dalai lama - purezza

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  • 8/22/2019 Dalai Lama - Purezza

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    I CLASSICI DELLO SPIRITOIL DALAI LAMALA COMPASSIONE E LA PUREZZACONVERSAZIONI CON JEAN-CLAUDE CARRIERETRADUZIONE DILAURA DELEIDI

    FRATELLI FABBRI EDITORI

    LA COMPASSIONE E LA PUREZZA

    PREMESSA

    Queste conversazioni si sono svolte nel febbraio 1994 a McLeod Ganj, vicino aDharamsala, nel nord dell'India, e pi precisamente nel monastero di ThekchenChoeling, dove risiede il Dalai Lama. Essendovi arrivato il 10 febbraio, hopotuto assistere alle feste dell'anno nuovo tibetano, che inizia l'11 febbraioverso le cinque del mattino. Sono rimasto due settimane a McLeod Ganj.

    L'idea del libro, cos come l'organizzazione del viaggio, di Laurent Laffont.Avevo incontrato il Dalai Lama in due riprese, brevemente, nel corso dei suoidue ultimi viaggi in Francia. Mi misi da principio in contatto con iresponsabili dell'Ufficio del Tibet a Parigi, e grazie a loro tutto si svolsefacilmente. Quando ripenso a questo viaggio, a parte il lavoro di preparazioneche mi fu evidentemente necessario, e che dur mesi, conservo il ricordo digiornate molto piacevoli. In particolare l'atmosfera del monastero mi parve altempo stesso seria e sorridente, senza affanno n tensione.

    Prima del viaggio, su richiesta del Dalai Lama, gli scrissi diverse lettere incui precisavo i temi che desideravo affrontare, tutti concernenti, come si puimmaginare, il possibile ruolo del buddhismo nel mondo d'oggi e l'attrazionesempre pi forte che esercita. Volevamo parlare del buddhismo nei suoi rapporticon la vita di ogni giorno, con la politica,con le altre religioni o tradizioni, ponendo particolare attenzione allaviolenza, all'ambiente e all'educazione. Mi accorsi ben presto - e d'altra partela dottrina afferma che nulla pu essere separato da tutto il resto - che ogninostra parola era compresa in una trama di relazioni che si estendevaall'infinito. Impossibile isolare questo o quel soggetto dall'insiemedell'atteggiamento buddhista. A dire il vero dovevo parlare di tutto, evitandodi entrare nei complessi dettagli della dottrina, della mitologia, del rituale.

    Poich non disponevamo di molto tempo (d'altra parte basterebbe una vita?),proposi al Dalai Lama fin dal nostro primo incontro, ben sapendo che egli unodegli uomini al mondo pi impegnati, di non interrogarlo su quei punti delladottrina o della pratica da lui gi sviluppati in numerose opere, e di fare,all'occorrenza, qualche riferimento a quei libri. Accett subito e questo ciconsent di procedere pi speditamente.

    A settembre, ci rivedemmo una volta a Parigi, per precisare alcuni punti.

    Fu immediatamente chiaro che il problema principale sarebbe stato quello dellivello di lettura. A chi ci saremmo rivolti? Poich entrambi non volevamointeressare solo specialisti (ci che io non sono assolutamente) ma rivolgercicon questo libro al grande pubblico, ritenni indispensabile fare delle pause nelnostro dialogo.

    Bisogna dire che il mio interlocutore conosceva in modo ammirevole gliinsegnamenti cui faceva riferimento, io non ne avevo che qualche vaga nozione e

    la maggioranza dei nostri lettori rischiava o di ignorarli, o di comprenderli inmodo superficiale, cio falso.

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    Presi dunque la decisione, in accordo col Dalai Lama, di interrompere le nostreconversazioni ognivolta che io lo ritenessi necessario per precisare questo o quel punto; cosa chefeci con l'aiuto delle opere che cito a fine volume, fermo restando che l'insie-me del libro stato rivisto dal Dalai Lama e dai suoi collaboratori.

    A tale proposito, sono particolarmente grato ai responsabili dell'Ufficio delTibet di Parigi, Dawa Thondup e Wangpo Bashi. A McLeod Ganj, in pi incontricon il Dalai Lama, ho potuto precisare alcuni punti con il suo assistente einterprete Lhakdor e con Kelsang Gyaltsen, entrambi molto gentili e competenti.Voglio ringraziare Nahal Tajadod, sinologo e specialista di storia dellereligioni dell'Asia centrale, per la sua preziosa assistenza.

    I nostri incontri si sono svolti nella sala delle udienze di Thekchen Choeling.Duravano ogni volta circa tre ore. Parlavamo in inglese, ma sovente il DalaiLama passava bruscamente al tibetano, e domandava allora a Lhakdor di tradurmiquanto aveva detto. Registravo tutto ci che dicevamo e alla sera trascrivevo laconversazione della giornata.

    A Parigi, nei mesi seguenti il mio ritorno, ho scritto il libro. L'ordinegenerale delle nostre discussioni rispettato, anche se a volte ho ritenutopreferibile unire alcuni temi e articolare meglio domande e risposte.Trattandosi tuttavia di una conversazione, non ci si stupir di vedervi ripetutetalune frasi. Se mi parso necessario conservare queste ripetizioni, statoper non privare il libro di un certo disordine vivo, che disegna un camminosinuoso, dapprima semplice, e che va a poco a poco ampliandosi in tutte ledirezioni.

    N lui n io desideravamo pubblicare un nuovo catechismo. Volevamo, alcontrario, cercare di stabilire un vero dialogo, costantemente aperto eimprevisto, addentrandoci in territori solitamente poco frequentati. Ho cercatodi evitare sia il rispetto paralizzante sia l'inutile irriverenza. Se mi capitadi prendere la parola molto frequentemente e a lungo, ci avviene perch il miointerlocutore lo sollecitava. Egli mi interrogava e - fatto ben pi raro - miascoltava.

    Questo libro va preso quindi per ci che : una sorta di passeggiata a due,ordinata e disordinata a un tempo, molto attenta, con il migliore compagnopossibile e non per uno studio o un saggio. Lo ripeto, molti punti delladottrina sono appena sfiorati, l'estrema complessit speculativa del Mahayana vi soltanto accennata. L'essenziale mi parso, a proposito di problemi umani checi toccano oggi come ieri, e talvolta pi acutamente di ieri, ascoltare unavoce che parla con semplicit, appoggiandosi a ogni istante su pi di ventisecoli di riflessione e di esperienza.

    J.-C.C.

    Chi pone la domanda sbaglia, Chi risponde sbaglia.

    IL BUDDHA

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    1IL MONDO IN CUI VIVIAMO

    Incomincio con la domanda che ci poniamo tutti (o quasi):

    "Siamo nel Kali-Yuga?".

    Cio: viviamo in un'epoca di distruzione? persa ogni speranza? Il Kali-Yuga,secondo la tradizione induista, in effetti questa epoca nera, che ebbe iniziopi di tremila anni fa, all'indomani della morte di Krishna.

    la grande oscurit, la fine di ogni virt, la scomparsa del dharma, cio delcorretto ordine del mondo, il trionfo dell'ambizione, della falsit, delcommercio. Inutile opporsi: tutto deve scomparire. cos. Un ciclo si compienella siccit, nelle carestie, nelle battaglie, nella distruzione dei legamisociali. Come gi detto nel Mahabharata, ecco il tempo degli uomini senzaforza, senza coraggio, spietati. La terra, morta e calda, diviene allora predadel fuoco. Tutto si compie in una lenta apocalisse. Dopo di che il sonno diVishnu avvolge il ritrovato nulla e il dio sogna le bellezze di questo mondo,perch non vengano dimenticate. Pi tardi, molto pi tardi, Brahma il creatorescaturir dal suo ombelico e a un tratto avr vita un altro mondo.

    Seduto accanto a me, colui che tutti qui chiamano Sua Santit, Tenzin Gyatso, ilquattordicesimo Dalai Lama, mi guarda e mi ascolta.

    calmo e molto attento.

    Completo la mia domanda:

    "Tuttavia un'altra tradizione, credo buddhista, afferma esattamente ilcontrario. Noi viviamo - senza saperlo - un'epoca di virt, di aiutovicendevole, di migliore osservanza delle Scritture, un periodo definitofortunato. Fra queste due tradizioni, quale scegliere?".

    "Senza esitazione, la seconda."

    "Per quali motivi?"

    "Ne vedo almeno tre. Anzitutto mi sembra che il concetto di guerra si siarecentemente modificato. Nel XX secolo, fino agli anni Sessanta-Settanta,pensavamo ancora che la decisione finale e indiscutibile dovesse venire da unaguerra. Si tratta di una legge antichissima: il vincitore ha ragione. Lavittoria il segno che Dio, o gli di, sono dalla sua parte. Di conseguenza, ilvincitore impone la propria legge al vinto, sovente per mezzo di un trattato,che non si riveler che un pretesto di rivincita. Di qui l'importanza degliarmamenti, e soprattutto degli armamenti nucleari, elemento centrale del Kali-Yuga. Questa corsa alla bomba ha fatto pesare sulla terra una veraminaccia di annientamento."

    "Le sembra che questa minaccia vada scomparendo?"

    "S, ne sono convinto. La guerra fredda sembrerebbe cessata. Gli arsenalinucleari si riducono. Chi se ne potrebbe lamentare?"

    "Si contano attualmente, proprio nel momento in cui parliamo, pi di cinquantaguerre nel mondo."

    Ricordiamo quelle vicine a noi, in Afghanistan, nel Kashmir, gli scontri framusulmani e induisti sul territorio indiano, e altre lotte di cui i giornali

    occidentali non parlano quasi mai, la guerriglia del Manipur, o quella cheoppone i lavoratori immigrati nepalesi alle forze del re del Bhutan.

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    Gli parlo del turbamento profondo che guerre, "epurazioni" e bombardamenti atappeto, nella ex Jugoslavia, hanno portato all'Europa esitante. In buona fede,nessuno oserebbe sostenere che si sia meno crudeli di un tempo.

    "Lo so bene" mi dice. "Queste guerre locali sono veramente crudeli. Edevidentemente nefaste. Ogni guerra, piccola o grande che sia, negativa. Rivela

    ci che di peggio abbiamo, e non porta che a nuovi conflitti. Ma sotto laminaccia nucleare, nessun luogo sicuro sulla faccia della terra. Perlomeno, lepiccole guerre sono limitate. Qui, oggi, a Dharamsala, mi pare che si stiatranquilli."

    Sorride per un attimo e aggiunge:

    " vero che molte di queste guerre sono sorte a causa dell'allontanamento dellaminaccia nucleare".

    "Ha altri motivi di ottimismo?"

    "S. Ecco il secondo: credo, malgrado certe apparenze, che il concetto diahimsa, di non violenza, guadagni terreno. Al tempo del Mahatma Gandhi, uomo chevenero, la non violenza passava pi spesso per debolezza, per rifiuto di agire,quasi per vigliaccheria. Non pi cos. La scelta della non violenza oggi unatto positivo, che evoca una vera forza. Guardi il Sudafrica, e anche ci chehanno fatto Arafat e Rabin. Per molti decenni, palestinesi e israeliani nonhanno visto, proclamato, usato che la forza. Le due parti sono giunte ora ainegoziati pacifici."

    "Non senza forti remore degli uni e degli altri. E si arriva finoall'assassinio. Fino al massacro tra la folla. Fino ai canti di sterminio che siinsegnano ai bambini, di entrambe le parti: prendi il fucile e vai a ucciderel'altro."

    "Certo. Non occorre dirmi di quali orrori siamo capaci. Ma l'esempio dato daipalestinesi e dal governo ebraico ugualmente un buon esempio, ben accoltonel resto del mondo [nota : Quando ci rivedemmo, in settembre, mettemmol'accordo tra l'IRA e il governo inglese nella colonna delle "buone notizie", eil dramma del Ruanda dall'altra parte.] . E ho un'altra sensazione. Credo che,grazie alla stampa, ai media, a tutto ci che si chiama comunicazione, i gruppireligiosi si incontrino pi spesso, si conoscano meglio d'un tempo."

    "Questo non vale per certi paesi musulmani, che hanno, al contrario, la tendenzaa chiudersi in se stessi, come se volessero cacciare ogni influenza dellostraniero, soprattutto se occidentale. In Algeria, gruppi di attivisti giungonoa uccidere chi straniero. Azione assurda e sanguinosa, in contrasto con lospirito del tempo. E che fa nascere altri gruppi, radicalmente opposti, cheuccidono coloro che sono sospettati di aver ucciso, e cos via, senza sosta."

    "L'isolamento non mai un bene per un paese. Ed diventato impossibile.All'inizio del secolo, il Tibet aveva pochissimi contatti con altri popoli, conaltre tradizioni, e la cosa fu molto dannosa. Il tempo lo lasciava indietro, equesto ci procur un brusco risveglio. Quanto ai paesi musulmani, anche se talu-ni conservano e anzi rafforzano la loro chiusura, nell'insieme, se si guarda ilmondo nel suo complesso, l'isolamento perde terreno. In una ventina di anni, hovisitato molti paesi. Mi dicono ovunque: ci conosciamo meglio."

    Sotto la tollerante dinastia dei Tang, dal VII al X secolo, esisteva nel nord-ovest della Cina, a Dunhuang, nella regione di Turfan, un centro di ricerchedove le religioni dell'Asia centrale, il taoismo, il buddhismo, ilnestorianesimo, il manicheismo (queste ultime due giunte dall'Iran) si

    incontravano, si scambiavano testi, si sforzavano di conoscersi meglio.

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    "La regola" ricordo "era di sottolineare i punti comuni e di sorvolare sulledifferenze."

    "Senza dubbio noi manchiamo di tali centri" afferma il Dalai Lama. "E sarebbeottima cosa crearne. Da parte mia, per quanto mi possibile, incontro altricapi religiosi, passeggiamo insieme, visitiamo questo o quel luogo sacro,

    qualunque sia la tradizione alla quale si collega, e l meditiamo insieme,condividiamo un attimo di silenzio. Io ne ricavo un grande senso di benessere."

    In marzo, qualche settimana dopo i nostri colloqui, si recato in Israele, doveha incontrato ebrei, musulmani, cristiani, drusi, anche bahai. Ha visitato lechiese cristiane, la moschea di Omar, il muro del pianto e altri luoghi. Haanche parlato molto - ma separatamente - con palestinesi e israeliani, in favoredella pace necessaria. Egli reputa che il fossato sia ancora profondo, masostiene tuttavia di avere colto, da una parte e dall'altra, significative"vibrazioni".

    "Continuo a credere" dice "che sul piano religioso siamo in progresso rispettoall'inizio di questo secolo."

    "Molti commentatori affermano il contrario. Si sente ovunque parlare, ancheall'interno del cristianesimo e dell'induismo, dell'avanzata degli integralismireligiosi."

    " un'avanzata reale, e inquietante" mi dice. "Taluni vogliono scorgervi unareazione agli antichi terrori della fine del millennio."

    "O qualche segreta compensazione al crollo delle ideologie. Alcuni si domandanoper quale motivo le speranze ecumeniche degli anni Cinquanta sembrino avereceduto il posto a una parcellizzazione crescente delle fedi. Ovunque le setteproliferano, le differenze si inaspriscono. L'anno scorso, un visionarioamericano ha preferito morire nel fuoco con i suoi adepti, piuttosto checonsegnarsi alla polizia. "

    Aggiungo un esempio personale:

    "Mi trovavo nel dicembre 1993 a Bombay per assistere a una serie di conferenzetenute da specialisti francesi. Si parlava della storia dello zoroastrismo, untempo religione dell'Iran, rappresentata oggi da circa ottantamila persone,abitanti per la maggior parte nel Maharashtra, in India".

    "S, i parsi. Li conosco."

    "Una delle conferenze verteva sulle influenze subite dallo zoroastrismo al tempodel suo esilio verso la Cina, dopo l'invasione dell'Iran da parte degli Arabinel VII secolo. Una di queste influenze fu esercitata dal manicheismo, altrareligione gi bandita. Le due tradizioni, per adattarsi ai nuovi territorifortemente penetrati dal buddhismo, furono obbligati ad adottare un vocabolarioe alcune nozioni buddhiste."

    "Accade sovente."

    "Si trattava di una analisi meramente linguistica, basata sulle iscrizioni diquel tempo. Al termine della conferenza, si vide alzarsi un uomo corpulento, conl'aspetto di uomo d'affari, che dichiar ad alta voce, in un inglese eccellente,che lo zoroastrismo non aveva potuto modificarsi n subire alcuna influenza, checomunque Ahura Mazdah era il solo vero dio e Zoroastro il solo profeta.Affermazioni unite a qualche considerazione razziale e politica, come adesempio: noi siamo i soli veri Ariani. Ero stupefatto. Avevo appena scoperto,

    oggi, un fondamentalismo zoroastriano. Non sapevo come rispondere a quest'uomo."

    Il Dalai Lama si china leggermente verso di me e mi domanda:

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    "Che percentuale di parsi rappresentava?".

    "Da quello che mi hanno detto, circa l'otto per cento."

    "Ebbene, la risposta novantadue per cento!"

    Ride per la prima volta: un riso diretto, spontaneo, che torner sovente. Sidirebbe un'altra persona che lo abiti segretamente e che si manifestiall'improvviso.

    Poi aggiunge:

    "L'umanit cos. sempre stata cos. Non prendiamo in considerazionequest'uomo irritato. Lasciamolo in pace. E se la maggioranza dei parsi rifiutadi seguirlo, diciamo semplicemente: tanto meglio".

    "Il buddhismo salvaguardato dall'integralismo?"

    "I principi stessi del buddhismo sono l'opposto del fondamentalismo. Sostengonoal contrario che un grande flutto ci trasporta, che nulla stabile per sempre.Ci non impedisce che in questo momento, in Inghilterra, un lama di buonaformazione si comporti come un vero capo di setta."

    "Un lama integralista?"

    "Ad ogni modo, proibisce tutte le mie opere, ogni contatto con me, ogni immaginedel Dalai Lama. Mi accusa di questo e di quello. I suoi fedeli, qualchemigliaio, hanno il permesso di leggere solo i suoi libri, di affiggere evenerare solo la sua fotografia. E cos via. Ma cosa volete? umano. Siamotutti simili, e tutti diversi. Se la differenza prevale, ciascuno pu cosscoprire il suo piccolo territorio di verit, e aggrapparvisi con tutte le sueforze."

    "Talvolta fino alla morte, la propria o quella degli altri."

    "Ma s. Siamo cos. A questo si aggiunge il gusto del potere, infaticabilecorruttore."

    Gli dico che conosciamo il medesimo fenomeno in altri ambiti, che la storiadell'arte e dell'estetica ricorda la storia delle religioni: stessi proclami, e-sclusioni, conventicole, visionari.

    "Ad esempio quando esce un film, o un libro, o un'opera teatrale, accade che sisappia in anticipo ci che scriver questo o quel critico. Inutile leggere ilsuo articolo, sia esso favorevole od ostile. Questo articolo non dipendedall'opera in s, ma dalla personalit di colui o di colei che l'ha scritto. Equesto sovente a sua insaputa".

    Ripete ancora una volta, calmo:

    "S, l'umanit cos".

    "Mi pare che il buddhismo offra una via diversa, una forma particolare ditolleranza. Pu, pi facilmente che altre tradizioni, adattarsi all'evoluzionedei tempi e dei costumi? Pu anche porgere un aiuto a uomini e donne menopreparati di altri, meno colti, meno intelligenti?"

    Riflette a lungo prima di rispondere.

    Siamo comodamente seduti intorno a una grande tavola bassa, nella stanzaluminosa dove riceve, ogni giorno, visitatori giunti da tutto il mondo. Di

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    fronte a me, una immagine del Buddha Sakyamuni, circondato da altre immagini epiccole statue, di cui alcune salvate dal Tibet, al tempo della drammaticapartenza del 1959. Fra queste statuette, quella di Padmasambhava, il grandepredicatore del Kashmir che fu il vero apostolo del buddhismo nel Tibet, nelVIII secolo della nostra era.

    Al centro della stanza, una stufa. Fuori, attraverso le finestre, alberi e lecime innevate delle prime catene dell'Himalaya. Sovente, grida di corvi. Il Da-lai Lama sempre in compagnia di due assistenti di cui uno, Lhakdor, svolge lefunzioni di interprete quando il mio interlocutore passa all'improvviso dal-l'inglese al tibetano.

    All'inizio di ogni incontro il Dalai Lama scioglie i lacci, leva le scarpe e sisiede nella posizione del loto sulla sua poltrona. Indossa, come Lhakdor, lasemplice veste rossa dei monaci, dei bhiksu, che lascia scoperto il bracciodestro.

    Dopo un'ora di conversazione, ogni giorno, un monaco sorridente ci serve il t,su un vassoio. Pi tardi, quando il Dalai Lama calza di nuovo le scarpe, chiaro che la conversazione si avvia alla fine. Tutto calmo e cordiale. Non si avverte alcuna tensione. In effetti, le guerre chescuotono il mondo non hanno eco qui.

    "Nel buddhismo" mi dice "tutto spesso una questione di livelli, diangolazione. Ogni affermazione generale e definitiva ci sembra pericolosa,probabilmente falsa. Lei mi domanda: pu il buddhismo, in questa fine delsecolo, offrire un rifugio a tutti? Dipende dal vostro atteggiamento e daivostri bisogni. In ogni caso, bisogna distinguere: fare parte della struttura, oesserne al di fuori."

    "Fare parte della struttura, significa appartenere a una comunit buddhista?"

    "Esattamente. Appartenere al sangha, accettare uno studio e una disciplinaparticolari."

    " possibile per tutti? E non soltanto in Asia?"

    "Ma certo. A differenza dell'induismo, il buddhismo ha sempre avuto vocazione diuniversalit. Si opposto agli dei protettori di un solo popolo, dei il cuipotere si arresterebbe a certe frontiere. Il buddhismo si rivolge a tutte ledonne, a tutti gli uomini, a tutti gli esseri, ma attenzione: non allo stessolivello, non allo stesso modo. Coloro che desiderano aderire al sangha devonoagire con grande prudenza. Si tratta di una decisione molto importante, che im-pegna una vita, e anche pi vite. Non si rinuncia impunemente al propriopassato, alle proprie radici. Comunque noi non facciamo nulla per convertire.Non il nostro fine."

    "La nozione stessa di missione apostolica, di queste vaste opere di conversione,condotte con risolutezza nel XIX secolo e ancora nel XX, sembra stiascomparendo."

    "Non bisogna soprattutto dolersene."

    " il secondo livello?"

    "Il secondo livello accessibile a tutti. Lezioni e insegnamenti di ogni sortapossono essere tratti dalbuddhismo senza che questo richieda un'adesione completa. Si pu imparare ineffetti la tolleranza, senza la quale nessuna vita sopportabile, e anche il

    cammino della pace dello spirito, indispensabile per ogni azione giusta. Questapace dello spirito al centro delle nostre ricerche. Essa governa il nostro

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    atteggiamento nei confronti del mondo di cui facciamo parte, nei confronti delnostro prossimo, e anche dei nostri nemici."

    "Esistono delle tecniche per giungere a questo?"

    "S. La principale la meditazione, che al centro della nostra pratica, e fa

    parte del nostro insegnamento."

    "Sappiamo tutti che un momento di riflessione tranquilla pu aiutarci arisolvere un problema che sembrava senza soluzione. E questo vale per il lavorodi gruppo. Qualche minuto di silenzio comune porta pi coesione che ore diagitazione. Ma nella preparazione di uno spettacolo, non ci si pu accontentaredi meditare. Bisogna passare alla recitazione, all'improvvisazione,all'espressione della vitalit."

    " vero sempre."

    Aggiunge sorridendo:

    "Bisogna meditare e agire a un tempo! E tutti insieme! E anche mangiare! Tantecose ci sono comuni! L'acqua, l'ossigeno!".

    Cessa di ridere e riflette un istante prima di riprendere:

    "Una delle cose che la meditazione ci insegna, quando scendiamo lentamente innoi stessi, che il senso della pace esiste in noi. Ne abbiamo tutti ildesiderio profondo anche se sovente nascosto, mascherato, contrastato. Ibuddhisti credono che la natura umana, se esaminata attentamente, sia buona, bendisposta, servizievole. E mi sembra, sempre per rispondere alla sua primadomanda, che oggi questo spirito d'armonia si estenda, che il nostro desideriodi vivere insieme tranquillamente sia sempre pi forte, sempre pi condiviso".

    "L'Occidente, in questa fine di secolo, constata, piuttosto, un fallimento. Unagrande speranza era nata due o tre secoli fa, all'inizio di questa epoca che noichiamiamo "moderna". Filosofi come Rousseau e altri proclamavano anch'essi labont, l'innocenza della natura umana. E ne attribuivano la corruzione alla"societ". Questa corruzione che i buddhisti chiamano "contaminazione"."

    "Per altri motivi."

    "Essi hanno creduto, e affermato, che mutando le condizioni della societ - permezzo di riforme, di leggi, di rivoluzioni se necessarie - avrebbero restituitoalla natura umana le sue qualit originarie e avrebbero condotto gli uomini auna vita migliore, addirittura alla felicit. Sono passati pi di due secoli.Vaste lotte sociali e politiche hanno permesso, senza dubbio, di migliorare inmodo considerevole i rapporti legali, giuridici, la durata media della vita, ilsuo tenore. In linea di principio, nelle nostre democrazie, ognuno ha ora lapropria possibilit di scelta. Lo Stato si separato dal potere religioso, e ilpotere giuridico da quello politico. Ci non accade senza difficolt, viviamo inquesto momento una forte crisi economica, ma nel complesso viviamo meglio, net-tamente meglio di un tempo."

    "Senza dubbio."

    "Tuttavia la natura umana non sembra essere cambiata di una virgola."

    "E forse meglio conosciuta."

    "Forse. E meglio disciplinata da regole. Ma alla prima occasione si rivela la

    stessa. Le religioni hanno perso, almeno da noi, ogni preminenza, le ideologiepolitiche si sono deteriorate. Ma la felicit ancora lontana e, in fin deiconti, noi siamo esattamente, e tristemente, gli stessi."

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    Anche qui, riflette. Aggiunge che, in questo disordine, gli anatemi razzisti egli integralismi di ogni sorta trovano un terreno fertile e che d'altra parte,quando si distrugge una ideologia, si assiste al sorgere e all'imporsi del cultoesclusivo del denaro.

    "Chiunque esclude gli altri si trover escluso a sua volta" mi dice. "Ogni

    disputa folle. Colui che afferma che il proprio dio l'unico dio commetteun'azione pericolosa, nefasta, perch sulla strada di imporre il proprio credoad altri, con ogni mezzo."

    "E di proclamarsi il popolo eletto."

    "Che la cosa peggiore."

    "La democrazia, come la conosciamo noi, credeva di avere eretto una solidabarriera mettendo in pratica l'idea - molto importante - di separazione."

    "Se allude alla separazione di Stato e Chiesa, mi parrebbe un ottimo principio."

    "Tuttavia lei, che riunisce tutto il potere nelle sue mani, rappresental'esempio contrario."

    "No. Il concetto di potere molto diverso. Lo stesso titolo, l'istituzione delDalai Lama pu scomparire da un giorno all'altro. Non stabilito per sempre daqualche forza esterna agli uomini e alla terra. Non vi contraddizione frabuddhismo e democrazia."

    "L'altra separazione" gli dico "la conosce. quella che definisce e che separai poteri all'interno dello Stato. stato detto che la decisione di fare dellagiustizia un potere, un vero potere, fu un colpo di genio dell'Occidente. Anchese questa separazione dei poteri suscita molteplici attriti."

    "Per ritornare all'integralismo," riprende "al frazionamento delle credenze,all'auto-proclamazione dei "popoli eletti", questo uno dei motivi, senzadubbio, per i quali il buddhismo si sempre guardato dall'affermare l'esistenzae l'onnipotenza di un dio creatore. Quando lo si interrogava su questopunto, e su qualche altro, il Buddha Sakyamuni taceva."

    "Non ha detto che si deve evitare di "fare la corte a di stranieri"?"

    "L'ha detto. E tutte le scuole buddhiste sono oggi d'accordo su questo. Il chenon vuole dire, per, che noi abbiamo razionalizzato le nostre credenze, nelsenso che voi date a questa parola."

    "Cio?"

    "Bene, noi riconosciamo l'esistenza di esseri superiori, in ogni caso di uncerto stato superiore dell'essere; crediamo agli oracoli, ai presagi, all'inter-pretazione dei sogni, alla reincarnazione. Ma queste credenze, che per noi sonocertezze, non cerchiamo in alcun modo di imporle agli altri. Lo ripeto: nonvogliamo convertire. Il buddhismo si applica anzitutto ai fatti. un'esperienza, un'esperienza personale. Si rammenti del famosissimo detto diSakyamuni: "Non aspettatevi nulla se non da voi stessi"."

    Evochiamo per un istante la grande figura del Risvegliato, e la suaraccomandazione che ha attraversato venticinque secoli: "Come si saggia l'orosfregandolo, spezzandolo e fondendolo, cos fatevi un giudizio della mia parola.Se l'accettate, che non sia per semplice rispetto".

    Parliamo allora dell'aggressivit, di Karl Lorenz e di alcuni altri. Si puestrapolare da un lungo e paziente lavoro sul comportamento animale? Si pu direche l'aggressivit sia una componente della nostra natura? Faccio presente che

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    questa nozione sovente presentata come una forza positiva, come un elemento disopravvivenza, forse addirittura a livello di specie. Senza questa,probabilmente, saremmo scomparsi.

    "L'aggressivit fa intimamente parte di noi stessi" dice. " proprio per questoche bisogna lottare."

    In un altro libro [nota: Ainsi parle le Dalai-Lama, Colloqui con Claude B.Levensen Balland, 1990.], il Dalai Lama ha parlato di alcuni dei drammi che nelXX secolo hanno insanguinato l'Asia, e particolarmente l'Asia buddhista, da PolPot in Cambogia a Sukhe-Bator in Mongolia.

    "Uomini cresciuti in un ambiente rigorosamente non violento" mi dice "hannopotuto diventare i pi crudeli massacratori. Segno che l'aggressivit piinsensata continua a vivere nel fondo di noi stessi. Su questo non c' alcundubbio."

    Sottolinea queste parole con un gesto reciso delle mani. E aggiunge subito:

    "Ma la nostra vera natura pacifica. Per questo Sakyamuni ci raccomanda dicercare nel nostro intimo pi profondo: perch vi troveremo alla fine ildesiderio di pace. Tutti sappiamo che lo spirito umano sconvolto, in balia disussulti che fanno paura. Ma questa agitazione non la forza dominante. possibile e indispensabile padroneggiarla. Nel suo lavoro, quando immaginastorie, scene, lei non ha bisogno di calma?".

    "Ho bisogno di calma e di agitazione."

    "Nello stesso momento?"

    "Quasi nello stesso momento."

    "Una certa agitazione e necessaria all'invenzione?"

    "Molti scrittori del XX secolo hanno amato lavorare per esempio nei caff, trail rumore e la confusione, a contatto con una vita differente. Il camerierepassa, viene urtato, rovescia una tazza di t: questo incidente pu farescaturire un'idea, che altrimenti dormirebbe per sempre. Dopo di che, certo,sono necessari lunghi momenti di tranquillit e di riflessione. La calma giudical'agitazione. A dire il vero, ciascuno trova il proprio schema, il proprioritmo, il proprio modo di esprimersi. Non c' una regola assoluta"

    "Lei ha dunque bisogno di trambusto?"

    "In un certo senso. Tutto comincia sul nostro piccolo palcoscenico interiore,ove compaiono dei personaggi. Noi siamo a volta a volta attori e spettatori. Eanche gi critici. Ogni tanto bisogna gettarsi senza riserve nella scena, quasialla cieca. In altri momenti bisogna allontanarsene, guardarla da lontano, comese l'avesse scritta un altro."

    Mi ascolta e mi guarda scrollando piano il capo. Aggiungo che, comesceneggiatore, come autore, mi impossibile vivere continuamente nei buonisentimenti. Devo cercare in me il vizioso e il criminale. Come diceva LuisBunuel, il bravo sceneggiatore deve ogni giorno uccidere suo padre, violare suamadre e tradire la sua patria. Nel suo lavoro, il peccato d'intenzione nonesiste, e quando cerca nel fondo di se stesso, non la calma che trova, ma alcontrario il tumulto, la competizione, la violenza, sovente il sangue. Egli ,per necessit, un inventore di crimini.

    "Per non li commette."

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    "Alcuni sostengono che istighi gli spettatori a commetterli."

    "Conosco questo problema" mi dice. "Non semplice risolverlo. La stupir forse,ma non sono rigorosamente contrario allo spettacolo della violenza e delcrimine. Tutto dipende dall'insegnamento che se ne trae."

    Precisa sorridendo che al centro della tradizione buddhista, l'atteggiamentocostantemente raccomandato nei nostri rapporti con una realt sovente qualifi-cata come "relativa" ("Conoscete la sofferenza bench non vi sia nulla daconoscere...") assomiglia molto a una rappresentazione. Obbligato, dalla suastessa condizione, a vivere in un mondo la cui realt non garantita e cheforse solo una illusione, l'uomo come un attore che si identifichi, almenoapparentemente, con un ruolo, effimero come tutti i ruoli.Il Dalai Lama, nonostante le nostre digressioni, segue un piano ben preciso. Emi presenta un terzo motivo di ottimismo:

    "Quando incontro dei giovani, soprattutto in Europa, credo anche che il concettodell'umanit come unicum sia assai pi forte oggi rispetto a ieri. unsentimento nuovo, che esisteva solo molto raramente nel passato. L'altro era ilbarbaro, il diverso".

    "Colui che non si pu riconoscere come simile."

    "Esatto. E vedo che questa reazione di diffidenza e di ostilit lentamentescompare. Si attribuisce una importanza sempre minore alle nazionalit, allefrontiere. L'unificazione di gran parte dell'Europa, la scomparsa, per esempio,delle atroci battaglie tra francesi e tedeschi, la moltiplicazione dei matrimonitra donne e uomini di paesi diversi, di diverse lingue e diverse culture, tuttoquesto mi pare positivo. Si diffonde una visione globale delle cose, non lepare?"

    Ci che dice indiscutibile. Tuttavia, come non ricordare le nostre persistentiinquietudini, tutti i paradossi che ci assalgono? Mai abbiamo prodotto tantibeni, e la miseria alle nostre porte. Mai abbiamo moltiplicato cosfreneticamente la nostra specie, e i deserti guadagnano terreno ogni giorno. Maici parso di avvicinarci tanto all'et dell'oro, all'ozio che ritempra, e ladisoccupazione diventa la nostra prima calamit. Mai abbiamo mostrato cos lar-gamente i nostri corpi nudi e le nostre unioni cosiddette libere, e mai la morte stata cos vicina al sesso. Mai abbiamo inventato tecniche cos prodigiose perentrare in contatto gli uni con gli altri, e mai la solitudine ha trovatoaccenti pi amari.

    E cos via. L'elenco lungo. Ciascuno pu portarvi il proprio timore.

    E ancora, con la stessa convinzione, con la stessa perseveranza, il Dalai Lamarisponde:

    "Tutto questo vero. Ma nulla pu aggiustarsi all'improvviso, come per magia. necessario del tempo, necessario un lento cammino nello spirito. Guardi peresempio: gli abitanti della terra, nella prima met del nostro secolo, nonavevano alcun senso di responsabilit nei confronti del loro pianeta. Fabbrichecoprivano a poco a poco il suolo, soprattutto in Occidente, riversando i lororifiuti nei quattro elementi. Nessuno, stranamente, se ne curava".

    "Si comincia a studiare questo accecamento storico. "

    "Che aveva per risultato" continua "un'ondata gigantesca di estinzione dellespecie, la pi terribile che si sia conosciuta da sessantacinque milioni d'an-ni. Il che per un buddhista un vero abominio."

    "L'estinzione continua impunemente."

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    " Lo so. Ma almeno, oggi, abbiamo preso in qualche modo coscienza di questopericolo. Si sono anche visti nascere partiti politici, che sovente si chiamanoVerdi, il cui programma poggia sulla difesa dell'ambiente. Trenta o quarantaanni fa questo primo passo sarebbe stato inconcepibile. Ancora: incontro semprepi frequentemente gruppi di uomini d'affari che fino a poco tempo fa, lei losa, non manifestavano alcun interesse per il buddhismo, e che oggi vengono a

    trovarci, a interrogarci. Essi mostrano un'attenzione molto viva per i nostrivalori. Cercano persino dei luoghi ove riunirsi, ove andare in ritiro, percondurre sotto la nostra guida una vita spirituale, almeno per una settimana odue."

    "Non troppo tardi?"

    "Spero di no. E, comunque, meglio di niente. Noi corriamo sempre un rischiomaggiore: quello di perdere il contatto col resto dell'universo. Dobbiamo invecefare di tutto per conservarlo, e anche per rafforzarlo.""Si pu talvolta mettersi la coscienza a posto in una settimana o due di ritiro,e lanciarsi, subito dopo, in uno sfruttamento forsennato della terra. "Lo sobene." "Avremmo dunque bisogno di un risveglio?" Sorride rispondendomi: " laparola. la parola giusta".

    2EDUCAZIONE E CONTAMINAZIONE

    Quando il principe Siddharta, all'et di ventinove anni, gi sposato e padre difamiglia, lasci lo splendido palazzo in cui viveva dalla nascita, circondato dafiori, profumi, uomini e donne accuratamente scelti dal padre per la lorogiovinezza e bellezza, e s'incammin per le strade della citt chiamata Kapi-lavastu, incontr da principio un vecchio curvo per l'et, poi un uomo divoratodalla peste nera, poi un cadavere portato al rogo.

    Questi tre incontri - una scena decisiva nella storia del mondo -, l'improvvisascoperta della vecchiaia, della malattia e della morte, calamit comuni a tutti,portarono poco tempo dopo alla partenza del principe. Impressionato da unreligioso che mendicava il proprio nutrimento, Siddharta Gautama abbandonsegretamente il palazzo, la famiglia e i doveri regali che l'attendevano. Decisedi consacrare tutte le forze della sua vita alla ricerca di una luce nuova, finoad allora sconosciuta, che permettesse agli uomini di liberarsi dallasofferenza.

    La sofferenza la rivelazione del buddhismo. Sofferenza fisica, certo, ma anchesofferenza morale, senso di impotenza, di frustrazione, di inutilit in questomondo. Soffrire, per il Buddha, " nascere, invecchiare, ammalarsi, essere unitia ci che non si ama, essere separati da ci che si ama, non poter realizzare ipropri desideri".

    Per cercare un rimedio a questa sofferenza essenziale che si chiama in sanscritoduhkha, Siddharta percorse una parte dell'India, interrog uomini reputatisaggi, trascorse sei anni su una montagna, giungendo a un ascetismo estremo.Tutto questo invano.

    Fu in se stesso che trov la risposta, seduto sull'erba, ai piedi di un fico.Questo mondo che invecchia e che muore, e poi rinasce per invecchiare e morireancora, misero. Fu la prima verit. Cercando la causa di questa miseria - ilbuddhismo, fin da principio, si afferma come una ricerca dei fatti, e dellecause all'origine di questi fatti -, trov la nascita, e il desiderio dinascita: "All'origine di questo dolore universale la sete di esistere, la setedi piaceri che provano i cinque sensi esterni e il senso interno, la stessa sete

    di morire".

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    La sofferenza proviene dunque dal desiderio. Fu la seconda verit. Questodesiderio come un fuoco, che infiamma colui che desidera. Tutto fuoco, diceancora il Buddha, l'occhio fuoco, ci che esso vede fuoco, ci chel'orecchio ode fuoco, tutto ci che colpisce i sensi fuoco. L'illusione cidivora come una fiamma perenne. E questo fuoco della vita, acceso dallacupidigia, dalla collera e dall'ignoranza, dev'essere spento.

    Pi tardi, Siddharta Gautama, divenuto il Buddha, cio il Risvegliato, completqueste due verit con due altri insegnamenti. possibile, disse, spegnerequesto fuoco e giungere cos alla cessazione di ogni sofferenza. Infine, quartarivelazione, esiste una via precisa per giungere a questa cessazione. E indicquesta via.

    L'insieme costituisce "le quattro nobili verit", chesono il punto di partenza, il fondamento stesso di tutta la ricerca buddhista.

    Questo risveglio incomparabile, questa rivelazione tratta dall'interno di sestesso (e non ricevuta grazie a un intervento divino o angelico) da un uomo lacui intelligenza e tenacia ci appaiono oggi prodigiosi (anche se i raccontidella sua vita sono tutti disseminati di leggende, nessuno sembra mettere indubbio la sua esistenza storica e l'autenticit della sua lunga predicazione),suppone che tutti gli altri uomini ai quali il Buddha, durante quarantacinqueanni, svela il suo insegnamento, vivano nell'ignoranza e di conseguenza nellasofferenza. Anche se ci crediamo felici, anche se cantiamo a squarciagola che lavita bella, anche se crediamo di sapere qualcosa del mondo, anche se abbiamoimparato dall'uno o l'altro maestro, anche se insegniamo agli altri, finch ilrisveglio interiore, frutto di una esperienza strettamente personale, non cisar accordato, vivremo nell'ignoranza. Questa la nostra natura e la nostraprigione. Si deve fare di tutto per distruggerla.

    Se il Risveglio, per definizione, non pu essere insegnato, la via che pucondurvi deve esserci mostrata. Per questo, lungo tutta la storia del buddhismo,l'insegnamento occupa un posto decisivo, centrale. Oggi, a Dharamsala, itibetani sono fieri delle loro scuole, a buon diritto, e le fanno visitare. IlDalai Lama ha accuratamente presieduto alla creazione di una universittibetana. Da un lato, i monaci forniscono agli allievi, giunti da ogni parte, uninsegnamento buddhista. Dall'altro, il Dalai Lama stesso si aggiorna sullaricerca scientifica contemporanea, anche avido di informazioni. Egli dice diimparare ogni giorno.

    Qui potrebbe apparirci una lieve contraddizione: la natura umana buona,tuttavia sottomessaall'ignoranza e misera, senza avere fatto nulla per meritarlo. Per un buddhista,non una semplice contraddizione. l'espressione stessa della nostracondizione. Sta a noi uscirne.

    Moderando un po' il proprio ottimismo, il Dalai Lama ammette ora che stiamoattraversando un periodo critico, molto critico. E insiste sull'educazione.

    "Tutto il nostro sistema educativo in crisi. Gli impossibile adeguarsi. Adire il vero, questa crisi si estende all'attivit industriale, alla politica.Tutto sembra sfuggire al nostro pensiero, e di conseguenza al nostro controllo."

    "Come reagire?"

    "Come sempre, in due modi. Possiamo lasciarci andare allo scoraggiamento, emolto presto all'egoismo. Possiamo dire a noi stessi: tutto perduto, i tempidiventano duri, il mondo non sa pi dove va, in effetti il Kali-Yuga cheprevale. Allora ritiriamoci nel nostro cantuccio, godiamoci i pochi beni che

    possiamo avere accumulato, dimentichiamo il resto, e si vedr."

    "Conosco persone che vivono cos."

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    "Oh, anch'io!" dice ridendo.

    "E l'altro atteggiamento?"

    " una presa di coscienza molto semplice e un impegno preciso. Coscienza della

    nostra condizione, dei mille pericoli che ci assediano. Impegno chiaro auscirne. Un atteggiamento che mi sembra oggi pi necessario che mai. Gli uominidevono svegliarsi."

    "Che cosa aspettano?"

    "Nulla avverr all'improvviso" mi risponde. "I veri cambiamenti sono lenti eimpercettibili. Per esempio, mi pare che la nuova attrazione per il buddhismo,provata dall'Occidente da qualche anno a questa parte, dipenda da due concettiparticolari, che non hanno nulla di spettacolare, ma sono profondamente sentiti.Il primo l'ahimsa, la non violenza, che prende posto a poco a poco come unaforza. Il secondo questa nozione di interdipendenza, presente gi anticamentenel pensiero buddhista."

    "E che si ricollega alle nostre preoccupazioni ecologiche?"

    "Direttamente."

    Il concetto di una esistenza indipendente degli esseri viventi e delle cose sempre stato rifiutato dalla quasi totalit delle scuole buddhiste fin dal-l'origine, dalle parole stesse del fondatore. Nulla esiste separatamente. Tutto,al contrario, unito a tutto. Tutto collegato, nell'immensa rete di Indra, ilre degli di nella mitologia indu.

    Questa interdipendenza di tutte le cose - compreso il nostro sguardo sulle cose- la prima sorpresa che ci attende sul cammino buddhista. Essa si opponedirettamente a tutto ci che noi crediamo di sapere, a una visione analitica delmondo, divisa in oggetti separati: la mia mano, la penna che essa regge, lacarta sulla quale scrivo, il tavolo ove posa la carta, la casa nella quale sitrova il tavolo... Nessuno di questi oggetti, ci ripete instancabilmente ilbuddismo, ha esistenza separata, pu essere considerato in s.

    L'interdipendenza, che porta in sanscrito il nome di pratitya-samuttada, statainsegnata dal Buddha stesso, pi precisamente nell'Avatamsaka-Sutra.Impossibile, ci dice questo sutra, trovare un oggetto che non abbia rapporto contutti gli altri. Un maestro contemporaneo dello Zen, Thich Nhat Hahn, in unaraccolta di testi recenti, prende ad esempio un foglio di carta. Per non parlaredella penna e dell'inchiostro, tutto ha un rapporto con questo foglio di carta.Esso costituito da elementi non-carta. Se noi rinviamo tutti questi elementialla loro fonte, la fibra al legno, il legno alla foresta, la foresta alboscaiolo, il boscaiolo a suo padre e a sua madre, e cos via, constatiamo che,in realt, il foglio di carta vuoto. Non ha un s separato. costituito datutti gli elementi non-s, non-carta. Se li si esclude, il foglio vuoto di uns - si potrebbe dire di un essere - indipendente.

    Thich Nhat Hahn aggiunge: "Vuoto, in questo senso, significa che la carta piena di tutte le cose, di tutto il cosmo".

    Ci che vale per un foglio di carta vale, naturalmente, per un individuo. Noisiamo costituiti di elementi non-individuo. Il maestro zen dice allora chequando uno fra noi medita, non si separa in alcun modo dal resto del mondo. Lasofferenza che porta nel suo cuore la societ stessa. Quando medita, lo fa pertutti gli esseri. Lo fa anche per tutte le cose incapaci di meditare. Siamo qui,

    in questa eco d'una parola antica, al centro stesso dell'ecologia di oggi.

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    "Nessuna specie," mi dice il Dalai Lama "la specie umana non pi di un'altra,pu porsi fuori dal mondo, fuori dalla ruota dell'universo. Noi siamo uno deidenti di questa ruota."

    "Una ruota che cigola sempre pi forte."

    Gli rammento i lamenti di Bhumi, la Terra, nel Mahabharata "Ogni giorno sonocalpestata da passi di uomini arroganti... Sono ferita, soffro e mi domando:domani, che cosa mi faranno ancora?".

    Mi approva scrollando la testa. Conosce Bhumi e i suoi timori. Gli comunico chefui senza dubbio uno dei primi, in Francia, a pubblicare un libro su quel che atorto viene chiamato l'ambiente (a torto, perch la parola sembra indicare chenoi siamo al centro delle cose, circondati da queste, mentre in verit nefacciamo parte). Siamo su un terreno che interessa entrambi, anche sel'affrontiamo ciascuno a proprio modo.

    "Lei ha detto che stiamo attraversando una crisi, e ha anche detto che il tempostringe. sensibile all'esplosione demografica cui sta assistendo il XXsecolo?"

    "Molto sensibile. un problema di estrema importanza."

    "Forse il problema numero uno."

    "S. Lo credo."

    Ricordiamo l'enorme balzo che ha fatto la popolazione della terra nei cinquantaanni passati.

    "Dal 1987" mi dice "ha superato i cinque miliardi. Sette o ottocento milioni visi sono aggiunti dopo questa data. In meno di trent'anni, questa cifracomplessiva pu essere raddoppiata."

    Aggiungo che una previsione molto precisa dell'UNESCO, pubblicata nel 1992,mostra progressioni spettacolari. La Cina e l'India raggiungeranno il miliardo emezzo di abitanti. La Nigeria diventer il terzo paese pi popolato del mondo.In questo momento, la popolazione della terra aumenta di pi di novanta milionidi individui all'anno. Un Messico ogni dodici mesi.

    Gli domando:

    "Che fare?".

    "Per prima cosa" mi dice "bisogna informare chiaramente, senza ipocrisia, senzapreconcetti. Bisogna dire: sei miliardi di abitanti, troppo. Dal punto divista morale un grave errore, a causa del forte squilibrio fra paesi ricchi epaesi poveri. E da quello pratico un dramma."

    "I sette miliardi sono vicini, e andranno aumentando. Per frenare in modosensibile una crescitademografica, sono necessari almeno sessanta anni di sforzi continui."

    " un punto veramente critico, tanto pi che gli esperti annunciano che lerisorse della terra non saranno sufficienti."

    "Questo punto discusso" gli dico "perch tutto dipende da quello che siintende per "risorse". Gli esperti (ma "esperti" in cosa?) possono in effetticalcolare che la terra capace di nutrire dieci o dodici miliardi di abitanti.

    Alcuni parlano anche di cinquanta miliardi. L'agricoltura biogenetica cipromette mari e monti, insalate giganti, carote inesauribili."

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    "S," conferma "se ne parla ovunque. Possiamo arrivare a dare da mangiare, seriusciamo a ridurre l'onnipotenza del commercio, cosa tutt'altro che semplice.Dare da bere, meno sicuro. Ma comunque sufficiente, per definire la vita,dire che consiste nel mangiare e bere?"

    "No, di certo."

    "Dove trovare lavoro? Occupazioni? Svaghi? Tempo - e spazio - per l'isolamento,la meditazione?"

    "Gli esperti non se ne curano affatto. Non se ne curano di pi quando parlanodi cinquanta miliardi di uomini, dei mezzi per arrestarsi a cinquanta miliardi.A una tale cifra di popolazione, il tasso di crescita diviene incredibile. Non pi un Messico all'anno, un continente intero."

    "E che dire, lo ripeto, dei crescenti scarti fra paesi ricchi e poveri?"

    "All'inizio del XVIII secolo," gli dico "la data pi lontana cui possiamoretrocedere, questo scarto gi esisteva. Era, si calcola, di 1 a 5. Alcuni paesieuropei, come l'Olanda, erano cinque volte pi ricchi dei regni africani oasiatici. Negli anni Sessanta del nostro secolo, questo scarto era di 1 a 80.Oggi sarebbe di 1 a 300, o 400, sempre in favore dell'Occidente, al quale si aggiunto il Giappone."

    "E non cessa di allargarsi. Ai ricchi pi ricchezza, ai poveri pi povert."

    "In proporzioni intollerabili."

    "I due problemi sono strettamente connessi" dice. "La crescita della popolazione fortemente collegata alla povert, e la povert a sua volta saccheggia laterra. Quando gruppi umani soffrono la fame, mangiano qualsiasi cosa, erba,insetti. Abbattono gli alberi, lasciano la terra secca e nuda. Ogni altra pre-occupazione sparisce. per questo, senza dubbio, che nei prossimi trent'anni icosiddetti problemi dell'ambiente saranno i pi gravi che l'umanit dovraffrontare."

    Insiste. Ripete a pi riprese: "Assolutamente". molto fermo su questo punto.

    "Le faccio un semplice esempio. Fino a poco tempo fa, andando all'aeroporto oaltrove, non vedevo polli per le strade, nelle vetrine dei negozi, dei risto-ranti. Ora ne vedo ovunque. Bench sia inattuabile, in Tibet, un'alimentazionecompletamente vegetariana, mi ripugna uccidere gli animali. Per quantopossibile, mi nutro di verdura e frutta. Perch queste file di polli massacrati?Perch, se non a causa di una popolazione umana in eccesso? Pi gli uomini sononumerosi, pi uccidono."

    "Creano vite per distruggerle."

    "Un altro punto chiave evidentemente il denaro, la ricerca ostinata deldenaro, per gli uni come per gli altri: per i ricchi a causa dell'avidit, per ipoveri a causa della necessit. anche per denaro che si massacrano glianimali. Ma all'origine di tutte le nostre difficolt, di tutte queste minaccedi cui parliamo, prima ancora del denaro, metto la sovrappopolazione."

    "Lei dunque a favore del controllo delle nascite?"

    "Assolutamente. Bisogna farlo conoscere e promuoverlo."

    "Alcune tradizioni religiose vi si oppongono."

    " vero, anche all'interno del buddhismo. Ma ora di spezzare queste barriere."

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    Riflette un istante e si china verso di me. chiaro che questo problema lopreoccupa profondamente.

    "Consideriamo il nostro atteggiamento nei confronti della vita umana, perch di questo che si tratta. Bench sottoposta alla sofferenza, la vita umana, ainostri occhi, un fenomeno prezioso, a causa dell'intelligenza che ci anima, e

    che pu elevarsi qualitativamente. Da questo punto di vista, il controllo dellenascite nefasto, perch impedisce a vite umane di esistere."

    "Da un punto di vista individuale."

    "Esattamente. Ogni individuo una possibile meraviglia. E l'aborto un attoviolento, che noi rifiutiamo. Ma se si guardano le cose da una certa distanza,se ci sforziamo, cosa non facile, di giungere a un punto di vista globale,allora vediamo semplicemente che siamo troppo numerosi su questo pianeta, e chedomani questo eccesso si aggraver. Cos, non pi una questione morale, non pi questione di fascino beato della complessa bellezza del nostro spirito, veramente una questione di sopravvivenza. Contiamo in questo momento, sullaterra, pi di cinque miliardi di vite preziose. Questi cinque miliardi di vitepreziose si trovano sotto la diretta minaccia di altre vite preziose, cheaggiungiamo a milioni."

    "Non solo la vita umana ad essere minacciata."

    "Naturalmente. Gli animali selvatici, gli alberi, tutto deve cedere di frontealle nostre vite preziose. Nel Tibet, il diboscamento stato feroce, datrent'anni in qua. Con un conseguente impoverimento della terra, come ovunque. Ela maggior parte degli animali selvatici che guardavo con stupore nella miainfanzia scomparsa. Lo sa bene: quante specie si sono estinte a causadell'espansione della nostra vita preziosa! "

    "E senza speranza di rinascita."

    "Se dunque vogliamo difendere la vita e, pi in particolare, i cinque miliardidi vite preziose che si affollano in questo momento sul pianeta, se vogliamodonare loro un po' pi di prosperit, di giustizia, di felicit, dobbiamoproibirci di accrescerci numericamente. Non logico?"

    Rimpiango oggi che questa voce - che non si pu accusare n di maltusianesimo,n di libertinaggio non abbia potuto farsi ascoltare alla conferenza del Cairo,nel settembre 1994, dove non era stata invitata. In occasione di questocongresso, che il Dalai Lama giudica "molto importante", le posizioni tradi-zionalmente rigoriste si sono, una volta di pi , manifestate assai chiaramente:rifiuto di vedere il mondo cos com', silenzio e sottomissione imposti alladonna, apologia della fedelt e dell'astinenza, vale a dire dell'assenzadell'amore.

    Ma almeno - e questo anche il parere del Dalai Lama, espresso nel nostroincontro di settembre - il problema stato posto pubblicamente, frasi giustesono state pronunciate. Pochi sono coloro che potranno dire: io non sapevo.

    Non dimentichiamo nemmeno per un attimo il buddhismo. Non pi che il foglio dicarta, la vita umana, agli occhi del Dalai Lama, non ha esistenza indipendente.

    "Essa composta da elementi non-vita," mi dice " non in alcun modo separabiledal resto del mondo. Non "altra". Se presenta ai nostri occhi qualche valore,questo non pu essere che relativo, e sempre legato allo spirito. un erroreancora maggiore, un "errore di fondo" isolare la vita umana, attribuirle unaessenza, un in-s."

    A ci si aggiunge il timore che, in seguito a un

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    declino sempre possibile della coscienza, gli individui non trovino pi laforza, la qualit di spirito necessaria a una prossima reincarnazione.

    Gli parlo delle inondazioni che abbiamo conosciuto in Europa, nel 1993 e nel1994.

    "Uscivamo da diversi anni di siccit. Il regime delle piogge ridiventavanormale. Mai avevamo cos ostinatamente, cos ciecamente ricoperto la terra dicemento (autostrade, aeroporti, parcheggi, costruzioni di ogni sorta), e d'altrocanto cos radicalmente abbandonato, soprattutto in montagna, gli antichi metodidi distribuzione delle acque, cosicch queste non possono ormai che scorrere sulterreno senza attardarvisi, senza penetrarvi. Di qui, tutta una serie dicatastrofi. ridicolo accusare il cielo. Noi siamo, qui come altrove, i solicolpevoli."

    Approva. Gli racconto allora un aneddoto che mi colp, una quindicina di annifa. Mi trovavo in Messico al tempo della prima visita di papa Giovanni Paolo II.La sera del suo arrivo, un amico medico mi aveva invitato a cena. Giunsi, con unmazzo di fiori in mano, e suonai alla porta. Una donna venne ad aprirmi e vidiche piangeva. Entrai, molto sorpreso. Diverse persone si trovavano l, uomini edonne (tra cui molti medici), con l'aria afflitta. Due o tre erano in lacrime.Chiesi loro il motivo di tanta tristezza. Il mio amico mi disse: "Non hai uditoci che ha proclamato nel suo primo discorso?". "Chi?" gli domandai. "Il papa!"

    "Che cosa aveva detto?" mi domanda il Dalai Lama

    "Quel che dice ovunque "Messicani, messicane,dovete accettare tutti i figli che Dio vi manda!".Con poche frasi, questo uomo anziano, celibe per vocazione, aveva appenadistrutto dieci anni di sforzi pazienti, da parte di uomini e donne volenterosi,perqualche cenno di contraccezione in un paese direttamente colpito da quella chegli ecologisti americani chiamano "la bomba P". P sta per popolazione. Perquesto gruppo di medici, bisognava ricominciare tutto da capo."

    Il Dalai Lama conosce meglio di chiunque altro la responsabilit dei capireligiosi, oggi come ieri. Anche se l'influenza del papa ridotta in Europa, epi particolarmente in Italia, resta considerevole nei paesi cattolici delTerzo Mondo. Ora, egli non perde occasione di mostrarsi intransigente su questopunto, condannando a una esistenza miserabile milioni di "vite preziose" cheegli chiama a nascere a ogni costo.

    "Al contrario," proseguo "mi trovavo nel 1992 in Iran, paese islamico, che noidefiniamo integralista, e con mio grande stupore vidi alla televisione, sulcanale ufficiale, una trasmissione, condotta da donne, che spiegava econsigliava la contraccezione."

    "In Iran?"

    "Ma s. E credo che in Egitto esista la stessa cosa. un genere di informazioniche l'Occidente non ama diffondere. Perch su questo punto siamo in ritardo."

    "Si assiste anche," mi dice "negli Stati Uniti cos come in Europa, a un ritornodi quello che voi chiamate l'ordine morale."

    "Esatto. Un ritorno della censura, dell'agitazione convulsa di coloro che, adesempio, si oppongono all'aborto, un atto violento, con ancora pi violenza.Come se volessero l'impossibile, cio tornare indietro."

    Smetto a mia volta di parlare, restiamo un momento in silenzio, poi gli domando:"La vita diventata nemica della vita?"."La vita umana s. Perch minaccia ogni vita."

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    "Le riflessioni tradizionali, su questo punto, non ci aiutano affatto.""No," mi dice "perch risalgono a un'epoca in cui la vita umana era rara,ricercata. Numerosi pericoli la minacciavano. I bambini morivano in tenera et.Oggi tutto cambiato, soprattutto da una cinquantina di anni a questa parte."

    "Che dire di quel che ci promette la genetica del secolo venturo? La clonazione,

    cio la riproduzione facile, e all'infinito, dell'essere umano, impeccabilmentesimile a se stesso. E, come ultimo sogno, l'immortalit."

    "Ma questa riproduzione facile e fedele suppone che noi poniamo un limite allenostre possibilit di evoluzione. Sosteniamo di essere perfetti e ci fermiamol. E d'altra parte, se raggiungeremo l'immortalit, cio se sopprimeremo lamorte, dovremo nel contempo sopprimere la nascita. Poich la terra diventerebbetroppo rapidamente sovrappopolata."

    "Un po' ovunque" continuo "il semplice prolungamento della durata media dellavita pone dei problemi insolubili. Come trattare i nuovi vecchi? Come tenerlioccupati? Come pagare la loro pensione?"

    "S" mi dice. "Che fare allora dell'immortalit? Nel nostro rapporto con lavita, il cambiamento radicale. Anche il cambiamento del nostro pensiero, e diconseguenza del nostro atteggiamento, dev'essere radicale."

    Affronta per la prima volta questa necessit contemporanea di un cambiamento neiconfronti della tradizione, e vi ritorner spesso. Bench porti, d'altra partecon disinvoltura, il titolo di "Sua Santit", si mostra sorprendentemente apertoalla flessibilit, e anche ai rivolgimenti dell'epoca.

    "Non strettamente vincolato alla lettera delle Scritture?"

    "Al contrario. Bisognerebbe essere folli per conservarle inalterate a ogni costoin un mondo che comporta il movimento del tempo. Ad esempio, se la scienzamostra che le Scritture si ingannano, bisogna modificare le Scritture."

    "Per secoli, la Chiesa cattolica ha perseguito una lunga e sterile battaglia persalvaguardare la verit storica della Bibbia di fronte alle scoperte scientifi-che. Le pare irrilevante?"

    "Inutile, in ogni caso. Perch il buddhismo ci dice tutto il contrario. Ed untema centrale, che tutte le scuole accettano: noi siamo, nostro malgrado,immersi nella caducit. Proprio come l'essenza degli esseri, la loro stabilit un'illusione. La realt ci sfugge dalle dita, senza che noi possiamo tratte-nerla."

    "Questo sentimento dipende dalla certezza che abbiamo della nostra morte?"

    "No, perch la morte un semplice passaggio da uno stato a un altro. Si trattadi una dissoluzione e di una ricomposizione di ogni istante. Il mondo si muove.Nulla di fisso, nulla di stabile vi dimora. Le Scritture, anche se venerabili esacre, sono relative e caduche, come ogni cosa."

    Vi certamente, nel buddhismo, un punto che dapprima ci sorprende, e che poi ciattira. Nelle religioni monoteistiche che costituiscono la nostra tradizione,siamo abituati a scritture rivelate, ora da Dio, ora da uno dei suoi angeli odei suoi profeti. Tutte provengono dall'esterno. L'uomo che le proclam, o chele scrisse, non era che l'ambasciatore di un ipotetico aldil. Era, ed ancorain molti casi, fuori discussione o inimmaginabile modificare, anche solo dipoco, una parola considerata rigorosamente divina.

    Nulla di tutto questo nel buddhismo. Fu dal profondo di se stesso, bisognaripeterlo, che il Buddha trasse le sue quattro verit fondamentali e tutto l'in-segnamento che ne segu. Non cess di ripetere che questo insegnamento doveva

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    essere, in ogni momento, meticolosamente verificato dall'esperienza, addiritturada un'esperienza personale. Sebbene in certe correnti buddhiste, e anchenell'induismo (che volle riconoscere in Siddharta il nono avatara di Vishnu,dopo Krishna), il Buddha sia stato talvolta considerato come una divinit, restaoggi un uomo.

    "A tale titolo" dico " anch'egli dipendente da tutto quello che lo hacircondato?"

    "Naturalmente. Non ha beneficiato, solo fra tutti, di una vita miracolosamenteautonoma. Era anche lui composto di elementi non-Siddharta. E fu cos, cosper il suo pensiero."

    "Per questo c' flessibilit nella tradizione buddhista?"

    "Questa flessibilit, come dice lei, proviene anzitutto dall'esperienza. vero,la nostra esperienza antica e molto ricca. Ci ha permesso, a pi riprese, divalutare i pericoli dell'isolamento, l'inutilit dell'autorit dogmatica, lavanit dell'integralismo. Le ripeto, noi accertiamo dapprima i fatti, quelli inogni caso indiscutibili, come la crescita della popolazione. Poi cerchiamo dianalizzare le cause che hanno prodotto questi fatti, e le condizioni nelle qualiessi si sono verificati. Senza perdere di vista un solo istantel'interdipendenza e la transitoriet. Infine, se necessario, cambiamoatteggiamento."

    Senza dubbio per queste ragioni, il Dalai Lama, immagine stessa dellagentilezza, della tolleranza, d comunque l'impressione di essere attento, avidodi apprendere, di conoscere, pronto a cambiare da cima a fondo se necessario.Pu consapevolmente parlare della fascia di ozono e dell'effetto serra. Immaginaspesso, lui che proviene da altipiani molto elevati, un innalzamento del livellodei mari, e i disastri che ne seguirebbero. Ritorna costantemente all'attenzioneindispensabile, attenzione a se stesso, agli altri, al mondo intero.

    Dice ad esempio:

    "Riflettere partendo da un punto di vista anticopu esserci di aiuto. Oltre all'esperienza, questo offre al contempo unadottrina e una distanza. Molto spesso ci perdiamo nell'attualit disordinata. Aforza di guardare il nostro mondo troppo da vicino, non lo vediamo pi . bene,ogni giorno, ripartire da lontano".

    "Ma questo ricorso costante alla tradizione pu anche chiuderci gli occhi?"

    "Certo. Pu paralizzarci. Dobbiamo anzitutto restare aperti e sensibili. Poi, sene abbiamo i mezzi, dobbiamo mostrare agli altri ci che bisogna fare. appurato che le vecchie proibizioni religiose si rivelano talvolta un male. Macome modificarle? Con quali armi?"

    Le numerosissime rappresentazioni del Buddha, che si sono succedute in diversipaesi, attraverso i secoli, poggiano su un complicato simbolismo. La posizionedel corpo, i suoi cinque diversi livelli, le particolari caratteristiche fisichedel personaggio, come le orecchie allungate, le spalle larghe, la protuberanzacranica, tutto ha un significato. Gli scultori e i pittori hanno prestatoattenzione soprattutto alle posizioni delle mani, dette mudra, che sono otto.Tra queste otto posizioni, ve n' una detta "di predicazione" (dharmaciakramudra): le due mani, una col palmo girato verso l'esterno, l'altra versol'interno, con gli indici e i pollici che si toccano, mostrano la ruota delDharma, cio dell'ordine del mondo. Si tratta di una ruota (ciakra) che nonsmette di girare. Inutile lottare contro la forza universale che la muove. Per

    forti che siano la nostra ostinazione a costruire, la nostra passione per lastabilit, il nostro "tenace desiderio di durare", questo gesto sta a ricordareil movimento, signore delle cose. Contemporaneo di Eraclito, il Buddha ha

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    perfettamente avvertito ed espresso questo principio. L'immobilit illusione,e il nostro corpo ne il primo esempio. Non cessa, a ogni frazione di secondo,di degradarsi. Le ultime parole del Risvegliato furono accompagnate da un gestoche mostrava il suo corpo rovinato, vittima di una feroce dissenteria: "Tuttoci che composito destinato alla distruzione".

    I suoi successori hanno ricamato a volont su questo tema, influenzando nelcontempo vicine correnti di pensiero. In un inno shivaico del VI secolo, adesempio, si trovano alcuni termini pienamente buddhisti:

    Ci che immobile si disperde e ci che si muove perdura.

    Il Dalai Lama stesso si sovente espresso sulla transitoriet, sui continuicambiamenti che subiscono i fenomeni. Ne trova anche la conferma nel movimentoincessante delle "particelle subatomiche". Anche le nostre coscienze nonesistono che temporaneamente. Ci che resta fermo, ci che sempre fisso, quello che i buddhisti chiamano la sesta coscienza mentale, la pi profonda,che non ha n inizio n fine, e che sfugge anche alle coordinate abituali dellospazio e del tempo. Ritorneremo ampiamente su questa "coscienza sottile" quandoparleremo dello spirito.

    Anche se questa coscienza sottile pu provvisoriamente cambiare, anche se essanon riesce a sfuggire, secondo le scuole pi radicali, all'illusione universaleche ci culla, in un certo senso "la sua continuit perdura". Ugualmente, neimolteplici rivolgimenti che subisce la nostra esistenza quotidiana, una sorta dicontinuit sussiste, quella della societ umana Ma tale continuit il supportodel cambiamento, che senza questa sarebbe per noi impercettibile.

    "Mi pare talvolta che il papa" gli dico "voglia fermare la ruota di questomondo. La vera risposta non pu essergli data dal gesto silenzioso del Buddha?"

    "Senza dubbio. Il papa, come normale, direttamente influenzato dalletradizioni religiose che rappresenta. Cos, si aggrappa a un principio: essendola vita umana un bene prezioso, il pi grande numero di individui devebeneficiarne. Ma a questo si oppone un altro principio, che rappresenta un'altraforma di rispetto per la vita. In base a questo secondo principio, si tratta didifendere ogni vita, e non soltanto la vita umana. Di quest'ultima, che ineffetti preziosa, si tratta di difendere la qualit. dunque un principiocontro un altro principio. Per noi, nessuna scelta si compie nell'assoluto, perobbedienza servile a un principio. La nostra intelligenza c', mi sembra,proprio perch possiamo diventare pi flessibili, adattabili. Tutto relativo.Un'intelligenza bloccata non un'intelligenza."

    Mi mostra le mani e aggiunge:

    "Se, per salvare nove dita, bisogna tagliarne uno, io non esito, lo taglio".

    Ricordiamo per un momento paesi che conosciamo, l'Algeria in particolare, la cuipopolazione triplicata in trent'anni, e vediamo un gruppo di fanaticiscegliere il peggio, assassinare gli stranieri, mandare deliberatamente inrovina la propria nazione.

    "Si vedono qua e l uomini" mi dice il Dalai Lama "compiere sforzi disperati, esovente anche criminali, per arrestare il movimento del tempo, per ritagliare eproteggere uno spazio che noi riteniamo inscindibile."

    "Al quale si uniscono brame di ogni sorta."

    "Questo va da s."

    "Dal punto di vista della limitazione delle nascite, la Cina non il solo paesead aver tentato, su grande scala, una politica sistematica?"

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    "S, e da molto tempo. Disgraziatamente, dopo l'occupazione del Tibet, questapolitica fu estesa ai territori occupati, dove la popolazione indigena eraancora assai rada. Furono prese misure molto rigorose, che giunsero fino allasterilizzazione forzata delle donne tibetane. Intanto si perseguiva una politicadi occupazione del suolo, con la deportazione in Tibet di popolazioni cinesi."

    "Una colonizzazione mascherata?"

    "Esatto. Il preteso controllo della popolazione, obbligatorio in Tibet come,dicono, nel "resto della Cina", dissimula una colonizzazione forzata e moltoefficace. Sul territorio dell'antico Stato indipendente del Tibet, gli occupanticinesi sono oggi pi numerosi dei tibetani d'origine."

    Mi viene alla mente una frase di Nietzsche, che non so citare esattamente,secondo la quale la terra un essere vivente. Questo essere vivente ha unapelle, questa pelle colpita da una malattia mortale, questa malattia mortalesi chiama specie umana.

    " certamente" gli dico "una visione estremamente pessimistica. Si pu curarequesta malattia?"

    "Lo spero" risponde con una grande risata. "Ma senza eliminare tutta la specieumana! "

    All'inizio degli anni Settanta, gi pi di vent'anni fa, un medico e ingegnereamericano, James Lovelock, lanci l'ipotesi Gaia. Portatore, da diversi miliardidi anni, di un fenomeno rarissimo, e forse anche unico, che si chiama vita, ilnostro pianeta reagirebbe a questo fenomeno in modo singolare, con una sortad'interattivit. Esso potrebbe avere, se non una vita personale, almeno reazioniche gli sarebbero proprie.

    Accolta senza entusiasmo dalla maggioranza degli scienziati, la teoria Gaia hasuscitato, presso i lettori, echi molteplici, spesso eccessivi. All'origine diquesto successo, al di l della distruzione del pianeta alla quale assistiamo (epartecipiamo) in ogni momento della nostra esistenza, bisogna cercare, comediceva lo stesso Lovelock, ragioni antichissime. La personificazione dellaterra, sovente al femminile, si incontra ad ogni pagina dei nostri raccontimitologici. In India - l'abbiamo gi visto - si chiama Bhumi. Essa , comealtrove, nostra madre.

    Nel Mahabharata, immenso poema epico delle origini in cui tutta l'India siriconosce, una grande battaglia, che oppone ferocemente tutti i popoli co-nosciuti, mette in gioco la sopravvivenza della terra stessa, e persinodell'intero universo. Da ambo le parti, infatti, i combattenti sono in possessodell'arma suprema, chiamata Parasurama, arma ardente e luminosa, capace diannientare in pochi istanti ogni vita. Per questo le piante tremano di paura,come le rocce, come gli di.

    Ed per lo stesso motivo che in un dato momento, malgrado la sua naturapacifica, Bhumi - la Terra - prende parte alla battaglia. Essa afferra, nelle"mani fangose", la ruota del carro di Karna, uno di questi "uomini arroganti"che pu chiamare in causa la temibile arma. Blocca il suo carro, oltre ognisforzo umano, e manda cos a morte il guerriero.

    Questa partecipazione della terra alle nostre battaglie , ancora oggi,auspicata quanto temuta. Alcuni assicurano, non senza ingenuit, che il virusdell'AIDS sia una risposta della "natura" alla nostra trionfante proliferazione,e che altri virus dagli effetti inimmaginabili siano in questo momento in

    preparazione, nei crogioli pi segreti.

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    Se vi qualcosa di infantile in queste fantasticherie, esse rivelano comunquele nostre preoccupazioni e, in uno strano modo, le nostre speranze.

    "Ma la chiave nelle nostre mani" mi dice il Dalai Lama. "Non bisogna cercarlaaltrove. vero che la specie umana la sola a poter distruggere la terra. Gliuccelli, i conigli non hanno questo potere. Ma se ha il potere di distruggere la

    terra, ha anche quello di proteggerla."

    "Ma non intraprende questa strada."

    Gli narro del fiume del mio paese, nel Midi della Francia, un tempo luogo disvago, di incontri, di bagni, di pesca, d'irrigazione - oggi sporco e abban-donato, da trent'anni ormai, avvilito e inquinato, assassinato.

    "Anche qui," gli dico "a Dharamsala, mi ha sorpreso, passeggiando per leforeste, vedere ovunque mucchi di cartacce, scatole di conserva, plastica Sembrache gettino tutto ovunque."

    Dice ridendo:

    " il contributo della comunit tibetana!".

    "Ieri, vicino al mio albergo, ho visto un gruppo di bambini tibetani chegiocavano rumorosamente. Il loro divertimento consisteva nell'estrarre i rifiutida un bidone delle immondizie e nello sparpagliarli per terra Mi fermai e midomandai: che cosa fanno? Perch?"

    "Hanno sette o otto anni," mi dice "sono nati in un mondo-spazzatura, per lorola natura piena di plastica, cos, non l'hanno conosciuto prima. Non sannoche il mondo era bello. Il concetto stesso di bellezza, non lo conoscerannoforse mai."

    Ricordiamo Malthus, naturalmente, e altri personaggi pi radicali, come ilprofeta iraniano Maniche, nel III secolo della nostra era, voleva proibire ogni procreazione umana.Desiderio di morte, come diceva il Buddha, desiderio oscuro che Mani pag con lavita.

    Ripeto la domanda:

    "Che fare, allora?".

    "Non abbiamo che l'educazione" mi dice. " la nostra sola arma, insiemeall'esempio che possiamo dare. E questa educazione, dal punto di vista bud-dhista, comincia con la nozione di interdipendenza Tutto dipende da tutto. Lavita di questi fanciulli che giocano direttamente collegata alle cartacce cheestraggono dalla spazzatura. Bisogna dirlo, spiegarlo, e soprattutto farlosperimentare."

    " un compito lungo."

    "S, un compito quotidiano, che non terminer mai. Ma la nostra sopravvivenza, ela qualit della nostra sopravvivenza, hanno questo prezzo. La condivisione diquesta presa di coscienza essenziale se vogliamo migliorare, sia pure di poco,il nostro atteggiamento, il nostro rapporto col mondo. Dobbiamo vincerel'isolamento del nostro spirito, dobbiamo rinnovare i nostri contatti con ilresto dell'universo. Altrimenti, davvero, siamo perduti. Perduti perchseparati. Bisogna mostrare, instancabilmente, che il nostro interesse l'interesse degli altri, che il nostro futuro il futuro degli altri. E quando

    dico "gli altri", non penso solamente agli altri esseri umani, evidentementeuguali a noi. Penso ad ogni altra forma di vita, su questa terra e fuori diquesta terra."

  • 8/22/2019 Dalai Lama - Purezza

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    "Non dunque una questione di sentimento, n di morale?"

    " anzitutto un fatto."

    Tutti coloro che, da vicino o da lontano, si sono interessati al buddhismo, sono

    stati colpiti dall'affermazione secondo la quale la compassione, fondamentostesso della condotta, non dipende in alcun modo da quello che noi chiamiamosensibilit. Anche se non possiamo evitarlo, non serve praticamente a nullapiangere sui nostri mali o sulle sventure altrui. La compassione buddhista nonha nulla a che vedere con questo o quel caso particolare. Si basa su un sensomolto preciso della nostra appartenenza alla totalit del mondo. Testivenerabili dicono che essa senza causa, senza calore, senza passione, in-stancabile, immutabile. Come ricordava Jacques Bacot nel 1925, " del tuttoobiettiva, fredda e legata a una concezione metafisica. Non spontanea, ma con-seguente a lunghe meditazioni... Abbraccia tutti gli esseri trasportati dallepassioni nel ciclo delle rinascite. universale mentre la nostra particolare".

    Anzitutto un fatto. Il Dalai Lama insiste sull'evidenza:

    "Ora, il fatto che non abbiamo che una terra, nostra madre comune, e che ognidanno che le provochiamo si ritorce necessariamente contro di noi. Se nonprestiamo attenzione alla terra, distruggiamo il nostro stesso futuro".

    "Possiamo ancora salvarlo?"

    "Certo. Cominciando dal controllo delle nascite, che bisogna promuovere al pipresto. Parallelamente, possiamo ripulire i fiumi, e il suolo, e quest'aria cherespiriamo. S, possiamo farlo! Spetta solo a noi. E non una questione disensibilit o di morale. il nostro futuro a essere in gioco!"

    Gli ricordo allora altre radici, le nostre, che chiamiamo giudaico-cristiane, equesto mito dell'inizio della Genesi ove il Dio creatore d all'uomo il poteresu tutto ci che vivente, i pesci dell'acqua, gli uccelli dell'aria, ilbestiame, anche sugli animali chestrisciano sul suolo. A cui s'aggiungono i frutti della terra, gli alberi. In unracconto decisivo, che sappiamo ora essere stato scritto tardivamente (alritorno dall'esilio degli Ebrei a Babilonia, verso il V o IV secolo avantiCristo), l'uomo si attribuisce, in poche righe, il possesso senza riservedell'intero pianeta. Lo fa in buona fede, certo, e in nome di un Dio ormaiunico.

    " difficile valutare" dico "fino a che punto questa parola antica ci influenziancor oggi. Sono portato a credere che questa influenza, sottilmente profonda,sia presente in ognuno dei nostri gesti."

    "Davvero?"

    "Gli occidentali si sono ripetuti, per secoli, di essere la meraviglia delcreato, fatti a immagine stessa di Dio. Hanno finito per crederlo. Gli sforziper liberarci da questo mito, che il buddhismo non ha mai conosciuto, sono lentie pesanti, si deve sempre ricominciare da capo. Soltanto vent'anni fa, inOccidente, erano pochissimi coloro che si sentivano parte integrante dellaruota."

    "La maggioranza di noi, ed ancora cos, si consideravano al contrario coloroche fanno girare la ruota."

    "Certamente. Lei parlava di alcuni gruppi di uomini d'affari che vengono qui afare ritiri, e che le chiedono consiglio. Che cosa sono al confronto di tantimilioni di executives organizzati, armati di ventiquattr'ore e di computer

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    portatili, il cui progetto non che di sfruttare, che di prostrare anzituttoBhumi?"

    " vero che l'Occidente affascinato dall'efficienza. E senza dubbio, in molticampi, questa efficienza strappa l'ammirazione. Allora pongo una domanda che misembra naturale: questa efficienza tecnica, perch non applicarla alla

    salvaguardia di ogni forma di vita? Sarebbe un compito entusiasmante perl'umanit, che sembra appunto mancare di un grande progetto, di un ideale."

    " difficile. La certezza della nostra supremazia ha radici cos lontane..."

    " difficile, ma indispensabile! Se non si risolve il problema dellasopravvivenza, non rester nessuno nemmeno per sollevare il problema! E ilbuddhismo pu aiutarvi. Dapprima, come ho gi detto, grazie all'estremaattenzione che presta al concetto di interdipendenza. Non lo si ripeter maiabbastanza. Poi, per l'atteggiamento che adotta nei confronti della veritdottrinale."

    Abbiamo gi ricordato questo punto, ma vi torniamo (la nostra conversazione come intrecciata, i temi scompaiono e ricompaiono): se la scienza contraddice leScritture, bisogna cambiare le Scritture. Il Dalai Lama riconosce che questo non facile, anche all'interno del buddhismo. Ma bisogna farlo. Anche noi dobbiamocominciare di qui.

    Importante risanare. Spesso Sakyamuni si presentato come un medico: "Comel'oceano intero impregnato dal sapore del sale, cos tutto il mio messaggionon ha che un sapore, la liberazione".

    "D'altro canto poco importa" mi dice il Dalai Lama "l'identit del medico e ilrimedio che prescrive. Il Buddha ha fornito l'esempio celebre dell'uomo colpitoda una freccia avvelenata. Non vuole farsi medicare prima di aver conosciuto ilnome dell'uomo che l'ha colpito, prima di sapere a quale casta appartiene, aquale famiglia, se di costituzione robusta o minuta, in quale legno la freccia stata intagliata. E muore prima che lo si possa curare."

    Questo atteggiamento positivo, pragmatico, che suppone una verifica costante delmodo di pensare e di agire, la spina dorsale del buddhismo dove si ritrovanorigore e flessibilit.

    Pur affermando che ogni evento procede da unacausa e comporta delle conseguenze, nella grande ruota dove tutto collegato atutto, il buddhismo sa mettere da parte, quando necessario, la speculazioneteorica, che pu ritardare le cure che ogni ferita esige. Al limite, ilbuddhismo riconosce anche l'oscurit che avvolge alcuni ambiti. senza dubbiomeglio non addentrarvisi mai, come ha raccomandato il Buddha: "Non cercate dimisurare l'Incommensurabile a parole, e nemmeno di affondare la lama delpensiero nell'impenetrabile...".

    L'insegnamento dipende anche dal livello di comprensione dei discepoli. Il miointerlocutore torna ad ogni occasione sui concetti di livello, di misura, diadattamento. Sakyamuni sembra avere sempre diffidato delle posizioni estreme,che possono essere interpretate in un senso volto all'eternit (esiste persempre un'anima indipendente) o, al contrario, nichilista (non esiste nulla). Lesue preoccupazioni di pedagogo ci sono state tramandate da uno dei suoicontinuatori, Maitreya. Vi si vede che il Risvegliato diffidava del proprioprestigio, raccomandando di confidare nell'insegnamento propriamente detto, enon nella persona del maestro, e che metteva in guardia anche dalla dolcezzapersuasiva delle parole, in altri termini di un bel discorso, preferendo laparola esatta e diretta.

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    Infine, a certe domande, noto come egli rispondesse col silenzio. Queste zonelasciate nell'ombra, ove la lama del pensiero non penetra, si chiamano "lequattordici viste inesplicate".

    Per noi, ricercatori occidentali che scaviamo ovunque, che non vogliamo lasciarealcun territorio di conoscenza inesplorato (anche se le conseguenze della

    ricerca possono spesso sembrare temibili), questiquattordici punti indiscutibilmente impenetrabili sono un mistero e quasi unoscandalo. Dio ci ha affidato tutto, anche l'oscurit da illuminare.

    Al mistero di questo atteggiamento lontano, di queste domande in sospeso findall'origine, si aggiunge per noi l'enigma del buddhismo stesso. Ai nostri occhiavidi di un ordine chiaro, di una definizione precisa, il buddhismo apparespesso come un atteggiamento ambiguo, al limite della contraddizione, ove tuttele tendenze possono convivere. una religione? una filosofia, o una morale?Domande senza risposta, quasi inopportune. Esso resiste ostinatamente a ogniclassificazione, conservando in ultima analisi qualcosa di inafferrabile. Alcunispiriti possono provarne ripugnanza (ha senso concepire problemi senzasoluzione?), altri, al contrario, vi si muovono a loro agio. Tutti coloro che lopraticano insistono sulla necessit dell'esperienza, che risolve le indecisioniteoriche con la grazia della vita stessa, inesplicabile.

    Il nostro rapporto con la terra rappresenterebbe uno di questi problemi senzasoluzione? Si tratterebbe di una quindicesima "vista inesplicata"?

    "Quello che pi mi stupisce" gli dico " che alcuni miei amici, intelligenti ecolti, sembrano incapaci di vedere. Sembra anche, per alcuni di loro, che unaccumulo di conoscenze rafforzi la fiducia in se stessi e li accechi anzichmetterli in guardia. Nulla pi sconcertante dei dibattiti tra scienziati cherifiutano sempre, poniamo si citi la fascia d'ozono, di pronunciarsi. Mancasempre loro un ultimo dettaglio, un piccolo calcolo. Il tempo stringe, come dicelei, il veleno della freccia produce i suoi effetti, ed essi non si pronunciano.Mentre la cosa chiara: non si corre alcun rischio a proteggere la terra, anchesupponendo che essa non corra alcun pericolo."

    "In caso contrario, se non facciamo nulla, ogni timore giustificato."

    " la logica stessa. di primaria necessit fare una scommessa sul peggio. Mala gente ascolta, scuote la testa, dice: s, s, avete ragione..."

    "E subito dimentica."

    "Quanto ai partiti politici che si dichiarano sostenitori dell'ecologia, e aiquali lei alludeva, capita loro di dividersi."

    "S. Il gusto del potere s'intrufola ovunque."

    "Anche questo uno dei problemi che ci inquietano: l'ecologia deveaccontentarsi di un'azione sul campo oppure innalzarsi, col rischio dicorrompersi, fino al piano politico dove si prendono le decisioni? Non abbiamotutti la stessa risposta."

    "N, senza dubbio, la stessa domanda."

    "Ho letto con piacere, in uno dei suoi libri, che lei spegne la luce quandolascia la stanza di un albergo."

    " vero."

    "Io faccio la stessa cosa, per abitudine. Durante l'infanzia, quandol'elettricit era ancora un lusso, mi hanno educato in questo modo."

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    "So bene" mi dice "che questo gesto non giova alla terra se non in proporzioneinfima. necessario, comunque, iniziare da qui. Cominciare da se stessi,sperando che qualcun altro, intorno a noi, ci imiti, e che il cerchio vadaallargandosi."

    "Tuttavia le generazioni che ci seguono, nate nella seconda met del secolo,

    hanno altre abitudini. L'elettricit, che fa dimenticare l'antica paura dellanotte, diventata loro familiare. Rarissimi sono i giovani, in Europa, negliStati Uniti, che spengono la luce uscendo da una stanza."

    "Non hanno conosciuto la notte, il mondo oscuro, il chiarore prezioso di unacandela."

    "Sono come quei bambini che non hanno conosciuto la terra pulita e bella."

    "E non dimentichi" mi dice " che quest'ignoranza fa gli interessi di coloro cheproducono l'elettricit"

  • 8/22/2019 Dalai Lama - Purezza

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    "E di coloro che la vendono."

    Abbiamo altri punti in comune. Come lui, io sono nato in un piccolo paese. Hoabbandonato la pesca e la caccia, che praticavo nella mia infanzia come ognifanciullo di campagna. Nato nel 1931, ho quattro anni pi di lui. Il Dalai Lamaracconta nelle sue memorie che la seconda guerra mondiale pass per lui quasi

    inosservata, mentre fu il grande avvenimento della mia infanzia. Egli vivevaallora in un altro mondo, ancora isolato e organizzato da riti, bambinomisteriosamente designato alla funzione che esercita oggi. Tuttavia, in alcunimomenti, ho l'impressione che questo uomo che mi parla, ora serio, ora allegro,e che spesso mi stringe amichevolmente la mano, abbia due o tremila anni pi dime. Porta in s tutto un continente di pensieri, immagini, suoni, sentimenti chegiungono da un lontano passato, conservati da una meditazione quotidiana, e perquesto sempre vivi.

    Riprende la parola:

    "Non sono un esperto dell'educazione. Sono anzi ignorante in questo campo. Ma soche la vera risposta qui. I nostri sistemi educativi cambiano nostro malgrado.In Occidente chiaro che la televisione sta prendendo il posto dei maestri diun tempo. un bene? un male?".

    "Comunque, tutti ne discutono. E vivacemente."

    "Mi dicono che le nuove generazioni, negli Stati Uniti e anche in Europa, hannoun comportamento sempre pi egoista e crudele, mi parlano della giungla delleperiferie, di bande di giovani teppisti drogati, di pietre omicide gettate daicavalcavia sulle automobili, e anche di crimini commessi da bambini. conseguenza d'una decadenza generale, della crisi economica? Oppure lospettacolo quotidiano della violenza fa emergere la nostra stessa violenza?"

    " un altro problema all'ordine del giorno."

    "Un fatto curioso, ad esempio: trovo che i giovani tibetani, nati e cresciuti inIndia, siano pi miti di quelli del Tibet. Fanno parte dello stesso popolo,della stessa cultura, parlano la stessa lingua, e tuttavia sono diversi. A causadell'ambiente, immagino."

    "Per l'India non un paese particolarmente pacifico."

    "Chi lo pu sapere?" mi dice. "Rifletta. So bene che ci sono problemi, in India,e anche sangue versato! Ma nell'insieme, in India, popoli diversi, che parlanoquasi sessanta lingue e che praticano religioni di ogni genere, riescono aconvivere. Non questo un esempio che tutto il pianeta potrebbe seguire? Nonesageri nel dipingere negativamente il quadro. Lei, venendo qui, ha attraversatoil Punjab. Sconvolto di recente da lotte, questo Stato ora pacifico. Haritrovato la propria ricchezza. E pensi ai giovani tibetani che in questomomento, in Tibet, devono fare fronte ogni giorno alla pressione degli occupanticinesi. Ecco indubbiamente la ragione prima della loro aggressivit: una vitasenza felicit, una vita costantemente messa in discussione. Un'oppressionesistematica porta all'insoddisfazione e ben presto all'aggressivit."

    Riflette un istante senza che io lo interrompa e aggiunge:

    "A tutti noi manca qualcosa. Non so bene cosa, ma lo sento. In Occidente, avetetutto. O almeno lo pensate. Anche se state attraversando in questo momento unacrisi, non manca ogni sorta di beni materiali, senz'altro meglio distribuiti chein passato. Voi ne andate comunque sovente fieri. Ma mi sembra che viviate inuna tensione, in una competizione e in un timore incessanti. Coloro che crescono

    in questa atmosfera mancheranno, per tutta la vita, di qualcosa".

    "Di cosa mancheranno?"

  • 8/22/2019 Dalai Lama - Purezza

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    "Della nostra dimensione pi profonda, e anche pi gradevole, e pi feconda.Resteranno sulla superficie agitata del mare, senza conoscere la calma sullaquale posano."

    Il Dalai Lama venuto per la prima volta in Occidente nel 1973. La conoscenza

    che ha potuto avere delle nostre condizioni di vita, e del l