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FONDAZIONE FEDERICO OZANAM - VINCENZO DE PAOLI ONLUS ASSOCIAZIONE GRUPPI DI VOLONTARIATO VINCENZIANO AIC ITALIA CONSIGLIO CITTADINO DI ROMA ASSOCIAZIONE SOCIETÀ DI SAN VINCENZO DE PAOLI CONSIGLIO CENTRALE DI ROMA ONLUS Violenza sulle donne Tavola Rotonda 25 Maggio 2010 Ciclo di incontri formativi Febbraio/Marzo 2011

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FONDAZIONEFEDERICO OZANAM - VINCENZO DE PAOLI

ONLUS

ASSOCIAZIONEGRUPPI DI VOLONTARIATO VINCENZIANO

AIC ITALIA

CONSIGLIO CITTADINO DI ROMA

ASSOCIAZIONESOCIETÀ DI SAN VINCENZO DE PAOLI

CONSIGLIO CENTRALE DI ROMA ONLUS

Violenza sulle donne

Tavola Rotonda25 Maggio 2010

Ciclo di incontri formativiFebbraio/Marzo 2011

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FONDAZIONEFEDERICO OZANAM - VINCENZO DE PAOLI

ONLUS

ASSOCIAZIONEGRUPPI DI VOLONTARIATO VINCENZIANO

AIC ITALIA

CONSIGLIO CITTADINO DI ROMA

ASSOCIAZIONESOCIETÀ DI SAN VINCENZO DE PAOLI

CONSIGLIO CENTRALE DI ROMA ONLUS

Violenza sulle donne

Febbraio 2011

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CON IL CONTRIBUTO DI

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Il drammatico fenomeno della violenza sulle donne – troppo spesso con-sumata tra le mura domestiche – solo di recente tende ad emergere dauna coltre di silenzi colpevoli, di inaccettabili rassegnazioni, di diffusepaure.Dagli studi e dalle indagini già svolte emerge un quadro la cui sconvol-gente dimensione non ha sin qui trovato la dovuta attenzione nella opi-nione pubblica, ma neanche soprattutto in quelle aree di cittadinanzaattiva e di impegno operativo che dovrebbero sentire il dovere di tradur-re l’indignazione in iniziative di ascolto e di intervento.Le Associazioni di Volontariato Vincenziano (Gruppi di VolontariatoVincenziano e Società di San Vincenzo De Paoli) avvertono oggi semprepiù pressante questo dovere di affettuosa, fraterna partecipe vicinanzanei confronti di un mondo di sofferenza e di umiliazione sin qui presso-ché inascoltato.Occorre però superare ogni forma di pur generosa ma inadeguatadisponibilità rispetto a un fenomeno che, proprio per le sue caratteristi-che, esige una rigorosa analisi di tutti i dati e una appropriata formazio-ne professionale.Il presente volume intende essere certamente non solo una testimonianzadi sensibilità e di attenzione, ma anche e soprattutto uno strumento diriflessione, un contributo a quell’approccio rigoroso e consapevole che èda ritenersi indispensabile.Nella prima parte sono riportati gli atti della Tavola rotonda, promossadalla Fondazione Ozanam e svoltasi a Roma il 25 maggio 2010, cheintroducono una perlustrazione accurata sulle radici sociali, sulle dimen-sioni e sulle modalità della violenza di genere: a tale iniziativa ha offer-to un fondamentale supporto l’Associazione Differenza Donna, unaONG che opera da oltre venti anni per prevenire e contrastare la violen-

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INTRODUZIONE

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za sessuale e che da alcuni mesi ha definito un protocollo d’intesa per unprezioso lavoro di coordinamento con le più importanti istituzioni del ter-ritorio romano.Nella seconda parte si propongono le relazioni di un ciclo di incontri for-mativi ed informativi sul tema della violenza di genere previsti nel febbra-io – marzo 2011 presso il Pontificio Collegio Leoniano, sempre d’intesacon l’Associazione Differenza Donna.L’intendimento è quello di offrire ogni utile motivo di riflessione e diapprofondimento per chi avverte l’esigenza di “rompere il silenzio” ecomunque per chiunque voglia offrire con consapevole predisposizionela propria opera e il proprio responsabile impegno di fronte ad uno scan-dalo tanto diffuso di soprusi, di violenze, di umiliazioni.

La Fondazione

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TAVOLA ROTONDA

La violenza sulle donne,“impariamo ad ascoltarla”

25 maggio 2010

Aula Magna dell’Università LUMSAVia Pompeo Magno, 22

Roma

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La violenza di genere, è un fenomeno specifico e distinto da tutti glialtri tipi di violenza.L’ONU nel 1993 nella sua dichiarazione sulla eliminazione della vio-lenza alle donne ha adottato il termine di Violenza di genere, qualeviolazione dei Diritti Umani che sono universali. Violenza di genere èla violenza agita dal genere maschile sul genere femminile.Nei primi anni ’90 sono iniziati studi e le prime indagini statistiche sulfenomeno della violenza alle donne, da parte dei vari OrganismiInternazionali. La fonte degli studi scientifici, non più solo teorici, èstato il racconto delle donne ad altre donne nei Centri antiviolenzasparsi nel mondo; in Italia ce ne sono più di 100 ed esiste la ReteNazionale dei Centri Antiviolenza italiani.Questo ascolto ha permesso a coloro che lavorano nei Centri Anti-violenza nel mondo, di conoscere il reale fenomeno della violenza alledonne, di individuarne la matrice patriarcale, in tutte le sue dimensionied aspetti, la sua reale consistenza, l’enorme diffusione, la trasversalità,le dinamiche e le strategie messe in atto dagli uomini violenti, i dannisulle donne e i bambini.Tutto questo grazie ad operatrici specializzate, a consulenti di acco-glienza, psicologhe e di avvocate, che coniugano il Sapere e l’otticadella Differenza di Genere con la loro professionalità.I dati statistici denunciano drammaticamente l’estensione e la diffusio-ne del fenomeno della violenza maschile sulle donne in tutto il mondoe ci dicono che circa il 90% della violenza è in famiglia, che è la piùgrave, la più pericolosa perché spesso sfocia nell’omicidio.

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Le radici sociali e culturalidella violenza di genereGabriella Paparazzo*

* Differenza Donna

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Se l’emancipazione ha cambiato e trasformato la vita delle donne, conil raggiungimento della parità dei diritti, attraverso la loro partecipa-zione alla vita economica, sociale e politica,nel rapporto di coppia,permane la divisione dei ruoli maschile e femminile, che trova il con-solidamento nella famiglia.L’emancipazione femminile raggiunta in alcuni Paesi formalmente esostanzialmente, non ha sconfitto la violenza maschile sulle donne.Rapporto Consiglio d’Europa (2002 OMS), (2005 ONU).Perché tanta violenza sulle donne? Perché dopo anni ed anni di lotteper la conquista dei diritti, primo fra tutti il diritto all’uguaglianza, per-mane ancora una forte discriminazione sociale, e una forte disparitàdi potere tra uomini e donne?Per cercare di comprendere il fenomeno della violenza maschile neiconfronti delle donne, è necessario sottolineare l’intreccio che esiste tral’antica visione patriarcale e l’attuale rappresentazione dell’immaginedella donna.

La violenza alle donne è il prodotto della antica cultura patriarcale,che non è ancora tramontata.

Il Codice di Hammurabi 1700 a.c. contemplava i processi per stupro conquesta premessa: “La figlia nubile è di proprietà del padre, la moglie èdi proprietà del marito”. Al processo si presentava il padre come vittimaper un danno alla sua proprietà. Se la donna stuprata era sposata, veni-va uccisa, perché “non può più garantire la certezza della prole”.Nell’Antica Cultura ebraica, 1000 anni a.c.,“ La donna stuprata è ormaicontaminata, quindi veniva sempre uccisa”... “Lo stupro su una donna èun reato contro la proprietà commesso da un uomo nei confronti di unaltro uomo” - Donna merce di scambio tra uomini - Donna oggetto delmercato del matrimonio - Donna proprietà custodita.I codici napoleonici del 1804 prevedevano la Certificazione Maritale“donna proprietà del marito”. Fino al 1981 il nostro codice penaleprevedeva il delitto d’onore.

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Simbolicamente, culturalmente e sociologicamente, la donna è statasignificata nel tempo come Corpo, e l’uomo come mente, e la superio-rità della mente rispetto al corpo ha marchiato la relazione tra i sessie tale connotazione gerarchica, insita nella relazione uomo donna, èla causa primaria della violenza maschile sul corpo femminile.Oggi siamo nel 2010, ci sono alle spalle centinaia di lotte che le donnehanno condotto insieme, attraverso la realizzazione di leggi che hannopermesso l’ottenimento di diritti e fatto cadere dei divieti. L’ emancipazio-ne femminile, da un punto di vista formale è stata raggiunta, le donnelavorano, studiano… sono nel pubblico e non solo angeli del focolare…Quale cultura fa da sfondo alla violenza maschile sulle donne?

L’attuale contesto storico, caratterizzato da una cultura e politica del-l’immagine, dove chi appare esiste, dove la dimensione mediaticadella Tv, sembra rappresentare l’attestato dell’esistenza di chi appare:“appaio quindi sono”, permette e facilita, l’esposizione, del corpodella donna. L’Italia è il Paese, in Europa che più espone, offre, mostrail corpo della donna, eppure oggi più di ieri, la donna come sogget-to sembra non esistere, ma appare solo come donna oggetto.L’attuale cultura televisiva cancella la soggettività femminile, con qual-che eccezione, e identifica prevalentemente le donne nei tre ruoli tra-dizionali di, moglie madre e prostituta. La TV non fa solo informazio-ne, non è solo il riflesso della cultura dominante, ma fa formazione eimpone modelli comportamentali che condizionano fortemente soprat-tutto gli adolescenti, giovani donne e giovani uomini.

La Tv di oggi deve soltanto vendere.In un contesto storico sociale culturale politico come l’attuale, dovel’unica ideologia che impera è quella del Mercato, dove il rapportoche conta, non è la relazione tra soggetti dotati di pari dignità, ma ilrapporto tra il soggetto cliente e la merce presente sul mercato, ilcorpo della donna diventa l’oggetto privilegiato del mercato, la mercedi scambio per eccellenza fra uomini. (Hammurabi 1700 a.c.)

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Si diventa oggetto, quando non c’è più la percezione del propriocorpo, del proprio sé, dei propri desideri, corpo ormai espropriato econformato al desiderio dell’altro.Vivere in funzione dell’altro, marito e figli per l’unità della famiglia… Èquesta la condizione che hanno vissuto le donne vittime di violenza cheincontriamo nei nostri Centri; si sentono svalorizzate, private dell’auto-stima, per aver subito anni di maltrattamenti, oppure sono gravementetraumatizzate da violenze sessuali episodiche o perpetrate nel tempo.Sono donne minate nel profondo che mostrano spesso un sé, ormaispezzettato, frantumato, dove occorrerà sistemare i pezzi. Sono donneche non si appartengono che non si vedono con i loro occhi.

Il Modello comportamentale prevalente rappresentato in TV, neimedia, nella pubblicità, è quello delle donne di contorno, delle donneornamento, pronte a subire la valutazione da parte degli uomini,anche quando si traduce in apprezzamenti volgari ed umilianti.Questo produce disprezzo e aggressività, componenti essenziali ecausa della violenza maschile nei confronti delle donne. I corpi delledonne, diventano corpi disponibili ed è questo che rinsalda negliuomini la convinzione che i corpi delle donne siano sempre a lorodisposizione.Sono a loro disposizione in famiglia dove la disponibilità del corpodelle donne è sottointesa e prevista, da parte di mariti e conviventi,fidanzati disponibilità che arriva fino alla violenza fisica e all’omici-dio, delle loro mogli, compagne fidanzate; è la disponibilità da partedei padri che stuprano, accoltellano e talvolta uccidono la propriafiglia; è la disponibilità da parte dei figli che maltrattano le loro madrianziane; è la disponibilità da parte di un branco di ragazzi di 13-14anni, di una loro coetanea, in un bagno di una scuola, in un casalediroccato, o su una spiaggia.Di fronte a tutte questo, non è vero che le donne siano e continuano arimanere in silenzio.C’è un forte desiderio di dissenso femminile, che utilizza lo strumento

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della solidarietà femminile, della relazione tra donne, dell’essere inprima linea, coniugando politica di genere con professionalità e compe-tenze specifiche, per abbattere, in modo nonviolento, la legge dei padri,per affermare una cultura che renda certo il diritto all’inviolabilità delcorpo femminile.Il dissenso femminile è forte ed è diffuso insieme alla ribellione delledonne, di quelle centinaia e centinaia di donne che noi incontriamonei Centri Antiviolenza, delle migliaia e migliaia di donne presenti neiCentri Antiviolenza di tutto il mondo, che si sottraggono alla violenzadei mariti, dei conviventi, dei fidanzati dei padri, dei fratelli, dei preti,dei maestri… per riappropriarsi di sè, di un futuro, per sé stesse espesso per i propri figli.

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Oggi la violenza contro le donne è considerata una grande violazio-ne dei diritti umani e tante sono le donne i cui diritti sono negati e chesubiscono violenza sin dalla nascita. Per molte di esse è proprio lacasa familiare il teatro di sofferenze, umiliazioni, negazioni. La fami-glia che nella nostra cultura viene spesso identificata come “luogo” diprotezione, amore, accoglienza, sicurezza, paradossalmente, diventaluogo di morte e i comportamenti violenti vengono agiti dal mari-to/partner, la persona cui la donna dà fiducia e amore per un tempointerminabile: non a caso sono infinite le donne che subiscono maltrat-tamenti anche per venti, trenta anni.Per violenza domestica s’intende qualsiasi forma di violenza, psicolo-gica, fisica o sessuale, esercitata all’interno della famiglia. La definizione domestic violence: “La violenza che si consuma all’in-terno della sfera privata, generalmente tra individui che sono legati daun vincolo di intimità, di sangue o di legge” compare per la primavolta nel rapporto alla Commissione per i diritti umani delle NazioniUnite del 1996. Nei paesi in via di sviluppo, più che in occidente, la violenza dome-stica va oltre l’abuso sessuale, le percosse o la violenza verbale edeconomica. In relazione al contesto culturale, sono frequenti e innumero variabile le mutilazioni, amputazioni e acidificazioni, gliinfanticidi e aborti forzati, assassini e suicidi indotti di figlie, mogli,sorelle.Ogni anno, nel mondo, si stima che almeno 13000 donne1 venganouccise dal partner o ex partner. Il dato però non è indicativo del proble-

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Una realtà invisibile: la violenza all’interno della famigliaLINA LOSACCO*

* Differenza Donna1 indagine svolta nel 2003 e pubblicata dal Centro Reina Sofia nel 2006

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ma a livello mondiale poiché la ricerca è fatta su una popolazione fem-minile di età superiore ai 14 anni e riguarda solo 23 paesi tra cui man-cano quelli non occidentali, in particolare del mondo arabo, dove, neicasi di presunto adulterio o di non verginità al matrimonio, si ricorre all’-honor killing (delitto d’onore) per lavare il disonore della famiglia così dalegittimare l’uccisione della moglie/fidanzata/figlia/nipote/sorella(Arin, 2001, Shalhoub-Kevorkian, 2004).Anche in Italia si registrano oltre 100 femminicidi l’anno: ogni 96 oreuna donna viene uccisa dal proprio marito, convivente, fidanzatoattuale o ex (A.C.Baldry, 2006). Tali omicidi sono spesso collegati al fenomeno dello stalking2 o connes-si a situazioni preesistenti di maltrattamento o violenza, anche solopsicologica come dimostrano documentazioni processuali, dichiara-zioni di parenti e amici, o precedenti denuncie sporte dalle donne. In paesi come Usa, Canada, Svezia, Inghilterra, gruppi di esperti già daanni lavorano su metodiche di prevenzione atte ad individuare la perico-losità sociale degli autori di violenza domestica. Il S.A.R.A (Spouse AbuseRisk Assessment) è uno dei metodi utilizzato in Canada sin dal 1995 pervalutare il rischio di recidiva nei casi di violenza interpersonale fra par-tners. Esso permette di valutare se e quanto un uomo che ha agito violen-za nei confronti della propria partner (moglie, fidanzata, convivente) oex-partner potrebbe nel breve o nel lungo termine usare nuovamente vio-lenza. Il metodo è usato con efficacia da polizia, magistrati, criminologima anche medici, psicologi, assistenti sociali. In Italia, pur non esistendouna legge specifica per la valutazione del rischio di recidiva, l’applicazio-ne del SARA si sta diffondendo tra le forze dell’ordine e nell’ambito dellamagistratura rivelandosi efficace sia per le indagini che per le decisioni inmerito alle misure cautelari da adottare o alla pena da infliggere.Altro aspetto da non sottovalutare è che molte delle donne vittime diomicidio presentavano autonomia decisionale o indipendenza econo-

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2 Stalking: la persecuzione agita nei confronti di una persona con la quale si è avuta una rela-zione che non si vuole interrompere o la si vorrebbe iniziare anche contro la volontà dell’altra(Dai maltrattamenti all’omicidio, A.C.Baldry, ed.F.Angeli-2006)

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mica, caratteristiche queste non apprezzate dal partner geloso eossessivo convinto di avere il diritto proprietario sulla persona con cuiha un rapporto intimo. Convinzione sostenuta in Italia fino al 1975 daun assetto legislativo che legittimava l’autorità maritale cioè la liceitàda parte del coniuge di poter usare “mezzi di correzione e discipli-na per educare la propria moglie”.La violenza contro le donne va considerata a due livelli, uno che riguar-da nello specifico le relazioni tra i sessi, caratterizzate da una forma disquilibrio relazionale e dal desiderio di controllo e di possesso da partedel genere maschile sul femminile, l’altro riguarda il piano sociale ovve-ro lo strutturarsi e il codificarsi di tali relazioni in base a stereotipi, rap-presentazioni e convenzioni sociali. Gli omicidi di donne sono dunqueespressione di comportamenti individuali o collettivi misogini e gli attiviolenti delle forme di controllo, esercizio di potere, negazione di dirittie dell’autonomia di pensiero e azione dell’altra persona sia essa la com-pagna, la figlia, la sorella, la madre. La violenza, i maltrattamenti o ilfemminicidio rappresenterebbero una modalità di riscatto dall’insubor-dinazione della donna al potere maschile! La violenza dunque rimanda al concetto di potere. Benché distruttivanei suoi effetti, ha come obiettivo, più che provocare una sofferenza,sottomettere, dominare, paralizzare, piegare l’altra persona. Pur tuttavia è frequente, da parte dell’opinione pubblica, spiegare ifemminicidi con il “troppo amore”, la gelosia, la rabbia per esserestati abbandonati. Ancora oggi, si parla di “delitti passionali” nono-stante il “delitto d’onore” sia stato eliminato dal codice di procedurapenale da circa un quarto di secolo. Fino al 1981, l’uccisione dellamoglie, figlia o sorella era “legittimata” dalla difesa dell’onore suo equello della famiglia, per cui il reo era ritenuto colpevole non di omi-cidio (ex art. 575 c.p., omicidio volontario) ma del reato ex art.587c.p. (“delitto per motivi d’onore”)3. Ancora oggi si parla di raptus

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3 ex art. 587 c.p Chiunque cagiona la morte del coniuge, della figlia o della sorella, nell’atto incui ne scopre la illegittima relazione carnale e nello stato d’ira determinato dall’offesa recataall’onor suo o della famiglia, è punito con la reclusione da tre a sette anni. Alla stessa pena

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improvviso o si invoca la malattia mentale, forse per soddisfare il biso-gno di rendere logici e prevedibili comportamenti umani inaccettabi-li, per proteggersi illusoriamente da essi e tranquillizzarsi.In realtà non ci sono caratteristiche o parametri specifici che possanomettere in guardia dalla violenza. L’ISTAT, (indagine 2006: “La violenzae i maltrattamenti contro le donne dentro e fuori la famiglia”), ci dice che6 milioni 743 mila donne dai 16 ai 70 anni sono vittime di violenzafisica o sessuale nel corso della vita. A queste cifre va aggiunto il som-merso elevatissimo in quanto poche sono le denunce rispetto ai reaticompiuti, solo il 7%; la percentuale però aumenta quando le donne sirivolgono ad operatori del pronto soccorso (62,3%) avvocati, magistra-ti, polizia, carabinieri (47,6%) ad un medico o infermiere (35,9%). Mala percezione della violenza contro le donne è ancora molto bassa, nonsolo da parte della popolazione, anche da parte di chi opera nei servi-zi sociali, sanitari e nelle forze dell’ordine.Subire violenza è un’esperienza traumatica che produce effetti diver-si a seconda del tipo di violenza subita e della persona che ne è vitti-ma: danni esistenziali e spesso una seria compromissione della salutepsico-fisica, sono fra le conseguenze che determinano costi sociali edeconomici elevati e riguardano non solo le donne, ma tutta la comu-nità. Le conseguenze della violenza dunque possono essere moltogravi e l’evoluzione di alcune situazioni spesso dipende sia dal tipo dirisposta che una donna riceve nel momento in cui chiede aiuto, siadalla possibilità di trovare o meno sostegno all’interno della rete fami-liare, sociale e istituzionale dove è frequente che la donna sia ritenu-ta responsabile della violenza subita. Spesso infatti il contesto socialee culturale è intriso di visioni moralistiche e di pregiudizi che indivi-duano in alcune caratteristiche femminili forme di “istigazione” allaviolenza deresponsabilizzando il genere maschile. Poi si aggiungonole credenze secondo cui il circuito della violenza nell’ambito della cop-pia non si interrompe a causa del cosiddetto masochismo femminile;

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soggiace chi, nelle dette circostanze, cagiona la morte della persona che sia in illegittima rela-zione carnale col coniuge, con la figlia o con la sorella.

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individuare la responsabilità nei tratti di personalità o in particolaricomportamenti o caratteristiche morali della donna significa sottopor-re quest’ultima a una forma di vittimizzazione secondaria. Strettamente connesso è il drammatico problema del silenzio delledonne le quali, per la mancanza di una rete di sostegno (culturale,familiare, amicale), solidarietà, risposte empatiche, ma anche di soste-gni economici e di tutela, continuano a non dar voce al loro dramma.Numerose ricerche qualitative condotte all’interno dei centri antivio-lenza hanno indagato le motivazioni che hanno impedito o impedi-scono alle donne di raccontare le violenze subite. Ad esempio lapaura di non essere credute o di ritorsioni e quindi di un peggiora-mento della situazione, la vergogna e la responsabilità di quantoaccade in stretta correlazione con lo stereotipo dei ruoli prestabilitiall’interno della famiglia in cui compito della donna è tenere unita ein armonia la famiglia a qualsiasi costo.Non riconoscibilità sociale della violenza nelle relazioni intime. Non a caso quando si parla di violenza alle donne si pensa a quellasessuale agita da estranei, fuori dalle mura domestiche. Nei confron-ti della violenza intrafamiliare c’è una sorta di rifiuto a pensarla pos-sibile anche quando il femminicidio, conseguenza più estrema edrammatica, è sulle prime pagine dei quotidiani. Numerosi studi, inizialmente condotti soprattutto in Canada e negliStati Uniti d’America e confermati dalla nostra diretta e ventennaleesperienza, hanno evidenziato come la violenza domestica si struttu-ra con una modalità chiamata Ciclo della violenza4.Ciò che viene denominato ciclo della violenza, è la rappresentazio-ne di un circuito che si sviluppa nel corso del tempo in modo gra-duale, a partire da violenze verbali o atteggiamenti svalorizzanti.Gli episodi violenti si scatenano spesso per motivi banali e sonoseguiti da scuse e pentimento da parte del partner/aggressore,alternando così la crisi violenta con la cosiddetta “luna di miele”,

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4 L.Walker,1976 Il ciclo della violenza.

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periodo in cui il rapporto, apparentemente rinsaldato o recuperato,riprende come se niente fosse accaduto. La donna, nella speranzache il domani sarà diverso, che il pentimento sortisca in un cambia-mento strutturale, si trova a minimizzare le tensioni e a nascondereall’esterno e a se stessa il proprio disagio e la pericolosità dellasituazione; non solo, la donna, pervasa dal senso di colpa per la suaincapacità di contenere l’ira del compagno, dimentica le umiliazio-ni e la sofferenza promettendo a se stessa che si impegnerà a cam-biare e a diventare più remissiva per migliorare la situazione.Dimenticare la sofferenza e i soprusi subiti, aggrapparsi agli esiguiricordi di vita matrimoniale serena, sperare nel miglioramento dellasituazione è per la donna una strategia di sopravvivenza, un modoper andare avanti.

Alcuni vissuti e condizioni delle donne che vivono in situazioni di vio-lenza domestica

Perdita della stima di sé;Ambivalenza verso l’aggressore (attaccamento affettivo/terrore);Ansietà per la rottura (responsabilità per quanto accade nel menagefamiliare, gestione dei figli);Pressioni dell’entourage (colpevolizzazione intorno allo stato di “vitti-ma” e per lo scacco coniugale; rimproveri per la condotta adottata: “tuavresti dovuto...”, “ Occorre che tu faccia…”, “Lui si comporta cosìperché tu…”;Timori per le conseguenze dell’allontanamento (economiche, sociali,affettive, familiari, professionali);Assenza di appoggi amicali, familiari, giuridici e sociali;Disinformazione sui diritti personali e possibili risorse.

Gli effetti sulla salute delle donne: il dolore nel corpo e nella menteLa condizione di violenza esperita nell’ambito delle relazioni affetti-ve significative determina perdita o riduzione della stima di sé e

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una particolare condizione di fragilità interna con difficoltà persi-stente ad occuparsi di sé, sia dal punto di vista fisico che mentale,una fragilità che le espone alla malattia.Il corteo di sintomi descritto dalle donne accolte attiene a diversi distur-bi pur tuttavia è frequente che essi siano diagnosticati e trattati daimedici consultati senza nessun riferimento alla condizione esistenzia-le delle donne nonostante effetti primari legati alle conseguenze delleviolenze fisiche dirette sul corpo ed effetti secondari legati ai dannipsicofisici per l’esposizione ripetuta a situazioni di impatto traumaticosiano .un dato comune a tutte le donne vittime di violenza come con-fermano i diversi studi condotti a diversi livelli e contesti5.Sin dal 1996 l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) avevamesso in relazione patologie e disabilità femminili con violenze emaltrattamenti in famiglia, discriminazioni, assoggettamento al poteremaschile. Ad esempio lo stato invalidante che porta al confinamentoe riduzione dell’autonomia per l’elevata compromissione della dimen-sione fisica (mobilità e locomozione), della cura di sé e delle capacitàdi comunicazione e relazione, può colpire donne di tutte le fasced’età. La depressione, la più frequente tra le patologie mentali, è laprincipale causa di invalidità delle donne tra i 14 e i 44 anni6. Fannoseguito i numerosi tentativi di suicidio, disturbi alimentari e disturbid’ansia. Inoltre lo stress, cui le donne vittime di violenza sono sottoposte, com-porta conseguenze a livello ginecologico, gastroenterico, cardiova-scolare, oltre che mentale. Studi condotti da alcuni ricercatori delDipartimento di Gastroenterologia dell’Università La Sapienza e i

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5 OMS, Rapport Mondial sur la violence et la santè, Ginevra 2002; Rapporto UNFPA, Le donnenel Mondo. Tendenze e statistiche, Edizione Italiana a cura della Commissione Nazionale PariOpportunità - Presidenza del Consiglio dei Ministri. ONU 2000; UNICEF - Centro di RicercaInnocenti, La violenza domestica contro le donne e le bambine, Firenze 2000.

6 “World Health Report del 1999 Database” dell’OMS, Nel 50% dei casi la depressione è cor-relata alla violenza domestica o allo stupro (World Bank Discussion Paper (1994) ViolenceAgainst Women: The Hidden Health Burden. The World Bank, Washington, D.C)

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Centri antiviolenza di Roma, nel valutare la relazione tra la violenzasubita nel corso della propria vita e i sintomi gastrointestinali organi-ci e funzionali, hanno individuato che il 30% delle pazienti avevaavuto una storia di maltrattamenti fisici e/o sessuali. Inoltre il numerodei sintomi era correlato alla gravità della violenza subita e alla mag-giore esposizione.La violenza non si ferma neanche durante la gravidanza, anche se è con-suetudine pensare che una donna gravida sia rispettata e protetta dalpartner; stereotipo pericoloso che impedisce al ginecologo o all’ostetricadi leggere attentamente la correlazione esistente tra importanti sintomidisfunzionali che spesso una donna gravida presenta e la possibilità chesia vittima di maltrattamento. Come rivelano le statistiche internazionali idanni sul feto e sulla donna vittima di violenza definiscono un quadroallarmante sovrapponibile tra l’altro a quello emerso da una ricerca con-dotta nel 2000 presso i Centri antiviolenza di Roma7 su un campione di120 donne vittime di maltrattamenti in famiglia. Le donne subiscono vio-lenza durante la gravidanza nel 90% dei casi con esordio nel 24%,aumento nel 26%, a fronte di una interruzione nel 3%. Le conseguenzesulla donna sono rappresentate da fratture nel 9%, ematomi nel 73%,trauma cranico nel 15%, lesioni all’apparato genitale nel 10%, doloriaddominali nel 47%, problemi psicologici (paura 30%, insicurezza 72%,perdita di fiducia in sé e negli altri 60%). Rilevanti anche i danni sul feto:nel 5% dei casi la gravidanza si interrompe, nel 15% c’è la possibilità diparti prematuri, nel 16% di minacce d’aborto e nel 7% di malformazio-ni.Inoltre la rivista scientifica Clinical endocrinology (Maggio 2007)riporta che, in base a uno studio che ha coinvolto un campione di267 donne gravide, il cortisolo (spesso definito come “ormone dellostress” e la cui produzione aumenta, appunto, in condizioni di

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7 Baldry A.C., Calabrò E., Losacco L. “gravidanze a rischio… di violenza. Sette anni di colloquicon le donne, storie di infelici gravidanze” in E. Moroli (a cura di) Lanciare la rete nel maredei diritti (pp.42-50) Commissione Pari Opportunità Regione Sardegna, 2000.

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stress) è in grado di attraversare la placenta e raggiungere il fetodopo i primi quattro mesi di gravidanza. In base ai dati raccolti illegame tra il cortisolo nel sangue materno e quello nel liquidoamniotico può essere rinvenuto già dalla diciassettesima settimana,a tale epoca dunque inizierebbe la trasmissione dello stress dallamadre al feto.

Frequenza di disturbi presentati da donne seguite dai centri antivio-lenza con problemi di maltrattamenti, stupro in famiglia, prostituzio-ne coatta.

danni psichici:scarsa stima di sé, ansia, attacchi di panico, disturbi ossessivi, distur-

bo post-traumatico da stress, depressione, insonnia;abuso e dipendenza dai farmaci, fumo, alcolismo;comportamenti autolesivi (automutilazioni, tentato suicidio);rapporti sex non protetti (50%).

danni fisici:dermatiti;disturbi ginecologici permanenti e non (infiammazioni dell’utero e

ovaio, uretriti, perdita di controllo dello sfintere anale, infezionivaginali, dismenorrea, dolore pelvico, irregolarità del ciclomestruale);

infezioni sessualmente trasmesse, in particolare AIDS ed epatite;cefalea persistente, rachialgia;disturbi gastroenterici (gastriti, ulcere, nausee, sindrome dell’intestino

irritabile;disturbi dell’alimentazione;disturbi cardiovascolari (ipertensione, crisi di angina).

disturbi relazionali: paura ad uscire e incontrare gente;disagio nell’affrontare gli addetti agli sportelli istituzionali, tendenza a

restare barricate in casa, ecc.

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Frequenti le interruzioni di gravidanza, nel 50% dei casi per costrizio-ne da parte del partner (sfruttatore nel caso delle vittime di tratta)Il caso: dal maltrattamento alla dialisiAngela è una donna esile, di 35 anni; si rivolge al Centro antiviolen-za preoccupata per le figlie che da anni subiscono maltrattamenti dalpadre, in particolare la figlia maggiore. A. appare molto malata, haun aspetto cianotico, una figura esile e sofferente, le sue emozioniappaiono addormentate anzi atrofizzate, non presenta reattività, aparte la preoccupazione per le sue figlie. In seguito ci racconta unastoria di continui stupri e maltrattamenti subiti dal coniuge, ma nonmanifesta rabbia o sofferenza, solo tanta rassegnazione.

All’età di circa due anni le è stata diagnosticata una idronefrosi con-genita accompagnata da megauretere bilaterale e megavescica. Ilmedico legale spiega che: “Tale malattia è caratterizzata da una dila-tazione del bacinetto renale cui spesso si accompagna una dilatazio-ne degli ureteri. La dilatazione è dovuta ad un ostacolo del deflussodell’urina che ristagnando dilata le strutture, oppure è congenita. Senon si rimuove l’ostacolo al deflusso, la malattia ha una evoluzioneprogressiva verso l’atrofia del parenchima renale e quindi verso l’in-sufficienza renale”.

La signora, dopo i primi 2 interventi chirurgici (all’età di 2 e 12 anni)ottiene un miglioramento delle proprie condizioni e potrebbe condur-re una vita quasi normale conducendo una vita tranquilla con il mini-mo dello stress e sottoponendosi a costanti controlli clinici. Sposatagiovanissima, la signora subisce continui maltrattamenti fisici e sessua-li, ha quattro gravidanze di cui le ultime 2 si interrompono al 3° e all’8° mese. Le sue condizioni peggiorano da subito dopo il matrimonio,numerosi i ricoveri perché in pericolo di vita, sino al momento in cui èricoverata d’urgenza per grave anemia, insufficienza renale acuta eipertensione arteriosa. Le viene diagnosticata “insufficienza renalecronica ed irreversibile con necessità di dialisi”. Dalla valutazionedella cartella clinica il medico legale ha così concluso: ”...è evidente ilfatto molto grave che per molti anni la signora non sia stata sottopo-sta a controllo medico che per lo meno avrebbe potuto ritardare lostato di atrofia del parenchima renale. Anche la quarta gravidanza

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conclusasi con l’espulsione del feto morto va considerata come circo-stanza sospetta; le ragioni per cui la paziente non ha potuto giovarsidelle cure sanitarie sono dovute in gran parte alla mancata collabora-zione familiare. Infatti l’anemizzazione e lo stato di intossicazione perla presenza nel torrente circolatorio di cataboliti non più escreti dalrene possono causare nel malato una ripercussione mentale con inde-bolimento della ideazione e della volontà. Il processo che porta allainsufficienza renale è lento e può non presentare episodi acuti. Ma nelcaso della paziente essendo nota la esistenza della grave malattiarenale, era doverosa una particolare attenzione da parte del coniugenei confronti della stessa”.

Un esempio di quanto costa socialmente la violenza domestica.Come rivelano molti studi la spesa sanitaria e la perdita della produt-tività lavorativa causati dalla violenza domestica corrispondono acirca 5-10 miliardi di dollari l’anno.Nel caso descritto la donna maltrattata è stata condotta frequentemen-te al pronto soccorso con codice rosso, sottoposta a numerose indagi-ni strumentali e cliniche, trattata con farmaci e in ultimo sottoposta adialisi. L’assistenza negata e il maltrattamento reiterato da parte delconiuge hanno determinato l’inevitabile aggravarsi della insufficienzarenale cronica. Se la donna fosse stata trattata con terapie nefrologi-che predialitiche adeguate, probabilmente avrebbe potuto ritardare oaddirittura evitare il ricorso alla dialisi con un significativo risparmiodella spesa sanitaria. Inoltre la gravità della compromissione dellasalute psico-fisica ha impedito alla signora di lavorare, confinandolain uno stato di invalidità. Negli anni successivi la signora ha anchesviluppato il cancro che le ha procurato la morte a soli 42 anni.Le due figlie minori anch’esse vittime di violenza assistita, carenti diuna guida rassicurante fondamentale nel percorso di crescita, duran-te l’età pediatrica hanno manifestato dei problemi in ambiente scola-stico, quindi sono state seguite dall’insegnante di sostegno e monito-rate dal servizio materno infantile. Dopo la morte della madre, sonostate affidate alla nonna che non è stata un riferimento accogliente.

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Una inevitabile conseguenza è stato il disagio sociale delle ragazze;la figlia maggiore ha avuto una gravidanza precoce ma il bambino èstato dato in adozione, in seguito si è ritrovata invischiata nella tossi-codipendenza. La ragazza più piccola, ancora minorenne, per sot-trarsi ai maltrattamenti della nonna è fuggita con un giovane “protet-tivo e sensibile” di cui si è innamorata.

A tutto questo vanno ad aggiungersi le spese legali e giudiziarie (ilricorso alla magistratura penale, civile, minorile)!

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L’incontro di oggi affronta un argomento che provoca in tutte noi uncerto rifiuto, qualcosa che risulta molto difficile anche da pensare.Siamo abituati ad immaginare la famiglia come il luogo dell’amo-re. Infatti, l’essere umano è fondamentalmente un “animale amoro-so”. Forse è proprio sull’amore che si fonda la differenza con ilresto del mondo vivente e si costruisce il sociale. I rapporti gerar-chici, i rapporti di dominio, li condividiamo di più con il mondoanimale, mentre l’amore umano è qualcosa di nostra esclusività:l’amore ci permette di vivere e ci distingue da tutto il resto delmondo vivente.Siamo talmente animali amorosi che possiamo ammalarci se rimania-mo senza amore, ammalarci quando ci sono delle “interferenze” nel-l’amore, quando siamo bersagli del dis-amore, della disaffezione.Basta per dimostrare quest’ipotesi ricordare le osservazioni di René

Spitz1, uno psicoanalista franco-americano, che a metà del secoloscorso, a New York, documentava con l’aiuto di una cinepresa, unaserie di comportamenti, in bambini ospedalizzati e privati della pre-senza materna durante il primo anno di vita, che andavano dal rifiu-to del contatto fino a morte per deperimento organico (detto mara-sma). Questi bambini, nonostante ricevessero tutte le attenzioni neces-sarie al loro sostentamento fisico, presentavano un progressivo dete-rioramento che coinvolgeva tutta la loro persona: diventavano vulne-rabili alle infezioni, perdevano le acquisizioni linguistiche e motorie

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Bambini in trappola: dalla violenza assistita alla violenza sessualeGRACIELA MARCHUETA*

* Differenza Donna

1 Spitz R. A. (1973), Il primo anno di vita, A. Armando.

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raggiunte, avevano un arresto o una caduta del peso e sembravano

ritirarsi attivamente dal contatto con la realtà (Valseschini, 1968)2.Ossia i bambini che, per un lungo tempo, sono carenti di affetto e dicarezze non crescono bene, vanno verso un declino irreversibile esono facili a soccombere per una banale malattia. Questo fenomeno,mostra che la privazione emotiva, la mancanza d’amore può avereconseguenze fatali. Abbiamo bisogno per vivere, tanto di cibo quan-to di stimoli emotivi, di carezze, d’abbracci, d’amore.Ma l’amore spesso è pieno di paradossi tanto è così che quello che,nella nostra cultura è il luogo primario dell’amore, ossia, la famiglia,può essere proprio il posto dove regna il dis-amore.È se risulta difficile pensare che spesso al posto dell’amore coniugaleci sia la violenza ancora più difficile è immaginare che l’amore geni-toriale possa essere inficiato dalla violenza.I maltrattamenti all’infanzia sono sempre esistiti nella storia dell’uma-nità e la società non è mai stata particolarmente sensibile a questofenomeno. Nell’antica Roma il pater familias aveva diritto di vita o dimorte sui propri figli. I bambini erano proprietà dei genitori.Bisogna arrivare al 1852 perché un medico legale, Ambrosie Tardieu,descriva il caso di due bambine morte a causa delle sevizie inflitte lorodalla istitutrice francese alla quale erano state affidate.Circa 20 anni dopo, nel 1874, a New York l’infermiera Etta Wheeler pre-occupata per i continui pianti di una bambina di nove anni vicina dicasa, riuscì ad entrare nell’abitazione della piccola e la trovò incatenataal letto con ematomi, ferite e abrasioni su tutto il corpo. All’epoca, negliStati Uniti i genitori avevano diritti assoluti sui figli e potevano disporre eallevarli come volevano. Etta Wheeler si rivolse alla Società per la prote-zione degli animali, la quale, esaminata la situazione, considerò che ilcaso potesse entrare nei compiti previsti dal proprio statuto e così nacquela “New Society for the Reformation of Juvenile Delinquents” che orga-nizzò il primo rifugio per bambini difficili, trascurati o abbandonati.

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2 Valseschini, S. (1968), “Gli effetti della carenza delle cure familiari”. In Maternità e Infanzia,1, pp. 13-29.

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Nel 1924, di fronte al problema delle vedove e degli orfani di guer-ra, viene approvata, dall’Assemblea Generale della Società delleNazioni a Ginevra, la prima Dichiarazione dei diritti del bambino.Soltanto nel 1959 l’ONU vara la Dichiarazione dei diritti del fanciul-lo, una sorta di “statuto” dei diritti del bambino. Sono stati alcuni radiologi a mettere in risalto la relazione tra fratturee lesioni ritrovate nei bambini e molte sevizie inizialmente passate insilenzio. Nel 1962 il pediatra Henry Kempe, ne diede una prima defi-nizione clinica coniando il termine “sindrome del bambino maltratta-to”, riferendosi in particolare alle situazioni di severo abuso fisico etrascuratezza in cui si imbatteva durante la sua attività di medico. Apartire da quel momento storico gli studi e le attenzioni relative al mal-trattamento infantile si sono progressivamente sviluppati e la professio-ne medica ha iniziato a occuparsi seriamente del problema dell’abu-so all’infanzia.Il maltrattamento sui minori ha svariate forme, dalla violenza psicolo-gica, alla violenza fisica, ma soltanto negli ultimi anni si è dato vera-mente risalto ad altre due forme di violenza: la violenza assistita e laviolenza sessuale.Oggi quasi tutti abbiamo la consapevolezza che il maltrattamento fisi-co su un minore provochi un danno e non possa essere in alcun modogiustificato; meno diffusa è invece la conoscenza del danno procura-to dall’“assistere a una violenza”.Fino a qualche anno fa nessuno, nemmeno gli esperti, si erano soffer-mati a pensare agli effetti che essere “testimoni” della violenza delpadre sulla madre poteva determinare sui bambini. Gli adulti in gene-rale, le mamme stesse, tendono a pensare che quando i bambini sonopiccoli, dormono, giocano o sembrano distratti, non vedano e non sen-tano quanto accade intorno a loro. Niente di più lontano dalla realtà:i bambini, anche appena nati, sono come spugne emotive, sensibili erecettivi a qualsiasi tipo di stimolo. Chi ha vissuto l’esperienza dellamaternità sa che se la mamma è serena e tranquilla il bambino saràcalmo e appagato, ma che, se per un qualche motivo, lei è agitata e

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nervosa anche il figlio farà fatica a distendersi e rilassarsi. Basta que-sta semplice consapevolezza per capire quale sconvolgimento profon-do può agitare un bambino che si trova “in mezzo” a un episodio diviolenza. Immaginiamo la scena: urli, colpi, oggetti che si rompono ovolano nell’aria, pianti, grida, insulti e suppliche che si mischiano. Perun bambino questa è una vera e propria scena di terrore. Anche quando il dramma si svolge lontano da lui potrà avvertire leconseguenze della violenza sul corpo della madre, potrà percepire latristezza e il dolore dell’anima. Niente passa per lui inosservato.La donna vittima di violenza è impaurita e confusa, molte volte apati-ca e passiva, si sente insicura, sempre inadeguata, con forti sensi dicolpa e vergogna. In quella situazione, come potrà dare il massimo disé per il figlio?Da parte sua il bambino percepirà la madre come una figura debolee incapace di proteggerlo. Stretta, tra la violenza e gli impegni dellamaternità in tanti casi non riesce a garantire al piccolo la soddisfazio-ne dei suoi bisogni elementari.Sappiamo che per una crescita sana ed equilibrata il bambino, già daprima della nascita, richiede “un’attenzione particolare”. Nelle aspet-tative dei genitori, dal momento del concepimento, il bambino fa partedel loro mondo. Desiderato e accettato o no, entra nella famigliaprima ancora di venire al mondo. La nascita del bambino costringepertanto la coppia a ridefinire anche il proprio rapporto trasforman-do quello che era uno spazio immaginario in uno spazio reale percontenere il figlio.Già durante la gravidanza il bambino percepisce dei segnali dal corpomaterno (siano questi umorali, nervosi o emotivi) che gli comunicanodelle informazioni, piacevoli o no. Se la violenza si è installata nel rap-porto di coppia il piccolo subirà, anche prima di nascere, gli effetti diquesta situazione. Numerosi disturbi della gravidanza e del parto sono ilprodotto delle esperienze vissute durante questo periodo3. In più il neo-

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3 Baldry, A. C., Calabrò, E. e Losacco, L. (2000). Gravidanze a rischio … di violenza. Sette annidi colloqui con le donne. Storie di infelici gravidanze. In E. Moroli (a cura di). Lanciare la rete

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nato è spesso motivo di gelosia da parte dell’uomo violento, che cerche-rà d’interferire nella relazione madre/figlio. L’allattamento, per esempio,è molte volte ostacolato e l’intenso rapporto che si crea in quel momentotra madre e bambino è spesso disturbato o interrotto dalla violenza. Neiprimi mesi di vita un compito fondamentale dei genitori è quello di aiu-tare il bambino ad avere “fiducia” nel mondo che lo circonda, quello cheErikson chiama “fiducia di fondo”4. Questa è la base sulla quale il picco-lo costruirà il suo mondo psichico, la base del suo senso di sé o dell’iden-tità. La fiducia che un bambino depositerà nel mondo circostante è indiretta relazione con il livello di cura e di attenzione che riceve, con lacapacità, soprattutto materna, di accudimento, di contatto, di affetto e distimolazione. È chiaro che la qualità dell’accudimento sarà molto com-promessa quando si registra violenza in famiglia, quando la madre temeper la propria incolumità o quando gran parte della propria energia èinvestita nel garantire la propria sicurezza.Rendere difficoltoso il rapporto madre/figlio è un’aggressione moltosottile che qualche volta ha delle conseguenze drammatiche.Il bambino, anche se molto piccolo, dal suo lettino, osserva con gran-de interesse tutto quello che accade intorno a lui, ma non è un sempli-ce spettatore. Ha delle capacità empatiche che gli consentono di rico-noscere il dolore altrui.Man mano che cresce, la comunicazione del bambino non è solo emo-tiva ma anche verbale e lui comincia ad intervenire e a reagire attiva-mente nelle dinamiche familiari. Egli si sforza per raccogliere i datiche lo aiutino a comprendere quello che sta accadendo. Intravede chein quella situazione c’è una vittima che forse va aiutata e difesa ma èanche spaventato, insicuro, prova dei sensi di colpa, gli sembra divivere un incubo.Spesso la violenza si scatena durante la notte e il bambino assiste aldramma dalla sua camera da letto. Si dispera, vorrebbe “difendersi”,magari nascondendo la testa sotto i cuscini ma è “costretto” ad ascol-

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nel mare dei diritti. (pp. 42-50) Commissione Pari Opportunità Regione Sardegna.4 Vedi: Erik Erikson, (1966) Infanzia e società, Ed. Armando, Roma.

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tare gli urli, gli insulti, le minacce, i pianti. Qualche ora più tardi forsescoprirà i segni delle percosse e percepirà lo stato emozionale, lapaura, il dolore della madre. Sarà difficile comunque proteggere ilproprio cuore e la propria mente da queste ferite.Nel tentativo di evitare la violenza la donna si trova al bivio tra il bam-bino e il marito. Deve spesso mascherare le sue attenzioni per il figlionon potendogli garantire l’affetto sereno di cui ha bisogno. Le norma-li cure richiedono una pianificazione e uno sforzo addizionale. Moltevolte è proprio nella funzione materna che la donna viene criticatadall’uomo: “non sei una brava mamma”, “non si fa così” … Lei pensadi sbagliare, ha paura e in più è preoccupata per quello che può suc-cedere al bambino cui dovrebbe dare protezione.È importante ricordare che la violenza domestica non rimane mai den-tro le quattro mura, ma va di casa in casa, di padre in figlio, perchéil suo effetto si espande in circolo come le onde di un sasso nell’acqua.Infatti, anche le statistiche statunitensi rivelano che il 60-80% degliuomini violenti e il 50% delle donne che subiscono violenza da picco-li sono stati esposti alla violenza5. Il bambino impara che la violenzaè normale e può assumerla come modalità per risolvere i conflitti o,identificandosi con la madre, riprodurre un comportamento passivo. Ilpericolo è che le bambine raggiungono l’immobilismo della madre enelle relazioni interpersonali assumono il ruolo della vittima. Si ripro-duce il ciclo, quindi il perpetuarsi della violenza.Per rompere questo ciclo bisogna capire fino in fondo che la violenzadomestica agisce sui bambini in modo distruttivo, provocando deigravi danni a livello comportamentale, emozionale e relazionale.Nelle situazioni di violenza si tratta non soltanto di vivere all’internodella famiglia un clima di tensione, bensì di convivere spesso con lapaura e con il terrore della violenza imprevedibile e incontrollata. Il

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5 Jaffe, P.J.; Wilson, S. & Wolfe, D. (1986) Promoting changes in attitudes and understanding ofconflict among child witnesses of family violence. Canadian Journal of Behavioral Science, 18,(pp. 356-380).

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bambino sa che può scoppiare in qualsiasi momento e spesso è tesoe terrorizzato.Sappiamo che per la donna vittima di violenza è molto difficile parla-re, chiedere aiuto. Si sente responsabile del fallimento della famigliapertanto è nostro dovere imparare a “leggere tra le righe”. Dobbiamomostrarci disponibili, farle capire che siamo in grado di immaginarela situazione difficile presente in casa; dobbiamo farle capire che nonbisogna subire, che i bambini vanno protetti e che chiedere aiuto è unsegnale di forza e nessun sacrificio potrà fermare l’uomo violento.È importante sostenerla nell’uscire dall’atteggiamento vittimistico perpoter recuperare sicurezza e responsabilità di fronte al pesante com-pito di allevare i figli in situazioni precarie e di difficoltà, situazione incui solitamente si trova una donna dopo la separazione.

Se dalla violenza assistita passiamo alla violenza sessuale, allorasiamo vicini alla tragedia.Sul danno della violenza sessuale sicuramente siamo tutte più in aller-ta per quanto anche su questo problema molti sono i miti culturali.Infatti, risulta difficile pensare che nel 90% dei casi la violenza sessua-le si svolga tra le mura di casa. È il padre, il patrigno, lo zio, il nonno,il fratello maggiore che più frequentemente l’agisce. Del 10% restantel’8% è rappresentato da persone conosciute del bambino, adulti deiquali il piccolo si fida (maestri, vicini, amici di famiglia) e soltanto nel2% dei casi si tratta di uno sconosciuto. Siamo abituati a raccoman-dare ai nostri figli “a non dare confidenza all’estraneo” rifiutandoci diaccettare che è all’interno della famiglia che si sviluppano i drammipiù terribili. Le statistiche sono tante e i risultati molto variabili.Sicuramente, come dimostrano quotidianamente anche le notizie dicronaca, le vittime della violenza sessuale sono molte di più di quelleche possiamo immaginare e a volte anche “tollerare”.Nella violenza sessuale in famiglia la regola culturale che vieta i rappor-ti intrafamiliari, il tabù dell’incesto, viene sostituito con un’altra parolad’ordine: “Vietato parlare”. Il segreto è la chiave che imprigiona il/la

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bambino/a. In vari i modi gli/le viene fatto capire che parlare portereb-be al disastro: “la mamma se ne andrà”, “si arrabbierà”, “non ti crede-rà”, tutto può crollare intorno.Sia che la violenza venga imposta con la forza o veicolata con mes-saggi confusi d’affetto o d’amore il bambino avrà sempre la perce-zione che qualcosa di “strano”, di “sporco”, “d’inadeguato” staaccadendo ma non potrà pensare che è l’adulto la persona strana,inadeguata o sporca: di tutto si sentirà responsabile lui/lei. Questapercezione di sé lo accompagnerà per sempre se qualcuno non loaiuta ad aprire la gabbia e a venir fuori dalla trappola.In molti casi la violenza sessuale sui minori e la violenza maschile sulladonna sono agite simultaneamente. Sarà sempre molto difficile per unamadre poterlo scoprire perché bisognerebbe poter “pensare l’impensa-bile”.Intanto il bambino impara che non c’è modo di evitare gli approcci del-l’adulto. Si sente impotente e tradito perché è proprio la persona cheama, la persona dalla quale dipende, la stessa che gli fa violenza.Spesso manifesterà il danno con atteggiamenti sessualizzati improprialla sua età, quello che i tecnici chiamano “sessualizzazione trauma-tica” e allora, attenzione al nostro intervento! Redarguire il bambinoperché usa termini inadeguati, parolacce o fa discorsi con un conte-nuto sessuale improprio lo farà sentire più colpevole e più inadegua-to di quanto già lui si senta, e creerà in lui un ulteriore danno.Molte volte i bambini parlano attraverso segnali che altre persone pos-sono capire, frasi dette alle maestre, disegni, giochi che se ben inter-pretati ci segnalano il pericolo.Dobbiamo allora imparare ad osservare e, di fronte ai sospetti, chie-dere aiuto.A volte è difficile intervenire perché le stesse mamme non possonopensare che il padre possa fare violenza verso i propri figli, quindidobbiamo partire dal coinvolgimento delle maestre o dei servizi socia-li; dare fiducia ai bambini perché possano confidarsi con l’adulto ingrado di saper ascoltare, di avere fiducia in noi. E se questo accade

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non dobbiamo mostrarci sorprese, arrabbiate o inorridite, ma dobbia-mo cercare di tranquillizzarlo e rassicurarlo sul fatto che noi potrem-mo aiutarlo.Non ci dobbiamo scoraggiare, agitare, inalberare, dobbiamo serena-mente accogliere, ascoltare, sostenere e sapere a nostra volta chiede-re aiuto, avvalendoci di una rete.La violenza esiste in tutti i gruppi sociale: gli uomini violenti e le donnemaltrattate sono i nostri parenti, vicini, clienti, amici, colleghi, inutilenasconderci, inutile anche pensare che nel circoscritto ambito perso-nale sia impossibile imbattersi in una relazione pericolosa di questotipo. Per questo motivo ognuno di noi può e deve fare qualcosa per debel-larla.

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Gli interventi di protezione da parte del Tribunale per i minorenni. Di regola, nei casi di maltrattamento o abuso sui minori, che integra-no chiaramente situazioni di pregiudizio, l’intervento del Tribunale perla limitazione o la decadenza della potestà genitoriale si sviluppaattraverso una serie di provvedimenti, a partire da quelli urgenti, perpoi individuare in modo sempre più stabile e definitivo le soluzioni perl’affidamento del minore. Restando sul piano degli interventi urgenti il ventaglio delle possibilidecisioni a protezione del minore si è notevolmente ampliato a segui-to dell’entrata in vigore della legge 28 marzo 2001 n. 149, con laquale il legislatore è intervenuto anche sulla parte del Codice civileriguardante la potestà dei genitori. Sono stati modificati l’art. 330 Cod. Civ., relativo alla decadenzadalla potestà, e l’art. 333 Cod. Civ. – norma chiave sugli interventi dilimitazione della potestà genitoriale, in presenza di situazioni di pre-giudizio – nel senso di rendere possibile disporre, tra le varie misure,“l’allontanamento del genitore o convivente che maltratta o abusa delminore”. Con la legge 4 aprile 2001 n. 154 (“Misure contro la violenza nellerelazioni familiari”), sono stati inoltre introdotti nuovi istituti, con lastessa finalità. In primo luogo una nuova misura cautelare (penale): l’allontanamen-to dalla casa familiare di cui all’art. 282 bis Cod. Proc. Pen. Inoltre la riforma stabilisce che il Tribunale Civile Ordinario può adot-tare “ordini di protezione contro gli abusi familiari”, ai sensi degliartt. 342 bis e ter Cod. proc. Civ.

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Violenza e abuso all’infanzia:i sistemi di protezione e la loro efficaciaAVV. TITTI CARRANO*

* Differenza Donna

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A seguito di queste novità legislative i giudici sono pertanto chiamatia individuare quale sia il percorso di tutela preferibile nella prospetti-va della protezione della vittima, scelta non facile anche perché i variistituti in parte si sovrappongono e fanno capo a competenze di orga-ni diversi.Le norme in questione erano attese da tempo: infatti la madre chevolesse tutelare il figlio poteva venire a trovarsi priva di alternative,obbligata ad abbandonare la casa familiare, sovente in condizioni ditotale precarietà, senza alcun reddito per sé e per mantenere i figli. La misura adottata dal Tribunale per i minorenni in base agli art. 330e 333 Cod. Civ. non obbliga a stabilire un termine finale di efficaciae può essere dichiarata immediatamente esecutiva. Si tratta, quindi, diuno strumento con ampie possibilità di applicazione.

Sicuramente la violenza fisica e sessuale sui bambini ha una risonan-za immediata perché si rivela nella sua estrinseca gravità, è visibile epuò essere raccontata dal bambino stesso. Ma anche i bambini testimoni di violenza subiscono danni simili aquelli prodotti dalla violenza esercitata loro direttamente. Troppo spesso, purtroppo, questo tipo di violenza psicologica suibambini testimoni di violenza viene sminuita e si attribuisce la respon-sabilità dei disagi del bambino ad una generica conflittualità tra geni-tori ed alla separazione dei coniugi e non alla situazione di maltrat-tamenti subiti dalla loro madre. È indispensabile riconoscere che i maltrattamenti in famiglia non sono“liti tra coniugi”, ma sono veri e propri reati che ledono l’integrità fisi-ca e psichica delle vittime e che il bambino che assiste alla violenza èegli stesso vittima di violenza. Tutto questo richiede una specializzazione di tutte le professionalitàcoinvolte: innanzitutto l’avvocatura, la magistratura, gli operatori delservizio sociale, le forze dell’ordine ed anche gli insegnati delle scuo-le, essendo questi ultimi molto spesso i primi a percepire una situazio-ne di disagio del minore, i pediatri.

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“Per violenza assistita intrafamiliare si intendono gli atti di violenzafisica, verbale, sessuale ed economica compiuti su figure di riferimen-to o su altre figure affettivamente significative, di cui il/la bambino/apuò fare esperienza direttamente, indirettamente e/o percependonegli effetti” (CISMAI 1999).

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PROGRAMMA

PRESENTAZIONE DEGLI INCONTRI:• Martedì 8 Febbraio 2011 - Ore 15,30

DONATELLA TANTILLOVice Presidente Fondazione Federico Ozanam - Vincenzo De Paoli Onlus

MARIA GRAZIA SCARCELLAPresidente Associazione Gruppi di Volontariato Vincenziano di Roma

INTERVENTI E DIBATTITO

• Martedì 8 Febbraio 2011 - Ore 15,30-18,30GRACIELA MARCHUETAMedico Psicoterapeuta - Componente del Consiglio Direttivo Associazione“Differenza Donna”“Conoscere il fenomeno della violenza alle donne e minori per contrastarla: La spi-rale della violenza e degli stereotipi che ostacolano gli interventi adeguati, dannipsico-fisici e sociali”.

• Martedì 15 Febbraio 2011 - Ore 15,30-18,30LINA LOSACCOResponsabile Sportelli Antiviolenza di Differenza Donna c/o Strutture SanitariePubbliche di Roma“L’ascolto nella relazione di aiuto”.

• Martedì 22 Febbraio 2011 - Ore 15,30-18,30CONCETTA CARRANO - LINA LOSACCOAvvocato Civilista Esperta in Diritto di Famiglia - Ufficio Legale Associazione“Differenza Donna”“La rete da attivare e gli interventi opportuni”.

• Martedì 1 Marzo 2011 - Ore 15,30-18,30TESTIMONIANZA“Uscire dalla violenza è possibile: la testimonianza”.

A conclusione degli incontri verrà offerto ai partecipanti un quaderno il cui con-tenuto fornirà notizie utili al servizio dei Volontari.

Ciclo di incontri sulla“Violenza di genere”

Febbraio - Marzo 2011

PONTIFICIO COLLEGIO LEONIANO

Via Pompeo Magno, 21 - 00192 Roma

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Siamo abituati a pensare alla famiglia come al gruppo primordialedella nostra società che dovrebbe funzionare da contenimento, indivi-duazione e garanzia per una crescita sana degli individui.Purtroppo la realtà si scontra spesso con questo desiderio. La freddez-za dei dati statistici e anche le notizie di cronaca ci riportano quasiquotidianamente alle conseguenze estreme di una drammatica e mil-lenaria “epidemia”1 mondiale: la violenza maschile sulle donne.All’interno della famiglia si possono sviluppare forme di violenza, diabuso di potere verso le persone più “vulnerabili” (donne, bambini,anziani) e di conseguenza i rapporti familiari possono essere fonte digrande disagio e sofferenza (Pitch, 1983). La forma più diffusa di violenza di genere è forse la violenza dome-stica, quella violenza che l’uomo agisce all’interno dello spazio deli-mitato per le interazioni nel contesto privato.

Miti e stereotipiLa violenza domestica può essere considerata una malattia sociale chesi sostenta anche su dei miti e stereotipi culturali diffusi che tendono agiustificarla, occultarla e minimizzare la sua gravità e le sue deleterieconseguenze.

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Le relazioni pericoloseIl danno della violenza maschilesu donne e bambiniGRACIELA MARCHUETA*

* Medico Psicoterapeuta

5 Per capire la dimensione del problema ricordiamo che il rapporto del 2005 sullostato della popolazione nel mondo messo a punto dall’Unfpa (Fondo delle NazioniUnite per la Popolazione) ha rivelato che tra la popolazione femminile, d’età com-presa tra i 15 e 44 anni, la violenza miete più numero di vittime che le malattie,come il cancro o gli incidenti stradali e il rapporto del 2008 ha evidenziato che nel

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COSA SI PENSA COMUNEMENTE

Fenomeno numericamente limitato

Fasce sociali svantaggiate, emargi-nate

È una questione di culture straniere

Entro certi limiti è accettabile perchégli uomini per natura sono piùaggressivi

Legata a problemi di alcool, drogheo problemi psichiatrici

Riguarda uomini che hanno subitoviolenza

Colpisce donne “fragili”, passive,cresciute in un clima violento

Provocata dalle donne

Debba essere gestita entro le muradomestiche. La famiglia “deve”rimanere unita altrimenti i figli “sof-frono” l’assenza di un genitore

IN REALTÀ

È esteso anche se sommerso

È transversale

È presente in culture diverse tra diloro

Legittimazione in una cultura miso-gina

È agita da uomini senza problemiparticolari

Non tutti i bambini che sono stati vit-time di violenza diventano uominiviolenti

Riguarda donne che a seguito dellaviolenza possono aver perso lastima in sè

Nessun eventuale comportamentoprovocatorio giustifica la violenza

La violenza deve emergere. I bambi-ni crescono più sereni se stanno conun genitore equilibrato

mondo una donna su tre è maltrattata, violentata o subisce altre forme di abusonella sua vita. In Italia l’Indagine ISTAT 2007 (in convenzione con il Ministero per iDiritti e le Pari Opportunità) ha rilevato che 6.743.000 (il 31,58%) delle donne ita-liane tra i 16 e i 70 anni sono state vittime di violenza fisica o sessuale nel corsodella vita.

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I diversi tipi di violenzaAnche quando la violenza fisica è l’unica che lascia segni visibili sap-piamo che non è altro che la punta dell’iceberg di una violenza che laingloba e la moltiplica. La violenza maschile sulle donne all’interno deirapporti di coppia è violenza psicologica, fisica, economica e/o ses-suale.La violenza psicologica ha un grande potere distruttivo soprattutto sesi sostenta nei sottili meccanismi comunicativi che si costruiscono all’in-terno di quei rapporti che, per definizione, crediamo essere d’amore(l’amore filiale, l’amore di coppia). Follingstad et alt. (1990) hanno individuato le seguenti categorie dicomportamento come abuso o violenza psicologica verso le donne: • attacchi verbali come la derisione, la molestia verbale, l’insulto,

intesi a far credere alla donna di essere senza valore, in modo ditenerla sotto controllo;

• isolamento, separazione di una donna dalle sue relazioni sociali disupporto;

• estrema gelosia ed ossessività, controllo eccessivo sul suo compor-tamento, accuse ripetute di infedeltà e controllo delle sue frequen-tazioni;

• minacce verbali di abuso, aggressione o tortura dirette alla donnastessa ed alla sua famiglia, figli, amici;

• minacce ripetute di abbandono, divorzio, inizio di un’altra relazio-ne se la donna non soddisfa determinate richieste;

• danneggiamento o distruzione degli oggetti di proprietà delladonna;

• violenza sugli animali.

È importante ricordare che nei momenti di rabbia tutti possiamo usareparole provocatorie, oltraggiose o sprezzanti, possiamo fare gestifuori luogo, ma di solito questi comportamenti sono seguiti da rimorsie da scuse. Nella violenza psicologica, invece, non si tratta di una tra-sgressione momentanea, ma di una forma di rapporto che ha come

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obiettivo sottomettere l’altro, controllarlo per mantenere il propriopotere.

La violenza fisica comprende l’uso di qualsiasi atto guidato dall’inten-zione di far male o spaventare la vittima. Quasi tutti gli esperti utiliz-zano la Conflict Tactic Scale (Straus, M.A., 1979) per evidenziare icomportamenti rappresentativi della violenza fisica: • lancio di oggetti;• spintonamento;• schiaffi;• morsi, calci o pugni;• colpire o cercare di colpire con un oggetto;• percosse;• soffocamento;• minaccia con arma da fuoco o da taglio;• uso di arma da fuoco o da taglio

Spesso le donne non registrano il lancio di oggetti o lo spintonamen-to come forme di vera e propria violenza fisica anche se questo atteg-giamento provoca paura e mette in pericolo la propria incolumità. Leultime sei voci della scala sono considerate forme di violenza fisicagrave.

Violenza economica• limitare o negare l’accesso alle finanze familiari;• occultare la situazione patrimoniale e le disponibilità finanziarie

della famiglia;• vietare, ostacolare o boicottare il lavoro fuori casa della donna;• non adempiere ai doveri di mantenimento stabiliti dalla legge;• sfruttare la donna come forza lavoro nell’azienda familiare senza

dare in cambio nessun tipo di retribuzione;• appropriarsi dei risparmi o dei guadagni del lavoro della donna e

usarli a proprio vantaggio;

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• attuare ogni forma di tutela giuridica ad esclusivo vantaggio perso-nale e a danno della donna (per esempio l’intestazione di immobili).

La violenza economica, come succede con la violenza sessuale, spes-so è difficile da registrare come una forma di violenza. Può sembrarenormalmente scontato che la gestione delle finanze familiari spettiall’uomo. Anche l’avarizia può diventare uno strumento vessatorio edenigrante difficile da registrare come violenza.Se l’uomo limita l’accesso al cibo, ai vestiti, al denaro, alle cure medi-che o al lavoro della donna, o impedisce che la donna diventi o possadiventare economicamente indipendente, esercita su di lei un control-lo indiretto molto efficace, soprattutto nel momento in cui la donnadecide di allontanarsi dalla relazione distruttiva di maltrattamento.

La violenza sessuale all’interno del rapporto di coppia • presuppone l’imposizione di pratiche sessuali indesiderate o di rap-

porti che facciano male fisicamente e/o psicologicamente, sottominacce di varia natura.

Ricordiamo che l’imposizione di un rapporto sessuale o di un’intimi-tà non desiderata è un crimine di umiliazione, di sopraffazione e disoggiogazione, che provoca nella vittima profonde ferite, fisiche epsichiche.

La dinamica relazionale nella violenzaSpesso il ciclo della violenza comincia con il fidanzamento, quando lacoppia condivide certe premesse sui ruoli maschile e femminile tradi-zionali. Sin dall’inizio la caratteristica del loro rapporto è la non reci-procità, un rapporto asimmetrico. Entrambi sono legati emotivamente,si trovano bene insieme e pensano che lei sarà la perfetta compagna.Dopo un po’ di tempo le cose cominciano a funzionare male, un pro-

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blema economico, una gravidanza, le gelosie o, magari, motivi futili,danno il via prima alla violenza di tipo psicologico e poi alla violen-za fisica.

L’imprevedibilità dell’aggressione è forse la componente psicologicapiù pesante della violenza fisica. Qualsiasi motivo può essere un pre-testo scatenante e questo induce la donna ad impiegare le sue ener-gie nell’evitare accuratamente ogni comportamento che potrebbe pro-vocare una reazione del partner.

L’idea che il comportamento violento dell’uomo prenda spunto daipropri errori e inadempimenti porta la donna ad avere un senso d’ec-cessiva responsabilizzazione.

L’uomo violento, che considera la donna una sua “proprietà”, cerche-rà di isolarla dal mondo. Criticherà la sua famiglia d’origine, leimporrà di rinunciare al proprio lavoro per “occuparsi meglio” dellafamiglia, sarà geloso delle sue amiche e pian piano la porterà all’iso-lamento totale.Il ciclo della violenza sarà instaurato e tenderà a peggiorare con ilpassare del tempo. Leonor Walker nel 1979 ha ben descritto le tre fasiche, senza quasi varianti, si ripetono ininterrottamente in tutte le situa-zioni di violenza domestica.

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Il ciclo della violenza

FALSARAPPACIFICAZIONE

NEGAZIONEMINIMIZZARE

RAZIONALIZZAREESPLOSIONEDI VIOLENZA

ACCUMULODI

TENSIONE

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1) Prima fase dell’accumulo di tensione: è il primo momento dellaviolenza psicologica, lui è irritato, non fornisce spiegazioni alla par-tner, anzi l’accusa d’essere “troppo sensibile”; lei si sente in colpa,cerca una spiegazione dentro di sé, si chiede in che cosa stia sba-gliando, ha una percezione della realtà distorta, è confusa, cerca diassecondare il suo aggressore in ogni sua decisione evitando di con-traddirlo. Lui è distaccato emotivamente e lei ha paura di essereabbandonata.2) Seconda fase dell’esplosione della violenza: inaspettatamente siscatena la violenza fisica che destabilizza, confonde e terrorizza ladonna.3) Fase della “falsa rappacificazione” (erroneamente chiamata“della luna di miele”): è sempre l’uomo che decide quando inizia equando finisce questa fase. Nei primi episodi è caratterizzata da pen-timenti e richieste di perdono con promesse di cambiamento e rinno-vate dichiarazioni d’amore. Man mano che passa il tempo questa faseè sempre più breve. Questa fase costituisce il rinforzo positivo chespinge la donna a restare all’interno della relazione violenta.

La violenza domestica si caratterizza pertanto per:• cicli di violenza che si alternano a periodi di falsa riappacifica-

zione;• disponibilità della donna a dare una nuova opportunità al proprio

partner nella speranza di un cambiamento;• puntuale disattesa delle aspettative della donna e il ripresentarsi dei

comportamenti violenti del partner.Il meccanismo della negazione della violenza è centrale nel manteni-mento del ciclo. Si tende a: • Minimizzare: “io non l’ho picchiata, le ho dato soltanto uno spinto-

ne”, “stai sempre esagerando, di qualsiasi cosa fai un dramma”• Razionalizzare: “in fondo lei è felice insieme a me, questa è l’uni-

ca volta che l’ho picchiata”, “alla fine ottiene quello che vuole”• Giustificare: “era diventata isterica, l’ho fatto per fermarla”

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Per capire anche il perdurare di alcuni rapporti violenti ricordiamoche la donna vittima di violenza è terrorizzata dalle minacce e dagliatteggiamenti dell’uomo e che a differenza di altre situazioni trauma-tiche:• la violenza domestica nasce all’interno di quello che per la donna

è un rapporto di amore e fiducia;• la violenza domestica non ha nella storia della coppia un inizio pre-

ciso, non è facile riconoscerla e determinare quando è cominciata.In realtà nella violenza si “scivola” quasi inconsapevolmente.

I meccanismi che mantengono il ciclo della violenza hanno uno svilup-po progressivo e sono stati descritti a modo di una spirale che portacon il passare del tempo ad uno stato di sempre maggiore assogget-tamento e prostrazione della donna.Il primo passo della spirale della violenza è l’intimidazione. Intimidiresignifica spaventare con gesti, sguardi e parole, minacciare di violen-za fisica o di morte il partner, minacciare di far violenza ad altri fami-liari e/o ai figli, violenze contro gli animali domestici o danneggia-mento degli oggetti personali di valore affettivo per la donna, perse-cuzioni telefoniche o scritte. Il secondo passo è l’isolamento. La donnaè spinta ad allontanarsi dai suoi punti di riferimento, si ritrova senzaappoggi familiari, abbandonata a se stessa. A volte lui le impedisceaddirittura di uscire sola da casa anche per fare la spesa. Tutti gliaspetti della sua vita possono finire sotto controllo: dalla posta alletelefonate fino, in qualche caso estremo, alla sottrazione dei suoidocumenti. Si può arrivare a una vera e propria segregazione.Il terzo passo, la svalorizzazione, è una costante della violenzadomestica. I continui insulti, le burle, le ridicolizzazioni e le criticheeccessive, creano nella donna un senso d’insicurezza, di colpa eduna grande confusione. La svalorizzazione è anche conseguenza deisensi di colpa della donna per non riuscire a svolgere il suo compitosociale come sostegno e garanzia affettiva del buon funzionamentodel gruppo familiare. Quando tutti i tentativi per cambiare o fermare

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la violenza falliscono, anche se la donna capisce che il partner nonsente amore per lei, il ricatto sui figli la terrà, in ogni modo, legata.Questo sia perché lui spesso minaccia di toglierle i figli se lei cercadi ribellarsi, sia perché lei stessa crede che separarsi significhi assu-mersi la responsabilità di “togliere” ai figli la figura paterna. Quindidiventa sempre più difficile arrivare alla decisione d’allontanarsidalla violenza.

Il ripetersi di queste dinamiche, anche per decenni, porta ad una spe-cie di “naturalizzazione”, ossia la violenza si introietta come qualco-sa di “naturale”, “normale”, che appartiene alla quotidianità e chenon si può cambiare.

Il danno della violenzaRicerche internazionali e anche italiane, evidenziano che sebbene ledonne maltrattate manifestano molteplici disturbi psicologici, nellamaggior parte dei casi non è stata dimostrata nessuna patologia pre-cedente alla relazione di maltrattamento2. Walker, sostiene che lecaratteristiche comuni alle donne maltrattate sono principalmente con-seguenza e non causa dei maltrattamenti.Senza dubbio la donna maltrattata vive una situazione di stress croni-co che si traduce in disagi psichici e fisici3.Ogni fase del ciclo della violenza, provoca degli effetti determinatisulla salute psico-fisica della donna.

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2 I dati ISTAT del 2007 riguardo ai fattori di vulnerabilità delle donne vittime di vio-lenza rivelano che: il 74,8% non ha nessuna patologia precedente, il 15,1 avevamanifestato precedenti problemi psichiatrici e il 2,5 era dipendente di alcool odroga.

3 L’aumento del cortisolo a conseguenza dello stress può essere messo in relazione auna multiforme sintomatologia fisica (problemi gastrointestinali, diminuzione delledifese immunitarie, stanchezza cronica, aumento di malattie vascolari, ecc).

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1 faseLa violenza psicologica tipica della prima fase del ciclo della violenzacontribuisce alla riduzione del livello di autostima e delle sicurezze delladonna ed alla creazione di sentimenti di vulnerabilità e di sensi di colpa.

2 faseLa seconda fase del ciclo, l’esplosione di violenza genera in un primomomento paura e confusione. Nella fase precedente la donna aveva

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Il ciclo della violenza

FALSARAPPACIFICAZIONE

NEGAZIONEMINIMIZZARE

RAZIONALIZZAREGIUSTIFICAREESPLOSIONE

DI VIOLENZA

ACCUMULODI

TENSIONE

Senso diinadeguatezza

Perdita diautostima

Perdita delleproprie

sicurezzeSensi di colpa

Il ciclo della violenza

FALSARAPPACIFICAZIONE

NEGAZIONEMINIMIZZARE

RAZIONALIZZAREGIUSTIFICAREESPLOSIONE

DI VIOLENZA

ACCUMULODI

TENSIONE

PauraConfusioneVergogna

Sensod’impotenza

Sensi dicolpa

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cercato di fermarla, ma ogni sforzo si dimostra inutile e ai sensi dicolpa si aggiunge un grande senso d’impotenza, vergogna e unacostante paura per la stessa sopravvivenza.

3 fasePassata l’esplosione della violenza, il momento della rappacificazionelenisce un po’ le ferite, ma una volta instaurato il ciclo, i periodi dicalma si trasformano in un’attesa silenziosa caratterizzata da unostato di continua allerta in previsione dello scoppio della violenza.

Quali sono gli effetti della violenza sulla psiche della donna?La violenza è un agente traumatico e di conseguenza può provocareun danno.Si parla di trauma psicologico in riferimento a una reazione psichica daintendere come una ferita causata da un fattore traumatico (stressor) checomporta l’essere sopraffatti da emozioni molto dolorose e intollerabilicon il coinvolgimento di tutta la persona per poterle gestire.

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Il ciclo della violenzaDisponibilità della donna a dare una nuova possibilità

Disattesa delleAspettative della donna

FALSARAPPACIFICAZIONE

NEGAZIONEMINIMIZZARE

RAZIONALIZZAREGIUSTIFICARE

ESPLOSIONEDI VIOLENZA

ACCUMULODI

TENSIONE

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Quando l’esperienza traumatica è tale da superare le abituali espe-rienze normali (anche se negative) della vita, la persona può non esse-re in grado di immagazzinare o ricordare l’evento traumatico allapari di altre esperienze quotidiane. La conseguenza che ne deriva èche i ricordi si trasformano in memorie somatiche, ovvero si rivivononella forma di percezioni del corpo particolari (dolori diffusi, formico-lii, sensazioni fisiche poco definibili) che accompagnano l’evocazionedei fatti traumatici.D’altra parte, l’impatto con il trauma provoca dei pensieri intrusivi,percezioni terrificanti che interferiscono e impediscono una vita men-tale normale, generando delle paure non rappresentabili nel discorso:non si riesce a “raccontare”, a “mettere in parole” in modo organiz-zato il proprio vissuto.Molti dei disturbi manifestati dalla donna possono essere interpretati,in parte, come la conseguenza della sua lotta per la sopravvivenza inun ambiente ostile e violento.Sono caratteristici e frequenti i sintomi di ipervigilanza (permanentesensazione di pericolo, cambiamenti bruschi d’umore, irritabilità,disturbi del sonno), i pensieri intrusivi (o più frequentemente immaginiintrusive che in modo invasivo tornano alla coscienza in forma di fla-shback, d’incubi).Spesso c’è anche una tendenza a rivivere il trauma attraverso la ripe-tizione di comportamenti ossessivi e ritualizzati e anche di comporta-menti autodistruttivi.Di fronte alle cognizioni intrusive, la risposta più comune è cercare diallontanarle: la donna cercherà di evitare stimoli o richiami che pos-sano scatenare l’attività intrusiva, alimentando in questo modo un cir-colo vizioso che ostacola l’elaborazione del trauma.Nel 1983 Leonor Walker ha descritto, all’interno della spirale dellaviolenza, la teoria della learned helpnesses, (teoria della disperazio-ne appresa) per spiegare il senso di paralisi psicologica che vieneesperita dalle donne vittime di violenze e maltrattamento all’interno diuna relazione intima.

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Teoria della disperazione appresa:• se ogni forma di resistenza ad una situazione insostenibile è inutile

la donna può cadere in uno stato di completa arrendevolezza;• vi è una percezione distorta o intorpidita con anestesia o perdita di

alcune sensazioni normali;• in tali situazioni è come se vivesse tutto a rallentatore;• estraneità agli eventi come se non accadessero a lei;• perdita di qualsiasi iniziativa.

Un elemento fondamentale che sottende e permette il perpetuarsi dellaviolenza è l’isolamento nel quale la donna si trova. L’uomo violento è vistocome onnipotente, quindi, opporre resistenza può sembrare inutile. Non riuscendo né a rifugiarsi nel passato né a proiettarsi in un futurodiverso, c’è il rischio di arrivare ad una vera e propria dissociazionesentendo le proprie esperienze e i propri sentimenti estranei, distacca-ti, distanti: “mi sembrava come di non essere me stessa”, “mi sentivocome se fossi staccata da me stessa”, “come se mi guardassi dal difuori” “provavo delle cose ma non ero io….”Questo stato di restrizione emotiva a volte viene erroneamente dia-gnosticato come una semplice depressione e di conseguenza nonessendo indagate le cause profonde, non viene smascherata la violen-za. I sentimenti di paura e solitudine aumentano in conseguenza dellasituazione d’isolamento provocata dalla violenza. Dopo anni di vio-lenza l’autostima è annullata dai sensi di colpa, di impotenza ed umi-liazione; l’identità esistente prima del trauma è scomparsa e i rappor-ti con la famiglia estesa e con il mondo esterno sono spesso persi.

LA VIOLENZA ASSISTITANel 2000 il Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrat-tamento e l’Abuso all’Infanzia (C.I.S.M.A.I. 2000) ha definito la vio-lenza assistita come: “l’esperire, da parte del bambino, di qualsiasi forma di maltrattamen-to compiuto attraverso atti di violenza fisica, verbale, psicologica, ses-

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suale ed economica su figure di riferimento o su altre figure affettiva-mente significative adulte o minori”

La forma più diffusa di violenza assistita si sviluppa in contesti di vio-lenza domestica.I bambini non sono mai spettatori passivi, ma vengono sempre “toc-cati” dalla violenza e dal contatto con la violenza, come dall’esposi-zione alle radiazioni, difficilmente si esce indenni.Un bambino può “fare esperienza” della violenza in forma:• diretta quando essa avviene nel suo campo percettivo; • indiretta quando ha cognizione della violenza e/o ne percepisce

gli effetti.

A volte il concepimento stesso è frutto della violenza perchè:la gravidanza può essere “imposta” dall’uomo violento come mezzoper assoggettare la donnaspesso la violenza fisica si conclude con la violenza sessuale e puòportare ad una gravidanza indesideratala donna pensa di sanare un rapporto di coppia infelice con un figlioe quindi ripristinare l’armonia familiare

Con queste premesse possiamo immaginare le difficoltà e i danni chela violenza può comportare durante la gravidanza, il parto e lo svi-luppo di un bambino.

Dopo il parto…Come abbiamo precedentemente sottolineato un’alta percentuale didonne vittime di violenza soffre forti disagi psichici e fisici, i tassi disuicidio e autolesionismo sono alti e la dipendenza da alcool e altresostanze è maggiore nelle donne maltrattate (Galvani, S. 2005) chenel resto della popolazione. La gravidanza, il parto, l’allattamento,momenti fondamentali per garantire un attaccamento adeguato tramadre e bambino, non possono essere vissuti in modo sereno. La

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situazione di isolamento, tipico della violenza domestica che spessoallontana la donna dalla sua famiglia di origine, non fa che aumen-tare le sue difficoltà e insicurezze.Un bambino si sente tranquillo e protetto se percepisce i propri geni-tori come figure forti, ma se una madre è svalutata, insultata, ingiuria-ta davanti ai propri figli non può rappresentare una figura forte eautorevole in grado di tutelare e guidare i propri figli.Il bambino vedrà così compromesso il suo sviluppo psicologico. Giàda diversi anni numerosi lavori scientifici hanno inoltre dimostrato chec’è una trasmissione intergenerazionale della violenza, che uominiviolenti e donne vittime hanno maggiore possibilità di riprodurre in etàadulta situazioni di violenza o di vittimizzazione.Le tre fasi del ciclo della violenza così come descritto da Walker nel1979 provocano nel bambino delle gravi conseguenze.

Nella fase dell’accumulo di tensione, il bambino ha percezione delpericolo imminente cerca di tenere sotto controllo la situazione e ine-vitabilmente è attanagliato dall’ansia. La conseguenza sarà un fortecondizionamento dei suoi bisogni e della sua emotività perché questaesperienza gli avrà insegnato a doversi “adeguare” alla situazione dipericolo.

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Quando scatta la violenza fisica, il bambino è in preda al terrore,teme le conseguenze della violenza sulla madre, ha paura dell’abban-dono. L’alternanza continua tra momenti di angoscia e terrore e di apparen-te tranquillità, sviluppano in lui un senso di insicurezza, ansia e rab-bia. Spesso i bambini diagnosticati ed etichettati anche a scuola comebambini “iperattivi”, “depressi”, con “disturbi dell’attenzione” in real-tà sono figli della violenza.

La violenza assistita provoca:• tristezza, angoscia, depressione;• confusione: il senso di lealtà verso i propri genitori si trasforma in

un conflitto interno tra il desiderio di proteggere la madre e il rispet-to o il timore del padre;

• paura e ansia alternate “nell’attesa” del successivo episodio di vio-lenza;

• senso di colpa e senso d’impotenza;• vergogna che li porta a tenere il segreto su quanto accade in fami-

glia;• rabbia con scarso controllo degli impulsi: a volte partecipano a mal-

trattamenti di “piccolo taglio” (maltrattamenti o uccisione di anima-li, maltrattamento dei fratelli più piccoli o dei compagni di scuola);

• perdita della fiducia sia negli adulti che in se stessi: la mancanza difiducia si trasforma anche in difficoltà ad immaginare un futurodiverso;

• disturbi psicosomatici: mal di pancia, mal di testa, disturbi delsonno e dell’alimentazione;

• difficoltà scolastiche sia in termini di apprendimento sia come con-seguenza dei loro disturbi comportamentali. Spesso la paura dilasciare la casa/la madre non protetta comportano una riduzionedella frequenza scolastica;

• disturbi comportamentali: possono assumere atteggiamenti aggres-sivi, iperattivi e auto o eterodistruttivi;

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• disturbi del linguaggio;• disturbi nel controllo degli sfinteri;• difficoltà relazionali all’interno della famiglia e nella vita sociale;• maggiore rischio di suicidio o di tentativi di suicidio o pensieri di

omicidio del genitore;• comportamenti devianti, tossicomanie, alcoolismo;• (nei maschi) la tendenza a riprodurre i comportamenti violenti del

padre: “bullismo” con i compagni, comportamenti violenti con lamadre, con gli amici e con le ragazze; il rischio di diventare uomi-ni violenti;

• (nelle femmine) comportamenti passivi e remissivi; alto rischio diesser vittime dei loro partner, di fughe di casa e gravidanze precoci.

In che modo intervenire?La nostra esperienza all’interno dei Centri Antiviolenza ci ha insegna-to che la violenza sulle donne e la violenza assistita dai loro figli nonsono due condizioni distinte e di conseguenza l’intervento deve affron-tare il problema in modo integrato.Se il bambino è la persona più debole e la vittima più indifesa dellaviolenza, la madre è sicuramente la seconda vittima e pertanto anchelei deve essere tutelata.La prima misura da prendere è interrompere la violenza cui il bambi-no assiste. Il sostegno e la protezione alle donne fornirà automatica-mente protezione ai figli.

I bambini vanno aiutati a:• ritrovare la propria dimensione di bambini;• capire che la separazione dei genitori è una decisione degli stessi

e che loro non hanno alcuna responsabilità di quanto accaduto;• sperimentare condotte alternative al comportamento violento che

spesso hanno introiettato;• interagire con modelli femminili e maschili non stereotipati, ma fles-

sibili;

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• essere autonomi e indipendenti; • modificare l’atteggiamento protettivo nei confronti della madre;• ricostruire un’immagine materna autorevole;• esprimere sentimenti ed emozioni nascoste dalla paura facendoli

sentire belli ed accettati ed eliminando il senso di colpa e di vergo-gna;

• sviluppare la propria autostima, la fiducia in se stessi e nel mondo.

Simultaneamente bisogna aiutare la donna a:• rivedere ed elaborare la sua storia di violenza;• proteggersi nel lungo percorso di allontanamento dalla violenza;• ricredere in se stessa come donna e come madre;• riflettere sul modo in cui la violenza ha interferito nelle sue capaci-

tà materne;• smontare i sensi di colpa;• recuperare la propria autorevolezza di fronte ai figli.

Quando il nucleo madre/figli si allontana dalla violenza ed è in unambiente sereno i cambiamenti comportamentali dei minori possonoessere veloci, ma ricordiamo che il percorso interno di superamentodelle conseguenze della violenza non è breve. Anni di esperienzaall’interno dei Centri Antiviolenza ci portano ad affermare che ènecessario un lungo periodo di sostegno perchè le nuove consapevo-lezze e competenze possano cristallizzarsi in una nuova vita.Nonostante queste considerazioni sappiamo che dando spazio esostegno perché si sviluppi l’amore materno, lontani dalla violenza,sarà possibile contrastare il danno che questa ha provocato. La vio-lenza non è un destino, è un problema/fenomeno sociale che con unintervento specialistico e precoce può essere debellata.

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La donna maltrattata è una persona sofferente che ha difficoltà a par-lare della sua situazione e ha bisogno di essere sostenuta, ascoltata ecapita per ritrovare la forza di uscire dalla situazione di violenza.Comunicare con efficacia, cioè capire e farsi capire, è forse l’opera-zione più complicata che il nostro cervello riesce a fare. La definizio-ne oggi più condivisa è la seguente: la comunicazione è uno scambiod’informazioni tra due o più persone la cui caratteristica è di EMET-TERE e di RICEVERE segnali all’interno di un “processo interattivo”caratterizzato da un meccanismo di feed-back.Usiamo le parole per farci capire, ma l’individuo parla in modo anco-ra più chiaro con il movimento, la postura, l’atteggiamento mimico eil modo in cui si muove nello spazio che con le parole, esprimendosicosì in un linguaggio che anticipa e trascende l’espressione verbale1.Questa comunicazione, chiamata “non verbale” (a differenza delleparole) è certamente più significativa per trasmettere stati emotivi eatteggiamenti affettivi.Questo è importante nella misura in cui è dimostrato che nel processodi comunicazione del messaggio tende a passare soprattutto la nostrarealtà emotiva, le nostre sensazioni viscerali, anche se tentiamo dinasconderle o di mistificarle con le razionalizzazioni verbali.Il colloquio con una donna vittima di violenza ha l’obiettivo di dareuna “risignificazione” allo specifico disagio o conflitto legato al vissu-to di violenza attuale o pregresso. Va restituita alla donna una letturachiara della situazione informandola sulle azioni necessarie e/o pos-

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L’accoglienza nella relazione d’aiutocon le donne vittime di violenzaLINA LOSACCO*

* Responsabile Centro Antiviolenza “Le Lune”

5 Lowen, A. Il linguaggio del corpo, Feltrinelli, Milano 1978-1997.

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sibili da intraprendere sia di tipo legale che sociale e/o psicologico,o sulla necessità dell’attivazione di una rete istituzionale, lasciandocomunque e in ogni caso alla donna il diritto di scelta e di decisione.Durante il colloquio quindi si possono fornire strumenti e strategie peruna maggiore capacità di gestione di specifiche problematiche all’in-terno del progetto di uscita dalla violenza e/o favorire l’elaborazionedegli effetti attuali del trauma in un’ottica più ampia. È fondamentale che la donna dia voce, valore e diritto di esistere aipropri pensieri ed emozioni e che sia orientata al rafforzamentodella propria identità femminile e a diventare “visibile ed autorevo-le” intanto a se stessa poi al mondo.La narrazione è utile per costruire un contenitore che dia ordine ai vis-suti caotici sperimentati dalle donne mettendo l’una accanto all’altra leimmagini, le scene, i pezzi di vita raccontati. Sono storie di vita imper-niate sulla violenza, di corpi percossi, abusati, violentati; di segniindelebili e sintomi di sofferenza, di depressione ed anoressia, attac-chi di panico, alcoolismo o di continui tentativi di suicidio; di corpiassuefatti e “abituati” al dolore fisico di anni di violenza subita.Attraverso la narrazione il dolore può cominciare ad “essere detto”,trovando finalmente la sua espressione verbale.Durante il colloquio la donna viene accompagnata nel ricordare oltreche i suoi vissuti e le sue sofferenze anche la sua identità femminiledisconosciuta negli anni restituendole un senso rispetto al proprio vis-suto e portandola a rileggere la propria storia e la propria vita in unottica trasformativa ed elaborativa che riporti all’obiettivo di costru-zione di un progetto di vita secondo i “tempi” e le scelte della donna.

L’Ascolto fondamentale nelle relazioni di aiuto è l’ASCOLTO ATTIVO L’impegno della consulente-operatrice deve essere quello di entrare incontatto empatico con la donna durante il colloquio. Man mano chela storia viene raccontata:• si raccolgono informazioni sulla sua vita • si accolgono le sue emozioni che forse vengono espresse per la

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prima volta. Questa donna verrà ascoltata nel suo sentire, nella suasofferenza, nei suoi sogni di bambina. Dare valore alle sue emozio-ni le permetterà di avere fiducia in qualcuno e di incuriosirsi rispet-to alle eventuali proposte progettuali.

La ProgettualitàPer fare un buon lavoro è necessario individuare quando e come faremergere e restituire le risorse che appartengono alla donna e su cui saràfondata la costruzione della sua assertività e del progetto di vita (l’inseri-mento socio-lavorativo o la funzione genitoriale, per citarne alcuni).Per progettare il “Percorso verso l’autonomia e l’uscita dalla violenza”è necessario pianificare gli obiettivi specifici, anche piccoli obiettivima in grado di dare risultati in tempi brevi e senso di autoefficacia alladonna per una conseguente crescita dell’autostima. Pertanto sarànostro compito puntare sull’empowerment della donna attraverso ilrafforzamento delle risorse individuali e la costruzione-attivazionedella rete.

Come comunicare con la donna vittima di violenzaÈ sempre importante esprimersi con chiarezza. Fondamentale è l’usodi un linguaggio appropriato, creare un rapporto di fiducia e fare unaproposta progettuale, puntando al rafforzamento assertivo delladonna. Ma anche il modo in cui noi impostiamo le frasi e le doman-de assume un’importanza fondamentale per l’avvio e il proseguimen-to del dialogo. Ad esempio le domande aperte sono il modo miglio-re per ottenere ampie informazioni. Dimostrano il reale interesse perle idee, le opinioni dell’interlocutrice e la volontà di avviare un dialo-go per individuare i problemi, capire le richieste, definire le esigenzedella donna e progettare un percorso. Molto utili sono le domande dirimando, esse riprendono una frase o un’espressione utilizzata dallanostra interlocutrice per approfondire maggiormente l’argomento.Forniscono un valido aiuto alla persona nel superare un eventuale suodisagio o la fatica nella formulazione di un’idea.

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Dobbiamo però ricordare che la donna che potremmo trovarci adaccogliere, a seguito dell’esperienza di maltrattamento (fisico, psico-logico, sessuale ecc), potrebbe manifestare, in forma più o menograve, condizioni di impotenza, negazione, onnipotenza, senso dicolpa, per citarne alcune. Reazioni collegate al sentirsi “colpevole” eresponsabile di quello che ha subito. È frequente ad esempio un’oscil-lazione tra vissuti di impotenza e di onnipotenza che rende difficile,per le donne, compiere azioni realistiche finalizzate all’affrancamen-to dalla relazione violenta.

Si tratta di reazioni che in un certo senso hanno una funzione “adat-tativa”, hanno cioè lo scopo di garantire la sopravvivenza delladonna, una forma di adattamento alla “realtà” in quanto non poten-do tollerare il trauma attivano da una parte un massiccio meccanismomentale di evitamento del dolore, dall’altra l’illusione di un controlloonnipotente della situazione.

L’operatrice deve però “fare i conti” anche con le proprie reazioni.Infatti, tra l’operatrice preposta all’accoglienza e una donna che hasubito violenza si crea una forma di interazione dove i comportamen-ti dell’una creano una reazione dell’altra in forma circolare. L’attivitào l’inattività, le parole o il silenzio di entrambe hanno tutti valore dimessaggio. Allo stesso tempo i messaggi inviati potrebbero non corri-spondere ai messaggi ricevuti.

Tra i comportamenti più frequenti che potrebbero appartenere siaall’operatrice che alla donna ma che l’operatrice preposta all’acco-glienza deve assolutamente evitare sono l’atteggiamento aggressivo equello manipolativo.

Con l’atteggiamento aggressivo ad esempio potrebbe verificarsila possibilità di accentrare tutte le energie all’affermazione di sé.È frequente il tentativo di manifestare la personale efficienza conuna tendenza ad imporre le proprie idee, posizioni ed esigen-ze. In questo caso è molto marcata la difficoltà nel saper ascol-tare e mettersi in discussione.

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L’operatrice che fa domande chiuse suggestive (domande che lascia-no trasparire in modo chiaro la risposta che ci si attende) e ripetutecon frequenza esprime un atteggiamento di tipo manipolatorio e nonfacilita una risposta sincera. Le informazioni che si raccolgono con talidomande non sono quindi molto attendibili in quanto l’interlocutrice intal caso potrebbe non aver avuto il coraggio, la capacità o la vogliadi esprimere chiaramente la propria opinione.

IL CORPO NELLA COMUNICAZIONE NON VERBALE

VOLTO: È un canale privilegiato della comunicazione non ver-bale in quanto è una parte del corpo molto significativa da unpunto di vista espressivo.Con la mimica facciale si comunicano le emozioni che si prova-no nei confronti dell’interlocutrice, informazioni sul messaggioverbale, informazioni sulla personalità dell’emittente

SGUARDO: Nella comunicazione non verbale assume rilievoall’interno del contatto visivo reciproco. Insieme alla mimica delvolto, costituisce anche un importante feed-back informativoriguardo alla percezione, al giudizio ed all’atteggiamento delricevente nei confronti dell’emittente.Studi hanno dimostrato che nell’ambito di una conversa-zione/comunicazione si alternano modalità di:• Sguardo reciproco• Sguardo non reciproco• Evitamento dello sguardo

COMPORTAMENTO SPAZIALE:• La POSTURA è il modo in cui le persone dispongono il loro

corpo durante un processo comunicativo. Costituisce unsegnale in larga misura involontario. Studi hanno dimostrato

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che la postura è correlata allo stato emotivo del soggetto e inmodo particolare alla polarità emotiva rilassamento/tensio-ne. Meno controllabile rispetto al volto ed alla voce, risultapiù rivelatrice dell’intensità emotiva delle persone.

• L’ORIENTAMENTO SPAZIALE è il modo in cui le persone sisituano nello spazio all’interno del contesto comunicativo. Gliorientamenti più frequenti sono: a) faccia a faccia; b) fiancoa fianco.

• La DISTANZA INTERPERSONALE rappresenta un segnalecomunicativo molto forte. Può essere: a) intima (da 0 a 35cm.), b) personale (da 5 cm ad 1 m.); c) sociale (da 1 m. a 3m.), d) pubblica (oltre i 3 m.).

• COMPORTAMENTO MOTORIO-GESTUALE, veicola unagrande quantità d’informazioni, anche senza la consapevo-lezza del soggetto: Movimenti del corpo (braccia, mani,cenni del capo, gambe e piedi); gesti (intenzionali e sponta-nei/involontari)

• ASPETTI NON VERBALI DEL PARLATO (Sistema paralinguistico):1. Qualità della voce = tono, risonanza, articolazione.2. Vocalizzazioni = segregati vocali (uh, hum ecc), caratteriz-

zatori vocali (sospiri, gemiti, riso), qualificatori vocali (inten-sità, timbro, estensione vocale).

3. Anche in questo caso gli stati emotivi del soggetto possonoessere rivelati da questo canale di comunicazione, poiché suquest’ultimo non si riesce, in genere, ad esercitare un effica-ce controllo.

5. Il silenzio trova un posto di primo piano nel cosiddetto siste-ma del paralinguaggio.

La comunicazione interattiva è un processo globale che va inteso inmodo olistico e non parcellare, questa è la condizione essenziale perpoter realmente rintracciare il contenuto vero del messaggio.

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Nell’interazione comunicativa troviamo, pertanto, contemporanea-mente in azione i due livelli di comunicazione (verbale e non verbale)e, affinché il messaggio abbia senso e significato, è necessario chequesti due livelli si coniughino in modo armonico. Quindi, la coeren-za tra i diversi canali comunicativi è fondamentale ai fini dell’efficaciacomunicativa.Possedere competenze comunicative vuol dire avere “le capacità direlazionarsi con gli altri”.

Fare attenzione:• a non attribuire significati “personali” (lo stato affettivo o i propri

stereotipi e/o pregiudizi) a quanto viene ascoltato, cercare di“sospendere” il giudizio ed essere il più possibile “neutrale”

• al contenuto emotivo piuttosto che al significato razionale, cercaredi entrare in empatia con quanto ci viene raccontato

• ai meccanismi di difesa: è frequente che le donne utilizzino delleforme di difesa per meglio controllare ansie o angosce insopporta-bili è fondamentale facilitare la libertà espressiva, per questo vannoevitati: gli atteggiamenti inconsapevoli legati alla propria sponta-neità; l’induzione delle risposte attraverso “suggestioni” non verba-li inviate inconsciamente alla nostra interlocutrice.

Per poter creare un contatto emotivo durante l’incontro è importante:• favorire un clima accogliente che possa facilitare un’alleanza inter-

personale• essere autentici, motivati, convinti delle proprie qualità e delle pro-

prie capacità personali• inviare segnali non verbali congruenti con quelli verbali e che risul-

tino amichevoli, sinceri, attenti e di disponibilità verso l’altro. I mes-saggi “contraddittori” creano forte ansia/tensione nella donna con“destabilizzazione” emotivo – affettiva e conseguente ostacoloall’instaurarsi di una relazione interpersonale d’aiuto

• condividere una fiducia reciproca

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• cercare di chiarire i bisogni e le richieste della donna• definire l’obiettivo da condividere attraverso una riformulazione-

chiarificazione anche indiretta

Una volta stabilito il “contatto” emotivo, occorre:• concentrarsi sul vissuto della donna • chiedersi quali emozioni sta provando• interessarsi maggiormente alla persona che ci porta il problema più

che al problema• essere attenti al problema per come viene riconosciuto, affrontato

ed autogestito dalla donna Entrare nel “vivo del colloquio” significa non solo ascoltare (con tutti inostri sensi) le parole che l’altro ci dice, ma anche quello che non“può” dirci o che “non” ci dice.Occorre essere “abili” nel cogliere “quel” momento giusto per chiude-re in modo empatico un colloquio, affidando all’incontro successivo ilruolo di occasione futura da condividere.Durante il colloquio bisogna evitare di:• Parlare troppo• Fare troppe domande• Giudicare• Consolare• InterpretareÈ molto importante trovare anche il “posto adatto” per fare il colloquiotenendo conto, nella misura del possibile, che sia un posto che garan-tisca la riservatezza.

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La violenza alle donne, in qualunque forma si presenti, ma in partico-lare quando si tratta di violenza intrafamiliare, è uno dei fenomenisociali più nascosti, è l’esercizio di potere e controllo dell’uomo sulladonna e si mostra in diverse forme come violenza fisica, psicologica esessuale, fuori e dentro la famiglia.

Il fenomeno e il concetto di violenza di genere hanno subito modifi-che nel tempo, con l’evoluzione del contesto culturale, sociale ed isti-tuzionale.

Anche la storia dei diritti dei minori è una storia recente e nasce dauna evoluzione del concetto di bambino, del modo in cui gli adulti lovedono, del ruolo che di volta in volta gli assegnano nella società.

Il bambino è portatore di diritti ma è solo nel XX secolo che l’attenzioneper il bambino si allarga allo stato e agli organismi sovranazionali.

Nel 1989 con la Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia ilbambino cessa di essere oggetto di diritti e comincia ad essere sog-getto di diritti.

Il Tribunale per i minorenni è un organo giudiziario specializzato, (isti-tuito in Italia con regio decreto del 20.07.1934 n. 1404), compostoda due magistrati e due cittadini, un uomo e una donna, scelti tra spe-cialisti e cultori della pedagogia, psicologia, psichiatria, dell’assisten-za sociale ed ha notevoli competenze in materia familiare e nel rap-porto genitori-figli.

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Violenza di generee percorsi giudiziariTITTI CARRANO*

* Avvocato Civilista Esperta in Diritto di Famiglia - Ufficio Legale Associazione “Differenza Donna”

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Presso ogni Tribunale per i Minorenni esiste l’ufficio del PubblicoMinistero (PM) che ha il compito per così dire pubblico di tutela delminore. Il PM è un organo di iniziativa affinché il Tribunale prendauna decisione e il suo intervento è obbligatorio in tutti i procedimentiche riguardano i minori.

Negli ultimi tempi ha avuto un ruolo sempre più importante e decisivodi impulso all’azione civile a tutela del minore, è il principale fulcro delsistema di protezione giudiziaria dei diritti del minore, è il destinata-rio di segnalazioni e denunce da parte di tutti coloro che hanno noti-zia di maltrattamenti o abusi sui minori (servizio sociale, scuola, ospe-dali, centri antiviolenza, pediatri, forze dell’ordine).

Tutti coloro che, in funzione del loro lavoro, hanno notizia di maltrat-tamenti o abusi sui minori devono segnalare alla Procura dellaRepubblica presso il Tribunale per i Minorenni la situazione di pregiu-dizio. Il Tribunale per i Minorenni può anche disporre ai sensi dell’art. 330e 333 Cod. Civ, “l’allontanamento del genitore o convivente che mal-tratta o abusa del minore”.Con la legge 4 aprile 2001 n. 154 (“Misure contro la violenza nellerelazioni familiari”), il Tribunale Civile Ordinario può adottare “ordi-ni di protezione contro gli abusi familiari”, ai sensi degli artt. 342 bise ter Cod. proc. Civ. che garantiscono, se pur in via temporanea, unamaggiore e più rapida tutela di chi sia vittima di tale violenza e deglialtri componenti del nucleo familiare.La legge prevede che sia l’autore della violenza a doversi allontana-re dal domicilio familiare, evitando così che sia la vittima a doversirifugiare in un luogo sicuro e protetto per sottrarsi alle condotte violen-te del partner e salvaguardare se stessa e i suoi eventuali figli.

Non sempre viene riconosciuta nelle aule dei tribunali la violenza chei figli e le figlie subiscono nell’assistere anche quotidianamente alleviolenze che il proprio padre riserva alla propria madre. È frequentelo stereotipo “è un marito violento ma non ha mai toccato i figli”.

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Troppo spesso, purtroppo, questo tipo di violenza psicologica suibambini testimoni di violenza viene sminuita e si attribuisce la respon-sabilità dei disagi del bambino ad una generica conflittualità tra geni-tori ed alla separazione dei coniugi e non alla situazione di maltrat-tamenti subiti dalla loro madre. È indispensabile riconoscere che i maltrattamenti in famiglia non sono“liti tra coniugi”, ma sono veri e propri reati che ledono l’integrità fisi-ca e psichica delle vittime e che il bambino che assiste alla violenza èegli stesso vittima di violenza.

Ma il cambiamento culturale si avverte: molteplici sono i decreti delTribunale per i Minorenni di Roma ottenuti e che hanno dichiarato ilgenitore decaduto dalla potestà genitoriale nei confronti dei figli neicasi di sola violenza assistita.

Un segno importante del cambiamento culturale è stata la sottoscrizio-ne del protocollo di intesa avvenuta il 2 dicembre 2009 tra l’Associa-zione Differenza Donna e le più importanti istituzioni quali il Tribunaleper i Minorenni di Roma, il Tribunale ordinario di Roma, le ProcureOrdinaria e per i Minorenni, le maggiori aziende ospedaliere diRoma, la Prefettura e la Questura al fine di coordinare e prevenire imaltrattamenti, la violenza sessuale e gli atti persecutori contro ledonne e i figli minorenni.In attuazione del protocollo citato si è aperto al Tribunale per iMinorenni di Roma uno sportello di informazioni per il contrasto allaviolenza in famiglia gestito dall’Associazione Differenza Donna. È untraguardo importantissimo se pensiamo che è il primo sportello anti-violenza istituito nei tribunali sul tutto il territorio nazionale.

La legge sull’affido condiviso si applica sia nei procedimenti di sepa-razione e divorzio sia nei procedimenti di competenza del Tribunaleper i Minorenni e quindi anche nel caso ci sia tra i genitori un rappor-to di convivenza.

Tutti noi sappiamo che l’affidamento condiviso dei figli costituisce laregola, ma l’art 155 bis c.c. prevede l’affidamento esclusivo ad uno

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solo dei genitori, qualora il giudice ritenga che “l’affidamento all’altrosia contrario all’interesse del minore”.

Poiché la legge non specifica quali sono le circostanze ostative all’af-fidamento condiviso, la loro individuazione resta rimessa alla decisio-ne del Giudice nel caso concreto.

Ciò che emerge non è tanto la mancanza di strumenti legislativi quan-to la necessità di intervenire per dare effettiva attuazione alle leggivigenti.

Occorre che ci sia una maggiore consapevolezza della violenza digenere e dei suoi molteplici effetti. Occorrono politiche culturali cheabbattano vecchi stereotipi e una rete di servizi sociali e delle forzedell’ordine, che ponga più attenzione alle richieste di aiuto provenien-ti dalle donne in difficoltà. L’approccio alla violenza di genere nondeve avere carattere di emergenza e quindi considerata all’interno diprovvedimenti di ordine pubblico, perché la violenza sulle donne nonè un’emergenza.

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Introduzione ..............................................................................................................................................

Violenza sulle donne “impariamo ad ascoltarla” ........................................

Le radici sociali e culturali della violenza di genere .....................................

Gabriella Paparazzo

Una realtà invisibile: la violenza all’interno della famiglia ...................

Lina Losacco

Bambini in trappola: dalla violenza assistita alla violenza sessualeGraciela Marchueta

Violenza e abuso all’infanzia: i sistemi di protezione e la loro effi-cacia .................................................................................................................................................................

Titti Carrano

Ciclo di incontri sulla “Violenza di genere” ........................................................

Le relazioni pericolose. Il danno della violenza maschile su donnee bambini ....................................................................................................................................................

Graciela Marchueta

L’accoglienza nella relazione d’aiuto con le donne vittime di vio-lenza .................................................................................................................................................................

Lina Losacco

Violenza di genere e percorsi giudiziari ...................................................................

Titti Carrano

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INDICE

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Finito di stampare nel mese di Febbraio 2010

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