dialoghi tra medico, infermiere e paziente

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DIALOGHI TRA MEDICO, INFERMIERE E PAZIENTE APPROFONDIMENTI SU ESPERIENZE VISSUTE il Mio dolore

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Page 1: DIALOGHI TRA MEDICO, INFERMIERE E PAZIENTE

DIALOGHI TRA MEDICO, INFERMIERE E PAZIENTEAPPROFONDIMENTI SU ESPERIENZE VISSUTE

ilMiodolore

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Page 2: DIALOGHI TRA MEDICO, INFERMIERE E PAZIENTE

Progetto editoriale: Lorenza SainiGrafica e impaginazione: Osvaldo Saverino

Fondazione Paolo Procacci Onlus Via Tacito 7 – 00193 RomaTel. 339 6195974 - [email protected]© Copyright 2013 Fondazione Paolo Procacci OnlusFinito di stampare nel mese di Maggio 2013 da Press Up s.r.l.

www.fondazioneprocacci.org

Realizzazione editoriale a cura della Fondazione Paolo Procacci Onlus,in collaborazione con l’Associazione Italiana per lo Studio del Dolore, l’Associazione Sammarinese per lo Studio del Doloree l’Associazione V.A.DO. Volontariato per l’assistenza domiciliare

Questo fascicolo è dedicato alle storie dei pazienti con dolore cronico, alle loro esperienze, alle loro aspettative.

Alcune di queste storie sono commentate dagli esperti, altre non hanno bisogno di commenti: testimoniano semplicemente quanto sia difficile convivere con il dolore cronico, quanto sia difficile, a volte, essere ascoltati.

Migliorare la relazione di cura influisce non poco sul successo delle terapie, così come è importante che il paziente sia sempre ben informato sulla sua malattia ed educato a gestire la quotidianità del problema.

Conoscere anche i propri diritti, come paziente, è molto importante; per questo, a fianco di alcune pagine dedicate a spunti di approfondimento e di informazione, ne troverete altre dedicate alla legge 38/2010 (che ha sancito il diritto di non soffrire inutilmente), per meglio conoscerla e farla rispettare.

Un particolare ringraziamento ai pazienti, ai medici e agli infermieri che hanno collaborato alla stesura di queste testimonianze e riflessioni.

Fondazione Paolo Procacci Onlus

Parte del contenuto di questo fascicolo è stato pubblicato nel supplemento della rivista Pain Nursing MagazineItalian Online Journal n. 3/2012 (www.painnursing.it)

Per commenti e testimonianze scrivete a [email protected]

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3 < il mio dolore

Sommario- Il dolore questo strano compagno di vita.

Che non ti abbandona, quasi mai /4

- Il dolore centrale post-ictus /6

- Raccontare il dolore /7

- Un dolore senza voce /8

- L’educazione terapeutica del paziente /9

- I pesci piranha nel fianco /10

- Mimmo fa il camionista /13

- Mio padre è un malato oncologico /14

- La Medicina incentrata sulla Persona /17

- Una vita stravolta /18

- Dolore e sonno: “un binomio inscindibile” /20

- Dolore cronico e depressione /20

- Non soffrire inutilmente:

dall’Ospedale senza dolore all’Ospedale-Territorio senza dolore /21

- Lotta al dolore: un tuo diritto, un nostro dovere /22

- Dolore viscerale: l’epidemia silenziosa /23

- Come si misura il dolore /24

- Quando mamma e papà sono in ospedale /26

- Anche gli animali soffrono /28

- La medicina narrativa /30

La ricerca e la formazione servono a tutti!Aiutaci con una donazione.

ilMiodolore

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il mio dolore > 4

Le neuropatie, dolorosissime, farmacoresi-stenti e che permangono sempre tali, ren-dono pessima la qualità di vita. La speranza, che non si affievolisce mai, èquella che ti porta incessantemente a volerindividuare, prima o poi, una soluzione effi-cace. Era il 28 giugno 2006 quando il mondo misi è radicalmente rovesciato addosso. Dalla sera alla mattina. Dalle stelle alle ... stalle.Mi trovavo a cena, quella sera: la terra, soloper me, mi tremò sotto i piedi e davanti aimiei occhi scorse una pellicola che si stava in-terrompendo. Ma anziché evidenziare, come al cinema, ilcolore nero a perimetro del bianco, disegnòbordi rossi, a scorrere esternamente ad un co-lore bianco centrale che stava proprio a signi-ficare che qualcosa ... s'era proprio inceppato. Io. Si, proprio io. Entrai così in ospedale dopo ben cinquan-t'anni di vita vissuta, in crescente, appagatacarriera professionale e sempre ben distantedal medico della ... mutua. In ospedale subii esami e controesami, comeda intonso protocollo medico. Ero conscio, muovevo regolarmente gli arti,riuscivo a girarmi e rigirarmi nel letto. Ero stato colpito da una forma lieve di ictusischemico. Mi vidi già dimesso, dopo un po’ di cure me-diche e qualche seduta di fisioterapia.A distanza di una settimana ebbi a mezza-notte, un secondo episodio, molto molto piùgrave del primo, che mi devastò totalmente,ma che mi fece comunque rimanere semprecosciente e consapevole. Non mi trovavo in una bella situazione.I primi mesi, in terapia intensiva, li ricordo

intrisi di sogni, incomprensibili, surreali, or-ridi ed inimmaginabili. In uno di questi, vissi una vita di prigioniero,condannato ad una morte atroce.Tagliuzzato. Come i ... polli ch'erano avanti a me. Ma non so come ed in quale modo, mi salvai.In un altro sogno promisi un riscatto perpoter esser liberato immediatamente.Ho ancora oggi ben presente l'importo cheoffrii per questo tentato e sperato accordo.Un'infermiera mi raccontò, qualche mesedopo, che proprio a lei chiesi pietà e libertà.Cambiai istituto di cura, con un viaggio ...in elicottero. L'eliambulanza.Sono stato ben undici mesi in ospedale, trat-tato farmacologicamente, ma mai venni ope-rato, in quanto di difficile ed imprevidibileesito.Fortuna, oppure no?I primi dolori mi morsero immediatamenteall'anca sinistra (trattati con radioterapia) equindi ai cervicali (con sedute di agopun-tura), al tronco del corpo, alle spalle, allamano sinistra. Ma poi, come sono venuti, se ne sono, for-tunatamente, andati. Dopo quasi un anno cominciai -ahimè- adaccusare un formicolio, inizialmente aspro-dolce, ma che si affiancò immediatamente adun forte dolore che si manifestò su entrambigli arti destri. Questo formicolio misto a dolore, insoppor-tabile ed invivibile ... come se fossi sommersoda una montagna di carboni ardenti non sen'è più andato via. Quante notti insonni. Ho cercato, da buon internauta, un possibilerimedio in rete e, con lo specialista che viavia mi confermava il consenso, ho tentato ...di tutto.

Dai farmaci (tanti, purtroppo anche oggi),sia oppiacei sia cannabinoidi, morfina com-presa, alle terapie fisiche, all'agopuntura, altrapianto (all'estero) di cellule staminali au-tologhe, all'ipnositerapia, alla psicoterapia,all'inserimento - a livello corticale - di unelettrostimolatore. Ma niente. Proprio niente. Nemmeno un po’di beneficio.Il dolore (tanto per fare un altro esempio) simanifesta come se avessi -ahimè- entrambigli arti immersi, senza pelle, in una soluzionedi alcol. Ovviamente questo non voluto sintomo mirende pessima la qualità di vita, e non solo ame (penso a mia moglie e a mio figlio, inquanto, amorevolmente, mi vogliono a casa,la mia). Mi sono posto anche sotto le mani di unpranoterapeuta. Un santone.La suggestione: mi portò ad ipotizzare timidisegnali di contrazione del dolore.Ma è stata vana speranza.Come le successive sedute di shiatsu. Poi uno specialista (neurologo) mi spazzò viaquel lieve barlume che mi aveva sempre te-nuto (nonostante tutto) vivo, visto che lasperanza (una illusione?, una finzione? unistinto che abbiamo dentro?) fa sempre mi-racoli ed è - come si dice - l'ultima a morire.Mi scrisse: divinum est sedare dolorem!Tracollai, piansi, ma non disperai.Ritornai a consigliarmi con l'oramai amiconeurologo, che mi ha sempre compreso, so-stenuto e mi ha perdonato ogni mia divaga-zione.Mi propose di sperimentare l'infusione didue farmaci. Il primo per poter diveniremeno rigido nei muscoli, il secondo per ab-battere il dolore. Il tutto a livello intratecale.

Il dolore questo strano compagnodi vita... che non ti abbandona,quasi maiLe neuropatie, dolorosissime, farmacoresistenti e che permangonosempre tali, rendono pessima la qualità di vita.

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5 < il mio dolore

Ovviamente mi sottoposi anche a questasperimentazione. Ma ottenni un altro buconell'acqua.Ho pianto, pianto, pianto.La mia vita, che sempre m'ero costruita concaparbietà, venne ancor di più intrappolatain una via ... senza fine.Incapace di guarire.Incapace di morire.Non è stato un bel periodo.Ricordo che da una parte continuavo inces-santemente a googglare e a linkedinare (la miacaparbietà emergeva, ancora un po’), dall'al-tra chiesi ad un amico di individuare unastrada per un mio ultimo viaggio in Svizzera.Ricordo che si rifece vivo, telematicamenteparlando, l'amico neurologo che oltre a pro-pormi la sperimentazione di svariati farmacie metodiche antalgiche, mi infondeva anchesperanza, molta. Terapia efficacissima. Quasi oramai pressoché scomparsa dal com-parto medico.Fui accompagnato ad un suo ennesimo con-sulto. Mi propose di sperimentare un ultimonuovo preparato.Ovviamente accettai.Non so se sia la speranza che m'ha profuso,oppure il nuovo farmaco, oppure la mia so-glia di accettazione del dolore che s'è innal-zata, sta di fatto che da cinque mesi la vita ... mi sorride ancora.

Con tutti gli alti e ... bassi.E, visto che la vita è bella, come dulcis infundo cito dalla rete, senza poter menzio-narne l 'autore che non ricordo e me ne scuso,il seguente insegnamento di vita:Un professore stava davanti alla sua classe difilosofia e aveva davanti a lui alcuni oggetti.Quando la lezione cominciò, senza dire una

parola, prese un grosso barattolo di maionesevuoto e lo iniziò a riempire di palline da golf. Quindi egli chiese agli studenti se il barattolofosse pieno. Essi convennero che lo era.Allora il professore prese una scatola di sassolini,e li versò nel vaso. Lo scosse leggermente. I ciottoli rotolarono negli spazi vuoti tra le palleda golf. Chiese di nuovo agli studenti se il barattolo fossepieno. Essi dissero che lo era.Il professore prese una scatola di sabbia e laversò dentro il vasetto. Naturalmente, la sabbia si sparse ovunqueall'interno. Chiese ancora una volta se il barattolo fossepieno. Gli studenti risposero con un unanime 'si'. Il professore estrasse quindi due birre da sotto iltavolo e versò l'intero contenuto nel barattolo,effettivamente si riempirono gli spazi vuoti. Gli studenti iniziarono a ridere ...'Ora', disse il professore non appena svanironole risate 'Voglio che vi rendiate conto che questobarattolo rappresenta la vita. Le palle da golf sono le cose importanti - la vo-stra famiglia, i vostri figli, la vostra salute, i vo-stri amici e le vostre passioni preferite e se tuttoil resto andasse perduto e solo queste rimanes-sero, la vostra vita sarebbe ancora piena. I sassolini sono le altre cose che contano, comeil lavoro, la casa, la macchina. La sabbia è tutto il resto - le piccole cose'.'Se mettete la sabbia nel barattolo per prima,'ha continuato, 'non c'è spazio per i sassolini eper le palline da golf. Lo stesso vale per la vita.Se utilizziamo tutto il nostro tempo ed energiaper le piccole cose, non avrete mai spazio per le

cose che sono importanti per voi.Fai attenzione alle cose che sono cruciali per latua felicità.Trascorrere del tempo con i vostri bambini.Trascorrere del tempo con i tuoi genitori. Visitai nonni.Prendete il vostro coniuge a portatelo a cenafuori.Ci sarà sempre tempo per pulire la casa e fal-ciare il prato.Prenditi cura delle palle da golf prima, le coseche veramente contano.Stabilisci le tue priorità.Il resto è solo sabbia'.Uno degli studenti alzò la mano e chiese cosarappresentasse la birra. Il professore sorrise e disse: 'Sono contento chelo hai chiesto. Le birre dimostrano che non im-porta quanto piena possa sembrare la vostravita, c'è sempre spazio per un paio di birre conun amico'. Specie se specialista neurologo,come lo conosco io. (R. P.) 3

Dalla paginaRacconta la tua storia nel sito www.fondazioneprocacci.org

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il mio dolore > 6

Il dolore è un sintomo frequente nei pazienti che hanno su-bito un ictus, ma esso è spesso sottostimato e sottotrattato,nonostante il suo notevole impatto sulla qualità della vita esulla riabilitazione. Questa testimonianza invita fortemente a riflettere su comel’esperienza del dolore, così totalizzante per il paziente, ri-manga spesso una spasmodica e disattesa richiestad’aiuto nei confronti del mondo sanitario e della ricercascientifica. La notevole distanza tra le domande di un pa-ziente e le concrete opportunità terapeutiche che il medicopuò offrire è ancor più marcata quando protagonista dellascena è un dolore dalla fisiopatologia complessa e larga-mente sconosciuta come il dolore post-ictus.Esistono due principali tipologie di dolore nei pazienti conpregresso ictus: un dolore di tipo neuropatico, definito do-lore centrale post-ictus (central post-stroke pain, CPSP),ed alcuni dolori di tipo nocicettivo, come il dolore dellaspalla plegica ed il dolore correlato alla spasticità.Il CPSP è un dolore neuropatico di tipo centrale, cioè cau-sato da una lesione vascolare ischemica o emorragica, checoinvolge aree cerebrali che fanno parte del sistema so-matosensitivo. Le aree più frequentemente coinvolte sonola fossetta laterale del bulbo, il talamo, la corteccia dell’in-sula e le cortecce somatosensitive. Il CPSP è caratteriz-zato dalla coesistenza di sintomi positivi (dolore spontaneo,iperalgesia, allodinia) e di deficit della sensibilità in regionicorporee corrispondenti al territorio cerebrale colpito dallalesione vascolare. Il dolore è spesso molto intenso e moltipazienti lo riferiscono come il dolore più severo mai perce-pito, e con una forte connotazione di disagio affettivo. L’ipe-ralgesia è la riduzione della soglia perché uno stimolotermico caldo o freddo sia percepito come doloroso, e l’al-lodinia è la percezione di uno stimolo tattile come doloroso.Iperalgesia ed allodinia possono rendere particolarmentefastidiose alcune attività della vita quotidiana come l’igienepersonale (l’acqua tiepida viene percepita come bollente el’acqua fresca come gelida con una connotazione dolo-rosa), il sonno (il contatto con le lenzuola genera dolore) ol’indossare alcuni capi di abbigliamento, al cui contatto i pa-zienti riferiscono una sensazione dolorosa. IL CPSP interessa il 5-6% dei pazienti dopo ictus, e gene-

ralmente, insorge 3-6 mesi dopo l’evento cerebrovascolareacuto. Tale dolore può persistere per molti anni o duraretutta la vita. Il CPSP può peggiorare in modo rilevante laqualità della vita, compromettendo l’umore, il sonno e le re-lazioni sociali; spesso è una delle cause della depressionepost-ictus.La diagnosi di CPSP è essenzialmente clinica, ma è sup-portata dalla conferma mediante indagini neuroradiologi-che, neurofisiologiche o psicofisiche di una lesione checoinvolge il sistema somatosensitivo. La fisiopatologia del CPSP è ad oggi largamente scono-sciuta, ma tra i meccanismi più a lungo ipotizzati vi è unaperdita dell’attività inibitoria a livello dei nuclei talamici. Attualmente il trattamento farmacologico del CPSP è ba-sato sull’utilizzo di farmaci antidepressivi (triciclici, inibitoridel reuptake di serotonina e norepinefrina), farmaci antie-pilettici (lamotrigina, gabapentin, pregabalin) ed oppioidi.Gli approcci non farmacologici al trattamento del CPSPcomprendono la stimolazione magnetica transcranica edalcune procedure neurochirurgiche come la stimolazionedella corteccia motoria, la stimolazione cerebrale profondadel talamo e del grigio periacqueduttale. Il protagonista di questa intensa testimonianza tratteggia ilquadro di una vita trasformata dall’esperienza del dolore econdivisa con i familiari e con quanti, per professione, sonochiamati a rispondere alla sua sete di curiosità, ascolto esperanza. Ci viene narrata la storia di un uomo nato unaseconda volta, un uomo che, come dopo la prima nascitache è esperienza di tutti, deve imparare a conoscere unnuovo corpo ed un nuovo mondo di sensazioni. Questa se-conda nascita è affidata alla sua forza d’animo, alla sua ri-cerca e a tanti incontri; attorno al protagonista si muoveinfatti una piccola folla di personaggi che si alternano in-fondendo suggestioni, illusioni o speranze. Resta, al ter-mine di questo racconto, la sensazione viva che i piùautentici compagni di viaggio siano, oltre ai familiari, le per-sone che si sono fermate ad ascoltarlo, invitandolo a nonarrendersi, a cercare ancora, a sperimentare.3

Francesca Magrinelli, Stefano TamburinDipartimento di Scienze Neurologiche,

Neuropsicologiche, Morfologiche e MotorieUniversità degli Studi di Verona

Il commento dell’esperto

Il dolore centrale post-ictusÈ sempre difficile consolare un dolore che non si conosceAlexandre Dumas (figl io) ”“

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Credo sia questo il punto da cui partire per provare a“guardare e ascoltare” quel che ci narra il Signor R. P.La malattia impone dei cambiamenti violenti: non si è piùquel che si era, il desiderio di conoscere s’accompagnaalla paura di sapere, si assiste alle modificazioni dei rap-porti con gli altri, poiché ci si scopre bisognosi di aiuto esi comprende che la malattia non colpisce solo noi madiventa della famiglia. Cambia di conseguenza la prospet-tiva dalla quale guardare noi e gli altri.C’è il bisogno di raccontarla per cercare cura e sostegnoe per dare significato a quel che è accaduto, ma non èsemplice, le emozioni non si possono descrivere e si pos-sono narrare solo con l’uso delle metafore e delle simili-tudini, lo “stare male” è intriso di emozioni e le parolepaiono insufficienti. Si scopre di modificare la narrazionea seconda dell’interlocutore e che colui che ascolta ne dàun’interpretazione in base alle proprie convinzioni edesperienze. Infatti, spesso viene tentata da parte del nar-ratore un’opera di “traduzione” che non sconvolga deltutto il testo originale, seppur “irrappresentabile”, e com-pensi l’inevitabile distanziamento da esso con un arricchi-mento di dettagli, situazioni, personaggi (1). Dall’altraparte chi ascolta adotta un suo regime narrativo di rifor-mulazione del narrato e concilia le voci della narrazionein una sintesi. Ancor più complesso si rivela il raccontareil dolore: l’esperienza del limite, dell’umana finitezza,dell’ontologica vulnerabilità dell’esistente, risulta un’espe-rienza inenarrabile. Il dolore cronico, come la malattia in-curabile ed il lutto, modifica il rapporto con il sensocomune, separa il mondo di chi soffre da quello degli altri.Da queste considerazioni deriva l’importanza dell’impe-gno dei professionisti della salute nella costruzione dellacorretta relazione di cura: riconoscendo alla persona che

vive la malattia il ruolo di esperto di sé stesso, favorendola costruzione dell’empowerment che è fatto di protago-nismo, conoscenza e consapevolezza della propria pato-logia e cura, sostenendo nel coraggio di esplorare nuovepossibilità. Curare e prendersi cura sono le basi su cuipoggia la Medicina: il Medico è quindi uno scienziato edun professionista dell’aiuto.Ciò comporta lo sforzo di promuovere, incentivare, poten-ziare la capacità di resilienza (2 ) che è insita in ciascunindividuo e sistema familiare e che permette di affrontaree dare senso alle difficoltà che incontra.Ritengo non sia mai giusto uccidere la speranza, che nonsignifica affatto alimentare illusioni o minimizzare quelche si vede accadere,bensì affiancare nella ricerca di quelche può fare sentire meglio, talvolta nel fare questo ci siaccorge che la speranza si può modificare.

Manuela RebellatoInfermiera Counsellor, Responsabile Counselling

Ospedalizzazione a DomicilioS.C.U. Geriatria e M.M.O.

Azienda Ospedaliera Città della Salute e della Scienza Presidio Molinette, Torino

Note1) Martini G. Ermeneutica e narrazione. Un percorso tra psichiatria epsicanalisi. Bollati Boringhieri- Torino 19982) Il termine "resilienza" proviene dalla metallurgia: indica, nella tecnolo-gia metallurgica, la capacità di un metallo di resistere alle forze impulsiveche gli vengono applicate. Nella sua utilizzazione originale, appartienealla fisica dei materiali e denota l’attitudine di un corpo a riacquistare lapropria forma iniziale dopo aver subito una deformazione causata daun impatto. Resilienza non è equivalente a resistenza ma indica il pie-garsi per non spezzarsi. L’Help Center dell’APA (Associazione degli Psicologi Americani)definisce la resilienza come “il processo di adattamento di fronte alleavversità, ai traumi, alle tragedie e ad altre significative fonti di stress.Significa ‘tirarsi fuori’ dalle esperienze difficili”. 3) Citazione di inizio pagina da: Narrare la malattia. Lo sguardo antropo-logico sul rapporto medico-paziente. Torino 1999 3

Raccontare il dolore

7 < il mio dolore

Naturalmente, le malattie non si verificano nel corpo, bensì nella vita (…), nel tempo, in un luogo, nella storia, nel contesto dell’esperienza vissuta e nel mondo sociale. Il suo effetto è sul corpo nel mondo.

B. J. Good ”

Il commento dell’esperto

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Page 8: DIALOGHI TRA MEDICO, INFERMIERE E PAZIENTE

IL DOLOREAGGIUNTO

Un dolore senza voceI l paziente è emiplegico, afasico, non collaborante

“Infermiere pietoso, malatopiagoso”. È un vecchio detto

ben noto a tutti gli operatori sanitari.

È dietro a questa considerazione che

giustifichiamo noi stessiquando provochiamo dolore

al paziente, perché comunque “è solo per il suo

bene”. Forse proprio perquesto solo recentemente

la professioneinfermieristica ha

incominciato a domandarsise il dolore provocato

dalle pratiche assistenziali è così necessario ed

inevitabile. Nella pratica quotidiana gli operatori sanitari sono attenti a mettere in atto misure

terapeutiche antalgiche sia di tipo farmacologico

che non farmacologico, a misurare il dolore con

appositi strumenti validati, a dare supporto emotivo alla

persona sofferente ed ai familiari. Difficilmente, però,

si riflette sul dolore provocatodai farmaci, dalle pratiche

cliniche invasive, dallepratiche assistenziali…

ovvero su queldolore che i sanitari

infliggono al paziente.(N.L.)

Il Signor Mario (naturalmente sitratta di un nome fittizio a prote-zione della privacy del paziente)viene trasferito nel nostro repartodopo una lunga degenza in unasezione chirurgica.La sua sopravvivenza è legataad un apparecchio che gli ha cau-sato diversi episodi di ischemiacerebrale.Il paziente è emiplegico, afasico,non collaborante. Necessita diaiuto per tutte le attività di vita(compresa la manutenzione del-l’apparecchio). Nella lettera cli-nica di trasferimento (mancaquella infermieristica come quasisempre accade), il paziente vienedescritto come incapace di inten-dere e comunicare e con graviproblematiche famigliari (l’unicoparente è il genitore ottantenne).All’arrivo in reparto il paziente èagitatissimo, e ogni volta che glisi avvicina un “camice bianco”cerca di allontanare il sanitariocon l’unica mano in grado dimuovere. Si alimenta con vora-cità, anzi, l’unico modo per avvi-cinarsi è quello di offrirgli delcibo. Dopo circa due giorni dalricovero il paziente incomincia atranquillizzarsi e l’équipe infer-mieristica ritiene che il pazientesia in grado di capire, ma non di

comunicare a causa dell’afasia edegli episodi di agitazione. Contanta pazienza si incomincia acercare di trovare un metodo dicomunicazione. Il paziente si tranquillizzaed incomincia a dire “sì” “no” “vaivia”… a piangere e dimostrarerabbia. Viene fatto persino un fo-glio con lettere in stampatello agrandi caratteri, per vedere seMario riesce a indicare le letterecon la mano utilizzabile, ma il pa-ziente, alla vista del foglio si agitae si arrabbia (da ciò abbiamo de-dotto che le lesioni cerebrali gliimpediscono forse di leggere). Ilpadre porta la televisione in ca-mera, ed il paziente incomincia afar capire quando vuole accendereo spegnere l’apparecchio.Il terzo giorno, però, tutte le pic-cole conquiste sembrano vanifi-carsi. Il paziente grida, si agitamoltissimo e ritorna ad essereinavvicinabile. Durante la riu-nione d’équipe del mattino allaquale partecipano il primario, imedici, il coordinatore infermie-ristico e la fisioterapista, quest’ul-tima avvisa di dover rinunciare atrattare il paziente, in quanto agi-tatissimo. Le infermiere riferi-scono di aver notato che Mario siagita ogni volta che entra in ca-

mera la fisioterapista e affermanoche il comportamento del pa-ziente è probabilmente dovuto aldolore che viene provocato dallamobilizzazione. Il medico cu-rante, allora, ipotizza una situa-zione di dolore provocato dallaparalisi spastica degli arti plegici,esacerbato dal movimento passivoindotto dalla fisioterapista. Vienequindi prescritto un trattamentoantidolorifico ed antispastico.Al termine della riunione entro incamera di Mario e gli spiego chegli daremo delle nuove pastiglieper togliere il dolore e quando sisentirà meglio potremo riprovarecon la fisioterapia.Mario mi guarda, sorride e cercadi stringermi la mano … final-mente abbiamo capito che non èlui ad essere incapace di inten-dere, ma siamo noi incapaci di ca-pire la sua sofferenza.Questa è sicuramente una storia,purtroppo una storia come tantealtre, ambientate nei nostri luoghidi cura, così “moderni”, “attrez-zati”, nei quali si è in grado di so-stituire “pezzi” mancanti odifettosi; una storia emblematica,che serve a risvegliarci dai nostrisogni di onnipotenza. 3

Nicoletta LombardiFondazione I.R.C.C.S. Policlinico

San Matteo, Pavia

il mio dolore > 8

Durante la riunione d’équipe del mattino alla quale partecipanoil primario, i medici, il coordinatore infermieristico e la fisioterapista,

quest’ultima avvisa di dover rinunciarea trattare il paziente ”

Mario mi guarda, sorride e cerca di stringermi la mano… finalmente abbiamo capito che non è lui ad essere incapace diintendere, ma siamo noi incapaci di capire la sua sofferenza.”

Il commento dell’esperto

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Page 9: DIALOGHI TRA MEDICO, INFERMIERE E PAZIENTE

IL DOLOREAGGIUNTO

9 < il mio dolore

La malattia, come ben sappiamo, sconvolge i percorsie i progetti di vita e modifica l’identità stessa dellepersone colpite, e per quanti sono malati l’educazionerisulta il miglior modo per favorire l’apprendimentodi quel che occorre per superare gli ostacoli creatidalla malattia, dalle cure e dalle loro ripercussioni, percontinuare a vivere un’esistenza che abbia senso egusto (1). L'infermità, soprattutto se cronica, obbliga il pazientea scelte e comportamenti che investono la sua vitaquotidiana (lavoro, alimentazione, attività fisica, ter-apie farmacologiche e riabilitative, ecc.) anche negliaspetti più intimi (matrimonio, figli). Non deve,quindi, meravigliare che, per affrontare al meglio lamalattia, il paziente possa avvantaggiarsi di specificiinterventi educativi.

Informare od educare?A differenza dell'informazione passiva ed incentratasu chi la fornisce, l'educazione è un processo interat-tivo incentrato su colui che apprende. L’informazionefa parte del dialogo tra curante e malato ed è costituitada un insieme di consigli, raccomandazioni eistruzioni. L’educazione è invece una pratica più com-plessa che implica una diagnosi educativa, la scelta diobiettivi d'apprendimento e l’applicazione di tecniched'insegnamento e di valutazione pertinenti, al fine diconsentire al paziente di conoscere la propria malattia,gestire la terapia in modo competente, prevenire lecomplicanze evitabili.

Quali sono i vantaggi?È stato sottolineato da molti studiosi che il coinvol-gimento diretto del paziente nell’intervento di curane aumenta l’efficacia, oltre a creare una soggettivaimpressione di benessere sia nel malato che nel pro-fessionista della salute (2-5). I principali vantaggi di questo modello di interventosono rappresentati da: - esplorazione dell’esperienza della malattia circa leidee del paziente a proposito del problema e delle suesensazioni, cosa si aspetta dalla visita medica e qualiinformazioni desidera,- comprensione della persona nella sua totalità e delsuo contesto,

- ricerca di un terreno comune tra curante e pazientecirca i problemi, le priorità, gli obiettivi, i ruoli rispet-tivi (partnership),- promozione della salute attraverso stili di vita,riduzione dei rischi, diagnosi precoce,- potenziamento della relazione tra chi cura e chi èmalato (6).

Saper comunicareUna comunicazione attenta e consapevole diviene unprezioso strumento di collaborazione tra curanti emalati che si traduce in una relazione di cura in cuicooperare significa spartire speranza, impegno, diffi-coltà, problemi, preoccupazioni, obiettivi e progetti.Tuttavia, gli ostacoli alla comunicazione ed alla col-laborazione possono essere numerosi: barriere cultur-ali, linguistiche, emotive, scarsa motivazione,pregiudizi, difficoltà organizzative, ma anche una for-mazione alla relazione e una capacità di ascolto in-sufficienti. Di conseguenza, ogni professionistasanitario, per stabilire una relazione comunicativa ecooperativa efficace con il malato e la sua famiglia,deve dotarsi di una vera e propria competenza pro-fessionale (7). Non è possibile centrare l’intervento di cura sulpaziente se non si parte dal paziente inteso come per-sona nella sua totalità, e ciò significa dare valore allasua narrazione, che è quella che costruisce e definiscela sua identità. Le decisioni e le scelte del pazientesono basate sui suoi personali valori e quindi le indi-cazioni e le prescrizioni di chi cura possono essereapplicate solo se è possibile ancorarle in qualchemodo ai valori dell’altro che vanno accolti conrispetto in quanto i valori umani non solo sono di-versi ma legittimamente differenti tra loro (8). 3

Manuela Rebellato 1, Marina Torresan 21 Infermiera, Counsellor sistemico, Responsabile

Counselling Ospedalizzazione a Domicilio, Post Acuzie e Continuità Assistenziale, A.O.

Città della Salute e della Scienza, Presidio Molinette Torino

2 Infermiera Counsellor, S.C. Terapia del Dolore e Cure Palliative

A.O. Città della Salute e della Scienza, Presidio Molinette Torino

L’educazione terapeuticadel paziente

Si può dire che i nove decimi della nostra fel icità dipendano esclusivamente dal la salute . Quando la sipossiede , tutto diventa una fonte di godimento; per contro senza di essa non può essere goduto nessunbene esterno, di qualunque natura esso sia, e per sino gl i altr i beni soggettivi , le qualità dello spir ito,dell ’animo e del temperamento sono diminuiti e pregiudicati dal la salute malferma.

Ar thur Schopenhauer, Afor ismi sul la saggezza della vita

Bibliografia

1. Gagnayre R. Introduzione. In : Marco-longo R. et al. Curare con il malato. TorinoEdizioni Change 2006.2. Holman H, Lorig K. Patient as partnersin managing chronic disease. BMJ2000;320: 526-7.3. Fuertes JN, Mislowack A, Boylan LS.The phisician-patient working alliance. Pa-tient education education and counseling2007; 66:29-36.4. Patient empowerment—who empowerswhom?The Lancet 2012; 379: 1677.5. People with chronic disease should beencouraged to manage their care. BMJ2012;344:e2771. 6. Little P, Everitt H, Williamson I et al. Ob-servational study of effect of patient cen-tredness and positive approach onoutcomes of general practice consulta-tions. BMJ 2001; 323: 908-11.7. Marcolongo R et al. Curare con ilmalato. Torino Edizioni Change 2006.8. Fulford KWM. Facts/Values: the princi-ples of values- based medicine. In: Rad-den J. Philosophy and psychiatry. Oxford:Oxford University Press, 2004.3

”“

Il commento dell’esperto

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Page 10: DIALOGHI TRA MEDICO, INFERMIERE E PAZIENTE

a studente di prima media micapitò di essere ricoverato duesettimane in ospedale per un in-tervento di rimozione di un vasoanomalo attorcigliato attorno almio uretere sinistro. Ricordo diaver sofferto le pene dell'infernonel post-operatorio. Il dolore ar-rivava all'improvviso ed eracome avere dei pesci piranha nel

fianco che mordevano e morde-vano. La paura, la mancanza di sonno e la sete (si riteneva chenon dovessi bere per non sfor-zare il rene, almeno questo èquello che mi dicevano) mi ave-vano portato a provare doloreanche per lo squillo del telefono,o per una voce a volume più altodi quanto io non potessi soppor-tare, per una lama di luce che at-traversava la tapparella. A queltempo, e poi ancora negli anni aseguire, ho sentito spesso dire

dai medici “eh, dai pazienti c’èsempre tanto da imparare..”, equella affermazione che da bam-bino non aveva particolare sensocompiuto per me, iniziò coltempo a suonarmi come sempli-cistica e paternalistica. E mi ri-cordava che nel mio lettod’ospedale dicevo fra me e me:...ma se vuoi capirmi... ascoltami!Perché in effetti i miei medicidi allora non mi ascoltavanoveramente.Avevo imparato a conoscere inomi di tutti gli antidolorifici ea riconoscere quell'unico che le-niva almeno un po’ il doloreprima che la solita colica pas-

il mio dolore > 10

I pesci piranha nel fianco“Prima di me, della mia sete e delle mie coliche

c'era il fatto che loro dovessero guarirmi dalla mia malattia. Vedevano solo quella,

e dopo vedevano me”

D

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Page 11: DIALOGHI TRA MEDICO, INFERMIERE E PAZIENTE

sasse del tutto, per poi ritornare a sor-presa. Ottenere che mi fosse sommi-nistrato quel dato antidolorifico eraquestione di fortuna. A volte me neveniva somministrato uno, a volte unaltro, e solo quando le urla si senti-vano fino al piano di sopra di quel-l'antico e massiccio edificio. Io davola colpa agli infermieri che non veni-vano con “quello giusto”, ma oggisono incline a pensare che tutto di-pendesse dal medico di guardia edalla sua benevolenza o indifferenza.Per alcuni, evidentemente, un analge-sico era efficace – sulla carta - nono-stante il dolore non mi passasse. Ma sapevano che urlavo? Non saprei,io mi ricordo solo degli infermieri, dimia madre e mio padre per tutto ilperiodo della degenza. Credo che sefossi stato ascoltato di più forse la te-rapia sarebbe stata più adatta a me(almeno avrebbero capito una voltaper tutte quale farmaco funzionassemeglio, non sulla carta ma applicatoa me!), forse avrei potuto sopportarequelle sofferenze con più rassegna-zione, o determinazione. Ma era unmiraggio: l'unica cosa che sapevo erache l’acqua era proibita (“tanto bevidalle flebo”), che io non dormivo perla sete costante e per il dolore a on-date, e che mi staccavo pezzi di pelledalle labbra, dalla faccia e dalle dita,e veniva via come carta velina. Qualsiasi malattia io abbia, se almenopotessi non avere sempre sete e po-

tessi non avere dolore, la accetterei: lasete ed il dolore mi ammazzerannoprima, accidenti!, pensavo. Tuttavia questo non sembrava smuo-vere o impietosire i medici, perchéprima di me, della mia sete e dellemie coliche c'era il fatto che loro do-vessero guarirmi dalla mia malattia.Vedevano solo quella, e dopo vede-vano me.Io rimanevo all'oscuro di tutto. Midicevano che piccoli frammenti divetro (ossalati di calcio) scendevanodal rene fino alla vescica e graffiavano(ecco perché sentivo i denti dei pi-ranha che scendevano giù per il latodella pancia! Eppure l'intervento chi-rurgico l'avevo fatto, ed era ancheperfettamente riuscito. Cosi dicevano(ma con faccia cupa e disorientata) e

i giorni passavano ed io al posto disentirmi meglio, mi sentivo semprepeggio, perché vivevo nella paura co-stante che il dolore ritornasse ognivolta. E fino a che c'era dolore, flebosì, ma acqua da bere no, accidenti! Un giorno, dopo la nottata passata apiangere e a contorcermi con miamadre accanto a me, vedo finalmenteil chirurgo che mi dice che bisognavederci chiaro e l'unica cosa da fare èinfilare un tubo ottico dentro il miopene, risalire fino alla vescica ed an-dare a vedere gli ureteri. L'idea di sen-tire un tubo nel mio pene mi feceaccartocciare dalla paura, e io dicevoche mai e poi mai avrebbero dovutofarmi questo, dopo tutte le sofferenze

che stavo patendo. Ma dovevo essereun “ometto”, mi veniva detto. Si consultarono fra loro nei giornisuccessivi e decisero che l'unica cosaveramente utile da fare era riaprire lamia pancia sotto anestesia (beh,quello mi faceva meno paura del tuboda infilare, di sicuro). La sera primadel nuovo intervento, a dieci giornidal precedente, una cara persona dicui mi fidavo, e alla quale voglio tut-tora un gran bene, venne a trovarmie mi portò una immaginetta di SantaRita con una preghiera sul retro. Conun po’ di reticenza, dovuta allo scon-forto ed alla perdita di fiducia intutto, recitai la preghierina a bassavoce e tutta la notte e la mattina dopodormii come un ghiro, e non capitavada giorni. Non fui più operato. Perfortuna.3 (FLM)

11 < il mio dolore

Piccoli frammenti di vetro (ossalati

di calcio) scendevano dal rene fino alla vescicae graffiavano

I pesci piranha nel fianco

Ma dovevo essere un “ometto”,

mi veniva detto.

E fino a che c'era dolore,flebo sì, ma acqua da

bere no, accidenti!

LO SAPEVATE CHE

Il dolore cronico influisce sullavita quotidiana, compromettela vita di relazione, la capacitàlavorativa, determinando una

perdita di reddito per ilsoggetto e per la società.

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A quei tempi il piccolo pazientenon poteva sapere di essere il testimone involontario di un dibattito in campo urologico. Negli anni ‘70-’80, infatti, era in corso una querelle fra gli urologi americani e quelli euro-pei. Nel racconto non viene riportato un fatto interessante:un professore universitario vi-sitò il ragazzino dopo il rico-vero. Si era perfezionato a NewYork e ribadiva la tesi secondola quale bisognasse usare del cortisone per ridurrel'edema degli ureteri. Il dolore,spiegava al paziente undi-cenne, derivava sia dal dannoda “graffiamento” lungo le pa-reti ureterali, sia dal fatto chel'infiammazione derivanteli otturava del tutto e così i reni,non potendo scaricare la pipìverso il basso, la trattenevanoe si gonfiavano provocandoquella che in gergo medicoviene definita idronefrosi, che a propria volta causa ulterioredolore. Pare invece che gli urologi di scuola europea, inquegli anni, propendessero più per l'uso di soli antispastici.Successivamente c'è stata evidenza sempre maggiore cheentrambi i farmaci potesseroagire in modo sinergico (1).

Una zona d'ombraIn generale la gestione del dolore neonatale e pediatrico è sempre stata una zona d'om-bra, gravata anche dai pregiu-dizi circa l'utiizzo di analgesici

non-oppioidi ed oppioidi infavore dei piccoli pazienti, o addirittura dalla falsa nozioneche i bambini non provino dolore in modo sostanziale (2).

Nuovi strumenti, nuove mentalitàLa storia qui raccontata e le innumerevoli storie simili chetrattano del dolore peri-operato-rio scarsamente o per nullatrattato (causa di significativamorbilità e mortalità dopo un intervento chirurgico, soprat-tutto nei bambini) (3), hannosostanziato alcune iniziativecome l’Ospedale Senza Do-lore, con appositi comitati diprogrammazione e controllo.Tali Comitati per l'OspedaleSenza Dolore (COSD) furonomeglio definiti dal legislatorenel 2001. Ma erano distribuitisul territorio a macchia di leo-pardo e lasciati alla libera ini-ziativa di Ospedali “illuminati”. Con la Legge 38 del marzo2010, che garantisce e regolal'accesso di ogni Cittadino alleReti di Terapia del Dolore e diCure Palliative su tutto il territo-rio nazionale, i COSD (ora Co-mitati Ospedale-TerritorioSenza Dolore) sono diventatiun impegno che i manager sa-nitari devono onorare, e quindic’è l’obbligo di mettere in attostrategie e procedure per ga-rantire che l'Ospedale sia unluogo di sollievo dal dolore –causato da malattia o da

procedura diagnostica/terapeu-tica anche mini-invasiva (in gergo tecnico, dolore proce-durale). Dal loro canto, i medicidevono non solo misurare il dolore tramite apposite scaledi valutazione (scala FLACC <3 anni di età, scala di Wong-Baker per età fra i 3 e i 7 anni,scala numerica dagli 8 anni inavanti, e relative ulteriori meto-diche nei casi di handicap neu-romotorio), ma devono anchefar sì che alla valutazionesegua un adeguato ed efficacetrattamento, essendoci soventeuno sbilanciamento fra le plu-rime e molteplici opportunitàdiagnostiche e le scarsamenteutilizzate personalizzazioni terapeutiche.

Quel piccolo paziente ero io Ora sono un medico aneste-sista. Di quei giorni mi è rimasto un ricordo ancoravivo e una grande passione perla medicina. Ricordo i visi dolcidei miei genitori, dell’amica chemi portò il santino. Ricordo iloro volti rassicuranti, il loroamore e la loro preoccupazioneSe mi imbatto casualmente inuna immaginetta di Santa Ritasono io che sorrido, ammic-cante. Ma molto più spesso ri-cordo quelle continuesofferenze.3

Fabrizio La MuraSpecialista in Anestesia

e RianimazioneCoordinatore del Centro di Cure

Palliative – Hospice Don Uva di Bisceglie

il mio dolore > 12

I pesci piranha nel fianco

Paziente maschio

coliche renali

11anni

Bibliografia1. Micali S, Grande M, Sighinolfi MC, De Carne C, De Stefani S, Bianchi G. Medical therapyin Urolytiasis. J Endourol. 2006 Nov;20(11):841-72. Il Dolore nei Bambini. Ministero della Salute, accessibile on-line su: www.salute.gov.it3. TS, Hannallah RS. Acute pain management in children. Journal of Pain Research 2010 July; 3:105-123 3

Il commento dell’esperto

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Page 13: DIALOGHI TRA MEDICO, INFERMIERE E PAZIENTE

Dovrei avere una laurea incamion, perché dopo le medie hosempre aiutato mio padre sulcamion. Ho 47 anni, e forse l’u-nica cosa buona che ho fatto nellavita mia è mia figlia. Ma se era peri medici che mi hanno visitato inpassato, non avrei più guidato. Ioso fare solo quello, ma mi dice-vano che per il mio bene dovevointerrompere. Ma come? per ilmio bene? E come mangiavanomia moglie e mia figlia? Io, vabbe’,peso centocinquanta chili[sorride], proprio come uncamionista, no?”In famiglia erano un po’ tutti dia-betici, col colesterolo alto anche.A me qualche anno fa, era primadel 2000, mi trovarono il diabetea 200. Per un anno ho preso lacompressa, ma poi mi hannodetto che mi dovevo fare le pun-ture di insulina. Ma mica mihanno spiegato che l’insulina, sene fai troppa, o a te sembra che siagiusta ma è troppa, poi svieni. Horischiato un paio di volte di fareun incidente, ma per fortuna eroin macchina, altrimenti colcamion era una strage, dottò. Proprio prima del 2000 ebbi undolore fortissimo al piede. Mi tolsile calze e vidi che c’era un cratere,sì, un’ulcera. Io avevo guidato perventi ore col piede che facevamale, come se avessi il piede sulfuoco. Mi sono fatto vedere da unchirurgo al pronto soccorso, chemi ha tagliato col bisturi e mi hamandato a casa dicendomi di ap-plicare delle pomate ed altriprodotti, ora non ricordo. Però iodovevo guidare comunque, e nel

2001 l’ulcera arrivò fino all’osso,così mi disse il medico. Mi fecerogli antibiotici in ospedale, ma apensarci l’ulcera era sempre piùgrossa.Gli ultimi medici, già quando erosulla porta mi dicevano che erainutile che io andassi da loro:“Torni solo quando ha smesso difumare, ha smesso di mangiare,perché deve dimagrire almenocinquanta chili, e quando avràabbandonato il suo lavoro e cam-mina col bastone.”Basta medici.Io non capivo loro e loro noncapivano a me. Io non dico chevolevo guarire dal diabete, mapossibile che l’ulcera era talmenteimpossibile da curare tanto chel’unica cosa da fare era lasciare illavoro? No, non è possibile.Io quello che chiedevo, ma mancomi facevano parlare, era di miglio-rare un po’, almeno di non peg-giorare, anche perché quando ildolore non era forte riuscivo aguidare.Poi, nel 2004, andai dal miomedico di famiglia per farmi pre-scrivere l’insulina, e la pressioneera a 180! E mi dà una medicinaper la pressione. Mi dice che nondevo mangiare tanto e soprattuttoniente sale.Insomma, tutti che mi dicevanocosa fare anche se non capivanoche io non ero superman, e non èche potevo cambiarmi dalla seraalla mattina. Se ero superman,guarivo da solo, no? Io volevo soloun aiuto, non dico assai.Un amico mi disse che c’era undottore, che era bravo con le ul-

cere. Io non ci volevo andare, mapoi mi sono detto che non ciperdevo niente.È stato l’unico dottore che non miha detto “devi fare questo o devifare quello” o che non mi volevavisitare “se prima non smettevo di fumare e di mangiare” Almeno miha ascoltato e poi mi ha anchedetto che non era proprio sicuroche dovevo lasciare per forza il la-voro, e che forse si poteva tentarequalche cosa. Io non credevo diguarire, ma ora sto meglio.Anche se la cura non riuscirà, perme quello è il miglior dottore, co-munque!3

Trascrizione del colloquio con il paziente M.D.G., a cura

del Gruppo Interdisciplinare di Medicina del Dolore Orientata

alla Persona

Fabrizio La Mura 1Pasquale Colamartino 2

Adele Leone 3Domenico Ciancia 4

Michele Calitro 5Gian Luca Masi 6Angela Mongelli 7

1Coordinatore del Centro di Cure Palliative – Hospice Don Uva,

Bisceglie2Neurologo, Fondazione Oasi di

Nazareth di Corato3Dirigente medico responsabile Centrodi Riabilitazione Neuromotoria Villa

S. Giuseppe, Bisceglie4Geriatra, Direttore Sanitario,

Fondazione Oasi di Nazareth di Corato5Neurologo Ospedale di Canosa

6Servizio di Neurofisiologia dell’Ospedale di Andria

7Medical Liaison, Eli Lilly Italia

13 < il mio dolore

Mimmo fa il camionistaNon fidar si è meglio, dicono, ma fidar si potrebbe essere un bene , anche se a volte è diffici le far lo

Il paziente è stato ascoltato e assecondato

nell’esigenza di non usarealcuna ortesi di scarico, e questo ha consentito

di trattarlo, altrimenti avrebbeverosimilmente continuato

a rifiutarequalsiasi cura. Gli è stata

tuttavia chiarita l’alta probabilità di insuccesso,qualora non fosse stato

messo in scarico il piede. Una considerazione

importante è quella relativaalla diagnosi e al

trattamento: sembra, dalla documentazione

clinica esaminata, che nonfosse stato previsto alcun

accertamento volto a valutare l’infezione dei

tessuti molli e delle ossa. La disinfezione delle ulcere,quando è presente tessuto

di granulazione, deve essere effettuata con

sostanze non aggressive,seppure attive ad ampiospettro. In questo caso è

usato mercurocromo in primabattuta, che in genere non

permette la guarigione in quanto distrugge

il tessuto neoformato. Ultima considerazione: l’alleanza terapeutica

con il paziente consentela condivisione dei percorsidi cura sostenibili e quindi

l’adesione del paziente alla terapia. 3

RIFLESSIONISULLA STORIA

DI MIMMO

Il commento dell’esperto

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Page 14: DIALOGHI TRA MEDICO, INFERMIERE E PAZIENTE

“L'accanimento terapeutico riflette uno scarso rispetto per il Paziente, peril suo corpo e la sua anima. Ma se “accanirsi“ vuol dire, per il Medico,fare di tutto affinché una persona si senta almeno un po’ meglio, anche difronte a malattia che lui non può guarire, e allora ben venga, questoaccanimento!” Prof. Corrado Manni, Direttore della Cattedra di Anestesia e Rianima-zione dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, Policlinico Universitario“A. Gemelli” di Roma – 1923-2010.

Mio padre è un malato oncologico - un tumore all'intestino per ilquale ci dicono non c'è più nulla da fare - e veniva seguito tranquilla-mente a casa dallo staff di assistenza domiciliare, ma quando abbiamoscoperto l'ascite, ha iniziato dei Day Hospital - c'era un bravo e vo-lenteroso oncologo - ed a fine giornata di ricovero veniva portato re-golarmente a casa.Le cose si sono aggravate però, ed un pomeriggio abbiamo chiamatoil 118 per portarlo in Pronto Soccorso. I Medici lo hanno valutato ve-locemente - dopotutto è un Pronto Soccorso - hanno detto che non

c'era un reparto adatto a mio padre, e ci hanno rimandati a casa.Poi però la sera stava ancora male, anzi peggio, se possibile, e quindiabbiamo daccapo chiamato l'ambulanza, ed in Ospedale ci hannodetto che non c'erano posti letto, ribadendoci che non c’era un repartoadatto a lui, ma alla fine è uscito un posto (in un reparto che non erail suo) ed è stato ricoverato. In tredici giorni di degenza non mi risultasia stato fatto nulla, neanche un esame del sangue. I Medici dicevanoche il loro non era il posto giusto per mio padre, che intanto era sem-pre più sofferente, dolorante e dimagrito. L’emoglobina, forse erabassa? Non so, non hanno fatto nulla né ci hanno detto nulla.Si, vabbene, ma questo è poco importante. Io credo che per un malatooncologico terminale la prima necessità sia un po’ d'amore da partedei Medici, Un po’... d'amore, ecco, un sostegno di natura psicologica,ma niente. Eravamo noi parenti ad andare dagli infermieri per chiedereun antidolorifico, ma ci rispondevano “suo padre? Fa i capricci!”. Pensiun po’ che una notte, quando dico notte intendo fra le 3 e le 4 delmattino, ricevo una telefonata disperata di mio padre che mi dice diaver ripetutamente chiamato il medico, ma gli infermieri dicevano “si,

il mio dolore > 14

Mio padre è unmalato oncologico Aspettative dei medici , aspettative e speranze dei famil iar i

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Page 15: DIALOGHI TRA MEDICO, INFERMIERE E PAZIENTE

mo’ viene, devi avere pazienza”. Beh, io arrivo davanti alla porta delreparto alle 4 del mattino, citofono innumerevoli volte, ma niente,nessuno veniva ad aprire o mi rispondeva. Fino a che non si presentauna dottoressa giovane, che con aria di sufficienza (o di sonno, nonso) mi chiede cosa io voglia, ed io le dico che in una delle camere c'èmio padre che tenta di chiamare aiuto in tutti i modi. La dottoressami risponde, dottore mi creda, con una frase incredibile! Mi dice: “Si-gnora, è suo padre allora? Guardi, stanotte ha tenuto sveglio tutto ilreparto con i suoi lamenti, perfino il suo vicino di letto!”. E certo,come se mio padre fosse andato in un albergo e stesse dando fastidiononcurante degli altri ospiti! Lo hanno anche obbligato a mettersi ilpannolone, anche se lui con un po’ di aiuto, anche con un deambula-tore, diceva sarebbe riuscito ad andare in bagno da solo. Lei capisce,quando uno è in quelle condizioni, è ancora peggio, voglio dire, salvarealmeno la dignità, la privacy, l'intimità. Insomma, non si può dire che vedessero in mio padre una persona,con delle esigenze certo, non dico di no, che però mi sembrano il mi-nimo. Per loro era un numero, anzi, il numero di un letto da liberare.Questo è il fatto più eclatante. Per un paziente oncologico non sichiede l'impossibile, ma almeno un trattamento umano.Io ritengo che vada curato sia dal punto di vista del dolore, sia dalpunto di vista umanitario, in tutti i suoi aspetti.Davanti a queste malattie – crede che non lo sappiamo? - è impotentela medicina, è impotente il medico, e siamo impotenti anche noi pa-renti. Serve da parte di tutti solo (ed è già tanto) un conforto, un sen-tirsi amato, curato. Ma questo è uno degli aspetti fondamentali dellaMedicina, di tutta la Medicina, in generale.

Che lavoro ha fatto suo papà, durante la sua vita attiva?Bracciante agricolo, un lavoro bello e nobile, con orari e sforzi fisiciveramente usuranti, ma gratificanti, almeno questo è quello che luiancora afferma. Ha avuto anche un paio d'infarti, sa?, secondo noi perlo scarso riposo e per lo sforzo.

E lei che che è sua figlia che lavoro fa?Io lavoro presso un Istituto di Previdenza, e mi sono imbattuta spessoin persone che lottano contro la propria malattia, ed ancor di più con-tro gli aspetti burocratici: io tento di aiutarli il più possibile, ma perquesti pazienti quella degli uffici è una trafila bruttissima. Produrredocumenti, rivolgersi a questo o quell'altro funzionario per ottenereun minimo di riconoscimento, o di risarcimento di natura economica.Posso dirle una delle cose più eclatanti di tutte? Bene, io spesso avevoa che fare con persone che avevano avuto degli infortunii sul lavoro, avolte particolarmente gravi, vistosamente gravi intendo. Sa cosa vuoldire per il lavoratore doversi mettersi in malattia, coinvolgere avvocati,fare cause civili (penali anche) che si protraggono per anni ed anni, epoi sentirsi dire che il proprio infortunio non è riconosciuto? Non ledico, ma si immaginerà, alcuni hanno tentato gesti estremi a causadella disperazione, quella cieca, oppressi nella doppia incudine dellamalattia e della burocrazia.Ma poi, certo, c'è l'aspetto medico. Io ritengo che un Medico debbaprovare a far guarire dalle malattie, chiaro. Ma quando le malattie sonoinguaribili – almeno oggi come oggi – io affermo che il ruolo del Me-dico sia un altro: deve assistere, deve aiutare a lenire i sintomi (soprat-tutto, penso a mio padre, al suo dolore e alla mancanza di respiro!).Anzi, ritengo che questa sia la parte preminente del ruolo del Medico,soprattutto in una società con persone sempre più anziane che vannoincontro a patologie invalidanti.E quando si tratta di malati terminali, i medici devono essere ancorapiù bravi e preparati. Ma deve esserci anche il supporto di psicologi,assistenti sociali, assistenti spirituali, fisioterapisti, bravi infermieri ebravi operatori socio-sanitari.Io immagino il loro ruolo sia di “sollevare” il paziente piuttosto che

tentare cure impossibili e inutili. Devono – uso una metafora – solle-varlo, distaccarlo, dal proprio letto di dolore. Accompagnare allamorte, certo, ma nel senso di dare loro serenità e sollievo dal dolore(questo la medicina lo può fare, no?), per tutto il tempo necessario,per tutto il tempo che rimane loro.3

15 < il mio dolore

Ho desiderato, previo consenso, racco-gliere una registrazione della storia cheaveva da raccontare e che ho trascritto. Visto che espone in modo lucido e propo-sitivo alcuni concetti che dovrebbero es-sere patrimonio imprescindibile di chi haa che fare con persone malate, siano essioperatori (Medici, Infermieri, OSS, ecc.),siano essi decisori di politica e pianifica-zione sanitaria. Viene raccontato dei ripetuti accessi alPronto Soccorso dopo aver chiamato il118. In letteratura viene identificato un pa-radosso, secondo il quale molti fra i Pa-zienti definiti terminali vorrebbero finire iloro giorni a casa, ma la maggior parte diessi muore in ospedale. Inoltre, sebbenespesso l'ultimo anno di vita sia trascorso acasa propria con assistenza domiciliare, gliultimi giorni o le ultime ore fino alla mortesono trascorse in Ospedale (1). Spesso ci sono vere e proprie “urgenzepalliativistiche”, quando c’è dolore incon-trollato e dispnea, ovvero sensazionedi mancanza di respiro. E queste urgenze,a l posto d i essere scongiurate oprevenute ed attenuate con una correttaimpostazione terapeutica domestica, oltreche con informazione a favore dei familiaricirca cosa debbano aspettarsi nell'imme-diato pre-morte, talvolta inducono ifamiliari a rivolgersi al servizio di emer-genza e trasporto territoriale, utilizzandouna “rete” che va bene per le emergenzemedico-chirurgiche ma che non si adattaalle esigenze dei malati in fin di vita (manon per questo meno bisognosi e menosofferenti). Ma una volta giunti in Ospe-dale, le cose non sembrano mettersi poicosì tanto meglio. Gli Ospedali sono ormai

Cosa possiamo imparare da questo racconto e cosa possiamo migliorare?

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Il commento dell’esperto

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Page 16: DIALOGHI TRA MEDICO, INFERMIERE E PAZIENTE

il mio dolore > 16

Bibliografia1. Thorpe G. Enabling more dying people to remain at home. BMJ 1993 Oct9;307 (6909):915-182. Barbera L, Taylor C, Dudgeon D. Why do Patients with cancer visit theEmergency Department near the end of life? CMAJ 2010 Apr 6; 182(6):563-83. Brink P, Partanen L. Emergency Department use among end-of-life homecare Patients. J Palliat Care 2011 Autumn;27(3):224-84. La Mura F. Palliative Care Networks: from theory to practice. In Đorđević V,Braš M, Miličić D, ed. Person in Medicine and Healthcare: from bench to bed-side to community. 1St ed. Zagreb, HR: Medicinska naklada; 2012:343-75. Gioffré D. Il Dolore Superfluo. Gardolo (TN): Edizioni Centro Studi Erickson;Giugno 20083

luoghi deputati a brevi ricoveri per pro-blemi risolvibili, e mal si adattano a Pa-zienti che, pur con malattie rapidamenteevolutive per le quali non c'è cura speci-fica, vanno incontro a sofferenze acute,con vero e proprio panico ingeneratoanche e soprattutto nei familiari. Diversi autori sono concordi nell'affermareche l'accesso al Pronto Soccorso e la ri-ospedalizzazione siano indicatori discarsa qualità nella erogazione dei servizidi assistenza domiciliare palliativistica(2,3).In un capitolo di un libro di recente pubbli-cazione, interamente dedicato alla Medi-cina Orientata alla Persona (PersonOriented Medicine), ho esaminato le pos-sibilità e le criticità, a livello mondiale,circa la creazione di reti specifiche (chenon siano il modello “Hub and Spoke” ti-pico della medicina d'urgenza), così comeprevisto (ma ancora scarsamente attuato)dalla Legge 38 / 2010 in Italia, e da altrenormative in diverse nazioni europee enon (4). Ma le tematiche affrontate dalla figlia delPaziente toccano anche altri punti, nonmeno importanti, come il “dolore burocra-tico”, segno di una non integrazione diservizi che dovrebbero far “rete”, ovverodi scarso controllo logistico, e come il do-lore inflitto dai curanti che, per impotenzao senso di frustrazione, sono inclini a col-pevolizzare il Paziente per il fastidio chedà a causa del proprio dolore. Gioffrè, nelsuo libro “Il Dolore Superfluo” (prefazionedi Umberto Veronesi) (5), si prende labriga di indagare sui possibili motivi di or-dine psicologico che portano i medici –talvolta – a mostrare distacco empatico, oaddirittura comportamenti vessatori. Maciò che chiede a gran voce la persona in-tervistata, è che il Medico non rinunci allasua funzione di supporto e di aiuto, rite-nendo che se non può guarire la malattiaallora il malato non sia più affar suo. 3

Fabrizio La MuraSpecialista in Anestesia e Rianimazione

Coordinatore del Centro di Cure Palliative Hospice Don Uva di Bisceglie

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LO SAPEVATE CHE

Chi soffre di dolore cronico lamenta unpeggioramento notevole nella qualità dellavita. Il dolore complica, o addir ittura im-pedisce, l’esecuzione di molte attività, cre-ando problemi di dipendenza e disagiinterpersonali. Il 30% dei malati ha più dif-ficoltà nel condurre una vita autonoma, il27% non riesce a mantenere le proprie re-lazioni familiari e sociali, il 19% non è più ingrado di svolgere attività sessuale. Il 50% sisente sempre stanco, il 43% dichiara che ildolore li “paralizza” e li fa sentire indifesi, il44% ha difficoltà a pensare e concentrarsi,i l 16%, in alcuni giorni di par ticolare sof-ferenza, ammette di aver desiderato lamor te (Pain in Europe Sur vey data).

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Page 17: DIALOGHI TRA MEDICO, INFERMIERE E PAZIENTE

La nozione che la medicina dovesse commi-surarsi alla persona malata piuttosto che sol-tanto alla malattia, e che dovesse promuovereil benessere tanto del singolo quanto di unaintera comunità, era già presente nelle anti-che civiltà, da Oriente (medicina cinese edayurvedica) ad Occidente (soprattutto inGrecia). La frammentazione dell'arte medicain varie sotto-specialità, avvenuta in tempirelativamente recenti, è stata il riflesso sia del-l'enorme accrescersi di utili nozioni scienti-fiche (e questo è stato un bene) che delladeterminazione di far diventare quella delmedico una carriera professionale in sensocontemporaneo, in ambito universitario, co-munitario-sociale, ed anche commerciale.Tuttavia, ciò ha probabilmente indotto unviraggio iper-paternalistico della professione,e questo è stato senza dubbio un male. Cosavuol dire? Ad esempio, chi si rivolga ad unospecialista, spesso sentirà sempre più tensionee divario fra se stesso (come soggetto in sof-ferenza e difficoltà) e la propria malattia(quasi “asettica”, impersonale, e ben identi-ficata in margini ben definiti), quasi la per-sona fosse un osservatore esterno noncoinvolto né coinvolgibile nel processo di ri-trovare il proprio benessere. In una situazione di questo tipo, nello studiomedico non ci saranno solo Medico e Pa-ziente, bensì il Medico, la Malattia, il vastocumulo di nozioni scientifiche, super partes,che indirizzeranno verso questa o quella te-rapia, ed anche la Persona, senza che peròpossa (dopotutto, sono tre contro uno!) met-terci bocca. E così, spesso, la fine della visitasi conclude con un “Dottore, lei sa, lei midice che devo fare così ed io così farò, dopo-tutto è lei che ne sa più di me, e poi ha lettotutti quei libri”. Ma questa visione, direi magica, si imbattenel fatto che talvolta la terapia, all'inizio, nonfunziona come la persona intimamente, so-litariamente e segretamente si aspetta. Con ilrisultato – nell’eventualità più benevola -che il medico venga ritenuto un asino e sidebba quindi cercarne un altro. È come se ilcliente abbandonasse l'avvocato alla primadifficoltà, laddove invece dovrebbe cemen-tarsi ancora di più il rapporto umano e pro-fessionale, con un positivo e congiunto“accanimento” nel cercare una soluzione chepossa esssere ritenuta accettabile, non già dal-

l’avvocato, ma dalla Persona! (ovviamente,diremmo...). Che la medicina non dovesse essere paterna-listica (“lo ha ordinato il Medico!”, “Il Me-dico decide tutto”) o addirittura punitiva, manecessariamente interattiva e necessitante dirapporto umano, è messo in luce da molte-plici organizzazioni, iniziative, e leggi a livellomondiale. Il “Consenso Informato”, per esempio, nonè una liberatoria che priva il Medico di qual-siasi responsabilità in caso di insuccesso, eche lascia al Paziente l'onere di qualsiasidecisione (molti professionisti, e molti pa-zienti, credono questo), ma la prova tangibileche il Medico si sia sforzato di capire le verenecessità della Persona, in modo commisu-rato alla sua età, al suo lavoro, al suo concettodi benessere, informandola circa le possibiliàsostenibili di cura atta a guarire o a croniciz-zare un processo, o atta a lenirne i sintomi,senza velleità di accanimento inutile, gene-ralmente indicato come “accanimento tera-peutico” ma nei fatti “accanimento contro lapersona”. L’International College of Person-Centered Medicine (ICPCM, www.person-centeredmedicine.org), capofila filosofico escientifico della “Medicina incentrata sullaPersona” (Person-Centered Medicine), nellapropria visione e missione prende atto chela World Health Organizzazion (WHO,www.who.gov) sta introducendo il termine“dynamic”, con significato di “interattivo”,nella sua definizione di Salute coniata nel1948 (1). Ciò, ad indicare che è necessariolo sforzo congiunto e sincrono del medico edella Persona per il raggiungimento dellostato di benessere (2). Nella letteratura scientifica ufficiale, diversiautori propongono una nuova definizione disalute, affermando che essa sia uno stato dimutuo benessere caratterizzato dal raggiun-gimento del proprio potenziale fisico,mentale, sociale e spirituale, in modo com-misurato alla propria età, ambito culturale eresponsabilità individuale nel raggiungi-mento dello scopo (3). Quindi, sembra chestiamo andando, o ritornando?, verso unamedicina orientata alla persona in tutte le suevariabili e sfaccettature al fine di garantire ilmassimo successo terapeutico e di supporto.

Fabrizio La Mura

Bibliografia1. Health is a state of complete physical, men-tal and social well-being, and not merely theabsence of disease or infirmity (La Salute èuno stato di completo benessere fisico, men-tale e sociale, e non semplicemente l'assenzadi malattia). Preamble to the Constitution ofthe World Health Organization as adopted bythe International Health Conference, NewYork, 19-22 June, 1946; signed on 22 July1946 by the representatives of 61 States (Of-ficial Records of the World Health Organiza-tion, no. 2, p. 100) and entered into force on 7April 1948.2. World Health Organization. Sixty-secondWorld Health Assembly, 2009.Disponibile on-line su www.who.int/mediacen-tre/events/2009/wha62/en/index.html (ultimoaccesso effettuato 2 Agosto 2012)3. Bircher J, Towards a dynamic definition ofhealth and disease. Med Health Care Philos2005;8(3):335-414. Person in Medicine and Healthcare - fromBench to Bedside to Community. Ed. Medicin-ska Naklada, Zagreb, 2012 3

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La Medicina incentratasulla PersonaPerson-centered Medicine

www.personcenteredmedicine.org

Per saperne di più

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Page 18: DIALOGHI TRA MEDICO, INFERMIERE E PAZIENTE

Inizia così la storia clinica di un nostro pa-ziente, il Signor Marco T., in cura presso ilCentro di Terapia del Dolore dell’OspedaleSan Salvatore dell’Aquila dal 2000. Conmolta difficoltà abbiamo conquistato la suafiducia, consapevoli che ne riponeva benpoca nella classe medica. È stata quasi unasfida per noi in tutti questi anni tentare dicurare un paziente con una condizione psi-cologica molto complessa, che rifiutava di es-sere curato e reagiva in modo spropositato adogni nostro tentativo di farlo. Fedeli al giu-ramento che ogni medico neolaureato è chia-mato a fare e al nostro codice deontologico,non abbiamo desistito. Il tempo e la tenaciaci hanno dato ragione: il sig. Marco T. ha im-parato ad ascoltarci, a fidarsi dei nostri con-sigli, ha imparato ad essere “paziente”. Noi,dal nostro canto, nutriamo un immenso ri-spetto e un amichevole affetto nei suoi con-fronti ed è per questo che vorremmo provarea raccontare la sua storia cercando di esal-tarne la componente affettiva ed emotiva,non riducendola ad un mero caso clinico,così come verrebbe didatticamente espostonelle aule universitarie di medicina.

Il primo ricoveroMarco venne da noi mesi orsono, lamen-tando un forte dolore alla gamba destra, do-lore che interferiva con le sue attivitàquotidiane e conoscendo bene il suo elevatorischio tromboembolico, gli consigliammo direcarsi al pronto soccorso per accertamenti.Risale a questo episodio la data del suo primoricovero nel reparto di chirurgia vascolare. Ichirurghi, dopo accurati esami, conferma-rono la diagnosi di “arteriopatia ostruttivacronica arto inferiore di destra con lesionitrofiche al piede” e decisero di sottoporlo ad

intervento di rivascolarizzazione, tramiteposizionamento di stent. Sebbene il decorsopostoperatorio non fu complicato da proble-matiche chirurgiche, la scarsa compliance diMarco al piano terapeutico ed il suo atteg-giamento, a noi ben noto, diffidente e a voltepersino aggressivo, soprattutto nei confrontidel personale infermieristico preposto allasomministrazione della terapia, spinsero ichirurghi a richiedere una consulenza psi-chiatrica, la prima di una lunga serie. Lo psi-chiatra, preso atto della sua anamnesipatologica remota positiva per sindrome ma-niaco depressiva in trattamento con perfena-zina, non poté fare altro che aumentare ildosaggio di quest’ultimo farmaco e aggiun-gere acido valproico.

La situazione si complicaDopo circa una settimana di degenza Marcovenne dimesso apparentemente senza pro-blemi. Tuttavia Marco, nonostante il consi-glio dei medici di astenersi dal fumo, fattoredi rischio aggiuntivo alla sua condizione cli-nica precaria, continuò a fumare più di trentasigarette al giorno.

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Una vita stravolta Paziente di 52 anni, forte fumatore ed ex tossicodipendente, affetto da trombocitemiaessenziale in trattamento, si reca al pronto soccorso per la comparsa di lesionitrofiche, dolore e cianosi all’arto inferiore destro, che una successiva consulenzavascolare accerterà dipendere da stenosi severa del tronco tibio-peroniero di destra.Il paziente si ricovera, quindi, per gli accertamenti e le cure del caso.”

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Page 19: DIALOGHI TRA MEDICO, INFERMIERE E PAZIENTE

Nell’arco di pochi giorni accusò nuovamenteun forte dolore all’arto inferiore destro chelo costrinse ad un altro ricovero. La diagnosifu “occlusione dello stent”, complicanza pre-vedibile che richiese il confezionamento diun by-pass. Il decorso post-operatorio questavolta fu più insidioso, compromesso dallacomparsa di “delirium post-operatorio escarsa collaborazione nei confronti delle pre-scrizioni dei colleghi chirurghi”, così comeriportato dallo psichiatra chiamato in consu-lenza per la seconda volta. Comportamento probabilmente ascrivibilealla sospensione preoperatoria degli antipsi-cotici, e che richiese un ulteriore aggiusta-mento della terapia. Sopraggiunse, inoltre,gangrena delle lesioni trofiche al piede ecomparsa di nuove lesioni a carico dellagamba destra, complicanza contrastata conterapia antibiotica aggressiva, peraltro dimo-stratasi poco efficace.Trascorsi 4 giorni Marco fu sottoposto aduna terza consulenza psichiatrica, e lo specia-lista si ritenne, tutto sommato, soddisfattodella sua condizione clinica, anche se Marcoormai era totalmente sfiduciato, arrendevole,depresso e per questo poco incline a seguirele prescrizioni terapeutiche, in previsione so-prattutto del fatto che le sopraggiunte lesioninecrotizzanti, presagivano un intervento de-molitivo di amputazione dell’arto, interventoche fu in effetti eseguito dopo pochi giorni.Marco si convinse definitivamente che la suapenosa condizione fosse causa di un erroremedico e non riusciva a comprendere comein realtà fosse la risultante di una serie dicomplicazioni fortuite.Nel frattempo, il forte dolore avvertito almoncone, spinse i chirurghi a sospettare unasindrome da arto fantasma e a richiedere lanostra consulenza. Rilevammo la presenza didisestesie importanti, sensazione di brucioree scariche elettriche a livello della coscia e glifu prescritto gabapentin 75 mg x2.

Marco rifiuta i farmaciIl forte disagio psicosomatico di Marco locondusse nei giorni successivi ad autosospen-dersi il gabapentin. Riferiva di aver provatouno strano malessere all’assunzione del far-maco e che lo stesso non aveva portato il sol-lievo atteso. In realtà il personale infermieristico riferiva,fin dall’inizio, una scarsa aderenza al tratta-mento da parte del paziente, il quale rifiu-tava di assumere il farmaco o lo assumeva inmodo saltuario. A distanza di pochi giorni,tentammo di sostituire la terapia, con nonpoco imbarazzo nella scelta del farmaco, con-siderato il passato da tossicodipendente e laconsapevolezza del fatto che la percezione deldolore era fortemente influenzata dal suotono dell’umore notevolmente depresso. De-cidemmo di sostituire il gabapentin con pa-racetamolo, senza però ottenere i risultatisperati, poiché Marco assumendo questo far-maco continuava ad avvertire forte disagio, acausa di profuse sudorazioni notturne, chegli creavano un ulteriore stato di agitazione.

L’alleanza terapeuticaNel corso di un successivo colloquio piùempatico con Marco, lo convincemmo a rias-sumere il gabapentin 75 mg x2 in modo con-tinuativo, rassicurandolo sui maggiori effettibenefici del farmaco, rispetto a quelli colla-terali. Attualmente Marco è ancora ricove-rato, il dolore appare sotto controllo e le suecondizioni sono stazionarie anche da unpunto di vista psicologico, tanto da indurrelo psichiatra a ridurre il dosaggio della perfe-nazina.La realtà è che, nel bene o nel male, Marcosi è trovato in un ambiente protetto, che haimparato a conoscere e dove si è fatto cono-scere, dove è stato accudito con pazienza eche è riuscito a tollerare, nonostante il suoenorme disagio e la sua frustrazione. Nelcorso del nostro ultimo colloquio, Marco ci

ha confidato le sue paure: paura della solitu-dine, dato che non può contare su un sup-porto familiare, paura di avere bisogno diassistenza continua per poter svolgere le nor-mali attività quotidiane e di avere la necessitàdi essere ospitato in una casa di accoglienzaper la terapia riabilitativa, lontano da luoghia lui familiari. Ci chiediamo come affronteràora questa nuova condizione nel mondoreale, senza filtri protettivi. Questa sarà lanuova sfida che Marco dovrà affrontare e cheaffronteremo insieme a lui.3

Chiara Di Marco, Martina Castellani

con la collaborazione diCristina Bonetti, Roberta Mariani,

Cinzia Marzilli, Antonella Paladini,Emiliano Petrucci, Paolo Scimia,

Francesca Valenti, Alba Piroli e Franco Marinangeli

Ambulatorio di Terapia del Dolore, Ospedale San Salvatore, L’Aquila

Cattedra di Anestesia e Rianimazione, Università dell’Aquila

Un particolare ringraziamento ai medici dell’Associazione V.A.Do. onlus

(Volontariato per l’Assistenza Domiciliare) dell’Aquila,al chirurgo vascolare e allo psichiatra

per la loro collaborazione e disponibilità.

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Page 20: DIALOGHI TRA MEDICO, INFERMIERE E PAZIENTE

Il dolore può ridurre la qualità delsonno e un sonno compromessopuò a sua volta amplificare la per-cezione del dolore da parte del pa-ziente. Un vero circolo vizioso.Il sonno è un processo fisiologicoessenziale per il mantenimento diuna adeguata omeostasi organicae psichica. Si ritiene possa giocareun ruolo in vari processi biologici,inclusi la sintesi proteica, la cre-scita e proliferazione cellulare, ilmetabolismo, e la funzione im-mune. Studi sperimentali hannomostrato che la privazione disonno causa un rallentamentodella proliferazione cellulare. Ilsonno è accompagnato da una ri-duzione della temperatura corpo-rea e del metabolismo; da qui èemersa la teoria che uno dei suoiruoli vitali sia quello di fornireun periodo di conservazione dienergia. Poiché gli elevati livellimetabolici associati allo stato diveglia portano all’accumulo di ra-dicali liberi, si ipotizza che taleperiodo di “tregua” metabolicapossa servire a combattere lo stressossidativo. Il sonno sembra in-trecciarsi inoltre con la funzione

immune. Si ritiene che i disturbidel sonno in soggetti con patolo-gie infiammatorie croniche pos-sano esacerbare i sintomi clinicimediante una disregolazione delsistema immunitario.I disturbi del sonno sono estre-mamente frequenti nei pazienticon dolore cronico, inclusi i pa-zienti oncologici, non oncologici,i pazienti nel postoperatorio,ospedalizzati per condizioni acute,ustionati. Uno studio di Ohaiondel 2005 ha dimostrato che la pre-valenza dei disturbi del sonno inpazienti che soffrono di dolorecronico è più alta rispetto alla po-polazione generale (8). Le disfun-zioni del sonno sono comuni innumerose patologie dolorose cro-niche, come artrite reumatoide, fi-bromialgia, cefalea cronica,osteoartrite, lombalgia, altre pato-logie reumatiche. Si stima chealmeno il 50% di questi pazientisoffre di insonnia cronica (9). I di-sturbi primitivi del sonno, comela sindrome da apnee notturne(OSA) e i movimenti periodicidegli arti, sono altamente associatial dolore cronico. Studi clinici

mostrano una stretta relazionedella OSA sia con la cefalea cro-nica che con la fibromialgia.Anche il dolore associato al dannoda ustione è interessante, inquanto sembra causare disturbidel sonno, che possono persisterea lungo dopo che la fase dolorosaacuta sia terminata. La prevalenzadei disturbi del sonno in pazientiospedalizzati per dolore acutooscilla dal 22% al 61%. Studi po-lisonnografici in pazienti sottopo-sti ad interventi chirurgici hannodocumentato alterazioni delsonno nel periodo postoperato-rio. Lo sviluppo di disturbi delsonno può avere effetti deleteri alungo termine sulla guarigione ela qualità di vita dei pazienti, ag-gravando le patologie mediche dibase, in particolare quelle checomportano stati flogistici cronici

(4), e talora portare all’insorgenzadi condizioni dolorose croniche.

Sonno e percezionedel doloreStudi sperimentali hanno dimo-strato che la privazione di sonnoinduce un abbassamento della so-glia algogena in stato di veglia,con conseguente peggioramentodel sintomo dolore, anche durantele ore diurne.

Interazionifarmaci-sonnoMolti farmaci antidolorificiinfluiscono sui pattern del sonno. Dobbiamo quindi farci spiegaredal nostro medico come megliogestire i disturbi del sonno, comeun aspetto importante dellaterapia generale per controllare ildolore.3

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Dolore e sonno “un binomio inscindibile”

Il dolore deprime e la depressione amplifica il doloreChi soffre di dolore cronico rischia trevolte di più di ammalarsi di depressione,chi soffre di depressione si ammala trevolte più spesso di dolore cronico. I pa-zienti che soffrono di dolore e depres-sione ricorrono con più frequenza allecure mediche, anche se la patologianon è grave. Ma non è detto che rice-vano una cura migliore. Secondo alcunestime, più del 50% dei pazienti depressiche consulta il proprio medico di fami-glia lamenta solo sintomi fisici, fra i qualiil dolore è il più frequente. Altri studi sug-geriscono che se il medico valutasse lostato depressivo dei pazienti con dolore,scoprirebbe un 60% di casi di depres-sione non diagnosticata.

Il dolore rallenta i tempi di guarigione dalla depressioneIl dolore rallenta i tempi di guarigionedalla depressione e la depressione creapiù difficoltà nel curare il dolore, adesempio, può indurre i pazienti ad ab-bandonare i programmi di riabilitazione.La depressione porta all’isolamento el’isolamento aumenta la depressione; ildolore limita i movimenti e l’immobilitàspesso è causa ulteriore di dolore.Quando la depressione è curata il do-lore passa in secondo piano, se il dolorescompare anche la depressione si atte-nua. Ma nel dolore cronico associato adepressione quest’ultima molto spessonon viene diagnosticata; se lo fosse, ipazienti potrebbero trarre beneficio daun trattamento multidisciplinare.

Dolore cronico e depressione

umore depresso per la maggior par te del giorno, tutti i giorni o quasi

significativa diminuzione di interesse e di piacere nelle attività svolte

alterazione dell ’appetito

alterazione del sonno

agitazione o ral lentamento psicomotor io

stanchezza e mancanza di energia costanti

sentimenti di autosvalutazione o di colpaeccessivi e inappropr iati

difficoltà di concentrazione e di memor ia

pensier i di mor te e idee di suicidio r icorrenti .

Segni e sintomi della depressione

Dolore e sonno: “un binomio inscindibile”Paolo Scimia, Franco MarinangeliCattedra di Anestesia e Rianimazione, Università dell’AquilaV.A.DO. (Volontariato per l’Assistenza Domiciliare)Dolore aggiornamenti clinici n. 2/2012 - www.aisd.it

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Page 21: DIALOGHI TRA MEDICO, INFERMIERE E PAZIENTE

Un po’ di storiaNegli anni Cinquanta il medico di origini italiane, John Bonica, attivavaa Seattle, negli Stati Uniti, le prime cliniche del dolore. Bonica è statoun convinto sostenitore dell’approccio multidisciplinare al trattamentodel dolore, coinvolgendo nei suoi studi e ricerche colleghi di varie specialità – neurologi, neurochirughi, ortopedici e psichiatri. In praticalanciò il prototipo di “Ospedale senza dolore”. Insieme ad altri studiosidel dolore di ogni disciplina Bonica organizzò un incontro a Issaquah,nel 1973, in un convento di monache francesi su una sperduta collina a 30 km da Seattle. In tale sede fu fondata la International Associationfor the Study of Pain (IASP), sulla cui scia, in varie nazioni (in Italia nel 1976), nascevano le Associazioni per lo studio del dolore(per l’Italia si veda www.aisd.it, per l’Europa www.efic.org, negli USAwww.iasp-pain.org).

I comitati “Ospedale senza dolore”Nel settembre 2000 il Ministero della Salute italiano istituiva una com-missione di studio “Ospedale senza dolore” che elaborava un progettospecifico, regolamentato dall’Accordo del 24 maggio 2001 della Confe-renza Stato-Regioni. con il quale veniva definita la rete assistenziale dellaterapia del dolore, con linee guida specifiche che delineavano i progettiindirizzati al “miglioramento del processo assistenziale specificamenterivolto al controllo del dolore di qualsiasi origine. Veniva sollecitata lacreazione, all’interno delle strutture ospedaliere, di un “Comitato ospe-dale senza dolore (COSD), composto da un referente della dire-zione sanitaria, da esperti della terapia del dolore, ove presenti, daspecialisti coinvolti nel trattamento del dolore post-operatorio e dallefigure professionali abitualmente dedicate agli interventi di controllodel dolore, con particolare riferimento al personale infermieristico”(dal sito www.normativasanitaria.it).

Ospedale - Territorio senza doloreLa Legge 15 marzo 2010, n. 38 “Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del doloe” è una legge fortemente inno-vativa, che per la prima volta tutela e garantisce l’accesso alle cure pallia-tive e alla terapia del dolore da parte del malato, nell’ambito dei livelliessenziali di assistenza, al fine di assicurare il rispetto della dignità edell’autonomia della persona umana, il bisogno di salute, l’equità nell’accesso all’assistenza, la qualità delle cure e la loro appropriatezzariguardo alle specifiche esigenze.Le strutture sanitarie che erogano cure palliative e terapia del dolore devono assicurare un programma di cura individuale per il malato e perla sua famiglia, nel rispetto dei princìpi fondamentali della tutela delladignità e dell’autonomia del malato, senza alcuna discriminazione; della

tutela e promozione della qualità della vita in ogni fase della malattia, in particolare in quella terminale, e di un adeguato sostegno sanitarioe socio-assistenziale della persona malata e della famiglia. Gli aspetti più rilevanti del testo legislativo riguardano:

Rilevazione del dolore all’interno della cartella clinicaAll’interno della cartella clinica, nelle sezioni medica ed infermieristica, in uso presso tutte le strutture sanitarie, devonoessere riportate le caratteristiche del dolore rilevato e della sua voluzione nel corso del ricovero, nonché la tecnica antalgica e i farmaci utilizzati, i relativi dosaggi e il risultato antalgico conseguito.

Reti nazionali per le cure palliative e per la terapia del doloreIl Ministero promuove l’attivazione e l’integrazione di due reti della terapia del dolore e delle cure palliative che garantiscono ai pazienti risposte assistenziali su base regionale e in modo uniforme sututto il territorio nazionale. Su proposta del Ministro della salute, insede di Conferenza permanente Stato-Regioni, vengono definiti i requisiti minimi e le modalità organizzative necessari per l’accredita-mento delle strutture di assistenza ai malati in fase terminale e delleunità di cure palliative e della terapia del dolore domiciliari presenti inciascuna regione.

Semplificazione delle procedure di accesso ai medicinali impiegatinella terapia del doloreLa legge modifica il Testo unico delle leggi in materia di disciplina deglistupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione deirelativi stati di tossicodipendenza (DPR 309 del 1990) semplificando laprescrizione dei farmaci oppiacei non iniettabili: ai medici del Serviziosanitario nazionale sarà consentito prescrivere tale classe di farmaci nonpiù su ricettari speciali, ma utilizzando il semplice ricettario del Serviziosanitario nazionale (non più quello in triplice copia).

Formazione del personale medico e sanitarioCon decreti del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro della salute, vengono individuati specificipercorsi formativi in materia di cure palliative e di terapia del doloreconnesse alle malattie neoplastiche e a patologie croniche e degenerative;vengono inoltre individuati i criteri per l’istituzione di master in curepalliative e nella terapia del dolore.La legge prescrive che in sede di Conferenza Stato-Regioni, su propostadel Ministro, vengano individuate le figure professionali con specifichecompetenze ed esperienza nel campo delle cure palliative e della terapiadel dolore (dal sito del Ministero della Salute).3

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Non soffrire inutilmenteDall’Ospedale senza dolore all’Ospedale-Territorio

senza dolore

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Page 22: DIALOGHI TRA MEDICO, INFERMIERE E PAZIENTE

Riorganizzazione dei servizi, im-piego più diffuso e corretto difarmaci oppioidi, campagna in-formativa per i cittadini, volta apromuovere una vera culturacontro la sofferenza; ma anchepercorsi formativi specifici pergli addetti ai lavori, riduzionedegli accessi impropri al ProntoSoccorso e potenziamento dellacontinuità assistenziale ospe-dale-territorio. Sono questi gliimportanti obiettivi che si poneil Piano Socio-Sanitario Regio-nale Piemontese 2012-2015,per garantire ai malati di dolorecronico una migliore qualità divita e un equo accesso alle cure,così come sancito a livello nazio-nale dalla Legge 38/2010.La Regione Piemonte, che perprima aveva recepito la nuovanormativa pochi mesi dopo ilsuo varo, ribadisce così la vo-lontà di essere un punto di rife-rimento in Italia per la lotta allasofferenza.“Il primo obiettivo che ci siamoposti è tutelare il diritto del cit-tadino ad accedere alla terapiadel dolore attraverso l’organizza-zione in rete dei servizi”, spiegala dottoressa Rossella Marzi,Coordinatore della Commis-sione regionale di Terapia delDolore e Direttore della strut-tura di Algologia dell’AziendaOspedaliero-Universitaria diNovara. “Siamo partiti da unamappatura delle attività esi-stenti, per poter attuare il pro-getto ministeriale che mira a unmodello integrato nel territorio,nel quale l’assistenza si scom-pone in tre nodi complemen-tari: il centro di riferimento diterapia del dolore (Hub), l’am-

bulatorio di terapia antalgica(Spoke) e il presidio territorialecon competenze di terapia antal-gica gestito da un team di me-dici di medicina generale,opportunamente formati. I pa-zienti potranno così essere curatiin una prima fase dal loro me-dico di famiglia, che poi invieràai centri specialistici solo i casipiù complessi. Questo modellorazionale di continuità assisten-ziale cui dobbiamo tendere ciconsentirà di ridurre le presta-zioni intraospedaliere non ne-cessarie, ottimizzare la spesa peri farmaci analgesici attraverso unimpiego più appropriato dei far-maci oppioidi ed indirizzare atecniche interventistiche mag-giori solo pazienti selezionatiche potranno contare su strut-ture certificate da indicatoriquali-quantitativi in cui ope-rano algologi di comprovataesperienza”. “Oggi si fa molto meno ricorsoad interventi invasivi rispetto alpassato. La ricerca farmacologicaci ha consentito di curare conpiù semplicità i pazienti e di li-mitare le prestazioni di neuromodulazione e neuro lesione aicasi super selezionati, evitandoinutili dispendi di risorse. Glianalgesici oppiacei, in partico-lare, rappresentano i farmaci diriferimento per il trattamentodel dolore cronico moderato-se-vero ma sono sottoutilizzati; sicommettono ancora diversi er-rori, perseverando nell’abuso diFANS, gli antinfiammatori nonsteroidei. Per questo motivo, laCommissione ha istituito il mo-nitoraggio annuale del consumodi oppioidi in tutte le farmacie

ospedaliere e territoriali. Fondamentale, per una mag-giore appropriatezza terapeutica,è anche l’adeguata preparazionedei clinici: Promuoveremopochi eventi di alto profiloscientifico iniziando proprio dacorsi finalizzati alla formazionedelle varie figure professionalicirca il corretto uso dei farmacioppioidi. Stiamo definendo pro-getti formativi per i medici dimedicina generale, per gli spe-cialisti ospedalieri, ma anche peri farmacisti . E un progetto cheabbiamo particolarmente acuore che abbiamo approvatonell’ultima riunione riguarderàil bambino con dolore, quandoricoverato in una struttura sani-taria per adulti”.

Per dare piena attuazione allaLegge 38, infine, occorre anchepromuovere un cambiamentoculturale e una maggiore infor-mazione tra la popolazione, af-finché nessuno si rassegni più aconvivere con un dolore inutile.Un obiettivo, questo, che ilnuovo Piano Socio-SanitarioRegionale si prefigge di raggiun-gere attraverso la campagna dicomunicazione “Lotta al dolore:un tuo diritto ,un nostro do-vere” promossa dall’Assessoratoalla Sanità in accordo con l’Uf-ficio competente per la materiadel Ministero della Salute.3

il mio dolore > 22

Lotta al dolore: un tuo diritto, un nostro dovereI l Progetto della Regione Piemonte

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Il dolore in Europa Un europeo su cinque soffre di dolore cronico, che perdura per tre mesi o più, uno su undici si confrontaquotidianamente con il dolore. Nei 27 stati membri dell'Unione Europea sono 100 milioni le personecon dolore cronico, 500 milioni i giorni lavorativi persi ogni anno, con un costo per l'economia europeastimato in circa 34 miliardi di euro (1). Il 19% dei pazienti con dolore cronico moderato o severo ha perso il lavoro (2). Questi pazienti rischianoquindi sette volte di più, rispetto alla popolazione sana, di dover rinunciare alla propria occupazione (3).L’indagine “Epidemiologia del dolore cronico non da cancro in Europa" è giunta alla conclusione che il22% di chi soffre di dolore cronico si assenta dal lavoro per più di dieci giorni di malattia (4). (FLM)

23 < il mio dolore

Dolore viscerale,l’epidemia silenziosaIl dolore viscerale è il dolore a carico degli organi interni, come cuore,vasi sanguigni, vie respiratorie, tratto urogenitale o digestivo; può averecause organiche, ma anche cosiddette cause funzionali, senza eventualidanni rilevabili nell'organo in questione. È un tipo di dolore che prati-camente ogni persona ha avuto modo di conoscere nella sua formaacuta, ma che risulta sottovalutato nella sua forma cronica. È secondosolo al trauma come causa di accesso al pronto soccorso. Nonostante lastatistica significativa, la ricerca si è occupata di questo tipo di doloremolto meno, per esempio, rispetto al dolore da danno tissutale o da le-sioni nervose. Per questo motivo la Federazione Europea delle Associa-zioni per lo Studio del Dolore (EFIC®, European Federation of IASPChapters) ha dedicato l’Anno Europeo 2012-2013 contro il dolore aldolore viscerale. La prevalenza del dolore viscerale è tanto impressionante quanto allar-mante:- il 20-30% della popolazione soffre di dispepsia, ma solo nella metà diquesti pazienti viene individuata una causa organica;- si stima che la sindrome dell'intestino irritabile (IBS) colpisca tra il6% e il 25% della popolazione, a seconda dello studio e anche del sesso,e motiva circa metà delle richieste di consulto dei gastroenterologi. - il dolore vescicale colpisce più frequentemente le donne rispetto agliuomini, 900 le donne che ne soffrono su 100.000;- una donna su due soffre di dolori mestruali, nel 10% dei casi questodolore è così grave che è causa di assenza per malattia ogni mese;- globalmente, le donne soffrono di dolore viscerale con un’incidenzatre volte superiore rispetto agli uomini.In molti casi, per il dolore viscerale cronico non esiste un trattamentoadeguato, a differenza delle forme acute di dolore viscerale; spesso, que-sto disturbo messo in relazione a gravi situazioni di stress, a cui si prestaaltrettanta scarsa attenzione.

Come testimonia Jaqueline Riley (Warrington, Gran Bretagna): «Il do-lore è il mio compagno costante e da molto tempo. È iniziato 16 annifa. Avevo appena compiuto 40 anni e soffrivo di dolori sempre più fortialla schiena e alle articolazioni, e anche di stanchezza cronica.» Ma lasua malattia è stata diagnosticata correttamente solo sei anni fa: fibro-mialgia, una grave malattia cronica del gruppo delle malattie reumati-che. La malattia può essere accompagnata da differenti sintomiconcomitanti. «La mia più grande difficoltà deriva dalla sindrome delcolon irritabile, di cui soffro da più di dieci anni. Non riesco mai a dor-mire una notte intera, perché il dolore acuto alla schiena, o il doloreaddominale, mi consente, nei migliori dei casi, solo un'ora di pace,come molti altri pazienti, la signora, ex infermiera, aveva consultato varispecialisti: Avanti e indietro attraverso le strutture sanitarie, spesso contempi di attesa lunghi e senza ottenere alcun risultato, fino all’incontrocon. uno specialista che mi ha aiutata a rendere il dolore più sopporta-bile. Ma la possibilità di avere una diagnosi corretta e un trattamentoottimale del dolore non dovrebbe essere una questione di fortuna, e cer-tamente non di denaro, per un paziente con fibromialgia e sindromedell'intestino irritabile».

BibliografiaGschossmann et al, Epidemiologie und klinische Phänomenologieviszeraler Schmerzen, Schmerz 2002;16:447-451International Association for the Study of Pain: www.iasp-pain.orgThe Global Library of Women’s Medicine: www.glowm.com/orgwww.efic.org 3

Bibliografia1 European Pain Network: The EPN manifesto: www.epgonline.org2 Breivik et al, Survey of chronic pain in Europe, European Journal of Pain 2006;10(4):287-3333 Jonsson E. Back pain, neck pain. Swedish Council on Technology Assessment in Health Care Report No: 145: Stockholm, 20004 Reid et al, Epidemiology of non-cancer pain in Europe, Current Medical Research and Opinion 2011:

https://lirias.kuleuven.be/bitstream/123456789/300711/1/pain.pdf 3

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Page 24: DIALOGHI TRA MEDICO, INFERMIERE E PAZIENTE

La valutazione iniziale del dolore costituisce il punto di partenzairrinunciabile per la cura mirata e globale, così come le succes-sive rivalutazioni risultano essenziali al fine di registrarne tem-pestivamente le eventuali modificazioni di intensità, sede epermettere l’adeguamento della terapia.

Una sistematica valutazione del dolore consente i seguentirisultati:• ottenere informazioni circa qualità e caratteristiche del dolore,

fattori favorenti e allevianti e manifestazioni non verbali;• constatare l’impatto del dolore sulla qualità di vita del paziente;• analizzare lo stato emotivo-psicologico e le condizioni

socio-ambientali;• prevenire e valutare gli effetti collaterali dei farmaci;• stabilire un punto di partenza sul quale pianificare i primi interventi;• scegliere gli interventi;• giudicare la risposta ai farmaci prescritti;• misurare l’efficacia nel tempo;• verificare l’aderenza alla cura.

Devono comunque essere tenute in considerazione alcune”trappole” in cui non cadere durante la valutazione:• credere che il paziente con dolore debba sempre manifestare

dei cambiamenti nei segni vitali o dimostrarlo negli atteggiamenti o comportamenti;

• supporre che tutti i dolori debbano avere una causa clinica documentata;

• essere travolti dalle responsabilità cliniche e così diventare insensibili al dolore del paziente e ai suoi bisogni;

• raccogliere le informazioni in modo non accurato o tralasciando dati critici; (per es., punto di vista del paziente);

• formulare ipotesi senza verificarne la validità;• lasciarsi influenzare da stereotipi o da generalizzazioni sul paziente

sulla base della sua cultura, sesso, età, atteggiamenti non conformisti, ecc.;

• prendere decisioni troppo rapide;• mancare di esperienza o avere esperienza insufficiente.

Comunicazione e relazione di curaL’utilizzo di un’efficace comunicazione, al’interno di unarelazione di cura, è la strategia più importante per la valutazionedel dolore: il paziente è la principale fonte di informazione. È molto importante ascoltare la persona quando parla del pro-prio dolore, porre domande in modo chiaro e aperto e crederea ciò che egli afferma. Ci sono comunque alcuni fattori che pos-sono interferire nella comunicazione:• riluttanza della persona a parlare del proprio dolore;• mancanza di continuità nella relazione tra paziente e operatori

sanitari;• uso da parte degli operatori di comportamenti, verbali e non,

che frenano la comunicazione;• incapacità del paziente ad esprimere il proprio dolore (difficoltà

di linguaggio, sordità, ecc.);• linguaggio e retaggi culturali diversi.

OsservazioneOltre alla comunicazione risulta essenziale, ai fini della valu-tazione del dolore, l’osservazione dei comportamenti e dei datioggettivi correlati ad esso.

I dati oggettivi osservabili si riferiscono ai seguenti temi:• Comportamento: possono trovare espressione con lamenti,

pianto, variazioni della mimica facciale, cambiamenti del tono dell’umore, irrequietezza e attività o inattività.

• Corpo: tramite mobilità o immobilità della parte dolente, spasmi muscolari, tremori, alterazioni sensoriali, aspetto della cute, alterazione dei parametri vitali.

• Pensiero: attraverso strategie di coping adeguate o inadeguate che possono essere agite dal paziente, (atteggiamenti collaborativi o combattivi).

È importante considerare comunque che non c’è una direttarelazione tra intensità dei comportamenti e severità o qualitàdel dolore provato: non è detto infatti che i pazienti che mani-festano in modo eclatante il proprio dolore ne provino di piùrispetto a coloro che si lamentano poco. È risaputo che i com-portamenti osservabili sono più evidenti nel paziente con doloreacuto piuttosto che nel paziente con dolore cronico, così comepure importanti sono le modificazioni fisiologiche: l’aumentodella frequenza respiratoria e cardiaca, della pressione arte-riosa, il pallore e la sudorazione profusa, sono spesso indicatoridi episodi di dolore acuto.Anche il patrimonio culturale può avere una grande influenzasul comportamento e sull’espressione del dolore, così come ilbackground proprio dell’operatore può influenzare il grado dipercezione del dolore dei propri pazienti.

Strumenti di valutazioneStrumenti monodimensionaliGli strumenti di tipo monodimensionale valutano un unico para-metro dell’esperienza dolorosa (intensità). I più comuni stru-menti utilizzati nella pratica clinica sono:

Scale numeriche (NRS): chiedono al paziente di definire ildolore con un numero da 0 (= dolore assente) a 10 (= dolorefortissimo).

Scale verbali (VRS): chiedono al paziente di scegliere fra unaserie di aggettivi quello che meglio descrive il suo dolore (as-sente, lievissimo, moderato, di media intensità, forte, atroce).

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Come si misura il dolore

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Page 25: DIALOGHI TRA MEDICO, INFERMIERE E PAZIENTE

25 < il mio dolore

Scale analogiche-visive (VAS): offrono un’immagine visivadi riferimento; si chiede al paziente d’indicare l’intensità del do-lore mettendo un segno su una linea lunga 10 cm. L’estremitàsinistra della linea rappresenta una condizione di “assenza didolore”, l’estremità di destra rappresenta una condizione di “do-lore molto intenso”. La distanza in centimetri dall’estremità di“dolore assente” a dove il paziente ha posto il segno identificail valore dell’intensità del dolore provato dal paziente.

Scale combinate: associano in vario modo gli elementi visivi,numerici o verbali precedentemente descritti.

Scala de lle espressioni facciali : una serie di disegni(solitamente 8) raffiguranti diverse espressioni facciali rappre-sentano le variazioni di gravità del dolore. Viene richiesto alpaziente di scegliere quale tra le espressioni facciali, riportatesu un unico foglio, esprime maggiormente l’intensità del suodolore (attenzione che la persona anziana non identifichi, però,la faccina anziché con il proprio dolore con la propriasofferenza).

Altri strumenti di tipo monodimensionale sono i diagrammidel corpo dove indicare la sede del dolore.

Strumenti multidimensionaliLa brevità di impiego delle scale precedentemente descritte lerende particolarmente adatte alla misurazione del dolore in faseacuta, ma Il dolore è un fenomeno multidimensionale e quindiè sconsigliabile utilizzare solo strumenti monodimensionali. Fra gli strumenti multidimensionali, il più conosciuto è ilMcGill Pain Questionnaire (MPQ, MelzacK, 1975). Esso per-mette di valutare il dolore come un’esperienza tridimensionaleanalizzando tre aspetti: • sensoriale,• affettivo,• cognitivo/valutativo.

Il questionario viene somministrato da un operatore che sotto-pone un gruppo di aggettivi alla volta all’attenzione del pazientee tra questi egli sceglie quello che trova più vicino alla propriaesperienza di dolore. Ad ogni aggettivo di una sottoclasse vieneattribuito un punteggio attraverso il quale è possibile ottenereun punteggio totale e un punteggio per ogni aspetto (senso-riale, affettivo e valutativo). In questo modo è possibile valutarequanto ogni aspetto incide sul dolore.

Breve Questionario per la Valutazione del Dolore (versioneitaliana del Brief Pain Inventory-Cleeland 1989 a cura diCaraceni). Oltre a considerare la localizzazione del dolore, alpaziente viene chiesto di valutare su scale numeriche da 0 (nes-sun dolore) a 10 (il dolore più forte che si possa immaginare),l’intensità del dolore peggiore, più lieve, medio nelle ultime 24ore ed inoltre al momento stesso della compilazione. Sempreattraverso scale numeriche da 0 (non interferisce) a 10 (inter-ferisce completamente) si chiede di assegnare un punteggioall’interferenza del dolore sull’umore, su attività fisiche quali lacapacità di camminare, sul lavoro, sulle attività sociali, sulle re-lazioni con gli altri e sul sonno.Therapy Impact Questionnaire (TIQ; Tamburini et al., 1992). Ilquestionario si presta sia all’autocompilazione da parte delpaziente, sia alla compilazione assistita nel caso in cui le con-dizioni del paziente lo richiedano. È composto da un totale di36 punti orientati ad evidenziare le difficoltà o gli stati negativipercepiti dal paziente nell’arco dell’ultima settimana. La valu-tazione è espressa tramite una scala verbale con quattro pos-sibilità di risposta (“no, un po’, molto, moltissimo”).

Marina Torresan 1, Manuela Rebellato 21Infermiera Terapia del Dolore e Cure Palliative

2 Responsabile Counselling Ospedale a Domicilio, Geriatria, UVA, Cure Intermedie – Post Acuzie

Azienda Ospedaliero-Universitaria “San Giovanni Battista”, Torino

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www.painnursing.it

Ferrara R, Partinico M. La misurazione del dolore e la valutazione dell’esperienza dolore. Continuing education in Algologia. Ed. Roma, 2001

Bert G, Quadrino S. Parole di medici parole di pazienti. Il Pensiero Scientifico Editore. Roma, 2002

Per saperne di più

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Page 26: DIALOGHI TRA MEDICO, INFERMIERE E PAZIENTE

Claudia, 3 anni, frequentava la scuoladell’infanzia senza particolari problema-tiche, aveva iniziato a settembre regolar-mente dopo aver frequentato il nido.Con le maestre aveva da subito instau-rato un rapporto amorevole e con i com-pagni di sezione una sorta di complicitàche solo da piccoli si può coltivare es-sendo privi di qualsiasi malizia o pre-giu-dizio. Poi un giorno arrivò a scuolaaccompagnata dai nonni, nessuno dissenulla all’insegnante, né spiegò il perchédi quel cambiamento. La nonna sem-brava di corsa, poco propensa a parlare.D’altronde perché allarmarsi? Capita di so-vente che i bambini vengano accompagnatia scuola dai nonni, sopratutto quando i ge-nitori sono impegnati al lavoro o comunquenelle tantissime attività richieste normal-mente ad una figura genitoriale. Ma quelgiorno Claudia non era la stessa. Piangeva di-speratamente nel salutare la nonna, non vo-leva lasciarla andare. Non ci riusciva. Ma lanonna con gli occhi velati dalle lacrime laconsegnò all’insegnante come un pacco po-stale e senza proferire parola sparì oltre laporta, accompagnata dal marito. L’inse-gnante fece di tutto per tranquillizzarla, maci riuscì solo in parte. Claudia quel giornonon era la stessa. Era preoccupata, terroriz-zata, necessitava di un sostegno, di essere in-coraggiata. Non si staccava dall’insegnante,tra i singhiozzi chiedeva disperatamente «staicon me». Ma qual era il problema? Perché èfondamentale conoscerne la causa per riu-scire ad arginarlo ed infine poter dire allabimba «Non preoccuparti... hai visto che ètutto passato? Non devi aver paura». Cosìl’insegnante decise di chiamare la mamma,ma questa non rispose. Allora cercò di con-tattare il padre. E questa volta l’insegnantesentì finalmente una voce rispondere dall’al-

tra parte della cornetta. «Pronto, sono France-sca, l’insegnante di Claudia…la bambina oggiè strana, pare spaventata… non ha mangiato…sta attraversando un momento difficile… manon ne capisco il motivo… volevo confrontarmicon tua moglie… ma non mi ha risposto…». Si-lenzio e poi «Mia moglie è stata ricoverata d’ur-genza…stanno facendo alcuni accertamenti…spero nulla di grave. A Claudia non abbiamodetto nulla…non volevamo spaventarla e poi leinfermiere ci hanno consigliato di non portarlain ospedale a trovare la mamma perché è pic-cola…» «Ma avete detto a Claudia che la suamamma è in ospedale?»; «No, perché i bambinisi spaventano al solo nominare la parola ospe-dale. E poi nessuno ci ha suggerito di chiamarla.Eravamo tanto confusi».Certo, è lecito esserlo, ma sarebbe stato op-portuno consigliare a questi giovani genitoricome comportarsi con la propria bambinadurante l’ospedalizzazione della mamma.Forse si crede che sia meglio non dire nullaalla bambina, lasciandola sola con la suapaura, con la sua immaginazione in cui sicu-ramente mostri neri e giganti sono arrivati dinotte a rapire la sua mamma?…e chissà orachi vorranno portar con sé?…forse lei stessa,forse il suo caro papà? Ai bambini deve essere

detta la verità, anche la più dolorosa. Ègiusto che sappiano che la loro mammaè stata ricoverata in ospedale perché nonsi sentiva bene, è importante che sap-piano che in ospedale non ci sono mo-stri che rapiscono oppure streghe cheinseguono senza pietà armate di pun-ture e disgustose medicine. È impor-tante raccontare alla bambina, la cuifigura di riferimento è stata ricoverata,cos’è successo. Usando i dovuti modi,utilizzando parole semplici, comprensi-bili, modulando il tutto secondo l’età ele caratteristiche personali del minore

che abbiamo di fronte. Sarebbe opportunoche il bambino, in questo caso la bambinapotesse far visita alla mamma, vedere dove sitrova…sapere che è circondata da personeche stanno facendo del loro meglio per farlaguarire, per poterle permettere di ritornare acasa dalla propria adorata bambina. Spessogli ospedali si trasformano nei luoghi dell’in-dicibile, del non visto, del qui non posso (odel non voglio) entrare perché sono piccolo.È opportuno che famiglia e figure medichecollaborino per far sì che il bambino non sisenta messo in disparte durante l’ospedaliz-zazione del proprio familiare e che nondebba vedere l’ospedale solo come quel luogoin cui si soffre ma nel posto in cui ci siprende cura delle persone, della mamma,come del bambino, nella propria totalità, conle proprie caratteristiche personali, le propriepaure, le proprie speranze e non per ultimo ipropri familiari, indifferentemente dall’età.3

Francesca RonchettiPedagosista e scrittrice

Scuola per l'Infanzia “G. Verdi”, Busseto (PR)

il mio dolore > 26

Quando mamma e papà Come aiutare i più piccoli a fronteggiare angosciae paura quando le persone care sono in Ospedale

“A Claudia non abbiamo detto nulla…non volevamo spaventarla e poi le infermiere ci hanno consigliato

di non portarla in ospedale a trovare la mamma perché è piccola… ”

Quando mamma e papà sono in ospedale

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Page 27: DIALOGHI TRA MEDICO, INFERMIERE E PAZIENTE

27 < il mio dolore

Quando mamma e papà

L’accesso dei minori ai luoghi di cura È un fatto che le regole per l’accesso dei minori in qualità di visitatori,soprattutto relativamente ai bambini sotto i 6 anni di età, nonrispecchino un consenso condiviso nell’ambito degli Ospedali, sia alivello nazionale che internazionale. Alcuni autori definiscono questibambini come una “popolazione nascosta” che deve essere adeguata-mente considerata, e che ad oggi non lo è in modo sistemico (1). Lestesse visite da parte degli adulti ai loro cari ricoverati nelle Rianimazioniè regolamentato in modo differente da centro a centro: in alcuni, i propricari si possono guardare solo da un vetro, in altri c’è l’accesso per pochiminuti di un familiare bardato di tutto punto, in altri ancora è possibileentrare in due per una o due volte al giorno, per un tempo di mezz’ora,ecc. Non stupisce che quando gli operatori sanitari si trovino a doverfronteggiare la possibilità (la quale a volte assume il carattere urgentedella necessità) che bimbi di 3-5 anni “reclamino” l’accesso ai luoghidi cura per vedere i loro cari (mamma, papà, fratello, sorella, nonno,nonna), l’adempimento di questo compito risulta arduo. Talvolta sem-plicemente si nega loro di entrare, evento che però – soprattutto nel-l’ambito della Cure Palliative - non è così facilmente liquidabile (2).

(FLM)

Bibliografia1. O’Brien L, Brady P, Anand M,Gillies D. Children of parentswith mental illness visiting psy-chiatric facilities: perceptions ofstaff. Int J Ment Health Nurs.2011 Oct;20(5):358-63.2. Ronchetti F. Per manodi fronte all’oltre: come aiutarei bambini ad affrontare la veritàdella morte. Molfetta: Ed. LaMe ridiana, 2012.3

Quando mamma e papà sono in ospedale

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Page 28: DIALOGHI TRA MEDICO, INFERMIERE E PAZIENTE

il mio dolore > 28

Gli animali, così come i pazienti umani nonverbalizzanti, non sono in grado di esprimerea parole la presenza di dolore, ma esattamenteallo stesso modo degli uomini, sono in gradodi provarlo e di subirne tutte le conseguenze:un dolore non controllato e prolungato hainfatti effetti sfavorevoli anche negli animali,potendone compromettere le capacità di gua-rigione e la qualità della vita. Il trattamentodel dolore dovrebbe pertanto rappresentareuna componente essenziale anche delle cureveterinarie, ma la difficoltà nell’individuarenell’animale la presenza di stati algici limitaspesso l’applicazione di una appropriata tera-pia antalgica. La comunità scientifica si stapertanto adoperando affinché tale limite possaessere superato: se si arrivasse a delineare dellelinee guida diagnostiche e terapeutiche appli-cabili per il controllo del dolore animale,si farebbe un grande passo avanti nel garantireanche a questa classe di pazienti il diritto dinon soffrire.Negli animali la diagnosi di dolore deve basarsiessenzialmente sulla approfondita conoscenzacirca il grado di dolore associato a particolaripatologie o interventi chirurgici e i segni com-portamentali associati ad uno stato algico. Neltentativo di facilitare la diagnosi di dolore,sono state approntate e testate soprattutto nelcane numerose scale del dolore, che consen-tono una valutazione semiquantitativa dell'in-tensità di dolore che può essere provato da unsoggetto, tenendo conto sia delle modifica-zioni fisiologiche, come l'aumento della fre-quenza cardiaca e respiratoria) che dellerisposte comportamentali dell'animale agli sti-moli e alle manipolazioni. Sfortunatamente, atutt’oggi non esiste ancora una scala del dolorevalidata per il gatto o per altri animali dome-stici, ma numerosi studi sono in atto in talsenso.3

Giorgia della RoccaCentro di Studio sul Dolore Animale,

Facoltà di Medicina Veterinaria, Università degli Studi di Perugia

Principali atteggiamenti comportamentali che ci segnalanola presenza di dolore nel gatto

Postura• Arti raccolti• Testa, collo e schiena arcuati od incurvati• Addome raccolto• Rimanere sdraiato con corpo incurvato e testa bassa

Comportamento• Aggredisce• Morsica• Graffia• Attacca• Scappa

Vocalizzazione• Soffiare• Mugolare

Movimenti• Riluttante a muoversi• Zoppica• Portamenti inusuali• Incapacità di camminare• Inattività

Altri• Attacca se si tocca l’area dolente• Non si pulisce• Pupille dilatate

pagine a cura del

CeSDA

https://centri.unipg.it/cesda

IVAPM (International Veterinary Accademy of Pain Management): Animal Pain, Cats.www.cvmbs.colostate.edu/ivapm/animals/cats.htm

Per saperne di più

Anche gli animali

soffrono

Centro di Studio sul Dolore Animale

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Page 29: DIALOGHI TRA MEDICO, INFERMIERE E PAZIENTE

29 < il mio dolore

Principali atteggiamenti comportamentali che ci segnalanola presenza di dolore nel cane

Postura• Coda tra le gambe• Dorso arcato o incurvato• Corpo che protegge il sito algico• Testa bassa• Posizione seduta per molto tempo• Addome piegato• Decubito laterale, collo esteso

Comportamento• Aggredisce• Morsica• Attacca• Scappa

Vocalizzazione• Abbaiare• Ululare• Gemere

Movimenti• Riluttante a muoversi• Zoppica• Andatura inusuale• Incapacità di camminare• Rifiuto di salire

Altri• Incapacità di svolgere normali compiti• Attacca altri animali o persone

se viene toccata la ferita

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il mio dolore > 30

Comprendere e curare il dolore

Il rapporto fra Medico e Pa-ziente costituisce, qualifica erappresenta uno dei momentipiù alti nella comunicazioneumana. Fin dai tempi della Me-dicina Ippocratica, l’atto comu-nicativo fra colui che soffre ed ilproprio curante è parte fonda-mentale non solo dell’operatodel Medico e del risultato tera-peutico, ma concretizza e dise-gna il momento etico piùsignificante dell’intera storia cli-nica di un malato.La comunicazione rappresental’insieme dei processi psicologicie fisici attraverso i quali il com-portamento e la capacità di co-municare di un individuoinfluiscono su quelli di un altro. Il contenuto della comunica-zione è dato dai messaggi e dalleinformazioni, il modo nel qualedue persone si mettono in rap-porto fra di loro rappresenta larelazione comunicativa, i mezzicon i quali comunichiamo sonosostanzialmente due (e avven-gono simultaneamente) dal mo-mento che mentre si parla(comunicazione verbale) nellostesso tempo si comunica anchecon il corpo (comunicazionenon-verbale). La comunicazioneterapeutica, inoltre, pone le suebasi sul fatto che la presenza diuna malattia rappresenta per unindividuo un’esperienza totaleed allo stesso tempo totalizzanteed affatto individuale – e ciò hail potenziale significato di uncambiamento sostanziale ri-spetto al precedente modo di es-sere: il cambiamento poi, sipone in rapporto con il sensoche ciascuno di noi attribuiscealla vita, alla sopravvivenza, allasofferenza, alla morte – e giàquesto è un processo terapeuticodi per sé.

In modo pragmatico si puòallora affermare che il modo piùefficace di avvicinarsi al Malatosia quello di accoglierne l’ansia,rispondendo a questa conl’ascolto – un ascolto che deveessere non solamente aperto (emagari passivo) ma soprattuttoattivo e partecipato.Anche nella formazione del Me-dico sono ormai ben chiare duetematiche che possono essereriassunte nelle seguenti: / saper capire e saper spiegare(cosa dire al Paziente), / saper ascoltare e saper com-prendere (come parlare con ilPaziente). Dunque, nel core curriculumdella formazione medica appa-iono ben definiti gli ambiti neiquali si deve muovere ilMedico e le competenze chedevono informarne l’esercizioprofessionale: a) sapere riconoscere e regolare iprocessi cognitivi ed emozionaliassociati alle reazioni alla malat-tia, allo stress, al dolore; b) sviluppare un’adeguata consa-pevolezza delle implicazioni emo-tive e motivazionali che sotten-dono la scelta della professionemedica e saperle valorizzare nellarelazione clinica; c) saper comunicare con effica-cia e con chiarezza con i pazientie con i familiari, sia nella fasediagnostica, sia in quella dellacomunicazione della diagnosi,con particolare riguardo alle ma-lattie gravi ed invalidanti, con ri-ferimento anche alle dimensionisociali e culturali di genere.Circa 10 anni or sono è emersoun dato di fatto circa il gradi-mento da parte degli italianiverso il Servizio Sanitario Nazio-nale: a prescindere dall’eccessodi burocrazia, dalla disorganiz-

zazione endemica dei servizi,dalle lunghe liste d’attesa e dallecode in ambulatorio, il motivodi disamore principale è rappre-sentato dalla mancanza di infor-mazioni (Mapelli, 1999).Dunque appaiono prioritari eirrinunciabili la relazione di cura(da “curare” a “prendersi cura”),la professionalità relazionale(sapere, saper fare, saper essere),la questione del linguaggio(saper comunicare: come, cosa,a chi), la comunicazione e lapromozione della salute (comu-nicazione interdisciplinare e co-municazione interistituzionale).Il Medico deve acquisire dellevere e proprie competenze edabilità specialmente nella comu-nicazione della diagnosi – primopasso della relazione di cura:non esiste il “se dire”, ma piut-tosto il “come dire”.Mai come in questo periodo laMedicina ha esibito la sua po-tenza tecnologica e mai comeora ha mostrato una crisi pro-fonda di credibilità da parte deipazienti. Il Medico “non deve enon può correre il rischio di im-porre la sua razionalità e di cata-logare le opinioni del pazientecome “superstizioni” ovvero“credenze e miti”, perché cosìfacendo impedisce a se stesso dicomprendere la narrazione delPaziente, le sue ragioni piùprofonde, le sue paure, le suesperanze.3

Stefano CoaccioliProfessore associato di Medicina

Interna, Università di Perugia, Sede di Terni.

Direttore Dip.to di Medicina Interna, Reumatologia,

Terapia del Dolore.Azienda ospedaliera

“Santa Maria”, Terni

La moderna comunicazione medico-paziente

La medicinanarrativa

Per approfondireCosmacini G. Il mestiere di medicoRaffaello Cortina Editore,2000.

Federspil G., Giaretta P., Rugarli C. Filosofia della MedicinaRaffaello Cortina Editore,2008.

Zannini L. Medical humanities e medicina narrativaRaffaello Cortina Editore,2008.

Moja E.A. e Vegni E. La visita medica centratasul pazienteRaffaello Cortina Editore,2000.

Good BJ. Narrare la malattiaEd. di Comunità, 1999.

Buckman R. La comunicazione della diagnosiRaffaello Cortina Editore,1992.

Mapelli V. Il Servizio SanitarioNazionale Il Mulino,1999.

Beccastrini S. Competenze Comunicativeper gli Operatori dellaSaluteCentro Scientifico Editore,2000.

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PROMUOVERE studi clinici e la ricerca di base e clinica nel-l'ambito del dolore e delle sintomatologie associate

INCORAGGIARE la ricerca scientifica di particolare interessesociale anche allo scopo di contenere e razionalizzare la spesapubblica sanitaria

FINANZIARE borse di studio per giovani ricercatori

CONTRIBUIRE alla formazione degli operatori sanitari con corsi,eventi e campagne di sensibilizzazione su scala nazionale, di-rette al medico specialista e al medico di famiglia

RIESAMINARE il curriculum di formazione primaria dei medicie di educazione continua

DEFINIRE protocolli per la gestione del dolore cronico nella pra-tica, che chiariscano ai medici di medicina generale quali pa-zienti indirizzare agli specialisti del dolore, e in quale momento

SOSTENERE la creazione di una specializzazione in medicinadel dolore

CURARE una corretta campagna di divulgazione scientifica,sia specialistica che rivolta al grande pubblico

MIGLIORARE la qualità delle cure e la qualità della vita dellepersone affette da patologie del dolore

ESSERE una voce autorevole e fondata su basi scientifiche perle questioni politiche associate al dolore e alla sua gestione.

Consiglio direttivo

PresidenteFranco Marinangeli

Dona il tuo contributo alla Fondazione Paolo Procacci OnlusTramite bonifico bancario sul conto intestato a:Fondazione Paolo Procacci Onlus Banca di Credito Cooperativo di RomaCodice IBAN: IT 08 Z 08327 03239 000000001820 - Codice Fiscale: 09927861006

oppure tramite carta di credito con (transazione sicura) dal sito www.fondazioneprocacci.org

È possibile aiutarci anche con il 5 x mille e tramite lasciti testamentari.

Progetti e Obiettivi

La Fondazione Paolo Procacci (FPP) nasce per promuovere e sosteneretutte quelle iniziative utili alla prevenzione, alla diagnosi precoce, alla curae all'assistenza sociosanitaria della malattia “dolore” e delle sintomatologiead essa collegate. Ne sono promotori scienziati e ricercatori di livello internazionale, da anniattivi collaboratori delle più importanti società scientifiche dedicate allamedicina del dolore, la European Federation of IASP Chapters (EFIC), l'In-ternational Association for the Study of Pain (IASP), il World Institute ofPain (WIP), oltre all'Associazione Italiana per lo Studio del Dolore (AISD). Il professor Paolo Procacci medico fiorentino di enorme ed apprezzata cul-

tura medica ed umanistica è stato un pioniere nella ricerca sul dolore: tra i fondatori della InternationalAssociation for the Study of Pain, di cui è stato vicepresidente dal 1975 al 1978, e primo presidentedell'Associazione Italiana per lo Studio del Dolore.

La FPP promuove studi clinici, premi per giovani ricercatori, corsi residenziali e a distanza, iniziativeeditoriali, tra cui, la più recente è il periodico online Pain Nursing Magazine - Italian Online Journal(www.painnursing.it). Offre un servizio di consulenza gratuita per i pazienti.Ha presentato e promosso a livello europeo il Codice Etico della Medicina del Dolore.

Soci fondatoriSerdar Erdine, Stefano Ischia, Franco Marinangeli, Alberto Pasqualucci, Margarita Puig Riera de Conias,Riccardo Rinaldi, Mario Tiengo, Athina Vadalouca, Giustino Varrassi, Michael Wolfgang Zenz

ConsiglieriStefano CoaccioliGiustino Varrassi

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www.fondazioneprocacci.org

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Soffri di dolore cronico? Racconta la tua esperienzae condividila con noi

Chiedi il parere di un esperto scrivi a: [email protected]

Abbiamo tutti familiarità con l'esperienza del dolore come sintomo, unprezioso sistema di allarme che ci avvisa che un qualcosa di anomalo si staproducendo da qualche parte nel nostro organismo. Sfortunatamente, il do-lore non ha sempre questa connotazione “utile”. Il dolore cronico che per-dura per mesi o anni, o per l'intera vita dell'individuo, può perdere la suafunzione protettiva, persistere molto al di là dell'effettiva rimozione del prim-itivo stimolo o danno che lo ha generato e divenire una "malattia" di per sé.Il dolore intenso, che limita e impedisce i più comuni gesti di vita quotidiananon riguarda solo i malati di cancro in fase avanzata di malattia, ma anchemolte malattie croniche come: l'artrite reumatoide, l'artrosi vertebrale, lanevralgia postherpetica, la fibromialgia, per citarne solo alcune. Il dolore cronico rappresenta un notevole problema di salute, che riguardamilioni di persone in Europa; devono quindi essere presi in considerazionenon solo i costi a carico dei servizi sanitari nazionali, ma anche i costi eco-nomici che gravano sulle attività produttive e sulla qualità della vita delpaziente. La lotta al dolore è un problema culturale, non solo medico, ed è una sfidaprioritaria per la medicina e la scienza, le tecniche i farmaci ci sono ma an-cora sono disattese le aspettative di sollievo dal dolore di tanti pazienti.

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