cosplay culture

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Fenomenologia dei costume players italiani. Robot giganti, scolarette maliziose, samurai fantasy e bellezze aliene: oltre che tra le pagine dei fumetti, potreste averli visti in carne e ossa aggirarsi nei padiglioni di qualche fiera del fumetto. Cosa spinge un sempre maggior numero di appassionati di manga e anime (ma non solo) a creare elaboratissimi costumi e a interpretare i propri eroi su un palco? Questo libro analizza in profondità il fenomeno cosplay (costume + play), senza fermarsi alla sua esotica e bizzarra superficie.

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La sorpresa e lo smarrimento che colgono chi per la prima volta si trovi di fronte a queste persone travestite da personaggi dei fumetti, dei videogiochi, dei disegni animati – i cosplayer – è notevole.Di fronte a questi individui, che indossano costumi elaboratissimi creati in mesi di lavoro o vestiti imbarazzanti perché maliziosi o semplice-mente ridicoli, non si può fare a meno di chiedersi «chi sono? perché lo fanno?».Gli strumenti della sociologia e dell’antropologia ben si prestano ad analizzare una pratica così complessa e affascinante, evitando facili vicoli ciechi.

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Luca Vanzella (Conegliano 1978) è laureato presso l’università di Bologna in Scienze della comunicazione. Sceneggiatore e grafico, ha collaborato con la casa editrice Indypress e con varie realtà dell’underground italiano. È il fonda-tore, assieme a Luca Genovese, di Self Comics, etichetta di fumetti autoprodotti.

Satyrnet.it

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Luca Vanzella

Cosplay CultureFenomenologia dei costume players italiani

Prefazione di Carlo Branzaglia

Lapilli. Culture 4

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I edizione ottobre 2005Copyright © Tunué Srl

Via degli Ernici 3004100 Latina – [email protected]

Diritti di traduzione, riproduzionee adattamento riservati per tutti i paesi

ISBN: 88-89613-04-1

Progetto grafico e copertina: Daniele Inchingoli

Stampa e legatura:Tipografia Monti SrlVia Appia Km 56,14904012 Cisterna di Latina (LT)Italy

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Prefazione di Carlo Branzaglia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . VII

INTRODUZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3

I – SOTTOCULTURE. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10

II – BREVE STORIA E CARATTERISTICHE DEL COSPLAY . . . . . . . . . . . . . . 17II.1 La «pratica» e l’«evento» cosplay . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18

III – CONSUMATORI, APPASSIONATI E FANATICI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29

IV – CHE APPASSIONATI SONO I COSPLAYER. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 36IV.1 Cenni sulla storia dell’animazione giapponese in Italia. . . . 36IV.2 Il fandom degli appassionati italiani di manga e anime. . . . 44IV.3 Cosplay . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 58IV.4 Il pubblico delle fiere, il pubblico del cosplay. . . . . . . . . . . 66

V – GIOCO E COSPLAY . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69V.1 Definizione e tassonomia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69V.2 Che gioco è il cosplay . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 74

VI – DAL GIOCO AL RITO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 82

VII – IL RITO DEI COSPLAYER . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 87VII.1 Cosplay e drag queen . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 97

VIII – ABITO, COSTUME E STILE. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 100VIII.1 Il senso degli abiti. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 100

INDICE

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VIII.2 I costumi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 103VIII.3 Che tipo di costumi sono i costumi del cosplay. . . . . . . . . 107

IX – LO STILE NELLE SOTTOCULTURE. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 115

X – LO STILE DEI COSPLAYER . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 122X.1 Abiti e comunicazione al computer . . . . . . . . . . . . . . . . . . 126

CONCLUSIONI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 128BIBLIOGRAFIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 137SITI INTERNET . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 142

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Prefazione

Mediazioni culturalidi Carlo Branzaglia

I casi della vita

Tanto per vantarmi, devo dire che nel 1999 organizzai a «Nightwave»la prima competizione di cosplay fuori dai territori consolidati delle fieredel fumetto. O meglio: la organizzarono i Kappa Boys, attraverso le pagi-ne dei giornali seguiti, tradotti e (amorevolmente) curati dalle KappaEdizioni di Bologna; io proposi loro di essere parte del programma cul-turale di quella fiera riminese, dedicata a musica, tendenze e club cultu-re. In un contesto assai vario: quell’anno c’era la mostra dedicata aMambo col mitico Reg Mombassa ospite, gli Astronauti Autonomi a rac-colta, un bando di concorso per tesi sulle culture giovanili, e quant’altro.

Funzionò, nei confronti degli appassionati, travestiti o meno: la credi-bilità di Kappa (Boys ed Edizioni) era ed è tuttora una garanzia, nel gene-rare un avvenimento debitamente contestualizzato (come Vanzella avver-te essere necessario) fra dibattiti e proiezioni. Ma funzionò anche nellapercezione di un pubblico non direttamente coinvolto in quelle pratiche,a cominciare da quello specializzato: fotografi, giornalisti e addetti ailavori vari. La «curiosità» del fenomeno diventava infatti anche un modoper ragionare sulle relazioni che l’immaginario mediale (nel senso piùampio del termine) giapponese intesseva con quello nostrano. E in que-sto gioco di relazioni gli stessi Kappa stavano assumendo non solo quelruolo di gatekeeper giustamente sottolineato da Vanzella; ma anche diveri e propri mediatori culturali, nel creare uno spazio di dialogo framodalità rappresentative (in senso narrativo e figurale) diverse.

Amarcord

Infatti la scelta di proporre questo evento, nel ruolo di responsabile del

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così detto programma culturale di «Nightwave», nasceva senz’altro(inutile negarlo) dalla considerazione di quanto impatto avrebbe potutoavere, se debitamente comunicato, sulle rassegne stampa; e dalla fuga-ce visione del fenomeno nelle sue primitive apparizioni a «LuccaComics». In realtà però l’interesse centrale era nel dimostrare, pragma-ticamente, quanto la cultura popolare e mediale giapponese avesseinfluenzato quella occidentale senza che quest’ultima se ne fosse accor-ta; e soprattutto quanta capacità di innovazione essa sapesse contenere,bislaccamente ignorata dalla nostra originaria idea che i giapponesi(così come poi i coreani, e infine i cinesi) ci copiassero.

Non a caso l’anno precedente avevo invitato Sharon Kinsella a parla-re del kawaii nipponico e del suo figlioccio, il cutie britannico (e occi-dentale); reduce da permanenza e studi nel paese del Sol Levante, il suointervento uscì proprio nel volume degli atti dei convegni di«Nightwave» ’98, pubblicato da Costa&Nolan nel 1999. E in questostesso anno, nel panel della conferenza Technocultura, c’erano ancheSetsu e Shinobu Ito, il primo di stanza da qualche anno in Italia, laseconda appena arrivata dal Giappone, con i loro concept di design perprodotti ad alta tecnologia. Sommariamente, mi sarebbe piaciuto che lanostra platea occidentale incominciasse a conoscere e valutare la cultu-ra giapponese (dietro ai manga c’è ancora una struttura prospettica tipo-logicamente molto differente dalla nostra postrinascimentale) così comei miei studenti, in specifici corsi allora destinati a ragazzi giapponesi(all’Istituto Europeo di Design di Milano), dimostravano di conoscerequella nostrana: avevano in mano paperbacks sulla storia dell’arte occi-dentale che dalle nostre parti neanche ci sogneremmo, per l’equazionequalità (alta) / prezzo (basso).

Culture

Mi si scusi l’amarcord. Eppure davvero conviene insistere sull’inca-pacità della cultura western di accettare l’idea di avere qualcosa di pari-tetico al di fuori di sé stessa. Drammatico scontro, col sistema economi-co, tecnologico e culturale giapponese; forte, avanzatissimo, e dotato di

VIII MEDIAZIONI CULTURALI

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una potenza di comunicazione impressionante. Un paese nel quale lasconfitta bellica, e l’impossibilità di puntare sull’industria delle armi, hafatto sì che gli investimenti stornassero sull’industria della comunica-zione. Col risultato di conseguire una leadership non solo nell’innova-zione tecnologica, ma ancor prima, giusto per fare esempi, nelle tiratu-re dei quotidiani, nel consumo pro capite di carta stampata, nell’indu-stria del cartooning. Tanto da arrivare, alla fine degli anni Ottanta, achiudere il cerchio: quando Sony e Matsushita, produttori di «canali»,hanno incominciato a mettere le mani sugli archivi dei prodotti da vei-colare negli stessi: le grandi major cinematografiche e discografiche sta-tunitensi quali Columbia e Universal.

Parallelamente alla costruzione di questa leadership, una acquisizio-ne di informazioni provenienti dall’Occidente e una capacità di media-re i propri meccanismi culturali per aprirsi a un mercato, e a un mondo,più ampio. Non si pensi solo ai prodotti di comicdom evidentementeattrezzati nei confronti di un pubblico occidentale (lo stesso Akira…);ma proprio al fatto che, per dire, ormai la scrittura giapponese di usocomune è fonetica, e segue il verso orizzontale sinistra-destra, esatta-mente come la nostra.

Decodifica aberrante

La nostra capacità di lettura di una cultura che si andava affacciandoai nostri cancelli, seguendo le leggi dell’economia già globalizzata, èstata a dir poco imbarazzante. Fa bene Vanzella – come anche altri ave-vano fatto già prima di lui – a riportare le letture un poco paranoiche dipolitici e psicologi (e altra varia umanità) nei confronti del primo peri-coloso invasore, ovvero il disegno animato giapponese. Reazioneimprovvida, come quella della nostra industria mediale, che poco si èdegnata di comprendere che quel cartooning (così come l’editoria) èdettagliatamente strutturato per fasce molto definite; e il fatto che si trat-ti di letteratura disegnata non autorizza automaticamente a destinarla abambini di qualsiasi età.

In questa maniera l’effetto è stato ancora più dirompente; perché effet-

IXDECODIFICA ABERRANTE

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tivamente il grado di novità portato, per esempio, dal manga sia neicodici di rappresentazione che nella struttura narrativa ha decisamentespiazzato un mercato del fumetto in fase di impasse, alla fine degli anniOttanta. Manga, anime, foto a illuminazione vivida, forme plastiche nelcar design, sceneggiati televisivi di forte teatralità, e altro ancora, hannoimposto una accelerazione alla nostra cultura che in qualche modo fa dapiccolo contraltare a quella subita dalla società giapponese con l’adegua-mento bostbellico alle leggi del mercato occidentale, con annessi feno-meni sociali di difficile gestione: tanto per citarne uno recente, gli hiki-komori, ovvero i giovani che si chiudono in casa rifiutando il contattocon l’esterno.

Otaku

Il fenomeno degli otaku, dei «fissati», non è d’altronde per nulla ano-malo. Anomalo appare magari che fissati lo siano per mitologie di deri-vazione orientale, invece che per quelle solite a base sostanzialmentenordamericana. Ma questo è un problema che riguarda (anche dramma-ticamente, pensando ai fenomeni del’immigrazione) la difficoltà dellanostra cultura locale (italiana, in specifico) ad aprirsi ad altri contributi.Forse anche questo può essere un motivo per supportare la tesi diVanzella sulla «subculturalità» del fenomeno cosplay: esso presenta,insieme alle altre enumerate dall’autore, quella caratteristica di «innatu-ralità» (culturale, si intende) che lo stesso Hebdige pone quale clausoladefinitoria. Il che permette a Vanzella stesso di seguire poi l’intrigantestrada dell’ambiguità spettacolare e della pratica del gioco, che aiutanoindubbiamente a circoscrivere il fenomeno medesimo da punti di vistadifferenziati.

Da sottolineare, ancora, il riferimento all’intreccio con l’industriadelle merci (anche culturali) che i cultural studies «classici» non aveva-no particolarmente considerato, ma che per esempio è premessa dellavoro di Sarah Thornton, piú volte citato in questo volume. Così comeè evidentemente riflesso in quella sorta di antropologia visuale urbanarappresentata dall’opera di Ted Polhemus. E infine non può essere

X MEDIAZIONI CULTURALI

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disgiunto dall’idea di uso (contrapposto all’interpretazione) che è nellecorde di un altro, splendido, autore citato nelle pagine che seguono,ovvero Michel De Certeau. Il quale infine ci insegna, dall’alto della suamaestria, a ribaltare il punto di vista, abbandonare le griglie di letturaunitarie (sempre ideologiche) e a plasmare il pensiero, e la metodologiastessa, secondo un proprio personale stile. Avvicinare il presente volumealla genialità de L’invenzione del quotidiano è ovviamente, Vanzella stes-so sarà concorde, un’eresia. Ma bisogna riconoscere a quest’ultimo l’abi-lità nell’intercalare rilievi «partecipati» con letture analitiche; ottenutequeste ultime procedendo per accostamento di metodologie investigativedifferenti. Per fortuna, c’è chi continua a fare crossover metodologico.

C.B.Ottobre 2005

XIOTAKU

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Introduzione

Vi è mai capitato di andare a una fiera del fumetto? Forse ci sieteandati perché cercavate quel numero arretrato, magari volevate averequel DVD in anteprima, oppure eravate solo interessati alla sezione gio-chi di ruolo, possibilmente vi ci ha trascinati qualche amico. Non impor-ta il motivo: ora siete lì tra gli stand, a girare e a dare occhiate distrattealla merce esposta. Ma dietro l’angolo qualcosa di strano accade: i per-sonaggi sono usciti dagli albi e adesso vi stanno di fianco. Capite subi-to che è qualcuno travestito, che ha un costume; eppure per una frazio-ne di secondo vi è sembrato che la fantasia si fosse sovrapposta alla real-tà. Sembra che, come nel mondo di Tlön descritto da Borges, la sugge-stione e la speranza creino oggetti reali, per quanto imperfetti: unasospensione dell’incredulità a livello ontologico.

La sorpresa e lo smarrimento che colgono chi per la prima volta si trovidi fronte a queste persone travestite da personaggi dei fumetti, dei video-giochi, dei disegni animati – i cosplayer – è notevole. C’è chi si entusia-sma a vedere i propri beniamini in carne e ossa e chi invece s’irrigidiscenel dover interagire con persone così «strane». Di sicuro è impossibilerimanere indifferenti, anche perché tutta la fiera diventa un po’ surreale:ragazze con un’uniforme scolastica giapponese mangiano panini sotto aun albero, un guerriero post-atomico parla al cellulare, una sexy cyborgcompra una t-shirt che la raffigura, elfi e maghi salutano e scherzano conlegionari spaziali. Di fronte a questi individui, che indossano costumielaboratissimi creati in mesi di lavoro o vestiti imbarazzanti perché mali-ziosi o semplicemente ridicoli, non si può fare a meno di chiedersi «chisono? perché lo fanno?». Anche veri appassionati di fumetto non riesco-no bene a capacitarsi del perché certe persone siano disposte a investirecosì tante risorse per esporsi al rischio del ridicolo indossando per ungiorno i panni del protagonista della loro serie preferita. Ma se qualcunoè disposto a spendere centinaia di euro e settimane della propria vita per

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4 INTRODUZIONE

una cosa del genere, questo vorrà dire che per lui – o lei – tale attività èmolto significativa. Si possono azzardare semplicistiche (e magari erra-te) spiegazioni psicologiche del perché un singolo si travesta da supere-roe o da robot, ma il trovarsi di fronte a centinaia di persone travestitepone interrogativi a cui non è facile dare una risposta.

Questo libro nasce dallo stupore per un fenomeno così curioso, che sista estendendo sempre di più nei mondi degli appassionati di fumetto, dicinema d’animazione, di videogiochi e di giochi di ruolo; però non vuolefermarsi a questa prima impressione. Basta essere un po’ attenti per nota-re gli indizi della complessità del cosplay e della comunità che lo prati-ca: si può osservare qualche scenetta durante gli appositi concorsi perrendersi conto che l’impegno di un cosplayer non è quello estemporaneodi chi segue una moda effimera. Gli strumenti della sociologia e dell’an-tropologia ben si prestano ad analizzare una pratica così complessa eaffascinante, evitando facili vicoli ciechi.

Il cosplay è dunque la pratica di travestirsi da personaggi tratti da sto-rie di fantasia durante particolari eventi collegati alle opere da cui sonotratti i costumi. Cosplay è l’abbreviazione di «costume + play» ossia‘gioco del costume’ e l’espressione indica sia l’azione del travestirsi(«fare cosplay») sia il costume («essere in cosplay»). Un cosplayer è chipratica abitualmente il cosplay.

Per travestimento s’intende qui il vestirsi integralmente da personaggio,ossia non indossando semplicemente una maschera o parti di abito ma unintero costume. I costumi possono essere assemblati con qualunque mate-riale e attraverso qualsiasi tecnica, dal riutilizzo di vestiti già esistenti allamodellazione di plastiche speciali: l’importante è che il costume sia moltosimile – possibilmente «uguale» – a quello di un personaggio. Gli spazi incui generalmente avviene il cosplay sono le fiere del fumetto, dette anchemostre-mercato o talvolta convention: si tratta di manifestazioni in cuieditori, distributori, negozianti e appassionati dei settori del fumetto, del-l’animazione e spesso anche dei giochi espongono e commercializzano iloro prodotti e in cui si tengono iniziative culturali come mostre e confe-renze. Durante la fiera i cosplayer svolgono le normali attività tipiche delpubblico (girare per i padiglioni, fare acquisti, assistere alle conferenzeecc.) ma anche altre pratiche specifiche, in particolar modo un concorso,

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Evelyn, da Evelyn e la magia di un sogno d’amore(www.marikarononc.com)

Chizuru Nanbara, da Combattler VGiorgia Vecchini (www.giorgiacosplay.com)

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Ultralion, da UltralionMarco Lupani (www.talpilandia.com)

Tidus, da Final Fantasy XMassimo D’Urso (www.cosplaymagicknights.com)

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Page 19: Cosplay Culture

in cui i partecipanti sfilano e interpretano il personaggio da cui sonovestiti e che stabilirà, attraverso una giuria, chi tra questi è il migliorcosplayer.

Incrociando le affluenze delle varie fiere e considerando che chi par-tecipa a una fiera difficilmente andrà a un’altra nello stesso anno permotivi logistici come le distanze e i costi, ma tenendo in conto possibi-li sovrapposizioni e dalle parole dei cosplayer stessi, si può tentare unastima approssimativa di 1000-1200 cosplayer in Italia. Il fenomenopotrebbe apparire poco significativo se non si tenesse conto che icosplayer stanno aumentando anno dopo anno, da dieci anni a questaparte. Basti pensare che a «Lucca Comics & Games», la manifestazio-ne di settore più importante del paese, i partecipanti alla sfilata dicosplay sono passati da una ventina nel 1997 a poco meno di 300 nel2002 fino a quasi 500 del 2004. Ormai buona parte delle fiere del fumet-to ospitano una sfilata di cosplayer e i partecipanti aumentano ovunquecon un incremento medio degli iscritti ai concorsi del 50% circa daun’edizione all’altra.

Da questi pochi dati si può capire che le dimensioni del fenomeno tra-valichino i confini della semplice mania temporanea o della moda, oalmeno ci sono i presupposti perché diventi qualcosa di più duraturo esignificativo in un immediato futuro. Di certo il cosplay oggi in Italia èuna realtà che non può più essere ignorata all’interno del mondo delfumetto (e non solo).

Questo libro si pone l’obiettivo di descrivere il fenomeno cosplay cer-cando di andare oltre la superficie, offrendo degli schemi che possanoessere applicati al di là dei mille singoli punti di vista. Quello che si cer-cherà di fare, insomma, è rispondere alla domanda che tutti si chiedonola prima volta che vedono dei cosplayer: «ma chi sono ’sti tizi e perchési vestono in modo strano?».

7INTRODUZIONE

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Avvertenza metodologica

Scegliendo il concetto di sottocultura e gli studi collegati come linee guida perquest’analisi, l’approccio etnografico è stata un’opzione obbligata, sia perchéstoricamente è stato l’approccio scelto per l’analisi delle sottoculture sia perchéappropriato al caso specifico: non esistendo studi interamente dedicati al fenome-no, l’osservazione partecipante permette di raccogliere un grande numero di datiempirici e avere così una visione d’insieme soddisfacente.

Il metodo di raccolta dei dati è stato principalmente l’osservazione parteci-pante, recandosi alle manifestazioni e interagendo con i cosplayer. La ricerca sulcampo s’è svolta nel 2003 presso la «Comiconvention» di Milano il 26 settem-bre, presso il festival «Romics» a Roma il 5 ottobre e presso la grande mostra-mercato «Lucca Comics & Games» a Lucca il 31 ottobre, il 1° e il 2 novembre;nel 2004 presso «Lucca Comics & Games» dal 29 ottobre al 2 novembre; nel2005 al «Comicon» di Napoli il 6 marzo. Oltre all’osservazione sono stati effet-tuati brevi colloqui informali con i partecipanti (per un totale di 77 persone con-tattate, 50 femmine e 27 maschi), tramite i quali si è anche potuta svolgere unasommaria raccolta di dati personali (età, titolo di studio e professione) vòlti adavvalorare le inferenze basate sull’osservazione e i dati ottenuti da altre fonti, inparticolare le ricerche sulla composizione del pubblico dell’animazione giappo-nese presenti nei libri Mazinga Nostalgia1 e Vite Animate,2 da cui sono anchetratti parti di interviste e articoli citati. Oltre a ciò si sono svolte interviste in pro-fondità a due cosplayer, al gestore di un negozio di fumetti che organizza ancheeventi di cosplay a Bologna e a un fotografo specializzato in questi soggetti. Si èfatto inoltre riferimento agli interventi dei cosplayer attraverso le loro bachechee forum su internet (molte di queste pagine sono purtroppo off-line; per l’elencocompleto cfr. la Webgrafia). Sono infine riportate fotografie gentilmente offertedai cosplayer stessi.

1 Cfr. Marco Pellitteri, Mazinga Nostalgia. Storia, valori e linguaggi della Goldrake-generation,Roma, Castelvecchi, 1999 (II edizione riv. e ampl. Roma, King|Saggi, 2002).2 Cfr. Francesco Filippi – Maria Grazia Di Tullio, Vite Animate. I manga e gli anime come esperienzadi vita, Roma, King|Saggi, 2002.

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Ringraziamenti

Desidero ringraziare tutti i cosplayer che ho avuto modo di contattare e in par-ticolare Sonia Segreto, Giorgia Vecchini, Nadiask, Otaking, tutti i membridell’«A.Na.Co.». Vorrei ringraziare inoltre Veronica e il «Circolo FlashGordon», Gianluca di Satryrnet.it, Fancesco Filippi, Roberto, Fat’s Dream,Matteo Stefanelli, Roberta Sassatelli, Pina Lalli, Silvia Guido e soprattuttoMarco Pellitteri per l’aiuto nella realizzazione di questo libro. Un grazie anchea parenti e amici che mi hanno supportato e sopportato durante tutta la stesura ein particolare Luca Genovese e Alberto Polita che mi hanno sentito parlare dicosplayer per mesi e non si sono lamentati.

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II. Breve storia e caratteristiche del cosplay

Il cosplay è una «tradizione» giapponese, risalente al successo dellefiere dei fumetti nei primi anni Ottanta. Dalla fine degli anni Settanta,dopo il successo riscontrato in patria da serie televisive come Corazzataspaziale Yamato e Gundam, l’animazione nipponica (anime) e di rifles-so i fumetti locali (manga) hanno conosciuto in quel paese un’espansio-ne imponente. Gli appassionati della prima ora non si sono limitati arecuperare il materiale disponibile sulle loro serie di culto ma hanno ini-ziato a produrlo. Fanzine e fumetti amatoriali (solitamente parodie)incentrati sui loro beniamini hanno iniziato a circolare creando un veroe proprio mercato parallelo. Sono così nate le fiere degli appassionati, lapiù grande delle quali è il Komiketto (contrazione di Comic Market,‘fiera del fumetto’), che si svolge in primavera e in autunno a Tokyo eche vanta centinaia di migliaia di presenze. All’interno del Komiketto edelle altre manifestazioni analoghe in giro per il Giappone si è iniziataa sviluppare spontaneamente l’abitudine di portare abiti tratti da serietelevisive di successo e da lì si è passati a costumi sempre più elabora-ti. Il fenomeno è diventato poi talmente vasto che si sono creati spazidedicati all’interno e poi, da metà anni Novanta, manifestazioni esclusi-vamente dedicate al cosplay.

Al giorno d’oggi il cosplay si è venuto parzialmente a integrare nonsolo con la comunità di appassionati ma anche con il mercato dei mangae anime: esistono riviste professionali dedicate al cosplay, DVD con ser-vizi fotografici, figurine collezionabili, negozi di costumi, locali concameriere in costume o che dedicano serate al fenomeno. Esiste quindi lafigura del cosplayer professionista che riesce a guadagnare qualcosa (madifficilmente cifre tali da potersi mantenere) come animatore alle con-vention o nei negozi di fumetti, ad esempio durante le inaugurazioni.1

1 Cfr. Massimiliano Griner – Rosa Isabella Fùrnari, Otaku. I giovani perduti del Sol Levante, Roma,Castelvecchi, 1999, pp. 101-12.

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18 BREVE STORIA E CARATTERISTICHE DEL COSPLAY

Il cosplay in Giappone si inserisce in una tradizione del travestimentomolto radicata ma molto distante da quella occidentale. In Giappone nonsono mai esistite feste in costume come il Carnevale o Halloween ed esi-ste una scissione netta tra vestiti del tempo libero e del tempo del lavoro.La differenza è tale per cui si può assistere da un lato a una trasformazio-ne dell’uniforme in feticcio (in cui l’abito da lavoro decontestualizzatodiventa esotico e, di riflesso, erotico) e dall’altro alla diffusione di unamoda particolarmente eccentrica (ad esempio le gals, ragazzine che baz-zicano nei centri commerciali solo per mostrare i loro abiti bizzarri).2

In Italia il cosplay nasce a metà degli anni Novanta. Non esiste unadata «ufficiale» della nascita del cosplay italiano. Molti comunque rico-noscono nel primo concorso svoltosi a «Lucca Comics & Games», nel1997, l’inizio ufficiale della storia del cosplay in Italia, per via del ruolocentrale che questa manifestazione svolge tra gli appassionati essendo lapiù grande d’Italia. Sicuramente anche prima del 1997 già alcuni aveva-no iniziato a travestirsi ma senza essere organizzati, ed esistono raccon-ti vaghi e confusi, avvolti da un’aura di mito, di persone che si sonovestite da personaggi di finzione già nei tardi Ottanta se non prima. Lostimolo per la nascita di questa pratica è stata sicuramente la presenza dialtre «tradizioni» di travestimento all’interno di eventi dedicati ai fan,come gli appassionati di Star Trek, che iniziarono a travestirsi già allafine degli anni Settanta; ma soprattutto il venire a contatto con la realtàgiapponese attraverso la diffusione di internet o riviste specializzate (peresempio la rivista Kappa Magazine, edita da Star Comics, ha dedicatouna rubrica al cosplay già nel 1998, quando il fenomeno non era ancoramolto diffuso in Italia).

II.1 La «pratica» e l’«evento» cosplay

I cosplayer sono in maggioranza donne (lo sono tre cosplayer su cin-que), di età minima di 15 anni e di età massima di 35, con una maggioreconcentrazione tra i 18 e i 25 e qualche caso fuori range, di solito bam-2 Cfr. Alessandro Gomarasca (a cura di), La bambola e il robottone. Culture pop nel Giappone con-temporaneo, Torino, Einaudi, 2001, pp. 45-56.

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bini inclusi nei gruppi per motivi «scenici» o persone di età maggiorecoinvolte da cosplayer più giovani. Tendenzialmente con un buon titolodi studio (molti studenti universitari e laureati, pressoché tutti diploma-ti), se hanno finito gli studi hanno un lavoro dipendente. Sono tutti appas-sionati di fumetti e animazione giapponese e vivono questo come il lorohobby principale, ossia dedicano il loro tempo libero principalmente e avolte in modo pressoché esclusivo a questa passione. Frequentano abi-tualmente internet e hanno un’intensa vita online (tramite forum, chat,newsgroup). Non sembrano interessati in misura rilevante ad altre formedi sottoculture o comunque forme culturali di nicchia (ad esempio musi-ca indipendente, film d’essai, teatro sperimentale), a parte quelle stretta-mente correlate, con cui spesso condividono i luoghi di ritrovo.

L’evento tipico in cui si radunano i cosplayer è la fiera – detta anche,come già ricordato, convention o mostra-mercato – di fumetto in cui sisvolga anche la sfilata/concorso (i termini sono considerati sinonimidagli stessi cosplayer, vedremo poi perché). Il concorso si svolge nelgiorno di massima affluenza prevista alla fiera, solitamente il sabato ola domenica nel pomeriggio, ed è strutturata nel seguente modo:

1 – raccolta delle iscrizioni;2 – introduzione da parte del presentatore;3 – uno alla volta vengono chiamati sul palco i concorrenti (indican-

do nome proprio, titolo della serie, film o gioco da cui è tratto il per-sonaggio e nome dello stesso) che salgono sul palco, mostrano ilproprio costume al pubblico e all’eventuale giuria, interpretano (selo desiderano) una piccola scenetta relativa al personaggio cheimpersonano o una canzone tratta dalla serie (allo stesso modo ven-gono fatti sfilare anche i gruppi);

4 – votazione/valutazione;5 – il presentatore dichiara i vincitori delle varie categorie.

La votazione dei vincitori è effettuata da una giuria di «esperti»(cosplayer affermati, redattori di fanzine, fumettisti o altri operatori nelsettore). Nonostante la giuria sia spesso motivo di piccole recriminazio-ni e insoddisfazioni, a causa della sua composizione e dei suoi verdetti,

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essa rimane un punto fermo nel concorso. È da notare comunque che c’èchi sperimenta nuovi metodi di giudizio che però non hanno comincia-to a diffondersi, come l’autovotazione (i partecipanti votano il vincito-re) e le giurie popolari (il pubblico vota il vincitore).

I parametri con cui vengono valutati i concorrenti nella categoria prin-cipale, miglior singolo e miglior gruppo, sono gli stessi che utilizzano icosplayer per valutare i costumi. Il criterio principale è la somiglianza: piùsi assomiglia al personaggio, migliore è il cosplay. Per valutare questo cisi basa principalmente sulla qualità del vestito e sulla somiglianza fisicafra il dato cosplayer e il personaggio relativo, ma anche l’interpretazionesvolge un ruolo fondamentale. La somiglianza fisica non è richiesta nelcaso in cui si indossi il costume con fini goliardici o parodistici (ad esem-pio un ragazzo molto grasso che si veste in calzamaglia da Uomo Ragno).Secondariamente sono valutati la complessità del costume, la scelta delpersonaggio (sono apprezzati i personaggi che non erano mai stati inter-pretati prima da alcuno) e il modo in cui si è realizzato il costume.

In particolare i modi di realizzazione dei vestiti sono sottoposti a unarigida gerarchia che conferisce più valore o «squalifica» (ufficiosamente)il costume:

1 – cucito personalmente a mano (opzione preferibile);2 – cucito da parenti o amici;3 – realizzato utilizzando abiti già esistenti con qualche dettaglio fatto

a mano;4 – fatto cucire da una sarta (tollerato se il costume è particolarmente

complesso);5 – comprato (che è molto poco accettato e può diventare accusa

offensiva da rivolgere).

In generale: maggiore è il contributo personale al vestito più è apprezza-to il cosplay. Nonostante in Giappone esistano negozi di cosplay e che moltiin Italia si appoggino a questo fatto per smorzare l’ostilità nei confronti dichi acquista i vestiti, l’avere comprato un vestito è comunque qualcosa danon sbandierare per non incorrere in cirtiche anche piuttosto accese.

Il palco rappresenta il limite tra l’essere vestiti come il personaggio e

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l’essere il personaggio: nel concorso infatti è valutata l’interpretazione ein generale l’assomigliare in tutto al personaggio per cui l’atteggiamen-to generale, ad esempio la semplice camminata per portarsi al centrodella scena, dovrà essere quella del personaggio.

Anche fuori dal palco sarebbe, idealmente, richiesta l’interpretazionema di fatto non è un elemento vincolante. Chi vuole fare un buoncosplay cercherà di comportarsi in modo più simile al personaggio inogni momento ma, data la promiscuità tra «pubblico» (farsi vedere dachi non si conosce) e «privato» (ad esempio interagire con il propriogruppo di amici) non è possibile un’effettiva interpretazione totale. Delresto come si potrebbe interpretare Ken il guerriero o Lady Oscar per gli«spettatori» mentre si parla con un amico dei panini appena comprati alchiosco o di quando ci si deve iscrivere al concorso? L’interpretazionefuori dal palco si limita quindi a un atteggiamento generale visto comeintegrazione del vestito (cupo, allegro, macho, sexy, imbranato ecc.) e aspecifici momenti, come la messa in posa per una foto o uno scambio dibattute tra amici e conoscenti. Spesso l’interpretazione è un modo per«scaricare le responsabilità»: se si sceglie un personaggio molto estro-verso, magari un po’ «piacione» con il gentil sesso, si avrà una buonascusa per attaccare bottone in modo un po’ più diretto di quanto non sifarebbe normalmente perché «lo esige il personaggio». In sostanza l’in-terpretazione è un modo per sciogliere il potenziale liberatorio e carne-valesco del costume, e non è un caso che spesso i cosplayer più attentiall’interpretazione siano quelli che optano per costumi comici.

I vestiti scomodi o particolarmente appariscenti vengono indossatidopo l’ingresso nella fiera (ad esempio i costumi da robot o con ali, codeecc.): a volte i cosplayer entrano in «borghese» e si cambiano all’inter-no nei bagni, in angoli appartati o, occasionalmente, in stanze predispo-ste dall’organizzazione come camerini e depositi bagagli. I costumi piùcomodi o più portabili vengono invece indossati anche prima, non soloper praticità ma anche per provare l’ebbrezza di un look «esotico» o biz-zarro in un contesto normale. È da notare come in una convention par-ticolare come quella di Lucca, in cui la fiera dei fumetti mobilita buonaparte della città, sia più probabile che della gente giri per strada vestitada cosplayer.

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I personaggi scelti per vestirsi vengono da diversi settori dell’imma-ginario con queste preferenze:

1 – disegni animati, fumetti, videogiochi, telefilm giapponesi;2 – fumetti o film e telefilm occidentali dal vivo di genere (fantasy,

fantascienza, horror);3 – videogiochi e disegni animati occidentali.

Sicuramente l’immaginario giapponese ha il ruolo principale e laquasi totalità dei vestiti è tratta da serie giapponesi. In generale i cospla-yer «occidentali» sono molto pochi e spesso vi confluiscono altri sog-getti che si travestono (appassionati di Star Trek o di Guerre Stellari eappassionati di giochi di ruolo). Per fumetti occidentali si intendono,nella pressoché totalità dei casi, quelli di supereroi e quindi l’universosupereroico si sovrappone ai film derivati (Spider-Man, X-Men) e aitelefilm dal vivo (Wonder Woman, Batman). Nonostante esistanocosplayer ispirati a fonti occidentali (ad esempio Tomb Raider, MonkeyIsland per i videogiochi e Lilo & Stitch per i disegni animati) possiamodire che questo è un genere «virtuale» a cui potenzialmente è possibileattingere, ma viene in genere tralasciato. L’unico vero requisito chesembra esservi nella scelta dei vestiti è che siano personaggi di fiction e,se non giapponesi, debbano essere personaggi fantastici.

La scelta del personaggio da parte dei singoli si basa su due principi:la simpatia per il personaggio e la possibilità di realizzare un buoncostume secondo i parametri sopra descritti. I due fattori sono equiva-lenti, cosicché talvolta si fanno salti mortali per realizzare il costume delproprio personaggio preferito oppure si scelgono i personaggi in base alloro vestito. A questi fattori principali si somma anche l’appartenenza aun gruppo, che può limitare la scelta del personaggio: se tutti i membridel gruppo decidono di interpretare i personaggi di un determinatoanime, la scelta delle possibilità sarà limitata al cast di quella serie.

Le persone che si vestono da personaggi a cui non assomigliano asso-lutamente sono tollerate ma non approvate: un ragazzo esile può vestirsida nerboruto guerriero, ma sicuramente non verrà valutato come un buoncosplayer. Sono frequenti i casi di persone travestite da personaggi di

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Sailor Pluto dalla serie SailorMoonGiorgia Vecchini (www.giorgiacosplay.com)

Miwako Sakurada, da Paradise KissLaura Barbaresi (www.angelhitomi.com)

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Il cast del videogioco Tekken(http://angelteam.altervista.org)

Frank Castle, da The Punisher (Il Punitore) – Catwoman, da CatwomanDavid Alpi e Chiara Magnelli (www.davidchiaracosplay.com)

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sesso opposto, in particolare le ragazze in abiti maschili, tanto che perindicarle si sta diffondendo il termine crossplay, fusione tra crossdres-sing e cosplay; tuttavia, da un uomo che si veste da donna il più dellevolte ci si aspetta che indossi il costume con fini comici e goliardici.

Le sottoculture adiacenti a quella dei cosplayer sono gli appassionatidi Star Trek, quelli di Guerre Stellari, i giocatori di ruolo dal vivo, i fandel Signore degli Anelli. I primi vantano una lunga tradizione di travesti-mento sviluppata indipendentemente dal cosplay giapponese e che risaleagli anni Settanta ma che si è sviluppata alla fine degli anni Ottanta conla serie Star Trek – The Next Generation3 in modo tanto diffuso che ven-gono prodotte commercialmente divise della Federazione Galattica,degli alieni Klingon ecc. La caratteristica che separa i trekker dai cospla-yer è che i trekker non interpretano un particolare personaggio ma unpotenziale personaggio della serie, ossia non si vestono da CapitanoPicard o da Spock ma semplicemente da ufficiale o da vulcaniano.

Anche i travestimenti da Guerre Stellari hanno una tradizione cherisale agli anni Ottanta, dopo l’uscita completa della trilogia «classica».In questo caso la differenza con il cosplay è soprattutto nell’approccio:gli appassionati di Guerre Stellari vengono principalmente dal modelli-smo e puntano tutta la loro attenzione sull’accuratezza nella realizzazio-ne fedele di repliche degli abiti della serie. L’interpretazione ha un ruolonon indifferente ma è focalizzata su di un unico personaggio che vieneportato avanti e perfezionato per molto tempo. Un’altra differenza è chegli appassionati di Star Wars si organizzano in modo più formale e costi-tuiscono gruppi anche molto grandi. Ad esempio la «501sima LegioneItalica» è un gruppo che si è specializzato in costumi dell’Impero e rie-sce a portare alla fiere anche una ventina di persone vestite da Guardieimperiali e Signori dei Sith, con grande impatto scenico e sommo scon-certo dei bambini che piangono al passaggio del tenebroso Darth Vader(Lord Fener nell’arbitraria traduzione italiana).

I giochi di ruolo sono giochi da tavolo basati sull’interpretazione di per-sonaggi creati ad hoc in ambientazioni per lo più fantasy. Nei tardi anniOttanta e primi Novanta, momento di massima diffusione dei giochi di

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3 Cfr. H. Jenkins – J. Tulloch, op. cit.

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ruolo, c’è chi ha trasportato le dinamiche del gioco da tavolo all’aria aper-ta, interpretando in prima persona il proprio personaggio e combattendofisicamente le battaglie con spade di legno rivestite di gommapiuma o altrimateriali come il lattice. In questo senso la realizzazione di costumi è fun-zionale alla creazione di un ambiente ludico totale. I costumi quindi nonrappresentano né specifici personaggi, né possibili personaggi di un datomondo narrativo «ufficiale» ma personaggi nuovi di un mondo fantasystereotipico reinterpretato dai singoli gruppi di giocatori. I fan del Signoredegli Anelli rappresentano la convergenza dei tre approcci visti sopra: gliappassionati della storia tolkieniana vengono in egual misura dai giocato-ri di ruolo dal vivo che usano la «Terra di Mezzo» come ambientazioneper le sessioni di gioco e dagli appassionati del film che vogliono inter-pretare il loro personaggio preferito, come gli appassionati di GuerreStellari, o un personaggio possibile, come quelli di Star Trek. Il travesti-mento tratto dai personaggi del Signore degli Anelli è recente (risaleall’uscita del primo film di Peter Jackson nel 2002) e appare quindi piùsfaccettato, tanto che chi si traveste da personaggio di Tolkien non rifiutala definizione di cosplayer mentre gli altri, che in linea di principio sonoantecedenti al cosplay, la rifiutano.

La critica che coloro che si travestono senza definirsi cosplayer rivol-gono ai cosplayer dichiarati è di poca serietà nella realizzazione dei costu-mi (critica mossa dagli appassionati di Guerre Stellari soprattutto) e difarlo senza un vero motivo (questo gli appassionati di giochi di ruolo). Icosplayer invece vedono gli «altri» generalmente più di buon occhio masi lamentano perché «si vestono sempre della stessa cosa» oppure «non sivestono da niente» (nel senso di nessun personaggio in particolare) o cheprendono le cose «troppo sul serio». In generale in una fiera le personecon travestimenti si tollerano tra di loro e sono contente che ci siano altrepersone con dei costumi. Una cosplayer, a cui ho chiesto se riteneva gliappassionati di Guerre Stellari dei cosplayer o meno, ha risposto che «separtecipano al concorso allora fanno cosplay». E sicuramente il concorsorappresenta un segnale molto forte di adesione al cosplay, inteso come«comunità», perché prevede il riconoscimento di certe regole e l’accetta-re la possibilità di essere considerati cosplayer. Ma senza dubbio i confi-ni sono sfumati e le persone possono appartenere a più «categorie» senza

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che questo crei contraddizioni. Quanto verrà descritto e spiegato inseguito per i cosplayer può essere applicato, con i dovuti distinguo,anche ad altri «giochi in costume»: le meccaniche di interazione, imondi di riferimento e soprattutto gli scopi sono simili e comparabili.

Per i cosplayer l’obbiettivo primario è travestirsi, a prescindere dallospecifico travestimento. Sono apprezzate le persone che hanno realizza-to molti costumi e che ne propongono di nuovi. E i costumi più impe-gnativi vengono fatti debuttare nelle mostre più prestigiose, «LuccaComics & Games» in primis, a seguire Roma (che ha due fiere,«Romics» ed «ExpoCartoon»,4 la prima oggi più seguita della seconda)e Milano («Fumettopoli» e la «Comiconvention» presso il QuarkHotel); poi Torino, Bologna, Rimini, Napoli; a queste vanno aggiunte lealtre fiere «minori» che, con la diffusione del fenomeno cosplay, stannocominciando anche loro ad ospitare concorsi.

Le mostre-mercato dei fumetti non sono il solo luogo per il cosplay.Altri posti possono essere le prime cinematografiche di un film (ad esem-pio Il Signore degli Anelli e Guerre Stellari), concorsi di fumetti (come aBologna durante la premiazione del concorso internazionale «Baraccano»all’interno del festival «Arena!»), festival di cinema (come è successo aBologna nel 2005 durante la serata finale del «FutureFilmFestival»),eventi tenuti in negozi di fumetti (ad esempio nel 2003 nel negozio Borsadel Fumetto di Milano è stato organizzato un concorso in concomitanzadella «Notte Bianca»), ed eventi di solo cosplay («Cosplay Parade» aRoma o «Hasta Cosplay» ad Asti) o in cui il cosplay ha una parte eccezio-nalmente rilevante (come la convention «Rumicon» ad Arese in provinciadi Milano o «Rock’n’Comics» a Roma).

In generale il requisito fondamentale per un evento affinché possaospitare dei cosplayer è che siano presenti molte persone con gli stessiriferimenti intertestuali, così che possano apprezzare i costumi cono-scendo le serie da cui sono tratti anche se non sono travestite. Va dettoperò che con lo svilupparsi del cosplay si sta creando un interesse alfenomeno di per sé, e non solo in relazione agli altri appassionati difumetti, e si sta assistendo alla nascita di eventi incentrati sul solo

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4 Dal 2005 «ExpoCartoon» (che esiste dal 1994) ha cambiato nome in «RomaCartoon».

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cosplay che sono pensati anche per i non appassionati di manga eanime: esemplare di questo sviluppo la trasmissione Cosplayers, inonda sul canale televisivo satellitare MusicBox, dedicato normalmenteai soli videoclip.

La presenza nelle varie manifestazioni di non-cosplayer, sia appassio-nati di manga e anime sia totalmente estranei a questi tipi di immagina-rio, accentua la spettacolarità e il senso di stupore, dato dall’esotismodei costumi. Raramente il pubblico di una fiera è totalmente indifferen-te alla presenza dei cosplayer: gli atteggiamenti oscillano, in generale,tra il divertito («è bello vedere i personaggi che ti piacciono in carne edossa») e l’infastidito («sono dei buffoni»), su tutti però domina un sensodi meraviglia nel vedere tanto sforzo per degli splendidi costumi (o tantafatica per rendersi ridicoli, direbbero i detrattori). Il cosplay sembrainsomma avere il proprio senso all’interno del mondo degli appassiona-ti nel rappresentare e teatralizzare uno specifico atteggiamento verso ilconsumo dei fumetti, dell’animazione e dei linguaggi a essi collegati.

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Luca Vanzella

Cosplay Culture Fenomenologia dei costume players italiani Prefazione di Carlo Branzaglia

Euro 14,50

Copyright © T unué [email protected] www .tunue.com

In copertina: Illustrazione di Daniele Inchingoli Copyright © Daniele Inchingoli Foto di Sonia Segreto © Sonia Segreto

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Robot giganti, scolarette maliziose, eroi fantasy e bellezze aliene: oltre che tra le pagine dei fumetti o nei disegni animati potreste averli visti anche aggirarsi in carne e ossa tra i padiglioni di qualche festival del fumetto. Se vi è capitato, allora avete incontrato i cosplayer, ragazzi e ragazze che assemblano e indossano i panni dei loro personaggi preferiti. Il cosplay (dalla contrazione di costume e play) è un fenomeno nato in Giappone e che ormai coinvolge centinaia di persone anche in Italia. Cosa spinge un sempre maggior numero di appassionati di fumetto, animazione, videogiochi e narrativa fantastica a creare elaborati costumi e a «interpretare» i propri eroi? Questo libro, il primo interamente dedicato all’argomento, analizza il cosplay da un punto di vista sociologico e antropologico senza fermarsi alla sua esotica e «bizzarra» superficie ma analizzandolo nella sua complessità e dando anche voce ai suoi protagonisti.