compassione nussbaum

29
1 SEMINARIO SULLA COMPASSIONE NELLA RIFLESSIONE DI MARTHA C. NUSSBAUM (prof. Gianfranco Bertagni) Parleremo oggi dell'elemento della compassione come dimensione centrale dell'agire sociale e politico e più generalmente dell'agire in quanto tale, nella riflessione di Martha Nussbaum, professoressa di Law and Ethics all'Università di Chicago. Faremo riferimento alla Parte seconda del suo volume L'intelligenza delle emozioni, interamente dedicata - appunto - alla compassione. La compassione è l'emozione che più spesso la tradizione guarda con approvazione ed è più spesso ritenuta un buon fondamento per la valutazione razionale e l'azione appropriata, sia nella vita pubblica che nella vita privata. Nussbaum usa appunto il termine 'compassione' anche se, come vedremo, nel dibattito vengono usati termini diversi, a seconda dell'angolatura attraverso la quale la si guarda. Riguardo alle emozioni nel senso più generale, il Sé è costituito (almeno in parte) dai suoi legami valutativi a regioni del mondo esterne a esso. Cioè il nostro Sé è fatto anche da come ci rapportiamo a ciò che ci circonda. E le emozioni in questo ricoprono un ruolo fondamentale. Ci sono emozioni che espandono i confini del Sé. Prendiamo il caso dell'amore oppure anche quello del dolore della perdita: sono casi paradigmatici di emozioni del genere; e, come vedremo, la compassione, più di molte forme d'amore, spinge i confini del Sé a espandersi ancora. Altre emozioni invece disegnano confini netti attorno al Sé. Il disgusto è il caso paradigmatico di un'emozione del genere. Il disgusto può essere definito come l'emozione di uno stoicismo non realizzato, ansioso: la persona disgustata ancora si preoccupa della mortalità e del proprio corpo, ma sta tentando con tutte le forme di raggiungere una condizione imperturbata. Anche una eccessiva vergogna - patologica - condivide anch'essa questo carattere di definizione di confini. Come il disgusto, la vergogna implica il giudizio che la debolezza e il bisogno siano qualcosa di cattivo, da tenere a distanza. E spesso la vergogna e il disgusto sono legati a un odio verso l'oggetto minaccioso, che si vorrebbe annullare. Gli stoici raccomandavano l'apatheia, la condizione di assenza di emozione, poiché credevano che nessuna vita non-stoica potesse essere libera da queste emozioni negative e dai mali che da esse derivano. Bisogna verificare se c'è la possibilità di una vita non-stoica, in cui le emozioni abbiano un loro ruolo positivo nel guidarci nelle valutazioni delle cose, delle scelte da intraprendere. La compassione ci appare come un fenomeno universale. Una sua semplice definizione è la dolorosa emozione motivata dalla consapevolezza di una disgrazia immeritata accaduta a un'altra persona. Abbiamo anche il termine "pietà", che nel linguaggio comune ha oggi una sfumatura di superiorità da

Upload: francesco-ferrari

Post on 23-Oct-2015

242 views

Category:

Documents


0 download

TRANSCRIPT

Page 1: Compassione Nussbaum

1

SEMINARIO SULLA COMPASSIONE NELLA RIFLESSIONE DI MARTHA C. NUSSBAUM (prof. Gianfranco Bertagni) Parleremo oggi dell'elemento della compassione come dimensione centrale dell'agire sociale e politico e più generalmente dell'agire in quanto tale, nella riflessione di Martha Nussbaum, professoressa di Law and Ethics all'Università di Chicago. Faremo riferimento alla Parte seconda del suo volume L'intelligenza delle emozioni, interamente dedicata - appunto - alla compassione. La compassione è l'emozione che più spesso la tradizione guarda con approvazione ed è più spesso ritenuta un buon fondamento per la valutazione razionale e l'azione appropriata, sia nella vita pubblica che nella vita privata. Nussbaum usa appunto il termine 'compassione' anche se, come vedremo, nel dibattito vengono usati termini diversi, a seconda dell'angolatura attraverso la quale la si guarda. Riguardo alle emozioni nel senso più generale, il Sé è costituito (almeno in parte) dai suoi legami valutativi a regioni del mondo esterne a esso. Cioè il nostro Sé è fatto anche da come ci rapportiamo a ciò che ci circonda. E le emozioni in questo ricoprono un ruolo fondamentale. Ci sono emozioni che espandono i confini del Sé. Prendiamo il caso dell'amore oppure anche quello del dolore della perdita: sono casi paradigmatici di emozioni del genere; e, come vedremo, la compassione, più di molte forme d'amore, spinge i confini del Sé a espandersi ancora. Altre emozioni invece disegnano confini netti attorno al Sé. Il disgusto è il caso paradigmatico di un'emozione del genere. Il disgusto può essere definito come l'emozione di uno stoicismo non realizzato, ansioso: la persona disgustata ancora si preoccupa della mortalità e del proprio corpo, ma sta tentando con tutte le forme di raggiungere una condizione imperturbata. Anche una eccessiva vergogna - patologica - condivide anch'essa questo carattere di definizione di confini. Come il disgusto, la vergogna implica il giudizio che la debolezza e il bisogno siano qualcosa di cattivo, da tenere a distanza. E spesso la vergogna e il disgusto sono legati a un odio verso l'oggetto minaccioso, che si vorrebbe annullare. Gli stoici raccomandavano l'apatheia, la condizione di assenza di emozione, poiché credevano che nessuna vita non-stoica potesse essere libera da queste emozioni negative e dai mali che da esse derivano. Bisogna verificare se c'è la possibilità di una vita non-stoica, in cui le emozioni abbiano un loro ruolo positivo nel guidarci nelle valutazioni delle cose, delle scelte da intraprendere. La compassione ci appare come un fenomeno universale. Una sua semplice definizione è la dolorosa emozione motivata dalla consapevolezza di una disgrazia immeritata accaduta a un'altra persona. Abbiamo anche il termine "pietà", che nel linguaggio comune ha oggi una sfumatura di superiorità da

Page 2: Compassione Nussbaum

2

parte di chi lo prova rispetto a chi ne è oggetto. Questa sfumatura non c'era quando il termine pitié era usato da Rousseau e nei termini tragici greci eleos e oiktos. Proprio per queste associazioni che ha assunto il termine nel mondo odierno, la Nussbaum non lo usa. Però sottolinea che il termine 'pietà' di norma è stato coerentemente posto in relazione al carattere immeritato della disgrazia, quindi a potenziali problemi di giustizia; compassione ha a volte un uso più ampio, abbracciando le sofferenze di creature che non sono immaginate come agenti, meritevoli o meno. Quindi lei usa il termine 'compassione', ma la sua analisi si concentrerà sui casi standard in cui essa si associa alla disgrazia immeritata, quindi omologa alla pietà nell'uso antico del termine. Passiamo ora alla struttura cognitiva della compassione. E partiamo prendendo in considerazione il caso paradigmatico di Filottete, secondo la versione di Sofocle. Filottete è un uomo buono e un buon soldato. Mentre raggiunge i greci che combattono a Troia, gli accade una disgrazia orribile. Per puro caso, viola un sacro recinto nell'isola di Lemnos. Per punizione viene morso al piede dal serpente che è a guardia del luogo. Il dolore è acutissimo, tale che lo induce a urlare bestemmie, bestemmie che turbano le cerimonie religiose degli altri soldati. Così lo lasciano solo sull'isola: un uomo debole privo di risorse a parte l'arco e le frecce, senza nessun amico a parte gli animali che sono anche il suo cibo. Dieci anni più tardi vengono a riprenderlo, perché non possono vincere la guerra senza il suo arco. I capi della spedizione quindi considerano Filottete solo come uno strumento per i loro scopi. Progettano di indurlo a tornare con l'inganno, senza alcuna simpatia per le sue sofferenze. Nella tragedia di Sofocle però il coro dei soldati semplici ha una reazione diversa. Anche prima di vedere l'uomo, si immaginano cosa si provi a essere nella sua situazione e protestano contro l'insensibilità dei comandanti: "Ho pietà di lui, al pensare come, senza un uomo al mondo che lo assista, senza aver accanto a sé uno sguardo amico, infelice, sempre solo, soffre per un male selvaggio ed è in preda alla disperazione per ogni nuova necessità che insorga. Come può, come può, infelice, resistere?" (167-176). Nell'immaginare un uomo sconosciuto il coro sta rappresentando l'attività immaginativa del pubblico, per il quale l'intero dramma tragico è un analogo esercizio di immaginazione e di compassione. E il dramma suggerisce in modo vivido un nesso tra la compassione e l'azione caritatevole, dal momento che i soldati del coro, che hanno visto Filottete con compassione, cominciano a mettere in discussione il complotto contro quest'uomo sofferente, implorando il loro giovane capo di esaudire il loro desiderio, e di rimandarlo quindi a casa. Il discorso di esortazione del coro comincia con le parole "Abbi pietà, signore". Lo stesso Filottete fa conto su questo nesso quando cerca aiuto. Dice: "Salvami tu, abbi pietà: vedi come tutto per i mortali è insidioso ed esposto al rischio [...]. Chi è fuori dai mali bisogna che pensi alle disgrazie, e quando è felice, allora più che mai deve vegliare sulla

Page 3: Compassione Nussbaum

3

propria vita, perché non vada in rovina senza che egli se ne accorga" (501-506). E quando il giovane comandante Neottolemo prova per la prima volta una stretta di compassione di fronte a un attacco del male di Filottete, rinnega la sua condotta ingannevole. Filottete, accecato dal dolore, chiede: "Dove sei, figlio mio?" (805), e Neottolemo risponde: "Da tempo soffro, piangendo sulle tue sventure" (806). Egli si colloca nel mondo dando un nome alle proprie emozioni. E la sua è una sofferenza etica; dice: "Tutto diventa fastidio, quando si tradisce la propria indole per fare ciò che non si deve" (902-904). E alla fine, quando è tempo di partire con l'arco rubato, dice: "Una grande compassione per quest'uomo mi ha preso, non ora soltanto, ma da tempo" (967) e paragona questa emozione ai dolori improvvisi che colpiscono gli inconsapevoli mortali, di cui ha parlato Filottete. Il dolore della compassione fa nascere la decisione di trattare Filottete con giustizia e umanità. Ecco, la storia di Filottete ci mostra la struttura della compassione. Riprendiamo l'analisi di Aristotele nella Retorica, che ha orientato la tradizione successiva (dai difensori della compassione come Rousseau, Schopenhauer e Adam Smith, agli oppositori come gli stoici greci e romani, Spinoza, Kant e Nietzsche). La compassione, dice Aristotele, è una dolorosa emozione relativa alla disgrazia e alla sofferenza degli altri. Essa ha tre elementi cognitivi. Sembra che Aristotele ritenga che ognuno di essi sia necessario all'emozione. Sembra essere certo che la sofferenza sia causata dalle credenze: egli definisce la "pietà" "un dolore causato da un male distruttivo e doloroso che appare capitare a una persona". Cioè si crede, si ritiene che questo male sia distruttivo e doloroso. Più avanti ci chiederemo se la sofferenza è un elemento necessario della definizione. Per ora possiamo partire dal fatto che gli elementi cognitivi sono almeno tra le parti costitutive della definizione. Il primo requisito cognitivo della compassione è una credenza, o valutazione, che la sofferenza sia seria e non banale. Il secondo è la credenza che la persona non meriti la sofferenza stessa. Il terzo è la credenza che le possibilità della persona che prova l'emozione siano analoghe a quelle di chi soffre. Partiamo dalla serietà della sofferenza. La compassione, come tutte le emozioni fondamentali, si preoccupa del valore. Implica il riconoscimento che la situazione è importante per il prosperare della persona in questione. Non proviamo compassione per chi ha perso un oggetto da poco, come uno spazzolino da denti, o anche qualcosa di importante, ma facilmente sostituibile. Quali sono le disgrazie che reputiamo "gravi"? C'è un sostanziale accordo in epoche e luoghi diversi riguardo ai casi fondamentali. Le occasioni per la compassione enumerate da Aristotele sono quelle su cui si imperniano di solito le trame tragiche antiche e moderne: la morte, le violenze, i maltrattamenti, la vecchiaia, la malattia, la mancanza di cibo e di amici, la

Page 4: Compassione Nussbaum

4

separazione dagli amici, l'essere inermi, sfigurati o immobilizzati, la delusione delle aspettative, l'assenza di prospettive positive. In uno studio fatto da Candace Clark sugli appelli alla compassione in America troviamo qualche novità. Una differenza interessante tra la lista di Aristotele e quella delle disgrazie che i soggetti della Clark considerano terribili sta nel fatto che diverse forme di ingiustizia e oppressione politica giocano per gli americani un ruolo molto più centrale che nella visione aristotelica. Ma ciò non costituisce una differenza storico-culturale complessiva. Aristotele infatti, omettendo l'ingiustizia e l'oppressione politica, lasciava da parte esempi fondamentali della compassione tragica greca, tra cui centrali erano la schiavitù e la perdita della cittadinanza; anche nel caso di Filottete, il fatto che egli abbia subito un'immeritata ingiustizia politica è importante quanto il suo isolamento e il suo dolore. Possiamo concludere che vi è un certo grado di differenziazione tra società (e individui) a proposito di ciò che viene considerato una seria disgrazia; e una differenziazione anche nella quantità del danno necessario perché qualcosa sia considerato tale. Inoltre i cambiamenti nelle forme di vita generano nuove situazioni penose: ovviamente nella lista aristotelica non apparivano incidenti automobilistici e aerei. Ciò nonostante, i disastri fondamentali a cui la vita umana può andare soggetta sono perlopiù sempre gli stessi; ed è una costante il fatto che la gente li consideri fondamentali. Da quale punto di vista la persona che prova compassione fa la valutazione di gravità? Consideriamo due esempi. Q., aristocratico romano, scopre che la sua spedizione di lingue di pavone dall'Africa non è giunta in porto. Sentendo che il suo banchetto per quella sera sarà rovinato, versa lacrime amare, e implora la compassione del suo amico Seneca. Seneca ride. R., una donna di un villaggio rurale indiano, è gravemente malnutrita, e non può ottenere più di un'educazione elementare. Non pensa che la sua sia una cattiva sorte, poiché non ha alcuna indea di cosa sia il sentirsi sani, e non ha alcuna idea dei benefici e dei piaceri dell'educazione. Ha così profondamente interiorizzato le idee della sua cultura di ciò che è giusto per le donne, che crede di vivere una vita buona e fiorente, la vita che una donna dovrebbe vivere. Ascoltando la sua storia e altre simili, gli addetti della locale Agenzia per lo sviluppo agricolo provano una profonda compassione, e credono che si debba fare qualcosa. Quindi i giudizi delle persone su quel che accade loro possono essere per molti versi scorretti. La sofferenza e la privazione non sono di solito educative o nobilitanti; più spesso ottundono o corrompono il giudizio. E, in particolare, spesso producono reazioni di adattamento che negano l'importanza della sofferenza; è molto probabile che ciò accada quando la privazione è legata all'oppressione e alla gerarchia, e si insegna attraverso pratiche religiose e culturali che essa è giusta. D'altra parte, le persone possono sviluppare un profondo attaccamento a cose che noi possiamo considerare, nella riflessione, banali o dannose per loro; la loro sofferenza

Page 5: Compassione Nussbaum

5

alla perdita di queste cose può essere decisamente reale, anche se l'osservatore non è disposto a condividerla. La compassione assume il punto di vista dell'osservatore, anche quando differisce dal giudizio della persona stessa. Adam Smith ci offre a sostegno di questa tesi un esempio potente, quello di chi abbia del tutto perso l'uso della ragione. "Di tutte le calamità a cui lo stato di mortali espone il genere umano, la perdita della ragione appare [...] quella di gran lunga più terribile", oggetto di compassione per chiunque "non è privo del minimo barlume di umanità". Ma la persona colpita non giudica negativa la propria condizione - ed è questo, in effetti, ciò che è più terribile per essa. "La compassione dello spettatore deve sorgere dalla considerazione di ciò che egli stesso sentirebbe se, a un tempo, fosse ridotto alla medesima infelice situazione, e, il che forse è impossibile, fosse capace di riguardarla con il giudizio e la ragione presenti". Smith continua parlando della pietà di una madre per la sofferenza del proprio bambino, che è ancora incapace di comprendere le difficoltà della sua situazione. Rousseau ritiene che "la pietà che proviamo per i mali altrui non è proporzionata alla grandezza di quei mali, ma al grado di sensibilità che attribuiamo a chi li patisce": posizione quindi per certi versi opposta a quella di Smith. Cioè, per Rousseau, provo tanta pietà per il mio bambino quanto dolore ritengono patire da lui stesso. In breve: nella compassione è implicita una concezione dell'umano prosperare e delle fondamentali situazioni di difficoltà della vita umana, la migliore che un osservatore è in grado di formarsi. Detta in altro modo: l'oggetto della compassione è un oggetto intenzionale - interpretato, nell'emozione, dalla prospettiva della persona che la prova. Aristotele accoglie questa tesi nel sottolineare che la compassione, come altre emozioni fondamentali, si basa sulle "apparenze" e sulle credenze della persona che la prova. Di conseguenza, come per ogni altra emozione, può anche accadere che la persona che la prova si sbagli su quello che sta accadendo, e che chi soffre abbia ragione. Seneca non prova compassione per Q., e probabilmente ha ragione. In quanto stoico, tuttavia, egli negherebbe compassione anche a R., poiché riterrebbe che la fame e la mancanza di cultura non siano molto importanti. La compassione, o l'assenza di essa, dipendono dai giudizi sull'umano prosperare che l'osservatore si forma; e questi saranno affidabili solo nella misura in cui lo è la concezione etica generale dell'osservatore stesso. Inoltre l'osservatore può giudicare che chi soffre abbia ragione di attribuire importanza a un certo tipo di perdita, anche se lui per parte sua non lo fa. Chi suoni uno strumento a fiato e venga anche solo leggermente ferito a un labbro può giudicare la sofferenza di tremenda gravità, e posso per questa ragione provare compassione per lui, anche se io personalmente considererei banale una simile ferita. Ma ciò avviene perché, su un piano più generale, io convalido il giudizio di chi soffre: perché concordo con lui che è una cosa

Page 6: Compassione Nussbaum

6

terribile essere privati della propria carriera e della propria forma di espressione. Se l'osservatore non riesce a ricondurre la sofferenza a uno degli elementi costitutivi dell'umano prosperare, nel formulare il suo giudizio, non proverà compassione. Ora occupiamoci del problema della colpa, cioè il secondo requisito cognitivo per la compassione, ovvero la credenza che la persona non meriti la sofferenza stessa. Nella misura in cui crediamo che una persona sia arrivata a soffrire per sua colpa, biasimeremo e rimprovereremo, piuttosto che provare compassione. Nella misura in cui proviamo compassione, ciò accade o perché crediamo la persona non responsabile della propria disgrazia, o perché, pur essendovi un elemento di colpa, consideriamo le sofferenze sproporzionate a quest'ultima. Ciò emerge chiaramente anche in Aristotele. Il termine eleos indica il fatto - dice Aristotele - che l'oggetto di pietà non meriti la sofferenza. Questa sofferenza immeritata colpisce il nostro senso dell'ingiustizia. Aristotele aggiunge che per questa ragione è probabile che si provi compassione nei confronti di persone che consideriamo in generale buone: sarà infatti più probabile che crediamo non meritino le cose cattive che accadono loro. E poi aggiunge che, se crediamo che le persone siano in genere cattive, difficilmente proveremo compassione, perché saremo propensi a credere che meritino le cose cattive che accadono loro. E tuttavia non è in contraddizione con questa concezione il provare compassione per una persona quando fa qualcosa a causa del suo cattivo carattere o di una colpevole negligenza - se possiamo considerare la sofferenza sproporzionata rispetto alla colpa, oppure se considereremo il cattivo carattere e la negligenza come il prodotto di forze che in qualche modo la persona non era in grado di controllare. Questo problema del merito è fortemente presente negli appelli omerici e tragici alla compassione. Quando è evidente che la sofferenza non dipende da una colpa della persona, come nel caso di Filottete, l'appello alla compassione non deve essere preceduto da un'argomentazione. Ma qualora vi sia un possibile disaccordo sulla colpevolezza, l'appello alla pietà appare strettamente connesso all'affermazione della propria innocenza. In tutto l'Edipo a Colono, per far presa sulle emozioni dei personaggi (e del pubblico) Edipo continua a sottolineare la natura involontaria dei suoi crimini. Analogamente, Cadmo, nella conclusione delle Baccanti di Euripide, fa seguire all'ammissione della propria colpa l'affermazione che il dio, infliggendo un "dolore senza misura" è andato al di là della giusta pena. Solo questo giustifica, sembra, la sua richiesta di compassione agli altri personaggi. La Clark, nella sua ricerca sugli atteggiamenti dell'America contemporanea, rileva che i suoi soggetti provano tutti simpatia solo per disgrazie causate dalla sfortuna o dall'essere vittime di forze al di là del controllo della persona. E una disgrazia è sfortuna, se non è il prodotto della volontà della persona, o di illecito, di negligenza, di azzardo, se in qualche modo non "se

Page 7: Compassione Nussbaum

7

l'è procurata da sola". Ma quando sembra che l'agire faccia qualche differenza, gli americani sono poco disposti ad ammettere l'interferenza della cattiva sorte. Così la Clark trova che gli americani sono nel complesso più riluttanti degli europei a giudicare la povertà una sfortuna, data la credenza dominante che l'iniziativa e il duro lavoro sono fattori importanti nel determinare il successo economico. In senso analogo gli americani hanno impiegato molto tempo a considerare una disgrazia la violenza sessuale, anche se è chiaramente un atto illecito contro la donna, perché conservano atteggiamenti che suggeriscono che la donna "se l'è cercata" - camminando sola in un luogo pericoloso, per esempio (pensiamo a qualcosa di estremamente simile a questo approccio nell’aula di tribunale per il primo caso di stupro in Italia nel 1979, con l’avvocato Tina Lagostena Bassi). Proviamo spesso compassione per persone le cui disgrazie sono in gran parte create da loro stesse. Un genitore, per esempio, può provare compassione per i pasticci in cui finisce una figlia adolescente, pur continuando a pensare che è colpa sua. Ma anche in questo caso, quando si hanno pensieri del genere, si sta formulando un giudizio in due stadi. Da una parte, è colpa della ragazza; e tuttavia la condizione dell'adolescenza, di cui non ha colpa, porta con sé una certa cecità, e la predisposizione a un certo tipo di errori. Per questo tipo di errori, per quanto se ne possa essere colpevoli, proviamo compassione; non proveremo un'analoga compassione per errori che non sembrano nascere dalla difficile condizione adolescenziale. Quindi è probabile che proveremo compassione per un adolescente arrestato per guida in stato di ebrezza, ma non per uno che abbia torturato e ucciso un cane. Quest'ultimo comportamento non ci pare prodotto da alcuna "cattiva sorte", nemmeno quella di avere sedici anni. Nel provare compassione per un altro, la persona compassionevole accetta quindi una certa immagine del mondo, un'immagine secondo la quale le cose di valore non sono sempre sicuramente sotto il nostro controllo, ma possono essere in molti modi danneggiate dalla sorte. Occupiamoci ora del terzo requisito cognitivo per la compassione. Si tratta del giudizio delle analoghe possibilità: la compassione concerne quelle disgrazie "che ci si può attendere di soffrire noi stessi o uno dei nostri amati", secondo le parole di Aristotele. Solo chi abbia qualche esperienza e comprensione della sofferenza, aggiunge Aristotele, proverà compassione; e non proveremo compassione se pensiamo di essere al di sopra della sofferenza. Cosa ripetutamente sottolineata dagli appelli poetici alla compassione: così Filottete ricorda ai suoi visitatori che anche loro possono essere colpiti da un indominabile dolore. Nell'Odissea la credenza di Antinoo nella propria immunità ai rovesci di fortuna (lo stato d'animo che Aristotele definisce hybris) sembra essere la sola ragione per cui nega la compassione a Odisseo travestito da mendicante. Questo elemento della compassione è il centro dell'analisi di quest'emozione nell'Emilio di Rousseau. Rousseau sostiene, in accordo con Aristotele, che la

Page 8: Compassione Nussbaum

8

consapevolezza della propria debolezza e vulnerabilità è una condizione necessaria per la pitié. "Perché i re sono senza pietà per i propri sudditi? Perché sono convinti che non saranno mai uomini. Perché i ricchi sono così duri con i poveri? Perché non hanno paura di cadere in povertà. [...] Non abituate dunque il vostro allievo a guardare dall'alto della sua gloria i dolori degli infelici, le penose fatiche dei miseri: non sperate di insegnargli a compiangerli, se li considera estranei alla propria esistenza". È per questo che la compassione, sia nella tradizione poetica che nella teoria aristotelica, è così strettamente associata alla paura. Se è assolutamente vero che proverò compassione solo nella misura nella quale vedrò le possibilità degli altri simili alle mie, questo significa che l'emozione dipenderà dalla mia capacità di cogliere analogie tra me e gli altri. Aristotele sostiene che non dovrebbe trattarsi solo delle nostre possibilità, ma anche di quelle dei nostri cari - un precisazione convincente, dato che questa è una fondamentale maniera, per noi, di comprendere disgrazie che colpiscono, per esempio, persone di età diverse o di sesso diverso dal nostro. Gli esseri che più facilmente vedrò come simili a me o ai miei cari saranno probabilmente quelli che condividono il mio modo di vivere, quelli che la società ha contrassegnato come "simili". Rousseau sostiene che la conoscenza delle comuni vicissitudini della sorte impedirà a Emile di escludere i poveri, o i membri delle classi più basse, perché saprà che la gente perde continuamente il denaro, il ceto sociale e i diritti politici. Ma il potere dell'immaginazione (del mettersi al posto dell'altro, del pensarsi un giorno come l'altro) è sempre ostacolato dai vari tipi di barriera sociale - di classe, di religione, etnia, sesso, orientamento sessuale - e ciò ostacola la compassione. Perché le analoghe possibilità sono importanti? Aristotele e Rousseau sembrano ritenere che il dolore dell'altro possa essere oggetto del nostro interesse, parte della nostra concezione del nostro benessere, solo se riconosciamo, nel comprendere che cosa significherebbe per noi provare un dolore simile, una forma di comunanza tra noi e lui. Senza questo senso di comunanza, dicono Aristotele e Rousseau, reagiremo con totale indifferenza o mera curiosità intellettuale. Spinoza concorda, quando associa alla tesi che gli animali "non convengono con noi per natura", il giudizio che è del tutto giustificato causar loro dolore. Insomma c'è una forma di estraneità che conduce all'indifferenza o assenza di interesse: quella di chi non ha cognizione esperienziale dell'importanza del problema, e che quindi ha difficoltà anche a comprendere che la sofferenza è sofferenza. Ma è necessario che sia così? Possiamo immaginare un essere perfetto che prova compassione per le sofferenze dei mortali, senza la consapevolezza di condividere le medesime possibilità e vulnerabilità? Spesso nella tradizione classica gli dèi sono descritti come insensibili e privi di compassione. Ma a volte non è così. Il dio cristiano prova compassione per gli errori e le sofferenze dei mortali; il bodhisattva buddhista, che è

Page 9: Compassione Nussbaum

9

sfuggito al dolore, prova compassione per le sofferenze di chi è ancora in catene. Pensiamo al dolore del lutto. La persona morta deve essere vista e valutata come una parte importante della vita di chi è in lutto, del suo sistema di scopi e progetti. Analogamente, perché vi sia compassione, la persona deve considerare la sofferenza di un altro come una parte significativa del proprio complesso di scopi e fini, come lo chiama la Nussbaum. Deve ritenere che il male di quella persona abbia un effetto sul suo prosperare. In effetti, deve rendersi vulnerabile nella persona di un altro. Ed è questo giudizio eudaimonistico, non quello delle analoghe possibilità, che sembra essere un elemento costitutivo necessario dell'emozione. Perché tale giudizio si formi, non è strettamente necessario che ci si concentri sul rapporto dell'altra persona con noi. Una divinità onnisciente dovrebbe conoscere il significato della sofferenza umana senza pensare ai propri rischi. Ma gli esseri umani hanno difficoltà a sviluppare attaccamento agli altri, se non attraverso pensieri su ciò che è già importante per loro. L'immaginare le proprie simili possibilità ci aiuta a estendere la nostra immaginazione eudaimonistica. Il riconoscimento della propria analoga vulnerabilità, quindi, è un requisito epistemologico importante e spesso indispensabile per la compassione. Anche quando proviamo compassione per gli animali, che sappiamo essere tanto diversi da noi, è sulla base della nostra comune vulnerabilità al dolore, alla fame, e ad altre forme di sofferenza, che proviamo l'emozione. Ciò spiega perché quelli che vogliono negare la propria compassione e insegnare agli altri a comportarsi allo stesso modo così spesso dipingano chi soffre come del tutto dissimile da loro per natura e possibilità. Spesso il discorso nazista sugli ebrei, quando si trattava della loro morte, li descriveva come non-umani, o come esseri di una distante specie animale. Ma quando casualmente ci si imbatte in un individuo che soffre in modo tale da rivelare ineludibilmente l'affinità, assistiamo a un varco, in cui la serietà della sofferenza viene riconosciuta, e la pietà conduce alla vergogna e alla confusione. Talvolta, a catalizzare il varco è la semplice prossimità fisica, talvolta è il ricordo di un tipo analogo di vita familiare. Come in quei casi di uomini che si rifiutarono di prendere parte a fucilazioni di ebrei perché tra gli ebrei c'erano bambini, bambini come quelli di cui in quel periodo erano padri. Quindi lo spettatore dotato di una propria concezione generale dell'umano prosperare, guarda a un mondo nel quale la gente soffre la fame, l'handicap, la malattia, la schiavitù, senza alcuna colpa. Crede che beni come il cibo, la salute, la cittadinanza, la libertà siano importanti. E tuttavia riconosce anche che è incerto se lui stesso rimarrà al sicuro, tra i privilegiati ai quali questi beni sono garantiti. Riconosce che la sorte del mendicante potrebbe essere (o divenire) la sua. Questo lo porta a volgere all'esterno i suoi pensieri, interrogandosi sulle modalità generali della società per l'allocazione di beni e risorse. Sarà propenso a volere una società nella quale la sorte peggiore -

Page 10: Compassione Nussbaum

10

quella dei poveri, degli sconfitti in guerra, delle donne, dei servi - sia la migliore possibile. La compassione quindi ha tre elementi cognitivi: il giudizio di gravità (un serio evento negativo ha colpito qualcuno); il giudizio di non-colpa (la persona non si è procurata la sofferenza); e il giudizio eudaimonistico (la persona, o creatura, è un elemento significativo nel mio insieme di scopi e progetti, un fine il cui bene deve essere promosso). Il giudizio delle analoghe possibilità di Aristotele è un ausilio epistemologico per formare il giudizio eudaimonistico - non necessario, ma di solito molto importante. Qual è il rapporto tra gli elementi cognitivi e l'emozione in quanto tale? A questo punto è naturale chiedersi se non potremmo avere tutti i tipi di giudizio, senza provare l'emozione dolorosa. Vedo una straniera per strada. Qualcuno mi dice che questa donna ha appena appreso della notizia della morte del suo unico figlio, che è stato investito da un automobilista ubriaco. Così credo che questa donna abbia sofferto una perdita estrema e terribile, senza alcuna colpa da parte sua. So bene che anch'io potrei soffrire una simile perdita. Ora, a questo punto, potrei provare compassione per la donna; ma ancora una volta, potrei non provarla. Il fatto che sia una straniera potrebbe rendermi difficile l'immaginare la sua sofferenza; o potrei semplicemente essere troppo indaffarata e distratta, per concentrarmi su quello che mi è stato detto. Questo non dimostra forse che posso, dopotutto, avere tutti i tipi di giudizio senza l'emozione? Si noti però che la persona non ha tutti gli elementi cognitivi della compassione, perché le manca il giudizio eudaimonistico. Non vede la donna come una parte importante del suo complesso di scopi e progetti. Un'altra forma di assenza di compassione è collegata all'immaturità: possiamo avere i giudizi, ma in base all'autorità, senza comprenderne il vero significato. Rousseau descrive un Emile che ha sofferto in proprio, e che sa, da una buona autorità, che anche gli altri soffrono. Vede gesti che indicano sofferenza, e il suo maestro gli assicura che significano per gli altri ciò che significherebbero per lui. Ma, sostiene Rousseau, Emile non crede o giudica realmente che sia così, fino a quando non è divenuto capace di immaginarsi vividamente le loro sofferenze - momento nel quale soffre anche lui del dolore della pitié. "Vedere senza sentire non significa sapere", leggiamo. La Naussbaum si chiede come può una cultura pubblica di una democrazia liberale coltivare una compassione appropriata e il suo ruolo entro una struttura giuridico-istituzionale che possiamo aspettarci possa essere sostenuta da cittadini con un'ampia gamma di diverse concezioni, religiose o laiche. Ci si potrebbe chiedere perché una concezione del genere debba occuparsi di emozioni. E la riposta è, semplicemente, che ogni concezione politica deve occuparsi delle motivazioni dei cittadini, per assicurare, in primo luogo, la propria realizzabilità - ovvero di non imporre insostenibili tensioni alla

Page 11: Compassione Nussbaum

11

psiche umana - e inoltre per garantirsi una minima possibilità di persistenza nel tempo. Dato che c'è ragione di pensare che la compassione fornisca alla morale pubblica elementi essenziali di sapere etico, senza i quali ogni cultura pubblica è pericolosamente sradicata e vuota, come possiamo fare in modo che essa operi nel miglior modo possibile nel quadro di istituzioni democratiche e liberali? Bisogna muoverci nell'ambito della psicologia individuale e in quello del progetto istituzionale. Le conseguenze di una compassione appropriata possono essere inserite nella struttura delle istituzioni giuste, così che non si avrà bisogno di fare affidamento su cittadini perfettamente compassionevoli. Le intuizioni dell'immaginazione compassionevole possono operare su più piani. Possono operare nella costruzione della struttura fondamentale della società, come quando immaginiamo i bisogni umani dei beni primari. E possono operare sul piano più concreto della legislazione: nella creazione di un codice fiscale e di un sistema di welfare, nello stabilire reati e pene nel diritto penale, nella riflessione sui doveri delle nazioni ricche di promuovere il benessere politico ed economico di quelle più povere, ecc. Possiamo affermare in termini generali che le istituzioni compassionevoli sono fortemente interessate alle situazioni tragiche e alla loro prevenzione. Ma se costruissimo le istituzioni secondo i dettami della compassione, ciò non renderebbe superflua la compassione stessa? Aristotele obiettava a Platone che nella città ideale, in cui non esiste alcun proprietario privato e quindi nessuna ineguaglianza nella proprietà, non vi sarebbe spazio per la virtù della generosità. Anche Kant diceva che la generosità personale del compassionevole è una conseguenza dell'ingiustizia del governo. Che bisogno abbiamo di queste virtù morali se il loro ruolo è quello di correggere un cattivo stato di cose, che possiamo in anticipo correggere per mezzo delle leggi? A questa obiezione si risponde dicendo che è improbabile che vivremo mai sotto istituzioni perfette, e che se anche riuscissimo a creare istituzioni tali, esse avrebbero sempre bisogno, per essere stabili, del sostegno della gente. Dobbiamo quindi fare affidamento sugli individui compassionevoli. Ci sono inoltre molti ruoli civici che esigono dai propri attori un'ampia discrezionalità e capacità di giudizio. Quindi anche nelle società perfette, c'è bisogno di giudici e giurati compassionevoli, per esempio. Poi aggiungiamo che molti dei mali ai quali la compassione reagisce non possono essere curati dalla giustizia. La morte, gli incidenti, la perdita dell'amore...: nemmeno la società più perfetta può impedire che queste e simili cose accadano ai suoi cittadini (anche se questo non esime dal chiedersi in che misura assetti sociali imperfetti possano aver contribuito alle morti e agli incidenti cui assistiamo). Continueremo quindi ad aver bisogno della compassione. Anche se le buone istituzioni non possono impedire la vecchiaia e la morte, possono occuparsi dei bisogni degli anziani, di coloro che se ne prendono

Page 12: Compassione Nussbaum

12

cura, di coloro che hanno subito una perdita, .... Ma questo non accade se non coltiviamo nei cittadini stessi una compassionevole comprensione del peso e del senso di queste difficili situazioni. Il rapporto tra compassione e istituzioni sociali deve essere duplice: gli individui compassionevoli costruiscono delle istituzioni che incarnano ciò che essi immaginano; e le istituzioni a loro volta, influenzano lo sviluppo della compassione negli individui. L'empatia e il giudizio delle analoghe possibilità sono profondamente influenzati dal modo in cui le istituzioni pongono in rapporto le persone: rigide separazioni ostacolano questi meccanismi, e situazioni simili li promuovono. E inoltre le istituzioni insegnano ai cittadini determinate concezioni dei beni fondamentali, della responsabilità e dell'appropriato interesse per gli altri, che plasmeranno ogni forma di compassione che essi apprenderanno. Infine, le istituzioni possono promuovere o scoraggiare quelle emozioni che ostacolano l'appropriata compassione, cioè quelle emozioni che sono la vergogna, l'invidia e il disgusto. La compassione esige il giudizio che vi siano seri eventi negativi che accadono ad altri senza alcuna colpa da parte loro. Nella sua forma classica, essa immagina che una persona dotata di una fondamentale dignità umana sia ferita in modo grave dalla vita. Essa adotta così un'immagine fortemente anti-stoica del mondo, secondo la quale gli esseri umani sono sia dotati di dignità sia bisognosi, e in cui dignità e bisogno interagiscono in modi complessi. Ammettere che una persona può essere effettivamente distrutta dalla vita sembrava agli stoici una negazione della dignità umana e dell'eguale valore di tutti gli esseri umani. La prospettiva della classica compassione sofoclea dice: no, il valore fondamentale di un essere umano resta intatto, anche quando il mondo ha fatto del suo peggio. Ma questo non significa che l'essere umano non sia stato profondamente danneggiato. La capacità di agire e la condizione di vittima non sono incompatibili. Nella società americana di oggi, al contrario, spesso sentiamo dire che siamo di fronte a una rigida scelta binaria, tra considerare le persone come liberi agenti o come vittime. Prendiamo in considerazione il recente dibattito femminista, là dove ci viene detto che il rispetto per le donne come agenti è incompatibile con un forte impegno a proteggerle contro lo stupro, la molestia sessuale e altre forme di trattamento discriminatorio. Proteggere le donne sarebbe presumere che non possano lottare da sole contro questi maltrattamenti; questo, a sua volta, significherebbe trattarle come semplici vittime, e minare la loro dignità. La stessa contrapposizione ci viene nuovamente proposta nei dibattiti sulle sentenze penali, nei quali siamo esortati a pensare che ogni simpatia nei confronti di un imputato in base a un contesto sociale svantaggiato o altre disgrazie come abusi sessuali nell'infanzia sia, ancora una volta, un negargli la dignità umana. Il giudice Thomas, per esempio, è arrivato a dire in un discorso del 1994 che allorché ai neri e ai poveri viene dimostrata simpatia

Page 13: Compassione Nussbaum

13

quando commettono reati, essi vengono trattati come bambini. Ma, cosa interessante, questo atteggiamento non viene assunto in altri ambiti. Anche se crediamo che le persone abbiano molte risorse per combattere le avversità, crediamo ancora che la legge dovrebbe proteggerle da molti dei mali della vita. Sappiamo tutti che scrittori e artisti sono capaci di straordinaria ingegnosità e astuzia quando la loro libertà di opinione viene soppressa da un regime brutale; e, tuttavia, non riteniamo che stiamo minando la loro libertà, o stiamo trasformandoli in vittime senz'anima, quando rivendichiamo delle forti tutele giuridiche per la libertà di opinione e di stampa, tutele che rendano superfluo lottare contro la tirannia per pubblicare i propri lavori. E ancora non crediamo certo che una rigorosa applicazione delle leggi rispetto alla proprietà privata trasformi i proprietari in vittime prive di dignità. Le leggi proteggono i cittadini dal furto e dalla frode. Benché siamo ovviamente consapevoli che la gente è a volte in grado di lottare per difendere le proprie case e i propri beni, pensiamo che sia molto meglio che di ciò si occupino la legge e la polizia. Quando vediamo Filottete con compassione, lo vediamo come una vittima: qualcuno che patisce serie e immeritate disgrazie. E così vediamo di solito una schiera di altri personaggi: donne stuprate in guerra, bambini venduti come schiavi, uomini che perdono le proprie famiglie, .... Quando li vediamo come vittime, stiamo constatando qualcosa di vero su di loro e sulla loro vita: che la gente può essere gravemente ferita. Come suggerisce Filottete, questo dà alle persone di buona volontà forti incentivi per fare qualcosa al fine di riparare a questi disastri. E inoltre, Filottete suggerisce che la vittima ci mostra qualcosa a proposito della nostra vita: constatiamo che anche noi siamo vulnerabili alla disgrazia, che abbiamo quindi ragione di temere rovesci simili. È compatibile questo ruolo di vittima con l'essere considerati degli agenti? Filottete lo vediamo come una vittima, nel senso che vediamo la sua solitudine, la sua povertà, la sua malattia come condizioni che egli non ha attirato su di sé. Ma la tragedia ci porta anche a considerarlo capace di attività di vario genere. Lo sentiamo ragionare, vediamo il suo impegno di amicizia e di giustizia. Vederlo come incapace di attività in alcuni ambiti della sua vita è pienamente compatibile con l'osservare che per altri versi egli resta molto attivo. E nemmeno dobbiamo accettare quella semplicistica contrapposizione tra l'agire e la passività, sulla quale l'obiezione si fonda, come se tutta la dignità risiedesse nella capacità di agire, e la passività fosse sempre qualcosa di vergognoso. La dignità di Filottete sta sia nella sua capacità di essere attivo, sia nella sua passività piena di bisogni. Se Odisseo considera la sua infermità fisica disgustosa e degna di disprezzo, segno di una condizione subumana, il coro, e infine Neottolemo, vedono dignità anche nei suoi momenti di dolore, e rifiutano di vedere la sua condizione di bisogno come una

Page 14: Compassione Nussbaum

14

giustificazione per sfruttarlo. È proprio questa combinazione di dignità (sia nell'attività che nella passività) e disgrazia che produce la reazione tipica della tragedia. Se vediamo l'eroe solo come un verme, come una patetica creatura inferiore prostrata nel fango, non proviamo emozioni così intense nei confronti delle forze che gli hanno provocato la sofferenza. Ciò che ispira la nostra compassione (e anche la nostra egoistica paura) è proprio quest'intreccio di umanità e disgrazia. La tragedia ci chiede, quindi, di camminare su una linea sottile. Dobbiamo riconoscere che le miserie della vita colpiscono a fondo, che colpiscono al cuore la stessa umana capacità d'azione. E tuttavia dobbiamo anche sottolineare che esse non cancellano l'umanità, e che la capacità del bene rimane, anche quando tutto il resto ci è stato portato via. Una moderna esemplificazione di questo delicato equilibrio è la descrizione della famiglia Joad in Furore di John Steinbeck. Man mano che il romanzo procede, la famiglia è colpita da una tremenda serie di disgrazie, naturali e prodotte dall'uomo (e la natura colpisce così duramente in gran parte a causa delle imperfette strutture umane). Dopo aver perso la loro casa, i Joad (e gli altri emigrati con loro) si vedono gradualmente defraudati anche delle condizioni elementari della normale vita quotidiana, e il riparo, il cibo, la società civile, la giustizia vengono loro ripetutamente negati. Al lettore del romanzo si chiede di constatare che queste sofferenze sono immeritate, e che esse colpiscono alla radice, creando condizioni che sono un affronto alla dignità umana. E tuttavia - e questo, naturalmente, è il tema centrale di Steinbeck - esse non cancellano la dignità, che si mostra più nitidamente nel dono di un povero a un altro povero, piuttosto che nei lussi della vita della classe media. Il mondo del povero, come lo descrive Steinbeck, è ricco di amore, amicizia e spiritualità; e contiene anche norme e ordine e un codice di mutua assistenza. La gente povera non è mai tanto sventurata da non potersi preoccupare degli uguali o maggiori bisogni degli altri. Nella famosa conclusione del romanzo, una giovane donna intirizzita e malnutrita che ha appena dato alla luce un neonato morto offre il suo seno a un bambino a lei estraneo, che sta morendo di fame. I valori etici di cura e amore restano vivi, anche quando il mondo ha dato il peggio di sé. Ma noi sappiamo che la catastrofe può colpire più alla radice, più a fondo, minando proprio la capacità delle persone di crearsi progetti e aspirazioni, e la loro capacità di essere buone. Possiamo provare simpatia nel caso di disgrazie che sono del tutto immeritate, ma quando le persone commettono crimini, e lo fanno con intenzione ostile, è solo condiscendenza non biasimarle e non ritenerle pienamente responsabili. Ma possiamo constatare che le cose non sono sempre così chiare. Aristotele riteneva che dovremmo perdonare chi sbaglia, comprendendo la difficoltà di ben giudicare in circostanze di grande complessità. Anche persone fondamentalmente buone commettono errori; e un atteggiamento

Page 15: Compassione Nussbaum

15

di perdono può essere adeguato alla generale fragilità e debolezza dell'umano giudizio. Nel giudicare gli errori degni di biasimo di una persona con uno spirito di perdono, prendiamo atto del fatto che noi stessi non siamo perfetti nel giudizio, anche quando abbiamo le migliori intenzioni. Steinbeck descrive i Joad come santi esempi di virtù morale. Ma noi sappiamo che la privazione - perlomeno quando è sperimentata sin dall'infanzia - non produce generalmente dei modelli esemplari. I poveri di Steinbeck sono più gentili, più sensibili della gente ricca. Ma la sofferenza non è in genere nobilitante, più spesso può deformare, mutilare la personalità. Paura di Richard Wright offre uno sguardo più veritiero sul modo in cui l'aspirazione e l'emozione sono deformate dalla privazione economica e dalla gerarchia sociale. Wright non vuole che vediamo in Bigger una malvagità innata; la rabbia e la vergogna che ne fanno un criminale sono esse stesse un prodotto del razzismo. Anche quando questi fattori diventano alla fine una parte di lui, possiamo ancora vederli come calamità tragiche, che lo colpiscono dall'esterno, senza alcuna colpa (originaria) da parte sua. La tragedia sofoclea immagina un adulto, dal carattere già formato, e poi il mondo che dà il peggio di sé. Ma, come suggerisce il romanzo di Wright, possiamo spostare indietro la prospettiva tragica, a una fase precedente, e vedere un bambino, non cattivo di natura, colpito, dall'esterno, dalla discriminazione, dall'ineguaglianza, dalla povertà, forze che schiacciano le aspirazioni e distruggono le speranze. Sarebbe effettivamente condiscendente considerare non-colpevoli, come fossero malati di mente, tutti i criminali cresciuti in situazioni analoghe. Ma d'altra parte sembra giusto che la società riconosca la propria parte di responsabilità nel creare la personalità di un criminale come Bigger, attraverso una reazione di compassione alla sua minacciosa e ostile personalità. Pensiamo ora alla povertà, e alle riforme del welfare. Non è detto che l'assistenza diretta sia la miglior maniera di promuovere una vita prospera, e dovremmo esplorare delle alternative. Ma c'è qualcosa che dovremmo sicuramente guardarci dall'affermare. Non dovremmo mai affermare che l'aiuto finanziario per fornire il nutrimento essenziale, il benessere dei bambini, e altri prerequisiti di una vita umana dotata di significato sia un modo di disumanizzare le persone, o di farne delle vittime subumane. Gli esseri umani possono lottare contro ogni sorta di ostacoli; e spesso riescono a superarli. Ma i genitori della classe media solitamente mostrano la credenza che i bambini non dovrebbero essere affamati o abbandonati, che dovrebbero essere assistiti nelle necessità fondamentali della vita, così che possano sviluppare in modo pieno e ricco la loro capacità di agire. È strano che ci troviamo spesso a parlare in termini così diversi dei poveri, presumendo che tagliare la fondamentale assistenza sociale sia una maniera di incoraggiare la capacità di agire nelle madri e nei bambini poveri, e di migliorare il loro carattere, e non di soffocarlo e bloccarlo prima che abbia la possibilità di svilupparsi. Dobbiamo dare loro l'opportunità di svilupparsi e

Page 16: Compassione Nussbaum

16

prosperare. Il giudice Brennan, in una sua memorabile sentenza, in Goldberg vs Kelly (1970) scrive: "L'impegno fondamentale della nazione sin dalla sua fondazione è stato quello di tutelare la dignità e il benessere di tutte le persone entro i propri confini. [...] Il sistema del welfare, soddisfacendo ai bisogni elementari di sussistenza, può aiutare a portare nella sfera di vita del povero le stesse opportunità che gli altri hanno di partecipare in modo significativo alla vita della comunità [...]. L'assistenza pubblica, quindi, non è mera carità, ma un mezzo 'di promuovere il benessere generale, e assicurare le benedizioni della libertà a noi e ai nostri posteri'". Pensiamo ora a quelle donne che chiedono un'applicazione più adeguata delle leggi contro lo stupro e la molestia sessuale. Le donne lottano contro le molestie sessuali. È una lotta che si deve chiedere alle donne di condurre? O pensiamo che la dignità di una donna esiga che essa non debba lottare per tutto il tempo, che parte del rispetto che le dobbiamo come agente consiste nel far sì che possa portare avanti il proprio lavoro in un'atmosfera libera da queste intimidazioni e pressioni? È plausibile che le donne saranno agenti molto produttivi, all'interno del sistema economico e nell'ambito domestico, se queste pressioni saranno ridotte al minimo. E infine, quando pensiamo al crimine e ai criminali dobbiamo andare oltre la semplice dicotomia tra il considerarli responsabili e il trattarli con compassione. È del tutto coerente considerare un criminale come Bigger Thomas pienamente responsabile dei suoi crimini, e tuttavia riconoscere con compassione che ha patito disgrazie che nessun bambino dovrebbe sopportare. Se comprendiamo che l'ingiustizia mette radici nella personalità stessa, producendo rabbia, risentimento e le basi di un cattivo carattere, abbiamo degli incentivi ancor più rilevanti per impegnarci a fornire a ogni bambino il sostegno materiale e sociale che la dignità umana esige. La società compassionevole, nel senso suggerito dalla tragedia sofoclea, è quella che tiene pienamente conto dei danni che possono colpire i cittadini al di là delle loro azioni; la compassione fornisce così una motivazione per assicurare a tutti quel sostegno fondamentale che sorreggerà e proteggerà l'umana dignità. Consideriamo che una società compassionevole può ancora essere una società ingiusta. Può piangere sul fatto che le tasse facciano soffrire la gente di mancanza di beni di lusso come lingue di pavone. E potrebbe non piangere sui Joad, condotti alla miseria dall'assenza di un sistema di sicurezza sociale. E, come nella società di Steinbeck, le sue istituzioni potrebbero mostrare interesse solo per una ristretta élite. La Nussbaum, lasciandosi guidare dalla tragedia sofoclea, attribuisce alla sua società immaginaria un ben preciso insieme di giudizi per quei tre ambiti in cui si può giudicare male: la serietà, la responsabilità e il grado di coinvolgimento. Quindi: quella che si vuole non è una qualsiasi forma di compassione, ma una compassione

Page 17: Compassione Nussbaum

17

entro i limiti della ragione, che si armonizzi con una teoria etica razionale nei tre ambiti del giudizio. Ciò che sembra necessario è una teoria che risponda alla questione del valore dei vari beni esteriori: quali sono quelli realmente importanti, e su che piano? Una società liberale pluralista dovrebbe astenersi dal proporre una concezione del bene onnicomprensiva, che darebbe alla domanda una risposta definitiva. La risposta deve piuttosto essere data a partire dalle diverse concezioni generali del bene che i cittadini sosterranno. Ma una società del genere può anche aspettarsi una convergenza su alcuni beni fondamentali, che dovrebbero essere a disposizione di tutti i cittadini. Le garanzie costituzionali dei diritti e delle libertà fondamentali, per esempio, dicono ai cittadini (chiedendo loro di essere d'accordo) che quest'insieme di diritti è così importante che la perdita di uno di essi sarebbe particolarmente tragica. La Nussbaum ritiene che la soluzione migliore sia descrivere i diritti fondamentali come un insieme di capacità, o possibilità di operare, in alcuni ambiti di particolare importanza. Si tratta di possibilità di base per operare in alcuni ambiti fondamentali della vita, che è probabile si mostrino importanti per ogni altra cosa la persona persegua. Il pluralismo è allora rispettato, si lascia ai cittadini tutto lo spazio per decidere come operare. Ogni società deve garantire ai suoi cittadini un livello minimo delle capacità esposte qui: 1. Vita. Poter vivere fino alla fine di una vita umana di durata normale; non morire prematuramente, o prima che la vita stessa sia ridotta al punto di non poterla più vivere. 2. Salute del corpo. Poter essere in buona salute, compresa la capacità di procreare; essere adeguatamente nutriti; avere un'adeguata abitazione. 3. Integrità del corpo. Potersi muovere liberamente da un luogo all'altro; essere protetti dalle aggressioni, comprese le violenze sessuali e domestiche; avere possibilità di soddisfacimento sessuale e di scelta in fatto di procreazione. 4. Sensi, immaginazione, pensiero. Poter usare i sensi, immaginare, pensare e ragionare - e poter fare tutto ciò in un modo "autenticamente umano", plasmato e coltivato attraverso un'adeguata educazione che comprenda una formazione di base letteraria, matematica e scientifica, ma che non si limiti a essa. Poter usare il pensiero e l'immaginazione nello sperimentare e produrre opere ed eventi di propria scelta, religiosi, letterari, musicali e così via. Poter usare le proprie capacità intellettuali in modi tutelati dalle garanzie di libertà d'espressione. Poter fare esperienze piacevoli, ed evitare il dolore non necessario. 5. Emozioni. Poter esperire attaccamento affettivo a cose e persone al di fuori di noi; amare coloro che ci amano e si prendono cura di noi, soffrire alla loro assenza; poter amare, essere in lutto, sperimentare il desiderio, la gratitudine e la rabbia giustificata. Non veder soffocato il proprio sviluppo emotivo da paura e ansia.

Page 18: Compassione Nussbaum

18

6. Ragion pratica. Potersi formare una concezione del bene, potersi impegnare nella riflessione critica sulla pianificazione della propria vita. 7. Appartenenza. a) Poter vivere con gli altri e in rapporto con gli altri, poterli riconoscere e mostrare interesse nei loro confronti, poter partecipare a diverse forme di interazione sociale; poter immaginare la situazione di un altro. (Proteggere tale capacità significa tutelare le istituzioni che danno forma legale a questi tipi di associazione e li sviluppano, e tutelare le libertà di riunione e di parola); b) avere le basi sociali per il rispetto di sé e per non essere umiliati; poter essere trattati come esseri dotati di dignità, il cui valore è uguale a quello di altri. (Questo comporta l'esigenza di leggi contro la discriminazione in base a razza, sesso, orientamento sessuale, etnia, casta, religione e origine nazionale). 8. Altre specie. Poter vivere in rapporto con gli animali, le piante e il mondo della natura, con interesse e prendendosene cura. 9. Gioco. Poter ridere, giocare e godere di attività ricreative. 10. Controllo del proprio ambiente. a) Politico. Poter partecipare in modo efficace alle decisioni politiche che governano la propria vita; avere il diritto di partecipazione politica, e garanzie per la libertà di parola e di associazione; b) materiale. Poter possedere delle proprietà (sia terra che beni mobili), e avere diritti di proprietà uguali a quelli degli altri; avere il diritto di cercare un lavoro su un piano di parità rispetto ad altri; avere garanzie contro perquisizioni e confische ingiustificate. Nel lavoro, poter lavorare come un essere umano. Avendo nella lista un complesso di garanzie costituzionali come queste, o basate su di esse, i cittadini sarebbero informati sin dall'inizio della vita che vi sono dei diritti di essenziale importanza, l'essere privati dei quali è particolarmente tragico. Così sarebbero le istituzioni, e le garanzie che esse offrono, a insegnare il giudizio di serietà. La lista informa il giudizio in un modo ben preciso: ciò che dice ai cittadini, infatti, non è solo che certe disgrazie sono particolarmente gravi, ma che sono sbagliate, ingiuste. Nessun cittadino dovrebbe patirle, e tutti abbiamo un fondamentale diritto a non patirle. Come nel caso di Filottete, c'è spazio non solo per il dolore, ma anche per l'indignazione. Anche quando c'è un elemento di necessità naturale nelle tragedie che colpiscono i cittadini - come la malattia o la morte prematura - non dovremmo concluderne affrettatamente che non siano coinvolti assetti politici inadeguati. Non potremo mai sapere realmente quanta malattia e miseria siamo in grado di prevenire. Invece di rassegnarci alla tragica necessità, dovremmo reagire chiedendoci cosa possiamo fare. Il giudizio di non-colpevolezza è anch'esso plasmato dalle leggi e dalle istituzioni. Gli americani come minimo tendono a considerare le difficoltà economiche come qualcosa di meritato, per mancanza di volontà o di sforzo. La politica pubblica durante la depressione ha contrastato questa facile impressione, considerando il disastro come una calamità naturale che colpisce le persone dall'esterno, e per la quale non debbono essere biasimate.

Page 19: Compassione Nussbaum

19

L'opinione attuale sul welfare può capovolgere quel cambiamento, favorendo ancora una volta la visione della povertà come fallimento della volontà. Anche in altri ambiti i cambiamenti nella legge trasformano il giudizio. I cambiamenti nelle leggi sullo stupro negli ultimi quarant'anni, per esempio, hanno reso più difficile considerare lo stupro come qualcosa che la donna "si è cercato" con un abbigliamento provocante, o soltanto camminando da sola la notte, o con il non riuscire a opporre un'"estrema resistenza" all'aggressore. Quindi leggi e istituzioni plasmano il giudizio di responsabilità in senso positivo o negativo. Il giudizio più spesso e più drammaticamente scorretto è quello dei limiti appropriati dell'interesse per gli altri, o quello che la Nussbaum definisce "giudizio eudaimonistico" - associato a quello delle analoghe possibilità e rafforzato da esso, e associato all'empatia. Non c'è accordo a proposito di quale livello di interesse le persone sarebbero tenute a dare ai diversi gruppi di esseri umani. Ma c'è un accordo pressoché generale sul fatto che siamo di solito troppo limitati nelle nostre simpatie. Le concezioni etiche generali più diffusamente accettate, sia religiose che non religiose, raccomandano alla gente di avere un più ampio ambito di interesse di quello che già hanno: di oltrepassare i confini della razza, della classe, della religione, o anche delle nazionalità. Molte, purtroppo, incoraggiano anche in qualche modo la gente a limitare il proprio interesse per gli altri, a preferire i membri della propria religione o del proprio gruppo, e spesso a rifiutare e disprezzare membri di certi altri gruppi. Inoltre i cittadini di una liberaldemocrazia pluralista dovrebbero avere ben più interesse di quanto ne abbia oggi la maggior parte degli americani per il destino degli esseri umani al di fuori dei loro confini nazionali. Dovrebbero sapere qualcosa delle sofferenze che affrontano, e dovrebbero avere perlomeno un qualche interesse ad alleviarle. L'ignoranza ottusa e l'assenza di emozioni con cui le notizie di eventi di lontane zone del mondo sono accolte dagli americani è un fallimento morale. Anche qui constatiamo che la legge e le politiche pubbliche plasmano i giudizi eudaimonistici in diverse maniere. Come sostenevano Rousseau e Tocqueville, un regime che rende le persone uguali di fronte alla legge, e che dà potere a tutti i cittadini sotto certi fondamentali aspetti, spingerà la compassione a volgere lo sguardo all'esterno: perché si sarà più “addestrati” a pensare in termini di una comune forma di vita. Misure di sostegno finalizzate a dare potere a un gruppo in precedenza oppresso possono essere meccanismi decisivi per abbattere le vecchie barriere. Così all'epoca dell'indipendenza dell'India, il disprezzo che gli indù di casta superiore avevano imparato a provare per quelli prima chiamati "intoccabili" non poteva essere combattuto solo attraverso l'uguaglianza formale: perché mancavano appunto ancora misure di sostegno per gli ex-intoccabili. Anni di abitudine al disprezzo esigevano misure più rigorose. I complessi progetti di pari opportunità per queste caste le spinsero nella vita politica ed economica

Page 20: Compassione Nussbaum

20

in modi che non dipendevano, all'inizio, dalla compassione o dalla buona volontà di altri: perché ancora non si vivevano come appartenenti alla stessa comune forma di vita; e in seguito, dopo essersi collocati su questi nuovi percorsi di vita, poterono più facilmente divenire oggetto di compassione. L'estrema inaffidabilità e parzialità della nostra compassione nei confronti di chi è al di fuori dei nostri confini nazionali può essere imputata, in gran parte, all'assenza di un'efficace struttura istituzionale che sottolinei la nostra collocazione in una comune forma di vita. Ma se le società plasmano i giudizi che formano il contenuto cognitivo della compassione, plasmano anche quelle emozioni che la Nussbaum identifica come potenti impedimenti alla compassione stessa: l'invidia, la vergogna e il disgusto. L'invidia è potentemente e in senso ovvio plasmata dai modelli pubblici di giustizia. Ci si può aspettare che una società che insegni a tutti i cittadini che hanno il diritto di avere tutte le capacità della lista che abbiamo detto, e che fa del suo meglio per garantirle, sarà relativamente meno invidiosa. E per quel che riguarda le restanti ineguaglianze, dato che sono state definite (a torto o a ragione) come meno essenziali per il prosperare e meno potenzialmente tragiche, sarà di conseguenza meno probabile che siano fonti di invidia, perché l'invidia esige il pensiero che l'oggetto goduto dall'altro abbia un valore significativo. Il disgusto esiste in ogni società a noi nota, e ogni società lo insegna in molti modi informali. Ma le società variano ampiamente nella misura in cui fanno appello al disgusto stesso nelle politiche pubbliche: se permettono o meno che le reazioni di disgusto dei cittadini siano la sola o primaria ragione per rendere illegale una pratica, come nel caso delle leggi sulla sodomia, o delle attuali leggi statunitensi in materia di oscenità; se consentono o meno che il disgusto dell'imputato per la vittima possa mitigare la pena, come nella difesa basata sulla "provocazione omosessuale" per l'omicidio colposo; se consentono o meno che il disgusto dei giurati per un orribile omicidio sia considerato un fattore aggravante. Il disgusto è una motivazione particolarmente inaffidabile e sospetta nella vita pubblica. I suoi legami, nel corso della storia, con la misoginia, l'antisemitismo e altre forme di odio di gruppo, ci forniscono un'ulteriore ragione di essere sospettosi a proposito di un suo ruolo pubblico. La rabbia e l'indignazione poggiano su ragioni relative a danni - a noi stessi o agli altri. Se i giudizi sono corretti, e il danno è significativo, sembra ragionevole pensare che la legge dovrebbe contribuire a prevenirlo e a impedire che accada. Il disgusto, diversamente, si basa su giudizi che riguardano la contaminazione immaginaria del Sé. A parte il fatto che tali fantasie sono spesso di tipo "magico" e non implicano alcun vero danno, il problema, nel fare di giudizi simili una base del diritto, sta nel fatto che la più diretta e appropriata soluzione, quando ci si sente "disgustati" da un tipo di persona che non ci aggrada, è allontanarsi - non ledere le sue libertà, tanto meno usare violenza contro di lei.

Page 21: Compassione Nussbaum

21

Riguardo al disgusto, le società possono scoraggiare le rovinose reazioni proiettive che esso implica, raffigurando i gruppi che ne sono normalmente oggetto in termini che non fanno appello al disgusto stesso. Gli ebrei venivano descritti, nella letteratura nazista, come esseri disgustosi, vili insetti, o vermi; una società impegnata per la giustizia può invece diffondere immagini positive delle minoranze, e assicurarsi che queste siano viste come degne della pubblica fiducia. Se un dalit (quello che prima era un "intoccabile") occupa una posizione di influenza politica, questo, quanto meno, mina la tendenza a vederlo come un essere viscido, non superiore a un escremento. Ma se il vero problema alla base del disgusto è la paura e l'odio che la gente ha per il proprio corpo animale e la sua mortalità, allora una società che voglia combattere i danni del disgusto deve andare oltre, occupandosi del corpo in quanto tale, e delle nostre ansie a proposito di esso. Quanto poi alla vergogna primaria, i danni che fa sono profondi, perché avvengono nella prima infanzia; ma molti possono essere mitigati dalle politiche sociali che si occupano dell'umana debolezza e infermità. Il modo in cui una società si prende cura dei suoi membri non-indipendenti, siano bambini, anziani, o disabili fisici o mentali, comunica a tutti i cittadini una concezione dell'umana debolezza e del suo rapporto con l'umana dignità. Una cultura che pubblicamente sostenga le cure per le forme di estrema dipendenza fisica e/o mentale come un bene sociale primario non pretende più che tutti i suoi cittadini siano adulti razionali indipendenti - come sembra talvolta fare il contrattualismo liberale. Riconosce la condizione di bisogno di ogni persona. C'è una critica qui della Nussbaum all'assunto di John Rawls secondo il quale i cittadini sono considerati "membri normali e pienamente cooperativi della società per tutta la vita". Se siamo convinti che una compassione appropriata sia un elemento importante per avere buoni cittadini, allora vorremo dare pubblico appoggio alle procedure mediante le quali questa capacità viene insegnata. Questo non significa soltanto coltivare i giudizi appropriati nei tre ambiti, ma anche rafforzare quei meccanismi psicologici - l'empatia e il giudizio delle analoghe possibilità - che favoriscono l'estensione dell'interesse. Molto di ciò sarà fatto nella sfera privata, nell'ambito delle famiglie. Ma ogni società adopera e insegna, in molti modi, ideali di cittadinanza e di buon giudizio civico. Innanzitutto, la pubblica educazione a qualsiasi livello deve coltivare la capacità di immaginare le esperienze di altri e di partecipare alle loro sofferenze. Questo significa dare ampio spazio nell'educazione alle scienze umane e alle arti, a partire dalle scuole elementari, in modo che i bambini gradualmente padroneggino sempre di più i giudizi appropriati, divenendo capaci di estendere la propria empatia a più persone e tipi di persone. Le scienze umane e le arti costituiscono effettivamente un vitale e insostituibile contributo alla cittadinanza stessa, senza il quale avremmo,

Page 22: Compassione Nussbaum

22

molto probabilmente, cittadini ottusi ed emotivamente inerti, preda dei desideri aggressivi che tanto spesso accompagnano un mondo interiore cieco alle immagini degli altri. Escludere le arti è la ricetta per produrre il narcisismo patologico di cittadini che hanno difficoltà a rapportarsi ad altri essere umani. La bambina vede, nel suo mondo, molte figure simili a persone. A questo punto può decidere di considerarle come macchine, rifiutandosi di attribuire loro il dolore e la gioia che attribuisce a se stessa; o può semplicemente lasciar perdere, senza pensare proprio nulla su quello che potrebbe esserci dietro la figura. Molte persone attraversano la vita in questo modo; c'è un tipo di narcisismo patologico che si rifiuta di fatto di dare realtà agli altri - come risultato di una paralizzante esigenza di onnipotenza e controllo. Persone del genere, è alquanto significativo, solitamente non apprezzano la narrativa e in taluni casi non la comprendono nemmeno. Ma una bambina che ha sperimentato lo stupore e ha coltivato l'immaginazione prova, se ne è psicologicamente capace, interesse per le persone al di fuori di sé. Tale bambina accoglierà la figura dell'altro con queste attitudini narrative. Nel cercare di capire che cosa l'altra figura stia provando e pensando si formerà l'abitudine all'empatia e alla congettura. Sarà anche indotta a notare le sofferenze delle altre creature con una nuova attenzione: la vista del sangue, la morte di animali, le sofferenze dei genitori e degli amici diverranno fonti di turbamento. (Così i progetti degli adulti per spingere gli altri a provare interesse per gli animali farebbero bene a coltivare o far rivivere queste esperienze infantili di interesse, che sono state facilmente eclissate, in età adulta, dall'idea che gli esseri umani sono l'unica fonte di valore intrinseco). E solitamente, se la bambina è stata allevata con amore, quest'empatia sarà accompagnata da desideri benevoli nei confronti dell'oggetto. Man mano che la padronanza da parte della bambina del lessico emotivo cresce, si verificheranno due eventi. In primo luogo, può essere messa di fronte a storie che mostrano in modo esplicito la vulnerabilità della vita umana, e in una luce più dolorosa, rispetto alle prime narrazioni. Può essere messa di fronte alla cruda immagine di catastrofi umane di molti generi. Rousseau scrive nell'Emilio: "Fategli vedere e sentire le calamità umane, scuotete e spaventate la sua immaginazione con i pericoli di cui ogni uomo è incessantemente circondato; veda intorno a sé tutti questi abissi e, mentre ne ascolta la descrizione, si stringa a voi per paura di precipitarvi. [...] Cominciamo col renderlo umano: questo soprattutto c'importa". Può acquisire familiarità con la malattia, la morte, la schiavitù, lo stupro, la guerra, il tradimento, la perdita del proprio paese. Torniamo a Sofocle. Perché è qui che i greci collocavano l'enorme importanza educativa del dramma tragico. Ma per la giovane futura cittadina, la tragedia ha un significato particolare. Perché una tale spettatrice, nel partecipare, sta imparando la compassione. Le tragedie la familiarizzano con gli eventi negativi che possono verificarsi nella vita umana, ben prima che la

Page 23: Compassione Nussbaum

23

vita stessa lo faccia: rendono così possibile l'interesse per coloro che soffrono ciò che ella non ha ancora sofferto. Invitando la spettatrice a essere profondamente coinvolta nel fato dell'eroe tragico, e raffigurando allo stesso tempo l'eroe come una persona di valore, la cui pena non scaturisce da una sua deliberata cattiveria, il dramma fa nascere la compassione. I greci coltivavano la compassione attraverso il dramma; un bambino dei giorni nostri può imparare queste stesse storie mitiche, o i suoi equivalenti moderni. Bisognerà allora cercare opere che familiarizzino la giovane lettrice con un'ampia gamma di possibili disastri, e di cose di valore a essi vulnerabili. E sull'eventuale obiezione sul pericolo che il giovane, al cospetto della sofferenza, divenga indifferente, Rousseau scrive: "Non si tratta di fare del vostro allievo un infermiere, un frate di carità, non si tratta di contristare il suo sguardo con la continua visione di sofferenze e dolori, di condurlo in visita da un ammalato all'altro, di ospedale in ospedale, dalla piazza del patibolo alle prigioni: deve diventare sensibile, non già indifferente alla vista delle miserie umane [...]. Il vostro allievo conosca dunque la sorte degli uomini e le miserie dei suoi simili, ma non ne sia troppo spesso testimone". Bisogna che si arrivi a un riconoscimento di una comune umanità con chi soffre. I drammi greci portavano i loro spettatori all'identificazione empatica, dalla Grecia a Troia, dal mondo maschile della guerra a quello femminile della casa. Anche se tutti i futuri cittadini che assistevano alle tragedie erano di sesso maschile, veniva loro chiesto di provare empatia non soltanto con le sofferenze di persone la cui sorte avrebbero potuto condividere, ma anche di quelle la cui sorte non avrebbero conosciuto - troiani, persiani e africani, vedove, figlie e madri. Le storie tragiche contemporanee sono, in modo analogo, esercizi di estensione della simpatia. Dovremmo mettere in scena simili esercizi per l'estensione dell'immaginazione per i nostri cittadini. E questo significa chiederci quali gruppi è probabile comprenderanno facilmente, e quali richiederanno un maggior esercizio mentale perché l'empatia prenda il sopravvento. Ovunque una società abbia creato delle differenze, l'immaginazione si imbatte in ostacoli. Questi operano proprio creando dei dubbi sulla pari o piena umanità del gruppo "diverso". Per promuovere un'empatia che attraversi specifiche barriere sociali, dobbiamo rivolgerci a opere d'arte che rappresentino in modo molto concreto queste barriere e il loro significato. Il romanzo sociale realista è uno di questi generi: pone in rapporto la lettrice con circostanze molto concrete, diverse dalle sue. In questo modo il romanzo realista usa i "muscoli" dell'immaginazione, rendendo le persone capaci di abitare, per un certo tempo, il mondo di una persona diversa, e di vedere il significato degli eventi in quel mondo dal punto di vista dell'outsider. Un lettore per esempio di Paura di Richard Wright è portato a concentrarsi sulla differenza tra la vulnerabilità comune a tutti gli esseri umani, e quella prodotta dai potenti

Page 24: Compassione Nussbaum

24

per chi è senza potere. Nulla di tutto ciò produrrà un'appropriata compassione senza corretti giudizi etici: un'empatia strettamente associata al giudizio razionale di serietà, a quello di non-colpa, e un più ampio interesse per gli altri. In breve, l'educazione a una cittadinanza compassionevole dovrebbe essere anche un'educazione multiculturale. La nostra allieva deve imparare ad apprezzare la diversità delle circostanze in cui gli esseri umani lottano per prosperare; questo non significa solo apprendere informazioni su classi sociali, razze, nazionalità e orientamenti sessuali diversi dai propri, ma essere condotti dall'immaginazione dentro quelle vite, divenendo partecipi di quelle lotte. Parte di queste educazione sarà certamente lo studio della storia politica, sociale ed economica; ma un'altra parte egualmente importante sarà il contatto con opere letterarie, e altre opere d'arte, che coinvolgano lo spettatore nel significato degli eventi storici per gli esseri umani. Ovviamente la televisione e gli altri mass media sono anch'essi potenti educatori dei cittadini, e possono alimentare empatia o ottusità, compassione appropriata o inappropriata. Vogliamo infatti dei media che non marginalizzino le arti e le scienze umane, che nutrano la capacità di immaginare e di entrare in empatia. La televisione ha un enorme potere di influenzare l'empatia e il giudizio delle analoghe possibilità riguardo a minoranze e popoli di altri paesi. Le sue scelte di immagini e ruoli, nelle notizie dei telegiornali, nella pubblicità, nella fiction, avranno grandi conseguenze per le capacità morali dei cittadini. È ragionevole chiedere ai media di non coltivare il disgusto o la disumanizzazione di gruppi con i quali i cittadini sono in rapporto, o quella forma di odio misogino per la vulnerabilità, che così spesso accompagnano la disumanizzazione degli altri. Per coloro che concordano su questa posizione di base, restano controverse solo le conseguenze che osservazioni del genere comporterebbero sul piano della regolamentazione giuridica e del controllo della produzione. Ma è ovvio che le esigenze di una vita pubblica sana e onesta influenzano e debbano influenzare in infinite maniere il modo in cui le problematiche razziali, e molte altre, vengono rappresentate. I media hanno un considerevole potere sulla formulazione di giudizi corretti, rappresentando le disgrazie come più o meno gravi, l'infelicità come qualcosa che colpisce dal di fuori o come prodotto della colpevole mancanza d'impegno, e persone più o meno vicine a noi come meritevoli del nostro interesse. Tutti questi problemi nascono anche nell'aula scolastica, ma vi è un'asimmetria rilevante tra i media e l'aula: la loro diversa vulnerabilità alle pressioni del mercato. Le università e le scuole non sono così indipendenti come dovrebbero essere: le decisioni sul piano finanziario, se non altro, influiscono in molti casi sull'offerta dei corsi e sull'assunzione dei docenti. Ma c'è relativamente più libertà. La televisione e la stampa sono più

Page 25: Compassione Nussbaum

25

vincolate a giustificare le proprie scelte in base a criteri di mercato a breve termine. Di rado vi è il tempo di creare un pubblico adeguato a una programmazione potenzialmente innovativa, come sarebbe necessario se volessimo, per esempio, rendere i cittadini consapevoli delle difficoltà che affrontano le donne o i poveri in Asia meridionale o in Africa. Di tali situazioni siamo infatti così a corto di informazioni generali che non possiamo facilmente entrare in empatia, e di conseguenza ci annoiamo. Svariate soluzioni sarebbero possibili: fondi per programmi rischiosi dal punto di vista finanziario delle televisioni pubbliche, programmazione obbligatoria di pubblico interesse, sussidi per le emittenti nazionali. Ma solo quest'ultima è, secondo la Nussbaum, la via che possa garantire una soluzione reale. Ci si può aspettare che le pressioni dei cittadini migliorino le cose quando si tratta di minoranze del proprio paese; e così è stato, per quel che riguarda la rappresentazione degli afroamericani, delle donne, degli omosessuali e delle lesbiche. Ma quando si tratta della nostra deplorevole ignoranza a proposito delle altre nazioni, solo i media pubblici, indipendenti e ben finanziati, possono occuparsi in modo creativo del problema. Dovremmo poi esigere dai leader politici che mostrino le capacità necessarie per una ragionevole e appropriata compassione, la capacità di accogliere nell'immaginazione la vita dei diversi gruppi che si propongono di guidare. Questo è l'ideale di Whitman del leader di una democrazia: colui che poeticamente abita tutte le diverse vite in essa. Il leader che incarnava quest'ideale, agli occhi di Whitman, era Lincoln. Ed è soprattutto la capacità di Lincoln di immaginare la situazione dello schiavo, che gli fece guidare il paese verso la fine dell'epoca della schiavitù, a essere l'oggetto del suo amore. Ed è interessante, riguardo ai complessi rapporti tra compassione e giusta indignazione, vedere dalle molte dichiarazioni pubbliche di Lincoln, specie nei suoi ultimi anni di vita, che egli credeva che la compassione per la situazione dello schiavo implicasse l'indignazione nei confronti di chi continuava a difendere l'istituzione. Avvicinato da due donne del sud che gli dissero che i mariti, prigionieri di guerra, avrebbero dovuto essere liberati perché uomini religiosi, Lincoln rispose: "Dici che tuo marito è un uomo religioso; digli, quando lo vedi, che ti ho detto che non sono buon giudice in fatto di religione, ma che a mio parere una religione che porta gli uomini a ribellarsi e a lottare contro il proprio governo, perché pensano che non aiuti abbastanza alcuni uomini a mangiare il proprio pane a spese del sudore della fronte di altri uomini, non è il tipo di religione che può portare la gente in paradiso!". Da un punto di vista economico invece, il sostenitore della compassione appropriata non deve necessariamente, né dovrebbe proporre di sostituire l'emozione alla creazione di modelli. Si può invece raccomandare che i modelli economici formali tengano conto delle informazioni contenute nella

Page 26: Compassione Nussbaum

26

compassione. Facciamo un esempio. Quando il benessere di una nazione veniva misurato dalle organizzazioni per lo sviluppo sotto la guida di economisti esperti in materia, la più comune strategia era di gran lunga quella di individuare il Pil pro capite. Approccio rudimentale, che non ci dice molto di quel che la gente fa: non descrive nemmeno la distribuzione della ricchezza e del reddito, e ancor meno indaga la qualità della vita in ambiti non sempre strettamente correlati a ricchezza e reddito - come la mortalità infantile, l'accesso alle cure mediche, l'aspettativa di vita, la qualità dell'educazione pubblica, la presenza o assenza di libertà politiche, lo stato dei rapporti tra le razze e i sessi. Ciò che i pianificatori dello sviluppo devono sapere sulla complessiva "economia politica" di un paese è ben più di quello che approcci del genere ci dicono. Essi debbono infatti sapere come le risorse economiche del paese stiano, o meno, sostenendo l'operare umano in questi diversi ambiti, e come si potrebbe fare ciò con maggiore efficienza. Per queste ragioni l'economista Amartya Sen ha sostenuto che al centro dell'attenzione, nell'economia del welfare e dello sviluppo, non debbono esserci le risorse in quanto tali, come se avessero qualche valore in sé, ma il loro ruolo nel sostenere le capacità di operare degli esseri umani in alcuni ambiti fondamentali. La tesi di Sen contro le concezioni liberali che si focalizzano sulle risorse è che non abbiamo sufficienti informazioni per sapere come queste risorse operano, se non ne vediamo gli effetti per l'operare dell'uomo. Una persona sulla sedia a rotelle ha bisogno di più sostegno, per la mobilità, di una persona non disabile. Una persona di grossa corporatura e attiva ha bisogno di più cibo per essere sana, rispetto a una piccola e sedentaria, e una donna incinta o che allatta più di una che non lo sia. I gruppi che sono stati svantaggiati nell'educazione possono aver bisogno di particolari investimenti in questo campo, per ottenere lo stesso livello di capacità. Misure basate sulle capacità e differenziate ci forniscono la stessa ricchezza d'informazioni di un buon romanzo, stimolandoci a pensare in modo empatico alle possibilità di persone di molti diversi paesi, e di gruppi all'interno di essi. Se questa empatia produrrà compassione dall'interno o dall'esterno dipenderà dai nostri giudizi di serietà, responsabilità e appropriato interesse per gli altri. E se ne scaturisce compassione, c'è ancora l'altro e distinto problema dell'azione appropriata; e la soluzione a esso dipenderà dalla nostra concezione dei doveri transnazionali e del ruolo appropriato dello stato. L'esercizio stesso dell'immaginazione, e l'emozione in quanto tale, ci forniscono informazioni senza le quali non possiamo prendere alcuna informata decisione. Ultimo punto: la compassione nella razionalità giuridica. La compassione non è irrazionale nel senso di impulsiva o priva di pensiero. E nemmeno, nei casi fondamentali, essa è normativamente irrazionale ovvero basata su

Page 27: Compassione Nussbaum

27

pensieri scorretti. Ma, d'altra parte, essa è, lo ammettiamo, fallibile e facilmente fuorviabile: dobbiamo quindi chiederci come possiamo servirci delle sue migliori, e non delle sue peggiori possibilità. La fallibilità della compassione non dovrebbe spingerci a lasciarla del tutto da parte nella deliberazione giuridica. Ciò che abbiamo già detto ha notevoli conseguenze per la razionalità giuridica e giudiziaria: avvocati e giudici, infatti, sono il prodotto del sistema di educazione civica, e dovranno possedere in alto grado le virtù di razionalità civica che questo promuove. E molti di loro sono anche leader, a cui si applicano le osservazioni già fatte sulla leadership compassionevole. Questo significa che è di particolare importanza che giudici e futuri giudici acquisiscano il tipo di informazioni offerte dal curriculum immaginario per la cittadinanza - non solo raccogliendo indicazioni sulle diverse forme di vita con cui verranno probabilmente a contatto, ma entrando in queste vite con empatia, e cogliendo il significato umano dei problemi che si trovano di fronte. Sarà molto più facile per il futuro giudice comprendere le diverse forme di discriminazione che persone e gruppi hanno sperimentato. Una democrazia potrebbe cercare di costruire l'uguaglianza in base alle sole leggi e istituzioni, senza educare il cuore e l'immaginazione. Potrebbe semplicemente ordinare ai cittadini di rispettare gli uguali diritti di chi è diverso, e che non si interferisca nelle loro legittime attività. Ma un tale regime di eguale protezione formale è fragile. Se ci avviciniamo al problema dell'eguale protezione da un punto di vista esterno e formale, senza usare l'immaginazione per cercare di capire il significato e l'impatto umano delle leggi in questione, saremo probabilmente insensibili in materia di eguaglianza, presumendo che l'eguaglianza formale sia sufficiente per l'eguale protezione, e non cogliendo il ruolo giocato dalle gerarchie razziali e sessuali nel negare ai cittadini un'autentica eguaglianza di fronte alla legge. La compassione deve esserci, o molti fatti pertinenti in casi di ineguaglianza e privazione di beni elementari non saranno correttamente descritti, e ancor meno correttamente valutati. La struttura delle istituzioni giudiziarie lascia spazio alla flessibilità e al ragionamento individuale sul piano interpretativo e normativo. E ci sono delle buone ragioni per lasciarlo, questo spazio: perché nessun documento può contenere istruzioni così precise e così scevre da ambiguità da risolvere ogni problema in anticipo, e anche solo un tentativo in tal senso condurrebbe indubbiamente a una perniciosa rigidità nel diritto. Ma dato che lo spazio esiste, abbiamo bisogno di giudici dotati di un'appropriata emotività. Se parliamo poi del ruolo della compassione nel giudicare l'accusato di reati penali, il buon giudice o giurato sa che tutti gli esseri umani sono fallibili, e che la differenza tra il criminale e il giurato, o tra il criminale e il giudice, è spesso generata da circostanze personali e sociali. Il criminale può essere stato formato da fattori sociali e familiari che lo hanno "colpito" dall'esterno. Nella tradizione angloamericana della sentenza penale troviamo quest'idea

Page 28: Compassione Nussbaum

28

associata a una generale possibilità di mitigare le pene. L'atteggiamento narrativo misericordioso viene considerato come un modo di riconoscere l'umanità del delinquente, e di rendere giustizia alla propria. Nel 1976, difendendo il ruolo di una narrazione estremamente dettagliata nell'elaborazione della sentenza penale, la Corte Suprema degli Stati Uniti scriveva, in Woodsor vs North Carolina: "Un processo che non accorda alcun significato a rilevanti aspetti del carattere e della storia del criminale, o alle circostanze del particolare crimine, esclude dalla considerazione, nello stabilire la pena estrema della morte, la possibilità di fattori di compassione o attenuanti che scaturiscono dalle tante debolezze del genere umano. Esso tratta tutte le persone condannate per un determinato reato, non come esseri umani dotati di una loro univoca individualità, ma come membri di una massa indifferenziata e senza volto, da sottoporre alla cieca condanna alla pena di morte". Il giudice che si considera al di sopra del criminale, come i monarchi di Rousseau nei confronti dei propri sudditi, non riuscirà a comprendere le "tante debolezze" che portano la gente a commettere crimini. Riconoscerle crea un legame tra giudice e criminale; la disponibilità del giudice ad accordare un significato alle circostanze di una vita individuale mostra che non sta trattando l'imputato come un essere subumano o un incomprensibile alieno. Si presume talvolta che chi afferma l'esistenza di un ruolo per l'empatia e la compassione nel diritto debba, pena l'incoerenza, sostenere qualsiasi appello alla compassione. Ma ciò che è irrilevante per le questioni che abbiamo di fronte nella fase dell'attribuzione della pena, va scartato. Così come Socrate rifiutò di portare la moglie e i figli in tribunale, così anche dobbiamo rifiutare un appello alla simpatia tipico di quelle vittime a cui sopravvivono famiglie che possono apparire nell'aula di tribunale per narrare una storia di lutto, fomentando così sentimenti di vendetta nei confronti di gente già impotente. Non sempre quindi più narrazione equivale a miglior processo: dobbiamo chiederci cosa ci è necessario sapere. Dobbiamo introdurre narrazioni che inducono l'empatia per ragioni specifiche e per affrontare specifiche lacune della comprensione. Ma quello che non dobbiamo fare è incoraggiare la giuria a vedere l'imputato con disgusto, o a tener conto del disgusto come reazione pertinente per l'attribuzione della pena. Spesso il nostro disgusto nei confronti di un gruppo segnala il desiderio di porci a distanza da qualcosa di noi stessi che questo gruppo rappresenta. Spesso diciamo a noi stessi che chi commette atti nefandi è un mostro, in nessun modo simile a noi. Questa tendenza ha grande influenza, per esempio, su chi scrive sul nazismo e sull'Olocausto e su chi ne legge. Al contrario, quando vediamo i nazisti descritti senza disgusto, come esseri umani che condividono con noi caratteristiche comuni - che l'accento sia sulla capacità di tutti gli esseri umani di fare del male, o sull'universale

Page 29: Compassione Nussbaum

29

passività di fronte a deformanti ideologie -, questo ci allarma, perché esige un'autoanalisi, ci avverte che avremmo potuto compiere, in circostanze analoghe, gli stessi atti. Ci avverte della presenza del male dentro di noi. Dobbiamo affrontare il fatto che potremmo diventare come loro; ma questo significa che, in un senso significativo, lo siamo già - con tutta la vigliaccheria, la debolezza, la cecità morale che finiscono per produrre mali del genere. Qualcosa di simile accade quando siamo spinti a reagire con disgusto agli atti criminali di un assassino. Siamo indotti a vedere questa persona come un mostro, al di fuori dei confini del nostro universo morale. siamo indotti esattamente a non pensare che "lì, al posto di... potrei esserci io". Ma, in realtà, è probabile che tutti gli esseri umani siano capaci di fare del male, e che molti, se non la maggior parte, degli efferati criminali siano stati deformati da circostanze, sociali e individuali, che giocano un ruolo importante e talvolta decisivo nello spiegare i loro atti. Il disgusto e la vergogna primaria, benché probabilmente ineliminabili dalla società e in qualche modo funzionali, non offrono nulla di apprezzabile alla pubblica discussione, anzi la minano, creando due classi di esseri umani, una superiore e una inferiore.