del Tutt’ Altro da me

La psicologia è convinta che la persona non è un puro essere razionale, e neppure un semplice prodotto dell’ambiente edell’educazione; in essa vanno riconosciuti rappresentazioni, interessi, dinamismi e processi autonomi che,incontrandosi con i simboli della religione e orientando a una loro interpretazione, contribuiscono alla scelta, diadesione o di rifiuto, operata da ciascuno nei confronti della dimensione religiosa

L’atteggiamento religioso non costituisce qualcosa di separato dall’insieme dell’esperienza umana, ma è collocata in unorizzonte di totalità e di integrità e costituisce — secondo la felice espressione dello psicologo americano G.W.Allport — una «concezione unificatrice della vita»

Ogni comportamento religioso “si fa”, “cresce” a mano a mano che si fa e cresce la persona stessa, è legato alla suastoria e, insieme, alla storia più vasta che interessa l’umanità intera e si riflette, con comprensibili diversificazioni, suogni momento dell’evoluzione del singolo e del gruppo al quale appartiene.

ASPETTO EVOLUTIVO E GENETICO DELLA RELIGIOSITA’

Il primo livello è legato alla realtà attuale e pone l’accento sul fatto che c’è un’evoluzione che sembra seguire i ritmicronologici della crescita psichica e sociale

Il secondo livello è legato alle “possibilità”, e sottolinea in modo particolare il fatto che esiste anche un’evoluzionelogica, non necessariamente cronologica, nella storia personale di ciascuno, Non si può pretendere allora di fare unalettura psicologica dell’atteggiamento religioso prescindendo dal significato culturale che esso assume in undeterminato contesto storico

Parlare di maturità religiosa significa guardare a come il concetto di sacro si evolve nelle diverse dimensioni, integrate inuna globalità che si esprime lungo tutto l’arco della vita della singola persona, nel suo proprio contesto e attraversomodalità che si differenziano da individuo a individuo, e da cultura a cultura, giungendo all’elaborazione di un’ipotesiesplicativa delle proprie difficoltà esistenziali nell’appello al “radicalmente altro-da-me” L’uomo non può fare a menodella religione, non soltanto quella professata e costituita, ma soprattutto quella silenziosa e soffusa, sottesa ai suoicomportamenti e alle diverse forme di acculturazione religiosa cui sottostà.

La psicologia della religione insegna a considerare l’individuo come un essere in formazione, i cui atteggiamenti riferitiall’Assoluto non si dissociano dalla formazione della sua personalità.

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Per Piaget (1896-1980) ogni fase dello sviluppo cognitivo del bambino è sufficiente perché si possa parlare di maturitàad esso relativa, parimenti per il processo generale di maturazione religiosa della persona si può dire che partecipa dellesingole maturità che si avvicendano man mano che il soggetto cresce, e allo stesso tempo le trascende, integrandoleverso una maturità superiore

Quale Dio?

Secondo Freud a Dio vengono attribuite le qualità che, in seguito al superamento del complesso di Edipo, non possonopiù essere attribuite al proprio padre.

Dio è colui che protegge da ogni pericolo esterno ed è giudice supremo.

Dio rassicura contro la morte con la certezza di una vita ultraterrena, offre la ricompensa a chi fa il bene e fornisce icriteri del comportamento morale.

Ma è un dio lontano, che in breve tempo sarà abbandonato anche nel suo concetto primario

Per Jung la religione non è una nevrosi ossessiva, anzi “l’assenza della dimensione religiosa causa la nevrosi”. Egliaggiunge che il sentimento religioso è il sentimento più vero e genuino dell’uomo perché è l’espressione di un suobisogno fondamentale: quello di mettersi in relazione con un essere supremo che dia consistenza al suo esistere equindi senso alla propria vita

Per BOVET

Il sentimento primario, da cui derivano tutti gli altri è il sentimento filiale , fatto di timore ma soprattutto di amore - Ilsentimento religioso, egli afferma, è il sentimento filiale: il primo oggetto di questo sentimento sono i genitori che per ilbambino sono i suoi primi dèi.

Per ANA RIZZUTO

Si tratta della immagine di Dio che ciascun essere umano si è formato nei primi anni di vita con il contributo dellaesperienze maturate nelle prime relazioni e che in seguito viene modellata dall’individuo a partire dagli apporti sociali eculturali. E' formata a partire dalle immagini dei genitori e di sé, e strutturata mediante un complesso di memoriecomposite che sono viscerali, propriocettive, simboliche, sensomotorie …

Aletti afferma che è necessario

1°- Rimanere sempre fedeli al contenuto del messaggio cristiano;

2°- Rispettare la capacità di comprensione del bambino

La fiducia rappresenta un fondamentale presupposto della fede in Dio”: i bambini che vivono relazioni parentali sane esalde, esprimono concezioni della divinità più positive; al contrario l’indifferenza dei genitori e il disaccordo familiareportano il bambino ad una concezione di Dio tiranno e severo, poco disponibile all’aiuto.

MATURITA’ RELIGIOSA

Il passaggio dall’Io al Tu come diverso-da-sé, come espressione del passaggio dall’eteronomia all’autonomia del propriosenso del sacro, rappresenta un po’ il nucleo centrale di questo processo di formazione religiosa, in cui il contattodiviene una modalità di interazione con se stessi e di riconoscimento dell’altro per individuare le potenzialità nascoste inciascuno. Tale processo, che attraversa l’intero arco della vita, è la premessa fondamentale perché lo sviluppo dellareligiosità sia effettivamente autonomo, pur essendo arricchito dai diversi condizionamenti.

La spiritualità è connessa alla maturità religiosa, anche se molti studiosi oggi negano questa dimensione umana:

Ci sono due concezioni opposte che hanno influenzato la comprensione del termine spiritualità e hanno cambiato ilsignificato dal suo uso paleocristiano. La prima di queste concezioni riprende quella classica dell’opposizione fra anima ecorpo.

La seconda concezione riprende il concetto di spiritualità come interiorità, come qualcosa che è interiore contrapposto aqualcosa che è esteriore come centro e periferia, corrisponde ad un altro archetipo-metafora: interno contro esterno,nucleo sostanziale rispetto a periferia.

Il dualismo viene trascinato in tutta la tradizione occidentale e per noi diviene il dualismo fra mente e corpo, questaquestione in psicologia è attualmente studiata nelle neuroscienze ed è centrale e dibattuta perché la mente è incarnatanel corpo, per cui una mente senza corpo non si dà, ma dall’altra parte non è nemmeno riducibile al corpo.

Nell’ ebraismo invece le cose sono diverse, abbiamo l’alito divino, lo spirito divino, per cui c’è l’individuo, c’è l’animaintellettuale ma c’è anche lo spirito divino. Ma allora di che si parla di spirito divino o di spirito individuale? E qui si

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aprirebbe di nuovo una questione grande.Per il cristianesimo importante è un brano di San Paolo 1Tss 5, 23 «Il Dio dellapace vi santifichi fino alla perfezione, e tutto quello che è vostro, spirito, anima e corpo, si conservi irreprensibile per lavenuta del Signore nostro Gesù Cristo» , in cui questo problema viene riportato. Paolo non rinuncia alla dimensioneebraica e non sposa del tutto la visione greca.

Qual è la differenza fra lo spirito e l’anima se non sono la stessa cosa?

L’anima rimane la cosa che resta più simile a quella che definivano i greci: la psiche intellettuale, la comprensione di Dioe della vita, ciò che ha a che fare con la mente.

Lo spirito è il luogo di Dio, viene da Dio ma è anche il luogo dove abita Dio, dove noi lo accogliamo e dove lui lavoradentro di noi. La riposta dell’uomo e la sua modalità rientrano nella libertà umana.

PSICOLOGIA E SPIRITUALITA’

La domanda della psicologia della religione degli ultimi anni, soprattutto dei paesi anglosassoni, diventa un tema daapprofondire e dunque: quale rapporto tra spiritualità e religione? La spiritualità è il cuore della religione? La religione èciò che è centrale nella spiritualità? Sono ambiti distinti?

La spiritualità è la ricerca del sacro e il cuore e l’anima della religione, mentre la religione diventa la ricerca disignificato del sacro anche nelle pratiche.

Per Winnicott il Sé si costruisce in modo essenzialmente relazionale: il bambino passa da un senso di indistinzione tra sée l’altro, e da un senso di onnipotenza allucinatoria al riconoscimento dell’oggetto. Si parla per la prima volta, con questipsicoanalisti, di relazioni oggettuali: se io sono il soggetto, l’altro è l’oggetto, l’altro sta lì davanti a me. Per capire ladifferenza fra sé e l’altro occorre tutto un percorso, perché all’inizio il bambino non fa questa distinzione fra sé e glioggetti, fra le cose reali presenti qui e le cose immaginate, fantasticate. Sarà con la sua esperienza e con la sua relazionecon l’ambiente e con le persone che si costruisce questa distinzione fra il sé e l’altro, fra il sé e l’oggetto. Mentrericonosco l’altro distinguo me stesso e quindi mi costruisco un senso del sé. Cosa serve per realizzare questo processodi distinzione, di crescita del senso di sé? Winnicott dice che serve madre sufficientemente buona.Il bambino che stabene è quello che gioca, perché quello è il suo spazio, quello in cui costruisce la sua esperienza, il suo sé, e carica larealtà di questa forma di illusione. Questa area intermedia di esperienza viene mantenuta tutta la vita nell’intensaesperienza che appartiene alle arti, alle religioni, al vivere immaginativo e al lavoro creativo scientifico con cuil’individuo ricrea gli oggetti offerti dalla cultura. Qui arriviamo al perché questi autori riscoprono, diversamente daFreud, il valore della spiritualità e della religione.

ALETTIAntropomorfismo, artificialismo e atteggiamento magico sono passaggi obbligati della religiosità infantile.

Non possiamo dimenticare che il linguaggio religioso, anche quello adulto, è essenzialmente antropomorfico, a misurad’uomo: noi infatti non possiamo esprimerci su Dio se non utilizzando un linguaggio umano. Questo linguaggio però nondeve essere spontaneo e irriflesso ma cosciente e indice di una religiosità matura. La maturità religiosa comprende “lapresa di coscienza della relatività delle nostre rappresentazioni di Dio” (ALETTI, 1993, p. 31).Le immagini di Dio sonosempre simboliche ma hanno la capacità di rimandare ad una realtà al di là dell’immagine stessa, a Dio.Le concezioniinfantili di Dio ci dicono molto anche sul mondo adulto: ci mostrano quali sono le nostre preoccupazioni, le nostrepreferenze e le nostre credenze

«Che è l’uomo e a che può servire? Qual è il suo bene e qual è il suo male?» (Sir 18, 7)

Queste domande esprimono l’urgenza di trovare un perché all’esistenza, ad ogni suo istante, alle sue tappe salienti edecisive così come ai suoi momenti più comuni. In tali questioni è testimoniata la ragionevolezza profonda dell’esistereumano, poiché l’intelligenza e la volontà dell’uomo vi sono sollecitate a cercare liberamente la soluzione capace dioffrire un senso pieno alla vita. L’esistenza e l’universalità della domanda sul senso della vita trovano la conferma piùclamorosa nel fatto che chi la nega è costretto ad affermarla nell’istante stesso in cui la nega! Ecco la riprova più solidadel fondamento metafisico del senso religioso dell’uomo. E ciò è in perfetta armonia con quanto abbiamo appena dettosulla religiosità come culmine della razionalità. Il senso religioso dell’uomo non dipende in sé dalla sua volontà, ma èiniziativa di chi l’ha creato

COME FARE con i nostri ragazzi e non solo….???

La REALTA’: che essi conoscono è “questa” , il QUI E ORA, spesso hanno difficoltà a confrontarsi col passato e con lastoria, per cui non riescono a dirsi <questa storia ha a che fare con me>, e allora dobbiamo CALARCI IN LORO E RI-

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COMINCIARE A NARRARE, IN PRIMO LUOGO PRESENTANDO NOI STESSI E LA NOSTRA ESPERIENZA, COME CI SIAMOINNAMORATI DI GESU’, COME è CAMBIATA LA NOSTRA VITA,

POI FACENDO ESEMPI DI SANTI…,DICENDO COSA HA FATTO NEI SECOLI LA COMUNITA’ CRISTIANA, QUALI IDEALI HAREALIZZATO, SEMPLIFICANDO, CHIARENDO LE SITUAZIONI, MOSTRANDO LE <BUGIE DEI TESTI, DEI MASS MEDIA EDELLA PUBBLICITA’>… AIUTANDOLI A TROVARE UNA VITA-REALTA’ AUTENTICA E LIBERA E A DARE SENSOALL’ESISTENZA CON ESPERIENZE MIRATE

APPARENZA E CORPOREITA’:

sembra che tutto sia legato al corpo e all’<apparire bello, forte, ricco..come i calciatori, le veline….> , e proprio perquesto si sviluppano malattie come anoressia, bulimia, ci si fa del male (emo), oppure il corpo diventa l’unicaragione: è necessario allora aiutarli A SCOPRIRE LA PROPRIA IDENTITA’, DI CUI NON RICONOSCONO I CONFINI, EDARE AL CORPO UNA VALENZA SIMBOLICA , CHE LO FACCIA DIVENTARE PUNTO DI FORZA, far capire che il corpo èimportante se unito alla psiche e all’anima, che va rispettato e fatto rispettare, non idolatrato ( ci aiutano la biologiae la psicologia)

che è attraverso il corpo che si scopre un TU e UN MONDO DA CONOSCERE, ESPLORARE, AMARE

L’UOMO E IL CONSUMO: cosa si cerca, perché l’ipad è così importante??? È capriccio??? C’è dietro altro: studiare ildesiderio, il bisogno indotto può nascondere il desiderio come sentore di un ALTRO DA ME, altro e altrove che spesso ènascosto da desideri effimeri,

SOLO LA MIA ANSIA MI DICE CHE SONO NATO PER QUALCOSA D’ ALTRO

CENTRALITA’ DELL’IMMEDIATO, TUTTO E TUTTO SUBITO IL QUI E L’ADESSO: ritroviamo ragazzi e giovani senza storia ememoria…… (cfr.Charmet, Adolescenti, S.Paolo)

L’adolescente ha esigenza di verità sulla sua storia e di risposte da parte della scuola, della famiglia e della comunitàcristiana. Questa ricerca diventa di origine dinamica, la narrazione e l’incontro con l’esperienza dell’altro aiuta arecuperarci…

<se ho un passato ho anche un futuro>

Ai molti ragazzi che hanno passioni tristi e senza speranza si può rispondere con la narrazione (storia delle primecomunità…) ma soprattutto con la capacità di ascoltare, di averne cura e permettere loro di affidarsi solo < nellarelazione vera> si concretizza il campo della fede

2 – CAPITOLOPapa Francesco ci chiede di cambiare il nostro modo di annunciare GESU’

Lettura - Dal Vangelo di Marco [1,21-34]21Giunsero a Cafarnao e subito Gesù, entrato di sabato nella sinagoga, insegnava. 22Ed erano stupiti del suoinsegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi. 23Ed ecco, nella loro sinagogavi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, 24dicendo: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Seivenuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!». 25E Gesù gli ordinò severamente: «Taci! Esci da lui!». 26E lo spiritoimpuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui. 27Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: «Cheè mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!». 28Lasua fama si diffuse subito dovunque, in tutta la regione della Galilea.29E subito, usciti dalla sinagoga, andarono nella casa di Simone e Andrea, in compagnia di Giacomo e Giovanni. 30Lasuocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. 31Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola permano; la febbre la lasciò ed ella li serviva.32Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. 33Tutta la città era riunitadavanti alla porta. 34Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva aidemòni di parlare, perché lo conoscevano

Nel primo capitolo del Vangelo secondo Marco viene narrata una giornata trascorsa da Gesù in una città sul lago diGalilea, Cafarnao. Dopo essere stato battezzato nel Giordano e aver superato la prova nel deserto, Gesù ha iniziato adannunciare il regno, e – chiamati i primi discepoli – ora entra con essi in quella cittadina. Siamo all’interno di quella partedel vangelo che narra il cosiddetto “ministero pubblico”, che si estende fino al racconto della passione. La sezione in cuiviene inserita la giornata di Cafàrnao, nel piano narrativo dell’evangelista, ha anche lo scopo, oltre a narrare l’iniziodell’attività di Gesù, di mostrare il progressivo passaggio dal successo al rifiuto della sua persona e del suo messaggio.

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Anche Gesù in questa parte di vangelo, e durante la giornata di Cafàrnao, compie alcuni passaggi importanti, dovendoattraversare continuamente alcune soglie: da uno spazio pubblico chiuso (la sinagoga) a uno spazio privato chiuso (lacasa) a uno spazio privato aperto (la porta davanti alla casa), e poi oltre la città, oltre Cafàrnao.

A suo modo, il lettore stesso deve seguire una traiettoria che lo porterà a domandarsi continuamente, in ogni pagina,“chi è Gesù”, la stessa domanda che i presenti nella sinagoga si faranno appena lo udranno insegnare (cf. Mc 1,27).Questo interrogativo rilancia sempre in avanti, e copre tutto l’itinerario del lettore, fino alla conclusione del vangelo.

L’icona di Gesù a Cafarnao rappresenta un modello per la Chiesa. In essa si vede Gesù vivere tra la quotidianitàdomestica (quello di un sabato “tipo”) e il mistero (nella preghiera sinagogale e personale), mentre annuncia il regno“da persona a persona”, con parole (insegnando) e gesti di guarigione. Gesù è l’Uomo nuovo, il figlio di Dio, che entra inrelazione con gli abitanti della cittadina della Galilea, attraverso l’amicizia, l’aiuto ai bisognosi, i gesti di guarigione per isofferenti. In questa giornata cresce la domanda su di lui: chi è quest’uomo così diverso dagli altri? Dove conduce il suoinsegnamento?

In questa pagina sono narrate quelle azioni di Gesù che rappresentano una traccia per la Chiesa italiana, la quale graziea quei verbi riscopre in Gesù il nuovo umanesimo: “educare” (l’insegnamento di Gesù in sinagoga), “uscire”, per“annunciare” (come Gesù ha fatto, uscendo dall’edificio sacro ed entrando in una casa e poi, ancora, attraversando lacittà e la regione), ma per “abitare” un luogo – divenendo partecipe della sua vita – senza mancare di “trasfigurare“ogni umanità con la preghiera (comunitaria, come quella sinagogale di Gesù, e personale, il mattino seguente).

1 SCHEDA: USCIRE – ANNUNCIARE – ABITARE – EDUCARE - TRASFIGURARE

«Le cinque vie, cioè i cinque verbi dell’Evangelii Gaudium, sono i percorsi attraverso i quali oggi la Chiesa italiana puòprendere tutto ciò che viene dal documento di papa Francesco e farlo diventare vita» (mons. Nunzio Galantino,segretario generale della CEI). Uscire, Annunciare, Abitare, Educare, Trasfigurare sono le cinque «vie» lungo le quali lacomunità ecclesiale italiana viene invitata a incamminarsi, cominciando con un esame di coscienza. Ma quali sono, ecosa significa ciascuna di esse?

Uscire, incontro agli altri per purificare la fede

Uscire implica apertura e movimento, lasciare le porte aperte e mettersi in cammino. Senza apertura non c’è spazio pernient’altro che noi stessi; senza movimento la verità diventa un idolo («la fede vede nella misura in cuicammina», Lumen fidei, 9). È la disposizione preliminare a ogni altra, senza la quale ci si arrocca sulle proprie certezzecome fossero un possesso da difendere e si rischia di diventare disumani. È l’atteggiamento che deve accompagnareogni altra via, per evitarne le derive. Significa uscire dal proprio io ma anche da un noi difensivo; dai luoghi comuni edall’ansia di classificare e contrapporre. Siamo capaci di metterci in movimento, spingendoci anche fuori dai territoridove ci sentiamo sicuri per andare incontro agli altri? Di ascoltare anche chi non la pensa come noi non perconvincerlo, ma per lasciarci interpellare, purificare la nostra fede, camminare insieme, senza paura di perderequalcosa? Di «camminare cantando»? (Laudato Si’ 244).

Annunciare, Testimoniare il Vangelo con la vita

Annunciare non è una scelta. Se davvero la gioia della buona notizia ci ha toccati nel profondo non possiamo tenerla pernoi. Per annunciare bisogna uscire: «Fedele al modello del Maestro, è vitale che oggi la Chiesa esca ad annunciare ilVangelo a tutti, in tutti i luoghi, in tutte le occasioni, senza indugio, senza repulsioni e senza paura. La gioia del Vangelo èper tutto il popolo, non può escludere nessuno» (Evangelii Gaudium23). «Annunciare» non è sinonimo di «enunciare»:comporta dinamismo appassionato e coinvolgimento integrale di sé, che il Papa riassume in 4 verbi: prenderel’iniziativa, coinvolgersi, accompagnare, fruttificare e festeggiare (EG 24). L’annuncio è testimonianza. «Possa il mondodel nostro tempo ricevere la Buona Novella non da evangelizzatori tristi e scoraggiati, ma da ministri del Vangelo la cuivita irradi fervore, che abbiano per primi ricevuto in loro la gioia del Cristo» (Evangelii nuntiandi 75). Ne siamo capaci?

Abitare, Costruire dimore stabili aperte al mondo

Abitare in tante lingue è sinonimo di «vivere», perché solo l’uomo abita: non si limita a scavare una tana persopravvivere ma, mentre si adatta all’ambiente, lo plasma secondo i significati che ha ereditato e condivide con ilproprio gruppo. Abitare traduce nella concretezza dell’esistenza il «di più» che distingue l’uomo dal resto dei viventi e siesprime costruendo luoghi stabili per l’intreccio delle relazioni, perché la vita fiorisca: non solo la vita biologica, maquella delle tradizioni, della cultura, dello spirito. È dimensione essenziale dell’Incarnazione, insieme a nascita e morte:«il Verbo si fece carne e pose la sua dimora in mezzo a noi». Ci può essere un abitare difensivo, che costruisce muri permarcare distanze o un abitare accogliente, che incorpora l’uscire e iscrive nello spazio segni capaci di educare e

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annunciare; che vede il mondo come «casa comune», per tutti i popoli. Qual è oggi il nostro contributo alle formedell’abitare, nel suo significato più autentico?

Educare, Tirar fuori la passione per ciò che è vero e bello

Educare è il tema scelto dalla Chiesa per il decennio 2010-2020. A che cosa e in che modo vogliamo educarci ed educareper realizzare la nostra umanità? Intanto, l’umanesimo oggi deve essere «integrale e integrante» (Laudato si’ 141)perché «tutto è connesso». Questa «totalità integrata» non è un nostro prodotto ma un dono ricevuto: da quigratitudine e responsabilità, non sfruttamento. Consapevoli che questo è un dono d’amore, da parte di un Padre nelquale siamo fratelli. L’educazione non può prescindere dalla relazione. Come educare? Prima di tutto «uscendo»: e-ducere è «tirar fuori», non riempire di nozioni. Uscire dai luoghi comuni, dal dato per scontato; riscoprire la meraviglia ela passione per ciò che è vero e bello. Rimettere al mondo: l’educatore è in un certo senso un ostetrico, che fa nascere lanostra umanità più piena: con l’esempio prima di tutto, risvegliando la scintilla di infinito che è in ciascuno. Ne siamocapaci? O preferiamo rifugiarci nel sapere preconfezionato?

Trasfigurare , la capacità di vedere oltre i limiti umani

È è ciò che compie Gesù quando, dopo aver vissuto fino in fondo la propria umanità morendo in croce, rivela lapropria natura divina apparendo ai discepoli nello splendore della luce. Loro vorrebbero abitare stabilmentequel tempo-luogo, ma sono invitati ad andare nel mondo come testimoni. Trasfigurare, sintesi delle cinque vie,non è un’azione in nostro potere. Possiamo solo metterci a disposizione, fidandoci e lasciandoci portare dovenon sapremmo mai andare da soli. La via della trasfigurazione è via di bellezza, che rivela l’unità profonda trabontà e verità, terra e cielo. Ci rende capaci di vedere oltre i confini delle cose, cogliendo l’unità profonda ditutto e, pur coi nostri limiti, farci testimoni di Gesù. Siamo capaci di coltivare la nostra capacità di aprirci allagrazia, con la vita spirituale e i sacramenti? Di testimoniare in modo profetico la bellezza del Vangelo?

2 SCHEDA : RICONOSCERSI FIGLI

«Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!».La sua fama si diffuse subito dovunque, in tutta la regione della Galilea (Mc 1, 27-28).

Per approfondire

“Ma chi è l’uomo?” Molte opinioni egli ha espresso ed esprime sul suo conto, opinioni varie e anche contrarie, perchéspesso si esalta cosi da fare di sé una regola assoluta, o si abbandona fino alla disperazione, finendo in tal modo neldubbio e nell’angoscia. La chiesa sente profondamente queste difficoltà e, istruita da Dio che rivela, ad esse può dareuna risposta, che descriva la vera condizione dell’uomo, dia una ragione delle sue miserie, e insieme aiuti a riconosceregiustamente la sua dignità e vocazione.

Le sacre lettere, infatti, insegnano che l’uomo è stato creato a «immagine di Dio», capace di conoscere e di amare ilproprio Creatore, e che fu costituito da lui sopra tutte le creature terrene quale signore di esse, per governarle eservirsene a gloria di lui? L’hai fatto di poco inferiore agli angeli, l’hai coronato di gloria e di onore, e l’hai costituitosopra le opere delle tue mani. Tutto hai sottoposto ai suoi piedi» (Sal 8, 5-7). Ma Dio non creò l’uomo lasciandolo solo:fin da principio «uomo e donna li creò» (Gn 1, 27) e la loro unione costituisce la prima forma di comunione tra lepersone. L’uomo, infatti, per la sua intima natura è un essere sociale, e senza rapporti con gli altri non può vivere néesplicare le sue doti. Perciò Dio, ancora come si legge nella sacra Scrittura, vide «tutte quale le cose che aveva fatte, ederano buone assai» (Gn 1,31)” (Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, n.12).

“Invito ogni cristiano, in qualsiasi luogo e situazioni si trovi, a rinnovare oggi stesso il suo incontro personale con GesùCristo, o, almeno, a prendere la decisione di lasciarsi incontrare da Lui, di cercarlo ogni giorno senza sosta. Non c’èmotivo per cui qualcuno possa pensare che questo invito non è per lui, perché «nessuno è escluso dalla gioia portata dalSignore» (Paolo VI). Chi rischia, il Signore non lo delude, e quando qualcuno fa un piccolo passo verso Gesù, scopre cheLui già aspettava il suo arrivo a braccia aperte” (Papa Francesco, Evangelii gaudium n. 3).

La relazione non si aggiunge dall’esterno a ciò che siamo: noi siamo, di fatto, relazione. Lo siamo prima ancora disceglierlo o di rigettarlo consapevolmente, perché non veniamo da noi stessi, ma ci riceviamo da altri, non soloall’origine della nostra vita, ma in tutto ciò che siamo e abbiamo. Il nostro esistere è un ‘esistere con’ e un ‘esistereda’: impensabile, impossibile senza l’altro. L’essere generati è al fondo di ogni nostra possibile e necessariaautonomia. Non c’è autonomia e responsabilità autentica, senza riconoscere questa dimensione relazionale, veramatrice della nostra libertà. La difficoltà a vivere le relazioni è determinata dalla difficoltà a riconoscerci come “donati ase stessi”. Una vera relazione s’intesse a partire dal riconoscersi generati, cioè figli, cifra più propria della nostraumanità.

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D’altronde, al cuore del senso dell’umano rivelato in Gesù Cristo non sta il nostro essere figli? Non comprenderemmonulla di Gesù – il senso delle sue parole, dei suoi gesti, il suo modo di vivere le relazioni, la sua libertà – fuori dalrapporto che egli ha con il Padre, cioè il suo essere figlio, il Figlio, “Tutto mi è stato dato dal Padre” (Mt 11,27); “Io e ilPadre siamo una cosa sola” (Gv 10, 30). Nel Figlio incarnato è svelata la verità del nostro essere”.Anche noi oggi quando ci lasciamo davvero incontrare dal Signore ci stupiamo, come coloro che frequentavano lasinagoga di Cafarnao, del suo insegnamento e vediamo sorgere in noi degli interrogativi. Gesù infatti ci pone sempredi fronte ad una prospettiva più grande e profonda, più autentica, ad un modo diverso di intendere il nostro essereuomini: la vita di ogni uomo è in relazione all’amore del mistero di Dio, è radicata nel suo dono, è sostenuta dalla suadedizione. Tutta la vita di Gesù è un invito a riconoscerci come figli ‘amati’, a scoprire il fondamento della propriaesistenza nel rapporto con Dio Padre, amante degli uomini e della vita, accogliente, misericordioso, che è alla ‘ricerca’di coloro che sono perduti. L’uomo che si apre alla fede scopre che all’origine del suo vivere sta la dedizioneamorevole del Padre che non cessa di rivolgersi ai figli, di attendere una loro risposta d’amore, di suscitare in loro ildesiderio di bellezza, bontà, verità, giustizia. Questa prospettiva dà una luce nuova alle nostra umanità, con le suerisorse e le sue fragilità; al nostro cuore che è abitato da tensioni, da grandi slanci e meschinità, da generosità edegoismo; alla nostra libertà, non più intesa come semplice ‘possesso di sé’, che può portare alla chiusura in se stessi eall’autoreferenzialità, ma come risposta personale e originale ad una dono ricevuto. Libertà perciò che diventaincontro, attenzione, cura, responsabilità, ricerca del bene, dilatazione del proprio cuore. Per questo Gesù ci invita,proprio perché figli e fratelli, a dilatare la misura delle nostre relazioni fino ad abbracciare tutti.

3 - CAPITOLO

1- LO SVILUPPO SOCIO EMOTIVO: LE EMOZIONI

Cos’è un’ emozione? Viene definita così: sentimento, o affetto che sorge quando una persona si trova nel corso di unevento, di un interazione che riveste una particolare importanza, specialmente per il suo benessere. La presenza diun’emozione è rivelata dalla manifestazione del comportamento, che riflette il piacere o il dispiacere dello stato d’animoo del momento chela persona sta vivendo.

Le emozioni vanno distinte dagli stati d’animo, in quanto questi ultimi non sempre seguono eventi precisi e corrispondoa un umore diffuso, di cui si ha una consapevolezza più sfuocata e imprecisa, generalmente non accompagnata damodificazioni fisiologiche. Le emozioni possono assumere forme specifiche come gioia, paura, rabbia e così via, in baseal momento vissuto e possono variare di intensità.

Le emozioni possono anche essere più sottili, come il senso di disagio in una situazione nuova o la sensazione di unamamma che tiene in braccio il suo bambino. Le emozioni sono influenzate dalla base biologica e dall’esperienza. Oggi siritiene che soprattutto le espressioni facciali abbiano un forte fondamento biologico, inoltre le espressioni faccialitipiche delle emozioni fondamentali come la felicità, la sorpresa, la rabbia e la paura siano uguali in tutte le culture,mentre le differenze culturali riguardano soprattutto il tipo di stimoli capaci di scatenare le reazioni emotive e le regoleche governano le emozioni nelle diverse situazioni sociali.

L’APPROCCIO FUNZIONALISTA ALL’EMOZIONE

Alcuni teorici dello sviluppo oggi tendono a vedere le emozioni come il risultato dei tentativi individuali di adattarsi allerichieste di specifici contesti. Di conseguenza le risposte emotive di un bambino possono essere separate dalle situazioniche le hanno provocate, che rappresentano spesso contesti interpersonali. Secondo l’approccio funzionalista leemozioni sono fenomeni RELAZIONALI piuttosto che strettamente interni o intrapsichici.

Le espressioni emotive svolgono l’importante funzione di segnalare agli altri come ci si sente regolando ilcomportamento di ognuno e giocando un ruolo importantissimo negli scambi sociali.

La vita emotiva di un bambino si sviluppa con l’età, ma quali sono gli indicatori dello sviluppo emotivo? I due concettichiave che indicano gli aspetti importanti dello sviluppo emotivo sono REGOLAZIONE EMOTIVA e COMPETENZAEMOTIVA.

LA REGOLAZIONE DELL’EMOZIONE

L’abilità nel controllare le proprie emozioni è una dimensione chiave dello sviluppo. Parliamo di regolazione emotivaquando controlliamo o attenuiamo efficacemente il nostro stato di attivazione o eccitazione psico-fisiologico peradattarsi e raggiungere uno scopo.

Tra le dinamiche evolutive nella regolazione dell’emozione durante l’infanzia possiamo trovare:

Stimoli da esterni a interni. I neonati fanno soprattutto affidamento su stimoli esterni come i loro genitori, perregolare le emozioni.

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Strategie cognitive. Per esempio il pensare alle situazioni sotto una luce positiva, l’evitamento cognitivo, lospostamento, la focalizzazione dell’attenzione, aumentano con l’età.

Attivazione emotiva. Capacità di controllare le proprie emozioni.

Scegliere e gestire contesti e relazioni.

Fronteggiare lo stress.

I genitori possono aiutare i bambini a imparare a regolare le proprie emozioni e, in base a come essi parlano delleemozioni ai loro bambini, il loro approccio può essere descritto o come allenamento all’emozione o come rifiutodell’emozione.

LA COMPETENZA EMOTIVA

La competenza emotiva si focalizza sulla natura adattiva dell’esperienza emotiva. Per diventare emotivamentecompetenti gli studiosi ritengono sia necessario sviluppare un certo numerodi abilità in contesti sociali che includono:

ABILITA’ ESEMPIConsapevolezza dei propri stati emotivi Essere in grado di differenziare se si prova tristezza

o ansia.Capacità di riconoscere le emozioni degli altri Capire se un’altra persona è triste piuttosto che

timorosa.Conoscenza e utilizzo del lessico emozionale inmodo appropriato dal punto di vista sociale eculturale

Descrivere in maniera appropriata una situazionesociale nella propria cultura quando una persona sisente angosciata.

Sensibilità empatica e solidale alle esperienzeemotive degli altri

Essere sensibili verso gli altri quando sonoangosciati.

Comprensione della differenziazione tra statoemotivo interno ed espressione esterna

Riconoscere che ci si può sentire molto arrabbiati etuttavia regolare l’espressione emotiva così daapparire più neutrale.

Capacità di affrontare in maniera adattiva leemozioni negative utilizzando le strategie diautoregolazione che riducono l’intensità o la duratadi tali stati emotivi

Ridurre la rabbia allontanandosi da una situazioneavversa e impegnarsi in un’attività che tenga lamente lontana da tale situazione.

Consapevolezza che l’espressione delle emozionigioca un ruolo importante sulla natura dellerelazioni (regolazione interattiva delle emozioni)

Sapere che d’abitudine esprimere rabbia verso unamico rischia di rovinare l’amicizia.

Autoefficacia emozionale Un individuo vuole sentire che è capace e che puòefficacemente far fronte allo stress.

2-LO SVILUPPO DELLE EMOZIONI

PRIMA INFANZIA

Distinguiamo tra due tipi di emozioni: EMOZIONI PRIMARIE (chiamate anche fondamentali) si trovano negli umani enegli altri animali, includono la sorpresa, l’interesse, la gioia, la rabbia, la tristezza, la paura e il disgusto. Sono presentinei primi sei mesi di vita. EMOZIONI COMPLESSE (chiamate anche secondarie o sociali), si trovano solo negli esseriumani e dal momento che richiedono cognizione e soprattutto consapevolezza alcuni autori le definiscono autoconsapevoli; includono empatia, gelosia e imbarazzo, che appaiono per la prima volta a circa 1 ½ - 2 anni; orgoglio,vergogna e senso di colpa che appaiono attorno ai 2 anni e mezzo. Nello sviluppo di questo secondo gruppo di emozioniauto consapevoli i bambini acquisiscono e sono in grado di utilizzare modelli e norme sociali per valutare il lorocomportamento.

Non dimentichiamo che non solo i genitori cambiano le loro espressioni emotive in risposta alle espressioni dei neonati,ma sembra che anche i neonati modifichino le proprie in risposta a quelle dei genitori. Grazie a questa coordinazione taliinterazioni sono definite reciproche o sincronizzate.

Prime emozioni o espressione di queste nei neonati sono:

Il PIANTO: che può essere di base (un modello ritmico che consiste generalmente di un pianto, un silenzio piùbreve, un fischio inspiratorio più corto che ha una tonalità più alta del pianto principale e poi una breve pausa prima delpianto successivo); di rabbia (un pianto simile a quello dibase ma con una maggiore quantità d’aria spinta attraverso lecorde vocali); di dolore (un’improvvisa comparsa di un pianto sonoro senza la presenza di un lamento primitivo e unlungo pianto iniziale seguito dal trattenimento del respiro per un periodo prolungato).

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IL SORRISO: anche qui tre tipi di sorriso ENDOGENO o riflesso che non avviene in risposta ad uno stimolo esternogeneralmente nel primo mese di vita e durante il sonno; ESOGENO prodotto da sveglio in risposta a stimoli visivi oacustici; SOCIALE che si verifica come risposta specifica alle persone familiari con le quali si instaura un rapporto sociale.Avviene a partire dai due o tre mesi.

LA PAURA : GENERALMENTE APPARE PER LA PRIMA VOLTA A 6 MESI E RAGGIUNGE L’APICE CIRCA A 18MESI. L’espressione più comune è nota come PAURA DEL’ESTRANEO. Oltre a questo tipo di paura i bambinisperimentano anche un’altra paura: quella di essere separati da chi si prende cura di loro. Il risultato è l’ANSIA DASEPARAZIONE consistente nel pianto o in altri segni di sofferenza. Si manifesta prevalentemente verso i 14-20 mesi egradualmente descresce durante l’infanzia e il periodo prescolare.

Dopo il primo anno di vita il bambino sviluppa gradualmente la capacità di inibire o attenuare l’intensità e la durata dellereazioni emotive.

SECONDA INFANZIA, EMOZIONI AUTOCONSAPEVOLI

L’orgoglio viene espresso quando i bambini provano un sentimento di gioia in seguito all’esito positivo di un’azioneparticolare, esso è un’emozione positiva. La vergogna emerge quando i bambini percepiscono che non hanno raggiuntodei comportamenti standard o degli obiettivi, non è prodotta tanto da una qualche situazione specifica quanto piuttostodall’interpretazione individuale di un evento. Il senso di colpa emerge quando i bambini giudicano il lorocomportamento un fallimento. Il senso di colpa e la vergogna hanno caratteristiche fisiche diverse. Quando i bambinisperimentano la vergogna, spesso cercano di rimpicciolire il loro corpo nello sforzo di scomparire, ma quandosperimentano il senso di colpa generalmente si muovono come se cercassero di correggere il loro fallimento.

ETA’ SCOLARE O FANCIULLEZZA

Aumentata abilità nel comprendere emozioni complesse come orgoglio e vergogna.

Comprensione maggiore che in una situazione particolare si può sperimentare più di un’emozione.

Accresciuta tendenza a tenere in maggiore considerazione gli eventi che producono reazioni emotive.

Marcati miglioramenti nella’abilità a sopprimere o nascondere reazioni emotive negative

Uso di strategie autonome per ridirigere sentimenti.

ADOLESCENZA

È stata descritta a lungo come un periodo di turbamento emotivo. Gli adolescenti non sono costantemente in uno statodi bufera emotiva ma gli alti e bassi emotivi aumentano durante la prima adolescenza. In molti casi l’intensità delle loroemozioni sembra sproporzionata rispetto agli eventi. È importante per gli adulti riconoscere che il malumore è unaspetto normale della prima adolescenza e che molti adolescenti passano attraverso questa fase per diventare adulticompetenti.

ALESSITIMIA: incapacità o difficoltà a riconoscere o descrivere i propri sentimenti, le proprie emozioni.

IL TEMPERAMENTO

È uno stile comportamentale e un modo di rispondere caratteristico di un individuo. Il temperamento o carattere èstrettamente legato alla personalità, ossia all’insieme delle caratteristiche personali durature di un individuo. Iltemperamento può essere pensato come la base biologica ed emotiva della personalità. Il temperamento di un bambinolo dispone verso un particolare stile di sentimenti e reazioni, che rende più probabile per la sua personalità prendereuna forma piuttosto che un’altra.

CONTESTI DI SVILUPPO

Cosa è importante ai fine della continuità e della discontinuità tra il temperamento di un bambino e la personalità di unadulto? Nella continuità probabilmente sono coinvolti fattori psicologici ed ereditari. Il punto di vista contemporaneo èche “il temperamento sia una caratteristica del comportamento a base biologica ma che si evolve con lo sviluppo. Perquesta ragione, gli attributi del carattere diventano sempre più radicati con il passare del tempo, man mano chel’individualità si sviluppa all’interno di una rete di auto percezioni, preferenze comportamentali ed esperienze sociali cheinsieme formano lo sviluppo della personalità”.

ESEMPIO

BAMBINO A BAMBINO B PARENTE Genitori che sono sensibili, accettanti e

lasciano che il bambino decida i propritempi.

Genitori che usano un improprio controllo abasso livello e tentano di forzare il bambinoa nuove situazioni.

AMBIENTE Presenza di stimoli protetti o spazi Il bambino è esposto continuamente ad un

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FISICO difendibili dove i bambini possono rifugiarsiquando ci sono troppi stimoli.

ambiente rumoroso, caotico che non glipermette la fuga dalla stimolazione.

PARI Gruppo dei pari con altri bambini inibiti coninteressi comuni, così che il bambino sisenta accettato.

Gruppo dei pari formato da bambiniestroversi e con ottime prestazioni sportive,così che il bambino si senta rifiutato.

SCUOLA La scuola è “a corto di personale”quindi ibambini inibiti sono meno controllati ehanno più probabilità di essere tollerati esentono di poter dare un contributo.

La scuola è “a eccesso di personale” così ibambini inibiti sono più controllati e hannomeno probabilità di essere tollerati ed è piùprobabile che si sentano sottovalutati.

PERSONALITÀ ESTROVERSEDa adulto l’individuo è più vicinoall’estroversione (espansivo socievole) ed èemotivamente stabile.

Da adulto l’individuo è più vicinoall’introversione e ha più problemi emotivi.

3-IL SÉ E L’ACQUISIZIONE DELL’IDENTITÀ

Genere: si riferisce alle dimensioni psicologiche e socio culturali dell’essere femmine o maschio. Due aspetti del generemeritano una speciale menzione: l’identità di genere e il ruolo di genere. L’identità di genere è il senso si essere femminao maschio, che la maggior parte dei bambini acquisisce intorno ai tre anni. Il ruolo di genere è un insieme che indicacome dovrebbe pensare, percepire, agire una persona in base alla sua identità sessuale.

LA COMPRENSIONE DI SE’È la rappresentazione cognitiva che un bambino ha di se stesso, la sostanza e il contenuto della concezione di sé di unbambino. Ai bambini non viene semplicemente fornito un sé da genitori o cultura, piuttosto essi trovano e costruiscono ipropri sé. Durante lo sviluppo dei bambini la comprensione del sé cambia.

Prima Infanzia: essi non posso esprimere verbalmente la loro visione del sé. Non possono nemmeno comprendere leistruzioni complesse dei ricercatori. Ci si basa quindi solo sull’autoriconoscimento visivo.

Seconda Infanzia: si può iniziare con le interviste. Sono state rilevate cinque caratteristiche principali dellacomprensione di sé dei bambini piccoli:

Confusione di sé, mente e corpo. I bambini piccoli generalmente confondono il sé , la mente e il corpo.

Descrizioni concrete. I bambini in età prescolare si pensano e si descrivono in termini concreti.

Descrizioni fisiche. I bambini piccoli possono distinguere se stessi dagli altri attraverso molti attributi fisici e materiali.

Descrizioni attive. La dimensione attiva nella prima infanzia è una componente centrale del sé.

Supervalutazioni positive irrealistiche. La valutazione di sé durante la seconda infanzia spesso sono irrealistiche erappresentano una sovrastima delle qualità personali. Questo accade perché i bambini piccoli hanno difficoltà adifferenziare tra le loro capacità reali e quelle desiderate, non riescono ancora a generare un sé ideale distinto dal sèreale, raramente si impegnano in confronti sociali, cioè paragoni con gli altri. Inoltre i bambini piccoli hanno l’incapacitàa riconoscere qualità opposte.

Fanciullezza: cinque cambiamenti caratterizzano questa fase:

Caratteristiche interne. I bambini prendono a definire se stessi in termini di caratteristiche interne. Riconoscono ladifferenza tra gli stati interni ed esterni ed è più probabile che includano degli stati interiori soggettivi nella lorodefinizione.

Descrizioni sociali. I bambini iniziano ad includere nelle loro auto descrizione gli aspetti sociali.

Confronto sociale. La comprensione di sé dei bambini in questo periodo include un maggior riferimento al confrontosociale.

Sé reale e sé ideale. Cominciano a distinguere tra il sé reale e quello ideale. Questo implica la differenziazione delle lororeali capacità da quelle che aspirano ad avere e che pensano siano le più importanti.

Realismo. Nell’età scolare l’autovalutazione dei bambini diventa più realistica. Questo accade grazie all’incremento delconfronto sociale e all’acquisizione di prospettive diverse.

Adolescenza:

l’adolescente sviluppa una comprensione di sé

Sfaccettata

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Astratta e idealistica

Consapevole.

Il sé fluttuante.

La conoscenza di sé dell’adolescente fluttua attraverso le situazioni e il tempo.

Sé reale e sé ideale.

La crescente abilità dell’adolescente di costruire un sé ideale da aggiungere a quello reale può lasciarlo perplesso etormentato. Da un certo punto di vista, un aspetto importante del sé ideale o immaginato è il sé possibile o potenziale,ciò che gli individui potrebbero diventare, ciò che vorrebbero diventare e ciò che temono di diventare.

Auto integrazione.

Nella tarda adolescenza la conoscenza di sé diventa più integrata, con la connessione più sistematica delle partidisparate del sé.

Cosa guida questi cambiamenti dall’infanzia all’adolescenza? Gli studiosi parlano del perspective taking: la capacità dicogliere la prospettiva di un’altra persona e di capire i suoi pensieri o sentimenti.

STADIO

STADIO DELL’ABILITÀ DIPERSPECTIVE TAKING

ETÀ DESCRIZIONE

0 Punto di vista egocentrico 3-5 Il bambino ha il senso della differenziazione tra sé e l’altro manon riesce a distinguere la prospettiva sociale (pensieri,sentimenti) di sé e dell’altro. Il bambino sa dare un nome aisentimenti evidenti dell’altro ma non vede la relazione causaeffetto nell’ambito delle interazioni sociali.

1 Perspective takingsociale-informativo

6-8 Il b. è consapevole che l’altro ha una prospettiva sociale basatasul proprio ragionamento, che può somigliare o meno a quelladel b. tuttavia il b. tende a focalizzarsi su una prospettivapiuttosto che integrare i diversi punti di vista.

2 Perspective takingautoriflessivo

8-10 Il b. è consapevole che ogni individuo è consapevole dellaprospettiva dell’altro e che tale consapevolezza influenza ilpunto di vista proprio e altrui di sé e dell’altro. Mettersi al postodell’altro è un modo di giudicare le azioni, i propositi e leintenzioni dell’altro. Il b. può formare una catena coordinata diprospettive ma non può ancora fare il passaggio da questoprocesso a quello della reciprocità simultanea.

3 Perspective takingreciproco

10- 12 L’adolescente realizza che sia se stesso che l’altro possonovedersi reciprocamente e simultaneamente come soggetti.L’adolescente può uscire dalla diade e vedere l’interazione dallaprospettiva di una terza persona.

4 Perspective taking delsistema sociale econvenzionale

12-15 L’adolescente capisce che l’acquisizione della reciprocaprospettiva non sempre conduce a una comprensione completa.Le convenzioni sono considerate necessarie perché sonocomprese da tutti i membri del gruppo (l’altro generalizzato), aldi là della loro posizione, ruolo o esperienza.

CONTESTI SOCIO CULTURALI

Il mondo sociale esterno, così come quello interno, danno forma ai cambiamenti dello sviluppo nella comprensione disé. Mentre il bambino cresce e costruisce sé multipli, la considerazione di sé può variare attraverso le relazioni e i ruolisociali.I sé emergono mentre gli individui si adattano al loro ambiente culturale e sono specifici della cultura. Cosa succede sel’adolescente sperimenta una situazione multiculturale? Questo potrebbe creare sé multipli basati sul loro backgroundetnico.

4-AUTOSTIMA E CONCETTO DI SE’

Autostima: la dimensione valutativa globale del sé; quanto ritieni di valere.Concetto di sé: autovalutazione in ambienti specifici.Misurare autostima e concetto di sé non è facile. La valutazione dell’autostima presuppone che la si definisca in quantoconcetto uni o multi dimensionale. Per esempio il <Profilo dell’autopercezione per bambini> di Harter (The Perceived

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Competence Scale of Children, in “Child Development”, 1982, n. 53) considera il valore di sé e il concetto di sé per 5ambiti specifici: resa scolastica, performance atletica, accettazione sociale, aspetto fisico e condotta comportamentale.Viene utilizzato dalla terza elementare alla prima media. Esiste anche una scala separata per gli adolescenti che valuta ilvalore di sé globale e i 5 ambiti testati per i bambini più tre campi addizionali: amicizia, attrazione amorosa ecompetenza lavorativa.I ricercatori sono in disaccordo su quanto l’autostima possa variare con l’età. Un recente studio ha visto che l’autostimaè alta nell’infanzia, declina in adolescenza e aumenta in età adulta fino alla tarda età quando declina nuovamente.Sottolineiamo che durante l’adolescenza l’autostima delle ragazze decresce molto più di quella dei maschi. Inoltre pareche l’autostima degli adolescenti potrebbe essere influenzata dagli effetti di coorte (effetti dovuti all’epoca in cui unapersona è nata o alla sua generazione, ma non all’età effettiva).Modifiche dell’autostima si pensa siano legate alla resa scolastica e all’interazione familiare. In ricerche più ampie surelazione genitore-bambino e autostima, le seguenti qualità parentali erano associate all’autostima dei ragazzi:Manifestazioni affettuoseInteressamento ai problemi del bambinoArmonia domesticaPartecipazione alle attività di famigliaDisponibilità a fornire aiuto competente e organizzato ai ragazzi quando ne avevano bisognoStabilire regole chiare e lealiRispettare queste regoleLasciare libertà ai bambini all’interno di limiti ben definiti.È possibile aumentare la stima dei bambini identificando gli ambiti per lui importanti dove egli è competente consupporto emotivo e approvazione sociale, con i risultati e con il coping o fronteggiamento.

CONTESTI SOCIALI

L’influenza familiare: la presenza di un’atmosfera familiare che promuove sia l’individualità che le relazioni è importanteper lo sviluppo dell’identità dell’adolescente. L’ individualità consiste in due dimensioni: l’autoassertività –l’abilità diavere e comunicare un punto di vista- e l’unicità –l’utilizzo dei modelli di comunicazione per esprimere come si è diversidagli altri.La socialità consiste anch’essa in due dimensioni: la reciprocità –che implica sensibilità e rispetto per le idee altrui- e lapermeabilità –che presuppone un’apertura verso i punti di vista degli altri.Gli stili di interazione familiare che danno all’adolescente il diritto di contestare e di differenziarsi, all’interno di uncontesto di supporto e reciprocità, promuovono sani modelli di sviluppo dell’identità. Cultura ed etnia: l’identità etnica è un aspetto durevole del sé che include un senso di appartenenza a un gruppo etnico,assieme alle attitudini e ai sentimenti legati a quell’appartenenza.

5-APERTURA AL TRASCENDENTE IN TERMINI EVOLUTIVI

Implicazioni collegate con l’apertura al trascendente del bambinoLa prima idea di Dio che i bambini si formano è un’immagine antropomorfica, che ha le sembianze, spesso, di una

figura paterna, che premia e punisce (Arto, 2008b, 277).Gli educatori devono tenere in considerazione che questa è la modalità delbambino di pensare il Trascendente. Questa considerazione operativamente deve tradursi in almeno due attenzionieducativo-didattiche.Prima di tutto è importante che il formatore, quando parla di Dio, lo faccia utilizzando delle categorie con cuidescriverebbe una persona. Questo è, infatti, l’unico modo che il bambino può comprendere ciò di cui si sta parlando.L’importante è fare questa operazione cercando di non banalizzare nessuno degli insegnamenti religiosi, in modo chenel proseguo della sua crescita il bambino non si trovi a riscontrare di aver ricevuto concetti erronei. Come sottolineatoin precedenza si tratta di presentare ai bambini i nuclei basilari per iniziare ad entrare in contatto con il sapere religioso.Inoltre bisogna prestare grande attenzione nell’utilizzare la metafora paterna per descrivere Dio, in quanto non sempre ibambini hanno un’esperienza familiare positiva alle spalle e questo rischia di falsare la loro comprensione di Dio e delrapporto con Lui. Questo implica, quindi, che si debba utilizzare molto tatto e molto rispetto nel parlare di tematicheriguardanti la famiglia, facendo emergere il valore e dando ragione delle difficoltà. Implicazioni educativo-didattiche nei bimbi dai 6 ai 10 anni

Implicazioni collegate con la socialità del bambino Essi sperimentano l’inserimento progressivo in una “società” di coetanei, che ha norme e regole ben definite ed in

esso si sperimentano quotidianamente, scoprendo sempre di più il mondo delle relazioni interpersonali (Berger, 1996,289).

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Questa realtà evolutiva implica che ci sia da parte dei formatori una grande attenzione ad individuare e ad educare ledinamiche relazionali e comunicative che esistono tra gli allievi nel gruppo-classe. Infatti se non vi è questa accortezza e“l’educazione scolastica si limita fondamentalmente allo sviluppo intellettuale degli allievi, la loro socializzazioneaffettiva e sociale rischia di avvenire in modo incontrollato e di tradursi in una comunicazione asociale, tale da costituireun fattore negativo per la stessa formazione” (Franta, 1985, 130).E’ necessario cogliere le dinamiche relazionali esistenti tra i bambini e di valorizzarle adeguatamente, stimolandoli acogliere come lo stare insieme in modo armonico possa essere un modo per costruire una comunità di persone chescelgono di crescere insieme. Si può utilizzare questa esperienza relazionale per aiutare i bambini a comprendere comela comunità dei cristiani sia una comunità di persone che scelgono di realizzare insieme un cammino per la costruzionedi una società basata sull’insegnamento di Gesù e della Chiesa e per aiutarli a cogliere i segni di questa presenta deicristiani nel mondo.

Implicazioni collegate con l’operatività del bambinoPer il bambino tra i 6 e gli 11 anni quello che lui è capace di “fare” diventa indicatore significativo di ciò che lui è in

grado di essere (Arto, 2008a, 273); questo avviene in modo ancora più evidente rispetto a quanto avveniva nella fase disviluppo precedente. Questo implica, da un punto di vista educativo e didattico, che il bambino sia incoraggiato ascoprire le sue potenzialità, abilità e risorse, in modo da potersi costruire un buon senso di efficacia personale.Operativamente può essere realizzata dall’insegnante un’azione volta a sottolineare gli elementi positivi delleprestazioni, riconoscendo gli sforzi che i bambini fanno per conseguire le mete desiderate,incrementando così la loro fiducia di essere in grado di gestire le situazioni scolastiche. Inoltre l’insegnante è chiamato aridimensionare le esperienze negative, sdrammatizzando le esperienze di insuccesso e le percezioni negativistiche che ibambini possono avere delle loro prestazioni (Franta – Colasanti, 1991, 26-27). Questa modalità può così diventare funzionale per insegnare ai bambini a scoprire le loro risorse e ad utilizzarle per ilbene proprio e delle altre persone, introducendoli così alla consapevolezza della responsabilità che ha ogni cristiano divivere la propria vita come “dono e impegno” .

Implicazioni collegate con la corporeità del bambinoI bambini crescono molto nella loro capacità linguistica in questi anni. Necessitano, quindi, di comunicare verbalmente

e questo serve loro per crescere nella comprensione di se stessi, oltre che per interagire con l’ambiente circostante(Berger, 1996, 268).Questa caratteristica di sviluppo implica che nell’insegnamento venga favorita la crescita del bambino comunicando inmodo adeguato e stando in ascolto attento delle sue comunicazioni.Si deve curare molto la comunicazione con i bambini, sia da un punto di vista non verbale (avendo consapevolezza dellapropria mimica, della prossemica, del tono di voce utilizzato) sia da un punto di vista verbale . Parallelamente è compitofondamentale anche quello di ascoltare attentamente ed empaticamente le forme e le modalità di contatticomunicativi degli allievi, in modo da comprendere i messaggi che vengono loro inviati e di metacomunicare ai bambiniche le loro comunicazioni sono importanti e degne di essere ascoltate (Meazzini, 2000, 72-89).Con i bambini di questa età, infatti, è importante partire con il presentare aspetti dell’umanità di Gesù (come, in questocaso, la capacità di ascolto e di comunicazione) per poi condurre i bambini a cogliere il mistero di Gesù che rivela ilRegno di Dio .

Implicazioni collegate con l’intelligenza del bambinoI bambini della scuola primaria fanno un cambiamento nella loro capacità cognitiva, passando da un tipo di pensiero

intuitivo al pensiero logico-concreto; iniziano in questo modo ad avere la capacità di effettuare ragionamenti veri epropri, anche se ancora basati necessariamente su aspetti materiali e concreti (Flavell, 1971, 208).Questa modalità di ragionamento tipica dei bambini di questa età implica che l’insegnamento venga realizzato mediantestrategie che consentano al bambino di ragionare su esperienze concrete per poter costruire la loro conoscenza. Pertenere in considerazione questa esigenza di sviluppo è possibile utilizzare nell’insegnamento una metodologia diapprendimento esperienziale .Tale metodologia di apprendimento propone di realizzare prima di tutto un’esperienzaeducativa concreta, attraverso la quale gli allievi siano sollecitati al coinvolgimento personale e ad iniziare il processo diapprendimento partendo da un evento concreto della propria vita. Successivamente è proposto all’insegnante distimolare la riflessione degli allievi in gruppo sull’esperienza svolta, in modo che questi possano esplicitare quantohanno vissuto.Solo come terzo momento viene suggerita l’esposizione sistematica di concetti teorici, che possono così essererapportati all’esperienza precedentemente vissuta. Successivamente viene proposta una verifica dell’apprendimento deiconcetti tramite una nuova situazione esperienziale e poi una valutazione conclusiva del percorso di apprendimentorealizzato.

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Implicazioni collegate con l’affettività del bambinoL’affettività del bambino della scuola primaria si realizza in modo particolare nei rapporti di amicizia (Berger, 1996,

291).Ciò implica, da un punto di vista educativo, che i rapporti di amicizia tra i ragazzi siano stimolati e facilitati all’interno delgruppo. Il rapporto amichevole nel gruppo dei pari è molto importante, in quanto favorisce lo sviluppo della personalitàdei singoli membri e contribuisce a creare un clima favorevole per l’apprendimento. Quando esiste un legame diamicizia tra i bambini è più facile che si generino comportamenti solidali, di vicinanza e di aiuto reciproco

Implicazioni collegate con la libertà del bambinoLa libertà del bambino della scuola primaria si realizza nella sua capacità di fare delle valutazioni morali superiori più

raffinate rispetto a quelle dell’età precedente. Egli, infatti, in questa fase è capace di passare da una morale centrata sulproprio piacere ad una morale incentrata sulla corrispondenza del proprio comportamento alle norme sociali (Kohlberg,1976, 52).La scuola esercita un ruolo importante nello sviluppo del ragionamento morale dei bambini (Loubser, 1971, 164). Inparticolar modo i bambini imparano a comprendere ciò che è giusto imitando il comportamento degli insegnanti, deicatechisti. .. I bambini, percependo il maestro come modello, desiderano diventare come lui e cercano di imitare la suacondotta. L’educatore allora deve stare attento a non imporre il proprio punto di vista condizionando il ragazzo.

Implicazioni collegate con l’apertura al trascendente del bambinoI bambini dai 6 ai 10 anni continuano ad avere, come nell’età precedente, un’immagine antropomorfizzata di Dio.

L’elemento di crescita importante in questo periodo è collegato con il fatto che i bambini iniziano a porsi per la primavolta delle domande sul senso degli eventi umani con i quali si confrontano (Arto, 2008b, 121).Uno dei compiti dell’educazione e, quindi, anche quello della scuola “non è quello di trasmettere delle conoscenze edelle nozioni, ma piuttosto di affinare la coscienza in maniera tale che l’uomo possa scorgere le esigenze racchiuse nellesingole situazioni” (Frankl, 1990, 108). Questo implica che gli educatori siano pronti a stimolare i bambini a cercarerisposte alle loro domande di senso prima ancora di offrire loro delle risposte predeterminate. Un compito privilegiatoin questo senso è quello del docente di Religione e del catechista, i quali dovrebbero essere le figure preposte adaiutare gli allievi a rispondere alle domande che stanno iniziando a porsi sulle diverse realtà della vita umana. Questoimplica che si sia disponibili e preparati per rispondere in modo sereno e competente sui temi riguardanti la sofferenza,la malattia, la morte, l’inizio della vita e di offrire contemporaneamente conoscenze sulla posizione cristiana in merito aqueste realtà. È questo un modo per aiutare i bambini a cogliere gli “aspetti tangibili del cristianesimo che riguardanol’esperienza cristiana, i fatti di vita, le persone” .Implicazioni collegate con la socialità del preadolescente

I preadolescenti vivono in modo molto forte la loro appartenenza al gruppo dei pari; non di rado si conformano algruppo al quale fanno riferimento (Craig, 1982, 436-441). Il gruppo è una realtà aggregativa rilevante; questo implicache ci sia una grande attenzione a tenere in considerazione le dinamiche relazionali presenti Operativamente questocomporta il fatto che si eviti atteggiamenti di autoritarismo, ma che piuttosto ci si ponga in modo autorevole neiconfronti degli allievi. Infine appare rilevante che l’educatore dia stimoli affinché i ragazzi passino dalla conformazione algruppo alla valorizzazione delle proprie caratteristiche individuali (Craig, 1982, 418-430) e al rispetto per gli altri.

Implicazioni collegate con la corporeità del preadolescenteI preadolescenti vivono un grande cambiamento dal punto di vista corporeo a motivo della pubertà (Galli, 1990, 17). L’

educatore è chiamato a sostenere i ragazzi in questo momento di crescita così importante dando un contributosignificativo e competente. Il primo contributo che si può dare in questo senso è quello di descrivere ai ragazzi conoggettività e normalità i cambiamenti che stanno vivendo. Molto spesso, invece, i mutamenti connessi con la pubertàvengono presentati come momenti critici, difficili, anziché come effetti di una normale tappa di crescita (Bracconier,1992, 43-44). Questo atteggiamento può comportare nei ragazzi unincremento del disorientamento che già sperimentano.Inoltre siamo chiamati a parlare con i ragazzi in merito ai cambiamenti fisici che stanno vivendo: dello scatto di crescita,delle modificazioni sessuali, dello sviluppo nella capacità di movimento e di coordinazione. Questo è necessario affinchéabbiano le giuste informazioni sulla loro crescita e non coltivino dubbi o concezioni erronee su quanto stannosperimentando.

Implicazioni collegate con l’intelligenza del preadolescenteI preadolescenti vivono, nel loro processo di sviluppo cognitivo, il passaggio dal ragionamento logico-concreto al

ragionamento logico-formale: diventano pertanto capaci di manipolare i concetti e di fare ragionamenti su aspettiipotetici (Flavell, 1971, 254-279). Le implicazioni educative che ne conseguono sono le seguenti: prima di tutto ènecessario considerare i ragazzi come capaci di attuare un apprendimento di tipo verbale e astratto, molto di più che

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nelle età precedenti. Inoltre appare l’esigenza di strutturare il dialogo utilizzando tecniche attraverso cui ilpreadolescente possa fare esperienza di “scoperta” della realtà e di soluzione diretta dei problemi.

Implicazioni collegate con l’affettività del preadolescenteI ragazzi vivono in modo molto intenso l’aspetto affettivo ed emotivo ed in particolar modo lo realizzano

nell’esperienza dell’amicizia e dell’innamoramento (Craig, 1982, 446). L’intensità delle emozioni che sperimentano sievidenzia in ogni ambito ed ha un’incidenza relativamente all’apprendimento.Si richiede, pertanto, che gli educatori siano capaci di cogliere la situazione personale degli allievi e siano in grado dicomunicare loro quanto hanno compreso, in modo da guidarli in un percorso di autoconoscenza che li aiuti a gestiresempre meglio il mondo emotivo che vanno scoprendo (Franta – Colasanti, 1991, 27). Inoltre, i preadolescenti stannovivendo il loro primo approccio con la sessualità. Un aspetto educativo da tenere in considerazione rispetto a questotema è che “il preadolescente ha bisogno di sapere cosa gli sta succedendo per poter accogliere la propria sessualità edimparare ad accettarsi per quello che è” (Tierno, 1996, 160). Per questa ragione gli educatori sono tenuti ad essere gliinterlocutori privilegiati con cui i ragazzi possono confrontarsi sulle tematiche inerenti ai vissuti sessuali. Questo implicache gli aduti siano in grado di ascoltare i ragazzi evitando di operare moralizzazioni o dogmatizzazioni in merito ai lorovissuti o comportamenti; queste modalità, infatti, rappresentano un ostacolo per la comunicazione e possono impedireuno scambio autentico con gli allievi (Franta, 1988, 181).

Implicazioni collegate con la libertà del preadolescenteI preadolescenti sperimentano e realizzano la loro libertà staccandosi progressivamente dalle figure genitoriali e

cercando rispetto ad esse un’autonomia di azione e di giudizio (Bracconier, 1992, 84).La scuola e l’oratorio possono essere un ambiente importante per facilitare nei ragazzi la transizione dalla famiglia almondo sociale (Arto, 2008b, 23). Questo implica che uno dei compiti importanti che gli educatori sono tenuti arealizzare è quello di facilitare nei ragazzi una maggiore indipendenza dalle figure genitoriali e l’iniziale inserimento nelmondo sociale adulto (Moreno, cit. in Arto, 2008b, 23). Operativamente possono aiutare gli allievi in questo percorsoaccompagnandoli a scoprire le loro aspirazioni personali e insegnando loro a confrontarle con le reali capacità, in mododa progettare insieme dei percorsi verso mete raggiungibili.

Implicazioni collegate con l’educabilità del preadolescenteI preadolescenti sono in un processo nel quale cercano di costruire la loro armonia personale integrando i diversi

aspetti che stanno cambiando in questa fase della loro vita. In questo processo sono particolarmente sensibili ai modellicon i quali si identificano (Del Core, 1990, 97).Ciò implica che gli educatori devono avere consapevolezza che, per il ruolo che svolgono, sono dei modelli da cui iragazzi imparano. Per questa ragione, per essere dei modelli efficaci, devono manifestare ai ragazzi vicinanza e caloreaffettivo, elementi che consentono agli allievi di percepireli come modello raggiungibile. Inoltre sono chiamati amanifestare coerenza tra quanto propongono ai ragazzi e quanto vivono nella loro vita e ad essere sempre modelliattraenti, di valore, esplicitando l’importanza di quanto propongono (Arto, 2008a, 182-184).

Implicazioni collegate con l’apertura al trascendente del preadolescenteIn questa età i ragazzi esplicitano le loro domande sulla vita molto di più che nelle età precedenti e ristrutturano anche

il loro modo di rapportarsi alla religione, allontanandosi dalla religiosità infantile percepita come insufficiente (Rogers,1972, 216). Contemporaneamente ricercano risposte alle domande profonde sulla propria identità (Garbarino,1985,298).Le implicazioni educative che conseguono a queste esigenze di sviluppo possono così essere enucleate. Prima di tuttogli educatori sono implicati nell’aiutare gli allievi a prendere coscienza del valore della propria vita aiutandoli adistinguere i bisogni autentici dai bisogni indotti; in tal modo si dà un significativo contributo alla costruzione del sensodella loro vita (Del Piano, 1990, 289). Questo in modo da poterli aiutare a trovare nel messaggio evangelico deglielementi utili per la costruzione di un proprio progetto di vita. Una seconda implicazione educativa è collegata conl’aiutare i ragazzi ad aprirsi a nuove forme di comprensione di Dio e del mondo religioso, più adeguate con lo sviluppoglobale dei soggetti e rispondenti alla capacità dei preadolescenti di ragionare in modo più complesso sui temiriguardanti la vita (Del Piano, 1990, 290). Implicazioni educativo-didattiche per gli adolescentiImplicazioni collegate con la socialità dell’adolescente

Per l’adolescente la dimensione del gruppo è fondamentale, in quanto lo aiuta a sentirsi appartenente ad un nucleo dipersone che lo sostiene nel suo processo di ricerca dell’identità (Arto, 2008b, 48). E’ importante la discussione in gruppoe il ragazzo deve avere chiara la tematica della quale trattare, ma essere libero da schemi precostituiti, in quanto lacostruzione della lezione avviene tramite lo scambio con i ragazzi, effettuato mediante domande e risposte. I vantaggi diquesta metodologia stanno nel fatto che gli allievi sono più motivati, in quanto possono partecipare direttamente;

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inoltre in questo modo i ragazzi hanno l’opportunità di imparare ad esprimersi chiaramente, a giustificare le loroopinioni e a comprendere le differenze di idee che possono esserci tra le diverse persone del gruppo (Woolfolk, 1996,489). Implicazioni collegate con l’operatività dell’adolescente

Il ragazzo vive in questa età il suo bisogno di fare e di realizzare come modo per comprendere e costruire la propriaidentità, che è il compito evolutivo più importante nell’adolescenza (Erikson, 1995, 72). Questo educativamente implicache l’educatore sia attento prima di tutto a cogliere il significato che hanno i comportamenti dei ragazzi: prima dietichettarli si tratta di comprenderli, in modo da poter dare le corrette risposte educative (Arto, 2008b, 50).Inoltre nell’ oratorio (e a scuola) i ragazzi dovrebbero poter acquisire competenze e abilità per saper fronteggiare larealtà che li circonda e le sfide evolutive che li attendono in modo funzionale, senza dover mettere in attocomportamenti rischiosi. Ciò comporta la necessità che gli educatori sappiano fornire ai ragazzi un’adeguata strategiaper la soluzione dei problemi, in modo che possano avere gli strumenti adeguati per risolvere le diverse situazioni dellavita. Si tratta di insegnare agli allievi a percepire correttamente qual è il problema che stanno vivendo, a definirlocorrettamente, in modo che sia chiaro qual è il nucleo problematico della situazione, a cercare alternative di soluzione ilpiù disparate possibili, che siano successivamente valutate secondo un parametro di costi e benefici e quindi applicate,partendo dalla più economica (Meazzini, 2000, 154-167).Implicazioni collegate con la corporeità dell’adolescente

La conoscenza e la rielaborazione dell’immagine corporea insieme alla formazione di un’adeguata identitàpsicosessuale sono compiti di sviluppo molto importanti per gli adolescenti (Arto, 2008b, 49). Gli educatori si trovano difronte a ragazzi che stanno vivendo tutti questi cambiamenti e che necessitano di essere aiutati a trovare un equilibrionel modo di rapportarsi con se stessi. I ragazzi devono essere aiutati ad accettare le diversità; queste, infatti rischiano diessere vissute in modo drammatico, vista l’importanza che a questa età viene attribuita alla componente corporea. Ilmessaggio che l’insegnante è chiamato a trasmettere ai ragazzi è che qualsiasi tipo di diversità è propria dell’essereumano, che è un essere molto ricco e al contempo limitato (Arto, 2008b, 49).Di conseguenza gli educatori dovrebbero stimolare i ragazzi a ricercare e a stimare le proprie risorse personali anzichéfocalizzarsi unicamente sugli aspetti di diversità, in modo da poter crescere adeguatamente nell’accettazione di sé (Arto2008b, 49). Implicazioni collegate con l’intelligenza dell’adolescente

I ragazzi nell’adolescenza crescono nella loro capacità di pensare e sperimentano il “potere del pensiero” (Camaioni –Di Blasio, 2002, 233). I ragazzi, hanno quindi una competenza nel pensare molto elevata. Si devono valorizzare questacompetenza e a far leva su di essa per stimolare i ragazzi ad utilizzare le loro nuove capacità cognitive per diventaresempre più artefici responsabili della propria vita. Ciò implica che non si cada nella logica della “sostituzione”, cometalvolta avviene nelle relazioni educative. Gli adulti, infatti, rischiano non di rado di mettersi al posto dei ragazzi e didecidere a nome loro, anche quando questi sarebbero in grado di produrre risposte adeguate (Arto, 2009b, 27).L’atteggiamento educativo opposto a quello della sostituzione è il “rispetto” che indica l’atteggiamento di stima e diconsiderazione delle risorse e delle potenzialità degli interlocutori. Implicazioni collegate con l’affettività dell’adolescente

Gli adolescenti vivono con grande intensità il polo dell’affettività e manifestano bisogni collegati con l’intimità, lasessualità e la sicurezza (Arto, 2008b, 49). Anche nell’ambito dell’oratorio i ragazzi cercano una risposta a questi bisognievolutivi. In questo senso gli educatori prima di tutto dovrebbero comprendere che nei ragazzi esiste questa importanterealtà di sviluppo. In secondo luogo siamo tenuti a prestare attenzione al fatto che gli adolescenti sperimentano una“iper-differenziazione dei sentimenti”, pertanto vivono le loro emozioni come se mai nessuno prima di loro avesse maisperimentato qualcosa di simile (Arto, 2008b, 47). Questo implica che quando avvengono comunicazioni personali deiragazzi debbano essere accolte con rispetto senza essere in alcun modo sminuite o generalizzate, pena il fatto che ilragazzo non si senta compreso nel suo vissuto.Inoltre gli educatori hanno il compito educativo di guidare gli adolescenti nella conoscenza relativa all’ambito dellasessualità che stanno scoprendo ed iniziando a sperimentare. Tale conoscenza va promossa non solo da un punto divista biologico e scientifico, ma anche valoriale. Implicazioni collegate con la libertà dell’adolescente

Gli adolescenti crescono nella loro capacità di giudizio morale (Berger, 1996, 340). Inoltre sono molto sensibili almondo degli ideali (Arto, 2008b, 45). L’ oratorio dovrebbe configurarsi come un contesto nel quale i ragazzi possanoconfrontarsi con norme e valori coerenti, in modo tale da poter essere stimolati a crescere nella loro capacità digiudicare moralmente (Craig, 1982, 485).In particolar modo è necessario attraverso la trasmissione della conoscenza dei valori cristiani, offrire ai ragazzi deiparametri attraverso i quali valutare la realtà ecomprenderla anche sotto il punto di vista morale. Inoltre si può aiutare i ragazzi a scoprire che ci sono ideali importantiche hanno sostenuto la vita di molte persone ed aiutarli a trovare quali sono gli ideali sui quali possono essi stessi basarela loro esistenza aiutandoli a “confrontare la novità della proposta cristiana con scelte personali e sociali presenti nel

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tempo” (MIUR – CEI, 2005, 3). Per fare questo all’educatore è richiesto di stimolare i ragazzi a distinguere gli ideali dalleidealizzazioni e a mostrare quali sono gli ideali verso i quali ogni persona può tendere.Implicazioni collegate con l’educabilità dell’adolescente

L’adolescente è alla ricerca della sua armonia personale, in quanto sperimenta di non essere totalmente armonico amotivo dei grandi cambiamenti che sta sperimentando. Inoltre cerca di ridefinire il suo senso di efficacia personale(Bandura, 2000, 252). Questo implica che l’ oratorio dovrebbe fornire ai ragazzi stimolazioni per realizzare questoprocesso di ricerca di un nuovo senso di efficacia personale. Concretamente questo può essere realizzato prima di tuttofacilitando nei ragazzi esperienze di padroneggiamento attraverso l’azione diretta, ovvero valorizzando le esperienze disuccesso dei ragazzi (Bandura, 2000, 122).Implicazioni collegate con l’apertura al trascendente dell’adolescente

I ragazzi possono cercare in questo periodo nella religione o nel rapporto con il trascendente una risposta ai bisogni dicomprensione, di vicinanza e di accettazione che non riescono a soddisfare in altro modo (Arto, 2008b, 47). Il catechista-formatore è, rispetto a questa tematica, l’interlocutore privilegiato per fare un cammino di crescita e di comprensionesempre più profonda del ruolo che ha la religione nella vita di una persona.Egli è chiamato a conoscere e a comprendere adeguatamente la situazione degli allievi, le loro domande di fondo e gliaspetti che stanno cercando di colmare nella loro esperienza di adolescenti. Soprattutto è chiamato a comprendere e adaccogliere tutte le domande e le sollecitazioni che gli vengano dagli allievi in qualsiasi modo gli arrivino, stando attento adecodificarle in modo adeguato e a leggerle come bisogni di crescita dei ragazzi (Arto, 2008b, 53).Allo stesso modo si deve essere capaci di dar ragione in modo scientifico e serio delle proposte che fa ai ragazzi, intermini di contenuti e di metodologia; questo in modo tale che gli allievi possano accettare o meno la proposta deicontenuti religiosi per il loro valore .

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