concetto marchesi discorsi parlamentari 1945-1957

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Editori Laterza COLLANA FONDAZIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI VOCI DAL PARLAMENTO Concetto Marchesi Discorsi parlamentari 1945-1957

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concetto marchesi

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Page 1: Concetto Marchesi Discorsi Parlamentari 1945-1957

Editori

Laterza

Ciascuna opera della serie “Voci dalParlamento” è dedicata all’attività di una personalità di particolare rilievonella storia della Camera dei deputati. L’obiettivo è rendere testimonianza del lavoro e dell’impegno civile attraverso la raccolta sistematica degli interventipronunciati presso l’Assemblea diMontecitorio, nelle Commissionipermanenti e, se del caso, presso il Senato.I volumi propongono una selezione degli interventi commentata dai curatoridell’opera. Il DVD allegato contiene i testiintegrali e permette la consultazione e laricerca sugli stessi e su altro materiale utile,di volta in volta selezionato.

COLLANA FONDAZIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI

Editori Laterza

COLLANA FONDAZIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI

V O C I D A L P A R L A M E N T O

Concetto Marchesi, attivo esponente politico nelperiodo della rinascita della democrazia in Italia,

fu uomo di cultura, professore universitario e uno dei maggiori latinisti del Novecento.

A testimonianza del suo impegno nell’Aula di Montecitorio e nelle Commissioni,

oltre che nel mondo universitario e della cultura classica,

la Fondazione della Camera dei deputati ne raccoglie gli interventi parlamentari, compresi quelli alla Consulta nazionale

e all’Assemblea Costituente, a centotrenta anni dalla sua nascita.

Concetto Marchesi

Discorsi parlamentari1945-1957

La Fondazione della Camera dei deputati,costituita nel giugno del 2003, ha ilcompito di realizzare e divulgare una piùampia conoscenza delle attività dellaCamera, di promuoverne l’immagine, di favorire e sviluppare il rapporto tra i cittadini e l’istituzione parlamentare.A questo scopo la Fondazione si fapromotrice di iniziative culturali ededitoriali che prevedono la realizzazione,la pubblicazione e la diffusione di volumi,riviste e prodotti informatici riguardantile attività della Camera e gli aspettistorici e artistici delle sue sedi.

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iscorsi parlamentari 1945 - 1957

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COLLANA FONDAZIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI

VOCI DAL PARLAMENTO

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COLLANA FONDAZIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI

COMITATO SCIENTIFICO

Pier Ferdinando CASINI Presidente della Fondazione della Camera dei deputati

Giuseppe LATERZA EditoreAlessandro MASSAI Direttore Generale della Fondazione della

Camera dei deputati

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Page 4: Concetto Marchesi Discorsi Parlamentari 1945-1957

SERIE VOCI DAL PARLAMENTO

CONCETTO MARCHESI

DISCORSI PARLAMENTARI1945-1957

A cura di Giovanni Salmeri

Editori Laterza

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Page 5: Concetto Marchesi Discorsi Parlamentari 1945-1957

© 2008, Gius. Laterza & Figli e Fondazione della Camera dei deputati

Prima edizione 2008

Quest’opera è stata realizzata con il sostegno della

Proprietà letteraria riservataGius. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari

Finito di stampare nel febbraio 2008SEDIT - Bari (Italy)per conto della Gius. Laterza & Figli SpaISBN 978-88-420-8585-0

È vietata la riproduzione, ancheparziale, con qualsiasi mezzo effettuata,

compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico.

Per la legge italiana la fotocopia è lecitasolo per uso personale purché

non danneggi l’autore. Quindi ognifotocopia che eviti l’acquisto

di un libro è illecita e minaccia la sopravvivenza di un modo di trasmettere la conoscenza.

Chi fotocopia un libro, chi mette a disposizione i mezzi per fotocopiare,chi comunque favorisce questa pratica

commette un furto e opera ai danni della cultura.

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PREFAZIONE*

A centotrenta anni dalla nascita di Concetto Marchesi (Cata-nia 1878-Roma 1957) la Fondazione della Camera dei deputati nepubblica i discorsi parlamentari. Lo fa in un clima più pacato diun anno fa, quando si propose di emettere un francobollo cele-brativo in occasione del cinquantenario della sua scomparsa, e ciòprovocò svariate opposizioni. C’era chi pretendeva di intentare aMarchesi una sorta di processo postumo per alcune sue scelte po-litiche. E tra costoro vi erano non soltanto alcuni degli eredi degliavversari storici della parte sua, che egli aveva sfidato mentre loattorniavano in armi, ma anche qualcuno tra gli epigoni della suastessa parte, il quale pretendeva di misurare col metro proprio lacoerenza di Marchesi. Oggetto di un revisionismo di natura esclu-sivamente politica – neppure meditato, perché incapace di conte-stualizzare – uno dei maggiori esponenti della cultura classica ita-liana del Novecento sarebbe stato privato persino del modestoonore di un dentello se non vi fosse stata la mobilitazione con-giunta di politici – primo fra tutti Giulio Andreotti –, intellettua-li, giornalisti, persone comuni le quali hanno saputo riconoscerela grandezza di un uomo che tanto ha onorato la cultura, la poli-tica e le istituzioni italiane e hanno voluto a loro volta onorarlo.Un uomo del suo tempo a tutto tondo, indubbiamente, ma nono-stante le molte personali contraddizioni coerente fino in fondo coisuoi ideali, con la sua cultura, con le sue convinzioni, con la suamilitanza politica; e pronto ai rischi fisici e alle sfide intellettualiche era necessario affrontare per affermarli. Chissà di quanti dinoi, uomini del nostro tempo, si potrà dire lo stesso...

* La prima parte di questa Prefazione si deve all’on. Severino Galante, la se-conda all’on. Orazio Licandro.

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Sull’onda di questa mobilitazione è sorto il proposito di un ul-teriore omaggio a Marchesi con la stampa dei discorsi parlamen-tari, un proposito che il presidente della Fondazione della Came-ra dei deputati ha recepito prontamente. A sua volta, l’ArchivioConcetto Marchesi di Gallarate ha messo subito a disposizione lasua ricca documentazione; dall’Università di Pisa è venuta la di-sponibilità di un illustre studioso a curare la pubblicazione; laFondazione della Cassa di risparmio di Padova e Rovigo ha con-tribuito alla pubblicazione del volume. Uomini e istituzioni di-verse, di diversa cultura e orientamento, hanno saputo insommacollaborare per onorare un uomo che fu di parte come ognuno dinoi, ma che appartiene a tutti: alla cultura, alla politica, alla storiaitaliana. Per questo voglio qui ringraziarli coralmente.

«Siano avvertiti il Partito e l’Università di Padova»: ConcettoMarchesi, in previsione di una morte improvvisa, teneva in tascaquesto biglietto dov’erano indicati i due pilastri della sua vita pub-blica.

Il partito, com’è noto, era il Partito comunista italiano. Un par-tito al quale Marchesi aveva aderito fin dalla fondazione, e nelquale aveva continuato a militare fino all’ultimo, passando attra-verso gli anni della tirannide fascista, della lotta di liberazione, diun dopoguerra acceso da enormi tensioni sociali, civili, politiche,morali. Con un’adesione piena e convinta alla sua linea politica,ma anche con una grande autonomia di giudizio. Da autentico co-munista, per il quale la disciplina era innanzitutto fatto interiore,autodisciplina. Ma da spirito libero e indipendente: da autenticointellettuale.

Marchesi fu infatti un intellettuale vero, capace di indagare cri-ticamente la realtà che era propria della sua disciplina – quella del-la classicità latina – portandovi il punto di vista della sua culturae della sua esperienza anche civile, e indagandola quindi con le ca-tegorie sociali oltre che con quelle estetiche.

La nostra libertà intellettuale – egli riteneva – non può scatu-rire da un solitario gioco di pensiero, da una ricerca strettamentepersonale di ciò che possa servire ad illuminare le masse lavora-trici: può scaturire soltanto dal contatto assiduo col popolo lavo-ratore di cui dobbiamo scrutare e chiarire a noi stessi le aspira-zioni. Noi dobbiamo scavare in quella brace per accendere la no-

VI Prefazione

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stra lucerna. I lavoratori non ci intenderanno se non sentirannonelle nostre parole quello che è contenuto nell’animo loro. Sol-tanto così potremo riparlare all’operaio e al contadino il suo stes-so linguaggio, ma più ordinato e chiaro e conclusivo.

Egli s’ispirò sempre a questi criteri, ma senza mai confonderela funzione intellettuale con quella di propagandista acritico di unqualche dogma o di un qualche capo: neanche quando un dogmae un capo egli finì per interiorizzare; neanche essendo – come eglisapeva e diceva di essere – «uomo di parte e di fede».

Ma Concetto Marchesi fu anche un politico vero, uomo di par-te e di fede appunto: tanto più vero perché sorretto nel suo co-stante impegno politico dalla propria cultura specialistica, dal suoessere intellettuale in senso stretto; e dunque dalla sua capacità diportare nella politica, il lievito della cultura critica, il rigore di unaricerca da esercitare in ogni campo della realtà, finanche nelle sfi-de estreme coi nemici non meno che con gli amici.

Vediamolo in tre momenti, che a me paiono esemplari, dellasua biografia politica e intellettuale.

Osserviamolo questo professore, come appare in un foto-gramma sfocato avventurosamente scattato in quel 9 novembredel 1943 – in piena guerra, due mesi dopo la catastrofe nazionaledell’8 settembre –, nella splendida Aula Magna della sua Univer-sità, avvolto nella cappa di visone simbolo del potere accademico,con alle spalle il Senato accademico in cappa d’ermellino e difronte il ministro fascista dell’Educazione, dichiarare aperto l’an-no 722° dell’Università padovana «in nome di questa Italia dei la-voratori, degli artisti, degli scienziati», e di nessun’altra autorità.

Era certamente un intellettuale antifascista colui che poco pri-ma aveva parlato della sua Università come di un «tempio invio-lato» – in una Padova occupata dalle truppe naziste, e avendo at-torno un minaccioso manipolo di fascisti rispuntati sotto la pro-tezione degli occupanti – ma era senza dubbio un intellettuale co-munista quello che sapeva così plasticamente evocare di fronte aicolleghi e ai giovani, ai quali soprattutto era attento, con la sua ti-pica oratoria classicheggiante, la nozione marxista delle forze pro-duttive, qui incardinata sul concetto di lavoro salariato, sul nessotra ricerca scientifica e lavoro, sulla coscienza di classe, sul riscat-to del lavoro come riscatto universale. Ed era un militante comu-

Prefazione VII

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nista senz’altra qualificazione quello che avvertiva che «l’Italianon può cadere in servitù senza che si oscuri la civiltà delle gen-ti», preparando così la conclusione dell’Appello agli studenti dipoche settimane dopo con cui li incitava alla resistenza armata:«Fate risorgere i vostri battaglioni, liberate l’Italia dall’ignominia,aggiungete al labaro della vostra Università la gloria di una nuovapiù grande decorazione».

Se oggi l’Università di Padova, unica tra le Università italiane,fregia il proprio labaro della medaglia d’oro della lotta di libera-zione conquistata col sangue dei suoi studenti e dei suoi docenti,il merito appartiene anche al coraggio (il coraggio anche fisico, in-tendo) che ebbe Concetto Marchesi di dire quello che pensava edi fare quello che diceva, quale che fosse il rischio da correre.

Vediamolo, inoltre, questo deputato comunista alla Costituen-te, nella notte del 25 marzo 1947, alzarsi dal suo seggio nell’As-semblea e allontanarsi dall’Aula – egli, il celebre uomo di cultura,accompagnato dall’operaia comunista Teresa Noce, la combattiva«Estella» della clandestinità – per non votare quell’articolo 7 del-la Costituzione che il gruppo dirigente del partito (Togliatti in pri-mo luogo) aveva deciso di approvare, e che egli invece non condi-videva ritenendo che i Patti Lateranensi non dovessero entrare«nell’ossatura» e non dovessero diventare «parte organica delnuovo Stato». Un gesto di indisciplina politica plateale (e non erail primo), in quegli anni inconcepibile per qualsiasi altro rappre-sentante comunista presente nelle Istituzioni, ma che Marchesivolle e seppe compiere non soltanto perché in qualche modo eraprotetto dalla sua funzione intellettuale esterna al PCI, ma ancheperché in lui il nesso tra ragione critica e attività politica non erameno forte di quello tra passione politica e ricerca critica: il co-munista non rinunciava a essere intellettuale e dunque alla propriatotale libertà di giudizio, così come l’intellettuale non cessava diessere comunista, e anche nel momento del dissenso pubblico con-servava la convinzione che il suo partito fosse organo insostituibi-le «di vera ed effettiva democrazia e di costruzione nazionale».

Vediamolo, infine, questo militante comunista – giunto al Par-tito comunista d’Italia dall’originario anarchismo sulla spinta del-

VIII Prefazione

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la Terza Internazionale, con una fede sostenuta per decenni dalla«luce» dell’URSS staliniana, corroborata dalla straordinaria vitto-ria militare sul nazifascismo, alimentata dai successi del dopo-guerra: quelli che affascinavano non soltanto i comunisti, ma mi-lioni di uomini e donne in tutto il mondo, che comunisti non era-no o erano addirittura anticomunisti, eppure consideravano Giu-seppe Stalin una delle maggiori personalità positive della storiacontemporanea, vediamolo dunque dal podio dell’VIII Congres-so del PCI nel dicembre del 1956, due mesi prima di morire, lan-ciare la nota invettiva antikruscioviana, avvolta anch’essa nel con-sueto involucro retorico classicheggiante: «Tiberio, uno dei piùgrandi e infamati imperatori di Roma trovò il suo implacabile ac-cusatore in Cornelio Tacito, il massimo storico del principato. AStalin, meno fortunato, è toccato Nikita Krusciov».

Un’invettiva fulminante, nella forma e nella sostanza: incondi-visibile sia per il giudizio su Stalin sia per quello su Krusciov, iocredo. E, tuttavia, anche in questo episodio che documenta laprofonda interiorizzazione del mito di Stalin e del culto della per-sonalità – lo «stalinismo», se si preferisce, anche di Concetto Mar-chesi: a condizione che si collochi questa definizione nel contestodei riferimenti biografici e epocali sopra accennati – a me sembrache vi fosse in lui, nello stesso tempo, una componente di proble-maticità che gli riapriva la strada della «libertà intellettuale»: l’a-nalogia con Tiberio faceva infatti anche di Stalin un «imperatore»grande e infamato, ma dunque pur sempre un capo trasformato-si da princeps in dominus e, perciò, collocato al di fuori dei cano-ni della democrazia socialista e della libertà comunista di cui Mar-chesi era strenuo assertore.

Ognuno di questi spunti – non di altro si tratta – meriterebbedi divenire oggetto di confronti e di riflessioni assai più ap-profondite di quelle consentite da una prefazione, ma qui inte-ressava evidenziare di Concetto Marchesi un aspetto soltanto: ilsuo essere stato comunista sempre, e sempre «critico», persona-lità esemplare di un modo di intendere l’attività intellettuale e lamilitanza politica che ha segnato indelebilmente la storia del No-vecento, puntando a tenere insieme intellettuali e società in un ra-dicale disegno di trasformazione. Il militante comunista Marche-si restava pensatore libero, anche quando non era nel giusto, e in-sieme «risoluto uomo d’azione» (come egli stesso si definiva), ca-

Prefazione IX

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pace di assumersi fino in fondo le proprie responsabilità quandosi trattava di scegliere, capace di agire oltre che di pensare.

In questo senso, Marchesi è stato un rivoluzionario autentico.«Com’è fatto un rivoluzionario?» si è chiesta, parlando di lui, unastudiosa. E ha risposto: «Non ci sono formule. È fatto anche co-sì, come un grande latinista, un Rettore, che dopo aver formatogenerazioni di giovani, ha la forza di mandarli a combattere e diunirsi a loro, e ha tanta nobiltà interiore da ritenere massimo do-no della fortuna di perdurare nella loro memoria».

Ecco: perdurare nella memoria. Le generazioni che hanno co-nosciuto personalmente Marchesi; quelle che lo hanno udito pro-nunciare parole che i giovani di ogni generazione dovrebbero me-ditare perché, in forme diverse, la minaccia si ripete per tutte legenerazioni: «resistete contro gli addormentatori delle vostre co-scienze»; quelle che ne hanno potuto apprezzare la grandezza mo-rale e intellettuale, queste generazioni si stanno estinguendo. Ine-vitabilmente, la memoria individuale svanisce. Ma neppure ridu-cendo in rovina anche la memoria collettiva e spargendovi soprasale – per utilizzare un’immagine classica cara a Marchesi – si po-trà cancellare la realtà storica che fa del latinista insigne, del Ret-tore dell’Università di Padova, dell’agitatore di coscienze antifa-scista, un tutt’uno col militante comunista. Anche i discorsi par-lamentari che qui si pubblicano per trasmetterne la memoria isti-tuzionale lo documentano pienamente.

***

Anche se nel contesto di questa pubblicazione dei discorsi par-lamentari di Concetto Marchesi la componente più specificamen-te culturale e letteraria della sua figura non può non rimanere insecondo piano rispetto a quella politica, ad essa tuttavia va fattoriferimento. Costanti i suoi richiami all’antichità dinanzi alloscontro e alle temperie della politica. Memorabili la difesa di Ca-tilina dinanzi alle provocazioni ciceroniane in occasione del di-battito elettorale sulla legge truffa del 1953 e la già ricordata dife-sa di Tiberio di fronte al suo aspro critico, il grande Tacito, per faremergere la pochezza ruspante di Nikita Krusciov rispetto a Sta-lin. Il Tacito, apparso nel 1924, è ormai un classico della storio-grafia moderna. Un’opera elegante nel suo stile letterario, che me-

X Prefazione

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riterebbe oggi di essere riletta, ristampata e divulgata anche peralcune prospettive d’analisi innovative come l’approccio di tipopsicologico, che occupa il quinto capitolo. Si tratta di una ten-denza tipica di Marchesi e che agevolmente possiamo ritrovare inaltri scritti, come per esempio in quello dedicato a Giovenale, incui lo studioso siciliano mostra di subire tutto il fascino di un au-tore dotato di una straordinaria capacità di leggere con acutezzae amara disillusione gli aspetti deteriori della psicologia umana.

E sempre a proposito di Tacito, sebbene meno noto, apparemeritevole di menzione il discorso pronunciato il 10 ottobre 1942a Perugia nel Palazzo dei Priori. Un discorso denso di spunti po-lemici, che fecero terribilmente infuriare i fascisti presenti.

Comunque, sebbene possano apparire retoriche, sovente lepagine di Marchesi sono intrise di quella forte tensione moraleche ne contrassegnò la vita. Piace ricordarne una che lega indis-solubilmente la sua lettura dell’antichità classica con l’infuocatatemperie dei suoi tempi. A proposito della riflessione su gestiestremi come il suicidio per condannarne l’inutilità, anzi la dan-nosità, ricorre ai casi, diversi ed emblematici, di Catone l’Uticen-se e dell’imperatore Ottone nel 69 d.C., l’annus terribilis.

Il suicidio era predicato, oltre che praticato, nell’antichità; – scriveMarchesi in un articolo sull’«Unità» (29 ottobre 1953) – e Seneca, cheripone la libertà suprema della vita nella libertà che ha l’uomo di tron-carla, pone una lucida limitazione: quando non ci sia più lecito viverbene, cioè operare decorosamente, giudiziosamente, fortemente.Quando l’infermità del corpo ci avrà tolto la libertà dello spirito allo-ra provvederemo ad uscire da una esistenza miserevole, inutile e tor-mentosa. Così Seneca stoico. Ma Catone stoico non era in tale condi-zione; e Ottone imperatore, nemmeno.

Sono righe cristalline, in cui affiora prepotente la repulsione diMarchesi verso il suicidio come atto incapace di poter essere ad-ditato come esempio, come gesto esemplare, ancor meno nella suavalenza politica di reazione contro la prevaricazione del nemico eil dispotismo:

Uccidersi non è essere uccisi: il suicidio non è una testimonianza,cioè un martirio. Il martirio è la lotta che continua formidabile: il sui-cidio è la disfatta. L’umanità si scopre dinanzi alla fossa dei vinti che

Prefazione XI

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hanno troncato la propria esistenza; ma, nella vita attiva, essa può met-tersi al seguito di un ucciso, non di un suicida.

In queste parole taglienti come una lama, in questa conclusio-ne limpida e al tempo stesso aspra, ciascuno può comprendere si-no in fondo la cifra della sua durissima tempra di combattente.

E ancora, le pagine su Lucrezio, o quelle elegantissime dei gra-devoli volumetti elzeviriani dedicati a Petronio, a Marziale e aGiovenale, gli interventi in difesa del latino, la sua infaticabile at-tività di filologo e curatore di edizioni critiche e di traduttore deiclassici latini, insomma, ci scolpiscono esemplarmente a tutto ton-do la figura del raffinato latinista e del poderoso intellettuale mi-litante.

Nello Ajello, nel tracciare su «Repubblica» del 5 febbraio 2007un brillante profilo di Marchesi, richiamate la non simpatia diAmendola, che lo bollava come settario e ingenuo, e la freddezzadi Luigi Longo, che mai gli perdonò l’accettazione della carica direttore nei mesi di Salò, chiude soffermandosi sul bel libro di Lu-ciano Canfora, La sentenza, edito da Sellerio nel 1985, e ripubbli-cato dal medesimo editore vent’anni dopo nel 2005, dedicato alruolo di Marchesi nell’uccisione di Giovanni Gentile. L’analisi va-sta e approfondita delle «molte e diverse matrici» dell’attentato aGentile, l’attribuzione a Marchesi della responsabilità morale epolitica di aver pronunciato pubblicamente la condanna a mortedel filosofo, la stessa definizione canforiana di Gentile «martire co-modissimo», ha finito per far prevalere, nello scontro mortale trai due grandi siciliani, Gentile su Marchesi. E così l’implicita con-danna di quest’ultimo, reo di aver fortemente contribuito a priva-re l’Italia di uno dei suoi più brillanti intellettuali di tutti i tempi,che affiora dalle pagine del libro di Canfora, appare talmente du-ra che forse non si sbaglia nel credere che proprio l’attenzione diun critico e intellettuale della levatura di Luciano Canfora abbiaaddirittura contribuito ad aggravare il silenzio su Marchesi.

Qualche anno prima, in un articolo apparso su «Quaderni distoria» del 1979, e poi ripubblicato in Le vie del classicismo(1989), Canfora addebitava a Marchesi addirittura un ingenuo earcaico socialismo, una rigida ortodossia priva di una reale pro-fondità culturale, arcaici influssi contadini derivanti dal verismo

XII Prefazione

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verghiano, e via dicendo. Credo però che almeno in quest’ultimarappresentazione ci troviamo dinanzi a un Marchesi mai esistito.Tant’è che in pagine recentissime – apparse nel volume ConcettoMarchesi e l’Università di Padova – lo stesso Canfora con chiara enetta onestà intellettuale e di storico rivede ampiamente il suoprecedente verdetto, per riconoscere finalmente un Marchesi acui erano «chiarissimi i limiti del massimalismo parolaio di tantaparte del socialismo italiano, per il quale – come ebbe a scrivereGramsci – Carlo Marx era stato più che altro un santo al capez-zale, un nome senza soggetto, una medaglia, una cartolina illu-strata, un liquore!». Canfora ora ammette «il plesso letterario» deitesti di Marchesi, il suo «tono verghiano neo-realista», le «lettureche lo hanno formato», ma non nega affatto il ruolo cristallino efondamentale di Marchesi quale intellettuale e combattente «conl’arma che gli era propria: l’arma della parola. Ma una parola li-bera e perciò anche inattaccabile pur nella circostante cattività:estranea ai gerghi e proprio perciò più efficace e trascinatrice».Una rivalutazione dunque della figura di Concetto Marchesi, percerti versi sorprendente, inaspettata e per questo forse ancor piùpiacevole.

Tuttavia, mi sembra che ancora qualche precisazione sia neces-saria, perché c’è qualcosa che è sfuggita e ancora sfugge alla criti-ca, e che invece da tempo abbiamo sotto gli occhi: l’elemento sino-ra non afferrato ci è offerto dal biografo di Concetto Marchesi, EzioFranceschini, in quel libro ancora fondamentale per la compren-sione dello studioso, e che noi possiamo lapidariamente rintrac-ciare subito nel sottotitolo Linee per l’interpretazione di un uomoinquieto: l’inquietudine appunto. Un’inconsueta chiave di letturadel Marchesi politico e intellettuale, ripresa anche nel saggio suc-cessivo di Giovanni Salmeri; uno dei motivi più ricorrenti in lui, neisuoi discorsi, nelle sue lettere, nei suoi scritti. Inquietudini dell’a-nimo che si infittiscono nel declino degli anni e sono riconducibilialla radice stessa dell’esistere. Nell’epistolario con Manara Valgi-migli, l’amaro sorriso di Marchesi, che da buon epicureo si vale del-la «memoria per dare una tinta di cielo alla cupezza del presente»(27 agosto 1955) non lascia indifferenti. Nel 1955 il vecchio leoneè ormai davvero stanco, eppure non gli riesce di pacificare l’animosuo. Non è vero che gli anni tardi riescano ad assopire le inquietu-dini: espressioni come «bisogna aspettare» o «la pace verrà poi»

Prefazione XIII

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aprono al lettore, all’interprete di Marchesi, il tormento della suavisione del mondo. Tutto ciò purtroppo è assente nel Marchesi cheuna superficiale vulgata politica e storiografica suole proporre:nessuna adesione con quel Marchesi che storicamente generazionidi italiani hanno direttamente conosciuto o che, come ha con one-stà riconosciuto Leonardo Sciascia, si sono formati sulle mirabilipagine della sua Storia della letteratura latina. Quel Concetto Mar-chesi «studioso e maestro», ma anche «risoluto uomo d’azione»,che nella sua lunga vita fece del partito, dell’università e della ri-cerca gli strumenti fondamentali per l’affermazione della giustiziasociale, della libertà dell’uomo, degli studi e dell’indipendenza diogni coscienza da qualunque potere e prevaricazione.

On. Severino Galante

On. Orazio Licandro

XIV Prefazione

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CONCETTO MARCHESI, OVVERO DELLA PASSIONE E DELL’INQUIETUDINE DI UN COMUNISTA ITALIANO

di Giovanni Salmeri

L’impegno politico

Quando nel 1946 Concetto Marchesi, famoso latinista, fu elettonelle file del Partito comunista italiano all’Assemblea Costituenteaveva quasi settant’anni, e alle sue spalle era una vita densa di scelteed eventi, di momenti drammatici, di amicizie, di testi letti e scritti.

Cinquant’anni prima, nel 1896, a Catania, sua città natale1, erastato messo in prigione a causa di un articolo apparso nel giugnodel 1894 sulla rivista «Lucifero»2 che egli stesso dirigeva, in cui eraevidenziato il «furore ideologico» che conduceva al patibolo glianarchici parigini, e che gli costò l’accusa di apologia di reato e dieccitamento all’odio di classe. Mentre si trovava in carcere perscontare il mese di pena comminatogli se ne guadagnò un altro peroltraggio a pubblico ufficiale, per aver cioè dato del «rospo» ad unaguardia carceraria che lo insolentiva3. Per un tale comportamentolibero e fiero e per il favore mostrato verso gli anarchici pariginiMarchesi fu ritenuto dalle autorità di polizia catanesi un anarchi-co, come pure spingerebbero a giudicarlo alcune delle poesie – Aimalfattori, ad esempio – pubblicate nella sua raccolta di versi Bat-taglie4. Marchesi, comunque, a partire dal 1895 fu iscritto al Parti-

1 Concetto Marchesi nacque a Catania il 1° febbraio 1878 e morì a Roma il12 febbraio 1957.

2 La condanna per l’articolo su «Lucifero» divenne esecutiva nel 1896 alcompimento del diciottesimo anno da parte dell’autore.

3 Cfr. E. Franceschini, Concetto Marchesi. Linee per l’interpretazione di unuomo inquieto, Antenore, Padova 1978, pp. 2-3.

4 Battaglie. Versi, Tipografia dell’Etna, Catania 1896.

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XVI Concetto Marchesi, passione e inquietudine di un comunista italiano

5 Secondo la testimonianza di Matteo Gaudioso (Atti Parlamentari, Came-ra dei deputati, Legislatura II, Seduta del 14 febbraio 1957, p. 30841) Marche-si si sarebbe accostato al socialismo dopo che, appena tredicenne, il 24 marzo1891 aveva ascoltato a Catania un comizio di Amilcare Cipriani ed era stato«preso dal fascino della sua parola accorata e fantasiosa».

6 In Franceschini, Concetto Marchesi, cit., pp. 118-19: in queste due pagineè riportata una precedente versione dell’incipit del famoso discorso Perché sonocomunista tenuto dal nostro al Teatro Nuovo di Milano il 5 febbraio 1956, e ri-prodotto in C. Marchesi, Umanesimo e comunismo, a cura di M. Todaro-Faran-da, Editori Riuniti, Roma 19742, pp. 29-40. Qui (p. 30) al termine «odio» dellaversione citata nel testo è sostituito «rancore». Negli stessi anni di fine Otto-cento dell’adesione al socialismo di Marchesi, a Catania fu pubblicato un note-vole contributo sull’opera di Marx: V. Giuffrida, Il III volume del «Capitale» diKarl Marx. Esposizione critica, Giannotta, Catania 1899. Lo stesso V. Giuffridaè ricordato in uno dei discorsi parlamentari di Marchesi; cfr. infra, nota 152.

7 Cfr. M. Gaudioso, Atti Parlamentari, Camera dei deputati, Legislatura II,Seduta del 14 febbraio 1957, p. 30841.

8 Cfr. C. Marchesi, Interventi al consiglio comunale di Pisa (luglio/dicembre1908), a cura di R. Cingottini, P. Turini, Amministrazione provinciale, Pisa1978, pp. 13, 30, 41: qui Marchesi si definisce «socialista».

9 Ivi, p. 41; per l’intervento relativo all’ospedale si vedano le pp. 32-38.

to socialista5, a ciò spinto – secondo la sua testimonianza – dal-l’«odio» destatogli dalla condizione di profondo sfruttamento deicontadini della piana di Catania, e poi anche dalla lettura, negli an-ni del ginnasio e del liceo, di Mazzini e di Proudhon, e soprattuttodell’opera principale di Marx, in compendio però. Quanto al Ma-nifesto, egli dice di aver compreso da esso «che una guerra era co-minciata per una infallibile vittoria; [...] che non esistevano per ilproletariato in lotta battaglie perdute»6.

Nel 1902 Marchesi risulta indagato dalla polizia di Catania co-me socialista internazionalista7, ma nel 1908 con una svolta in di-rezione più moderata lo ritroviamo a Pisa consigliere comunalesocialista, eletto in una lista democratica8: nella città toscana eraapprodato come professore di latino e greco dopo che aveva con-cluso a Firenze gli studi universitari di lettere iniziati a Catania edopo che aveva insegnato tra il 1902 e il 1906 nei licei di Veronae di Messina. Dagli interventi pronunciati dai banchi dell’opposi-zione al consiglio comunale pisano da un lato Marchesi appare in-flessibile nella denuncia della situazione di degrado dell’ospedalecittadino e nettamente contrario «a qualsiasi atto che possa con-durre ad una lotta di popolo ed a scene selvagge di guerra»9, e dal-l’altro si mostra pieno di spirito di collaborazione, oltre che di sug-

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gerimenti, nella discussione del Regolamento scolastico locale10:è in sostanza un politico già capace di combinare – come sarà piùtardi all’Assemblea Costituente e alla Camera dei deputati nelleprime due legislature repubblicane – una strenua fedeltà ai prin-cipi e agli ideali democratici e socialisti con un notevole pragma-tismo e capacità di dialogo in particolare per tutto quanto riguar-da la scuola. Nello stesso 1908, che lo vide consigliere comunalea Pisa, in un articolo dedicato a difendere il poeta latino Oraziodall’accusa di essere un poeta cortigiano, Marchesi introduce del-le notazioni che possono aiutare a comprendere la sua idea di so-cialismo in quel torno di tempo:

La società umana si svolge per la forza della produzione e per im-peto di moltitudini. Chi più lavora si affermerà su chi meglio lavora.Dicono sarà questo un bisogno morale e storico delle collettività. Pos-siamo riconoscerlo anche noi; ma niuno ci distoglierà per questo dal-le considerazioni e dai sorrisi amari; niuno c’impedirà dal reclamaresempre per ciascuno di noi il divorzio spirituale dalle moltitudini. An-che oggi si può essere socialisti per sincerità di dottrina economica eper buona notizia dei procedimenti sociali; così come il geologo puòprevedere una eruzione e il fisico una tempesta: senza che affermi per-ciò il beneficio o la bellezza del fenomeno naturale che si compirà11.

Il socialismo cioè in un’ottica meccanicistica è qui consideratoda Marchesi come un evento «giusto» e ineluttabile, ma egli è lun-gi dall’attribuire al «trionfo della moltitudine» – almeno nelle pri-me fasi – una dimensione di reale progresso e avanzamento, inspecie nel campo dell’arte e della poesia12. Questa posizione ap-pare lontana dal socialismo umanitario e anarchicheggiante delgiovane Marchesi e molto probabilmente fu influenzata, come hasostenuto Sebastiano Timpanaro13, dall’atmosfera antisocialistache caratterizzò la parte finale del primo decennio del Novecen-to, portando non pochi degli intellettuali italiani – che al sociali-

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10 Ivi, pp. 18-26.11 C. Marchesi, Q. Orazio Flacco, poeta cortigiano? («Rivista d’Italia», XI,

1908, 1, pp. 908-23), in Id., Scritti minori di filologia e letteratura, vol. II,Olschki, Firenze 1978, p. 558.

12 Ivi, p. 561.13 S. Timpanaro, Il «Marchesi» di Antonio La Penna, in «Belfagor», XXXV,

1980, p. 661.

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smo si erano accostati nell’ultimo scorcio del secolo precedente altempo dei governi repressivi di Crispi e Pelloux – ad allontanar-sene. Marchesi, comunque, non uscì dalle file socialiste e vi restò,attraversando gli anni della prima guerra mondiale, «fino al 1921in cui bisognò per salvare il socialismo staccarsi dal corpo malatoe passare al comunismo, cioè al partito essenzialmente operaio»14.

L’uso della metafora medica per indicare il proprio passaggiodal socialismo al comunismo indica apertamente il tipo di menta-lità fortemente radicata nella cultura tardo-positivista da cui Mar-chesi mosse per l’iscrizione al nuovo partito nel gennaio del 1921,dopo aver partecipato al Congresso di Livorno. Egli fu un segua-ce di Bordiga, come mostrano bene sia la sua accettazione con-vinta del punto di vista che stabiliva una perfetta equivalenza trafascismo e democrazia borghese15 sia più in generale un certo ap-proccio schematico alla dinamica politica che poteva farlo giudi-care – come scrive Giorgio Amendola – settario e intrasigente16. Isuoi bruschi irrigidimenti classisti furono attribuiti ancora daGiorgio Amendola17 all’antica formazione socialista. Nel Mar-chesi iscritto al Partito comunista, comunque, è stata sempre as-sente un’ottica compiutamente marxista nell’analisi della con-temporanea vicenda politica ed economica18: egli rimase fermo al-la lettura giovanile del Manifesto e di Marx nel compendio del La-fargue19 senza andare oltre, ed è indicativo in tal senso che in unalettera a Benedetto Croce del 193120 parli di un proprio «immo-

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14 In Franceschini, Concetto Marchesi, cit., p. 119.15 Cfr. L. Canfora, La sentenza. Concetto Marchesi e Giovanni Gentile, Sel-

lerio, Palermo 1985, pp. 13-14 (nel 2005 l’opera è stata riedita da Sellerio conun nuovo saggio iniziale dell’autore); Id., Concetto Marchesi, in C. Marchesi, Illibro di Tersite, Sellerio, Palermo 1993, pp. 196-97.

16 G. Amendola, Lettere a Milano, Editori Riuniti, Roma 1974, p. 104.17 Riportato in Canfora, La sentenza, cit., p. 31.18 Cfr. A. La Penna, Concetto Marchesi. La critica letteraria come scoperta del-

l’uomo, La Nuova Italia, Firenze 1980, p. 13; Timpanaro, Il «Marchesi» di An-tonio La Penna, cit., p. 632; P. Treves, Concetto Marchesi letterato italiano, inId., Tradizione classica e rinnovamento della storiografia, Ricciardi, Milano-Na-poli 1992, p. 393.

19 Cfr. supra, nota 6. Il compendio a cui fa riferimento Marchesi, anche setale non può propriamente dirsi, è certamente C. Marx, Il capitale, estratti diPaolo Lafargue con introduzione critica di Vilfredo Pareto e replica di Paolo La-fargue, Remo Sandron, Palermo 1896.

20 Riportata in Treves, Concetto Marchesi letterato italiano, cit., p. 392, nota 2.

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bile spirito marxista». Né del marxismo di Marchesi appare esse-re stato convinto lo stesso Palmiro Togliatti che, nel discorso incui lo commemora alla Camera dei deputati, con suprema mae-stria retorica dichiara in un primo tempo di non credere «giusta»l’affermazione che egli non fu un marxista, aggiungendo subitodopo di riconoscere che «il tema merita ricerca più attenta diquanto non possa farsi qui ora»21. Quando, insomma, i contem-poranei parlano di Marchesi come di un «marxista» il termine– secondo un uso alquanto diffuso nei decenni centrali del secoloscorso – non significa niente di più che comunista.

Nel 1915, sei anni prima dell’iscrizione al Partito comunistaMarchesi aveva vinto la cattedra di letteratura latina all’Univer-sità di Messina, che avrebbe lasciato nel 1923 per passare a Pa-dova22. Nella città veneta insegnò per quasi trent’anni, svilup-pando con essa e i suoi abitanti un profondissimo legame. E l’A-teneo padovano e più in generale l’Università furono al centrodella vita e degli interessi pubblici di Marchesi nella veste di pro-fessore, di rettore per intensi e brevi momenti, e poi – pur se inmisura minore – di parlamentare nell’ultimo decennio di vita.

L’Università fu per lui – come sostiene nella relazione per l’i-naugurazione dell’anno accademico 1943-44 pronunziata da ret-tore dell’Ateneo padovano in drammatiche circostanze – «un or-gano sempre più vitale che s’inserisce continuamente nella na-zione rinnovandone e fortificandone le energie. L’Università è si-curamente la più alta palestra intellettuale della gioventù: dovesorgono lenti o impetuosi i problemi dello spirito, dove gli ani-mi sono più intenti a conoscere e a riconoscere quelle che reste-ranno forse le verità fondamentali dell’esistenza individuale»23.Questa convinzione Marchesi la ebbe salda per tutta la sua vita,e ad essa si aggiunse l’altra per cui l’Università «è la rocca chedomina e alimenta il mondo tutto del lavoro». Quel mondo dellavoro a cui «da ogni parte si guarda [...] come al regno attesodella giustizia»24.

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21 P. Togliatti, Atti Parlamentari, Camera dei deputati, Legislatura II, Se-duta del 14 febbraio 1957, p. 30384.

22 Franceschini, Concetto Marchesi, cit., pp. 14-16.23 La relazione di Marchesi è riportata per intero ivi, pp. 172-75; la citazio-

ne è alle pp. 173-74.24 Ivi, rispettivamente alle pp. 174 e 175.

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Nell’Università vengono dunque a convergere quelli che sonogli ideali più alti di Marchesi, e in perfetta consonanza con ciò egliattribuì la massima importanza al momento dell’insegnamento, almomento cioè del contatto con gli studenti: «noi maestri abbiamoil dovere di rivelarci interi, senza clausure né reticenze, a questigiovani che a noi chiedono non solo quali siano i fini e i procedi-menti delle particolari scienze, ma che cosa si agita in questo pu-re ampio e infinito e misterioso cammino della storia umana»25.Marchesi fu un professore di grande carisma come risulta da va-rie testimonianze di suoi studenti26, e dal fatto che molti che neavevano seguito le lezioni continuavano a cercarlo e a mantenereil contatto con lui. Non fu invece un ‘accademico’ nel senso, tipi-co del nostro paese, del creatore di una ‘scuola’, destinata trami-te i discepoli a propagarsi – non sempre per il bene della scienza –sul territorio nazionale27.

Per un uomo come Marchesi che guardava all’Università co-me luogo dell’insegnamento più che della ricerca dovette allora ri-sultare impossibile rinunziare alla propria cattedra quando ai pro-fessori di tutti gli atenei italiani nei mesi finali del 1931 fu richie-sto il giuramento di fedeltà al regime fascista, pena la decadenzadal posto28. Gli anni delle indagini in biblioteca sui codici medie-vali e umanistici erano ormai lontani29, e senza le lezioni di lette-ratura latina tenute al mattino dalle 11 alle 12 nell’aula E del pa-

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25 Ivi, p. 174.26 Cfr. E. Pianezzola, La parola come creatrice di storia. Analisi del discorso

inaugurale, in G. Zaccaria (a cura di), Concetto Marchesi e l’Università di Pado-va, CLEUP, Padova 2007, p. 20.

27 Acute riflessioni sul rapporto maestro-allievo nell’Università italiana co-me fondamento di un sistema di potere si leggono in P. Viola, Oligarchie. Unastoria orale dell’Università di Palermo, Donzelli, Roma 2005. Il rapporto traMarchesi ed Ezio Franceschini, l’unico che possa definirsi suo allievo, non ap-pare riconducibile a questo schema, anche per la sua forte caratterizzazione intermini affettivi, per di più il secondo insegnava letteratura latina medievale, ilprimo invece letteratura latina; cfr. Franceschini, Concetto Marchesi, cit., p. 30.Franceschini e Marchesi inoltre, uno cattolico e l’altro comunista, collaboraro-no proficuamente nell’attività partigiana durante la Resistenza. Cfr. infra.

28 Cfr. H. Goetz, Il giuramento rifiutato. I docenti universitari e il regime fa-scista, La Nuova Italia, Firenze 2000; M. Boatti, Preferirei di no. La storia dei do-dici professori che si opposero a Mussolini, Einaudi, Torino 2001.

29 Su questi studi condotti agli inizi del Novecento, cfr. La Penna, ConcettoMarchesi, cit., pp. 15-22; Canfora, Concetto Marchesi, cit., pp. 193-95.

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lazzo centrale dell’Università di Padova30 nei bui anni del fasci-smo la sua vita sarebbe stata vuota.

La scelta di Marchesi di prestare il giuramento non fu per nul-la indolore: anche se dal 1923 aveva vissuto a Padova «quasi a do-micilio coatto per non aver mai voluto aderire al Partito naziona-le fascista»31, tuttavia non sperimentò mai a pieno la violenza delregime fino a quel 1931, quando per continuare a fare ciò che da-va un senso ai suoi giorni, e gli consentiva di mantenere la fami-glia, fu costretto a chinare la testa e a dire di sì alla richiesta di unuomo e di un partito che non aveva mai accettato e che non avreb-be mai accettato. Lo stesso tipo di rabbia che da ragazzo lo avevapreso dinanzi allo sfruttamento dei contadini della piana di Cata-nia, o dinanzi alla guardia carceraria che lo insolentiva, dovetteimpadronirsi di lui, e rendere incancellabile l’astio per coloro chelo avevano costretto ad abdicare – anche se per il solo attimo delgiuramento – ai suoi principi e al suo credo politico32. Né a miti-gare il rovello, a ‘lavare’ la macchia33 poteva bastare a Marchesil’intervento di Togliatti – se mai ci fu – che, secondo la testimo-nianza di Giorgio Amendola, lo avrebbe invitato a nome del par-tito a restare al suo posto «per mantenere un contatto con la gio-ventù e svolgere una certa funzione educatrice»34.

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30 Cfr. Franceschini, Concetto Marchesi, cit., p. XI.31 Cfr. ivi, p. 16.32 La rabbia per la costrizione al giuramento che prese Marchesi dovette es-

sere talmente forte da renderlo ‘cieco’ ancora dopo molti anni. Nella lunga di-chiarazione che, poco dopo l’entrata clandestina in Svizzera (infra), egli rese alladivisione di polizia di Bellinzona l’11 febbraio 1944, scrive infatti sbagliando, esubito dopo cancella: «J’étais inscrit, obligatoirement, à l’ancien parti fasciste»(cfr. Canfora, La sentenza, cit., pp. 19-20). L’errore è dato dal fatto che l’iscrizio-ne al Partito nazionale fascista non era obbligatoria per un professore universita-rio come Marchesi entrato in ruolo ben prima della Marcia su Roma, mentre lo fuil giuramento di fedeltà al regime; Marchesi sapeva benissimo tutto ciò se non al-tro per esserci passato personalmente, e dunque il suo lapsus non si può spiegarese non come un effetto del ritorno dell’antica rabbia mai superata per la costri-zione subita, e insieme del desiderio di eliminare il doloroso ricordo del giura-mento. Tendenziosa appare l’interpretazione della cancellazione di Marchesi inP. Battista, Cancellare le tracce, Rizzoli, Milano 2006, p. 101.

33 Cfr. L. Canfora, Intellettuali e trasformismo. Tutti gli eredi di Seneca, in«Corriere della Sera», 24 settembre 2007, p. 37.

34 Amendola, Lettere a Milano, cit., p. 101; Canfora, La sentenza, cit., p. 15,ritiene la testimonianza di Amendola «di sapore patriottico», e dunque giusta-mente le attribuisce scarso valore.

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Marchesi – come s’è detto – non volle aderire al Partito nazio-nale fascista, e per questa ragione non solo ebbe a patire alcunerestrizioni nella sua permanenza padovana, ma anche nel 1936non si vide rinnovato l’incarico di letteratura latina che teneva aCa’ Foscari a Venezia, e nel 1938 non fu nominato membro effet-tivo dell’Istituto Veneto35. Ad ogni modo non accettò mai condi-zionamenti nel suo insegnamento, e si espresse sempre con gran-de libertà dentro e fuori le aule. In particolare negli ultimi anni delregime, all’inizio dell’ottobre 1942, Marchesi diede alla sua com-memorazione di Tacito tenuta a Perugia un tono fortemente anti-tedesco, che fu apprezzato dal pubblico, ma non dal rettore del-l’Università Paolo Orano, che uscì furente dalla sala36. Nella tar-da primavera del 1943, invece, Amendola ce lo presenta all’usci-ta di una lezione «nel vivo di una conversazione tutta orientatasulle prospettive della guerra e sul commento delle ultime notizietrasmesse dalla radio. Non si levava una voce che non fosse anti-fascista, e nessuno manifestò la preoccupazione di poter essere ar-restato o censurato». Lo stesso Amendola ricorda, inoltre, la di-scussione, accanita come al solito, che si svolse subito dopo «trail liberale crociano Antoni e il marxista Marchesi» in una tratto-ria frequentata da professori e studenti37.

Un argomento sul quale non si hanno pressoché elementi pergiudicare è quello dei rapporti di Marchesi con il Partito comuni-sta clandestino negli anni del regime. Bisogna contentarsi di quan-to sostiene Amendola: fin dal 1932 egli avrebbe saputo che il pro-fessore era un «comunista sicuro»38. Nella primavera del 1943,comunque, Marchesi appare in collegamento con l’organizzazio-ne di partito, e nella prima fase della cospirazione antifascista, an-teriore al 25 luglio, iniziò un’opera di intesa e collegamento tra uf-ficiali di stanza nell’Italia settentrionale e gruppi clandestini anti-fascisti. Incontrò inoltre segretamente a Ferrara, insieme al re-pubblicano Cino Macrelli, il generale Raffaele Cadorna, coman-

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35 Cfr. Franceschini, Concetto Marchesi, cit., pp. 23-25. Qui va anche ricor-dato che nel 1935 Marchesi giurò fedeltà al regime secondo quanto richiesto dalnuovo statuto (11 ottobre 1934) dell’Accademia dei Lincei di cui era socio, cfr.Canfora, La sentenza, cit., p. 16; cfr. anche infra, pp. 38, 134-35.

36 Cfr. Franceschini, Concetto Marchesi, cit., p. 30.37 Cfr. Amendola, Lettere a Milano, cit., p. 102.38 Cfr. ivi, p. 101.

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dante della divisione Ariete, per interrogarlo sulle mosse dell’e-sercito nel caso di azioni volte a determinare la caduta del fasci-smo. Tramite il già nominato collega Carlo Antoni stabilì un con-tatto con la casa reale, e partecipò infine a Milano ad alcune riu-nioni segrete dei partiti antifascisti39. In queste occasioni Mar-chesi, pur mantenendo una posizione intransigente sulla dimen-sione rivoluzionaria del Partito comunista, mostrò uno spirito d’i-niziativa e una duttilità non indifferenti40, che troveranno riscon-tro nel suo futuro impegno di parlamentare.

Dopo il 25 luglio 1943 e la caduta del fascismo ebbe inizio lafase più intensa della vita di Marchesi, che durò più di un anno.Egli stesso, per il periodo che va dal 1° settembre 1943 alla finedel 1944, si definì «risoluto uomo d’azione»41, e scrisse: «Quan-do fuori dalla nostra porta l’onda politica ci travolge [...], quandoun impeto di fede o di riscatto ci trascina all’azione, allora noicompiamo la poesia della nostra vita e siamo noi i poeti della no-stra giornata»42. L’occasione di passare all’azione fu offerta a Mar-chesi dalla nomina, il 1° settembre 1943, da parte del governo Ba-doglio a rettore dell’Università di Padova43. L’assegnazione di ta-le ruolo consentì al professore di letteratura latina di mettere inluce tutte le sue qualità di abile mediatore e ancor più di uomo fie-ro e deciso, che aveva cominciato a rivelarsi fin dagli anni giova-nili quando si accostò al socialismo mentre era in atto la reazionecrispina contro il movimento dei Fasci dei lavoratori44.

Nominato dunque rettore a Padova all’inizio di settembre, po-co dopo – il giorno 15 dello stesso mese – in seguito all’occupa-zione tedesca della città Marchesi presentò le proprie dimissionidalla carica. Esse però vennero respinte – in primo luogo per l’au-torevolezza e il prestigio del personaggio – da Carlo Alberto Big-gini, ministro dell’Educazione nazionale della Repubblica Socia-le, che nel frattempo si era stabilita nell’Italia centro-settentriona-

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39 Cfr. ivi, pp. 101-107; Franceschini, Concetto Marchesi, cit., pp. 101-102,204-205; Canfora, La sentenza, cit., pp. 21-24.

40 Cfr. Canfora, La sentenza, cit., pp. 27-28, 32.41 In Pianezzola, La parola come creatrice di storia, cit., p. 20.42 In Canfora, La sentenza, cit., p. 13.43 Cfr. Franceschini, Concetto Marchesi, cit., pp. 104-105.44 È da ricordare il poemetto di Marchesi dedicato ai lavoratori caduti per

la repressione crispina contenuto in Battaglie, cit.

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le45. Cominciarono così i tre mesi che videro Marchesi guidarel’Università di Padova e nello stesso tempo costruire in una cittàcontrollata dai tedeschi – insieme al giurista Silvio Trentin e al suoprorettore, il farmacologo Egidio Meneghetti – il CLN del Vene-to. Le condizioni che Marchesi pose a Biggini per restare al pro-prio posto furono che le autorità politiche e militari non interve-nissero in alcun modo nell’Università e che la nomina del senatoaccademico fosse di sua competenza. In cambio avrebbe garanti-to l’ordine interno46. Su queste basi il rettore intendeva realizzarela sua idea che l’Ateneo padovano divenisse un sicuro centro or-ganizzativo e propulsivo di lotta contro il fascismo.

Alla scelta di Marchesi di restare al proprio posto di rettore sioppose seccamente il suo partito: come scrive Luigi Longo «eglifu duramente criticato dalla direzione di Milano [...], e colpito dagrave misura disciplinare, perché quell’accettazione contravveni-va alla disposizione di boicottare in tutti i modi il tentativo del go-verno repubblichino di darsi una faccia rispetto al vecchio gover-no fascista»47. Lo stesso Longo, inoltre, in una lettera di poco suc-cessiva ai fatti, nota che nel caso di una eventuale partecipazionedei comunisti ad un governo democratico non avrebbero dovutofarvi parte figure «come Marchesi ed altri la cui personalità non ècostituita dalla loro milizia di partito, ma da altri elementi»48. Insostanza, l’autonomia del professore, e rettore, di Padova non eraben vista dal partito.

Al di là delle censure dei propri compagni, comunque, il ret-torato di Marchesi ebbe un ruolo importante nell’avvio della lot-ta antifascista in Veneto, e la sua fermezza divenne un modello dicomportamento per molti che in quella furono impegnati. AlMarchesi rettore si deve inoltre uno degli esempi più significatividell’oratoria italiana del secolo scorso: la già citata relazione, cioè,del 9 novembre 1943, letta per l’inaugurazione dell’anno accade-mico 1943-4449. Dopo aver respinto – incitato dal pubblico stu-dentesco e con l’aiuto del prorettore Egidio Meneghetti – l’incur-

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45 Cfr. supra, nota 43.46 Cfr. Canfora, La sentenza, cit., pp. 69-70, 76-78.47 L. Longo, I centri dirigenti del PCI nella Resistenza, Editori Riuniti, Ro-

ma 1974, p. 14.48 Ivi, p. 178. La lettera è del 6 dicembre 1943.49 Cfr. supra, nota 23.

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sione di un gruppo di fascisti armati, che intendevano impedire oquanto meno disturbare lo svolgimento della cerimonia50, pro-nunziò un discorso che, in un crescendo continuo, muove dal re-soconto della vita dell’Ateneo nel precedente anno accademico al-l’affermazione della centralità dell’Università nella vita della na-zione e del suo fondamentale contributo al mondo del lavoro51,per concludersi con l’invito rivolto ai giovani a confidare nell’Ita-lia, pur nella drammatica fase bellica che essa allora attraversava.

Giovani, confidate nell’Italia. Confidate nella sua fortuna se saràsorretta dalla vostra disciplina e dal vostro coraggio: confidate nell’I-talia che deve vivere per la gioia e per il decoro del mondo, nell’Italiache non può cadere in servitù senza che si oscuri la civiltà delle genti.In questo giorno 9 novembre dell’anno 1943 in nome di questa Italiadei lavoratori, degli artisti, degli scienziati io dichiaro aperto l’anno722° dell’Università padovana52.

Queste parole finali del discorso di Marchesi, al pari di altripassi in esso contenuti, potevano essere accettate senza problemidal ministro dell’Educazione nazionale della Repubblica Sociale,Biggini53, presente in forma privata alla cerimonia, ma tutta la se-zione relativa al lavoro ha una forza che, ben oltre ogni matrice ri-sorgimentale e mistico-umanitaria, discende – mettendola in per-fetta evidenza – dalla militanza comunista dell’oratore, ‘illumina-ta’ dal mito della rivoluzione russa e delle sue realizzazioni.

Il lavoro c’è sempre stato nel mondo, anzi la fatica imposta comeuna fatale dannazione. Ma oggi il lavoro ha sollevato la schiena, ha li-berato i suoi polsi, ha potuto alzare la testa e guardare attorno e guar-dare in su; e lo schiavo di una volta ha potuto gettare le catene che av-vincevano per secoli l’anima e l’intelligenza sua. Non solo una molti-tudine di uomini, ma una moltitudine di coscienze è entrata nella sto-ria a chiedere luce e vita e a dare luce e vita54.

50 Cfr. N. Bobbio, La mia Italia, a cura di P. Polito, Passigli, Firenze 2000,pp. 195-203.

51 Cfr. supra, note 23 e 24.52 In Franceschini, Concetto Marchesi, cit., p. 175.53 Cfr. Canfora, La sentenza, cit., pp. 78-80.54 In Franceschini, Concetto Marchesi, cit., pp. 174-75.

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Dopo il discorso di Marchesi del 9 novembre la situazione a Pa-dova precipitò: ripetuti furono gli scontri fra gli studenti e la mili-zia fascista, e le autorità tedesche decisero di fare arrestare il retto-re. Questi, però, riuscì a sfuggire al pericolo, e diede le sue dimis-sioni dalla carica con una lettera scritta il 28 novembre, ma datatail 30, in cui tra l’altro si legge: «è responsabilità tutta mia se non in-tendo apparire collaboratore di un governo da cui mi distacca unacapitale e insanabile discordia»55. Nella stessa data del 28 novem-bre Marchesi scrisse il famoso appello agli studenti, datato 1° di-cembre, e qualche giorno dopo diffuso a Padova in migliaia di co-pie. Il 29 novembre infine lasciò in treno, nascostamente, Padova,e si recò a Milano, dove visse in clandestinità per alcuni mesi e dadove, nei primissimi giorni di febbraio o addirittura alla fine delgennaio 194456 passò avventurosamente in Svizzera.

L’appello agli studenti, pur nella sua brevità, costituisce an-ch’esso, come il discorso inaugurale appena citato, un punto fermodella nostra oratoria del secolo scorso57 ed è stato più volte analiz-zato. Vi si è notata, per esempio, la presenza della metafora del«tempio» per fare riferimento all’Università58, il ricorrere più diuna volta del termine «fede», ma ben oltre il linguaggio misticheg-giante dalle parole di Marchesi traspare evidentissima la necessitàdell’azione, la necessità di liberarsi dei passati vent’anni di servitùe di costruire il futuro. Rivolto ai suoi studenti egli dice: «Traditidalla frode, dalla violenza, dalla ignavia, dalla servilità criminosa,voi, insieme con la gioventù operaia e contadina, dovete rifare lastoria dell’Italia e costituire il popolo italiano». E a quest’opera de-ve presiedere non solo «la fede che [...] illumina», ma anche «losdegno che [...] accende»59: ritornano, dunque, quell’«odio»60,quella «rabbia»61 che nella giovinezza erano stati i motori dell’im-pegno politico di Marchesi.

XXVI Concetto Marchesi, passione e inquietudine di un comunista italiano

55 Ivi, p. 33.56 Cfr. Canfora, La sentenza, cit., p. 115.57 L’appello agli studenti è riportato per intero in Franceschini, Concetto

Marchesi, cit., pp. 176-77.58 Con «tempio» Marchesi si riferisce all’Università anche nella relazione

inaugurale (Franceschini, Concetto Marchesi, cit., p. 172).59 Ivi, pp. 176-77.60 Cfr. supra, nota 6.61 Nella prefazione del già citato volume di versi di Marchesi, Battaglie, si

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La decina di mesi che quest’ultimo trascorse in Svizzera nel1944 come rifugiato politico, sull’onda dei memorabili giorni pa-dovani, fu anch’essa densa di impegni: come scrive Franceschi-ni62, Marchesi in terra elvetica «fu un attivissimo e autentico par-tigiano». Oltre a darsi da fare a sollevare la condizione degli in-ternati, in specie degli universitari, agendo da assiduo animatore,egli soprattutto – a partire dal maggio – servì «da intermediariofra il PCI, i Comitati di Liberazione regionali e gli organi locali al-leati (inglesi e americani) per informazioni e assistenza militare» efu responsabile di una via di aviorifornimenti per i partigiani com-battenti nell’Italia settentrionale63. In tal modo poté sentirsi vici-no a coloro che operavano nella Resistenza, in particolare ai suoiamici, colleghi e studenti del Veneto, e forse poté anche in qual-che modo lenire quel senso di tristezza e pentimento per aver ab-bandonato l’Italia, che si era impadronito di lui nei primi tempidella permanenza in Svizzera64. L’azione «nei tempi più inquie-ti»65 attraeva potentemente il vecchio professore. Il 4 dicembre,ad ogni modo, su invito del governo Bonomi, insieme a un grup-po di altri fuoriusciti, tra i quali erano Luigi Einaudi, Stefano Ja-cini, Tommaso Gallarati Scotti, Marchesi lasciò la Confederazio-ne Elvetica e attraverso la Francia, con un volo da Lione, il 10 di-cembre rientrò in Italia, a Roma66.

La capitale del paese fu il centro dell’attività politica di Mar-chesi nei suoi restanti tredici anni di vita, ma stavolta non si trattòpiù di fronteggiare un nemico straniero, di costruire strategie chemettevano a repentaglio la vita sua e di altri, di stabilire trattativecon teste coronate o con servizi segreti stranieri. Per quanto la pas-sione per l’azione in lui fosse rimasta intatta, egli tuttavia manifestòil suo impegno politico soprattutto attraverso la parola: oltre ad es-sere ininterrottamente membro del comitato centrale del Partito

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legge: «Queste pagine scritte con la rabbia di chi ha una vendetta da compieree con la fede di chi ha un ideale da raggiungere, composte tra una bestemmia euna preghiera, io le dedico a te, o santa generosa sublime canaglia de i campi ede le officine».

62 Franceschini, Concetto Marchesi, cit., p. 217.63 Ivi, pp. 206-15, la citazione è tratta da p. 209.64 Ivi, p. 283.65 C. Marchesi in Pianezzola, La parola come creatrice di storia, cit., p. 20.66 Franceschini, Concetto Marchesi, cit., pp. 35-36.

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comunista dal 1945, fino alla morte sedette in Parlamento. Ma suciò si dirà in seguito. Ora molto brevemente ci si soffermerà su duepunti che appaiono importanti per completare il quadro del Mar-chesi militante fino alla fine della seconda guerra mondiale.

Il primo è costituito dalla sua risposta all’articolo di GiovanniGentile, Ricostruire, apparso sul «Corriere della Sera» del 28 di-cembre 1943, nel quale si fa appello a tutti gli italiani perché stabi-liscano tra di loro la concordia per la salvezza della patria. Mar-chesi, di cui è stata già ricordata l’intransigenza rivoluzionaria intermini di principio, è nettamente contrario, e già nella prima ste-sura di un articolo che avrà una diffusione molto ramificata, cosìscrive nella parte finale:

Concordia è unità di cuori, è congiunzione di fede e di opere, è re-ciprocanza d’amore: non è residenza inerte e fangosa di delitti e sme-morataggini. Quanti oggi invitano alla concordia, invitano a una tre-gua che dia temporaneo riposo alla guerra dell’uomo contro l’uomo.No: è bene che la guerra continui, se è destino che sia combattuta. Ri-mettere la spada nel fodero, solo perché la mano è stanca e la rovina ègrande, è rifocillare l’assassino. La spada non va riposta, va spezzata.Domani se ne fabbricherà un’altra? Non sappiamo. Tra oggi e doma-ni c’è di mezzo una notte e un’aurora67.

Tra le sedi in cui la risposta di Marchesi a Gentile venne pub-blicata, dopo il quotidiano socialista luganese «Libera Stampa»68,fu anche il numero 469 della seconda annata de «La Nostra Lotta»,principale organo del Partito comunista nell’Italia occupata dai te-deschi. Qui il testo assume il titolo Rinascita fascista: I tribunali (de-gli) assassini70, non reca il nome dell’autore, e presenta la parte fi-nale mutata come segue: «La spada non va riposta finché l’ultimonazista non abbia ripassato le Alpi, l’ultimo traditore fascista non

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67 Ivi, p. 180.68 Del 24 febbraio 1944. Il testo di Marchesi, inserito all’interno di un im-

maginario «servizio particolare dall’Italia» dal titolo Rinascita fascista e concor-dia di animi ovverossia Giovanni Gentile e Concetto Marchesi, è riportato inCanfora, La sentenza, cit., pp. 315-18.

69 Apparso in febbraio (Roma e Firenze) o marzo (Lombardia) a seconda deiluoghi di pubblicazione.

70 La preposizione degli è assente nelle copie de «La Nostra Lotta» stampa-te in Lombardia.

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sia sterminato. Per i manutengoli del tedesco invasore e dei suoischerani fascisti, senatore Gentile, la giustizia del popolo ha emes-so la sentenza: Morte!»71.

Quest’ultima frase, come è stato mostrato da Luciano Canfo-ra72, contribuì in modo rilevante alla creazione del clima torbidoche portò all’uccisione di Gentile a Firenze il 15 aprile 1944, etrovandosi inserita in un articolo di Marchesi, molto probabil-mente non a sua insaputa73, spinge a riflettere su quella che nefu la posizione all’interno della vicenda. Al di là di alcune beghescientifiche in anni lontani, egli non aveva mai avuto reale sim-patia per Gentile74, per quanto intrattenesse con lui rapporti ditipo formale, e di certo nell’intimo mai gli perdonò di essere sta-to l’ispiratore della richiesta – per sé pesantissima – fatta nel1931 a tutti i professori universitari di prestare giuramento di fe-deltà al regime fascista75. Ma non è nella dimensione personaleche va cercata la matrice dell’articolo di Marchesi; bisogna piut-tosto guardare alla nuova fiammata che nel momento culminan-te della lotta antifascista ebbe in lui il radicalismo della gioventùe alla precisa convinzione che fu sua, specie negli anni 1943-45,della necessità di una rivoluzione – «un bagno di sangue» – percreare la nuova Italia76. Questi furono i presupposti della rispo-sta di Concetto Marchesi a Giovanni Gentile e della sua fatale ri-caduta a Firenze, ma non ci sono elementi per ritenere l’uccisio-ne del filosofo fascista come l’esito di un preciso ordine del let-terato comunista.

Il secondo punto da prendere in considerazione per comple-tare il quadro del Marchesi militante è quello delle sue amicizieche, in alcuni casi, lo hanno accompagnato per buona parte dellalunga vita. Il tema non è stato mai affrontato nel suo complesso:

71 In Franceschini, Concetto Marchesi, cit., p. 111. La sostituzione della par-te finale dell’articolo di Marchesi fu opera di Girolamo Li Causi, un esponentecomunista allora responsabile della stampa nel Centro di Milano, come egli stes-so dichiara in una «nota di carattere riservato» depositata presso l’IstitutoGramsci di Roma nel novembre 1968; cfr. Canfora, La sentenza, cit., p. 139.

72 Nel suo lavoro fondamentale sull’argomento, La sentenza, cit.73 Cfr. ivi, p. 138.74 Non convince Franceschini, Concetto Marchesi, cit., p. 117, quando par-

la di amicizia di Marchesi con Gentile.75 Cfr. supra, note 32 e 33.76 Cfr. Canfora, La sentenza, cit., p. 141.

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così per esempio nella biografia del cattolico Franceschini77 sonosoprattutto ricordate le amicizie con sacerdoti e religiosi che nondi rado vennero in aiuto a Marchesi in momenti di difficoltà, co-me negli anni caldi 1943-45, e che spesso lo ospitarono in conventie monasteri. Appaiono in particolare degni di nota i vivi rapportidi affetto con don Primo Mazzolari78. Lo stesso Franceschini,inoltre, fu legatissimo a Marchesi, con cui collaborò strettamentenegli anni della Resistenza, e di cui fu forse il confidente più assi-duo.

Sul versante laico Canfora79 ha giustamente messo in luce irapporti massonici di Marchesi, che offrono un aiuto non indiffe-rente per giungere ad una piena comprensione delle radici di al-cuni suoi importanti interventi, dalla relazione inaugurale pado-vana alla risposta a Gentile.

Le amicizie con i colleghi sono state indagate da SebastianoTimpanaro80, che menziona in primo luogo gli italianisti Giovan-ni Bertacchi ed Eugenio Donadoni, spiriti introspettivi e alla ri-cerca dell’assoluto, e ancora Attilio Momigliano e Francesco Flo-ra, e sostiene che il rapporto più profondo Marchesi lo stabilì conManara Valgimigli, il professore di greco all’Università di Padovamentre egli insegnava latino, con cui intrecciò anche un intensoscambio epistolare.

Qui si può aggiungere che a Padova Marchesi si legò d’amiciziacon il conte Novello Papafava, nel cui palazzo per lunghi anni eb-be la propria dimora e per la cui nobile famiglia compose numero-se iscrizioni sepolcrali81. Sempre a Padova Marchesi frequentò as-siduamente l’Istituto di psicologia e il suo direttore Vittorio Be-nussi, che giunto da Graz aveva iniziato il suo insegnamento nel-l’Università nel 191982. Dopo la morte di Benussi nel 1927 Mar-chesi stabilì un solido rapporto con il suo successore Cesare Mu-satti: con la propria saggezza ‘antica’ lo aiutò in un momento di

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77 Franceschini, Concetto Marchesi, cit.78 Cfr. ivi, pp. 52-57.79 Cfr. Canfora, La sentenza, cit., p. 149.80 Cfr. Timpanaro, Il «Marchesi» di Antonio La Penna, cit., p. 657.81 Cfr. Franceschini, Concetto Marchesi, cit., pp. 22, 355-58.82 Cfr. M. Antonelli, Vittorio Benussi: breve biografia intellettuale, in V. Be-

nussi, Sperimentare l’inconscio. Scritti (1905-1927), a cura di M. Antonelli, Cor-tina, Milano 2006, p. 29.

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grande confusione, e lo incitò anche a trattare del tema dello sdop-piamento riferendogli un motto udito da ragazzo a Catania83.

Si potrebbe continuare a elencare altri nomi di amici di Mar-chesi, ma tra di essi non si troverebbero molti iscritti al Partito co-munista. Certamente non gli furono amici Luigi Longo e PietroSecchia, i due massimi dirigenti comunisti della Resistenza; Giro-lamo Li Causi, che modificò il finale della risposta a Gentile, mo-strò di avere per lui una certa simpatia84; Giorgio Amendola rice-vette le sue confessioni in una notte della tarda primavera del194385; Palmiro Togliatti, infine, negli anni del dopoguerra ebbeun grande rispetto per lo studioso, ma forse non ricambiò a pie-no la sincera amicizia che questi nutriva per lui86.

Rispetto dunque al gruppo degli altri amici di Marchesi i com-pagni di partito sono in minoranza, ma ciò non deve indurre a ri-tenere meno saldo il suo rapporto con il partito stesso. Quest’ul-timo, quasi smaterializzato, spersonalizzato, fu il centro e il faronella vita di Marchesi. I numerosi amici con le loro molteplici ap-partenenze – caso raro per un uomo politico o di cultura – pos-sono essere invece considerati una proiezione della sua intricatapersonalità umana e di studioso, del suo costante atteggiamentodi ricerca rivolto alla vita e ai suoi misteri (parola tipicamente mar-chesiana) e, perché no, della sua curiosità e arguzia di uomo delSud che sempre rimase tale.

La «Storia della letteratura latina»

Piuttosto che come militante socialista e poi comunista Mar-chesi fu di certo conosciuto ai suoi tempi, come lo è pure oggi, inquanto autore di una Storia della letteratura latina in due volumi– apparsi87 rispettivamente nel 1925 e nel 1927 – che ha avuto ben

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83 Cfr. C. Musatti, Curar nevrotici con la propria autoanalisi, Mondadori, Mi-lano 1987, pp. 55-63 (aiuto in momento di confusione); Id., Psicoanalisti e pa-zienti a teatro, a teatro!, Mondadori, Milano 1988, p. 14 (incitamento all’inda-gine sullo sdoppiamento). Su Marchesi e la psicoanalisi, cfr. G. Salmeri, Lucre-zio disteso sul lettino di Epicuro, in «La Sicilia», 23 settembre 1989, p. 3.

84 Cfr. Canfora, La sentenza, cit., p. 113.85 Cfr. Amendola, Lettere a Milano, cit., p. 104.86 Così, molto probabilmente nel giusto, Timpanaro, Il «Marchesi» di Anto-

nio La Penna, cit., p. 657.87 Per l’editore Principato di Messina.

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otto edizioni. Una breve lista di suoi lettori al di là di quelli istitu-zionali – gli studenti cioè dei licei e delle facoltà di lettere – puòdare un’idea dell’impatto che essa ha esercitato sulla vita cultura-le e politica del nostro paese dal momento in cui vide la luce finoalmeno agli anni Sessanta.

Nel pieno della seconda guerra mondiale, nel 1942, il nototraduttore di testi latini Guido Vitali così scrive a Marchesi daMerano:

Caro e illustre amico, ho conversato molto piacevolmente con unagentile fanciulla, oltremodo bella, attrice della compagnia di Anniba-le Ninchi, la quale, fresca di ricordi liceali, oltre che di carni e di sguar-do, mi parlava con fervoroso entusiasmo della tua Storia della lettera-tura latina. Dove vanno a cacciarsi questi umanisti! Anche Ninchiviaggia con il tuo libro e lo legge88.

Nel decennio precedente, invece, la Letteratura latina di Mar-chesi Giorgio Amendola la leggeva in carcere «con molto diletto eprofitto», così che l’avrebbe fatta poi comprare dalla biblioteca deiconfinati di Ponza89. Leonardo Sciascia, da parte sua, ne sottolineal’importanza per la propria formazione letteraria90 quando intornoalla metà degli anni Trenta frequentava le Magistrali a Caltanisset-ta, e per farlo si serve quasi delle stesse parole di Amendola – «uti-lità e [...] diletto» di contro a «diletto e profitto» – mostrando l’esi-stenza a quel tempo di un linguaggio e di un orizzonte culturale con-diviso tra i giovani intellettuali più maturi del paese al di là della lo-ro collocazione politica. Dopo la caduta del fascismo, anche se ha ilsapore di un aneddoto narrato da un dotto ellenistico esperto nellacostruzione di biografie letterarie, si può ricordare l’episodio del-l’alto magistrato, «nobilissima figura di democratico e di patriota»che, «nei giorni di Salerno», richiesto da Togliatti «del come e del

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88 In Franceschini, Concetto Marchesi, cit., p. 29.89 Amendola, Lettere a Milano, cit., p. 101.90 Si veda il risvolto di copertina che Sciascia scrisse per il suo volume Per

un ritratto dello scrittore da giovane, Sellerio, Palermo 1985, ora in LeonardoSciascia scrittore editore ovvero La felicità di far libri, a cura di S.S. Nigro, Selle-rio, Palermo 2003, p. 134. Qui, nel ricordo e nella valutazione, la Storia della let-teratura latina del Marchesi è associata alla Storia della letteratura italiana di At-tilio Momigliano.

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perché avesse orientato l’animo suo verso i partiti dei lavoratori everso il socialismo», gli «mise tra mano la Storia di Concetto Mar-chesi»91. È sotto gli occhi di tutti, invece, la chiara ispirazione mar-chesiana – non solo dell’autore della Letteratura latina, ma in que-sto caso anche di quello del Tacito – di un passo all’inizio del terzocapitolo del Bell’Antonio di Vitaliano Brancati in cui, all’interno diuna sconsolata riflessione antitirannica di Edoardo Lentini, cuginodel protagonista, si fa riferimento alla liberta Epicari e si riporta unbrano del quindicesimo libro degli Annali tacitiani92.

Ciò che colpisce della breve lista di lettori di Marchesi qui pro-posta è la varietà e diversità di questi ultimi: vi compaiono attori escrittori, politici e integerrimi funzionari. Ognuno avrà trovato uncapitolo di particolare interesse – lo scrittore, s’è visto, è stato atti-rato da Tacito; la giovane attrice, «fresca di studi liceali», e forse conqualche velleità intellettuale, sarà stata colpita da Seneca; il funzio-nario integerrimo certo non avrà amato Cicerone, ma Sallustio eTacito; il politico avrà trattenuto il suo sguardo sugli oratori del pe-riodo repubblicano, i Gracchi in primis93, e forse anche su Cesa-re –, tutti i lettori, però, avranno apprezzato la capacità dell’operadi parlare non solo del passato, ma anche del presente, di coglierei tratti dell’«umanità perenne»94 negli autori della letteratura lati-na e in specie in Lucrezio, Seneca, Tacito, e nei cristiani.

A mo’ di esempio si può qui citare un brano del capitolo de-dicato a Seneca:

Seneca vuole la sapienza, non la erudizione: la sapienza insegna al-l’uomo a godere del suo tempo, la erudizione insegna a perderlo; l’unainsegna a vivere bene e fruttuosamente, l’altra a vivere male e vana-

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91 P. Togliatti, Atti Parlamentari, Camera dei deputati, Legislatura II, Se-duta del 14 febbraio 1957, p. 30383.

92 Cfr. A. Baroni, Di un passo degli «Annali» di Tacito in un romanzo di Vi-taliano Brancati, in Studi di storia e storiografia antiche per Emilio Gabba, Edi-zioni New Press, Como 1988, pp. 173-79. Marchesi pubblicò il Tacito presso l’e-ditore Principato di Messina nel 1924; nel 1955 l’opera ebbe la quarta edizione.

93 Qui si può notare che nell’articolo Togliatti uomo di cultura e oratore, ap-parso su «Rinascita» nell’agosto del 1948, e poi ripreso in Umanesimo e comu-nismo, cit., a p. 356 Marchesi paragona l’oratoria del capo comunista a quella diCaio Gracco con le seguenti parole: «si può dire di essa ciò che si è detto dellaeloquenza di Caio Gracco, che ha il pallore non il rossore dello sdegno».

94 Timpanaro, Il «Marchesi» di Antonio La Penna, cit., p. 642.

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mente. La cultura può e deve essere un avviamento alla sapienza, nonun fine. Scopo della vita umana non è avere tante notizie che non gio-vano a nulla; è avere la forza di resistere al male, di superare le asprezzedell’esistenza e di accogliere il dolore come un tesoro dello spirito: e Se-neca ripeteva il detto di Demetrio cinico, che l’essere più infelice dellaterra è quello che non ha mai patito avversità. La felicità maggiore è nonavere bisogno di felicità: è trovare in se stessi assoluto il proprio bene,senza alcuna dipendenza dai casi e dalle ingiurie della fortuna e degliuomini; così soltanto il sapiente nella immobilità della sua coscienza, in-tangibile perché interiore, incorruttibile perché isolata, supera ognirapporto di forze esterne che agiscono intorno a lui e su di lui e divienee resta l’unico vero padrone e liberatore di se stesso95.

La forza di queste righe discende dalla lettura che Marchesi fadi Seneca96 senza l’esigenza pressante di ancorarlo al suo periodostorico, di indagare minuziosamente la discendenza delle sue ope-re filosofiche da questo o da quel pensatore del passato, con l’esi-genza invece di ascoltare in lui la voce dell’uomo che manifesta lesue ansie e i suoi bisogni. Lo stesso discorso vale per Tacito: Mar-chesi nella Letteratura97 traccia un quadro del suo pensiero poli-tico e dei caratteri della sua opera storica. Ma ciò che gl’interessadi più è mostrare che le pagine dello storico dicono ancora molto«di vivo e durevole [...] sui mali fondamentali della vita civile»98.Anche nel caso di Orazio Marchesi procede similmente: senzamostrare simpatia per il poeta «civile», privilegiando le Satire e leEpistole, fa parlare il saggio scettico e antirigorista che «consideròsempre l’equilibrio dell’animo (aequus animus) quale massimo be-ne, perché non sempre lo possedette: ed ebbe anche lui il suo ve-ternus: questo ‘mal di vecchiaia’ che a volte scolorisce e angustiala giornata di chi non è vecchio ancora»99.

In questa frase si coglie chiaramente l’importanza che per Mar-

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95 C. Marchesi, Storia della letteratura latina, vol. II, Principato, Milano-Messina 19708, p. 255.

96 Nel 1920 Marchesi aveva pubblicato il Seneca presso Principato di Mes-sina; l’opera nel 1944 ebbe la sua terza edizione.

97 Come nel Tacito già citato, cfr. supra, nota 92.98 La citazione è tratta dall’Avvertenza (settembre 1924) che Marchesi pre-

mise al suo Tacito; supra, nota 92.99 Orazio, Satire ed epistole, scelte ed annotate da C. Marchesi, Principato,

Milano-Messina 196710, p. 254.

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chesi «uomo inquieto» ebbe l’elemento autobiografico100 per pe-netrare autori come Orazio e Seneca oppure Marziale, o ancheLucrezio. Di quest’ultimo in più di un lavoro sottolinea la capa-cità di sentire il dolore dell’uomo e degli altri esseri viventi e di in-serirlo nell’ondeggiare dell’impassibile natura. Ne apprezza inol-tre gli inni di esaltazione di Epicuro, «questo sapiente antico [che]ha vinto il dolore gridando che non fa male il dolore; e ha vinto ilterrore della morte con la certezza stessa della morte»101 liberan-do così l’uomo da affanni e paure. Ma insieme alla sua vita inte-riore tormentata, a indirizzare la lettura di Marchesi degli autoridella letteratura latina c’è stata anche una visione, in particolaredel periodo imperiale della storia romana, centrata non tanto sul-la dimensione pubblica, quanto su quella privata, sull’homo piut-tosto che sul civis102. Marchesi nelle pagine della Letteratura mo-stra di aver a pieno intuito la svolta che a partire dal I secolo d.C.– insieme alla diffusione di «quegli strumenti della cultura e del-l’attività intellettuale che schiudono all’uomo una libertà assai piùgrande di ogni indipendenza politica e un dominio assai più vastodi ogni territorio: la libertà e il dominio del proprio spirito»103 –portò nel mondo romano alla decisa affermazione di un nuovo epiù attento modo di considerare gli aspetti interiori, o privati, nel-la vita dell’individuo, rispetto ai secoli della Repubblica quandogli aspetti esteriori, o pubblici, erano nettamente dominanti104.Per questa via l’autore può accostarsi ai suoi Seneca e Tacito, Mar-ziale e Giovenale considerandoli come rappresentanti di tutta l’u-manità con il suo fardello di affanni e problemi, e può offrirneun’interpretazione – come nel caso di Seneca – che mette bene in

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100 Cfr. Timpanaro, Il «Marchesi» di Antonio La Penna, cit., p. 644. La de-finizione di «uomo inquieto» è contenuta nel sottotitolo di Franceschini, Con-cetto Marchesi, cit.

101 C. Marchesi, Lucrezio e il poema della natura, in Id., Divagazioni, NeriPozza, Venezia 1951, p. 64. Il saggio è il discorso commemorativo tenuto al-l’Accademia dei Lincei nel giugno del 1947, notevolmente ampliato.

102 Cfr. soprattutto La Penna, Concetto Marchesi, cit., pp. 31-40; Timpana-ro, Il «Marchesi» di Antonio La Penna, cit., pp. 642-50.

103 Marchesi, Storia della letteratura latina, vol. II, cit., p. 494.104 Su ciò cfr. P. Veyne, L’impero romano, in Ph. Ariès, G. Duby (a cura di),

La vita privata, vol. I, Dall’Impero romano all’anno Mille, Laterza, Roma-Bari1986, pp. 3-172; G. Salmeri, La periodizzazione della storia romana imperiale el’emergere del sé, in «Storica», 13, 1999, pp. 105-24.

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luce il ruolo centrale della «cura di sé»105 nella loro vita e nelle lo-ro opere.

A differenza di quanto fa per la sua iniziazione al socialismo,Marchesi nelle sue pagine non suggerisce apertamente alcuna ideadel percorso intellettuale che lo condusse alla composizione del-la Storia della letteratura latina. Nel tentativo di ricostruirlo, sen-za qui ripetere quanto già è stato ben detto da altri sulla sua estra-neità alla prospettiva idealistico-crociana o a quella marxista106,appare importante ricordare «la mancanza di senso della storicitàdel fatto artistico», nonché «la carenza di Kulturgeschichte» cheseparano nettamente Marchesi dalla grande tradizione della filo-logia tedesca dei Wilamowitz, Leo, Norden con la sua esigenza dilettura storica dell’opera letteraria, tutta tesa a indagarne l’am-biente e la tradizione culturale e a non ritenere i valori stilistici co-me pure manifestazioni individuali107. Marchesi, inoltre, apparedistantissimo dall’approccio alla letteratura latina in chiave erudi-ta o retorica108 che, finalizzato alla scuola, nei primi decenni delNovecento dominava nel nostro paese: la sua opera non ha possi-bilità di confronto in questo contesto. E neppure l’accostamentodella Storia della letteratura latina di Marchesi alla Storia della let-teratura italiana (1868-71) di Francesco De Sanctis, più volte sug-gerito, può essere accettato per quanto riguarda l’impianto e la co-struzione109, anche se può valere per il successo di pubblico di cuientrambe godettero.

Marchesi allora può essere considerato come un caso uniconell’ampio panorama delle storie letterarie, e la sua specificità èdata dal fatto che in lui l’incontro con l’autore avviene sempre at-traverso l’opera, eliminando al massimo ogni forma di mediazio-ne. Oltre che dalla tendenza a disancorare il fatto artistico dal con-

XXXVI Concetto Marchesi, passione e inquietudine di un comunista italiano

105 Marchesi può per molti versi essere ritenuto un anticipatore di M. Fou-cault, La cura di sé, Feltrinelli, Milano 1985, ma su quest’argomento si spera ditornare in un lavoro successivo.

106 Cfr. soprattutto Timpanaro, Il «Marchesi» di Antonio La Penna, cit., pp.632, 656; Treves, Concetto Marchesi letterato, cit., pp. 391-99.

107 Timpanaro, Il «Marchesi» di Antonio La Penna, cit., pp. 632-35, le cita-zioni sono tratte da p. 635.

108 Cfr. La Penna, Concetto Marchesi, cit., p. 72.109 Contrario all’accostamento del Marchesi critico a Francesco De Sanctis,

suggerito in La Penna, Concetto Marchesi, cit., pp. 89-92, è Timpanaro, Il «Mar-chesi» di Antonio La Penna, cit., pp. 637-38.

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testo storico e dall’assenza di apparati concettuali, ciò è mostratodal disprezzo per la bibliografia che si coglie nel testo110. E la pre-senza della filologia vi si limita essenzialmente alle sezioni sui co-dici che completano i capitoli su ciascun autore111. Ma che cos’èche guida Marchesi nella composizione della Letteratura latina senon sono erudizione e filologia, impianto teorico e indagine di ti-po storico? È l’arte: la sola via attraverso la quale si può giungereal nocciolo delle cose. Tramite essa – scrive l’autore – si «scopreuna parte, almeno, di ciò che è vero nella vita degli uomini. Il re-sto è oscurità e silenzio»112. E come l’artista è colui che nella suaopera sa cogliere – non creare, si badi – la natura umana nei suoitratti essenziali, così il critico-artista è colui che, disposto a «rice-vere i doni delle Muse con mani delicate»113, sa far rivivere per ipropri lettori il mondo interiore di uno scrittore.

Una tale posizione di Marchesi è stata ricondotta giustamentealla formazione tardo-ottocentesca del critico114, e in rapporto adessa si è fatto soprattutto il nome del poeta e letterato suo concit-tadino Mario Rapisardi115. Non sembra invece essere mai stato ri-cordato uno scritto di Marchesi apparso sull’«Unità» nel 1951116.Qui l’autore, all’interno di una riflessione sulle forme di propa-ganda, sostiene che

l’uomo di studio e di cultura, deve attendere a indagare, a scoprire, adefinire, a rappresentare la cosa in modo che apparisca, a quanti pos-sano intendere, cosa vera e giusta e bella: con che si comprende tutto

110 Cfr. La Penna, Concetto Marchesi, cit., p. 74.111 Esse possono essere ritenute un lascito dell’insegnamento di Remigio

Sabbadini, grande studioso della tradizione umanistica, e maestro di Marchesinegli anni degli studi universitari a Catania; cfr. G. Salmeri, Sullo studio del-l’antico nella Sicilia dell’Ottocento, in Per Enrica Malcovati. Atti del convegno distudi nel centenario della nascita (Pavia 21-22 ottobre 1994), Edizioni New Press,Como 1996, pp. 235-37.

112 In Timpanaro, Il «Marchesi» di Antonio La Penna, cit., p. 639.113 La Penna, Concetto Marchesi, cit., p. 96.114 Cfr. soprattutto Timpanaro, Il «Marchesi» di Antonio La Penna, cit., pp.

650-58.115 Su Rapisardi, i suoi studi di letteratura latina e l’ambiente catanese, cfr.

Salmeri, Sullo studio dell’antico, cit., pp. 230-37.116 Marchesi, Umanesimo e comunismo, cit., pp. 66-69. Le citazioni sotto ri-

portate sono tratte da p. 68.

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il valore di ogni opera di pensiero o di arte. Altrimenti, se si infila laporta della propaganda di parte, l’opera è fin dalle origini viziata.

E poi aggiunge che per la propaganda non di parte, quella

che scenda nel profondo delle anime e faccia sentire il male del mon-do non occorre neppure essere socialisti o comunisti: non lo era forseGuy de Maupassant; non lo erano certamente Federico De Roberto,l’elegantissimo romanziere catanese, né Giovanni Verga, il taciturnofrequentatore del Circolo dei nobili nel Corso Stesicoro-Etnea. Eppu-re in Boule de suif si muove una diligenza che contiene tutto il mondodella ipocrisia, della viltà, della crudeltà: dov’è una sola grandezza,quella della donna caduta su cui si rovescia la mole delle infami virtùprofessionali; eppure in quella novella sceneggiata, Il Rosario – pub-blicata sulla Nuova Antologia del 16 aprile 1899 e che vorrei vedere ri-pubblicata – è una rappresentazione che non potrebbe essere più im-placabile di tutta la cupa e gelida empietà del bigottismo clericale e no-bilesco. E i Malavoglia di Giovanni Verga affondano le loro radici ematurano i loro frutti in quella fatica desolata della misera gente bat-tuta dalle furie del mare e dalla frode degli uomini. Da quel mondo,dal mondo del lavoro, vengono su infinite voci: là sono innumerevoliluci e colori, e cupe profondità e indomabili energie.

Questo brano è uno dei pochissimi in cui Marchesi sviluppaun tipo di riflessione che, pur se lontanamente, può tuttavia de-finirsi teorica, e in esso introduce come rappresentanti degli scrit-tori in grado di scendere nel profondo delle anime e di fare senti-re il male del mondo due suoi concittadini catanesi: Federico DeRoberto e Giovanni Verga. Egli li conobbe personalmente neglianni della giovinezza117, e come gli sfruttati contadini della Pia-na lo spinsero ad abbracciare il socialismo, così De Roberto eVerga dovettero innescare in lui l’amore, e l’interesse, per l’artee la letteratura. L’eleganza del primo venne sempre perseguita daMarchesi in tutta la sua opera, mentre il secondo e il suo boz-zetto Nedda appaiono aver ispirato in Perché sono comunista laraffigurazione delle vendemmiatrici che, dopo la fine del lavoroa tarda ora, «i piedi scalzi dovevano correre per chilometri pri-

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117 Il padre di Marchesi, Gaetano, fu amico del Verga; cfr. Franceschini,Concetto Marchesi, cit., p. 1.

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ma di giungere a notte in un tugurio dove era il fumo di un lu-cignolo e quello di una squallida minestra»118. Ancora più inprofondità De Roberto e Verga agirono comunque su Marchesicon l’offrirgli l’esempio della loro grande perizia nello scoprire erappresentare la natura umana. Seguendone l’esempio, interro-gando «più il poeta [...] che i suoi cento interpreti e chiosatori,più la natura umana che i libri»119 lo studioso di letteratura lati-na diede vita ad un’opera in grado di attrarre un pubblico varioe composito, quasi quanto quello dei suoi concittadini roman-zieri.

Il parlamentare

A proposito degli anni finali di Marchesi, Ezio Franceschini hascritto che in essi «l’occupazione principale» del suo maestro «fula vita politica: nella quale entrò spinto quasi dalla forza d’inerziadi tutta la sua vita precedente»120. Con quest’ultima affermazionesi può essere d’accordo se s’intende nel senso che egli entrò nellavita politica portandosi dietro tutto il bagaglio delle sue prece-denti esperienze di militante, di docente e di letterato. Non si puòinvece condividere se con essa s’intende che l’entrata in politicadi Marchesi fu un evento sostanzialmente meccanico, non disce-so da una scelta meditata.

Nel gennaio del 1945, quando, appena rientrato dalla Svizze-ra, fu nominato capo dell’Ufficio stampa del ministero dell’Italiaoccupata, egli era un uomo anziano ma ancora appassionato che,dopo aver provato nei diciotto mesi precedenti il sapore dell’a-zione e dell’impegno, non aveva più voglia di staccarsene. L’inse-gnamento, che negli anni del fascismo era stata la sua principaleoccupazione, in cui aveva riversato gran parte delle sue energie,ormai non gli bastava più per dare espressione alla sua persona-lità, e per questo, sebbene non l’abbia mai veramente abbando-nato fino all’età della pensione e abbia sempre continuato ad

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118 Marchesi, Umanesimo e comunismo, cit., p. 29; cfr. Salmeri, Sullo studiodell’antico, cit., p. 237.

119 La citazione è tratta dall’Avvertenza (pp. 1-3) al Catullo e Lesbia di Ma-rio Rapisardi, apparso a Firenze nel 1875 per i Successori Le Monnier; cfr. su-pra, nota 115.

120 Franceschini, Concetto Marchesi, cit., p. 116.

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amarlo, scelse tuttavia molto consapevolmente l’attività politica.La prospettiva del suo impegno Marchesi la chiarisce bene in unalettera del novembre 1945 al suo ex allievo e primo laureato mon-signor De Zanche, allora vescovo di Montefeltro:

È immenso il disastro che si è abbattuto sull’Europa; ed è lunga,sciaguratamente lunga, la malattia che ha corroso l’intima strutturadella nostra Italia. Ma l’oscurità del presente non mi toglie la speran-za, anzi la certezza della luce che verrà. Ciò che importa è che la stan-chezza non prevalga. Sarebbe una stanchezza mortale: la quale ci ri-porterebbe alle posizioni di prima, quelle cioè che accolsero e fecon-darono i germi della oppressione e della morte. Spero ancora che gliuomini di buona volontà riescano a prevalere sui trafficanti; spero an-cora che il popolo italiano – assente da venti secoli – attraverso le ma-cerie del passato ritrovi il sentiero che lo riporti alla vita121.

La sua azione politica Marchesi la svolse nelle file del Partitocomunista: oltre ad essere membro del comitato centrale dal 1945fino alla morte, per il partito fece parte della Consulta nazionalee fu eletto all’Assemblea Costituente e poi alla Camera dei depu-tati nelle prime due legislature repubblicane. Sul rapporto di Mar-chesi con il Partito comunista circola una vulgata che vuole cheegli lo abbia servito con «una fedeltà e una disciplina» che nonavrebbero avuto «altro esempio così singolare e così insigne»122,una vulgata alla cui creazione molto contribuì il discepolo catto-lico di Marchesi, Ezio Franceschini, che forse pensava a legami evincoli in altre istituzioni, e prendeva soprattutto in considerazio-ne la totale disponibilità del maestro a «recarsi a parlare a grup-petti sparuti e dispersi di operai e di contadini». Molto più medi-tato del giudizio dell’allievo sul rapporto di Marchesi con il Par-tito comunista è quello del capo del partito stesso. Palmiro To-gliatti così si espresse nella già ricordata commemorazione delpersonaggio tenuta alla Camera dei deputati: «L’adesione al mo-vimento socialista e poi al nostro Partito non fu, per lui, atto este-riore, una specie di attestato che si mette nel cassetto con gli altrititoli, come si dice, o si fa a pezzi quando sembra che l’aria spiri

XL Concetto Marchesi, passione e inquietudine di un comunista italiano

121 Ivi, p. 39.122 Ivi, p. 239. Ancora da questa pagina è tratta la citazione successiva.

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da un’altra parte. Fu impegno serio e decisivo, sempre perché, di-ceva, la nostra è una fede»123.

Qui si afferma la serietà dell’impegno di Marchesi nel partito,ma non si parla di disciplina. Già Luigi Longo dopo i mesi di ret-torato nella Padova occupata dai tedeschi lo aveva etichettato co-me una personalità «non [...] definita dalla [...] milizia di parti-to»124, e Togliatti da parte sua doveva ben ricordare il rifiuto diMarchesi di dare l’assenso – contro la propria indicazione di vo-to in senso favorevole – all’inserimento nell’articolo 7 della Costi-tuzione italiana del comma in cui si afferma che i rapporti di Sta-to e Chiesa sono regolati dai Patti Lateranensi125. Marchesi, perdi più, in anni di duro scontro tra Partito comunista e Democra-zia cristiana, non esitò a presentare insieme con il democristianoGiuseppe Ermini una proposta di legge che prevedeva tra l’altrol’ampliamento delle esenzioni tributarie per gli studenti merite-voli e l’adeguamento delle tasse e sopratasse universitarie126. Piùin generale Marchesi non ebbe remore a stabilire rapporti di unacerta intensità con i propri avversari politici127, e nella vita priva-ta mantenne tutti i legami che aveva intrecciato nel periodo fasci-sta con figure dell’aristocrazia e soprattutto con ecclesiastici. L’es-sere iscritto al Partito comunista non portò insomma il nostro per-sonaggio a mutare – come invece accadde ad altri – il proprio si-stema di vita. Dal punto di vista più specificamente culturale, in-fine, appare notevole la sua strenua battaglia in difesa della tradi-zione umanistica – «La cultura umanistica giova a tutti; il giornoin cui decadesse sarebbe notte nel mondo»128 – e dell’insegna-mento del latino contro buona parte della intelligencija socialistae comunista italiana129.

Tutto ciò fa apparire Marchesi come un uomo libero – fedele al-le proprie convinzioni personali – nel suo rapporto con il Partito

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123 P. Togliatti, Atti Parlamentari, Camera dei deputati, Legislatura II, Se-duta del 14 febbraio 1957, pp. 30834-35. Cfr. infra, nota 169.

124 Cfr. supra, nota 48.125 Cfr. infra, pp. 15-16.126 Cfr. infra, pp. 79-85.127 Cfr. Franceschini, Concetto Marchesi, cit., p. 152, e infra, nota 144.128 Marchesi, Umanesimo e comunismo, cit., p. 387.129 Cfr. La Penna, Concetto Marchesi, cit., p. 87; Timpanaro, Il «Marchesi»

di Antonio La Penna, cit., p. 647.

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XLII Concetto Marchesi, passione e inquietudine di un comunista italiano

130 In Franceschini, Concetto Marchesi, cit., p. 120.131 Marchesi, Umanesimo e comunismo, cit., p. 39.132 In Franceschini, Concetto Marchesi, cit., p. 65. La citazione successiva è

tratta dalla p. 64.133 Ivi, p. IX.134 Cfr. soprattutto l’articolo di Marchesi, Anticlericalismo e anticristianesi-

mo, apparso nel 1952 (13 novembre) sull’«Unità», e poi ristampato in Id., Uma-nesimo e comunismo, cit., alle pp. 84-86. La citazione è tratta dalla p. 86.

135 Cfr. supra, nota 134. Diversamente da quanto ritiene L. Canfora, Le vie delclassicismo, Laterza, Roma-Bari 1989, p. 299, il rapporto di Marchesi con il cri-stianesimo non appare definibile come «mai risolto»; di fatto fu molto chiaro, inquanto Marchesi – distinguendo nettamente – ebbe per il cristianesimo come mo-vimento attenzione e ammirazione, soprattutto per quello delle origini (cfr. infra,note 165, 167 e 168), mentre fu sempre durissimo con quella che egli chiamava la

comunista, ma non chiarisce perché quest’ultimo costituisse il suocentro e il suo faro negli ultimi anni di vita – «Se non crediamo aniente altro, [il comunismo] è l’unica cosa in cui seguitiamo a cre-dere»130. Un aiuto alla comprensione lo offre una frase contenutain Perché sono comunista: «Nel Partito comunista io ho sentito ri-solversi certe mie contraddizioni, calmarsi certe lacune, acquietar-si talune ansietà»131. Il partito, in sostanza, in questa confessionedel Marchesi anziano, ci viene presentato come il luogo in cui unuomo dall’animo tormentato come lui, che nel 1955 non esita a par-lare di «fragilità morbosa dei miei nervi»132 e che l’anno preceden-te aveva accennato alla propria «sciagurata inadattabilità alla vitaextrauterina», trova quiete. Non che fosse scomparso lo sdegnoper i soprusi compiuti dai padroni sui loro sottoposti che da giova-ne lo aveva fatto accostare al socialismo, ma negli anni della vec-chiaia una solida struttura come il Partito comunista con il suo or-dine e i suoi obiettivi di libertà e progresso dovette costituire perMarchesi, sempre afflitto da un senso «di ansietà e sazietà»133, unrifugio sicuro. Questo rifugio, a lui fine studioso di autori cristiani,sempre attento alle problematiche religiose, e soprattutto impe-gnato in una costante ricerca dell’«assoluto», avrebbe potuto of-frirlo anche la Chiesa cattolica: Marchesi però non accettò mai que-st’ultima come istituzione giacché – al di là di alcune singole e rarepersonalità – la vedeva sempre schierata dalla parte del potere eco-nomico e politico, e dimentica del fatto che «i poveri, i pezzenti, gliinfermi» sono il suo tesoro134. La Chiesa cattolica nell’Italia deglianni Cinquanta ai suoi occhi era «anticristiana»135.

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La complessa forma dell’adesione di Marchesi al Partito co-munista aiuta anche a comprendere, non a giustificare, si badi,due posizioni da lui assunte negli ultimi mesi di vita – la difesa diStalin, paragonato all’imperatore Tiberio, dopo il rapporto con-tro di lui di Nikita Krusciov e la condanna dell’insurrezione un-gherese domata dall’intervento militare sovietico – che lo hannofatto anche di recente giudicare, molto dopo il 1956, un comuni-sta cinico e spregevole136.

Ora per quanto riguarda Stalin e il paragone con Tiberio137, vainnanzitutto ricordato che i due appaiono a Marchesi nella vestedi statisti, come coloro che assicurarono la continuità, l’uno delloStato romano dopo la morte di Augusto, e l’altro dell’Unione So-vietica attraverso le vicende della seconda guerra mondiale: perquesta ragione sono presentati come figure positive. Stalin, inol-tre, fino al rapporto Krusciov era stato un mito per il movimentocomunista, e su di lui si erano riversate le speranze di liberazionedel proletariato di tutto il mondo: per l’anziano Marchesi, cheaveva trovato nel Partito comunista un approdo di stabilità e cer-tezza, una tale immagine non poteva essere cancellata da qualsi-voglia rivelazione. E per di più era stato Stalin con il suo famosodiscorso del 7 novembre 1941, nell’anniversario della rivoluzionerussa, a liberare Marchesi dallo stato di profonda crisi in cui eracaduto nel mese precedente alla notizia che le armate tedesche si

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Chiesa di Roma. Anche per quanto riguarda la fede in Dio la posizione di Mar-chesi non appare ambigua o irrisolta: fondamentale in tal senso è un suo interventoalla Costituente in cui afferma di non accettare «l’ipotesi atea, che Dio sia un’i-deologia di classe» e per parte propria, non credendo nella rivelazione, fa risiede-re Dio «nell’inconoscibile e nell’ignoto», cfr. infra, p. 46.

136 Cfr. Franceschini, Concetto Marchesi, cit., p. 120.137 Ecco quanto Marchesi disse in proposito all’VIII Congresso nazionale

del Partito comunista nel dicembre del 1956: «Più tardi sapremo forse vederemeglio [...] le ragioni per cui sia stato abbattuto in modo così brusco e clamo-roso uno dei grandi costruttori dell’URSS, attorno a cui, da vivo e da morto, so-no risuonate tante voci di esaltazione: colui che, morendo, lasciava una Russiatanto forte da potere, senza danno della sua forza, maledirne la memoria. Tibe-rio, uno dei più grandi e infamati imperatori di Roma, trovò il suo implacabileaccusatore in Cornelio Tacito. A Stalin, meno fortunato, è toccato Nikita Kru-sciov. All’odio capitalistico mai attenuato contro i regimi socialisti, non era for-se necessario, a guarigione dei nostri mali, aggiungere la nostra maledizione. Sipossono fare molte più cose con le opere dei vivi che non con la condanna deimorti» (Umanesimo e comunismo, cit., p. 114).

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XLIV Concetto Marchesi, passione e inquietudine di un comunista italiano

138 Cfr. Franceschini, Concetto Marchesi, cit., p. 100.139 Marchesi, Umanesimo e comunismo, cit., pp. 114-16; cfr. Franceschini,

Concetto Marchesi, cit., p. 120.140 Gli interventi di Marchesi alla Consulta nazionale e all’Assemblea Costi-

tuente non sono raccolti in C. Marchesi, I discorsi, a cura di S. Saglimbeni, Edi-zioni del Paniere, Verona 1987, un volume che è relativo soltanto all’attività ora-toria del nostro personaggio alla Camera dei deputati nelle prime due legislatu-re della Repubblica.

141 Ad esempio, cfr. infra, pp. 97, 124-25 (Catilina); 97, 121, 124 (Cicerone);160, 165 (Tacito). Appare notevole che Marchesi, il quale come studioso fu re-stio ad occuparsi di letteratura greca, nei discorsi raccolti in questo volume ri-cordi in modo esaltatorio Tucidide (infra, pp. 10, 76) e discuta di una legge at-tribuita a Solone (infra, pp. 5, 7).

142 Cfr. infra.

avvicinavano minacciosamente a Mosca138. I nervi del professorenon avevano retto, ed egli si era chiuso per tre giorni nella suastanza, ascoltando la radio e senza voler vedere nessuno.

L’idea del movimento comunista coltivata da Marchesi offre an-che la possibilità di comprendere – si ripete –, ma non di giustifi-care la sua decisa avversione all’insurrezione ungherese dell’otto-bre 1956. Egli non considerò i suoi protagonisti neppure comuni-sti perché non riusciva a concepire che dei comunisti insorgesserocontro il comunismo, ma soprattutto appare essere stato turbato einfastidito dalla rottura dell’equilibrio causata dagli insorti all’in-terno del mondo comunista e in particolare tra gli intellettuali139.Tale rottura il vecchio Marchesi, ormai prossimo alla morte, nonseppe e non volle accettarla, e per questo insieme ai compagni del-la base si schierò a favore dell’intervento sovietico.

Seduto dunque sui banchi del Partito comunista alla Consultanazionale, all’Assemblea Costituente e alla Camera dei deputati,Marchesi partecipò con impegno ai lavori parlamentari non man-cando di pronunziare interventi di peso nei dibattiti più importan-ti, specie all’Assemblea Costituente140. Contribuì inoltre in modomolto significativo, con la sua esperienza di docente e di uomo dicultura, ai lavori della VI Commissione Istruzione e Belle Arti, dicui fu membro sia nella I sia nella II Legislatura. I suoi discorsi, dicui in questo volume viene proposta una scelta molto ampia, si qua-lificano in generale per l’alto spessore culturale, evidenziato da in-numerevoli riferimenti in specie alla letteratura e alla storia di Ro-ma141, e per il costante rapportarsi alla tradizione politica naziona-le dell’epoca prefascista142, oltre che per l’ironia sferzante che si

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Concetto Marchesi, passione e inquietudine di un comunista italiano XLV

adopera per alcuni detentori del potere. A Marchesi non mancò,comunque, la capacità di dialogare con gli avversari politici che sti-mava intellettualmente, come è tra l’altro mostrato dai resoconti,non stenografici purtroppo, dei lavori della Prima Sottocommis-sione della Commissione dei 75 di cui fece parte alla Costituente143.Nella discussione dei Diritti e doveri dei cittadini – questa è l’inti-tolazione della Sottocommissione – il comunista Marchesi intrec-cia un dialogo serrato ma rispettoso, denso di contenuti ideali e cul-turali, con i democristiani Giorgio La Pira144 e Aldo Moro, i colle-ghi che gli apparivano come gli interlocutori più significativi.

Una caratteristica dei discorsi di Marchesi, che non può sfug-gire al lettore, è la presenza al loro interno di innumerevoli mottie citazioni in quello che l’oratore chiama «domestico latino»145:egli non è solo in questo comportamento linguistico, giacché laformazione umanistica era comune a molti dei parlamentari del-l’immediato dopoguerra, ma nel suo caso il latino non è mai unorpello o uno strumento di esoterismo, serve sempre a precisareo a chiarire un concetto, a rendere più incisiva un’affermazione.Il linguaggio di Marchesi nei discorsi è d’altronde sempre moltochiaro e aderente all’oggetto, e non teme le ripetizioni, così che dilui come oratore si può ripetere quanto egli scrive nella Storia del-la letteratura latina su Cicerone146, non amato come avvocato ecompilatore filosofico147, ma apprezzato come stilista:

143 Sull’importanza dello studio dei lavori dell’Assemblea Costituente nel-l’ottica giuridica, cfr. già V.E. Orlando, Prefazione, in V. Falzone, F. Palermo,F. Cosentino (a cura di), La Costituzione della Repubblica Italiana illustrata coni lavori preparatori, Colombo, Roma 1948, pp. 6-7. Per una visione più genera-le, cfr. E. Cheli, Il problema storico della Costituente, in J.S. Woolf (a cura di),Italia 1943-1950. La ricostruzione, Laterza, Roma-Bari 19752, p. 207.

144 Cfr. P. Pombeni, La Costituente. Un problema storico-politico, Il Mulino,Bologna 1995, p. 109. Sull’attività di La Pira come membro della Costituente, cfr.S. Grassi, Il contributo di Giorgio La Pira ai lavori dell’Assemblea Costituente, inU. De Siervo, Scelte della Costituente e cultura giuridica, vol. II, Protagonisti e mo-menti del dibattito istituzionale, Il Mulino, Bologna 1980, pp. 179-221.

145 C. Marchesi, Atti Parlamentari, Camera dei deputati, Legislatura I, Di-scussioni, Seduta antimeridiana dell’11 maggio 1951, p. 27990, cfr. infra, p. 94.

146 C. Marchesi, Storia della letteratura latina, vol. I, Principato, Milano-Messina 19668, p. 299.

147 Sull’anticiceronianismo di Marchesi, cfr. Timpanaro, Il «Marchesi» diAntonio La Penna, cit., p. 644. Qui si può ricordare che Marchesi – in Atti Par-

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Egli è padrone dell’espressione parlata, nei vocaboli, nella struttu-ra, nella plastica del periodo: padrone sicuro e libero, senza le angu-stie e i timori dei ricercatori di eleganze stilistiche. [...] Nella sintassipreferisce i costrutti più consueti [...] Egli, che fu il più grande stilistadi Roma, non cura affatto la ripetizione dei vocaboli che altri si stu-diarono e si studiano con uno sforzo talora ridicolo di evitare.

Nella ricchezza di temi e materiali che offrono i discorsi parla-mentari di Marchesi se ne segnaleranno ora alcuni che a parere dichi scrive contribuiscono a precisare vieppiù il suo profilo politi-co e culturale, nonché umano. In tal senso, sul versante politicoappaiono in particolare significativi i suoi richiami alla tradizionedegli statisti italiani del secondo Ottocento che egli dice «scom-parsi senza lasciare nessuna traccia»148. Ricorda Quintino Sella149

e Francesco De Sanctis150, ma soprattutto Giuseppe Zanardelli151

che, a fronte del ricorso da parte del ministro dell’interno Scelbaa «leggi, dirò così, eccezionali», viene presentato come difensoredella legalità per la sua opposizione nel 1899 alle misure repressi-ve del governo Pelloux.

Questi riferimenti appaiono indicativi della centralità delloStato nella visione politica di Marchesi, in piena sintonia con laquale è la sua netta diffidenza nei confronti dell’istituzione del-l’ordinamento regionale nel paese. Il suo timore è che tramite l’in-tervento delle regioni possano prodursi situazioni simili a quelleverificatesi in passato nel Mezzogiorno. Per chiarire il suo pensie-

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lamentari, Camera dei deputati, Legislatura I, Discussioni, Seduta pomeridianadel 10 dicembre 1952, p. 43509, cfr. infra, p. 124 – definisce Cicerone «un so-cialdemocratico», epiteto di assoluto disprezzo nell’uso di un comunista del do-poguerra.

148 C. Marchesi, Atti Parlamentari, Camera dei deputati, Legislatura I, Di-scussioni, Seduta pomeridiana del 16 gennaio 1951, p. 25309, cfr. infra, p. 81.

149 C. Marchesi, Atti Parlamentari, Camera dei deputati, Legislatura I, Di-scussioni, Seduta antimeridiana del 13 ottobre 1948, p. 3132, cfr. infra, p. 52;ivi, Seduta pomeridiana del 16 gennaio 1951, p. 25309, cfr. infra, p. 81.

150 C. Marchesi, Atti Parlamentari, Camera dei deputati, Legislatura I, Di-scussioni, Seduta antimeridiana del 13 ottobre 1948, p. 3133, cfr. infra, p. 54.

151 C. Marchesi, Atti Parlamentari, Camera dei deputati, Legislatura I, Di-scussioni, Seduta pomeridiana del 28 ottobre 1952, p. 42228, cfr. infra, p. 117;ivi, Seduta pomeridiana del 10 dicembre 1952, p. 43509, cfr. infra, p. 123. La ci-tazione immediatamente successiva è tratta da p. 42225 del primo intervento.

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ro Marchesi cita così, in un intervento alla Costituente, il discor-so ai propri elettori di un deputato socialista riformista catanesedei primi decenni del Novecento, Vincenzo Giuffrida, che ritene-va che i mali della scuola nel Sud fossero principalmente causatidagli «enti locali, municipi, province»152. In positivo Marchesi fatrasparire la sua idea della centralità dello Stato nell’organizza-zione scolastica quando, sempre alla Costituente, afferma: «Lascuola non è da trattare alla stregua di un collegamento stradale odi un regolamento di acque. La scuola è il massimo è, dirò, l’uni-co organismo che garantisca l’unità nazionale»153. In questa pro-spettiva un’importanza fondamentale riveste per l’oratore «l’esa-me di stato» – questo eterno problema della vita scolastica italia-na! – che ha da essere non solo uno strumento di controllo dellapreparazione degli studenti ma anche di eguaglianza in quanto«toglie alla pubblica scuola il diritto di conferire i più validi titolidi studio, la mette sullo stesso livello della scuola privata e ne faun organismo concorrente e non privilegiato di preparazionescientifica». Identica a quella della scuola, cioè di tipo centraliz-zato, deve essere per Marchesi l’organizzazione di quanto noi og-gi chiamiamo beni culturali. Ancora alla Costituente egli dichia-ra: «L’eccezionale patrimonio artistico italiano costituisce un te-soro nazionale, e come tale va affidato alla tutela e al controllo diun organo centrale»154. Marchesi non ha fiducia che le regioni sia-no in grado di provvedere secondo principi generali alla tutela eal restauro del patrimonio artistico nazionale, e per questo vuoletenerle lontane dalla sua supervisione155.

Oltre alla visione centralista dello Stato, di discendenza otto-centesca – e con una venatura di tipo massonico – è in Marchesianche la visione, fondata sulla netta separazione, dei rapporti traStato e Chiesa. Essa si manifesta con forza nel suo intervento alla

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152 C. Marchesi, Assemblea Costituente, Seduta pomeridiana del 4 luglio1947, p. 5439, cfr. infra, p. 43.

153 C. Marchesi, Assemblea Costituente, Seduta pomeridiana del 22 aprile1947, p. 3203, cfr. infra, p. 25. La citazione successiva è tratta dalla p. 3206, cfr.infra, p. 30.

154 C. Marchesi, Assemblea Costituente, Seduta del 30 aprile 1947, pp.3420-21, cfr. infra, p. 38.

155 Cfr. da ultimo S. Settis, Chi salverà il paesaggio. La lunga guerra fra statoe regioni, in «la Repubblica», 27 novembre 2007, pp. 46-47.

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Costituente contrario al riconoscimento nella Costituzione deiPatti Lateranensi come strumento preposto alla regolamentazio-ne di tali rapporti: i Patti per l’oratore dovrebbero considerarsicome gli altri trattati del paese, senza diventare «ossatura e [...]parte organica del nuovo Stato»156. Una posizione questa cheMarchesi mantenne con coerenza anche al momento del votoquando, come s’è visto157, opponendosi all’indicazione del parti-to, uscì dall’aula e negò il suo sostegno all’introduzione dei PattiLateranensi nella Costituzione.

A fronte dell’inflessibilità che Marchesi suole mostrare quan-do entrano in discussione i principi, appare notevole la sua di-sponibilità – del resto già manifestata in passato – a dialogare etrattare sulle questioni concrete. Particolarmente indicativo inproposito è ciò che dice nella discussione della proposta di leggeche nel 1951 presentò insieme al deputato democristiano Giu-seppe Ermini – anche lui professore universitario –, e che preve-deva tra l’altro aiuti per gli studenti meritevoli e l’adeguamentodelle tasse e sopratasse universitarie. Marchesi nel suo interventomostra una piena consapevolezza della dimensione onirica in cuisi poneva allora la realizzazione della riforma dell’Università se-condo i dettami dell’articolo 34 della Costituzione, ragione percui sostiene di essersi associato a Ermini nel tentativo di fare al-meno qualche passo in avanti in materia158. Per dirla con lui: «sia-mo nel campo della manutenzione, non in quello della rifor-ma»159. Al fine di evidenziare l’attenzione per il concreto del Mar-chesi parlamentare piace inoltre ricordare due tra le sue numero-se prese di posizione. Nella prima, alla VI Commissione Istruzio-ne e Belle Arti, egli si batte per l’aumento del contributo gover-nativo annuo a favore della Scuola Normale Superiore di Pisa che,non disponendo più dei finanziamenti di cui godeva al tempo delfascismo quando era suo direttore Giovanni Gentile, era persinocostretta a ricorrere a prestiti per pagare il personale insegnan-

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156 C. Marchesi, Assemblea Costituente, Seduta pomeridiana del 14 marzo1947, p. 2104, cfr. infra, p. 21.

157 Cfr. supra, nota 125.158 Cfr. infra, p. 79.159 C. Marchesi, Atti Parlamentari, Camera dei deputati, Legislatura I, Di-

scussioni, Seduta pomeridiana del 16 gennaio 1952, p. 25308, cfr. infra, p. 80.

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te160. Nella seconda, invece, Marchesi manifesta una visione mol-to ampia della nozione di bene artistico, dunque da tutelare, in-serendo al suo interno anche «palazzi e ville di famiglie decadute,o comunque bisognose, che non hanno denari sufficienti per so-stenere l’onere del restauro»161. Qui non si può fare a meno di ri-conoscere il Marchesi che per lunghi anni visse a Padova nell’au-stero palazzo del conte Papafava162, e che fu lui stesso discenden-te di una nobile famiglia catanese, ai suoi giorni ormai decaduta,quella dei Gioeni duchi d’Angiò163. Uno di loro, Giuseppe, fu trai più illustri vulcanologi italiani della fine del Settecento, aveva unGabinetto di storia naturale che fu molto invidiato da Goethe e,trascurando la vicina Etna, con molta originalità nel 1790 pub-blicò un Saggio di litologia vesuviana164.

I discorsi parlamentari di Marchesi offrono anche elementi perapprofondire l’idea che egli ebbe del Partito comunista. Notevo-le è in un discorso del 1950 la definizione di quest’ultimo comepartito di fedeli, «perché occorre avere una fede sicura e profon-da quando si è associati in un partito che non assicura nessun be-neficio a coloro che lo seguono e nessuna prospettiva di persona-le fortuna»165. Marchesi, inoltre, presenta il Partito comunistaquasi come una chiesa, le pagine del cui «martirologio» sono peròmolto più recenti e vive di quelle della Democrazia cristiana. Lastessa linea è seguita, nella commemorazione del caduto della Re-sistenza greca Nico Belojannis166, attraverso il ricorso a una cita-

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160 C. Marchesi, Camera dei deputati, Commissione in sede legislativa,Commissione VI Istruzione e Belle Arti, Seduta del 4 aprile 1952, p. 692, cfr. in-fra, pp. 137-38.

161 C. Marchesi, Atti Parlamentari, Camera dei deputati, Legislatura II, Di-scussioni, Seduta dell’8 aprile 1954, p. 6906, cfr. infra, p. 151.

162 Cfr. supra, nota 81.163 Cfr. Franceschini, Concetto Marchesi, cit., pp. 71-73.164 Presso la Stamperia Simoniana di Napoli. Cfr. G. Salmeri, L’Etna del

viaggio e della scienza, in L’Etna mito d’Europa, Maimone, Catania 1997, p. 128;G. Salmeri, C. Napoleone, Linneo ad Acireale, in Fiori di Sicilia. «Acis HortusRegius», l’erbario di Giuseppe Riggio, Ricci, Parma 2007, pp. 40, 42.

165 C. Marchesi, Atti Parlamentari, Camera dei deputati, Legislatura I, Di-scussioni, Seduta del 9 marzo 1950, p. 16022, cfr. infra, p. 77. Il riferimento al«martirologio» del Partito comunista, che segue immediatamente, è nella stessapagina.

166 C. Marchesi, Atti Parlamentari, Camera dei deputati, Legislatura I, Di-scussioni, Seduta del 2 aprile 1952, p. 36836, cfr. infra, pp. 130-31.

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zione dall’Apologetico di Tertulliano, «semen est sanguis»167, checonsente all’oratore di soffermarsi sulla funzione fecondatrice delsangue del martire. Ma nel riportare le parole di Tertulliano eglinon le fa seguire da «Christianorum»168, come è nel testo di rife-rimento, lasciando così trasparire il suo pensiero che i veri cristia-ni – i veri rivoluzionari – del Novecento sono i comunisti.

La concezione fideistico-religiosa del Partito comunista169

propria di Marchesi, fondata com’è sulla tradizione del cristiane-simo primitivo declinata in termini rivoluzionari, non appare fa-cilmente conciliabile con la sua visione dello Stato sopra delinea-ta di matrice risorgimentale: in tal modo viene ad essere confer-mata la dimensione non di rado contraddittoria – che ha già fattola sua comparsa nelle pagine precedenti170 – della figura e del pen-siero di Marchesi. Ma piuttosto che le irriducibili contraddizionidel letterato e del politico, su cui hanno giustamente insistito An-tonio La Penna e Sebastiano Timpanaro171, e che non possono es-sere in alcun modo negate, qui da ultimo pare opportuno porre inevidenza quella che è stata chiamata la sua humanitas172.

Originata da una profonda cultura di tipo letterario e da unacarica passionale manifestata in ogni circostanza della vita, essanon è riuscita ad assumere una funzione unificante della persona-lità di Marchesi, ma ha dato a tutti i suoi interventi – di critico, dipubblicista, di parlamentare – un tocco inconfondibile che li ren-de a distanza di molti decenni ancora degni di attenzione. Essinon appaiono come il prodotto di un dotto, ma tronfio e insipidoletterato o di un rigido militante di partito, quanto piuttosto di unuomo saggio e addentro ai segreti della vita che non ha timore dimettere in mostra il proprio animo. E come nella Storia della let-

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167 Tertulliano, Apologetico 50, 13.168 Cfr. infra, p. 129.169 Sul tema della fede in Concetto Marchesi, cfr. da ultimo D. Lassandro,

Concetto Marchesi, «studioso, maestro e risoluto uomo d’azione», in Studi in ono-re di Francesco Grelle, Edipuglia, Bari 2006, pp. 153-54.

170 Si pensi ad esempio al contrasto tra l’adesione al comunismo di Marche-si e la sua visione aristocratica della vita e dell’arte, e a quello – più volte segna-lato – tra la sua intransigenza sui principi e la sua flessibilità pratica.

171 La Penna, Concetto Marchesi, cit., pp. 93-94; Timpanaro, Il «Marchesi»di Antonio La Penna, cit., p. 631.

172 Treves, Concetto Marchesi letterato italiano, cit., p. 429.

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teratura latina colpisce la sapienza umana che consente all’autoredi entrare nelle pieghe dell’animo di Orazio o di Seneca, così neidiscorsi parlamentari è notevole la naturalezza con cui egli affer-ma di non accettare «l’ipotesi atea che Dio sia un’ideologia di clas-se» ed esprime quasi il rammarico di non essere stato toccato dal«lume di grazia»173, oppure nel mezzo di un’importante discus-sione – in modo del tutto serio – dichiara: «L’onorevole Moro – acui voglio un po’ di bene (non so se contraccambiato) – [...]»174.Dà molto da pensare infine la nota di profonda tristezza e sconfor-to che Marchesi introduce in un intervento del 1954 in materia dipatrimonio culturale. Ricordando i cornicioni della Villa Farnesi-na a Roma175 che cadono a pezzi, egli soggiunge: «Opere simili aqueste [...] non si costruiranno più, mai più. Sorgeranno alveariumani per codesta moltitudine umana che si rovescia continua-mente sulla terra; ma opere siffatte, una volta perdute, sono per-dute per sempre»176. Qui, in tutta la sua inquietudine e il suo pes-simismo si manifesta l’animo dell’uomo, che solo in seno al Parti-to comunista era riuscito a trovare un po’ di quiete.

Nota bibliografica

Si elencheranno innanzitutto le principali opere di Concetto Mar-chesi distinguendole in due gruppi, uno di natura più varia, prevalen-temente letteraria, e l’altro comprendente i lavori dello studioso.

Al primo gruppo appartengono: Battaglie. Versi, Tipografia del-l’Etna, Catania 1896; Il libro di Tersite, Formiggini, Roma 1920 (in«Simpaticissima», I, 4), e poi Mondadori, Milano 19502 e Sellerio, Pa-lermo 1993, con una nota di L. Canfora; Il letto di Procuste, Principa-to, Messina 1928; Pagine all’ombra, Zanocco, Padova 1946 (rist. 1974);Divagazioni, Neri Pozza, Venezia 1951; Il cane di terracotta, Cappelli,

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173 C. Marchesi, Assemblea Costituente, Seduta antimeridiana del 22 di-cembre 1947, p. 3579, cfr. infra, p. 46.

174 C. Marchesi, Atti Parlamentari, Camera dei deputati, Legislatura I, Di-scussioni, Seduta del 2 gennaio 1953, p. 44724.

175 Fra il 1952 e il 1955 Marchesi risiedette nella Villa, «foresteria» dell’Ac-cademia dei Lincei, cfr. Franceschini, Concetto Marchesi, cit., pp. 52, 66.

176 C. Marchesi, Atti Parlamentari, Camera dei deputati, Legislatura II, Di-scussioni, Seduta dell’8 aprile 1954, p. 6907, cfr. infra, p. 153.

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Bologna 1954; Umanesimo e comunismo, Editori Riuniti, Roma 1974;I Discorsi (parlamentari, tranne quelli tenuti alla Consulta nazionale eall’Assemblea Costituente), a cura di S. Saglimbeni, Edizioni del Pa-niere, Verona 1987.

Del secondo gruppo si menzionano: La vita e le opere di C. ElvioCinna, Giannotta, Catania 1898; L’Etica Nicomachea nella tradizionelatina medievale. Documenti e appunti, Trimarchi, Messina 1904; Va-lerio Marziale, Formiggini, Genova 1914, 19302, 19343; Seneca, Prin-cipato, Messina 1920, 19342, 19443; Petronio, Formiggini, Roma 1921,19402; Giovenale, Formiggini, Roma 1921, 19402; Fedro e la favola la-tina, Vallecchi, Firenze 1923; Tacito, Principato, Messina 1924, 19422,19433, 19554; Storia della letteratura latina, 2 voll., Principato, Messi-na 1925-27, 19508; Arnobio Adversus nationes libri VII, edizione criti-ca, Paravia, Torino 1934, 19532; Voci di antichi, Leonardo, Roma1946; Scritti minori di letteratura e di filologia, 3 voll., Olschki, Firen-ze 1978.

Essenziale sulla figura di Marchesi è E. Franceschini, ConcettoMarchesi. Linee per l’interpretazione di un uomo inquieto, Antenore,Padova 1978; si veda ora anche Concetto Marchesi e l’Università di Pa-dova, a cura di G. Zaccaria, CLEUP, Padova 2007. Su Marchesi anti-fascista negli anni 1943-45, e sul suo complesso rapporto con G. Gen-tile, cfr. L. Canfora, La sentenza. Concetto Marchesi e Giovanni Genti-le, Sellerio, Palermo 1985, riedito nel 2005 con un nuovo saggio ini-ziale dell’autore. Sullo studioso di letteratura latina e sull’uomo di let-tere sono fondamentali: A. La Penna, Concetto Marchesi. La critica let-teraria come scoperta dell’uomo, La Nuova Italia, Firenze 1980; S. Tim-panaro, Il «Marchesi» di Antonio La Penna, in «Belfagor», XXXV,1980, pp. 631-69; P. Treves, Concetto Marchesi letterato italiano, in Id.,Tradizione classica e rinnovamento della storiografia, Ricciardi, Milano-Napoli 1992, pp. 391-437.

Per una bibliografia molto ampia e accurata degli scritti di Mar-chesi e di quelli su di lui e sulla sua opera, cfr. M. Steri, Bibliografiamarchesiana, Archivio Concetto Marchesi, Cardano al Campo 2006.

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RINGRAZIAMENTI

Questo volume è stato reso possibile grazie alla collaborazione deiservizi e degli uffici della Camera, che detengono e conservano un pa-trimonio unico di documenti, testimonianze e memorie di vario tipo,e a cui va tutto il più sentito ringraziamento della Fondazione della Ca-mera dei deputati.

Per la fornitura dei testi in formato elettronico si ringrazia la Tipo-grafia Colombo, e, in particolare, Giovanni Battista Colombo, diret-tore generale della tipografia, e il dottor Andrea Parisi Presicce, colla-boratore della tipografia.

Per le immagini fotografiche contenute nel volume si ringrazia l’av-vocato Matteo Steri, curatore dell’Archivio Concetto Marchesi di Car-dano al Campo (Varese).

Infine per il filmato Italiani così. Testimoni del nostro tempo: Con-cetto Marchesi, si ringraziano il direttore di RAI Teche, Barbara Sca-ramucci, e i suoi collaboratori.

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