copyleft: il diritto d’autore nell’era digitale
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Tesi di Laurea di Ilario Lucio Falcone. Laurea triennale in Scienze della Comunicazione. Indirizzo Pubblicità, Marketing e Comunicazione Aziendale.TRANSCRIPT
FACOLTÀ DI SCIENZE DELLA COMUNICAZIONE
Indirizzo Pubblicità, Marketing e Comunicazione Aziendale
Tesi di Laurea in
Informatica ed Editoria Multimediale
Copyleft: il diritto d’autore nell’era digitale
Laureando Relatore
Ilario Lucio Falcone Chiar.mo Prof. Luca Tallini
Matricola 53079
Anno Accademico 2008/2009
2
Creative Commons Public License
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OGNI ESEMPLARE DELL’OPERA (DIGITALE O CARTACEO)
PRIVO DI QUESTA PAGINA
È DA RITENERSI CONTRAFFATTO.
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INDICE
Introduzione ....................................................................................... 7
Capitolo 1
Il copyright e il diritto d’autore .................................................... 16
1.1 Cenni storici ........................................................................... 16
1.1.1 Sviluppo del diritto d’autore italiano ..................... 28
1.2 Funzionamento del diritto d’autore ........................................ 29
1.2.1 Requisiti del diritto d’autore .................................. 33
1.2.2 Prove della paternità dell’opera ............................. 35
1.2.3 Tipologia di opere tutelate ..................................... 37
1.2.4 Diritti riconosciuti all’autore ................................. 38
1.2.5 Libere utilizzazioni ................................................ 42
1.2.6 Trasmissione dei diritti .......................................... 43
1.3 La S.I.A.E. .............................................................................. 44
1.3.1 Il monopolio velato ................................................ 46
1.4 Topolino contro il pubblico dominio ..................................... 49
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Capitolo 2
L’era digitale e il copyleft .............................................................. 52
2.1 Il software libero .................................................................... 52
2.1.1 Unix e la nascita del mercato del software ............ 53
2.1.2 Stallman e la Free Software Foundation ............... 56
2.1.3 L’alba del copyleft ................................................. 58
2.1.4 La prima licenza libera .......................................... 59
2.1.5 Linux ...................................................................... 61
2.1.6 Il software libero nel mercato ................................ 62
2.1.7 Tutela del software ................................................ 65
2.2 La digitalizzazione ................................................................. 66
2.2.1 Il file sharing .......................................................... 68
2.3 Il senso del copyleft ............................................................... 74
2.3.1 Legittimazione delle licenze copyleft .................... 76
2.3.2 La S.I.A.E. contro il copyleft ................................. 80
Capitolo 3
Licenze copyleft .............................................................................. 82
5
3.1 Licenze GNU .......................................................................... 82
3.1.1 GNU GPL (General Public License) ..................... 83
3.1.2 GNU FDL (Free Documentation License) ............ 86
3.2 Creative Commons ................................................................. 88
3.2.1 Localizzazione delle licenze: il porting ................. 89
3.2.2 Tre forme per una licenza ...................................... 91
3.2.3 Le licenze Creative Commons ............................... 92
3.2.4 Senso della clausola “Non commerciale” .............. 95
3.2.5 Le licenze Sampling .............................................. 96
3.2.6 Ulteriori iniziative della fondazione ...................... 97
3.2.7 Science Commons ................................................. 98
3.3 Art Libre ............................................................................... 103
3.4 Copyzero X .......................................................................... 104
3.4.1 Zerosign ............................................................... 106
Capitolo 4
Applicazioni del modello copyleft .............................................. 108
4.1. GNU/Linux .......................................................................... 108
4.1.1 La distro Cubana contro il monopolio Microsoft 112
6
4.2 Wikipedia ............................................................................. 113
4.2.1 Il problema dell’autorevolezza ............................ 117
4.3 Jamendo ................................................................................ 120
4.4 Flickr .................................................................................... 123
Conclusioni ....................................................................................... 126
Bibliografia ................................................................................. 130
Siti internet ................................................................................. 133
7
Introduzione
La digitalizzazione, ossia il processo che permette la conversione
di qualsiasi opera creativa dell'uomo in dati interpretabili dai
calcolatori elettronici, e lo sviluppo capillare della rete internet, che ne
ha permesso la condivisione in tempo reale in tutto il mondo, hanno
modificato il panorama culturale contemporaneo nonché lo stesso
agire sociale. L’inarrestabile sviluppo tecnologico apre nuovi orizzonti
all’industria culturale ma determina anche l’insorgere di numerosi
problemi, primo fra tutti la difficoltà nel tutelare il diritto d’autore
sulla rete.
La vastità del web e il suo intrinseco attributo di spazio libero da
qualsiasi costrizione rendono la tutela del diritto d’autore quasi
impraticabile. Ciò è dovuto principalmente all’utilizzazione dei nuovi
strumenti tecnologici per scopi illegali che hanno comportato un
cambiamento notevole all’interno della società stessa: la pratica di
scaricare materiale protetto attraverso il file sharing, non viene più
percepita come un’attività fuorilegge passibile di ripercussioni legali,
il che rende ancor più vani gli sforzi dei legislatori nel contrastare tali
comportamenti illeciti.
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Questi hanno portato gli autori di opere creative a diffidare della
rete internet come nuovo mezzo per la distribuzione delle loro opere
ed hanno messo in allarme i grandi colossi industriali, in particolar
modo quelli operanti nel campo dell’editoria e dell’intrattenimento,
che hanno visto i propri interessi economici in pericolo.
I legislatori sono intervenuti, incalzati dalle pressioni provenienti
dai grandi gruppi industriali, modificando le esistenti normative sul
diritto d’autore e sul copyright in maniera sempre più invasiva e
restrittiva, innalzando così barriere alla diffusione e alla fruizione
della cultura.
È nata quindi una vera e propria battaglia contro la
privatizzazione della conoscenza umana, messa in atto da corporation
e governi compiacenti, da parte di coloro i quali hanno visto in
internet e nella digitalizzazione, degli strumenti eccezionali per la
condivisione e la fruizione della cultura e delle informazioni,
all’insegna della collaborazione globale.
Le reazioni alle restrizioni imposte dalle nuove norme sulla tutela
delle opere sono state contrastanti: alcuni hanno abbracciato il rifiuto
assoluto del copyright e del diritto d’autore mettendo in discussione
anche la necessità di intermediari alla diffusione della cultura; altri si
sono interrogati sulle possibili modalità con cui sfruttare la legge per
9
liberare la cultura nel rispetto della proprietà intellettuale e del lavoro
degli autori.
A questa seconda visione appartiene il copyleft, un’alternativa ai
tradizionali modelli di gestione del diritto d’autore, che di norma
favoriscono i gruppi industriali piuttosto che gli autori attraverso la
cessione in blocco dei diritti sulle loro opere. L’utilità di questo nuovo
modello è quella di rimettere nelle mani degli autori la gestione totale
dei diritti sul loro lavoro creativo riequilibrando i rapporti tra questi e
gli editori che nella prassi tradizionale vanno a tutto vantaggio di
questi ultimi.
Esso si realizza concretamente grazie all’utilizzo di contratti-
licenza applicati alle opere che ne stabiliscono la condivisione, la
modifica e finanche la commercializzazione specificando a quali
condizioni queste possono essere condotte. Tutto ciò è reso possibile
dal fatto che queste licenze si fondano sulle norme esistenti sul diritto
d’autore ottenendone la piena legittimazione.
Il modello copyleft ha coinvolto inizialmente solo l’ambito
software ma grazie all’interesse dimostrato da un numero sempre
crescente di intellettuali, giuristi e semplici fruitori di contenuti
multimediali, attualmente può essere applicato ai più svariati ambiti
10
della produzione e della fruizione di opere dell’ingegno, da quello
letterario a quello musicale.
Colossi industriali e legislatori sono ancora diffidenti verso il
modello copyleft, ritenuto poco redditizio e capace di minare i vecchi
modelli di gestione del diritto d’autore e le tradizionali forme di
distribuzione delle opere. Pertanto continuano ad ostacolarne
l’attuazione in particolar modo generando incomprensione attorno
all’argomento.
Questa tesi ha lo scopo di mostrare come il copyleft sia uno
strumento più che valido per la tutela della proprietà intellettuale e
come esso incentivi la produzione culturale, finalità originaria del
copyright e del diritto d’autore che vengono invece modificati in senso
sempre più restrittivo.
Nel primo capitolo si ripercorreranno le tappe del riconoscimento
della proprietà intellettuale, della nascita del copyright e del diritto
d’autore italiano nello specifico, per comprendere le differenze tra i
vari concetti allo scopo di dissolvere alcuni punti oscuri della
questione.
Si procederà quindi all'analisi della normativa italiana sul diritto
d'autore per comprendere come essa tuteli le opere e come viene
applicata concretamente. Verrà evidenziato come nascono i diritti
11
relativi ad un'opera, quali requisiti un'opera deve avere per rientrare
sotto la tutela della legge italiana sul diritto d'autore e le modalità
attraverso cui un autore può dimostrare di essere il creatore originario
di una data opera. Si descriveranno quali tipi di opere dell’ingegno
sono contemplate dalla legge sul diritto d'autore e quali diritti questa
riconosce all'autore di un'opera. Verranno poi esposte le libere
utilizzazioni previste dalla legge italiana, ossia quelle modalità di
utilizzo di determinate opere in modo assolutamente gratuito e senza
bisogno di autorizzazioni. Verranno trattate le modalità di
trasmissione dei diritti su di un'opera contemplate dalla legge italiana
e si parlerà dell'ente per la gestione collettiva dei diritti sulle opere
attivo in Italia, la S.I.A.E., mostrando come questa, sebbene la legge
non obblighi gli autori a servirsene, operi concretamente in una
condizione di monopolio.
Nella parte finale del capitolo verrà esposto il problema
dell'attività di lobbying portata avanti dall’industria
dell'intrattenimento sul sistema politico, che preme per la modifica
delle leggi nazionali sul diritto d'autore a proprio vantaggio. Per fare
ciò verrà illustrato un esempio emblematico di tale pratica, avvenuto
nel 1998 negli Stati Uniti: il Copyright Term Extension Act,
ribattezzato Mickey Mouse Protection Act, in quanto fortemente
12
voluto dal colosso Disney al fine di proteggere i propri interessi
economici attraverso il prolungamento del copyright.
Nel secondo capitolo verrà esposta la genesi del modello copyleft
a partire dall'ambito software nel quale ha avuto origine. Verranno
ripercorse le tappe dello sviluppo del software e del suo mercato
passando per la creazione della Free Software Foundation ad opera di
Richard Stallman, finalizzata alla diffusione di software libero, quindi
per la nascita del concetto di copyleft e l'ideazione della prima licenza
libera per i programmi informatici: la GNU General Public License.
Si parlerà dei progressi della fondazione di Stallman che portarono nel
1991 ad un grande risultato: la creazione del primo sistema operativo
non proprietario denominato Linux, per poi osservare i primi passi
dell'entrata nel mercato da parte del software libero.
Dopo aver visionato le modalità di tutela del software, dagli Stati
uniti allo specifico caso italiano, verrà quindi descritto il processo di
digitalizzazione che insieme allo sviluppo della rete internet ha reso
possibile il diffondersi della pratica del file sharing, lo scambio di file
sulla rete, il cui utilizzo illecito, mirato allo scambio di materiale
protetto dal diritto d'autore, ha portato a severe contromisure legali.
Tenendo presente tale panorama verrà descritto il concetto di
copyleft per comprendere cosa in effetti si voglia ottenere grazie
13
all'applicazione di questo modello alternativo di gestione del diritto
d'autore e come esso possa essere applicato in maniera assolutamente
legale. Infine verrà mostrata la chiusura verso questo nuovo modello
da parte del mondo dell'imprenditoria, degli enti di gestione collettiva
dei diritti sulle opere e delle stesse leggi nazionali, nello specifico caso
italiano che vede la S.I.A.E. opporsi all'applicazione e alla diffusione
del modello copyleft.
Nel terzo capitolo verranno illustrate alcune tra le più importanti
licenze copyleft, a partire dalla prima in assoluto creata in seno al
progetto GNU di Richard Stallman: la GNU General Public License,
per uso software, per poi passare alla GNU Free Documentation
License, per le opere testuali relative alla didattica e alla
documentazione.
Si passerà quindi ad esaminare le licenze Creative Commons, un
importante passo in avanti per il movimento copyleft che ha permesso
l'estensione di tale modello anche ad altre tipologie di opere. Verrà
illustrato il cosiddetto porting, il processo di internazionalizzazione
delle licenze Creative commons per far si che esse fossero applicabili
in ogni parte del mondo. Si elencheranno quindi le varie licenze
Creative Commons esistenti e le tre diverse forme in cui queste si
estrinsecano: il Legal Code, il Commons Deed e il Digital Code. Ci si
14
soffermerà in particolare su una clausola applicabile alle suddette
licenze riguardante gli utilizzi commerciali delle opere. Verranno poi
descritte altre licenze messe a punto dalla fondazione Creative
Commons specifiche per le opere musicali, le licenze Sampling, e altre
iniziative benefiche, come ad esempio il progetto Science Commons,
portate avanti dallo staff di Creative Commons che conta un numero
sempre crescente di collaboratori sparsi in tutto il globo.
Si procederà poi con l’analisi della licenza Art Libre, nata in
Francia e specifica per le opere artistiche, e della licenza tutta italiana
Copyzero X, ideata e promossa dal Movimento Costozero che offre a
chiunque, utili strumenti per la protezione delle proprie opere creative,
come il servizio Zerosign, che permette l'apposizione della firma
elettronica sui propri lavori attraverso un software messo a
disposizione dal Movimento Costozero, al fine di dimostrare la
paternità e la data di creazione di un'opera.
Nel quarto capitolo verranno presentati infine alcuni importanti
progetti che si servono delle licenze copyleft con risultati più che
soddisfacenti a partire dal sistema operativo GNU/Linux in tutte le sue
varianti tra cui la distribuzione Nova Baire, nata a Cuba con lo scopo
di mettere fine al monopolio della Microsoft sull'isola. Verrà illustrato
poi il funzionamento della mastodontica enciclopedia libera
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Wikipedia, il progetto collaborativo online più grande del mondo che
per alcuni però non può essere paragonato per qualità alle
enciclopedie tradizionali. Per finire verranno descritte due piattaforme
web finalizzate alla distribuzione di musica, Jamendo, e di fotografie,
Flickr, che utilizzano il modello copyleft anche con finalità
commerciali.
16
Capitolo 1
Il copyright e il diritto d’autore
1.1 Cenni storici
Prima di cominciare un discorso articolato sul copyleft e sulla
sua applicazione pratica, è utile ripercorrere la storia del diritto
d’autore e del copyright per comprendere a partire da quale situazione
preesistente esso si sia sviluppato nonché le differenze che
intercorrono tra questi due ultimi concetti che molto spesso vengono
utilizzati erroneamente come sinonimi.
Il diritto d’autore, ossia quell’insieme di norme giuridiche che
hanno lo scopo di riconoscere all’autore dei diritti sulle sue opere, è
un’invenzione piuttosto recente nella storia dell’umanità e del diritto
stesso, la cui necessità è stata avvertita solo in epoca moderna con
l’avvento della stampa e più precisamente della stampa a livello
industriale.
Anticamente non essendo possibile la produzione di copie tratte
dall’opera originale, se non in maniera molto limitata e imperfetta,
non vi era il problema della tutela economica. Per quanto riguarda la
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paternità dell’opera, gli episodi di plagio, laddove scoperti portavano
all’allontanamento dell’autore colpevole dalla comunità.
Nell’antica Grecia le opere erano liberamente fruibili e
riproducibili da chiunque, non essendovi norme in merito. Il sapere
era quello che si definisce un bene pubblico, tant’è che i poeti
consideravano sé stessi non autori ma “ripetitori” di quello che le
Muse ispiravano loro. Gli autori originari dell’opera utilizzata
venivano in ogni caso tenuti in considerazione e ottenevano un
compenso per questo, mentre veniva condannato il plagio.
A Roma, per quanto riguarda le opere letterarie, il diritto
patrimoniale era riconosciuto solo al libraio in possesso del
manoscritto, non all’autore dell’opera: per il diritto romano, infatti,
soltanto le cose materiali erano ritenute oggetto di proprietà. Da qui
deriva la tradizionale distinzione di una qualsiasi opera in due “corpi”:
il corpus mysticum, ossia l’opera considerata come bene immateriale, i
cui diritti spettano all’autore, e il corpus mechanicum, gli esemplari, le
copie in cui si concretizza l’opera materialmente, i cui diritti spettano
a chi ha acquistato l’oggetto tangibile su cui è riprodotta l’opera.
Con la caduta dell’Impero Romano, la cultura si rifugiò nei
monasteri o in poche grandi città di una certa rilevanza culturale. Solo
con la nascita delle Università si sviluppò la domanda di copie di testi
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letterari con la conseguente nascita di un mercato delle stesse e delle
officine scrittorie.
Con l’invenzione della tecnica di stampa a caratteri mobili
avvenuta nel 1456, da parte del tedesco Johann Gutenberg, si avviò
l’era della riproducibilità tecnica. Questa formidabile innovazione
tecnologica fece di ogni opera un bene riproducibile in serie, non più
un pezzo unico, sebbene dovettero passare alcuni decenni perché il
procedimento, ancora artigianale per certi aspetti, diventasse maturo: i
primi libri riprodotti infatti erano veri e propri beni di lusso, riservati a
pochi benestanti. Solo più in là, con il perfezionamento delle
macchine, fu possibile riprodurre delle opere letterarie in serie
riducendo i costi fissi grazie ad una produzione industriale. Il libro
poté così diventare un bene comune acquistabile anche dai meno
agiati e destinato ad una diffusione di massa.
Fino ad allora, il sostentamento di artisti e intellettuali derivava
non dalle percentuali sulle vendite delle copie vendute, come oggi
accade, ma dai rapporti clientelari tra gli artisti e coloro i quali
commissionavano le opere, che costituivano il cosiddetto
“Mecenatismo”. Le opere erano pezzi unici per l’appunto e solo quelle
letterarie venivano riprodotte, in poche copie senza l’ausilio di alcuno
strumento tecnico, attraverso la pura e semplice copiatura manuale ad
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opera dei famosi amanuensi o copisti. Tuttavia le copie erano
destinate a pochi e abbienti individui che potevano permettersi di
commissionare un lavoro tanto lungo e dispendioso.
In campo letterario, finché non venne ideata per l’appunto la
prima macchina da stampa che determinò la nascita di rapporti
contrattuali tra l’autore (l’ideatore dell’opera) e l’editore (colui che
viene incaricato di trasformare l’opera in bene, di produrne le copie e
di commercializzarle), il guadagno economico dell’autore derivava dal
prezzo che egli riusciva ad ottenere sulla vendita del manoscritto
all’editore o al libraio.
Cominciarono quindi a instaurarsi rapporti di rilevanza giuridica,
nuovi alla scienza del diritto, che necessitavano quindi di essere
regolamentati per tutelare entrambe le parti e garantire un accordo
equilibrato che non andasse a favore di chi deteneva maggior potere
economico e quindi maggior potere contrattuale.
La prima forma di tutela, concessa inizialmente solo agli editori e
agli stampatori, nasce a Venezia nella tarda metà del XV secolo ed è
rappresentata dal cosiddetto “privilegio” di stampa, una garanzia che
proibiva la ristampa di un’opera di cui si era ottenuto il privilegio per
un dato numero di anni. In questo modo si evitava che altri, oltre
all’editore o allo stampatore che ne avessero acquisito il diritto,
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ristampassero copie delle stesse opere magari proponendole ai clienti
ad un prezzo inferiore danneggiando così il detentore del privilegio.
Come si può ben notare questa prima forma di tutela era puramente di
carattere economico e tesa a proteggere i soli interessi dello
stampatore; soltanto in un secondo momento fu tutelato anche
l’autore, cui venne riconosciuto il lavoro creativo, lo studio e la fatica
necessari alla realizzazione di un’opera. Questa tutela consisteva nella
facoltà riconosciuta all’autore di prestare il consenso, o di negarlo, per
la pubblicazione della sua creazione.
Nel XVI secolo, in Inghilterra la corona deteneva il diritto di
stampa totale. La Star Chambler, la corte di giustizia inglese, era
incaricata di regolare la stampa e nessuno poteva stampare se non
tramite un privilegio speciale concesso dalla Corona.
La monarchia inglese emanò le prime normative sul “diritto di
copia”, copyright per l’appunto, intendendo con queste controllare le
opere pubblicate nel territorio: con la diffusione delle macchine da
stampa e la possibilità di ottenere facilmente copie di un manoscritto,
gli scrittori furono infatti stimolati a produrre opere letterarie dal
momento che i sopracitati “privilegi” vigenti erano più che sufficienti
a garantirne la tutela. Poiché questa nuova tecnologia rendeva
disponibili una marea di letture, di cui molte facinorose, il governo
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aveva bisogno di esercitarne il controllo. Essendo impossibile
dichiarare la stampa fuorilegge, il governo inglese poté esercitare una
censura attraverso l’istituzione nel 1557 della “London Company of
Stationers” (Corporazione dei Librai di Londra) cui la corona
britannica concesse il monopolio della stampa e l’incarico di praticare
la censura di opere con idee potenzialmente sovversive. La Stationers’
Company aveva il diritto esclusivo di stampare nonché il diritto di
ricercare, requisire e bruciare i libri non autorizzati o stampati
illegalmente. Un libro per poter essere stampato doveva essere iscritto
nel Registro della Corporazione e ricevere il marchio della stessa;
perché questo avvenisse doveva ottenere il nullaosta del censore della
Corona.
Questo sistema, come è palese, andava a vantaggio dei soli
membri della corporazione e del governo, non degli autori. I libri
venivano iscritti nel Registro della Corporazione non sotto il nome del
loro autore ma sotto il nome di uno degli Stationers che ne aveva così
il cosiddetto “copyright”, cioè il diritto esclusivo di pubblicarli.
Eventuali infrazioni da parte degli altri membri della corporazione
venivano risolte dalla Court of Assistants.
22
È fondamentale sottolineare che i profitti della Corporazione
dipendevano dalla censura praticata, non tanto dalla stampa e dalla
vendita dei libri.
Benché questo primo esempio di tutela non possa di certo essere
ritenuto un traguardo per la scienza del diritto, in quanto altro non è
che un esempio di censura, esso costituisce un precedente
importantissimo: per la prima volta infatti veniva esercitato il diritto
assoluto di proibire ad altri la copia di un’opera.
Tale sistema, che arricchì gli Stationers e permise al governo di
esercitare un controllo sulla diffusione delle idee e delle informazioni,
andò in crisi verso la metà del XVII secolo a causa dell’indebolimento
del potere monarchico. Nel 1641 la Star Chambler, la quale garantiva
il monopolio della Corporazione nonché le licenze di stampa, venne
abolita con la conseguente perdita del diritto esclusivo di stampa da
parte degli Stationers.
Essendo un duro colpo alle economie dei membri della
Corporazione, essi si rivolsero al Parlamento facendo leva su un
argomento che oggigiorno, nell’era digitale, ancora viene utilizzato
come giustificazione più che legittima del loro lavoro, ma che faticava
e fatica a rimanere in piedi: ossia che gli autori erano incapaci di
distribuire le proprie opere privatamente; non avevano i mezzi né le
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finanze necessari per stampare e distribuire delle copie, così che la
Corporazione diventava indispensabile agli autori stessi e alla crescita
culturale del Paese.
Il Parlamento emanò quindi il Licensing Order nel 1643, che
ripristinava la situazione iniziale di monopolio da parte della
Corporazione dei Librai di Londra. Ovviamente l’autonomia e i diritti
che venivano riconosciuti agli autori erano del tutto inutili in quanto
non avevano alternative al firmare per cedere i propri diritti ad un
editore per poter pubblicare le loro opere, quindi le cose rimanevano
sostanzialmente immutate dal punto di vista del diritto dato l’enorme
potere contrattuale della Corporazione. Inutile sottolineare il derivante
regime di censura preventiva alle dipendenze del potere politico e il
controllo assoluto della cultura da parte del governo.
Con la restaurazione del potere monarchico venne emanato nel
1662 il Licensing Act che confermò la situazione esistente, ribadendo
il “Diritto di Copia” degli Stationers. Tale Atto permetteva inoltre di
perquisire l’abitazione di coloro i quali venivano sospettati di detenere
libri privi di licenza; non proprio un passo verso la civiltà.
Sulla base delle rimostranze sopracitate da parte della
Corporazione dei Librai di Londra, vide la luce quella che viene
24
riconosciuta come la prima vera normativa moderna sul copyright, e
cioè lo “Statuto della Regina Anna”, emanato in Inghilterra nel 1710.
Tale editto, intitolato “An Act for encouragement of learning”
intendeva usare il copyright come incentivo alla produzione culturale
e alla creatività: per la prima volta l’autore e non l’editore veniva
riconosciuto legalmente come il detentore dei diritti di riproduzione
delle proprie opere. Ma a differenza del passato, questo monopolio
non era perpetuo bensì limitato nel tempo: per le opere già pubblicate
in precedenza, l’autore deteneva il monopolio sulle proprie opere per
21 anni e 14 per le opere successive all’editto. Questo diritto era
comunque ritenuto ancora non una naturale conseguenza derivante
dalla creazione dell’opera ma come una costruzione politica, un
qualcosa che veniva concesso. Infatti, perché venisse riconosciuto,
l’autore di un’opera aveva l’onere di registrarla presso un apposito
ufficio pubblico. Alla scadenza dei 14 anni l’autore poteva prorogarlo
per altri 14 anni scaduti i quali l’opera diventava di dominio pubblico.
Per rendere più appetibili le loro rimostranze, gli Stationers
proposero al Parlamento che l’autore di un’opera ne detenesse il
copyright, diritto che poteva essere trasferito, venduto ad altri tramite
un contratto, così come avveniva per una qualsiasi altra proprietà. Nel
rinnovato clima liberale il Parlamento con questo editto intendeva
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eliminare il monopolio preesistente sulla produzione e sul commercio
dei libri e la conseguente attività di censura da parte della Corona per
cui accettò tale proposta.
Come già precisato, era una mera consolazione per gli autori, in
quanto per poter stampare e distribuire le proprie opere dovevano
comunque rivolgersi alla Company of Stationers e cedere i propri
diritti sulle stesse. Non solo, è difficile pensare che un autore che
scriva un libro per esprimersi, per dire qualcosa, intenda poi esercitare
il diritto a non pubblicare l’opera riconosciuto dallo Statute of Anne.
Seguirono altre leggi in merito alla proprietà intellettuale tra cui è
fondamentale ricordare quelle emanate in Francia negli anni 1791-
1793, dopo la Rivoluzione francese in un clima culturale di
riaffermazione dei diritti dell’uomo, in cui compare il droit d’auteur,
il cosiddetto diritto d’autore, che riconosceva infine la proprietà
letteraria ed artistica e che si contrapponeva per certi aspetti al
copyright anglosassone.
Negli Stati Uniti fu ripresa la normativa britannica e nel 1790 fu
scritta la prima legge sul copyright che veniva attribuito agli autori a
condizione che registrassero le loro opere presso un apposito ufficio.
Come in Inghilterra, esso durava 14 anni con possibilità di rinnovo di
altri 14 anni, solo se l’autore era ancora in vita e ne faceva richiesta
26
esplicita. Traduzioni ed opere derivate erano considerate di pubblico
dominio. In questo la Costituzione e le normative sul diritto d’autore
americane erano più liberali. In una lettera ad Isaac McPherson del
1813, il presidente e padre fondatore degli Stati Uniti, nonché autore
ed inventore Thomas Jefferson, così scriveva: “Se la natura ha creato
una cosa meno soggetta delle altre alla proprietà esclusiva, questa è
l’azione della potenza del pensiero chiamata idea, che un singolo può
possedere in maniera esclusiva finché la tiene per sé; ma nel momento
in cui essa è divulgata, costringe se stessa a essere proprietà di
ognuno, e chi la riceve non può restituirla […]. Colui il quale riceve
un’idea da me, riceve istruzioni senza diminuire le mie, così come
colui il quale accende la propria candela con la mia, riceve luce
senza toglierla a me. Tali idee dovrebbero essere diffuse da una
persona all’altra per tutto il globo, per l’istruzione morale e
reciproca dell’uomo e il miglioramento della sua condizione, il quale
sembra essere stato progettato in maniera peculiare e benevola dalla
natura […].”1
Con lo sviluppo dei mezzi di comunicazione, da un lato, e di
riproduzione delle opere, dall’altro, si rese necessario poi un sistema
1 Jefferson T., Lettera ad Isaac McPherson: No patents on ideas, Charlottesville, 1813
27
di tutela che fosse sovranazionale. Furono stipulate una serie di
convenzioni tra i diversi Stati confluite nel 1886 nella cosiddetta
Convenzione di Berna, per la protezione di opere letterarie ed
artistiche, di cui è bene ricordare due regole importanti: una uguale
tutela per i cittadini degli Stati aderenti alla convenzione e il
riconoscimento reciproco tra gli Stati membri del diritto d’autore.
Seguì la Convenzione Universale sul Diritto d’Autore, stipulata
nel 1952 da 32 Stati, tra cui Stati Uniti ed Italia che non avevano
aderito alla Convenzione di Berna. Essa nacque con lo scopo di creare
un sistema di protezione delle opere d’ingegno che fosse universale,
per tutelare l’autore e rendere più agevole la divulgazione di opere
letterarie, artistiche e scientifiche tra gli stati membri. Tale
convenzione riconosceva inoltre all’autore il diritto esclusivo di
tradurre e pubblicare o di autorizzare a tradurre e a pubblicare la
propria opera.
Un’altra importante organizzazione atta a “promuovere
attraverso la cooperazione internazionale la creazione,
disseminazione, uso e protezione della mente umana per il progresso
28
economico, culturale e sociale di tutta l’umanità”2 è la World
Intellectual Property Organization del 1967 (WIPO).
1.1.1 Sviluppo del diritto d’autore italiano
In Italia furono emanate delle leggi per l’istituzione del diritto
d’autore nel 1836, nel Codice Civile albertino, e nel 1840 nel decreto
di Maria Luigia. Ma è nel 1865 che vede la luce la legge 2337, la
prima normativa sul diritto d’autore nel neonato Regno d’Italia. Come
le leggi degli stati Italiani, che l’avevano preceduta, s’ispirava al
modello francese, fondato sui principi liberisti del Codice
Napoleonico e quindi al droit d’auteur di cui sopra.
Seguirono numerosi ritocchi ad essa fino ad arrivare alla legge
n.633 del 1941 ancora oggi in vigore pur con alcuni aggiustamenti
dovuti all’armonizzazione delle disposizioni comunitarie, la quale
riconosce all’autore diritti morali ed economici sulle opere da lui
create per ogni ambito dell’ingegno.
Altre direttive sul diritto d’autore compaiono agli articoli 2575-
2583 del Codice Civile del 1942. Manca invece un riferimento
esplicito alla tutela del diritto d’autore nella Costituzione anche se
alcuni principi in essa enunciati possono benissimo riferirsi a questo
2 WIPO Intellectual Property Handbook, Ginevra, 2001
29
argomento. La Costituzione infatti garantisce i diritti inviolabili
dell’uomo (art.2), spinge il cittadino a concorrere al progresso della
società (art.4), promuove lo sviluppo della cultura e della ricerca
(art.9) e tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni (art.35).
1.2 Funzionamento del diritto d’autore
Erroneamente nel nostro Paese si tende a considerare il copyright
come le norme sul diritto d’autore vigenti in Italia usando i due
concetti quindi come sinonimi, ma così non è.
Il copyright è tipico degli ordinamenti giuridici di matrice anglo-
americana (i sistemi di common law) ed è chiaramente volto a
promuovere l’editoria. Tende cioè a tutelare a priori l’interesse del
soggetto imprenditoriale che si impegna ad investire nella produzione
e nella commercializzazione delle copie di un’opera. Ne consegue che
è tutelabile qualsiasi opera che possa essere commercializzata, il che
pone in secondo piano l’attività creativa dell’autore. Secondo questo
modello l’autore di un’opera ha su di essa dei diritti economici che
cede in blocco, attraverso la stipulazione di un contratto, ad un
imprenditore che si impegna a commercializzare l’opera in cambio di
un dato compenso monetario. Nel momento in cui questi diritti
vengono ceduti, trasferiti all’imprenditore tramite il contratto, è questi
30
ad avere la facoltà di decidere come gestire l’opera in questione. Negli
Stati Uniti la normativa inerente al copyright è garantita dal Titolo 17
dello United States Code. Le violazioni di tale normativa vengono
quindi considerate reato federale e punibili, in sede civile, con multe
per un ammontare massimo di 100.000 dollari.
La tutela dura fino ai 70 dalla morte dell'autore per le opere
create prima del 1978 e per le opere in comunione ai 70 anni dalla
morte dell'ultimo coautore. Per le opere fatte su commissione e per
quelle anonime o distribuite sotto pseudonimo la durata del copyright
va da 95 a 120 anni dalla prima pubblicazione. Nella legge
statunitense compare inoltre il concetto di fair use, utilizzo equo, ossia
la possibilità di citare liberamente senza autorizzazione un’opera o di
utilizzare materiale protetto da copyright di altri nella propria opera,
sulla base di alcune condizioni e comunque per usi che abbiano scopi
didattici o scientifici. Anche in Italia ci si sta domandando se
estendere questo tipo di comportamento per le attività didattiche, data
la richiesta da parte della Siae, la Società Italiana degli Autori ed
Editori, un ente pubblico ed economico su base associativa, incaricato
della protezione e dell’esercizio del diritto d’autore, di un compenso
per i diritti sulle opere utilizzate a tale scopo.
31
Il diritto d’autore, invece, tipico del diritto di tradizione romano-
germanica (dei sistemi di civil law) nel quale rientra anche quello
italiano, attribuisce maggiori prerogative all’autore. Infatti, anche una
volta ceduti i diritti patrimoniali a terze parti, l’autore detiene
comunque un certo controllo sulla sua opera. Ciò è possibile in quanto
il diritto d’autore assicura una gamma più vasta di diritti, oltre a quelli
patrimoniali, al creatore di un’opera. Sono i cosiddetti diritti morali,
che attengono alla sfera personale dell’autore e che riconoscono
all’opera un valore aggiunto oltre a quello puramente commerciale: un
valore morale legato all’onore e al rispetto dell’autore anche dopo la
sua morte.
Le differenze tra i due modelli sono state nel tempo mitigate
attraverso l’istituzione di organizzazioni internazionali come la WIPO
con lo scopo di garantire una tutela dei diritti d’autore su scala
internazionale e attraverso l’inarrestabile processo di globalizzazione
dei mercati che ha favorito l’esportazione del modello del copyright
nei Paesi di civil law.
Questi due tipi di tutela della proprietà intellettuale sono possibili
in quanto legati al concetto di diritto esclusivo, il cosiddetto ius
excludendi alios, ossia la possibilità di escludere altri dall’esercizio di
un diritto. In tal modo il solo soggetto titolare dell’opera può
32
esercitare i diritti ad esso connessi. Mentre per i beni materiali tale
concetto è implicito poiché derivante dal possesso stesso del bene, per
quelli immateriali, come lo sono appunto le opere dell’ingegno, non è
così naturale detenerne l’utilizzo esclusivo. Qui interviene il diritto
che attribuisce degli strumenti all’autore grazie ai quali esercitare un
controllo sulla fruizione delle sue creazioni da parte degli utenti finali.
Attraverso la cessione dei diritti esclusivi si determinano i vari
rapporti contrattuali, sullo sfruttamento economico e sui vari utilizzi
delle opere, tra gli autori e la rete di imprenditori, ad esempio gli
editori, che permettono la produzione e la commercializzazione delle
copie.
Il diritto d’autore, contrariamente a quanto si pensa, è per così
dire automatico: a differenza del brevetto, che necessita di una
registrazione presso uffici appositi, i diritti relativi ad un’opera
dell’ingegno vengono acquisiti dall’autore dell’opera con la semplice
creazione della stessa e durano fino a 70 anni dalla morte dell’autore.
Di contro i diritti sul brevetto, il quale attiene alle invenzioni
industriali a condizione che siano nuove, implichino un’attività
inventiva e possano avere un’applicazione industriale, si acquisiscono
attraverso la registrazione dell’invenzione presso appositi uffici e
33
durano per 20 anni a partire dalla data di registrazione senza
possibilità di rinnovo.
1.2.1 Requisiti del diritto d’autore
Rientrano nella categoria delle opere protette dal diritto d’autore
le opere dell’ingegno alle quali venga riconosciuto un carattere
creativo, qualunque sia la loro forma di espressione.
Il carattere creativo di un’opera, citato dalla scienza giuridica
come requisito per la tutela del diritto d’autore, si articola in due
concetti: l’originalità e la novità.
Perché un’opera sia originale si richiede che essa sia il frutto di
un lavoro particolare da parte dell’autore, che ne trasmetta quindi la
personalità, lo stile. È un concetto di difficile definizione, pertanto la
giurisprudenza accorda tutela anche ad opere il cui contributo
intellettuale è modesto, non necessariamente qualcosa di eccezionale.
Per quanto riguarda la novità, tale concetto si articola in novità
soggettiva, una sovrapposizione dell’attributo di originalità, e novità
oggettiva, che è quella tenuta in conto dalla giurisprudenza e che si
attribuisce ad un’opera che presenti elementi essenziali e
caratterizzanti grazie ai quali possa essere oggettivamente distinta da
un’altra appartenente allo stesso genere. Questo attributo è importante
34
soprattutto nelle controversie legali in fatto di plagio, ossia
l’imitazione di un’opera altrui o l’appropriazione della paternità
dell’opera altrui, e di incontro fortuito, ossia la somiglianza
inconsapevole tra opere di autori diversi.
Il primo articolo della Legge 633/41 riconosce come
giuridicamente rilevante, e quindi tutelabile col diritto d’autore, la sola
forma espressiva dell’opera. Questo è un concetto importante: non
viene tutelata l’idea creativa, ma il modo in cui questa si concretizza,
il modo in cui viene rappresentata dall’autore, la sua espressione. Per
comprenderlo appieno, è utile prendere in considerazione la
differenziazione concettuale presentata dal giurista tedesco Kohler per
cui:”La forma esterna è la forma con cui l'opera appare nella sua
versione originaria (insieme di parole e frasi nelle opere letterarie,
nella melodia, ritmo e armonia nell'opera musica, ecc.), la forma
interna è la struttura espositiva dell'opera (l'organizzazione del
discorso, la scelta e la sequenza degli argomenti nell'opera letteraria,
i passaggi essenziali del discorso musicale e nelle note determinanti
la linea melodica nell'opera musicale, ecc.). Il contenuto è
l'argomento trattato, le informazioni, i fatti, le idee, le opinioni, le
teorie in quanto tali, è cioè a prescindere dal modo in cui essi sono
scelti, coordinati e presentati. Secondo tale teoria, la tutela ha per
35
oggetto sia la forma esterna che interna, ma non il contenuto. Quindi
il diritto d'autore protegge la forma espressiva dell'opera, e non si
estende al contenuto.”3
1.2.2 Prove della paternità dell’opera
Come detto più volte, l’autore acquisisce il diritto sulle proprie
opere nell’istante stesso in cui esse vengono create e non necessita di
una registrazione.
Tuttavia nel caso in cui si incappi in controversie legali, cioè in
casi di plagio o di incontro fortuito, è importante un’attestazione della
paternità dell’opera e della data di creazione della stessa da parte del
suo autore. Le modalità attraverso cui ottenere un tale riconoscimento,
che abbiano natura probatoria, sono le seguenti: pubblicarla su
un’edizione periodica, ossia un giornale o una rivista nel caso in cui
sia un opera letteraria; depositarla presso un notaio, la soluzione più
costosa; fare in modo che vi venga apposto un timbro postale,
depositarla presso un apposito ufficio della Siae o di altri enti
specializzati e depositarla presso enti pubblici che sono tenuti a
protocollare e registrare tutti i tipi di documenti.
3 Kohler J., Urheberrecht an Schriftwerken und Verlagsrecht, Enke, Stoccarda 1907
36
Nel caso dell’utilizzo del timbro postale come prova, questo ha
valenza giuridica se si invia a se stessi la propria opera tramite un
plico sigillato, spedito a mezzo raccomandata con ricevuta di ritorno,
purché il timbro venga apposto direttamente sull’opera stessa. Quindi
l’opera deve fare un corpo unico col foglio sul quale si appone il
timbro.4 Un altro metodo è quello di inviare una raccomandata al
Presidente della Repubblica, il quale è tenuto per legge a protocollare
tutto ciò che gli viene spedito tramite posta.
Nel caso del deposito presso appositi uffici, ci si può rivolgere
alla Siae, l’ente italiano preposto alla protezione e all’esercizio del
diritto d’autore, alla Società Raccolta e Salvaguardia Arte o alla
Writers Guild of America, solo per opere letterarie, le quali a fronte di
una quota in denaro corrispondono il deposito dell’opera e la garanzia
della datazione della stessa per un certo numero di anni.
Grazie alla tecnologia digitale stanno nascendo altri metodi di
tutela in questo senso, come ad esempio la firma digitale certificata. Il
suo uso è disciplinato dal Decreto del Presidente della Repubblica n.
445 del 28 dicembre 2000. Essa si applica attraverso la tecnica del
4 Come emerge dallo studio 3154 del 2000, approvato dalla Commissione Studi del Consiglio
Nazionale del Notariato
37
timestamping, marca temporale, e dell’e-mail certificata, il
corrispettivo telematico della raccomandata la quale aggiunge la
garanzia dell’integrità dell’opera che può essere inviata sotto forma di
file allegato.
1.2.3 Tipologia di opere tutelate
Le opere che secondo la legge sul diritto d’autore 633/41 sono
tutelate sono le opere letterarie, musicali, quelle appartenenti alle arti
figurative, all’architettura, le opere teatrali, le opere cinematografiche
e quelle fotografiche. Tale elenco, presentato all’articolo 2 della
suddetta legge, non ha carattere tassativo ma solo esemplificativo;
dunque possono essere tutelate anche altre forme di creatività non
specificate dalla legge, purché presentino caratteristiche delle opere
dell’ingegno.
In seguito al recepimento delle direttive europee rientrano nella
categoria di opere protette dal diritto d’autore italiano anche i
programmi per elaboratore, ossia il software, e le banche dati, archivi
strutturati ai quali si può accedere tramite particolari applicazioni
informatiche.
Un’altra classificazione delle opere protette, contenuta negli
articoli 3, 4 e 10 della L.D.A. 633/1941 prevede la protezione di
38
quelle che vengono chiamate elaborazioni di carattere creativo, come
la traduzione di un’opera in un’altra lingua o la trasposizione di
un’opera da una forma ad un'altra: è il caso ad esempio dei film tratti
da libri. Questo a condizione che la rielaborazione denoti un
contributo creativo ben visibile rispetto all’opera preesistente; altre
sono le opere collettive, ossia derivanti dalla riunione di opere o di
parti di opere che denotino una creazione autonoma con uno specifico
fine letterario, scientifico o artistico; infine sono protette le opere in
comunione, cioè create da più persone e il cui contributo sia
indistinguibile e inscindibile, alle quali spettano i diritti sull’opera in
modo equo.
1.2.4 Diritti riconosciuti all’autore
Su queste tipologie di opere la legge 633/41 accorda al loro
autore diritti di tipo personale, i cosiddetti diritti morali, e i diritti di
tipo patrimoniale, ossia inerenti allo sfruttamento economico.
I diritti morali sono tesi a tutelare la sfera personale dell’autore, il
suo onore e la sua reputazione, attraverso una corretta comunicazione
al pubblico del suo lavoro creativo. Si riconosce all’autore che l’opera
porta con se un valore aggiunto oltre al semplice sfruttamento
economico della stessa, un valore morale. Questi diritti sono
39
inalienabili, irrinunciabili e perpetui: alla morte dell’autore vengono
difatti gestiti dagli eredi. Ciò significa che anche dopo la cessione dei
diritti patrimoniali, l’autore mantiene un certo controllo sulla sua
opera. Rientrano per legge sotto la classificazione di diritti morali il
diritto a rivendicare la paternità dell’opera, il diritto di opporsi a
deformazioni o mutilazioni dell’opera che pregiudichino l’onore e la
reputazione dell’autore e il diritto di ritirare l’opera dal commercio per
ragioni morali.
I diritti patrimoniali vengono riconosciuti all’autore, o ad altri
soggetti ad esso connessi, sulla base dell’attribuzione di un valore
economico allo sfruttamento dell’opera. Sono scomponibili, cioè
possono essere ceduti non necessariamente in blocco, e alienabili,
quindi possono essere trasferiti tramite contratto ad editori o
produttori senza l’intervento dello Stato. Questo è possibile in quanto
il diritto d’autore attiene a questioni di diritto privato, non pubblico,
cui appartiene anche l’attività contrattuale. Ciò conferisce una certa
autonomia ai cittadini italiani che possono così regolare i loro rapporti
giuridici attraverso un contratto, che “ha forza di legge tra le parti”5,
5 Secondo l’articolo 1372 del Codice Civile, sull’Efficacia del contratto
40
senza l’intervento delle istituzioni. L’attività contrattuale, ovviamente,
può essere condotta esclusivamente entro i limiti imposti dalla legge.
I diritti patrimoniali si distinguono in: diritti di utilizzazione
economica e diritti connessi.
I diritti di utilizzazione economica a loro volta sono: il diritto
esclusivo di produrre copie dell’opera, il diritto esclusivo di
trascrivere l’opera, il diritto esclusivo di eseguire, rappresentare o
recitare in pubblico l’opera; il diritto di comunicare al pubblico
l’opera servendosi di mezzi di diffusione a distanza; il diritto esclusivo
di distribuire, tradurre, elaborare, modificare l’opera; il diritto
esclusivo di pubblicare le opere dell’autore in raccolta e il diritto
esclusivo di noleggiare, dare in prestito e autorizzare il noleggio della
propria opera.
Tali diritti durano fino a 70 anni dalla morte dell’autore. Per le
opere create in collaborazione, nel caso di opere in comunione, essi
scadono alla morte dell’ultimo coautore. Nel caso di opere collettive,
in cui il contributo dei vari autori sia riconoscibile, la durata dei diritti
di utilizzazione economica di ogni autore si determina in base alla vita
di ciascuno.
Per quanto riguarda i diritti connessi questi sono relativi ad
attività professionali, intellettuali e commerciali, determinanti per la
41
distribuzione e la fruizione dell’opera da parte degli utenti finali. Sono
diritti esclusivi ed appartengono a soggetti diversi dall’autore
dell’opera ed il loro esercizio molto spesso si sovrappone a quello dei
diritti dell’autore. È su questi diritti che si fonda l’attuale mercato
dell’intrattenimento. Questi diritti riguardano la produzione di
fonogrammi, nello specifico la riproduzione la distribuzione e il
noleggio dei fonogrammi di cui si è curata l’incisione; la produzione
di opere cinematografiche o audiovisive, quindi la loro riproduzione,
la distribuzione e il noleggio; l’emissione radiofonica e televisiva. In
tutti questi casi tali diritti hanno durata di 50 anni dall’avvenuta
fissazione dell’opera su un supporto materiale o dalla prima
diffusione. Rientrano in questa categoria inoltre i diritti degli artisti
interpreti ed esecutori che eseguono opere dell’ingegno tutelate o di
dominio pubblico: essi hanno sulle loro esibizioni diritto esclusivo di
autorizzare la fissazione, la produzione di copie, la distribuzione, il
noleggio. Anche in questo caso tali diritti hanno durata cinquantennale
dalla prima diffusione. Per finire, sono diritti connessi quelli relativi
alle fotografie, che durano venti anni dalla loro produzione e i diritti
relativi al ritratto, sia esso scultoreo, pittorico o fotografico: nel caso
di persone, queste hanno il diritto di impedire l’esposizione, la
42
riproduzione e la messa in commercio dei ritratti alla loro persona se
non hanno prestato il loro consenso.
1.2.5 Libere utilizzazioni
Tenendo in considerazione il fatto che il diritto d’autore ha lo
scopo di dare un incentivo alla cultura bisogna considerare la
questione sia dal punto di vista dell’autore che del fruitore dell’opera.
Ci sono dei casi in cui la ferrea applicazione delle normative sul diritto
d’autore va a rendere difficile questa spinta all’incentivo culturale cui
il diritto d’autore intende partecipare. Pertanto sono state previste
delle libere utilizzazioni, ossia delle modalità di utilizzo delle opere
protette da diritto d’autore in modo del tutto legale.
Sono permesse la riproduzione e la comunicazione di articoli di
attualità, discorsi ed estratti di conferenze su argomenti di interesse
pubblico, sempre che tale utilizzazione non sia stata negata dal
detentore dei diritti; è permessa la fotocopia di opere nelle biblioteche
purché senza vantaggi economici da parte di queste, nel limite del
quindici per cento di ciascun volume; è permesso il riassunto o la
citazione di parti di opera per fini scientifici, di insegnamento o di
43
critica o per studio personale, purché venga menzionato l’autore, il
titolo dell’opera, editore e traduttori.6
1.2.6 Trasmissione dei diritti
La legge sul diritto d’autore specifica anche le modalità entro le
quali i diritti possono essere trasferiti tra soggetti diversi. Per legge la
trasmissione dei diritti di utilizzazione deve essere provata per iscritto
quindi attraverso un contratto. Ciò implica che in caso di controversia
legale riguardante l’avvenuta trasmissione dei diritti, il detentore
originario di questi, quindi l’autore dell’opera, si troverà in una
posizione privilegiata rispetto alla controparte che dovrà provare di
aver ricevuto i diritti legalmente, presentando una prova scritta di
questo.
Viene trattata nello specifico anche una tipologia particolare di
contratto, ossia il contratto di edizione secondo il quale l’autore cede
all’editore il diritto di pubblicare la sua opera dell’ingegno a spese
dell’editore stesso. Nella legge è specificato il principio di
indipendenza dei diritti esclusivi: l’autore e detentore originario dei
diritti sull’opera non è obbligato a trasferirli in blocco ad un unico
editore, ma può stabilire quali diritti e a chi cederli separatamente.
6 Come si evince dagli articoli da 65 a 71 decies, Capo V del titolo I della L.D.A. 633/1941
44
Ovviamente ciò che accade nella realtà è che l’autore di
un’opera, in special modo se emergente, è “costretto” a cedere tutti i
diritti sulla sua opera ad un unico soggetto pur di poterla diffondere e
ricevere un compenso economico. Questa è diventata ormai la prassi
diffusa nell’industria culturale a causa dell’elevato potere contrattuale
dei gruppi editoriali, delle case discografiche e dell’industria
dell’intrattenimento in generale, che possono stipulare contratti che li
privilegino a scapito degli autori. Questa pratica standardizzata,
divenuta ormai assolutamente normale, è dovuta al fatto che gli autori
hanno, o meglio avevano fino allo sviluppo vertiginoso della rete
internet, bisogno degli editori come figure intermedie che li facciano
conoscere alle masse.
1.3 La S.I.A.E.
Oltre alla tutela rappresentata dalle normative analizzate vi è un
ulteriore strumento che l’autore può utilizzare per assicurarsi il
controllo dei diritti sulle sue opere: la gestione collettiva dei diritti
esclusivi.
Questo tipo di gestione dei diritti inerenti allo sfruttamento
economico dell’opera deriva dal fatto che, come osservato, essi sono
abbastanza numerosi e vi è la possibilità per legge di cederli
45
separatamente a soggetti diversi, il che rende la gestione dei diritti una
pratica complicata. La gestione di tutti questi diritti da parte del solo
autore, per di più non pratico di questioni legali, potrebbe risultare
impossibile da attuare soprattutto se individualmente; d’altro canto la
situazione sarebbe difficile anche da parte di editori, produttori,
registi, che per poter utilizzare l’opera di un dato autore in una
determinata maniera, dovrebbero andare alla ricerca del detentore di
quel diritto particolare che si vuole ottenere.
Pertanto sono stati creati enti per la gestione collettiva dei diritti
sulle opere che facciano da tramite in questo tipo di scambio al fine di
renderlo più agevole.
In Italia l’ente preposto alla gestione collettiva dei diritti esclusivi
è la S.I.A.E, la Società Italiana degli Autori ed Editori; negli States ve
ne sono diversi a seconda del tipo di opera di cui si gestiscono i diritti:
l'A.M.R.A., l'A.R.S., la B.M.I., la N.M.P.A. e la S.E.S.A.C. Inc per
quanto riguarda le opere musicali; l'A.R.S. e la V.A.G.A per le opere
grafiche; la D.G.A. per le opere audiovisive, la W.G.A. per le opere di
drammatizzazione e audiovisive e per finire The Author's registry Inc.
per le opere letterarie.7 Gran parte degli enti di gestione collettiva dei
7 Dal CISAC's members societies list and their repertoires, aggiornato al Giugno 2009
46
diritti sulle opere sono membri del C.I.S.A.C, la Confederazione
Internazionale delle società di autori e compositori, un’organizzazione
internazionale non-profit composta da gran parte delle società delle
varie Nazioni che amministrano tutte le categorie del diritto d'autore.
1.3.1 Il monopolio velato
Per quanto riguarda il caso italiano, l’articolo 180 della Legge
633/1941 sul diritto d’autore ai commi 1 e 2 cita: “L'attività di
intermediario, comunque attuata, sotto ogni forma diretta o indiretta
di intervento, mediazione, mandato, rappresentanza ed anche di
cessione per l'esercizio dei diritti di rappresentazione, di esecuzione,
di recitazione, di radiodiffusione ivi compresa la comunicazione al
pubblico via satellite e di riproduzione meccanica e cinematografica
di opere tutelate, è riservata in via esclusiva alla Società italiana
degli autori ed editori (SIAE). […] La suddetta esclusività di poteri
non pregiudica la facoltà spettante all'autore, ai suoi successori o agli
aventi causa, di esercitare direttamente i diritti loro riconosciuti da
questa legge. […]”8
8 L.D.A. n. 633, del 1941: Protezione del diritto d'autore e di altri diritti connessi al suo esercizio,
in G.U. n. 166, del 1941
47
La situazione di monopolio che traspare dalla prima parte della
legge, la quale prevede che la gestione collettiva dei diritti possa
essere esercitata solo dalla S.I.A.E, sembra essere mitigata dal seguito,
in cui è specificato che l’autore non è costretto a rivolgersi a questo
ente, ma può esercitare i diritti sulla propria opera privatamente.
Inutile sottolineare quanto questo sia difficile se non addirittura
impossibile per un solo soggetto, per di più non pratico di questioni
legali. Inoltre si rischierebbe così di lasciare scoperta un’ampia fetta di
diritti esercitabili solo grazie ad un apparato organizzato e con un
certo potere contrattuale.
L’autore può delegare la gestione dei diritti sulle sue opere alla
S.I.A.E. in due modi, attraverso l’associazione ed il mandato: si può
stringere un rapporto di associazione nel caso in cui chi ne fa richiesta
sia un autore, un editore, un concessionario etc. italiano o di un Paese
appartenente all’Unione Europea; si legano all’ente con un rapporto di
mandato, invece, gli autori, gli editori, i concessionari etc. che non
sono cittadini, che non hanno la nazionalità di un Paese membro
dell’Unione Europea o che pur possedendo i requisiti per
l’associazione non intendono instaurare tale rapporto.
Con l’associazione alla S.I.A.E, infatti, l’autore si assume degli
oneri maggiori di quelli previsti dal semplice mandato. Tale rapporto
48
lega l’associato all’ente per 4 anni, rinnovabili tacitamente di volta in
volta. Grazie alla sua posizione l’associato gode di maggiori diritti ma
è altresì obbligato a rispettare delle norme la cui non osservanza porta
ad alcune sanzioni che culminano nella radiazione del socio dall’ente.
L’iscrizione comporta inoltre la cessione di tutti i diritti su tutte
le opere, anche quelle future, da parte dell’autore il quale perde così la
facoltà di amministrarli da sé.
Col tempo la S.I.A.E. ha assunto sempre più potere nella gestione
dei diritti sulle opere sul suolo italiano grazie al Governo stesso che le
ha attribuito competenze sempre più ampie. Ciò è reso possibile
dall’articolo 181 L.D.A. che concede alla S.I.A.E. di esercitare altri
diritti connessi alla protezione delle opere dell’ingegno oltre a quelli
già previsti. In virtù di tale concessione, nel 2000 la Legge 248 ha
apportato modifiche alla legge sul diritto d’autore, aggiungendovi
l’articolo 182 bis, in cui vengono elencate le nuove competenze
assegnate all’ente. Queste rendono ancora più rigido il monopolio
della S.I.A.E. in quanto attengono alla riproduzione, alla duplicazione
e alla distribuzione di opere, nell’ottica della prevenzione di possibili
violazioni della legge sul diritto d’autore.
La S.I.A.E. nella sua attività di gestione dei diritti per conto degli
autori e della raccolta e ridistribuzione dei compensi economici
49
derivanti dall’utilizzo delle opere protette, si avvale della
collaborazione di associazioni di rappresentanza di categorie
professionali che partecipano alla grande macchina dell’industria
culturale italiana. Queste sono costituite dall'unione di soggetti che
hanno interessi nella produzione culturale del paese e che hanno
stretto legami con la S.I.A.E. per tutelarli. Non sono enti riconosciuti
dallo Stato, tuttavia sono queste associazioni che hanno ampia
influenza sui cambiamenti che vengono impressi alle normative che
riguardano i diritti d’autore contribuendo ad ostacolare la crescita
culturale del paese e la fruizione delle opere dell’ingegno.
1.4 Topolino contro il pubblico dominio
Allo scadere della durata dei diritti di utilizzazione economica di
un’opera, essa rientra nell’ambito di quello che è stato definito
pubblico dominio. Il pubblico dominio è “il complesso e l'università
dei beni - ed in particolare delle informazioni - insuscettibili di
appropriazione esclusiva da parte di alcun soggetto pubblico o
privato, e che sono invece disponibili al libero impossessamento ed
uso da parte di chiunque.”9
9 Fonte http://it.wikipedia.org/wiki/Pubblico_dominio
50
La durata del diritto d’autore è cambiata varie volte nel tempo
soprattutto sotto la pressione dei grandi gruppi imprenditoriali. Negli
Stati Uniti l’ultima modifica temporale risale al 1998, anno in cui è
stato emanato il Copyright Term Extension Act (CTEA), che ha esteso
la durata del copyright di 20 anni. Questo ne ha aumentato la validità a
70 anni dalla morte dell’autore, a 120 anni dalla creazione dell’opera o
a 95 anni dalla prima pubblicazione per i lavori realizzati da
dipendenti, i cui diritti si trasferiscono al datore di lavoro. Per le opere
pubblicate prima del 1978 il limite è stato aumentato a 95 anni dalla
prima pubblicazione. Tale estensione è stata poi adottata in altri Paesi
tra cui quelli dell’Unione Europea.
Pochi sanno che questa legge è chiamata anche the Mickey
Mouse Protection Act10
perché ottenuta sotto la pressione del colosso
Disney: la prima apparizione di Topolino infatti risale al 1928, nel
cortometraggio Steambot Willie. Questo cortometraggio è stato più
volte sul punto di entrare a far parte delle opere liberamente fruibili
del pubblico dominio ma puntualmente una legge è intervenuta ad
allungare la durata del copyright statunitense. Dopo l’ultima modifica,
10 Fonte http://en.wikipedia.org/wiki/Sonny_Bono_Copyright_Term_Extension_Act#cite_ref-1
51
quella del 1998, questo cortometraggio diventerà di pubblico dominio
nel 2023. Forse.
Questo è un esempio di come i grandi gruppi industriali legati al
mondo dell’editoria, della musica e dell’intrattenimento in generale,
facciano pressioni sul sistema politico per potersi garantire lo
sfruttamento di opere anche diverso tempo dopo la morte dell’autore.
Il tutto pare assolutamente privo di senso se si considera il diritto
d’autore secondo la sua originaria funzione di incentivo alla
produzione culturale.
In un’epoca in cui tutto è stato già fatto o detto, come suona un
celebre ritornello, la produzione culturale non può fare a meno della
rielaborazione delle opere precedentemente create per dar vita a nuove
idee. Tuttavia la legge sta rendendo sempre più difficile la creazione
di opere derivate e la loro fruizione.
52
Capitolo 2
L’era digitale e il copyleft
2.1 Il software libero
Per comprendere come è nata l’idea di un modello alternativo
della gestione del diritto d’autore bisogna fare un excursus sulla storia
dell’informatica e di internet alla quale essa è strettamente collegata.
I primi calcolatori elettronici hanno fatto la loro comparsa sul
finire della seconda guerra mondiale. Questi erano di dimensioni
impressionanti, data la modesta tecnologia a disposizione, ed
arrivavano anche ad occupare interi edifici. Solo in seguito, grazie
all’invenzione dei transistor e al processo di miniaturizzazione, si
poterono ottenere computer sempre più piccoli.
Questi calcolatori di dimensioni enormi potevano svolgere
pochissime funzioni, per lo più determinate dal loro schema elettrico,
ed erano utilizzati esclusivamente per la sperimentazione in ambito
universitario e militare. Col passare degli anni lo sviluppo tecnologico
ha permesso ai calcolatori di diventare più complessi e di svolgere più
funzioni, attraverso comandi impartiti grazie ad un sistema operativo,
un software responsabile del controllo e della gestione dei componenti
53
elettronici, l’hardware di un computer, che permette all’utente di
interagire con la macchina. I primi sistemi operativi erano però
specifici per ogni calcolatore su cui venivano utilizzati, quindi in caso
di aggiornamento o sostituzione bisognava riprogrammare gran parte
del sistema.
2.1.1 Unix e la nascita del mercato del software
Una svolta in questo campo avviene nel 1969, anno in cui vede la
luce il sistema operativo Unix, ideato da Ken Thompson, sviluppatore
dei laboratori Bell. Questo evento rappresenta un grosso passo in
avanti per l’informatica in quanto Unix è stato il primo sistema
operativo ad essere compatibile con più calcolatori elettronici. La
nascita di un tale sistema pose fine al legame indissolubile tra
hardware e software, rendendo i due campi indipendenti l’uno
dall’altro.
Il software infatti fino ad allora non poteva essere venduto
separatamente in quanto, come accennato, era specifico per un certo
computer e soltanto per quello. Grazie ad Unix il software cominciò
ad acquisire una propria autonomia il che fece nascere un proprio
mercato informatico.
54
I primi programmatori informatici, che costituivano la prima
comunità hacker, sviluppatasi nell’ambito del MIT, il Massachusetts
Institute of Technology, una delle più importanti università di ricerca
del mondo con sede a Cambridge, cominciarono così ad uscire dalla
loro nicchia isolata dei centri di ricerca per rendere l’utilizzo del
computer più familiare e alla portata di tutti. Si impegnarono quindi
nella diffusione di questo nuovo strumento cercando di renderlo anche
più piccolo ed economico.
Nello stesso anno avviene un altro grande evento destinato a
segnare il destino dell’informatica e non solo: per la prima volta
vengono collegati i centri di ricerca delle università statunitensi di Los
Angeles, Stanford, Utah e Santa Barbara per via telematica. Questa
“rete”, che prende il nome di ARPAnet, l’ Advanced Research
Projects Agency Network, inizialmente concepita in ambito militare
durante la guerra fredda allo scopo di risolvere il problema della
sicurezza del sistema di comunicazioni, rappresenta il primo passo
verso la nascita della rete Internet destinata ad unire tutto il globo.
Nei primi anni ’80 nacque il concetto di personal computer (PC)
grazie alle prime imprese che avevano scommesso in questo campo
ancora molto incerto. Vengono messi sul mercato i primi computer da
tavolo da parte della IBM, della Apple e della Atari. Nel contempo lo
55
sviluppo del software, che ha cominciato a muoversi in maniera
autonoma, vede la nascita del sistema operativo MS-DOS di casa
Microsoft.
Il computer comincia ad entrare nelle case delle persone anche se
l’utilizzo che ne viene fatto non è certo quello di strumento di calcolo
bensì mero passatempo e gioco ( si ricordino le prime consolle Atari).
Questa diffusione del computer anche presso utenti inesperti,
inconsapevoli delle reali potenzialità di questo strumento, portò al
frazionamento e alla scomposizione della comunità hacker; cominciò
ad allontanarsi dai principi di base della prima generazione i quali
ruotavano attorno alla libertà di accesso alle risorse, alla condivisione
della conoscenza e alla cooperazione, alla creatività (la
programmazione era ritenuta una vera e propria arte); principi portati
avanti con grande senso dell’onore e del rispetto, che caratterizzavano
tutta la comunità hacker.
Negli anni ’80 il mercato informatico comincia a diventare molto
appetibile per le imprese, le quali investono sempre più in questo
settore e iniziano a proteggere il proprio lavoro per mantenere un
vantaggio competitivo sui concorrenti. Queste fanno ricorso perciò al
diritto industriale: il copyright, il segreto industriale e i brevetti, a
tutela della proprietà intellettuale e degli utilizzi economici del
56
software prodotto, facendo contemporaneamente in modo che il
codice sorgente, ossia le istruzioni del software scritto secondo un
dato linguaggio di programmazione interpretabile dalla macchina, non
venisse distribuito come invece avveniva nella comunità hacker.
Tutto questo andava contro i principi etici di questa comunità, la
quale voleva la conoscenza libera e gratuita. Nasce la figura del
programmatore professionista, il quale svolgeva lo stesso identico
lavoro dell’ hacker ma animato da una logica di profitto più che da
una personale dedizione.
2.1.2 Stallman e la Free Software Foundation
In questo clima emerge la figura di Richard Matthew Stallman,
laureato in fisica cum laude, esperto programmatore appartenente alla
prima comunità hacker e collaboratore del laboratorio di intelligenza
artificiale del MIT.
Nel 1983 di fronte allo svilimento della cultura hacker e ad una
logica improntata sempre di più al guadagno, al marketing, non più
allo sviluppo tecnologico e alla condivisione delle idee e delle
innovazioni, Richard Stallman abbandona il MIT per dedicarsi a
progetti personali mirati al recupero e alla divulgazione dei principi
propri della prima comunità hacker.
57
Stallman si era fatto un nome nell’ambito della programmazione
anche per aver creato e diffuso liberamente un programma editor di
testi in seguito molto utilizzato, l’ Emacs, invitando i suoi fruitori ad
apportare qualsiasi modifica al programma e a distribuirlo
ulteriormente con le medesime modalità sempre insieme al codice
sorgente del software. Così facendo Stallman voleva tenere in vita i
principi a lui tanto cari della comunità hacker di cui si sentiva l’ultimo
sopravvissuto.
Al centro dei suoi progetti, una volta abbandonato il centro di
ricerca del MIT, vi era la creazione di un sistema operativo di tipo
Unix, che non fosse protetto dal copyright tradizionale ma fosse
piuttosto distribuibile liberamente. Diede perciò vita al Progetto GNU
(acronimo di Gnu is Not Unix, a rimarcare le distanze dal sistema
operativo proprietario), allo scopo di creare "un insieme sufficiente di
software libero [...] per non dover più usare software non libero"11
.
Per perseguire tale progetto fonda la Free Software Foundation,
nel 1985, un’organizzazione non profit finalizzata alla raccolta fondi,
al coordinamento dei progetti attivi e alla loro divulgazione agli utenti
informatici.
11 Dal Manifesto GNU, 1985
58
Se all’inizio i due progetti procedettero molto lentamente a causa
della frammentazione della comunità degli informatici, alla fine degli
anni ’80, quando la rete Internet cominciò a contare un numero
sempre maggiore di utenti connessi (nell ’89 si arrivò a centomila
computer collegati), gli ideali della cultura hacker, assorbiti dalla Free
Software Foundation, poterono circolare e raggiungere altri
programmatori sparsi per il mondo che li condividevano attraverso
essa.
2.1.3 L’alba del copyleft
Per poter portare avanti il progetto del sistema operativo GNU,
Stallman ideò un meccanismo particolare di copyright basato sui
fondamenti della cultura hacker di libera condivisione delle
informazioni chiamato Copyleft, grazie all’applicazione di licenze che
obbligavano chiunque volesse utilizzare o modificare il software
originario a distribuire l’eventuale risultato con le stesse modalità.
Così facendo si metteva in moto un circolo vizioso che avrebbe
protetto il nuovo sistema operativo da appropriazioni indebite, tutela
garantita dalle leggi sul copyright, da parte delle grandi aziende
informatiche e al tempo stesso ne avrebbe favorito la diffusione e
l’avanzamento progettuale attraverso la condivisione del codice
59
sorgente, al contrario di quanto avveniva normalmente per il software
proprietario.
Il nome Copyleft è un gioco di parole che ha molteplici
significati: innanzitutto è una chiara presa di distanza, un ribaltamento
di principi del tradizionale regime statunitense, il copyright (left vuol
dire sinistra, right destra); nel contempo la parola inglese left è il
participio passato del verbo to leave, che significa lasciare, concedere,
il che comunica l’idea di un regime di libera condivisione dell’opera.
A sottolineare la differenza abissale col modello tradizionale, il
simbolo che venne adottato per questo modello è la © commerciale,
simbolo del copyright, messa al contrario: .
2.1.4 La prima licenza libera
I principi cardine di questo nuovo modo di distribuire il software
furono condensati nella prima licenza “libera” che prese il nome dal
progetto in seno a cui nacque: la GNU GPL (General Public License),
del 1989.
La licenza GNU GPL è applicabile al software e permette a
chiunque di utilizzarlo liberamente, di studiarlo per capirne il
funzionamento, di modificarlo e di distribuirlo pubblicamente. Le
condizioni imposte per poterne fare questo utilizzo sono mirate alla
60
perpetuazione del modello copyleft: nel distribuire una copia del
software o una sua modifica si ha l’obbligo di fornire il suo codice
sorgente, per permettere ad altri di modificarlo ulteriormente, e di
apporvi un chiaro riferimento alla GNU General Public License, senza
la cui applicazione non è possibile distribuire il software derivante.
La creazione di questa licenza particolare, che trova il suo
fondamento nel copyright statunitense, apportò al progetto di
creazione del sistema operativo GNU, e al software libero in generale,
una spinta considerevole, dato che i contributi aumentarono
notevolmente.
Contemporaneamente Stallman cominciò a produrre materiale di
matrice ideologica, in cui riassumeva i principi della filosofia seguita
dal progetto GNU e dalla Free Software Foundation, e a distribuirli.
Marcava la netta contrapposizione tra il software che ne derivava,
definito libero, e il software proprietario prodotto per ragioni
strettamente legate al guadagno e al marketing anziché allo sviluppo
tecnologico.
Nonostante la considerevole crescita del software libero e dei
contributi allo stesso, il progetto GNU era ancora molto lontano
dall’essere ultimato. Il problema maggiore era costituito dal fatto che
questo sistema operativo per poter funzionare doveva basarsi ancora
61
su una piattaforma di software proprietario, come lo era UNIX.
Mancava cioè un kernel del sistema operativo, il suo nucleo centrale,
la cui creazione era molto difficoltosa data la scarsa coordinazione del
progetto e la frammentazione dei suoi collaboratori.
2.1.5 Linux
Il 1991 fu l’anno della svolta: uno studente d’informatica
islandese, Linus Torvalds, progettò un kernel compatibile con il
sistema UNIX per di più utilizzando software messi a disposizione
liberamente dalla Free Software Foundation. Questo venne chiamato
Linux e dalla sua combinazione con il sistema GNU ancora
incompleto nacque il sistema operativo GNU/Linux, meglio noto
come Linux.
La nascita di questo sistema è molto importante da un punto di
vista sociologico: sfatava la credenza secondo cui un software
eccessivamente complicato, come un sistema operativo per l’appunto,
potesse essere sviluppato soltanto da pochi professionisti coordinati,
situazione tipica del software commerciale ma anche modo di operare
professato dalla Free Software Foundation.
62
L’ambiente in cui GNU/Linux era nato era diametralmente
opposto a questo, essendosi sviluppato in una comunità pullulante di
progetti, approcci e contributi diversi, una sorta di caos creativo.
Veniva sfruttato il decentramento che internet comportava
rilasciando spesso versioni del software aggiornato, che poteva essere
modificato da chiunque apportandovi il proprio personale contributo.
Linux dimostrò che il movimento per il software libero non era
così scoordinato e incapace di produrre risultati concreti, come si
riteneva, e che le cose potevano davvero cambiare. Questo fenomeno
prese sempre più piede in concomitanza con lo sviluppo della rete
internet. L’interesse verso di esso cominciò a crescere da parte della
stampa e anche degli imprenditori. I produttori di software
proprietario vedevano in pericolo i propri affari ma vedevano in
questo fenomeno anche una possibile fonte di guadagni. Infatti creare
software libero non era scevro da interessi commerciali. Il movimento
non rifiutava infatti a priori qualsiasi tipo di commercializzazione.
2.1.6 Il software libero nel mercato
Giunto il momento di affacciarsi sul mercato mondiale per
sfidare i grandi produttori di software proprietario, risultò difficile
convertire la teoria in pratica.
63
Principalmente il concetto di software “libero” non risultava
molto appetibile da parte dei dirigenti industriali che vedevano in
questo una perdita piuttosto che un ricavo. Ma Stallman non aveva
concepito la denominazione free software in questo senso; al contrario
in alcuni scritti mette in risalto come il progetto GNU non sia
contrario alla commercializzazione del software libero: il termine
“free” è da intendersi sia come libertà di far pagare una copia del
software quanto si vuole, anche non farla pagare affatto, sia
soprattutto come libertà totale di utilizzare il software, nel senso di
farne tutti gli utilizzi concessi dai suoi creatori.12
Questo accanimento semantico da parte di Stallman per
trasmettere il vero senso del free software e la sua ferrea integrità
morale nel farlo, sebbene l’imprenditoria lo percepisse comunque
come gratuito nonostante i suoi sforzi, portarono all’allontanamento di
alcuni suoi collaboratori dalla Free Software Foundation.
Uno in particolare, Eric Raymond, se ne dissocia e fonda un
nuovo termine per identificare il software libero in modo accattivante:
Open Source, da cui prese il nome l’organizzazione preposta al
12 Questo è quanto viene chiaramente detto in un articolo di Richard Stallman denominato:
“Vendere software libero”, FSF, 1996
64
coordinamento di vari progetti ad esso inerenti: la Open Source
Initiative, nata nel 1998.
La connotazione che Raymond e la comunità che gli si raccolse
attorno volevano dare al software libero, grazie a questa
denominazione, era quella di un software “aperto” nel senso di privo
di vincoli.
Al di là di questa scissione, attualmente il software libero o open
source raccoglie consensi sempre maggiori e ha dato nuova linfa vitale
al mercato del software. I sistemi con kernel Linux vengono molto
utilizzati ed apprezzati, da programmatori e imprese, per la possibilità
di avere un sistema flessibile e modificabile in base alle proprie
esigenze ed anche per l’abbassamento del prezzo dei computer e dei
dispositivi che l’adottano. Il software libero riesce a competere
egregiamente con quello proprietario al punto che grandi industrie del
software sviluppano oggi programmi compatibili col sistema
operativo GNU/Linux; questo perché anche gli utenti medi, con
nessuna nozione di programmazione, sono sempre più attratti dal
software libero e dal suo sistema di creazione e distribuzione.
L’effetto che ne è derivato è stato quello di un passaggio dei
principi di libertà e condivisione dal solo ambito software a quello
creativo in generale.
65
2.1.7 Tutela del software
La tutela giuridica del software si è evoluta di pari passo con
l’interesse dimostrato dal mercato verso questo nuovo settore e non è
stata certo esente da problemi, innanzitutto per la natura stessa del
software, difficilmente inquadrabile negli oggetti protetti dal diritto
d’autore o dal brevetto: alla fine degli anni ’70, in cui appunto il
software cominciava a prendere piede nel mercato, erano questi gli
unici strumenti legali per proteggere un’opera. Mentre il diritto
d’autore protegge non l’idea ma la sua estrinsecazione, il modo in cui
si concretizza, il brevetto protegge il contenuto dell’invenzione.
Ciononostante le due modalità di tutela si possano applicare
contemporaneamente garantendo una protezione più completa.
Il software però è un’opera atipica in quanto ha delle
caratteristiche che l’accomunano ad un’opera creativa e altre che la
fanno rientrare nell’ambito delle invenzioni industriali ma senza
soddisfare appieno i requisiti di nessuna delle due categorie.
Nel 1980 negli Stati Uniti venne compiuto l’importante passo di
decidere quale tipo di tutela applicare al software: la scelta ricadde sul
diritto d’autore. Venne così emanato l’atto legislativo detto Software
Copyright Act. Altri paesi avanzati tecnologicamente fecero
altrettanto, come la Germania e la Francia nel 1985.
66
Nel 1991 fu il turno dell’Italia che, sotto la direttiva europea
n.91/250/CEE, avente lo scopo appunto di armonizzare le norme
comunitarie sulla tutela del software, apportò alla legge sul diritto
d’autore 633/1941 l’aggiunta di articoli appositi, raggruppati in una
nuova sezione intitolata “Programmi per elaboratore”.13
Il software, sotto forma di codice sorgente, altro non è che un
testo, una lista di istruzioni tecniche scritte in un linguaggio
comprensibile dalle macchine e da altri programmatori che lo
conoscono; viene visto come un’opera letteraria in un certo senso.
Sono stati quindi considerati maggiormente i caratteri di creatività e
originalità del software piuttosto che la sua funzione.
2.2 La digitalizzazione
Negli ultimi dieci anni lo sviluppo tecnologico ha determinato un
fenomeno epocale che ha modificato radicalmente non solo la
fruizione delle opere dell’ingegno, ma le abitudini stesse della società.
Questo è la digitalizzazione, ossia il processo di conversione di
qualsiasi informazione legata alla nostra sfera sensoriale in un formato
digitale quindi interpretabile da un computer. Questo formato digitale
13 L.D.A. 633/1941, Capo IV, sezione VI, Artt 64 bis, ter e quater
67
è il linguaggio binario, formato da sequenze di 0 e 1, che costituisce la
“lingua” dei computer.
Il passaggio dall’analogico al digitale, reso possibile grazie
all’invenzione di strumenti tecnici come lo scanner e le fotocamere
digitali, ha permesso la trasformazione in dati delle opere dell’ingegno
con effetti più che soddisfacenti. I principali effetti che la
digitalizzazione ha comportato sono: la precisione con cui un’opera
può essere duplicata, in quanto le copie di un’opera sono
assolutamente identiche all’originale; la compattezza, e la relativa
facilità di stoccaggio delle opere: le opere trasformate in dati non
occupano più spazio fisico e sono facilmente trasportabili grazie a
piccoli supporti digitali come i CD rom; la malleabilità dei dati
digitali, che essendo stati separati dal loro supporto materiale, possono
essere facilmente modificati, aggiornati o assemblati da chiunque
disponga delle tecnologie per farlo.
Tali caratteristiche delle informazioni convertite in digitale hanno
reso possibile la gestione delle stesse in modo veloce e versatile
all’insegna della multimedialità e dell’interattività: si è cioè verificata
la convergenza e la fusione di più medium in uno stesso contesto
informativo ed è cresciuta la possibilità di interagire con i contenuti
digitalizzati da parte dei loro fruitori.
68
Al tempo stesso però la separazione dal supporto materiale delle
opere dell’ingegno, insieme alla diffusione della rete internet, ha reso
problematica la tutela del diritto d’autore.
La rete delle reti, come viene soprannominata, ha unito persone
agli antipodi eliminando le distanze e il tempo. La sua diffusione
sempre crescente ha fatto si che al giorno d’oggi la possibilità di
disporre qualsiasi tipo di informazione in tempo reale è una
condizione assolutamente naturale e per di più indispensabile per la
vita della maggior parte delle persone.
2.2.1 Il file sharing
La capacità di ottenere copie digitali, identiche all’originale, di
una qualsiasi opera, unita alla possibilità di inviare informazioni da un
capo all’altro del globo a costo quasi nullo, ha dato vita a pratiche
come il file sharing, la condivisione di file tra utenti connessi alla rete
grazie ad appositi programmi che rendono i computer connessi sia
mittenti che destinatari di contenuti digitali.
Tale attività di scambio di file ha annullato le tempistiche
standard necessarie per la pubblicazione di un’opera sul suo supporto
materiale. Se da una parte ha permesso agli autori di un’opera di
arrivare direttamente agli utenti finali della stessa ha anche vanificato
69
gli sforzi della tutela sulla proprietà intellettuale in quanto hanno
cominciato ad essere scambiate opere protette da diritto d’autore
“contraffatte”, intese come le copie dell’opera realizzate senza alcuna
autorizzazione da parte del detentore dei diritti sulla stessa.
Questo ha causato l’inasprimento delle leggi mirate alla tutela
delle opere dell’ingegno, sotto pressione dell’industria
dell’intrattenimento in special modo, che invece di modificarsi sotto
l’impulso delle nuove tecnologie si sono concentrate cocciutamente
sul legame ormai antiquato tra opera e supporto materiale.
Basti pensare al già citato “Mickey Mouse Protection Act”, del
1998, che ha allungato la durata della tutela sulle opere dell’ingegno
nel copyright statunitense di 20 anni rispetto alla normativa originaria.
Un altro esempio di questa repressione telematica è costituito
dall’adozione in Francia della cosiddetta legge Hadopi14
nel giugno
del 2009, voluta dal premier Sarkoxy, che si è imposto sul Parlamento
senza tenere in considerazione le opinioni contrastanti della Corte
Costituzionale Francese e del Parlamento europeo e che ha come
scopo la lotta alla pirateria. La legge Hadopi ha portato alla creazione
14 Legge n°2009-669, il cui testo è consultabile all’indirizzo
http://www.legifrance.gouv.fr/affichTexte.do?cidTexte=JORFTEXT000020735432&dateTexte=
70
di un’entità con lo stesso nome, avente il compito di controllare i file
scambiati in rete al fine di individuare la condivisione di contenuti
protetti da diritto d’autore. La legge prevede che gli utenti sorpresi per
tre volte a violare il copyright siano disconnessi dalla rete. L’adozione
dell’Hadopi ha fatto gridare allo scandalo, in quanto risulta in pericolo
la privacy dei cittadini francesi i cui computer e le cui navigazioni
vengono ora passate al setaccio dal Governo.
Un’altra questione spinosa è quella dell’ACTA, l’ Anti-
Counterfeiting Trade Agreement,15
un trattato esecutivo contro la
contraffazione stipulato da 40 Paesi di tutto il mondo i cui accordi
stanno facendo molto discutere i media: vengono tenuti segretamente
e da alcuni documenti trapelati e pubblicati in rete, configurano quello
che viene definito un accordo internazionale per la lotta alla pirateria
informatica come un vero e proprio tentativo di controllare la
navigazione degli utenti nella rete, di rafforzare il copyright, eliminare
il fair use e conferire sempre maggior potere agli editori, alle major
discografiche, agli imprenditori in generale impegnati nella
distribuzione di opere creative.
15 Il cui testo è disponibile: http://trade.ec.europa.eu/doclib/docs/2009/january/tradoc_142039.pdf
71
Per finire, in riferimento al nostro particolare contesto giuridico,
vi è il cosiddetto decreto “Bondi”, dal nome dell’attuale Ministro per i
Beni e le Attività Culturali che l’ha proposto, titolato “Determinazione
del compenso per la riproduzione privata di fotogrammi ai sensi
dell’art. 71 septies della legge 22 aprile 1941, n 633”, che attua il
decreto legislativo n.68 del 2003 in recepimento della direttiva
comunitaria 2001/29/CE.
Questo decreto, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.54 del 6
marzo 2010 riguarda l’equo compenso, disciplinato dall’articolo 71
septies della legge sul diritto d’autore 633/1941 che prevede una
quota a carico del consumatore per l’acquisto di dispositivi preposti
alla riproduzione di opere audiovisive protette dalla suddetta legge. Il
decreto prevede un aumento dei prezzi applicati a tutti quei dispositivi
provvisti di una memoria, dai CD Rom ai DVD, dalle chiavi USB ai
masterizzatori, dai computer ai cellulari specificati accuratamente in
un allegato tecnico.
Per legge, la copia privata di un’opera protetta da diritto d’autore
è possibile laddove non esistano misure che ne impediscano la
duplicazione. Le associazioni dei consumatori si sono pronunciate a
sfavore dell’attuazione di tale decreto, che a tutti gli effetti appare
come una vera e propria tassa, nonostante lo stesso Ministro Bondi e
72
la Società Italiana degli Autori ed Editori, la S.I.A.E., dal momento
della presentazione del decreto, abbiano a più riprese precisato che
non si tratta di una tassa ma di un compenso dovuto per legge a
soggetti privati. Tale decreto, secondo il presidente di Assinform,
l’associazione delle imprese di informatica, Paolo Angelucci,
penalizzerà fortemente l’industria italiana legata alla tecnologia ed
andrà sicuramente a scapito dei consumatori finali: è prevedibile
infatti che i produttori, ai quali è rivolto l’aumento dei prezzi citati dal
decreto, scaricheranno tale tassa sugli acquirenti, come è già avvenuto
per CD e DVD.
Per evitare che ciò avvenga il decreto prevede l’istituzione di un
tavolo tecnico composto, oltre che dai ministeri competenti anche
dalla S.I.A.E. e dalle associazioni di categoria e dei consumatori, a cui
sarà affidato il compito di verificare che ciò non avvenga.
La polemica tuttavia rimane, alimentata dal fatto che secondo
delle stime di Confindustria e Assinform, come spiegato da Guido
Scorza16
, avvocato e docente tra i massimi esperti di copyright e
nuove tecnologie, il ricavato della S.I.A.E. proveniente dall’equo
compenso passerà da 70.000.000 di euro a 300.000.000 euro nel 2010,
16 Fonte http://www.repubblica.it/tecnologia/2010/01/15/news/tassa_pc_telefonini-1953830/
73
il che fa pensare ad un diretto coinvolgimento della S.I.A.E.
nell’attuazione di tale decreto mirato alla tutela dei propri interessi
economici. Inoltre a livello concettuale resta comunque il dubbio sul
perché sia applicato questo sovrapprezzo ai suddetti dispositivi, in
qualche modo teso anche a tutelare gli interessi economici degli autori
minati dalla copia illegale di opere dell’ingegno, a prescindere
dell’effettivo utilizzo che ne verrà fatto degli stessi.
La gestione dei diritti sulle opere dell’ingegno, divenuta sempre
più ostica per l’autore e a tutto vantaggio degli imprenditori, ha
portato gli utenti della rete, creatori di contenuti multimediali, a
riconsiderare l’utilità di questi ultimi, trovando in internet un mezzo
alternativo perfetto attraverso cui poter distribuire la propria opera
privatamente, in tutto il mondo e a costo zero.
Alcuni hanno inneggiato all’abolizione del copyright e al rilascio
di qualsiasi opera nel pubblico dominio, all’insegna della libera
fruizione da parte di chiunque.
Altri, più assennati, hanno cominciato a riflettere su come
utilizzare gli strumenti del copyright stesso per gestire i diritti sulle
opere in modo alternativo e più vantaggioso per gli autori, nonché a
cercare il modo di sfruttare legalmente gli effetti della digitalizzazione
e i benefici offerti dalla rete.
74
Ciò che ne è risultato è stato l’estensione dell’applicazione del
modello copyleft anche ad opere non software.
Un primo esempio di licenza copyleft applicata ad un’opera non
software è costituita dalla GNU FDL, una licenza del progetto GNU
nata nel 2000, applicabile alla documentazione testuale relativa al
software e alla didattica.
Seguirono poi le licenze Art Libre, francese, e le Creative
Commons di Lawrence Lessig, docente di legge dell’università di
Stanford, in California nonché uno dei maggiori esponenti della
cultura open, grazie alle quali il modello copyleft poté essere applicato
a svariate tipologie di opere, letterarie, musicali, visive e quant’altro.
Grazie all’adozione di queste licenze sono nati diversi progetti
volti alla liberazione della cultura e all’utilizzo di internet come utile
strumento di condivisione e collaborazione, il più importante dei quali
è sicuramente l’enciclopedia online gratuita e multilingue, su base
collaborativa, più grande del mondo: Wikipedia.
2.3 Il senso del copyleft
Il copyleft è un modello alternativo di gestione dei diritti d’autore
che si applica secondo un’ottica non esclusiva e riporta in mano
all’autore tutti i diritti derivanti dalla creazione di un’opera. Questo è
75
possibile grazie all’applicazione di contratti-licenza alle opere, in cui
vengono specificati gli impieghi che l’autore consente delle stesse
come la modifica, la distribuzione e perfino la commercializzazione.
Gli effetti che derivano dall’utilizzo di tale modello sono: la
disintermediazione, ossia il cadere della necessità di rivolgersi ad un
soggetto imprenditoriale, da parte dell’autore, per distribuire e
commercializzare la propria opera; il riequilibrio, ossia la
ridefinizione dei contratti stipulati tra autore e soggetto
imprenditoriale, di norma a vantaggio di quest’ultimo, all’insegna di
maggiori prerogative per l’autore e di maggiori libertà per l’utente
finale dell’opera; l’elasticità e la differenziazione del regime giuridico
applicato all’opera che diventa dinamico e può essere adattato in base
al tipo di opera e agli utilizzi concessi della stessa; la sostenibilità
economica, ancora non pienamente intesa dall’imprenditoria, ma che è
possibile da realizzare, come mostra il successo anche economico del
software libero.17
Il copyleft quindi tenta di riportare il diritto d’autore alla sua
funzione classica di incentivo alla produzione culturale tramite la
17 Classificazione proposta da Simone Aliprandi, Capire il Copyright, percorso guidato nel diritto
d’autore, PrimaOra, 2007
76
protezione del lavoro creativo dell’autore. Non si pone in polemica
con l’imprenditoria di contenuti culturali e dell’intrattenimento, che
essendo finalizzata al guadagno utilizza gli strumenti giuridici per
tutelarsi, ma rivendica un’altrettanto adeguata tutela del lavoro dei
creativi e degli artisti.
2.3.1 Legittimazione delle licenze copyleft
La genialità, il punto di forza di coloro i quali, come Stallman e
Lessig, hanno voluto portare avanti questo cambiamento, è stato
quello di non opporsi al modello tradizionale di gestione dei diritti
d’autore, di non voler andare contro il copyright ritenuto eccessivo e
controproducente per gli artisti, ma di sfruttarlo a vantaggio di questi
ultimi così che né i governi nazionali, né i colossi imprenditoriali,
potessero opporvisi, quantomeno apertamente.
Le licenze copyleft rispettano la legge perché su di esse si
fondano e sono efficaci perché sfruttano gli effetti positivi della
digitalizzazione.
Nel caso statunitense il tipo contrattuale della licenza, un atto
unilaterale con cui un soggetto autorizza determinati comportamenti,
si è sviluppato alla fine degli anni ’70 in seguito alla
commercializzazione sempre più massiccia di PC e software. Questo
77
particolare regime giuridico prende il nome di Mass market licenses of
copyright material, che permette la commercializzazione di massa di
materiale protetto da copyright. Rientrano in questa categoria le
shrink-wrap licenses, licenze a strappo, la cui accettazione da parte
dell’acquirente del prodotto avviene attraverso la rottura della
confezione del supporto materiale con i contenuti protetti, ad esempio
la pellicola di un CD; le click wrap licenses, tipica del software, in cui
l’accettazione dell’utente avviene attraverso un clic col mouse su una
determinata icona e le browse wrap licenses, diffuse su internet, la cui
accettazione avviene in maniera implicita mettendo a disposizione
dell’utente le condizioni contrattuali da parte del licenziante.
Nel caso italiano l’applicazione di questo regime giuridico ha
generato alcuni problemi di natura puramente semantica. La “licenza”
infatti rientra nell’ambito del diritto amministrativo in quanto consiste
nell’autorizzazione ad esercitare alcune attività nel rispetto della
legge. Ma il copyleft non ha nulla a che vedere con il diritto
amministrativo in quanto attiene al diritto privato. Il problema
scaturisce dalla traduzione letterale del termine inglese license, licenza
per l’appunto.
È il contratto lo strumento giuridico utilizzato nell’ordinamento
italiano per la trasmissione dei diritti su un’opera, un “accordo di due
78
o più parti per costituire, regolare o estinguere un rapporto giuridico
patrimoniale”.18
I contratti previsti sono quello d’edizione,
regolamentato all’articolo 118 e seguenti, e il contratto di
rappresentazione e di esecuzione, presente all’articolo 136 e seguenti,
della L.D.A 633/1941.
Le norme che disciplinano la stipulazione di contratti si trovano
nel Codice Civile, al Titolo II del Libro IV, denominato: Dei contratti
in generale (artt da 1321 a 1421).
Più precisamente sono i contratti per adesione quelli utilizzati,
cioè quei contratti in cui una parte, il licenziante, specifica in che
modo viene gestito il rapporto giuridico tra le parti e l’altra, il
licenziatario, può solo accettare o rifiutare totalmente le condizioni
imposte.
Si tratta comunque di un contratto bilaterale, un atto giuridico
fonte di obbligazione contrattuale, determinato dall’incontro di
almeno due parti, il licenziante e il licenziatario che esprime
l’accettazione dei termini del contratto attraverso un comportamento
ritenuto inequivocabile.
18 cfr. art. 1321 cod. civ.
79
Per il principio dell’autonomia contrattuale, sancita dall’articolo
1322 del Codice Civile, le parti possono realizzare il proprio personale
contratto pur nel rispetto della legge italiana. Questo assunto rende le
licenze copyleft assolutamente valide dal punto di vista legale.
Problemi possono nascere per quanto riguarda la giurisdizione
delle licenze a causa delle differenze tra sistemi giuridici
internazionali. Nel caso in cui il rapporto giuridico tra autore e fruitore
dell’opera a cui è applicata una licenza copyleft si esaurisce in un
unico contesto nazionale il problema non sussiste. Controversie legali
possono nascere nel caso opposto, eventualità più che comune data la
diffusione globale della rete internet. In questi casi bisogna tener
presente i principi di diritto internazionale privato dettati dalla
Convenzione di Roma stipulata nel 1980, che riguarda la legge
applicabile alle obbligazioni contrattuali, (80/934/CEE).
Questa prevede che il contratto venga regolato dalla legge
stabilita dalle parti; se non viene scelta delle parti il contratto viene
“regolato dalla legge del paese con cui presenta il collegamento più
stretto.”19
19 Art 4 della Convenzione sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, 80/934/CEE
80
Per ovviare al problema le licenze Creative Commons, ad
esempio, hanno effettuato il porting delle licenze: grazie alla
creazione di organizzazioni nazionali coordinate dalla sede centrale di
San Francisco, le licenze hanno subito un processo di
internazionalizzazione. Tale processo non si è esaurito in una semplice
traduzione delle licenze ma in un adattamento delle stesse alle leggi
sul diritto d’autore dei vari Stati in cui sono state create.
In questo modo pur mantenendo inalterati i principi e le loro
finalità, le licenze si sono adattate agli specifici assetti nazionali per
legittimarsi e garantire una tutela internazionale dei diritti legati alle
opere.
2.3.2 La S.I.A.E. contro il copyleft
In Italia l’applicazione delle licenze copyleft incontra non pochi
problemi per via dell’esistenza degli articoli della legge sul diritto
d’autore, enunciati nel primo capitolo, che assegnano ad un ente
particolare la gestione collettiva dei diritti di utilizzazione economica
delle opere creative: la S.I.A.E. La questione è spinosa in quanto per
legge la Siae opera in un’ottica esclusiva: l’adesione all’ente vieta
all’autore di rilasciare opere secondo altre modalità che non passino
attraverso l’ente stesso. Gli autori italiani quindi si trovano di fronte a
81
un dilemma: usufruire dei servizi di tutela offerti dalla Siae e quindi
sfruttare la sua capacità di gestire i diritti dell’autore oppure optare per
il rilascio delle proprie opere secondo un regime di copyleft avendo
così pieno potere decisionale sulla gestione dei diritti legati alla
creazione delle stesse. Questa seconda scelta possibile non è esente da
fattori negativi in quanto attualmente in Italia la Siae è l’unico
organismo ad avere i mezzi per garantire alcuni servizi legati alla
distribuzione e allo sfruttamento economico delle opere, il che di fatto
gli conferisce una posizione di monopolio assoluto nella gestione dei
diritti sulle stesse.
Altra questione di attrito è la funzione di controllo conferita alla
Siae dalla legge 248/2000, la cosiddetta legge del bollino per via dei
contrassegni rilasciati dalla Siae che devono essere apposti
obbligatoriamente sui supporti materiali che contengono alcune
tipologie di opere distribuite a “fine di lucro”. Tale obbligo, previsto
dalla legge per contrastare la pirateria e la contraffazione di opere
creative, non tiene in considerazione le opere rilasciate sotto un altro
tipo di regime giuridico come lo sono quelle con licenza copyleft. Ed
è evidente come l’applicazione indistinta di tale bollino anche ad
opere rilasciate per esplicita volontà dell’autore in un regime giuridico
più libero, sia poco coerente con i principi stessi del copyleft.
82
Capitolo 3
Licenze copyleft
Il modello di gestione del diritto d’autore copyleft può essere
applicato a diverse tipologie di opere e in diverse modalità a seconda
degli usi che si intende permettere agli utenti finali. Trattandosi di
contratti liberamente stipulabili tra liberi cittadini, qualunque autore di
un’opera è in teoria libero di scrivere il proprio contratto, o licenza,
pur nel rispetto della legge del proprio Stato. Ovviamente non tutti
posseggono le conoscenze giuridiche necessarie per farlo, quindi allo
scopo di rendere più agevole il rilascio di opere sotto il modello
copyleft, sono state create delle licenze standard da alcune
associazioni e progetti sensibili alla “crociata” della liberazione e della
diffusione della cultura. Ecco di seguito elencate le licenze libere più
importanti e conosciute.
3.1 Licenze GNU
Le licenze GNU sono state le prime a mettere
in atto la filosofia copyleft. È grazie ad esse se il
progetto GNU è potuto andare avanti e si è giunti
alla creazione del sistema operativo GNU/Linux e
di una quantità impressionante di software libero. Le più importanti
83
sono la GNU GPL, riservata all’ambito software, e la GNU FDL,
dedicata alla documentazione e al materiale didattico.
3.1.1 GNU GPL (General Public License)
La GNU GPL, acronimo di General Public License, è una
licenza per software libero la cui prima versione è stata scritta da
Richard Stallman e Eben Moglen, con la consulenza di alcuni hacker e
giuristi statunitensi, nel 1989.
È la prima licenza copyleft resa pubblica nonché la più utilizzata
in assoluto: basti pensare che tutte le diverse distribuzioni del sistema
operativo GNU/Linux, di cui più di trecento attive, e i più importanti
software liberi la utilizzano.
È la cristallizzazione del concetto di copyleft così come pensato
dai suoi ideatori Stallman e Moglen; infatti al semplice testo di tipo
tecnico-giuridico è stata data una connotazione ideologica che facesse
trasparire gli intenti del progetto GNU.
Nel tempo si sono susseguite diverse versioni di questa licenza,
la più recente delle quali è la terza e risale al 29 giugno 2007.
Affinché il senso e la funzione della licenza rimanessero
inalterati, la Free Software Foundation si è riservata tutti i diritti sul
testo della stessa attraverso l’utilizzo del copyright: in questo modo è
84
divenuta l’unico soggetto giuridico a poter apportare modifiche alla
licenza o a rilasciarne nuove versioni.
La licenza GNU GPL garantisce delle libertà agli utilizzatori del
software cui viene applicata: la libertà di usare il programma per
qualsiasi scopo, la libertà di studiarne il funzionamento grazie al
codice sorgente allegato, di modificare il software per renderlo più
adatto alle proprie esigenze e migliorarlo e la libertà di ridistribuire
copie del software originale o di quello modificato sia gratuitamente
che a pagamento.
Queste libertà sono concesse ai licenziatari purché alle copie
ridistribuite venga apposta la stessa licenza GNU GPL del software
originale; nel caso in cui questa venga tradotta deve essere
accompagnata dalla GNU General Public License originale, deve
essere specificata l’assenza di garanzia e le copie devono essere
ridistribuite insieme al codice sorgente completo o all’offerta scritta,
valida come minimo per tre anni, in cui viene fatta la dichiarazione di
fornire, a chi ne faccia richiesta, il codice sorgente completo in una
forma leggibile dai computer.
85
La licenza GPL viene definita come "persistente" e
"propagativa"20
: è persistente perché la ridistribuzione di una copia del
software, cui viene applicata, può essere effettuata soltanto
conservando la stessa licenza dell’originale allo scopo di mantenere
libero il programma, la qual cosa è poi il fondamento della logica
copyleft; è propagativa perché nel suo testo viene fatta una precisa
interpretazione di codice derivato: nel caso in cui un programma con
licenza GNU GPL si unisca ad un altro coperto da altra licenza, il
software che ne deriva può essere distribuito esclusivamente sotto
licenza GNU GPL o non essere distribuito affatto.
Questa particolarità della licenza è definita strong copyleft dalla
Free Software Foundation e permette alla licenza di non indebolirsi
nel tempo a causa delle varie ridistribuzioni del programma
modificato e di mantenere libero il software.
La base giuridica che permette tali condizioni sta nel fatto che,
essendo il software coperto dalla legge sul copyright, o sul diritto
d’autore nei Paesi non del common law, il fruitore dello stesso non ha
alcun diritto di modifica, copia o distribuzione se non quelli concessi
dal suo creatore grazie all’applicazione della licenza GNU GPL.
20 http://it.wikipedia.org/wiki/GNU_General_Public_License
86
3.1.2 GNU FDL (Free Documentation License)
Nel 2000 alla GNU GPL, riservata all’ambito software, si è
affiancata la GNU FDL, acronimo di Free Documentation License,
per la documentazione relativa al software e al materiale didattico.
Anche la GNU FDL è stata creata dalla Free Software
Foundation come contributo al progetto GNU. Ha le stesse
caratteristiche della GNU GPL ma si può applicare al materiale
relativo allo sviluppo di software come istruzioni, presentazioni e
manuali. Richard Stallman in un saggio ha detto: “il software libero
ha bisogno di documentazione libera”21
; in effetti sarebbe un
controsenso distribuire un programma, che necessita di un manuale
per l’utilizzo, distribuito in un regime diverso che ne impedirebbe la
modifica e la libera distribuzione.
Inizialmente, prima della nascita di questa licenza, veniva
utilizzata la GNU GPL anche per la documentazione, il che era
tecnicamente fattibile. Ma essa era pensata appositamente per l’ambito
software e perciò connotata di concetti e definizioni puramente
informatiche. Si sentì quindi la necessità di creare una licenza apposita
21 Stallman R., Software libero Pensiero libero Volume primo, Stampa Alternativa, 2003
87
per le opere testuali. Nacque così la GNU FDL la quale è una delle
licenze più utilizzate al mondo, insieme alle Creative Commons, per
quanto riguarda le opere letterarie. Infatti tutta la documentazione
inerente il progetto GNU, il software libero e l’enciclopedia virtuale
Wikipedia, fino a poco tempo fa, hanno fatto utilizzo di questa
licenza.
La licenza GNU per le opere letterarie ricalca la GPL per uso
software ma con interessanti modifiche, ad esempio la possibilità di
inserire all’interno dell’opera sezioni non modificabili da parte dei
fruitori della stessa. Questo espediente è stato pensato per inserire nei
documenti del progetto GNU sezioni di tipo non tecnico ma di stampo
ideologico affinché il senso di queste rimanesse inalterato.
Come la GNU GPL è persistente, quindi le ridistribuzioni delle
opere letterarie rilasciate sotto questa licenza, se modificate, devono
essere rilasciate a loro volta con la medesima licenza FDL. Altra
particolarità è la possibilità dichiarata da questa licenza di sfruttare
commercialmente l’opera. Non esiste cioè una clausola “non
commercial”, come nella licenza GNU GPL, che ne impedisca questo
utilizzo.
88
3.2 Creative Commons
Creative Commons è il
progetto nato nel 2001, portato
avanti da Lawrence Lessig con l’aiuto di alcuni giuristi californiani,
come James Boyle, e importanti personalità del MIT, come Hal
Abelson, avente lo scopo di utilizzare il modello di gestione dei diritti
d’autore, precedentemente sperimentato nell’ambito del software
libero, anche per le opere artistiche ed espressive in generale.
Lawrence Lessig, docente di legge dell’università di Stanford, in
California, è uno dei maggiori esponenti della cultura opencontent ed
è un fervido sostenitore di alcuni dei più importanti progetti di
condivisione e promozione della cultura tra cui lo stesso Progetto
GNU.22
Per portare avanti il progetto di promuovere e condividere opere
dei più svariati generi per un utilizzo pubblico e il ricorso ad opere
dell’ingegno di altri autori per un utilizzo creativo, pur nel rispetto
della proprietà intellettuale, pratica resa molto ostica dalle sempre
maggiori restrizioni imposte dal copyright, è stata fondata
22 Maggiori informazioni biografiche su http://www.lessig.org
89
l’organizzazione non-profit da cui le licenze prendono il nome: la
Creative Commons, una corporation con sede legale a San Francisco.
Questo ente è il titolare dei diritti di marchio, del dominio
internet del sito dell’associazione e di tutto il copyright relativo al
materiale ivi pubblicato, tra cui le stesse licenze.
Ad esso fanno riferimento le varie Affiliate Institutions,
impegnate nell’internazionalizzazione delle licenze Creative
Commons (CC), progetti denominati iCommons (International
Commons). Vi sono attualmente 26 progetti nazionali completi e 13 in
via di completamento. Questo ordine gerarchico è indispensabile per
effettuare una corretta internazionalizzazione delle licenze, processo
denominato porting.
3.2.1 Localizzazione delle licenze: il porting
Una delle peculiarità delle licenze Creative Commons è quella di
non essere semplicemente tradotte in varie lingue, ma di essere
adattate ai diversi ordinamenti giuridici dei Paesi in cui sono stati
portati avanti i progetti di internazionalizzazione delle stesse dalle
Affiliate Institutions.
In alcune licenze, come ad esempio la GNU GPL, pur essendovi
varie traduzioni delle stesse, una clausola avvisa l’eventuale
90
interprete, in caso di controversie legali ad esempio, di far riferimento
al testo in lingua originale, l’unico ad essere ritenuto ufficiale.
Altre licenze, come la francese Art Libre, fanno riferimento a
precise leggi nazionali applicabili, non preoccupandosi del problema
dell’interpretazione.
Le licenze Creative Commons hanno ovviato ad entrambi i
problemi effettuando una “localizzazione”23
delle stesse, affidata alle
varie Affiliate Institutions coordinate dall’ente centrale degli Stati
Uniti. Le licenze che ne sono derivate non sono quindi una semplice
traduzione di quelle originali ma documenti ontologicamente
indipendenti che si legittimano in base alle normative sul diritto
d’autore dei vari Stati in cui sono state create.
Nel caso italiano i giuristi hanno cercato di rimanere quanto più
fedeli al testo statunitense, modificandolo solo dove strettamente
indispensabile, per venire incontro alla specifica normativa nazionale
sul diritto d’autore e al tempo stesso mantenere invariato il senso e gli
effetti delle licenze originali. Questo compito è stato condotto tra il
23 Come esposto da Simone Aliprandi in, Teoria e pratica del copyleft- guida all'uso delle licenze
opencontent, NDA Press, 2006
91
2003 e il 2004 da un gruppo di giuristi di diritto industriale e
internazionale di Torino, con a capo il professor Marco Ricolfi.
3.2.2 Tre forme per una licenza
Un’altra particolarità delle licenze Creative Commons è quella di
essere confezionate in tre forme diverse ma che coincidono
sostanzialmente nel contenuto: vi è il Legal Code, il codice legale, che
è il testo vero e proprio della licenza, rilevante a livello giuridico, in
cui si disciplina l’utilizzo e la distribuzione dell’opera.
Facendo riferimento all’esperienza delle licenze GNU ci si è
accorti che questo testo è incomprensibile all’utente medio il quale,
per mancanza di voglia o di conoscenze giuridiche adeguate, non
legge o comprende quanto viene esposto dalla licenza.
Il team della Creative Commons ha quindi pensato di allegare
alla licenza vera e propria, il Legal Code, un riassunto della stessa,
espresso in un linguaggio accessibile a chiunque, denominato
Commons Deed, un atto per le persone comuni.
Il Commons Deed non è una licenza né ha valore legale, ma è un
riferimento per capire il testo del Codice Legale le cui condizioni
possono essere così comprese chiaramente da chiunque utilizzi la
licenza in questione. Per facilitare maggiormente la comprensione del
92
Legal Code sono stati ideati anche dei loghi, dei visuals, una
rappresentazione grafica delle clausole espresse dalla licenza.
La terza forma delle licenze Creative Commons è il Digital
Code, il codice digitale, dei metadati che vengono applicati al
documento cui la licenza si riferisce, in modo criptato, che rendono la
licenza e l’opera digitalizzata, cui è allegata, rintracciabile dai motori
di ricerca.
È possibile così cercare ed individuare facilmente sulla rete opere
protette da licenze Creative Commons con la possibilità di specificare
persino le clausole che ne determinano gli utilizzi concessi.
3.2.3 Le licenze Creative Commons
Creative Commons ha voluto rendere le sue licenze versatili per
rispondere alle diverse necessità degli autori. Per fare ciò i giuristi che
ne hanno stilato il testo hanno approntato una base standard su cui si
innestano le varie clausole scelte dagli autori stessi.
Le variabili-clausole da scegliere sono, come già accennato,
messe in risalto da simboli grafici, i cosiddetti visuals, e determinano
gli utilizzi consentiti dell’opera da parte degli utenti finali:
- Attribuzione: è una clausola imposta di default, in quanto
assicura pieno riconoscimento all’autore originario dell’opera
93
nei successivi utilizzi, modifiche e ridistribuzioni, ove possibile, della
stessa.
- Non commerciale: questa clausola impedisce usi
commerciali dell’opera. Nelle licenze nazionali il simbolo
varia: in questo caso, quello italiano, vi è il simbolo dell’Euro, mentre
in quelle originali vi è il simbolo del Dollaro.
- Non opere derivate: questa clausola vieta la modifica
dell’opera originale e quindi le opere derivate.
- Condividi allo stesso modo: è la clausola che ha permesso lo
sviluppo del progetto GNU; chiunque utilizzi un’opera con
licenza Creative Commons in cui sia specificata questa clausola, deve
necessariamente ridistribuirla secondo le stesse modalità, il che
garantisce la prosecuzione della licenza.
Le combinazioni possibili di queste clausole generano le seguenti
sei licenze, presentate in base al grado crescente di restrizioni imposte:
Attribuzione: concede all’utente il diritto di riprodurre,
distribuire, comunicare al pubblico, esporre in pubblico,
rappresentare, eseguire, recitare e modificare l'opera purché venga
attribuita la paternità della stessa al suo autore. Questa clausola è
standard, compare in tutte le licenze.
94
Attribuzione – condividi allo stesso modo: oltre a citare l’autore,
il fruitore dell’opera è obbligato, nel caso in cui voglia ridistribuirla o
ridistribuirne una copia modificata, a farlo utilizzando la stessa licenza
dell’originale o una equivalente. Questo garantisce la persistenza della
licenza, uno dei punti cardine del modello copyleft.
Attribuzione – non opere derivate: la clausola aggiunta
impedisce di modificare l’opera o di usarla per crearne un’altra.
Attribuzione – non commerciale: è vietato l’utilizzo dell’opera
per scopi commerciali.
Attribuzione – non commerciale – condividi allo stesso modo:
non si possono fare utilizzi commerciali dell’opera che può però
essere modificata e deve essere condivisa con la stessa licenza o una
equivalente.
Attribuzione – non commerciale – non opere derivate: non è
possibile modificare l’opera o utilizzarla per crearne un’altra né
ridistribuirla per scopi commerciali.
Un importante appunto da fare è che non sono le licenze a
proteggere l’opera cui vengono applicate, ma le norme sul diritto
d’autore dello Stato alle quali si riferiscono. Le licenze ne specificano
solo i possibili utilizzi sulla base dei diritti, espressi sempre dalle leggi
nazionali, di cui dispone l’autore sulla propria opera.
95
3.2.4 Senso della clausola “Non commerciale”
La clausola “Non commerciale” che si può applicare alle licenze
Creative Commons ha generato diversi equivoci riguardo la sua
interpretazione. È importante chiarire il suo significato in quanto
contribuisce a rendere le licenze copyleft appetibili anche dal mondo
dell’industria, il quale non riesce ancora a vedere possibilità
commerciali nel loro utilizzo. Questa clausola non indica che l’opera
non potrà mai essere utilizzata per perseguire scopi commerciali.
Ciò che vuole puntualizzare è che l’autore dell’opera cui viene
applicata la licenza, pur concedendo alcuni diritti su di essa, si riserva
il diritto esclusivo di sfruttarla per ottenere un vantaggio commerciale
o un compenso monetario. Indica nell’autore l’unico soggetto che può
esercitare questo diritto il quale può cederlo a terzi, ad esempio ad un
imprenditore, un editore, un produttore discografico, attraverso la
stipulazione di un contratto.
Sebbene questa clausola non vada a genio ai puristi della cultura
open, è incredibilmente utile in quanto permette di ripristinare la
funzione di stimolo per la creatività del diritto d’autore: permette sia
di ottenere un giusto guadagno per le spese effettuate nella creazione
di un’opera e come riconoscimento del merito all’autore e in più
96
permette all’opera di acquistare visibilità in un contesto non
commerciale, una sorta di pubblicità gratuita.
3.2.5 Le licenze Sampling
Oltre alle licenze finora descritte, applicabili a qualsiasi opera
dell’ingegno, sono state sviluppate delle licenze specifiche per
l’ambito musicale, in particolare per il fenomeno del sampling, ossia il
campionamento che consiste nell’utilizzazione di parti di un brano
musicale per la creazione di una nuova opera, tipico della musica
elettronica.
Le licenze di questa tipologia sono tre:
Sampling: permette l’utilizzo di parti dell’opera musicale
originaria per qualsiasi scopo all’infuori di quello pubblicitario purché
non venga utilizzato il brano interamente.
Sampling Plus: è uguale alla licenza precedente con la differenza
che permette la copia e la distribuzione dell’opera completa, non solo
di parti della stessa.
Sampling Plus non commerciale: uguale alla precedente ma vieta
l’utilizzo commerciale dell’opera.
97
3.2.6 Ulteriori iniziative della fondazione
La Creative Commons, oltre ad aver dato vita alle licenze sin qui
elencate, porta avanti vari progetti di libera condivisione delle opere
dell’ingegno finalizzati alla diffusione del sapere umano e del modello
copyleft.
Uno di questi è la possibilità di rilasciare la propria opera
direttamente nel pubblico dominio, senza dover attendere i 70 anni
dalla morte dell’autore previsti dal copyright statunitense. Questa
pratica, chiamata Public Domain Certification, si concretizza
attraverso il rilascio di una semplice dichiarazione da parte dell’autore
in cui afferma di cedere la propria opera al pubblico dominio.
All’opera viene quindi apposta la dicitura “no rights reserved”, cioè
nessun diritto riservato, che evidenzia questa scelta. Tale pratica è
attualmente valida solo negli Stati Uniti.
Un altro progetto interessante è quello del Founders’ copyright,
il copyright dei padri fondatori. La prima legge sul diritto d’autore
statunitense, del 1790, prevedeva il monopolio dell’autore sui diritti
della sua opera per 14 anni, rinnovabili una sola volta per altri 14 anni.
Alla scadenza di tale monopolio l’opera rientrava nel pubblico
dominio. Grazie a questa iniziativa della Creative Commons, un
autore che non voglia beneficiare del monopolio sulla sua opera per i
98
tempi esagerati previsti dalle attuali leggi sul diritto d’autore, può
ottenere un copyright meno lungo.
Per fare ciò l’autore, al prezzo simbolico di un dollaro, cede i
diritti sulla propria opera all’organizzazione Creative Commons la
quale concede all’autore una licenza che ne garantisce l’utilizzo
esclusivo per 14 anni, più altri 14 se richiesto.
3.2.7 Science Commons
Le iniziative e i progetti messi in atto da parte della Creative
Commons sono in continuo aumento. Uno degno di menzione speciale
è sicuramente il progetto Science Commons: partito nel 2005, è un
progetto il cui scopo è quello di sostenere l'innovazione scientifica,
facilitando agli studiosi, alle università e alle industrie, l'accesso alla
documentazione e ai dati di proprietà intellettuale all’insegna della
condivisione del sapere scientifico e dei dati sperimentali.
Per fare ciò promuove strumenti giuridici e tecnici che eliminino
le barriere che impediscono la condivisione avvalendosi delle leggi sul
copyright.
La scienza per progredire ha bisogno di dati e grazie al progresso
tecnologico la possibilità di archiviarli è cresciuta notevolmente grazie
all’utilizzo di database elettronici. Questi possono essere collegati in
99
rete, il che rende facilmente accessibili a chi ne faccia richiesta i dati
in essi contenuti.
La condivisione di dati scientifici è stata da sempre sostenuta
negli U.S.A. da politiche e pratiche adottate per lo più inconsciamente.
Il copyright statunitense prevedeva la tutela non di un'idea, di un
"mero fatto", ma del modo in cui essa si esplicava, si concretizzava. Il
prodotto commerciale derivante poteva essere tutelato, ma i dati
utilizzati per arrivare a tale risultato no, quindi erano disponibili a
chiunque ne facesse richiesta.
Inoltre la legge degli Stati Uniti imponeva che le opere, la cui
ricerca era sostenuta dal governo federale, ricadessero nel pubblico
dominio subito, nel momento in cui venivano create, all'insegna
appunto della condivisione nel mondo accademico e scientifico dei
dati ad essa relativi ad un prezzo di costo o sottocosto. Questa prassi
era dettata dall'idea che l'offerta di tale bene avrebbe portato
considerevoli vantaggi economici al Paese.
Infine in ambito accademico la tradizione sociologica condivisa
della scienza aperta, richiedeva che la pubblicazione di un'invenzione
venisse accompagnata dai dati su cui essa si basava, per scoraggiare lo
sfruttamento proprietario degli stessi e per favorire lo sviluppo di
altre possibili invenzioni.
100
Tali assunti esistono da prima della Rivoluzione Industriale e con
le moderne tecnologie, in particolare lo sviluppo della rete internet e
del suo utilizzo nella condivisione di informazioni, si sono evoluti.
Contemporaneamente però si è evoluta anche la normativa sul diritto
d'autore in una direzione diametralmente opposta che ha man mano
sfavorito e addirittura reso difficile la condivisione delle scoperte
scientifiche. Ciò è accaduto perché con l’avvento delle nuove
tecnologie, in particolare del World Wide Web, ci si è preoccupati più
di portare l’ordine nel “caos” della rete attraverso la messa a punto di
leggi più restrittive.
È nato quindi un movimento da parte di un’ampia comunità di
studiosi volto a garantire il libero accesso alle informazioni
scientifiche: l’Open Access. Questo movimento mette in risalto la
situazione paradossale in cui ristagna la ricerca scientifica: la
possibilità raggiunta finalmente di disporre di dati sempre aggiornati e
provenienti da una moltitudine di centri di ricerca grazie ad internet e
ai database, e la difficoltà nel farlo per le leggi restrittive che ne
tutelano i contenuti.
Complicate controversie giuridiche hanno portato l’Europa, e
stanno portando anche gli Stati Uniti, ad assicurare un diritto sui
database, quindi implicitamente sui dati in essi contenuti, il che muta
101
nel caso statunitense uno degli assunti fondamentali del diritto
d’autore: i dati o i fatti non possono essere posseduti, solo le
invenzioni o le loro concretizzazioni materiali. Tale processo è ancor
di più spinto dagli utilizzi commerciali che vengono fatti dei dati
scientifici, il che ha portato i grandi gruppi farmaceutici, ad esempio, a
tutelarsi facendo pressioni sul sistema politico per l’ottenimento di
una maggior tutela dei propri database. Tutto questo ha reso difficile e
anche costoso il reperimento dei dati scoraggiando la ricerca
scientifica.
I National Institutes of Health24
degli Stati Uniti hanno proposto,
per le ricerche da loro finanziate, l’obbligo di rilasciarle secondo la
logica dell’Open Access, che le renda di pubblico dominio dopo sei
mesi dalla loro pubblicazione. Molte riviste scientifiche hanno
permesso agli autori la pubblicazione privata dei loro articoli con la
stessa logica.
I problemi non sono tuttavia risolti; è difficile per un ricercatore,
riservarsi alcuni diritti sulle proprie scoperte pur garantendone il
libero accesso a tutti.
24 Per maggiori informazioni: http://www.nih.gov/
102
Qui entra in gioco il progetto Science Commons.25
La Creative
Commons, da sempre promotrice della libera circolazione e fruizione
della cultura, si è interessata anche all’ambito della ricerca scientifica
e si è messa in moto non per abbattere tutte le barriere che la legge ha
creato, alcune delle quali sono necessarie se usate con criterio, ma per
semplificare la condivisione dei dati nella comunità scientifica
internazionale aggirandone alcune.
Per perseguire questo scopo, il progetto Science Commons ha
creato una piattaforma su cui condividere i dati facilmente, i quali
vengono indicizzati grazie all’applicazione di metadati che ne
facilitano il reperimento attraverso i motori di ricerca, per permettere
la collaborazione tra diversi enti di ricerca.
Uno degli ambiti di ricerca che hanno abbracciato questo
progetto è quello delle neuroscienze, che ha portato alla creazione di
un vero e proprio progetto subordinato denominato Neurocommons.
Tuttavia esso è solo il più grande ma non l’unico, e la comunità
scientifica sta dimostrando un coinvolgimento sempre maggiore
nell’ennesimo ed ambizioso progetto patrocinato dalla Creative
Commons.
25 Per maggiori informazioni: http://sciencecommons.org/
103
3.3 Art Libre
L’ Art Libre, detta anche Free Art License, è una licenza copyleft
francese specifica per le opere artistiche.26
È la prima licenza libera
europea ad applicare il modello di gestione dei diritti d’autore adottato
fino a quel momento solo in ambito software dal progetto GNU.
Questa licenza è nata nel luglio 2000 in seno al progetto Copyleft
Attitude grazie in particolar modo al contributo dei giuristi Mélanie
Clément-Fontaine, David Geraud, e degli artisti Isabelle Vodjdani e
Antoine Moreau. Questo progetto ha promosso la diffusione della
filosofia sulla liberazione delle opere creative organizzando dei
meeting sul copyleft che si sono svolti in due siti di arte
contemporanea parigini, l’Accès Local e il Public, dove è nata l’idea
della licenza francese.
Essendo stata scritta in Francia con riferimento alle specifiche
leggi nazionali in materia di diritto d’autore, essa appartiene alla
giurisdizione francese, ma da quanto stabilito dalla Convenzione di
Berna, essa ha validità giuridica in tutti i paesi membri.
26 Per maggiori informazioni: http://artlibre.org
104
Invece di far uso della proprietà intellettuale per controllare la
visione e la fruizione di un’opera creativa ne favorisce l’accesso al
pubblico consentendone specifici utilizzi.
La licenza Art Libre è stata creata allo scopo di promuovere e
proteggere le opere dell’ingegno permettendo di copiare, diffondere e
trasformare liberamente le opere alle quali viene applicata, pur nel
rispetto dei diritti dell'autore originario e con il divieto di esclusiva. Le
opere possono essere sfruttate gratuitamente o anche a pagamento
purché vengano rispettate le condizioni specificate dalla licenza.
Il fine ultimo di questa particolare licenza è quello di slegare
l’arte e la sua creazione dalle regole puramente commerciali del
mercato, riportandola alla sua originaria funzione di espressione
dell’ingegno e della sensibilità dell’essere umano, non certo merce di
scambio.
3.4 Copyzero X
È una licenza opencontent squisitamente italiana
nel senso che, come l’Art Libre in Francia, tiene conto
delle particolari norme in materia di diritto d’autore del nostro Paese
così che risulta più precisa e dettagliata rispetto ad altre licenze ideate
105
al di fuori del nostro contesto giuridico. È stata creata e viene
promossa dal Movimento Costozero, votato alla “gratuità del Diritto
alla Comunicazione”27
, il quale oltre alla licenza Copyzero X propone
dei servizi di tutela delle opere dell’ingegno e si fa promotore di altri
progetti molto interessanti.
I suoi natali sono ben evidenti all’interno del testo della licenza,
in quanto si fa specifico riferimento alla legge italiana 633/1941, la
Legge sul Diritto d’Autore per l’appunto, ai vari diritti previsti
all’autore da tale legge e anche ai rapporti con la Siae, la Società
Italiana degli Autori ed Editori, la cui affiliazione impedisce la
sottoscrizione di qualsiasi altro tipo di contratto.
Il nome Copyzero “X” sta a indicare il metodo con cui l’autore
dell’opera che intenda utilizzare questa licenza sceglie le clausole e le
modalità attraverso cui concedere determinati utilizzi della sua
creazione: ossia attraverso l’apposizione di una “x” all’interno della
casella corrispondente alla clausola interessata.
Come per le Creative Commons, alla fine della compilazione del
modulo per la creazione della licenza, è previsto l’utilizzo del sistema
27 Si veda il sito http://www.costozero.org
106
dei metadati per inserire la licenza scelta all’interno dell’opera
digitalizzata, alla quale si lega indissolubilmente.
3.4.1 Zerosign
Il Movimento Costozero intende fornire ai creativi italiani
un’alternativa alla Siae, i cui costi di adesione o registrazione reputa
troppo elevati, per la tutela della paternità dell’opera. Per fare ciò
all’interno del suo sito eroga un servizio, denominato Zerosign, di
firma digitale e marca temporale con i quali poter tutelare le opere di
chi ne fa uso, utilizzando il software Javasign,liberamente scaricabile
dal sito.
Javasign è un software libero che permette di apporre la firma
elettronica qualificata, utilizzando una smart card e la firma
elettronica, utilizzando certificati di firma in formato *.p12, del
Movimento Costozero, ai documenti informatici. In questo modo
vengono apposte la licenza Copyzero X con le clausole prescelte, la
firma digitale e la marca temporale, che ne attestano la paternità e la
data di creazione, al documento che può essere così protetto anche da
chi non possiede queste apparecchiature tecnologiche come la smart
card e il relativo lettore.
107
Queste prove hanno valenza legale in tribunale nel caso di plagio
o di incontro fortuito. Questo grazie all’attuale legge che disciplina la
firma digitale ossia il Codice dell'amministrazione digitale, il Decreto
Legislativo n.82 del 7 marzo 2005 come modificato dal Decreto
Legislativo n. 159 del 4 aprile 2006, secondo cui il documento
informatico, sottoscritto con firma digitale o con altro tipo di firma
elettronica qualificata, ha l’efficacia prevista dall’art. 2702 del Codice
Civile” (piena prova, fino a querela di falso).28
28 Fonte http://it.wikipedia.org/wiki/Firma_digitale
108
Capitolo 4
Applicazioni del modello copyleft
A dimostrazione dell’effettivo funzionamento del modello
copyleft, ecco qui di seguito elencata una serie di fortunati progetti
che lo utilizzano a partire dal già citato Linux, un sistema operativo
gratuito che vanta centinaia di distribuzioni diverse sempre più user
friendly. Si parlerà poi di Flickr, una piattaforma web che permette la
condivisione di immagini anche sotto licenza copyleft e mette a
disposizione una gran quantità di immagini appartenenti al pubblico
dominio, passando ovviamente per Wikipedia, la più grande
enciclopedia libera collaborativa online, per arrivare a descrivere
Jamendo, un sito che permette la condivisione di brani da parte di
musicisti emergenti, liberamente scaricabili per l’utilizzo privato.
4.1. GNU/Linux
GNU/Linux è il sistema operativo libero nato in
seno al progetto GNU dall’unione del kernel Linux con
elementi del sistema GNU e altri software rilasciati
con licenza GNU GPL o altre licenze libere.
109
Col passare del tempo e dei contributi da parte di programmatori
di tutto il mondo questo sistema operativo, che richiedeva conoscenze
informatiche avanzate, è diventato sempre più di facile utilizzo grazie
anche alle migliorie grafiche che ne hanno avvicinato l’aspetto a
quello di Microsoft Windows e Mac OS X, i due sistemi operativi
proprietari maggiormente conosciuti, il che ha reso il passaggio da un
sistema all’altro più facile per gli utenti meno esperti.
Poiché è rilasciato sotto licenza GNU GPL chiunque può
modificare il codice sorgente, distribuito unitamente a Linux, del
sistema e dei relativi software a corredo per apportarvi delle
modifiche. Grazie a questa possibilità sono disponibili tantissime
distribuzioni diverse, ossia versioni del sistema operativo chiamate
anche “distro”, che possono essere scelte in base alle proprie personali
esigenze; attualmente si contano circa 300 progetti attivi alcuni dei
quali specifici di un dato settore: dalla navigazione web alla sicurezza
reti passando per la programmazione e la creazione di prodotti
multimediali.
Il sistema operativo GNU/Linux viene scelto ed utilizzato sempre
più in enti pubblici e nelle strutture scolastiche per il risparmio
economico che ne consegue, non necessitando dell’acquisto della
licenza come avviene per i principali sistemi operativi proprietari,
110
Windows e Mac OS X, e per il fatto di non aver nulla da invidiare ai
suddetti sistemi per quanto riguarda le applicazioni di base e per
essere notevolmente più avanzate nell’ambito della programmazione.
Viene molto utilizzato inoltre nell’uso server e nelle reti
aziendali, per la sua proverbiale stabilità e resistenza ai virus
informatici. Gode del supporto di società informatiche come l’I.B.M.,
la Sun Microsystems, l’H.P e comincia ad essere installato di default
sui PC, es. dalla Dell29
, o anche nei nuovi mini pc, i Netbook, palmari
e cellulari, il che abbassa notevolmente il costo finale degli stessi.
Altri produttori di computer hanno seguito l’esempio della Dell
come l’Everex, che ha raggiunto lo scopo di mettere in commercio un
computer a meno di 200 dollari nella più grande catena statunitense di
centri commerciali, la Wal-Mart. Il computer, chiamato gPC, ha
consumi energetici ridotti e si avvale per tale fine di una distribuzione
Linux, la Good OS.30
Un altro caso importante è rappresentato dall’organizzazione
non-profit One Laptop Per Child (OLPC)31
, fondata nel 2005 da varie
29 http://en.community.dell.com/blogs/direct2dell/archive/2007/05/21/15563.aspx
30 Maggiori informazioni su http://www.thinkgos.com/
31 Maggiori informazioni su http://one.laptop.org/
111
organizzazioni che hanno garantito un contributo economico come
Google, Red Hat, A.M.D., BrightStar, News Corp e Nortel Networks.
Scopo dell’organizzazione era la creazione di un computer da
cento dollari destinato ai bambini dei paesi sottosviluppati, che è stato
pienamente raggiunto grazie a Nicholas Negroponte, fondatore del
Media Lab al Massachusset Institute of Technology (MIT).
Il computer, dotato di un hardware molto robusto per resistere a
condizioni estreme e dotato di una manovella per la ricarica, laddove
non vi sia disponibilità di corrente elettrica, è stato dotato di un
sistema operativo libero basato su Linux per abbassare i costi dello
stesso e perché, secondo le parole di Negroponte: “il free software
darà ai bambini l' opportunità di gestirsi autonomamente la
macchina. Non vogliamo farli diventare tutti programmatori,
semplicemente vogliamo renderli liberi di reinventarsi il loro software
come e quando vogliono”.32
In definitiva il sistema operativo GNU/Linux è la prova
dell’effettivo funzionamento delle licenze copyleft, le quali stimolano
la collaborazione tra utenti di tutto il mondo e la messa in atto di
iniziative benefiche, impediscono l’appropriazione del software per
32 Da “Repubblica” del 27 novembre 2006, pagina 19, sezione: affari finanza
112
scopi commerciali da parte di società informatiche, e la conferma
della capacità del software open source di tener testa a colossi del
mercato del software come la Microsoft e la Apple.
4.1.1 La distro Cubana contro il monopolio Microsoft
Il governo cubano di Raul Castro ha annunciato la
creazione di una propria distribuzione con kernel Linux,
col nome di Nova Baire.33
Questa particolare distribuzione è nata,
come proposta alternativa al gigante Microsoft (e statunitense) nel
2005, dal progetto di un gruppo di giovani dell'Università delle
Scienze Informatiche (UCI) di Cuba sotto la supervisione
dell’ingegnere Según Ángel Goñi Oramas.
Lo scopo era quello di formare professionisti nel campo
dell’informatica e contribuire alla sovranità tecnologica del Paese, su
cui grava tuttora l’embargo commerciale imposto dagli Stati Uniti che
rende difficile gli aggiornamenti del sistema operativo di casa
Microsoft a Cuba, creando un sistema operativo flessibile e leggero,
capace di girare su computer datati, di cui l’isola è piena, senza però
fare a meno delle più recenti applicazioni. Secondo delle stime del
33 Fonte: http://www.nova.uci.cu/
113
governo cubano già il 20% dei computer della Nazione utilizzava una
distribuzione basata su Linux.
Ovviamente questo evento ha anche una chiave di lettura
politica: rappresenta anche la liberazione dall’egemonia statunitense
di cui Windows e la Microsoft ne costituiscono un simbolo. Inoltre il
governo cubano ritiene che il governo degli Stati Uniti abbia accesso
al codice sorgente di Windows il che permetterebbe alle agenzie
governative di spiare e controllare le comunicazioni e le attività degli
abitanti dell’isola.
Ma al di là del contesto politico, in quello culturale la creazione
di questa distribuzione è un esempio di come l’open source
rappresenti una strada valida per liberarsi dal monopolio di grandi
colossi industriali come la Microsoft.
4.2 Wikipedia
Immaginata da Richard Stallman, il “paladino”
della crociata per la liberazione della cultura, in un
114
suo articolo del 1999: L'Enciclopedia Universale Libera e le risorse
per l'apprendimento34
, è forse l’esempio più eclatante di come il
modello copyleft sia funzionale e capace di coinvolgere un numero
impressionante di persone; Wikipedia è la più grande enciclopedia
multilingue online che viene costantemente aggiornata e corretta dai
suoi collaboratori e permette una consultazione assolutamente
gratuita.
Essa è nata in seno alla Wikimedia Foundation Inc., una
fondazione senza scopo di lucro con sede a San Francisco, nata nel
2003 con l’obiettivo di stimolare la crescita e la diffusione di
contenuti liberi disponibili al pubblico in forma gratuita attraverso i
suoi progetti “wiki”, ossia siti web gestiti ed aggiornati dagli
utilizzatori degli stessi.
Oltre a Wikipedia, che rappresenta il progetto più conosciuto,
vengono portati avanti dalla fondazione altri wiki complementari: il
Wikizionario, Wikiquote, Wikibooks, Wikisource, Wikimedia
Commons, Wikispecies, Wikinotizie e Wikiversità, tutti progetti
collaborativi improntati alla diffusione di contenuti liberi delle più
34 Disponibile in lingua italiana all’indirizzo http://www.gnu.org/encyclopedia/free-
encyclopedia.it.html
115
disparate categorie, dalle immagini ai libri, dalle citazioni alle notizie,
redatte da volontari di tutto il mondo.
La fondazione riesce a portare avanti questi progetti grazie
principalmente a donazioni fatte dai fruitori degli stessi, i quali
eleggono anche una parte dei membri del consiglio di
amministrazione della fondazione a riprova dell’ampio merito loro
riconosciuto. Ciò consente di mantenere il punto di vista neutrale sulla
trattazione degli argomenti, richiesto da Wikipedia ai suoi
collaboratori, senza così presentare idee di parte.
Il progetto Wikipedia, nato nel 2001 in lingua inglese, in soli
quattro mesi ha visto la nascita di altre 13 edizioni in altre lingue,
compresa quella in italiano. Come viene specificato all’interno del sito
stesso, questo progetto è fondato “sulla certezza che ciascuno
possiede delle conoscenze che può condividere con gli altri”.35
Wikipedia oggi, a nove anni di distanza dalla sua nascita, è uno
dei dieci siti più visitati al mondo36
ed è pubblicato in oltre 270 lingue
35 Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Wikipedia:Sala_stampa/Wikipedia
36 Come si evince dalla stima effettuata dalla Alexa Internet Inc., un'azienda degli Stati Uniti
sussidiaria di una delle più grandi compagnie di commercio elettronico al mondo, la Amazon.com,
che si occupa di statistiche sul traffico di internet. Dati disponibili su
http://www.alexa.com/topsites
116
diverse. Contiene voci sia di stampo enciclopedico che di riferimenti
geografici, di attualità e quant’altro.
La gestione, l’aggiunta e la correzione delle voci presenti avviene
ad opera degli stessi utilizzatori del sito, volontari quindi, i quali
contemporaneamente specificano anche le regole da seguire per poter
collaborare. È ovvio che si possano verificare atti di “vandalismo”
sulle pagine di Wikipedia o imprecisioni nel riportare informazioni,
ma il numero impressionante dei suoi utilizzatori ne garantisce la
correzione quasi immediata. Per di più, per sollevarsi da qualsiasi
responsabilità civile e penale su quanto viene scritto, una delle
clausole del regolamento per la partecipazione al progetto indica
chiaramente che l’indirizzo IP, un numero che identifica in modo
univoco qualsiasi computer o altro dispositivo connesso ad una rete, in
questo caso ad internet, di coloro i quali modificano una voce
dell’enciclopedia viene registrato e reso disponibile pubblicamente.
Questo rappresenta un deterrente per eventuali atti vandalici ed è una
garanzia della bontà e della veridicità delle informazioni riportate sul
sito.
Originariamente rilasciata sotto licenza GNU FDL, Wikipedia ha
adottato la licenza Creative Commons cc-by-sa 3.0 nel giugno 2009,
ritenuta più adatta agli scopi del progetto ed agli utilizzi delle fonti.
117
Tale passaggio è stato messo ai voti da parte della comunità di
collaboratori. Le licenze adottate permettono svariati utilizzi del
materiale presente sul sito, anche l’uso commerciale, purché venga
mantenuta l’attribuzione agli autori e venga adottata, per le opere
derivate, la stessa tipologia di licenza.
Alcune risorse pubblicate su Wikipedia, come immagini e suoni,
non sono libere: è il caso di marchi, loghi di aziende, testi di canzoni,
foto giornalistiche che vengono utilizzate secondo la clausola
statunitense del fair use 37
presente nel Copyright Act, ossia la
possibilità di citare o incorporare materiale protetto da copyright in
un’altra opera secondo alcune condizioni.
4.2.1 Il problema dell’autorevolezza
Spesso Wikipedia viene citata come fonte di informazioni dai
mass media e da istituti accademici; altre volte viene criticata per non
essere un’enciclopedia attendibile.
Questo avviene in primo luogo perché non vi è una redazione
centrale dell’enciclopedia: sono gli stessi volontari che aderiscono al
progetto a decidere le regole interne e a correggere eventuali errori. Il
progetto intero si fonda sull’assunto che col tempo esso non può che
37 Titolo 17, § 107 del Copyright Act, disponibile sul sito http://www.copyright.gov/title17
118
migliorare in quanto la pluralità degli individui che ne fanno parte
contribuisce regolarmente ad aggiornare e a rivedere le aggiunte alle
voci fatte da altri utenti per verificarne l’attendibilità o la presenza di
eventuali attività di spamming. In più alcune voci sono state protette
da un meccanismo che permette ai soli iscritti di modificarle.
Wikipedia stata elogiata per il fatto di essere distribuita
liberamente, di trattare una vasta gamma di argomenti, di permettere a
chiunque di parteciparvi ma al tempo stesso è stata criticata per la
possibile mancanza di esperienza da parte dei collaboratori riguardo
alle voci aggiunte o modificate, per il fatto di essere lacunosa per
quanto riguarda alcuni argomenti particolari e per la possibile
presenza di pregiudizi sistemici, secondo i quali vengono privilegiate
delle voci in base all’interesse dei collaboratori verso le stesse
piuttosto che in base all’oggettiva importanza delle informazioni.
La critica maggiore è rivolta al sistema wiki utilizzato per il
progetto, basato sulla libera partecipazione di chiunque: se per le
enciclopedie tradizionali gli editori devono garantire la validità dei
dati e delle informazioni presentate in quanto il loro sostentamento
dipende da questo, nel sistema utilizzato da Wikipedia ciò non
avviene e la bontà della fonte non è garantita.
119
Elogi vengono invece fatti a Wikipedia per quanto riguarda la
velocità con cui vengono aggiornate delle voci in risposta agli eventi
di attualità che le riguardano, da fonti giornalistiche come BBC News,
USA Today, The Economist, Newsweek, il Chicago Sun-Times, Time
Magazine e Wired Magazine.38
Come prova dell’autorevolezza di Wikipedia si può fare
riferimento al confronto condotto dalla rivista di informatica tedesca
c’t nel 2004, tra le enciclopedie Brockhaus Premium, Microsoft
Encarta e Wikipedia. Dalla loro valutazione da parte di esperti è
emerso che su 66 voci riguardanti diversi campi Wikipedia ha ottenuto
il punteggio massimo rispetto alle altre due: 3,6 punti su 5.
Altri commenti positivi sono stati fatti dai professori Emigh e
Herring dell’Indiana University i quali affermano che Wikipedia ha
apportato migliorie alle fonti tradizionali d’informazione in special
modo inerenti all’attualità e al campo tecnologico.
Nel 2005 uno studio comparato condotto dalla rivista scientifica
Nature ha confermato l’accuratezza delle voci scientifiche presenti su
38 Fonte http://it.wikipedia.org/wiki/Wikipedia
120
Wikipedia che non hanno nulla da invidiare a quelle dell’Enciclopedia
Britannica.39
Nel corso degli anni la più grande enciclopedia libera del mondo
è stata insignita di molti premi, i più importanti dei quali sono ad
esempio il Golden Nica per le Comunità Digitali dal Prix Ars
Electronica di Linz, in Austria, ricevuto nel 2004, dove oltre al premio
Wikipedia ha ricevuto 10.000 euro di finanziamento; nel 2009
l’International Academy of Digital Arts and Sciences ha insignito
Wikipedia di un Webby Awards, un premio annuale conferito a siti
internet e altre applicazioni multimediali per l’eccellenza,
considerando il lancio di Wikipedia nel 2001 tra i 10 momenti più
importanti per Internet degli ultimi dieci anni.40
4.3 Jamendo
Jamendo è una piattaforma
musicale mondiale sul web che utilizza
le licenze Creative Commons e Art Libre e grazie ad esse permette ai
propri iscritti di scaricare musica in modo legale tramite internet. Il
sito, disponibile in sette lingue tra cui l’italiano, ad oggi conta 400.000
39 Fonte: http://www.usatoday.com/tech/news/2005-12-14-nature-wiki_x.htm
40 Fonte http://www.webbyawards.com/press/topwebmomentsdecade.php
121
membri tra artisti, musicisti e fan: 2.400.000 visite, 500.000 download
al giorno.41
Jamendo costituisce un’alternativa ai metodi tradizionali di
distribuzione della musica, permettendo agli artisti di pubblicare,
condividere e promuovere la propria musica e al tempo stesso di
venire retribuiti attraverso gli introiti derivanti dalla pubblicità e da
partnership commerciali. Utilizzando le licenze gratuite e non
esclusive Creative Commons e Art Libre, che vengono scelte dagli
artisti stessi in base alle loro personali esigenze, Jamendo permette ai
musicisti di tutelare le loro opere e nel contempo di specificarne gli
utilizzi possibili da parte dei fruitori riservandosi comunque la
possibilità di decidere in fatto di utilizzi commerciali e di opere
derivate.
La musica disponibile è “libera”, non nel senso che è gratuita,
solo l’utilizzo privato lo è, ma nel senso che non è stata depositata
presso enti di gestione dei diritti collettivi, come la Siae, pertanto gli
autori sono liberi di applicare queste licenze particolari e specificarne
autonomamente gli usi consentiti.
41 Dati rilevati dal team di www.jamendo.com e disponibili sul sito
122
In base all’utilizzo commerciale che si intende fare della musica,
all’interno del sito Jamendo mette a disposizione speciali licenze che
ne autorizzano ad esempio la trasmissione all’interno di attività
commerciali, l’utilizzo in progetti audiovisivi, in siti internet,
pubblicità, corti, film, trasmissioni radiofoniche, televisive e
quant’altro. In questo caso il fruitore corrisponderà una certa somma
in denaro a Jamendo, che provvederà a ricompensare l’autore delle
musiche scelte. Il tutto senza l’obbligo di rivolgersi alla Siae da parte
né dei fruitori né dei musicisti e a costi veramente irrisori.
I vantaggi per gli artisti che decidono di utilizzare questa
piattaforma sono evidenti: possono ottenere una forte visibilità grazie
alla rete anche senza un contratto con un’etichetta discografica e
sebbene l’utilizzo privato sia gratuito, il derivante passaparola positivo
tra coloro i quali usufruiscono dei brani messi a disposizione sul sito è
un ottimo tributo che viene corrisposto; inoltre, nel caso in cui il
proprio lavoro risulti gradito, in seguito agli utilizzi commerciali
specificati sopra, alle donazioni da parte dei fan e agli introiti
pubblicitari che Jamendo ridistribuisce tra i suoi affiliati, gli artisti
possono vedere i loro sforzi ricompensati. Non è raro poi che alcuni
gruppi emergenti vengano notati da talent scout e ottengano contratti
discografici. In tal caso i musicisti sono assolutamente liberi di
123
modificare la licenza con cui hanno rilasciato i propri brani e ritirarli
dal sito, non avendo alcun obbligo verso Jamendo.
La logica su cui si fonda Jamendo risulta straordinariamente in
linea con lo sviluppo tecnologico e i comportamenti sociali che da
esso ne derivano: al giorno d’oggi in cui la pratica di scaricare la
musica illegalmente dalla rete tramite le reti peer to peer non viene
nemmeno più percepita come un qualcosa di sbagliato, di fuorilegge,
la scelta di permettere il download e l’utilizzo privato in maniera del
tutto gratuita è una scelta che tiene conto delle mutate tendenze in atto
nella società ed utilizza gli strumenti generalmente malvisti come il
file sharing in modo legale e positivo.
Infatti nel sito è possibile scaricare le tracce singole dei brani o
anche interi album servendosi di un programma molto conosciuto nel
mondo informatico, ossia BitTorrent, adibito al file sharing, il cui
largo utilizzo ha portato alla rapida diffusione del protocollo da esso
utilizzato. È inutile precisare che questo software è open source e
viene distribuito liberamente sulla rete.
4.4 Flickr
Flickr è un sito web di proprietà del gruppo
Yahoo! che permette ai suoi iscritti di
124
condividere i propri scatti con altri appassionati di fotografia a livello
mondiale.
Inizialmente concepito come servizio per l’hosting di immagini,
ossia uno spazio sul quale caricare le proprie fotografie per poterle poi
pubblicare su altri siti, ha cambiato impostazione ed utilizzo grazie al
successo riscosso in particolar modo con i forum ed il fenomeno dei
blog: una specie di diario virtuale su cui annotare riflessioni, pensieri,
inserire musica e immagini.
In seguito Flickr è divenuto una vera e propria comunità virtuale
che permette ai suoi iscritti di pubblicare le proprie fotografie,
guardare gli scatti altrui, commentarli ed utilizzarli entro le modalità
specificate dai loro autori.
Gli utenti possono iscriversi gratuitamente al sito oppure pagare
una quota annuale che ammonta a 24,95 $ che prevede più servizi
rispetto all’iscrizione di base.
Flickr sfrutta il fenomeno della digitalizzazione e la rete internet
per mettere in contatto fotografi amatoriali e professionisti situati in
ogni angolo del globo e per offrire un archivio fotografico in costante
crescita. Le fotografie condivise sulla piattaforma, dove non
specificato, vengono rilasciate sotto copyright automaticamente;
Flickr tuttavia permette ai suoi utenti di pubblicare le proprie foto
125
utilizzando le licenze Creative Commons, che vengono scelte dagli
autori stessi secondo le proprie personali preferenze per quanto
riguarda le utilizzazioni concesse: a seconda della licenza CC scelta si
può permettere la copia, la riproduzione o la modifica dei propri scatti.
Inoltre nel 2008 Flickr ha lanciato il progetto The Commons, in
collaborazione con la Biblioteca del Congresso42
degli Stati Uniti: il
suo scopo è di digitalizzare fotografie ormai rientrate nel pubblico
dominio per metterle a disposizione degli utenti di internet tramite
Flickr in modo da incrementare le possibilità di accedere agli archivi
fotografici pubblici.
Da uno studio condotto dallo stesso team di Flickr risulta che le
opere condivise non protette da copyright raggiungono i 100.000.000
di unità, che sebbene costituiscano solo il 3,3% del totale delle
immagini presenti nel sito (le ultime stime ne contano 3.000.000.000),
sono comunque un notevole traguardo per la condivisione libera di
contenuti sul web.
42 Sito internet: http://www.loc.gov
126
Conclusioni
Dall’analisi condotta risulta che il copyleft è un modello di
gestione del diritto d’autore più che adeguato per l’utilizzo sulla rete
internet ma anche concretamente per le opere su supporto fisico.
D’altro canto le diverse licenze copyleft trovano nella rete il loro
ambiente d’attuazione ideale in quanto in relazione ad essa si sono
sviluppate.
L’effettivo funzionamento del modello copyleft traspare nei
diversi ambiti indagati: la tutela della paternità dell’opera, lo
sfruttamento delle potenzialità della rete, l’incentivo culturale e in
minima parte anche il guadagno economico.
Le licenze copyleft tutelano adeguatamente il lavoro creativo e la
paternità delle opere al pari dei tradizionali modelli di gestione del
diritto d’autore in quanto fondati sulle stesse leggi. Risultano anzi più
performanti in alcune situazioni in quanto tengono conto degli
sviluppi della tecnologia e la sfruttano, ad esempio con l’utilizzo della
firma elettronica e del time stamping. Gli autori che scelgono di
proteggere le proprie opere con licenze copyleft traggono benefici dai
fenomeni legati alla digitalizzazione e alla diffusione della rete in
quanto, in cambio della cessione di alcuni diritti sui loro lavori, la cui
127
tutela viene comunque resa nulla da attività illecite ormai inveterate
nella società, sfruttano le grandi potenzialità pubblicitarie e
distributive della rete. Pratiche come il file sharing possono essere
utilizzate positivamente e sono stati ideati già dei metodi possibili
grazie all’utilizzo dei metadati.
Il modello coyleft costituisce un valido incoraggiamento alla
produzione culturale dal momento che le licenze libere rimettono in
mano agli autori il controllo dei diritti sulle loro opere. Questo
modello consente inoltre ad artisti e creativi in generale di collaborare
tra di loro con più facilità, utilizzare le opere altrui senza dover andare
alla ricerca dei detentori dei diritti, qualora siano stati ceduti a terzi
dagli autori originali, per chiedere il permesso di utilizzarle. Questo
perché il permesso è già stato dato, grazie all’utilizzo di licenze come
le Creative Commons, all’insegna della libera fruizione e della crescita
culturale. Il tutto nel rispetto della proprietà intellettuale e nel
riconoscimento dei meriti all’autore dell’opera scelta. L’applicazione
di queste licenze ha inoltre reso possibile il diffondersi di progetti
filantropici con i più svariati scopi, dalla sensibilizzazione sul tema
della proprietà intellettuale alla distribuzione libera di opere
dell’ingegno, i quali si diffondono sempre di più, sfruttando la rete,
128
ed acquistano grazie ad essa sempre maggiori consensi e
riconoscimenti da ogni parte del mondo.
Per quanto riguarda il fattore profitto, si è dimostrato come il
copyleft permetta ed incoraggi l’utilizzo commerciale delle opere
rilasciate con licenze libere seppur questo comporti risultati ancora
modesti dal punto di vista economico. Il mondo dell’imprenditoria
risulta statico e non percepisce le reali possibilità derivanti
dall’utilizzo di questo nuovo modello, non essendo disposto a
sacrificare una fetta importante dei propri profitti, che comunque è
destinato a perdere per la diffusione sempre maggiore degli utilizzi
illegali che vengono fatti della rete. È normale che secoli di utilizzo
dei modelli tradizionali di gestione del diritto d’autore facciano vedere
nel concetto di liberazione della cultura uno stato di caos totale. Ma
gli strumenti per gestire questa ipotetica anarchia sono stati creati e
tengono conto dello sviluppo tecnologico e delle normative nazionali
per potersi legittimare.
Inoltre viste le mutate tendenze sociali in atto, dovute
all’inarrestabile sviluppo tecnologico e alla diffusione della rete
internet, i colossi dell’editoria e dell’intrattenimento dovrebbero
mutare modus operandi favorendo gli autori emergenti, ad esempio, e
garantendo contratti equi in base alla bravura degli stessi, non in base
129
alla loro celebrità. Soprattutto si dovrebbe evitare che essi
interferiscano con le normative nazionali che stanno diventando
sempre più restrittive sotto la loro azione di lobbying.
Dei timidi tentativi da parte dei legislatori e da enti di gestione
collettiva per cercare di trovare un accordo tra la rigidità della
normativa sul diritto d’autore e la flessibilità delle licenze copyleft,
che consente agli autori il pieno controllo dei diritti sulle loro opere,
sono stati compiuti. Purtroppo però tale processo minaccia di essere
molto lento e travagliato.
Questa tesi intende essere un piccolo contributo alla “causa”
della libertà culturale e una dimostrazione tangibile della sua
importanza. Viene rilasciata sotto licenza Creative Commons, una
delle tante licenze copyleft, che ne garantisce il libero utilizzo privato.
È stata scritta principalmente con l’ausilio di risorse gratuite, come siti
internet e libri liberamente consultabili e scaricabili dalla rete, a
riprova del fatto che se una risorsa è gratuita non necessariamente è
meno valevole di un’altra acquistata, ma forse l’opposto in quanto
frutto della collaborazione di una pluralità di figure il cui controllo
reciproco e la condivisione del sapere ne garantiscono l’esattezza e la
completezza.
130
Bibliografia
AIGRAIN P., Causa comune, Editions Fayard, 2005
ALIPRANDI S., Capire il Copyright, percorso guidato nel diritto
d’autore, PrimaOra, 2007
ALIPRANDI S., Compendio di libertà informatica e cultura open,
PrimaOra, 2006
ALIPRANDI S., Copyleft e opencontent - l’altra faccia del copyright,
PrimaOra, 2005
ALIPRANDI S., Creative Commons: manuale operativo – guida
all’uso delle licenze e degli altri strumenti CC, Stampa Alternativa,
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