comedia di dante alighieri, inferno - bdtf.hu docendi/tananyago… · letteratura italiana einaudi...

816
Letteratura italiana Einaudi L Commedia di Dante Alighieri

Upload: trinhmien

Post on 29-Sep-2018

233 views

Category:

Documents


3 download

TRANSCRIPT

  • Letteratura italiana Einaudi

    LCommedia

    di Dante Alighieri

  • Letteratura italiana Einaudi

    Edizione di riferimento:I Meridiani, I edizione, Mondadori, Milano 1991Introduzione, cronologia, bibliografia, commento a cura di Anna Maria Chiavacci Leonardi

  • Letteratura italiana EinaudiLetteratura italiana Einaudi

    LInferno

    di Dante Alighieri

  • Letteratura italiana Einaudi

    Sommario

    Canto I 1Canto II 34Canto III 61Canto IV 85Canto V 113Canto VI 146Canto VII 175Canto VIII 201Canto IX 225Canto X 250Canto XI 276Canto XII 295Canto XIII 320Canto XIV 348Canto XV 370Canto XVI 392Canto XVII 414

    Canto XVIII 436Canto XIX 457Canto XX 482Canto XXI 503Canto XXII 525Canto XXIII 544Canto XXIV 564Canto XXV 586Canto XXVI 608Canto XXVII 636Canto XXVIII 658Canto XXIX 683Canto XXX 701Canto XXXI 723Canto XXXII 742Canto XXXIII 769Canto XXXIV 793

  • Letteratura italiana Einaudi

    CANTO I

    [Incomincia la Comedia di Dante Alleghieri di Fiorenza, ne laquale tratta de le pene e punimenti de vizi e de meriti e pre-mi de le virt. Comincia il canto primo de la prima parte laquale si chiama inferno, nel quale lauttore fa proemio a tuttalopera.]

    Nel mezzo del cammin di nostra vita

    1. Nel mezzo del cammin...: giunto alla met del cammino dellanostra vita umana. Linizio del poema, in forma semplice e piana, una indicazione di tempo. La visione dellaldil si presenta comeun fatto storicamente datato che si svolge nel tempo. Dante indicainfatti qui una data precisa, cio i suoi trentacinque anni, conside-rati allora, ne li perfettamente naturati, il punto medio della du-rata della vita (Conv. IV, XXIII 6-10); la Scrittura stessa in accor-do del resto alle teorie aristoteliche riprese da Alberto Magno eTommaso era allorigine di tale opinione (Dies annorum no-strorum... septuaginta anni Ps. 89, 10) e laggettivo nostra sem-bra discendere dal salmo al verso di Dante, dando a quel linguag-gio dimesso e quotidiano una risonanza universale ed epica. Lideadella vita come cammino (che ha quindi un suo fine) riempie que-sto primo verso. lidea di partenza del poema. Essa scritturale(2 Cor. 5, 6) e Tommaso la precisa nel suo commento: Homo, instatu vitae istius constitutus, est quasi in quadam via, qua debettendere ad patriam. Dante la riprende e la svolge in un passo delConvivio, dove si ritrova quasi una parte del primo verso del poe-ma: cos lanima nostra, incontanente che nel novo e non mai fat-to cammino di questa vita entra...; questo il cammino verso il be-ne, che luomo perde per errore come le strade de la terra(Conv. IV, XII 15-8), proprio come accaduto alluomo della pri-ma terzina del poema. La data di questo viaggio dellanima tutta-via storica, come dichiarano pi luoghi lungo le cantiche che fissa-no la visione al 1300 (Dante era nato, come si sa, nel 1265) eprecisamente al venerd santo di quellanno (si veda la nota in fine

    1

  • Dante - Inferno I

    2Letteratura italiana Einaudi

    mi ritrovai per una selva oscura

    di canto). questo del resto lanno del grande giubileo indetto daBonifacio VIII, certo non a caso scelto per il viaggio di conversio-ne e salvezza. Che le prime parole del poema indichino dunque untempo storico, appare indubbio. Ma tale tempo storico findallinizio proiettato sullo sfondo delleternit dal preciso ricordobiblico presente in questo primo verso: Ego dixi: in dimidio die-rum meorum vadam ad portas inferi (Is. 38, 10). Le parole delprofeta che narra in quel capitolo lintervento salvifico di Dioper strappare un uomo alla morte stabiliscono la seconda dimen-sione del racconto: sono cos gi posti i due piani, terrestre e cele-ste, sui quali si svolger tutto il poema al quale ha posto mano, co-me Dante stesso dir, e cielo e terra (Par. XXV 2).

    nostra: con questo aggettivo il singolo personaggio Dante ac-comuna a s tutta lumanit. Scopo del poema infatti, come abbia-mo ricordato nella Introduzione, removere viventes in hac vitade statu miserie et perducere ad statum felicitatis (Ep. XIII 39).Cos Dante assume in persona propria questo viaggio, che di tut-ti gli uomini, dalloscurit (la selva) alla luce, dal dolore alla feli-cit, e la sua vicenda personale, storicamente reale e databile, di-venta segno delluniversale vicenda umana.

    2. mi ritrovai: mi ritrovai ad essere, presi coscienza di trovarmi;dice lessersi lui accorto di trovarsi l entro... (Tommaseo). Diqui lo sgomento e la paura. Quando cera entrato infatti, e fino aquel momento, non ne aveva avuto coscienza (Io non so ben ridircom i vintrai: v. 10). Questo preciso momento, in cui luomo siaccorge del suo smarrimento (v. 3), e se ne spaventa (v. 6), ap-punto linizio della conversione, e segna linizio del poema.

    per una selva oscura: per vale per entro, mantenendo il sen-so latino di moto per luogo; indica quindi il camminare senza metaproprio di chi si smarrito. La selva limmagine antica e imme-diatamente comprensibile del male e dellerrore, diffusa in tutta laletteratura cristiana, e come tale Dante stesso la usa nel Convivio:la selva erronea di questa vita (Conv. IV, XXIV 12). Daltra parte,nellambito letterario, la selva si ritrova allentrata dellAverno vir-giliano (Aen. VI 131, 179 ecc.) e, per restare agli autori pi cari aDante, proprio lo smarrimento nella selva segna linizio della storianel Tesoretto di Brunetto Latini, come di molti testi romanzi (Cur-tius, p. 446). Questa metafora abbraccia quindi secoli di tradizione(e osserviamo fin dora che tale sar tutto il linguaggio della Com-

  • Dante - Inferno I

    3Letteratura italiana Einaudi

    ch la diritta via era smarrita. 3

    media, sempre antichissimo, ma insieme straordinariamente nuo-vo). Essa significa qui, come quasi tutti hanno inteso, uno stato dipeccato: per silvestria loca... idest per operationes vitiosas (Pie-tro). La selva infatti oscura perch non vi splende il sole (v. 60),segno del bene e di Dio. La metafora luce-tenebre, di origine evan-gelica (Io. 1, 5), si ritrover poi come motivo conduttore per tuttala Commedia. Dante vuole indicare nella selva, come preciser achiare lettere pi oltre nel poema (cfr. Purg. XXIII 115-20 e XXX130-2), un reale periodo di traviamento della sua vita, che qui la-sciato nellindeterminato, proprio perch vuol essere nello stessotempo figura del generale sbandamento dellumanit.

    3. che: i pi lo intendono come congiunzione causale (giacch,poich), ma ci sembra pi esatto laltro valore proposto (dal Pa-gliaro e dal Pzard), di congiunzione modale (nella situazione diaver smarrito la via) che meglio corrisponde al significato indica-to sopra del verbo mi ritrovai, che la congiunzione determina.Dante vuole infatti qui descrivere la situazione in cui viene allim-provviso a trovarsi: in mezzo a una selva oscura, smarrito il cammi-no. Per un simile uso del che, non perfettamente definibile, cfr.VIII 64 e 110. (Secondo questa interpretazione sintattica, diamonel testo il che non accentato, a differenza delled. Petrocchi, chelo intende come causale.)

    la diritta via: pi precisamente degli altri commentatori (chespiegano in generale: la via della virt), Pietro di Dante ha pene-trato il vero valore di questa espressione: lorigine dellanima uma-na il cielo, e lanima naturalmente desidera tornare nella sua pa-tria, cio a Dio; altrimenti devia dalla strada diritta, cosa cheluomo pu fare, unico nella natura, grazie al libero arbitrio. Pirapidamente, ma analogamente, il Boccaccio: egli il vero che levie son molte, ma tra tutte non che una che a porto di salute nemeni e quella esso Iddio. Tale senso profondo della via dirit-ta, che porta luomo al suo fine, cio a Dio metafora anchessaben antica e radicata nel Vangelo , regge, come si vedr, tutta lin-venzione del viaggio dantesco.

    era smarrita: e non perduta, notano gi gli antichi commenta-tori, perch poteva ancora ritrovarla: questa via... si smarrisce...perch chi vuole la pu ritrovare, mentre nella presente vita stia-mo (Boccaccio). Tuttavia in questo momento essa appare benlontana. Questo terzo verso, con la sua precisa cadenza, mantiene

  • Dante - Inferno I

    4Letteratura italiana Einaudi

    Ahi quanto a dir qual era cosa duraesta selva selvaggia e aspra e forteche nel pensier rinova la paura! 6

    e conclude la linea piana dei primi due. Il sermo humilis, a tuttiaccessibile, e proprio della Scrittura secondo S. Agostino, sembravoler intonare fin dal principio il sacro poema dellaldil (remis-sus est modus et humilis dir Dante del linguaggio della Comme-dia in Ep. XIII 31). Ma tale linguaggio il risultato di unarteprofonda. Si osservi come questa prima terzina imposti la situazio-ne in modo tanto perentorio quanto semplice: il tempo, lo spazio le dimensioni esteriori e infine la dimensione interiore, e tragica,che il reale punto di partenza della storia.

    4. Ahi quanto a dir...: quanto duro ripetere in parole... La pri-ma terzina si pone con assoluta oggettivit, senza alcun commento.Il commento, cio il riflesso di quella condizione di errore e dioscurit nellanimo delluomo, interviene con questo verso. La for-ma esclamativa torner poi sempre nel poema segno del vivo ri-cordo e partecipazione dellautore a sottolineare i momenti dimaggior tensione drammatica.

    qual era: qual era il suo aspetto e la sua terribilit; cfr. Aen. II274: ei mihi, qualis erat!.

    dura: duro vale difficile, faticoso; qui nel senso traslato,rimasto anche nellitaliano moderno, di difficile allanimo, quin-di penoso (cfr. III 12 e Par. XVII 59). Tale significato precisa-to dal v. 6: se paurosa al solo ricordarla, tanto pi penoso sar ilparlarne.

    5. esta: dimostrativo arcaico (dal lat. iste) che vale indifferente-mente per questo e codesto; cfr. pi oltre, v. 93.

    selva selvaggia: figura retorica detta etimologica(annominatio) che ripete lo stesso tema in due parole diverse, lar-gamente usata in tutta la poesia medievale (e ritrovabile sia nellaScrittura sia nei classici). Dante se ne serve spesso (si veda pi oltreal v. 36: pi volte vlto). In questo caso, mantenendosi il tema, mu-ta il significato, in quanto selva proprio, selvaggia metaforico(Mattalia). I tre aggettivi sono disposti in crescendo: selvaggia indi-ca la condizione disumana del luogo, aspra il suo intrico, forte infi-ne (che nelluso dantesco vale spesso difficile) la difficolt diuscirne (Buti).

    6. che nel pensier...: tale che solo al pensarci rinnova lo sgo-mento provato. La paura nasce dalla coscienza ridesta, che si vedeintorno un tal luogo. Il verbo rinnovare, detto di un sentimentoche si ripete al ricordo, il primo grande debito virgiliano (cfr.

  • Dante - Inferno I

    5Letteratura italiana Einaudi

    Tant amara che poco pi morte;ma per trattar del ben chi vi trovai,dir de laltre cose chi vho scorte. 9

    Io non so ben ridir comi vintrai,tantera pien di sonno a quel punto

    Aen. II 3: Infandum... renovare dolorem) che sar ripreso inmodo esplicito a XXXIII 4-5.

    7. Tant amara...: tale condizione (la selva) tanto amara chela morte, ultima delle cose terribili (Boccaccio), lo poco di pi.Cfr. Conv. I, VII 4: ciascuna cosa che da perverso ordine proce-de... amara. Dante qui rovescia il paragone biblico, dove il pec-cato raffigurato peggiore della morte (Inveni amariorem mortemulierem: Eccl. 7, 27), perch, come dice Pietro, finch si in vi-ta pu ancora venire un rimedio da Dio (auctor habuit respectumad remedium quod adhuc haberi a Deo potest). Laggettivoamaro, proprio del gusto, riferito allintelletto, che giudicaamaro il vizio quando ne prende coscienza. questo il primoesempio delluso pregnante e non consueto dellaggettivo (amarainfatti non proprio detto di selva), che sar caratterizzante di tut-to lo stile della Commedia. Si osservi infine lallitterazione tra ama-ra e morte, gi biblica, che ha lunga tradizione nella poesia medie-vale.

    8. ma: intendi: per quanto sia cos duro il parlarne, tuttavia lofar...

    per trattar: per poter trattare del bene che vi trovai (cio la sal-vezza, che giunge con Virgilio), e cos poter indicare a tutti la via ditale salvezza, che lintento del poema. sembrato strano che sipotesse trovare un bene in una simile selva, figura del male; pure ilmassimo dei beni (la salvezza, la redenzione) viene alluomo, nellateologia cristiana, proprio nella sua condizione pi tragica di lon-tananza da Dio (si veda il Boccaccio: per lo qual bene niuna altracosa credo sia da intendere, se non la misericordia di Dio). Coe-rentemente a tale concezione, il viaggio della Commedia, che ter-miner nellEmpireo, ha il suo punto di partenza nella selva oscura.

    9. dir...: parler prima delle altre cose...; allude alle fiere, cheincontrer tra poco, in quanto contrapposte (altre cose) al bene chetrov nella selva (Parodi).

    11. pien di sonno: il sonno mentale (Boccaccio) o dellani-ma (come dellanima lo smarrimento); cos annota gi tra gli anti-chi il Bambaglioli: somnus accipitur pro peccato. Il sonno usa-to frequentemente nella Bibbia come figura del peccato, in quanto

  • Dante - Inferno I

    6Letteratura italiana Einaudi

    che la verace via abbandonai. 12Ma poi chi fui al pi dun colle giunto,

    in esso la mente ottenebrata, e la coscienza come addormentata;cfr. Rom. 13, 11: hora est iam nos de somno surgere; e si vedaAgostino: sonuis autem animae est oblivisci Deum suum (Enarr.in Ps. 62, 4; Mazzoni). Sul piano filosofico, letica aristotelica, ri-presa da Tommaso e da Dante, non ammette che lintelletto possascegliere deliberatamente il male; esso lo sceglie appunto per er-rore, in quanto offuscato, credendolo cio un bene. La figura ini-ziale delluomo smarrito nella selva viene qui a completarsi, chiu-dendo il cerchio dellimmagine. Alla selva oscura corrisponde ilsonno che ottenebra la mente. Nella terzina seguente interviene ilcambiamento.

    12. la verace via: corrisponde alla diritta via del v. 3. Egli ha ab-bandonato dunque la via diritta nel momento in cui entrato nellaselva. Cfr. Purg. XXX 130: e volse i passi suoi per via non vera; inquel canto si narrer in modo preciso ed esteso quello che qui appena accennato (qui infatti lesperienza pu essere quella diogni uomo, l si tratter della persona storica di Dante, di cui so-lo allora fatto il nome). Vedi anche il gi citato capitolo del Convi-vio (IV, XII 18): ne la vita umana sono diversi cammini, de li qualiuno veracissimo e un altro fallacissimo.

    13. Ma: la congiunzione avversativa introduce il tema, contrap-posto alla selva e alloscurit, del colle e del sole; entra cos nellatriste condizione umana finora descritta la possibilit della speran-za.

    al pi dun colle: il colle rischiarato dal sole rappresenta la viadella virt, una via in salita, illuminata dalla luce di Dio, che si con-trappone alla valle (o selva) oscura del peccato. In realt la selva, ilcolle, il sole prefigurano gi qui allinizio, in un solo paesaggio, i treregni che Dante visiter nel suo viaggio. Il colle quindi, che prean-nuncia il monte del purgatorio, vuole figurare la via della felicitnaturale delluomo (cfr. vv. 77-8), che si raggiunge con le virt mo-rali ed intellettuali, secondo la dottrina esposta nella Monarchia(III, XV 7-8). Tuttavia questo senso allegorico, che sar precisato al-la fine del Purgatorio, qui ancora velato, mantenuto nella indeter-minatezza del colle soleggiato, che tutti intendono rappresentare lavia del bene, tanto pi che tale immagine diffusa in questo signifi-cato attraverso tutta la Scrittura: Quis ascendet in montem Domi-ni? aut quis stabit in loco sancto eius? (Ps. 23, 3).

  • Dante - Inferno I

    7Letteratura italiana Einaudi

    l dove terminava quella valleche mavea di paura il cor compunto, 15

    guardai in alto, e vidi le sue spallevestite gi de raggi del pianeta

    14. valle: la selva del v. 2, con la quale si identifica, come sideduce da XV 50-1 (mi smarri in una valle...); essa aggiunge aquella prima immagine il senso del luogo basso, in discesa, qui inevidente rapporto allaltezza del colle. Il termine biblico: in val-le lacrymarum (Ps. 83, 7).

    15. compunto: punto, cio colpito, afflitto; dal latino compun-gere: vocabolo scritturale (compuncti sunt corde, Act. Ap. 2,37) e indica sempre in Dante leffetto di un sentimento doloroso:di paura (in questo luogo), di colpa (X 109), di piet (VII 36).

    16. guardai in alto: per primo Benvenuto sottolinea questo ge-sto, che decisivo; luomo smarrito nella selva, che ha finora guar-dato in basso alle cose temporali, alza il capo verso le cose alte edeterne. Il guardare in alto proprio delluomo, e qui segna dopoil mi ritrovai iniziale il punto preciso in cui comincia il nuovocammino. Cfr. Ps. 120, 1: Levavi oculos meos in montes, unde ve-niet auxilium mihi. Laltezza del colle richiama lo sguardo, e lanuova dimensione laltezza appunto, che speranza e quindi gisalvezza entra ormai nel verso e nella storia che qui si narra.

    le sue spalle: la sommit del giogo (Buti); letteralmente lin-curvatura del colle presso la sua cima.

    17. vestite gi: ancor prima che sorga il sole, gi si illuminano lecime dei monti (la metafora virgiliana: largior hic campos aetheret lumine vestit / purpureo: Aen. VI 640-1). Lora mattutina indi-cata da questi versi un primo segno che le cose volgeranno in be-ne (cfr. vv. 41-3); quella luce sulla cima infatti gi una risposta al-lo sguardo che si levato verso lalto.

    pianeta: il sole. Secondo lastronomia tolemaica seguita daDante, il sole uno dei sette pianeti che girano intorno alla terra,centro delluniverso. Il paragone del sole con Dio proprio di tut-ta la letteratura cristiana (si cfr. lo Pseudo Dionigi, De divinis no-minibus IV 4, 117, dove il sole detto divinae bonitatis significa-tiva imago) e centrale in tutta la Commedia. Cfr. gi Conv. III XII7: Nullo sensibile in tutto lo mondo pi degno di farsi essemplodi Dio che l sole. In questo modo discreto e quasi inavvertito (sivedono i raggi ma non la loro fonte) la presenza di Dio entra nelpoema.

  • che mena dritto altrui per ogne calle. 18Allor fu la paura un poco queta

    che nel lago del cor mera duratala notte chi passai con tanta pieta. 21

    E come quei che con lena affannatauscito fuor del pelago a la riva

    Dante - Inferno I

    18. che mena dritto: conduce per la via diritta (dritto predica-tivo) dando lorientamento gli uomini, ogni uomo (il pronomealtrui ha in antico questo valore generico; cfr. pi oltre, v. 95); evidente il richiamo alla diritta via smarrita dalluomo che sullascena, che qui ritrova il suo orientamento.

    19. fu... queta: si acquet, si calm.20. lago del cor: nel cuore una parte concava, sempre ab-

    bondante di sangue, ne la quale, secondo alcuni, abitano gli spiritivitali... ed quella parte ricettacolo dogni nostra passione (Boc-caccio).

    21. la notte: durante la notte; vuole indicare metaforicamentetutto il tempo del traviamento ora descritto, passato appunto nelsonno e nelloscurit della selva: hoc est tempore tenebrose vite,cum fuerat peccator et devius a virtute (Bambaglioli). Per la con-trapposizione notte-giorno, peccato-grazia, si veda almeno uno deimolti passi scritturali. Nox praecessit, dies autem appropinqua-vit (Rom. 13, 12).

    pieta: affanno, tormento (tale da indurre a piet); ed colorerettorico che si chiama denominazione, quando si pone lo susse-guente per lo precedente (Buti). forma derivata dal nominativolatino pietas, che assume anche altrove nella Commedia questo si-gnificato (cfr. VII 97; XVIII 22), mentre nella forma pi comunepiet (dallaccusativo pietatem) prevale il senso moderno di com-passione.

    22-7. E come quei...: come colui che, uscito dal mare in tempe-sta (pelago), e giunto a riva, con il respiro (lena) ancora ansante perlo sforzo, si volge indietro... la prima similitudine del poema, di-visa, come molte altre, in due precise terzine: la prima rappresentala figura, la seconda il figurato. E gi levidenza realistica e linten-sit del significato sono quelle del Dante maggiore. Come sempre,il gesto fisico, preciso fin nei particolari il respiro affannoso, losguardo intenso e atterrito (guata) , indica il gesto morale delluo-mo che guarda indietro con interno spavento allabisso del male acui sfuggito.

    8Letteratura italiana Einaudi

  • Dante - Inferno I

    24. guata: guatare, che negli antichi equivale a guardare, si-gnifica spesso in Dante, che lo usa sempre in rima, un guardare fis-so e intenso (cfr. VI 6; Purg. V 58; ecc.).

    25. chancor fuggiva: il corpo era fermo, ma lanimo era ancorain fuga: ancora scampato esser non gli parea, ma come nel perico-lo fosse ancora, di fuggire si sforzava (Boccaccio). il punto pialto del periodo, e i due accenti (ancr, fuggva) lo sottolineano. gi presente qui quellacutezza di penetrazione dellanimo umanoper cui si distingue il verso di Dante.

    26. lo passo: larticolo lo di regola nellitaliano antico dopouna finale in -r; passo vale luogo di passaggio, spesso con sensopregnante, di decisivo o pericoloso; qui, riferito alla selva; corri-sponde infatti, nella similitudine, allacqua perigliosa a cui guarda ilnaufrago scampato. Che la selva sia un luogo mortale, si dir nellarelativa che la determina.

    27. che non lasci...: che (soggetto) non lasci mai sopravviverealcuno (che vi restasse). Il passo controverso. Seguiamo linter-pretazione sintattica pi generalmente accettata (anche dagli anti-chi), che meglio ci sembra accordarsi con il contesto. La vita pec-caminosa (la selva) finisce sempre per uccidere chi vi sindugia(cfr. Pietro di Dante: qui passus numquam dimisit animam inipsum perseverantem vivam). Quindi uscendone Dante scam-pato alla morte (si confronti il paragone del naufrago, che solo co-s viene perfettamente a coincidere con il paragonato). Altri inten-de: che (oggetto) nessuno lasci mai da vivo, cio con il corpo. Masembra inequivocabile dal testo che da tale selva si possa, e si deb-ba, uscire in questa vita (cfr. v. 93 in questo canto e XV 52). Lastessa obiezione si pu muovere a chi intende passo come passag-gio tra la selva e il colle. Da queste due ultime interpretazioni ri-sulterebbe infatti che nessun vivo riuscito mai a passare dalla sel-va al colle, cio a compiere quel cammino di conversione che ilsenso di tutta la Commedia, qui presentato in figura.

    28. i: ebbi; forma arcaica di perfetto forte, frequente nel Due-cento in versi e prosa (cfr. Vita Nuova XXIII 3 e XXXIII 1).

    29. piaggia: indica il terreno in leggera salita tra la pianura elinizio della collina vera e propria (Gelli). Certamente anche que-

    9Letteratura italiana Einaudi

    si volge a lacqua perigliosa e guata, 24cos lanimo mio, chancor fuggiva,

    si volse a retro a rimirar lo passoche non lasci gi mai persona viva. 27

    Poi chi posato un poco il corpo lasso,ripresi via per la piaggia diserta,

  • s che l pi fermo sempre era l pi basso. 30Ed ecco, quasi al cominciar de lerta,

    Dante - Inferno I

    sta figura (la piaggia diserta) ha un suo valore metaforico, cometutto questo paesaggio, dove si svolge il cammino della vita umana.E ci sembra che esso si ritrovi in alcuni passi (citati dal Mazzoni,Commento, p. 89) di Agostino e di Ugo di San Vittore, nei quali ildeserto appunto il mondo dove luomo cammina sforzandosi disalire verso il bene, secondo la figura scritturale dellEsodo. Ne ri-cordiamo uno soltanto: De convalle plorationis ascensuri semperad altiora tendere... debemus. Est enim quasi quoddam desertumvia ista mortalis, de qua dicitur Terra deserta, invia (Ps. 62, 3)(Ugo di San Vittore, Miscellanea, l. V, tit. 82).

    30. s che l pi fermo...: Mostra lusato costume di coloro chesalgono, che sempre si fermano pi in su quel pi che pi basso ri-mane (Boccaccio). Oltre a questo senso letterale, gi gli antichi, acominciare da Pietro, videro concordemente nellimmagine la bennota metafora agostiniana del piede come affetto dellanima: pesanimae recte intelligitur amor (Agostino, Enarr. in Ps. 9, 15);Amor enim est pes quo anima graditur (Benvenuto). Come ilcorpo ha due piedi, cos anche lanima, con i quali va verso il beneo verso il male. Il piede pi basso, e pi saldo, rappresenterebbequindi laffetto alle cose terrene che ancora aggravava Dante, men-tre quello che avanzava idest amor qui tendebat ad superna(Benvenuto) era ancora incerto ed esitante. Recentemente ilFreccero (Dante, pp. 53 sgg.), osservando che il pi fermo (pes fir-mior) era per gli scolastici il sinistro, e che i due piedi dellanimasono, per Alberto Magno e altri, lintelletto e laffetto, intende cheil piede sinistro (laffetto) ancora volto alla terra non sia in grado diavanzare, e il pellegrino cammini quindi zoppicando per la piag-gia. molto probabile dato il contesto che un significato alle-gorico come quelli proposti, del resto simili, sia racchiuso nel ver-so, altrimenti gratuito e poco chiaro; significato che, come sempre,i contemporanei potevano agevolmente cogliere, e noi non pi.

    31. Ed ecco...: forma dattacco frequente in Dante (che corri-sponde allevangelico Et ecce) per introdurre un avvenimentoimprovviso: una nuova ed inattesa figura appare infatti sulla scena.Nei vv. 13-30 c stata come una pausa di distensione: nel paesag-gio solitario, il colle luminoso ispira conforto. Alcune parole un

    10Letteratura italiana Einaudi

  • una lonza leggera e presta molto,che di pel macolato era coverta; 33

    e non mi si partia dinanzi al volto,anzi mpediva tanto il mio cammino,chi fui per ritornar pi volte vlto. 36

    Tempera dal principio del mattino,

    Dante - Inferno I

    poco queta, posato un poco indicano questo riposo, sia pur prov-visorio ed incerto. Questo attacco riporta in primo piano il timore.

    lerta: la salita del colle, alla fine della piaggia.32. una lonza: felino di pelo macchiato, come il leopardo e la

    pantera (tre sono gli animali con tale caratteristica, secondo Ben-venuto: lynx, pardus et panthera). Questa lonza (in latino me-dievale leuncia, francese ant. lonce) corrisponde alla lynxdellEneide (citata da Pietro) la cui pelle avvolge la compagna diVenere: succinctam... maculosae tegmine lyncis (Aen. I 323),sembrando evidente il rapporto tra il pel macolato e il maculosaevirgiliano. Sappiamo anche che una lonza era tenuta in gabbia aFirenze nel 1285 presso il palazzo del Comune, ed era quindi ani-male familiare ai fiorentini di quel tempo, che Dante poteva quidescrivere per ricordo personale. La fiera, insieme al leone e allalupa che appariranno tra poco, impedisce a Dante il cammino ver-so la salvezza. Il significato delle tre fiere evidentemente allegori-co: esse rappresentano le inclinazioni peccaminose che ostacolanoluomo sulla via del bene; per noi, come per i pi, lussuria (la lon-za), superbia (il leone) e avarizia (la lupa). Ma su questo significa-to, ancora discusso, si veda la nota in fine di canto.

    presta: veloce; tale affetto subito viene e subito passanellanimo (Buti); la lonza rappresentata nella sua leggerezza evelocit, perch volubile e rapido il vizio che raffigura.

    36. pi volte vlto: la stessa figura retorica del v. 5.37. Tempera...: una nuova pausa di speranza, sparsa di parole

    dolci e luminose. Il tempo mattutino e la stagione primaverile, am-bedue figure dellinizio della vita (e sono infatti, come si riteneva, ecome Dante dir nella terzina seguente, lora e la stagione dellacreazione), inducono a sperare. Quella di Dante appunto una ri-presa della vita, dopo una stagione di morte. Lavanzare della spe-ranza avviene per gradi, lentamente, finch prender corpo nellafigura concreta di Virgilio.

    dal principio: complemento di tempo retto dalla preposizioneda (cfr. XV 18: da sera, e pi volte).

    Letteratura italiana Einaudi 11

  • e l sol montava n s con quelle stellecheran con lui quando lamor divino 39

    mosse di prima quelle cose belle;s cha bene sperar mera cagionedi quella fiera a la gaetta pelle 42

    lora del tempo e la dolce stagione;ma non s che paura non mi dessela vista che mapparve dun leone. 45

    Dante - Inferno I

    38. quelle stelle: la costellazione dellAriete, nella quale il solesi trova allinizio della primavera, stagione in cui si credeva fosseavvenuta la creazione del mondo (cfr. Macrobio, in Somn. Scip. I,XXI, e Brunetto Latini, Tresor I 6, 3). Essa anche, come ricordaPietro, la stagione della redenzione.

    39-40. quando lamor divino...: quando Dio nella sua essenza diamore (lamore il solo motivo della creazione; cfr. Par. VII 64-6)mise in moto (il movimento ha appunto inizio con il tempo, ciocon il mondo) per la prima volta (di prima) i corpi celesti (quellecose belle; cfr. XXXIV 137). Il ricordare a questo punto latto dipuro amore che dette vita e moto ai corpi celesti, cio a tutto luni-verso visto nella sua bellezza (cose belle), d alla scena drammaticache qui si svolge lo sfondo che le proprio, quella dimensione dieterno amore in cui inserito il singolo dramma di ogni uomo.

    41-3. s cha bene sperar...: s che lora del tempo (il mattino) ela stagione di primavera erano motivo per me di sperar bene ri-guardo a quella fiera dalla pelle screziata.

    42. gaetta: gli antichi spiegano in genere dal provenzale gai:amabile, leggiadro; ma preferibile linterpretazione dal medio-provenzale caiet: screziato, macolato (che del resto ha la stessa ori-gine dellitaliano vaio: spruzzato di macchie scure, dal lat. va-rius), sia per il richiamo al pel macolato del v. 33, sia per la ripresaesplicita che di tutta lespressione far Dante stesso in XVI 108: lalonza a la pelle dipinta. Solo il pelo screziato, daltronde, definiscela fiera, come lespressione richiede. a per il complemento diqualit costrutto francese, ripetuto anchesso nel luogo citato delcanto XVI.

    44. ma non s che paura...: ma non tanto forte fu quella speran-za, chio non mi spaventassi...; la paura prende quindi il soprav-vento.

    45. la vista che mapparve: nam solus conspectus superbi ter-ret (Benvenuto).

    12Letteratura italiana Einaudi

  • Questi parea che contra me venissecon la testalta e con rabbiosa fame,s che parea che laere ne tremesse. 48

    Ed una lupa, che di tutte bramesembiava carca ne la sua magrezza,e molte genti f gi viver grame, 51

    questa mi porse tanto di gravezza

    Dante - Inferno I

    46-8. Questi parea...: la terzina rappresenta al vivo il leone nelsuo atto superbo: laltezza della testa larroganza della superbia,la rabbiosa fame lo spietato nocimento che fa la superbia in versoil prossimo (Buti); per la testalta, tipica del superbo, si cfr. Par.IX 50 e anche Purg. XII 70.

    46. venisse: uno dei casi di rima imperfetta o siciliana (rimadi -i con -e: desse, venisse, tremesse, o di -u con -o), di uso generalein tutta la poesia del Due-Trecento, di cui si troveranno altri esem-pi (cfr. Petrocchi, Introduzione, pp. 469-70).

    48. che laere ne tremesse: che laria tremasse per il timore diquellatto. tremesse latinismo da tremere (verbo usato da Dantein Ep. VI 24). Ledizione Petrocchi ha giustamente scartato la pre-cedente lezione temesse come lectio facilior; gi il Foscolo aveva so-stenuto tremesse perch laere che parea temere non esprime senon congetture; e il tremare, mostrando un effetto visibile, fa im-magine. Del resto che laria tremi allapparire di qualcuno, sia pu-re per tuttaltra sollecitazione, immagine gi sperimentata e bennota a Dante, del Cavalcanti: Chi questa che vn, chognom lamira / e fa tremar di chiaritate lre (Rime IV 1-2).

    49. Ed una lupa: raffigura il terzo e pi grave peccato, laviditinsaziabile dei beni di questo mondo (cfr. Purg. XX 10-2).

    che di tutte brame: che nella sua magrezza sembrava carica ditutte le bramosie umane. Gli altri due animali sono raffigurati, siapur brevemente, nellatto e nellaspetto. Della lupa si indica solo lamagrezza, che tuttavia riesce ad esprimere, nellintensit con cui costruita la frase, la terribile forza presente in tutte le brame delmondo.

    51. e molte genti...: cfr. 1 Tim. 6, 10: radix enim omnium ma-lorum cupiditas, quam quidam appetentes... inseruerunt se in do-loribus multis. Con queste parole si introduce il motivo, non pipersonale, ma pubblico e civile, dellintera umanit afflitta da taleflagello.

    52. mi porse tanto di gravezza: tanto di costrutto partitivo: midette tanta gravezza; cio peso, pesantezza, da non riuscire pi a

    13Letteratura italiana Einaudi

  • con la paura chuscia di sua vista,chio perdei la speranza de laltezza. 54

    E qual quei che volontieri acquista,e giugne l tempo che perder lo face,che n tutti suoi pensier piange e sattrista; 57

    tal mi fece la bestia sanza pace,

    Dante - Inferno I

    salire (v. 54). Che il peso del corpo e del peccato aggravi e traggaverso il basso lanima, immagine comune nella tradizione cristia-na.

    53. vista: aspetto (o anche sguardo; quello del lupo era infat-ti ritenuto ipnotico: SD LIX, 1985, pp. 1-14). I tre accenti acuti(paura uscia vista) fanno balzare avanti il terrore provocato dal-la lupa.

    54. chio perdei...: questo verso ha un andamento e un tono de-finitivo. Sembra che tra la speranza e la paura, che finora si sonoalternate, la prima sia ormai irrimediabilmente sconfitta. Dei treanimali, quello che sconfigge veramente luomo infatti il terzo. questo il vizio pi radicato e pi temibile, origine di tutti gli altrisecondo la Scrittura (cfr. nota al v. 51). E vedremo come per Dan-te esso stia alla base della rovina di tutta la comunit umana. Die-tro la storia del singolo, c infatti, come dicemmo, la storia pub-blica e politica della humana civilitas che Dante vuol condurrealla felicit. E lavarizia appunto la causa prima del disordine edel dolore che la Commedia si propone di denunciare e di risanare.

    55-60. Come lavaro, che accumula beni, e viene il momentoche gli fa perdere ci che ha acquistato, e piange e si dispera incuor suo... Questa seconda similitudine vuole indicare lo statodanimo di chi ha perso tutto; e segue infatti al v. 54, che sembranon ammettere via duscita. una delle molte similitudini che po-tremmo chiamare psicologiche, con cui Dante raffigura gli stati e imoti dellanimo suoi e di altri, e che accompagnano tutto il raccon-to della Commedia. Pu darsi, come suggerisce Benvenuto, cheegli abbia qui in mente alcuni fallimenti di ben noti mercantifiorentini avvenuti tra il 1280 e il 1300, il cui aspetto era rimastoimpresso nella sua fantasia. Il Contini (Unidea, p. 138) ha riferitoquesta immagine al giocatore, con rimando a Purg. VI 1-3. Ma lasituazione ci appare ben altrimenti tragica, e del resto lavidit in-saziabile dellavaro il tema proprio della lupa.

    58. tal: cos intimamente attristato.

    14Letteratura italiana Einaudi

  • che, venendomi ncontro, a poco a pocomi ripigneva l dove l sol tace. 60

    Mentre chi rovinava in basso loco,dinanzi a li occhi mi si fu offertochi per lungo silenzio parea fioco. 63

    Dante - Inferno I

    sanza pace: che non ha essa mai pace, n lascia averla ad al-tri (Scartazzini); sanza forma antica fiorentina (NTF, pp. 53-7).

    60. l dove l sol tace: nella selva, dove regna loscurit totale. Iltraslato dalla vista alludito (l sol tace), di origine virgiliana (taci-tae per amica silentia lunae: Aen. II 255), una delle veloci me-tafore che Dante spesso chiude in un verbo e che danno forza alsuo linguaggio (lo stesso traslato a V 28: dogne luce muto).

    61. Mentre chi rovinava...: a questo punto, quando tutto sem-bra perduto, entra in scena un elemento nuovo: luomo solitario inbalia delle fiere tra la selva e il colle non pi solo, qualcuno si mosso a salvarlo. E il personaggio salvatore porta due novit fon-damentali: la prima la voce umana, che si leva per la prima voltae spezza latmosfera di sogno finora dominante; la seconda larealt storica, con nomi e date, che irrompe in quel mondo irrealee ne cambia laspetto. Con Virgilio il tempo della Commedia entrain pieno nella storia, e la visione si situa in quellambito particola-re, di realt databile pur sullo sfondo delleternit, che ne costitui-sce il carattere specifico ed unico.

    rovinava...: precipitavo; il ritornare indietro nella selva la ro-vina della speranza e quindi della vita. Si cfr. Conv. IV, VII 9: Lavia... de li malvagi oscura. Elli non sanno dove rovinano, chetraduce Prov. 4, 19: via impiorum tenebrosa; nesciunt ubi cor-ruant.

    63. chi... fioco: uno che, per aver taciuto per lunghi anni, sem-brava non aver pi voce. Cos intendono tutti gli antichi questafrase tanto discussa e anche noi riteniamo che sia questo il solomodo di spiegarla. Sembra infatti inaccettabile laccusa di illogicit(Dante non pu sapere che Virgilio fioco finch non parla; il si-lenzio non rende fiochi, ecc.), per cui tale lettura sarebbe com-prensibile solo in funzione dellallegoria; in realt che un uomoemerso da secoli di silenzio sembri non aver fiato per parlare unafigurazione che ha una sua immediata comprensibilit sul pianopoetico (e per gli antichi, come appare dal commento del Buti,aveva anche un fondamento scientifico), e corrisponde sia al sensoletterale (Virgilio ha taciuto per secoli) sia a quello allegorico (lavoce della ragione rimasta a lungo muta nelluomo smarrito nel

    Letteratura italiana Einaudi 15

  • Quando vidi costui nel gran diserto,Miserere di me, gridai a lui,qual che tu sii, od ombra od omo certo!. 66

    Rispuosemi: Non omo, omo gi fui,

    Dante - Inferno I

    peccato). Laltra spiegazione proposta, che intende fioco in sensovisivo (pallido, scolorito: come le ombre appunto e come inVita Nuova XXIII, Donna pietosa 54), comporta la grave difficoltdi costringere a interpretare metaforicamente anche laltro ele-mento della frase: per lungo silenzio (che significherebbe: per lalunga oscurit [silenzio del sole], o per lunga assenza); cosa chesembra una forzatura eccessiva quanto inutile del testo. Comesempre Dante sceglie un solo elemento per caratterizzare e descri-vere un fatto o una persona: in questo caso il fioco (e il lungo silen-zio che lo precede) serve a suggerire tutto laspetto del personaggioche qui appare, che affiora da unepoca e da un luogo remoti e nonha ancora la forza di esprimersi nella parola, che d realt e vitaconcreta alluomo.

    64. gran diserto: la piaggia sembra allargarsi infinitamente. Cheil deserto rappresenti il mondo (cfr. nota al v. 29) confermato daPurg. XI 14: per questo aspro diserto.

    65. Miserere: abbi piet. Forma latina, comune nella liturgia, ein uso ancora oggi presso il popolo ( linizio del salmo 50, la pre-ghiera di penitenza per eccellenza; cfr. Purg. V 24; ma si veda an-che Aen. VI 117, dove Enea si rivolge alla Sibilla con questa stessaparola). Questo grido di piet la prima voce umana che risuonanel poema, fatto pi intenso dal silenzio che lo circonda.

    66. ombra: cio anima di un morto; il termine virgiliano, usa-to da Dante in alternativa a spirito o anima per tutto il poema. An-che il motivo del dubbio nellEneide: cfr. III 310-1, quando An-dromaca scorge Enea e non sa se sia morto o vivo: verane tefacies, verus mihi nuntius adfers, / nate dea?.

    omo certo: uomo con un corpo vero e proprio, cio vivo.67. Rispuosemi: la particella pronominale posposta al verbo in

    inizio di verso, e in genere dopo la pausa, risponde alla legge dettaTobler-Mussafia, regola costante dellitaliano antico (cfr. pi sotto,v. 83, e sempre nel poema); per la forma dittongata, propria delfiorentino antico, cfr. puose a III 19 e nota.

    Non omo, omo gi fui: ora sono unombra (non uomo in carneed ossa), un uomo lo fui in altro tempo (e quindi era giustificato ildubbio di Dante al v. 66). E subito lombra determina nei suoi li-

    16Letteratura italiana Einaudi

  • e li parenti miei furon lombardi,mantoani per patria ambedui. 69

    Nacqui sub Iulio, ancor che fosse tardi,

    Dante - Inferno I

    miti geografici e storici quella sua vita umana. La precisione deinomi e delle date ci coglie di sorpresa, in questa scena finora deltutto indeterminata. Ma elemento essenziale del racconto dante-sco: questo personaggio non un essere astratto, una figurazioneallegorica, ma ha una sua concreta e ben individuata realt storica.Virgilio rappresenta nella Commedia, come meglio si chiarir in se-guito, la luce della ragione umana che ha il compito di guidare gliuomini al bene, nei limiti della natura; ma assolve questa funzionesenza cessare di essere se stesso, quel poeta Virgilio che nacque aMantova e visse sotto Augusto ( questo il concetto medievale difigura che lAuerbach ha riconosciuto nella forma della Commedia;si cfr. Conv. II, I 6-8); anzi lassolve proprio in quanto se stesso, ilpunto pi alto e quasi lemblema di quel mondo antico che giunsefin dove la ragione pu condurre luomo senza la luce della fede,fino a presentire e come profetizzare la realt cristiana. Questo ilVirgilio di Dante, quello che egli am e predilesse, e in questa pro-spettiva soltanto sar comprensibile via via nei vari atteggiamentiche assumer, sempre pi determinando la sua complessa realt,lungo le prime due cantiche.

    68. parenti: genitori ( il senso del latino parentes). lombardi: la Lombardia indicava nel Medioevo tutta lItalia

    settentrionale in genere; al tempo di Virgilio tale denominazione(derivata da Longobardia) ovviamente non esisteva, ma Dante gli faqui usare il termine moderno, senza preoccuparsi dellanacroni-smo concetto allora ignoto , come altrove chiama Franceschi iGalli (Conv. IV, V 18) e Arabi i Cartaginesi (Par. VI 49).

    69. mantoani per patra: qui si precisa il luogo nativo (Virgilionacque ad Andes, presso Mantova) come in seguito faranno quasitutti i personaggi che Dante incontrer nel suo cammino; come setale luogo la citt, punto centrale di riferimento del mondo civiledantesco fosse per la persona il primo segno di identificazione.

    70. sub Iulio: al tempo di Giulio Cesare, che veramente avevaallora (nel 70 a.C.) solo trentanni e non aveva iniziato la sua vitapubblica; ma Virgilio vuol significare che nacque quando gi eravivo e vicino al potere quel Cesare che doveva fondare limpero,cos importante per lui e nella concezione di Dante, come si vedr.Era tuttavia troppo tardi come precisa dopo per poter dire di

    Letteratura italiana Einaudi 17

  • e vissi a Roma sotto l buono Augustonel tempo de li di falsi e bugiardi. 72

    Poeta fui, e cantai di quel giustofigliuol dAnchise che venne di Troia,

    Dante - Inferno I

    aver vissuto sotto il principato di lui, in quanto Virgilio aveva sol-tanto ventisei anni quando Cesare fu ucciso, nel 44 a.C. Infatti dirsubito: vissi... sotto... Augusto.

    71. buono: di grande valore, eccellente; termine spesso usato inquesta accezione per uomini eminenti nella vita pubblica (cfr.XXII 52; Purg. XVIII 119 e altrove).

    72. nel tempo de li di...: Virgilio mor nel 19 a.C. Il tempo sto-rico viene definito in funzione della fede. E gi Virgilio implicita-mente annuncia qui il suo destino di esclusione dalla verit, che di-chiarato pi oltre (vv. 124-6) rester il tema fondamentale del suopersonaggio e insieme di ci che esso raffigura. Per lespressionefalsi e bugiardi cfr. Agostino, Civ. Dei II 29: deos falsos fallace-sque.

    73. Poeta fui...: Virgilio si definisce dal nome che, come Dantedir altrove, pi dura e che pi onora (Purg. XXI 85). Prima ha det-to omo gi fui, ora precisa: poeta fui. Dante riconosce in lui primadi tutto il poeta, proprio nel momento in cui egli viene a salvarlo.In tale situazione, la salvezza non annunciata come potrebbeattendersi la nostra cultura moderna dal comparire di un angeloo di un santo, ma da un poeta, e un poeta del tempo de li di falsi ebugiardi. Ci deve farci riflettere sulla funzione che la poesia e ilmondo antico che ad essa corrisponde ebbe nella vita e nella sto-ria di Dante. Il pellegrino smarrito nella selva infatti un poeta,che ricorda il suo bello stilo come titolo alla salvezza (I 87), e tuttala storia di redenzione che qui si compie, si compie di fatto attra-verso unopera poetica.

    giusto: Enea, figlio di Anchise, che Virgilio chiama il pi giu-sto fra gli uomini (Aen. I 544-5: quo iustior alter / nec pietate fuitnec bello maior et armis). Giusto, come nella Bibbia, indica co-lui che opera secondo la legge divina.

    74. che venne di Troia: Troiae qui primus ab oris / Italiam...venit (Aen. I 1-2); il di introduce il moto da luogo (cfr. II 71, 112e pi volte), uso comune in antico, oggi rimasto in alcune locuzioni(uscir di casa, venir di lontano ecc.).

    18Letteratura italiana Einaudi

  • poi che l superbo Ilin fu combusto. 75Ma tu perch ritorni a tanta noia?

    perch non sali il dilettoso montech principio e cagion di tutta gioia?. 78

    Or se tu quel Virgilio e quella fonte

    Dante - Inferno I

    75. superbo Iln: riprende ancora alla lettera unespressionedellEneide: ceciditque superbum / Ilium (Aen. III 2-3), doveIlium indica propriamente la rocca della citt. Virgilio parlando ci-ta se stesso, e ci lo caratterizza in modo ancora pi specifico delladata e del luogo di nascita.

    Iln: laccento tonico sullultima sillaba era attribuito, nelMedioevo, ai nomi di origine greca o barbara, cio non latina.

    combusto: bruciato, incendiato; latinismo, come gi parenti,forme che contribuiscono a caratterizzare la lingua di Virgilio.

    76. Ma tu...: il ma iniziale, come spesso in Dante, introduce unnuovo argomento o una nuova situazione; come un subitaneocambiare di pagina. Virgilio infatti, dopo aver parlato di se stesso,affronta il problema di Dante.

    noia: pena, tormento; senso antico di questa parola, molto piforte di quello moderno (cfr. Vita Nuova XV, Ci che mincontra 4:Fuggi, se l perir t noia); indica la condizione di chi nella sel-va; per il senso e per luso della stessa clausola (tanta noia) cfr. Ca-valcanti, Quando di morte 3 (Contini).

    77. dilettoso monte: il colle; dilettoso, perch la via della feli-cit (cfr. nota al v. 13).

    78. principio e cagion: la definizione aristotelica di felicit checi chiarisce quindi il significato di questo colle: si cfr. Aristotele,Eth. Nic. I, XVI 1102 a: felicitas... principium autem et causam bo-norum... ponimus; e la precisazione di Tommaso nel commento:felicitas est principium omnium bonorum humanorum. Si trattaquindi della felicit nei limiti della natura, quella che corrispondeallo stato delluomo nel paradiso terrestre (Mazzoni).

    di tutta gioia: se si tengono presenti i due testi sopra riportati,sembra evidente che questa espressione si debba intendere diogni gioia, non di gioia perfetta, intera, che la spiegazione pidiffusa; gioia perfetta in Dante non pu essere del resto che lavisione di Dio.

    79-81. Or se tu quel Virgilio...: il prorompere di questa escla-mazione il primo esempio della forza drammatica della Comme-dia. Dante non risponde alla domanda, sembra dimenticare la sua

    Letteratura italiana Einaudi 19

  • che spandi di parlar s largo fiume?,rispuosio lui con vergognosa fronte. 81

    O de li altri poeti onore e lumevagliami l lungo studio e l grande amoreche mha fatto cercar lo tuo volume. 84

    Dante - Inferno I

    situazione: il fatto che egli si trovi davanti quel Virgilio che tantoaveva amato prevale su tutto, e il suo grido di sorpresa e di amorerisuona in quel luogo simbolico con sorprendente intensit umana.Proprio da questo carattere costante di novit e sorpresa, che cor-rispondono alla imprevedibilit della pi profonda realt umana,mai legata e costretta in uno schema prefissato, derivano lassolutacredibilit e la forza del racconto dantesco.

    79-80. fonte... fiume: limmagine del fiume per indicare lelo-quenza propria di tutta la poesia classica. Si veda in particolareDonato, nel commento a Terenzio (ed. Wessner, Lipsia 1902, I14): Homerus tamen, qui fere omnis poeticae largissimus fonsest (cit. Pzard, Dante, p. 352).

    81. lui: a lui; il complemento di termine senza preposizionecon i pronomi personali uso comune in Dante e in tutti gli anti-chi (cfr. III 94; X 50; XIX 89; ecc.).

    vergognosa: dei tre significati di stupore o reverenza, pudore,e vergogna in senso moderno, propri della parola vergogna nellinguaggio dantesco (cfr. Conv. IV, XXV 4-10 e Purg. XXXIII 31),il primo e lultimo sono ambedue corrispondenti alla situazione diDante in questi versi; tuttavia lultimo (paura di disonoranza perfallo commesso, Conv. IV, XXV 10) sembra qui prevalere, per iltrovarsi egli davanti il venerato maestro mentre in cos penosacondizione.

    fronte: sta per tutto il volto, oppure, come dice il Buti: con lafronte inchinata, che significa vergogna.

    82. onore e lume: onore, perch con la sua opera li onora inquanto poeti (cfr. IV 73); lume, perch per loro luce e guida nelpoetare (cfr. Purg. XXI 95-6).

    83. vagliami: mi valga ora ad ottenere il tuo aiuto. lungo studio... grande amore: le due parole sono in Dante

    profondamente legate. Si veda Conv. II, XV 10: studio... applica-zione de lanimo innamorato de la cosa a quella cosa e Conv. III,XII 2-4.

    84. cercar: ricercare in ogni sua parte, leggere con minuziosaattenzione (cfr. Conv. I, VII 8: chi cerca bene le scritture e Par.

    20Letteratura italiana Einaudi

  • Tu se lo mio maestro e l mio autore;tu se solo colui da cu io tolsilo bello stilo che mha fatto onore. 87

    Vedi la bestia per cu io mi volsi:

    Dante - Inferno I

    XII 121-2). Dante stesso ci dir che sapeva tutta quanta lEneide(XX 114).

    85. l mio autore: la massima autorit per me fra tutti i poeti;cfr. Conv. IV, VI 5: autore... si prende per ogni persona degnadessere creduta e obedita; ma lespressione ha qui un caratterepersonale impossibile a tradurre. Se si tiene presente che Dantenella Commedia vuole ripetere in qualche modo lEneide comepoema profetico (unEneide cristiana), questi versi acquistano unvalore tutto speciale.

    86. tu se solo: le tre affermazioni crescono dintensit. Lulti-ma la pi forte: con quel solo gi Dante scarta dun gesto tutti isuoi contemporanei, o di poco anteriori a lui, e getta quel ponte di-retto tra s e i classici antichi, facendosene consapevole continua-tore, che alla base della sua coscienza poetica (come apparirchiaro nel canto del Limbo, vv. 100-2) e di tutta la letteratura mo-derna. Queste tre terzine (vv. 79-87), rette da quella prima altaesclamazione, sono come unappassionata dichiarazione di amore,escono in un certo modo dal contesto narrativo. La storia riprendeal v. 88.

    87. lo bello stilo: sintende qui lo stile tragico o illustre pro-prio dellEneide usato da Dante nelle grandi canzoni morali edottrinali che gi gli avevano dato fama. Secondo la dottrina delDe vulgari eloquentia (II, IV 5-8) tre infatti erano gli stili poetici: il-lustre, mediocre ed umile, corrispondenti ai tre ambiti o generi let-terari tragico, comico ed elegiaco: soltanto il primo era dunqueadatto ad argomenti elevati (armi, amore e virt). Esso era propriodella tragedia, termine che comprendeva sia il dramma sia lepo-pea, ma Dante lo estende anche alle canzoni, genere in cui tuttaviaben pochi eccellevano, tra i quali appunto egli stesso (cfr. perunesauriente trattazione sullargomento la voce stili in ED V, acura di V. Mengaldo). Il senso non cambia quindi molto se, comesembra opportuno, si allarga il valore strettamente tecnico del ter-mine a quello di linguaggio poetico in quanto capace di esprimerele pi grandi realt umane, che il vero debito di Dante verso Vir-gilio, o meglio ci in cui Dante non riconosce altri predecessori omaestri.

    Letteratura italiana Einaudi 21

  • aiutami da lei, famoso saggio,chella mi fa tremar le vene e i polsi. 90

    A te convien tenere altro viaggio,rispuose poi che lagrimar mi vide,se vuo campar desto loco selvaggio: 93

    Dante - Inferno I

    89. famoso saggio: saggi o savi chiama Dante gli antichi poeti invarie occasioni (cfr. IV 110; Purg. XXIII 8; XXVII 69; XXXIII15); i poeti erano considerati maestri di sapienza, e saggio eraquasi termine tecnico per indicare il poeta (cfr. Vita Nuova XX,Amore e l cor gentil 2). Ma si tratta, come qui appare chiaro dalcontesto, di quella sapienza che guida alla virt, cio di un valoreetico, non di un valore intellettuale. Il termine rester poi a desi-gnare Virgilio per tutto il poema.

    90. le vene e i polsi: indica ogni luogo in cui batte il sangue;pu essere endiadi (le vene che battono nei polsi) o rispecchiare ladistinzione gi nota tra vene e arterie: le vene e le arterie che batto-no nei polsi. Tale tremito (per cui vedi gi Vita Nuova II 4) indicaleffetto di una forte emozione: triemano le vene e polsi quandodal sangue abbandonate sono; il che avviene quando il cuore hapaura (Boccaccio); cfr. anche XIII 63 e Purg. XI 138.

    91. tenere: lespressione tenere iter virgiliana (Aen. IX 377),passata nella poesia volgare gi in Guittone: Or pensa di tenerealtro viaggio (ed. Egidi 48, 12).

    altro vaggio: altra via, altro cammino. Non cio la via direttaal monte, il corto andar, come si dir pi oltre (II 120): la lupa im-pedisce tale cammino (cfr. v. 95 e II 119-20) verso la virt e la feli-cit, finch almeno non venga chi possa sconfiggerla e ristabilirelordine provvidenziale (cfr. pi oltre, 101-2). Alluomo quindinecessaria una strada pi lunga, che passa attraverso la conoscenzadel peccato (linferno) e la deliberata purificazione e distacco daesso (il purgatorio). Ma queste brevi parole sembrano racchiudereunintuizione pi profonda. Che il problema cio della lupa e delcolle, vale a dire dellumana felicit, non sia in realt risolvibile intermini umani, qui sulla terra (come il veltro sembra promettere, ela Monarchia assicurare); ma che solo oltre la storia, nelleternit(laltro mondo appunto), si possa attingere veramente tale soluzio-ne.

    93. campar: scampare. esto: cfr. v. 5 e nota.

    22Letteratura italiana Einaudi

  • ch questa bestia, per la qual tu gride,non lascia altrui passar per la sua via,ma tanto lo mpedisce che luccide; 96

    e ha natura s malvagia e ria,che mai non empie la bramosa voglia,e dopo l pasto ha pi fame che pria. 99

    Molti son li animali a cui sammoglia,e pi saranno ancora, infin che l veltro

    Dante - Inferno I

    94. gride: gridi; luscita in -e della seconda persona del presen-te indicativo nei verbi della 1 coniug. propria del fiorentino delXIII secolo (NTF, p. 69) e largamente usata, anche se solo in rima,nella Commedia.

    95. altrui: pronome indefinito generico (cfr. v. 18): non lasciache alcuno passi.

    per la sua via: per la via che essa occupa; o anche: per la viapropria delluomo, verso la felicit (Pietro di Dante); cos ancheBoccaccio: sua: non della lupa, ma di colui che andar vuole.

    98. che mai non empie...: E per dice Tullio in quello De Pa-radoxo:... in nullo tempo si compie n si sazia la sete de la cupidi-tate (Conv. IV, XII 6). Cfr. anche Eccl. 5, 9: Avarus non implebi-tur pecunia. Il motivo era tradizionale negli scrittori cristiani, edampiamente svolto nel Convivio, come del resto gli altri motivi do-minanti del canto. Il verso di Dante, come pi volte accade, lo fissaper sempre in termini irrevocabili.

    bramosa: il forte aggettivo, usato per animali affamati anche aVI 27 e XIII 125, richiama le brame del v. 49.

    100. Molti son...: molti son gli uomini a cui questo vizio si uni-sce; cos Dante stesso: Cupiditatem unusquisque sibi duxit inuxorem (Ep. XI 14). Linterpretazione che i molti animali sianoaltri vizi che sempre si uniscono alla cupidigia esclusa, oltre chedal riscontro dantesco, dal senso dei due versi seguenti. Animaleper uomo del resto comune nel Duecento e si trova pi voltenel poema: cfr. II 2; V 88; Purg. XXIX 138; ecc.

    101. l veltro: cane da caccia; la figura portata dalla conve-nienza col testo; trattandosi di cacciare una lupa, occorrer un vel-tro. Con questa figura Dante indica un personaggio provvidenzia-le, inviato da Dio a ristabilire lordine del mondo, che egli attendee annunzia profeticamente anche in altri luoghi del poema (cfr.Purg. XX 13-5 e XXXIII 37-45): per noi certamente un imperato-

    Letteratura italiana Einaudi 23

  • verr, che la far morir con doglia. 102Questi non ciber terra n peltro,

    ma sapienza, amore e virtute,e sua nazion sar tra feltro e feltro. 105

    Di quella umile Italia fia salute

    Dante - Inferno I

    re. Ma su come intendere questo personaggio, ancora discusso, siveda la nota in fine del canto.

    103. non ciber: non si nutrir di (cibare usato transitivamen-te come in Jacopone, 92, 345; cfr. Contini in PD), cio non deside-rer.

    terra n peltro: n dominio di terre, n possesso di denaro(peltro, lega metallica, sta per moneta); cfr. Tesoretto 30-1: chper neente avete / terra, oro e argento.

    104. ma sapenza...: ma solo i valori supremi che sono preroga-tiva di Dio (sapienza, amore e virtute indicano infatti le tre personedella Trinit: sapienza il Figlio, amore lo Spirito, e virtute, cio po-tenza, il Padre; cfr. III 5-6). Queste indicazioni non contraddiconoalla interpretazione politica del veltro, in quanto limperatore perDante ministro sine ullo medio, cio senza intermediari (Mon.III, XV 15) dellazione provvidenziale di Dio nella storia. E lastessa connotazione iniziale del v. 103 del resto conferita a Can-grande in Par. XVII 84: in non curar dargento n daffanni. Si ri-cordi anche che caratteristica dellimperatore, secondo il Convivioe la Monarchia, proprio lassenza di ogni desiderio terreno (inquanto tutto gi possiede), per cui solo pu vincere la cupiditas,massimo impedimento alla giustizia.

    105. nazion: nascita; accezione comune del termine nei nostriscrittori fino a tutto il Trecento.

    tra feltro e feltro: questa frase la pi oscura del passo, tuttoraindecifrata (e tale rester se non capiti di ritrovare in qualche testola cifra giusta). Tale oscurit deliberatamente voluta da Dante,secondo le norme di tutto il parlare profetico, e quindi ben diffici-le da sciogliere. Tra le molte interpretazioni noi preferiamo unadelle pi antiche (Jacopo, Lana, Pietro, Buti): tra cielo e cielo, cioportato dal rivolgimento dei cieli, quale per Dante sempre nelpoema luomo profetizzato come restauratore dellordine terreno.Ma su questa e le altre varie proposte avanzate si veda la nota in fi-ne del canto.

    106. umile Italia: riprende ancora unespressione dellEneide:humilemque videmus / Italiam (Aen. III 522-3), ma laggettivo

    24Letteratura italiana Einaudi

  • per cui mor la vergine Cammilla,Eurialo e Turno e Niso di ferute. 108

    Questi la caccer per ogne villa,fin che lavr rimessa ne lo nferno,l onde nvidia prima dipartilla. 111

    Dante - Inferno I

    assunto qui in senso diverso. In Virgilio ha valore geografico: bas-sa, cio la costa piana della penisola italica, dove approda Enea.Qui vale invece per infelice, come la misera Italia di Conv. IV, IX10, di Purg. VI 85, o la miseranda Ytalia di Ep. V 5, scritta perlelezione di Arrigo. Anche questa terzina, avvicinata ai testi sopracitati in cui si tratta delle misere condizioni dellItalia senza la gui-da dellimperatore, e soprattutto con il suo evidente appello allim-presa di Enea, giunto per volere divino alla terra di Roma, confor-ta linterpretazione del veltro da noi sostenuta.

    107-8. Cammilla, Eurialo e Turno e Niso: sono giovani eroi vir-giliani (Virgilio ricorda i suoi, e stabilisce cos un parallelo fra queltempo provvidenziale e questo, e, forse, fra quel poema e questo),morti tutti nel conflitto fra Troiani e Latini per la supremazia nelLazio. Camilla, figlia del re dei Volsci, e Turno, re dei Rutuli, com-battevano contro Enea; Eurialo e Niso erano due giovani amicitroiani. Lalternare i nomi dei vincitori e dei vinti accomunandolinella stessa piet e nella stessa gloria un tratto insieme dantesco etipicamente virgiliano. Alla terzina precedente, di linguaggio oscu-ro, si contrappone la precisione storica di questa, come a dare con-creta realt alla profezia.

    108. ferute: ferite; forma derivata dal participio arcaico feruto(cfr. XXI 87 e nota). Le due forme (sostantivo e participio) coesi-stono nel poema con ferita e ferito.

    109. per ogne villa: villa pu significare citt, o localit in gene-re (cfr. XXIII 95 e Par. XX 39).

    111. l onde nvidia...: nel luogo da cui per la prima volta (pri-ma vale primamente, cio al momento della tentazione di Eva) lin-vidia del diavolo la mand nel mondo, a tentare luomo (cfr. Sap.2, 24: invidia autem diaboli mors introivit in orbem terrarum); ildiavolo ci invidia, spiega Pietro di Dante, quod videt nobis cae-lum apertum, quod ei fuit clausum (cfr. Par. IX 127-9). Altri oggiintende: nvidia prima, cio Lucifero (contrapposto al primo amoredetto di Dio, in III 6 e altrove), ma ci sembra che il testo sapienzia-le e lassenza dellarticolo inducano alla prima interpretazione.

    Letteratura italiana Einaudi 25

  • Ondio per lo tuo me penso e discernoche tu mi segui, e io sar tua guida,e trarrotti di qui per loco etterno, 114

    ove udirai le disperate strida,vedrai li antichi spiriti dolenti,

    Dante - Inferno I

    112 sgg. Finita la profezia, tenuta in tono alto e con riferimentibiblici, Virgilio si rivolge con linguaggio pi sommesso e discorsi-vo (Ond io per lo tuo me...) a Dante, indicandogli la via giusta daseguire, e proponendosi come guida. Che il viandante, lhomoviator di questa storia, non si salvi da solo, ma accetti una guida acui andar dietro (seguire, tener dietro vv. 113 e 136 sono i dueverbi che aprono e chiudono il passo), lelemento fondamentaledi tutta la Commedia. La sua importanza si rilever sempre pi inseguito (si veda per es. X 61: Da me stesso non vegno...), ma benesottolinearla fin da ora, nel momento decisivo in cui Dante non so-lo accetta, ma richiede di essere condotto: io ti richeggio... che tumi meni (vv. 130, 133). proprio questa cosciente richiesta che dla possibilit di cominciare il viaggio (Allor si mosse: v. 136). Que-sta condizione tipicamente cristiana per cui nella salvezza delluo-mo Dio fa tutto, ma luomo deve accettare che lo faccia, sta alla ba-se del poema dantesco (diremmo che lo caratterizza) ed essastessa termine finale della vita spirituale di Dante.

    112. per lo tuo me: per il tuo meglio (me forma apocopata,usuale in antico, che Dante usa accanto a mei).

    discerno: giudico (cfr. XII 37); discernere ha quasi semprein Dante il significato di distinguere con la vista (una sola volta,con ludito: Par. VIII 17); ma comporta anche quello traslato (pro-prio delluso latino) di giudicare, come qui e in XII 37 (giudi-care il discernere ci che o non , il da fare o no: Giuliani).

    114. e trarrotti di qui: ti porter via di qui, quindi in salvo, at-traverso unaltra strada, non terrena, come ora dir.

    per loco etterno: linferno (cfr. III 8); il purgatorio infatti ter-miner alla fine del mondo; etterno la forma predominantenelluso antico (come nel latino medievale etternus o ecternus), tan-to da far pensare a una pronuncia usuale (Schiaffini in SD XIII,1928, pp. 32-5).

    115. disperate: la disperazione di fatto definitoria dellinferno(cfr. III 9) e torner come tema continuo della cantica.

    116. antichi: perch ve ne sono fin dallinizio dellumanit.

    26Letteratura italiana Einaudi

  • cha la seconda morte ciascun grida; 117e vederai color che son contenti

    Dante - Inferno I

    117. che la: manteniamo la lezione della Dantesca del 21 (ilPetrocchi legge cha la) che corrisponde alla interpretazione chediamo qui di seguito e al normale uso dantesco del verbo gridare.

    la seconda morte: la prima morte quella del corpo (che avvie-ne quando lanima se ne distacca); la seconda quella dellanima,cio la dannazione (che avviene al momento del giudizio). Questaspiegazione si appoggia a un testo biblico ben noto: pars illorumerit in stagno ardenti, quod est secunda mors (Apoc. 20, 14) e adaltro testo di Dante, dove mors secunda ha appunto il senso didannazione (Ep. VI 5); preciso anche il riscontro col Cantico dellecreature 31: ka la morte secunda no l farr male, dove si parladel giudizio che lanima buona affronta dopo la morte corpora-le. Questa spiegazione sembra dunque preferibile allaltra: lan-nullamento totale, lannichilimento (in questo caso grida varrebbeinvoca), spiegazione prevalente tra gli antichi, che si richiama aXIII 118 (Or accorri, accorri, morte!), a III 46 (Questi non hannosperanza di morte) e a testi autorevoli cristiani. Per un motivo con-testuale la preferiamo anche ad una terza interpretazione che in-tende la dannazione ultima, quella che avverr al giudizio univer-sale (quando il corpo morir una seconda volta), interpretazioneappoggiata soprattutto a testi agostiniani (Mazzoni); sembra infattidifficile che questo verso si riferisca a qualcosa di futuro, e non al-lo stato presente di sofferenza che Dante appunto chiamato a ve-dere, in parallelismo con lo stato di speranza delle anime del pur-gatorio: gli uni sono contenti nel foco, e gli altri sono dolenti per laseconda morte che ora soffrono e lamentano con le loro grida.

    grida: lamenta, piange ad alte grida; oppure: proclama, attestacon le sue grida. Gridare transitivo significa genericamente di-re ad alta voce, ed determinato dal suo complemento oggetto(Scartazzini).

    118. vederai: la forma antica fiorentina del futuro (e analoga-mente del condizionale) dei verbi della 2 classe: cos riveder (VI97), averebbe (XIII 49), dicerei (XVI 17) ecc. La forma sincopata siimpose sullaltra alla fine del secolo XIII (NTF, pp. 62-3), cio altempo di Dante, che le usa ambedue.

    color che son contenti: le anime del purgatorio, che godonopur nel fuoco della purificazione, perch sono sicure la speranza qui certezza (cfr. Par. XXV 67-8: Spene, dissio, uno atten-

    Letteratura italiana Einaudi 27

  • nel foco, perch speran di venirequando che sia a le beate genti. 120

    A le quai poi se tu vorrai salire,anima fia a ci pi di me degna:con lei ti lascer nel mio partire; 123

    ch quello imperador che l s regna,perchi fu ribellante a la sua legge,

    Dante - Inferno I

    der certo / de la gloria futura) di giungere alla beatitudine. Comei primi soffrono le pene della seconda morte (dolenti), cos i secon-di godono la speranza della beatitudine (contenti).

    121. A le quai...: alle quali beate genti, cio al paradiso. se: questo se, come not il Poletto, ha un senso profondo: es-

    so indica la libert lasciata a Dante per il viaggio nel terzo regno,che dunque di libera elezione, mentre quello nei primi due pre-sentato come necessario alla salvezza (XII 87 e Purg. I 61-3). Dan-te gi salvo, quindi, quando giunge alla cima del purgatorio (cfr.Purg. XXVII 140: libero, dritto e sano tuo arbitrio); la contempla-zione, e la partecipazione, della realt divina appare come un dipi liberamente scelto.

    122. anima fia...: ci sar unanima pi degna di me a questocompito. Il motivo spiegato nella terzina seguente. Si annunciaqui la seconda guida del poema Beatrice che comparir col suonome nel secondo canto. Fin da principio Dante indica insieme ledue forze che condussero realmente la sua vita, e che egli assumequindi con perfetta verit a guide del suo viaggio dove realt e fi-gura costituiscono un insolubile nodo. Per il senso allegorico, sicfr. Monarchia III, XV 7: alla fruizione di Dio propria virtusascendere non potest, nisi lumine divino adiuta. La virtus pro-pria delluomo appunto raffigurata in Virgilio, e il lumen divi-num in Beatrice.

    124. quello imperador...: Dio, che, come dir pi oltre, imperadovunque, ma ha in cielo il suo regno in senso proprio (v. 127).Limmagine di Dio come imperatore delluniverso, mutuatadalluniversale sovranit dellimperatore terrestre, torna pi voltesia nel Convivio sia nel poema, in quanto nel pensiero di Dante ledue figure appunto si corrispondono. La forma con la consonan-te sonora intervocalica propria del fiorentino dei tempi di Dante(cos parladore, servidore, e altre voci simili); la t subentr per in-fluenza del latino.

    125. perch i fu ribellante...: perchio non seguii la sua legge;

    28Letteratura italiana Einaudi

  • non vuol che n sua citt per me si vegna. 126In tutte parti impera e quivi regge;

    quivi la sua citt e lalto seggio:oh felice colui cu ivi elegge!. 129

    E io a lui: Poeta, io ti richeggioper quello Dio che tu non conoscesti,

    Dante - Inferno I

    in quanto, vissuto prima di Cristo, Virgilio non ador debitamentea Dio (cfr. IV 37-9); la ribellione, in questo caso, non si manifestanel far, ma nel non far (cfr. Purg. VII 25-7). il tema di Virgilio, edi tutto il mondo antico, escluso dolorosamente da Dio, su cui tor-neremo nel commento del canto IV.

    126. sua citt: il paradiso; la figura della citt (la Gerusalemmeceleste), per indicare la comunione dei beati nelleternit, dellaScrittura (cfr. Apoc. 21, 2, 10-27), ed ha una ben lunga tradizionesia nel linguaggio cristiano (si ricordi soprattutto la Citt di Dio diAgostino) sia nelle arti figurative medievali.

    per me: da me, complemento di agente, retto da si vegna, for-ma passiva impersonale: che io vada (cfr. XXVI 84: per lui... gissi). costrutto latino delluso antico (cfr. Dec. I 1, 86: da tutti fu an-dato). Il per di agente usuale in Dante, e nellitaliano antico ingenere (si cfr. il francese par).

    127. In tutte parti...: si noti la precisione del linguaggio dante-sco. Come limperatore terrestre, che su tutto impera, ma re diuno stato particolare, cos Dio governa luniverso, ma regna diret-tamente (sanza mezzo) in paradiso, cio con la sola legge dellamo-re (cfr. Par. XXX 122).

    129. oh felice...: Virgilio esprime qui il suo inappagato sospiro,che sar il tema del canto IV, lasciando ben comprendere quale fe-lice sorte riservata a colui che egli ora viene a salvare.

    cu ivi elegge: che egli vi destina; il cui complemento oggetto delluso antico.

    130. ti richeggio: ti richiedo; cfr. nota ai vv. 112 sgg. La desi-nenza dovuta ad analogia con il pres. dei verbi in -d- della 2 co-niug. latina, come veggio (cfr. nota al v. 134).

    131. per quello Dio: la risposta ha colto il senso del v. 129: que-sta invocazione in nome del Dio non conosciuto in vita, ma inqualche modo presagito da Virgilio, e ora a lui noto come termineirraggiungibile di felicit a cui potr invece giungere chi ora lo pre-ga, ha una forza drammatica di una densit tipicamente dantesca.

    Letteratura italiana Einaudi 29

  • acci chio fugga questo male e peggio, 132che tu mi meni l dovor dicesti,

    s chio veggia la porta di san Pietroe color cui tu fai cotanto mesti.

    Allor si mosse, e io li tenni dietro. 136

    Dante - Inferno I

    132. e peggio: la dannazione eterna.134. veggia: veda (lat. videam); forma normale del toscano an-

    tico del cong. pres. dei verbi in -d- della 2 coniug. latina (cfr. as-seggia a XV 35), in quanto la doppia -g- derivazione regolare del-la -dj- latina intervocalica., Cos il pres. ind. veggio da video. Formeancor vive nel contado toscano.

    la porta di san Pietro: la porta del purgatorio, ingresso dellasalvezza (langelo che la guarda con le due chiavi in mano infattivicario di Pietro: Purg. IX 127 e XXI 54); preferibile intenderecos, piuttosto che, come altri antichi e moderni, la porta del para-diso, perch questo verso con il successivo indicando luno ilpurgatorio e laltro linferno risponde alle parole precedenti: chetu mi meni l dovor dicesti, ai luoghi cio dove potr condurlo Vir-gilio (a parte il fatto che il paradiso, come Dante lo ha concepito,non ha nessuna porta).

    135. cui tu fai: che tu mi dici, mi raffiguri; cui complementooggetto, come al v. 129.

    mesti: richiama il dolenti del v. 116, parola con cui Virgilio hainfatti definito gli abitanti dellinferno.

    136. Allor si mosse...: lultimo verso, come il primo, indica uncammino. Ma dal cammino nelloscurit e nellangoscia siamo quigiunti a ben altro cammino: il viaggio della salvezza, il camminodelluomo verso il suo fine, che lo porter de statu miserie ad sta-tum felicitatis.

    30Letteratura italiana Einaudi

  • Dante - Inferno I

    NOTE INTEGRATIVE

    1. Il mezzo del cammin. decisamente da rifiutare linterpre-tazione, gi di alcuni antichi, per cui il mezzo del cammin sareb-be il sonno, nel quale si passa met della vita (cfr. Eth. Nic. I 13),inteso come figura di uno stato di visione, quale si ritrova anchenella Scrittura. Il testo infatti indica chiaramente il punto medio diun cammino, cio di un percorso, nel quale si smarrita la strada: epoco oltre (v. 11) si user la metafora del sonno per indicare lo sta-to in cui il viandante era quando entrato nella selva: mentre ora,che se ne accorge (mi ritrovai), ben sveglio. Tale uso della me-tafora in senso opposto ovviamente inammissibile. Ma linterpre-tazione tradizionale confermata (oltre che dal passo del Conviviocitato in nota al verso) dai molti luoghi del poema che offrono unadata, e che portano tutti, come si detto, al 1300 (cfr. Inf. VI 67-9,X 79-81, XXI 112-4; Purg. II 98-9, XXIII 76-8; Par. XVII 80-1;ecc.): si veda soprattutto Inf. XXI 112-4, dove si precisano, oltrelanno, anche il giorno e lora. Ultima conferma il passo citato di Is.38, 10, riscontro che appare decisivo.

    32. Le tre fiere. Limmagine della Scrittura (Ier. 5, 6: per-cussit eos leo de silva, lupus ad vesperam vastavit eos, pardus vigi-lans super civitates eorum) dove i tre animali rappresentano, se-condo lesegesi biblica, i tre peccati fondamentali delluomo, cheimpediscono la sua conversione: lussuria, superbia ed avarizia, ri-cordati nellEpistola di Giovanni: omne quod est in mundo, con-cupiscentia carnis est (lussuria), et concupiscentia oculorum, (ava-rizia) et superbia vitae (1 Io. 2, 16). Cos intendono tutti gliantichi anche i tre animali danteschi. Da Beda (Opera, II 4, pp.293-4) a Tommaso (S.T. Ia IIae, q. 108 a. 3) alle prediche di FraGiordano da Pisa (ed. Delcorno I 4) tutto il mondo medievale cri-stiano riconosce del resto nei tre peccati indicati dal testo giovan-neo i tre impedimenti che ostacolano luomo nella via del bene.Dante stesso chiama altrove lupa lavarizia (Purg. XX 10-2) in mo-do da non lasciar dubbi, mentre il richiamo virgiliano collega evi-dentemente la lonza con la lussuria. Quanto al leone, era simbolotradizionale della superbia. Lidentificazione delle tre fiere ci ap-pare quindi sicura, come del resto apparve agli antichi. Altri tutta-via hanno inteso le tre fiere come le tre disposizion che l ciel nonvole dellEtica aristotelica (incontinenza, malizia, bestialit) secon-do le quali suddiviso lInferno (Inf. XI 81-3), o le tre faville chan-no i cuori accesi di Inf. VI 74-5 (superbia, invidia, avarizia), ma so-no ipotesi senza precisi riscontri, n culturali n con il testo diDante. stata anche avanzata una diversa interpretazione, che dalle tre figure un significato non etico, ma politico, riconoscendonella lonza Firenze, nel leone il re di Francia, e nella lupa la Curiaromana, le tre potenze politiche che di fatto la Commedia condan-

    Letteratura italiana Einaudi 31

  • Dante - Inferno I

    na come rovinose per la convivenza umana. Questa tesi fu forte-mente difesa dal Foscolo (Discorso, pp. 474 e 513). Noi pensiamoche linterpretazione tradizionale sia da tenere per certa, dati i fon-damentali riscontri di cui si avvale, mentre questa ultima possa es-sere considerata probabile, come compresente allaltra. Come in-fatti il messaggio di Dante rappresenta insieme la sua storia disalvezza personale e quella dellhumana civilitas, e tutta la Com-media si muove sempre su un duplice registro, individuale ed uni-versale, privato e pubblico, cos anche in questa prima scena le trefiere possono ben figurare insieme le passioni che travolgono ilsingolo uomo e le realt politiche che insidiano il bene delluma-nit. Sulle tre fiere e i tre peccati nella tradizione cristiana si vedaG. Busnelli, Il simbolo delle tre fiere dantesche, Roma 1909.

    101. Il veltro. A quale personaggio alluda questa figura, unadi quelle questioni che si pongono pi volte nella Commedia,quando si tratta di profezie a cui non si pu dare esatta risposta,come del resto il testo stesso comporta. Quello che tuttavia apparecon certezza dal contesto che si tratta di un riformatore che ope-ri sul piano politico, in quanto una delle idee pi precise e pi ar-dentemente sostenute da Dante che lordine terreno di cui quisi parla (cfr. vv. 106-8) compete esclusivamente allimpero. Ed limperatore, in ogni opera dantesca, il diretto avversario della lu-pa-avarizia. Tutti gli altri testi profetici della Commedia, che an-nunciano un simile avvento, parlano del resto di un rinnovamentodella missione provvidenziale di Roma (cfr. Purg. XXXIII 37-45 ePar. XXVII 61-3). questa lidea centrale della Monarchia e la fi-gura stessa di Virgilio strettamente connessa con questo tema difondo del poema. Si tratta quindi di un imperatore, o di un suorappresentante. Che Dante avesse in mente un nome preciso, ecio Arrigo VII (lelezione di Arrigo del 27 novembre del 1308,quindi ben vicina alla probabile datazione di questo canto) e forsepi tardi, quando egli mor, il suo vicario Cangrande della Scala(cfr. Par. XVII 76-93), appare possibile, specie se si hanno presen-ti le Epistole che egli scrisse in occasione della sua venuta. Ma poi-ch il linguaggio di tutto il passo (si veda il v. 105) volutamenteoscuro, del tutto inutile ai fini dellintelligenza del testo preten-dere di poterlo individuare.

    Ci che preme il senso di tutto il discorso, che gi abbiamoindicato nellidea direttrice della missione provvidenziale dellim-pero romano, e nella profetica speranza che essa possa rinnovarsi.Il Veltro anche se Dante pens di vederlo incarnato in Arrigo nella sua sostanza una figura escatologica, quellultimo imperatoreche alla fine dei tempi, secondo molti testi profetici medievali, do-veva riportare, come gi il primo Augusto , lordine divino sullaterra (e cos lhanno inteso molti degli antichi). (Per tutta la que-

    32Letteratura italiana Einaudi

  • Dante - Inferno I

    stione, e per questultima interpretazione, si veda la fondamentalevoce Veltro in ED V, pp. 908 sgg., a cura di C.T. Davis.)

    105. Tra feltro e feltro. La parola feltro certamente portatadalla rima (la stessa sequenza obbligata veltro-peltro-feltro in Ser-ventese romagnolo 41-3: Contini); Dante la usa tuttavia come cifraper indicare il personaggio qui preannunciato. Gli antichi hannopreso per lo pi feltro per cielo (in quanto panno compresso enon tessuto, come il cielo che di materia solida et intera: Buti):nascer quindi tra cielo e cielo, cio come i pi di loro intendono per il destino celato nel volgersi delle costellazioni (linterpreta-zione astrologica confortata da Purg. XX 13-5, dove ci si appellaal girare del cielo perch mandi colui che cacci dal mondo lanticalupa, e anche dallanaloga profezia di Purg. XXXIII 40-5 riferi-menti gi addotti da Pietro e dal Buti oltre che dal richiamo allaIV Egloga virgiliana, ai vv. 4-7, fatto anche dal Landino). Ma alcu-ni hanno inteso (dato che il feltro era panno di specie vilissima)che si alluda a un uomo di nascita umile, che lopinione prefe-rita dai moderni: si tratterebbe quindi di un riformatore religioso,forse un francescano, in accordo con le speranze riformistichegioachimite che Dante condivideva. Altri hanno pensato a un rife-rimento geografico (tra Feltre e Montefeltro) e cio a Cangrandedella Scala (il cui dominio si stendeva in quella regione), celebratonella profezia di Par. XVII 76-93. E non sono pochi quelli che an-cora sostengono la candidatura di Dante stesso. Si ipotizzato infi-ne che si tratti di unallusione ai bossoli feltrati usati a quel tempoper le elezioni. Noi pensiamo con certezza che il veltro non possaessere che un restauratore dellimpero (cfr. la nota precedente) eche in tal senso vada quindi ricercata anche la spiegazione a questoverso, ma quale essa sia non possiamo dire: dato che lelementoprovvidenziale compare nella terzina solo con la prima e pi anticainterpretazione (e che Dante, ogni volta che parla di questo perso-naggio, mostra sempre di aspettarlo dal cielo), essa ci appare anco-ra la pi probabile, anche per il senso che del vocabolo potevanoavere i contemporanei; ma non escluderemmo in modo assolutolipotesi di Cangrande che, oltretutto, un cane, cio un veltro.Si veda su tutta la questione la voce feltro a cura di A. Niccoli inED II, pp. 833 sgg.

    Letteratura italiana Einaudi 33

  • 34Letteratura italiana Einaudi

    CANTO II

    [Canto secondo de la prima parte ne la quale fa proemio a laprima cantica cio a la prima parte di questo libro solamente, ein questo canto tratta lauttore come trov Virgilio, il quale ilfece sicuro del cammino per le tre donne che di lui aveano cu-ra ne la corte del cielo.]

    Lo giorno se nandava, e laere brunotoglieva li animai che sono in terrada le fatiche loro; e io sol uno 3

    1-6. Lo giorno se nandava...: anche questo canto si apre conuna indicazione di tempo, ma questa volta non pi generica e im-personale, bens determinata nella situazione precisa in cui si trovail personaggio protagonista. Il viaggio cominciato, e limperfetto(se nandava) ci introduce appunto nel mezzo dellazione: il tempodel crepuscolo si configura in rapporto al paesaggio (laere bruno)e allo stato danimo del viandante (e io sol uno...). Lantitesi fra laquiete della natura e la veglia inquieta e solitaria del personaggio attacco tipicamente virgiliano (cfr. Aen. IV 522-31; VIII 26-30; IX224-8). Tuttavia in tale contrasto entrano qui due elementi eticiestranei al testo latino: la mestizia delloscurit come gi preluden-te allinferno dove non splende la luce del bene e la guerradellanimo con se stesso, che tema dominante della cantica e mo-tivo maestro di questo secondo canto.

    2. li animai: ogni essere vivente, quindi anche gli uomini; cfr.Aen. VIII 26: nox erat et terras animalia fessa per omnis....

    che sono in terra: solo chi vive sulla terra ha la necessit del ri-poso e del sonno.

    3. e io sol uno: solo tra tutti; laccento posto sulla solitudine diDante tra gli altri esseri di fronte alla grande impresa prelude aldramma interiore che si esprimer tra poco nelle sue parole (vv.10-36).

  • Dante - Inferno II

    Letteratura italiana Einaudi 35

    mapparecchiava a sostener la guerras del cammino e s de la pietate,che ritrarr la mente che non erra. 6

    O muse, o alto ingegno, or maiutate;

    4-5. la guerra s del cammino e s de la pietate: questa espressio-ne sintetizza nella sua densit tutta la cantica, ed come una pro-posizione del tema, a cui seguir, secondo lo schema classico, lin-vocazione alle Muse. la guerra il combattimento fisico e morale,che aspetta il pellegrino; del cammino e de la pietate, cio che glimuoveranno lasprezza del cammino infernale, e la compassionesuscitata nel suo animo dalle pene dei dannati. In genere antichi emoderni traducono lespressione guerra... de la pietate come trava-glio e dolore che egli avrebbe sofferto per tale compassione (e ana-logamente, per tale cammino). Ma sembra pi consono al conte-sto, e a tutta limpostazione della cantica, il senso sopra indicato,gi proposto dal solo Magalotti (guerra chera per fargli la piet,da cui non voleva lasciarsi vincere); del cammino e de la pietatesono cio presi come genitivi soggettivi. guerra inteso come trava-glio o pena sembra non corrispondere alla densit dellespressione,che implica un combattimento reale (mapparecchiava a sostener laguerra...). Oltretutto, a un senso generico, si sostituisce cos unsenso pregnante, di qualcosa che sconvolge alle radici lanimodelluomo, come appunto richiede la storia.

    6. ritrarr: rappresenter dal vero; ritrare vale in Dante raffi-gurare in parole (cfr. Rime LXV 3: Si veggion cose chuom nonp ritrare).

    la mente che non erra: la memoria, che dice sempre il vero,che non pu sbagliarsi; una caratteristica della memoria in gene-re, non della sua in ispecie (mente si chiama perch ricorda: Bu-ti). Dante viene cos ad affermare proprio nella proposizione deltema la veridicit del suo racconto, che non va preso dunque co-me uninvenzione, una semplice fictio poetica, ma come realt ri-cordata e ritratta dal vero.

    7. O muse...: lInferno comincia propriamente con questo se-condo canto, e quindi qui trova il suo giusto luogo linvocazionealle Muse, come nel I del Purg. (vv. 7-12) e del Par. (vv. 13-36). Ta-le invocazione, tradizionale nella poesia classica, un topos lettera-rio mantenuto dai poeti cristiani, per i quali le Muse rappresenta-no lispirazione poetica. Questo appello riguarda infattiesclusivamente lopera del poeta, che si accinge ad unimpresastraordinaria. Qui per la prima volta Dante, con brusco mutamen-to di tempo (se nandava: or maiutate) e di prospettiva, ci presenta

  • Dante - Inferno II

    Letteratura italiana Einaudi 36

    o mente che scrivesti ci chio vidi,qui si parr la tua nobilitate. 9

    il suo poema sotto laspetto letterario (ma gi c un preannunciodi tale fondamentale elemento nelle parole a Virgilio del canto I), ecome impresa grande e difficile. Tale atteggiamento sar motivo ri-corrente per tutto il poema (cfr. per es. XXXII 7-8: ch non im-presa da pigliare a gabbo / discriver fondo a tutto luniverso...), finoa Par. XXIII 64-9.

    o alto ingegno...: il poeta invoca, oltre le Muse, il proprio inge-gno; anche questo un topos classico (cfr. Met. I 1; Phars. I 67: Cur-tius, p. 284); non si pone dunque il problema della cosiddetta pre-sunzione dantesca. Non a caso tuttavia esso utilizzato da Dante,che chiama qui a raccolta tutte le sue forze (per lalto ingegno cfr. X59) e che pi volte sottolinea nel poema, come dicemmo, la gran-dezza dellimpresa (si veda anche qui, il v. 9). Si tenga presente ilvalore semantico della parola: ingegno, annotano gli antichi, citan-do Papia e Agostino, quella forza dellanimo rivolta a scoprir cosenuove (ingenium est extensio intellectus ad incognitorum cogni-tionem: Pietro). Altri intende ingegno delle Muse, prendendotutta la frase come unendiadi (Mazzoni, Pzard), ma i testi di Ovi-dio e Lucano sopra citati, la forma triplice dellinvocazione (O mu-se, o... ingegno, o mente) e il senso di altissimo impegno sopra indi-cato, fanno preferire senzaltro la prima interpretazione.

    8. o mente che scrivesti...: per terza viene invocata la memoria.La triplice scansione di questo appello sottolineata da Benvenu-to: tre cose gli sono necessarie: scientiae profunditas (le Muse),intellectus perspicacitas (lingegno), memoriae vivacitas (lamente). Limmagine della memoria che scrive come in un libro cara a Dante: essa apre la Vita Nuova (I 1), si ritrova in Rime LX-VII 59, e infine in Par. XXIII 54: del libro che l preterito rassegna.

    ci chio vidi: Dante ribadisce con questo verbo la verit diquel che sta per raccontare (cfr. sopra v. 6: ritrarr). Egli ha vedutoveramente, non ha immaginato. Il verbo vedere fondamentalein questo senso in tutto il poema, e se ne riepiloga il valore in unverso dellultimo Paradiso, che abbraccia tutta la passata esperien-za: Di tante cose quant i ho vedute... (Par. XXXI 82).

    9. si parr...: apparir, si far palese. la tua nobilitate: per... nobilitade sintende perfezione di

    propria natura in ciascuna cosa. (Conv. IV, XVI 4); apparir quin-

  • Dante - Inferno II

    Letteratura italiana Einaudi 37

    Io cominciai: Poeta che mi guidi,guarda la mia virt sell possente,prima cha lalto passo tu mi fidi. 12

    Tu dici che di Silvio il parente,

    di la tua eccellenza nel ricordare. Linsistenza sulla memoria comeelemento centrale dellopera che qui si intraprende serve a porre inprimo piano la sua veridicit storica e a mettere il lettore nella con-dizione di chi ascolta il resoconto di un viaggio di cose veduteappunto , condizione che fa parte della fictio dantesca, e a cui ilpoeta si rif spesso nel corso del racconto.

    10. Io cominciai...: allinvocazione segue, in modo immediato,linizio del racconto. Questo modo diretto di introdurre il parlato,senza alcun preambolo, tipico del veloce andamento narrativodella Commedia (cfr. V 73; XIV 43; XXIII 109; ecc.); il verbo ri-calcato sul virgiliano incipere. LIo cominciai succede idealmentealla situazione presentata prima dellapostrofe: e io sol uno / map-parecchiava.... come se linterna tempesta di pensieri (cfr. oltre, vv.37-43) trovasse sbocco in queste parole. Il dubbio qui espresso, ela sua soluzione, sono largomento del canto, che di fatto ancoraprologo allazione.

    11. la mia virt...: il mio personale valore, le mie capacit. Laparola ritiene del latino virtus. Il senso si deduce dal contesto, qua-si dicesse: son io capace di tanto? (cfr. oltre v. 32: io non Ena, ionon Paulo sono). Il dubbio di Dante si noti tutto imperniatosulla propria personale debolezza.

    sell possente...: virt soggetto prolettico ripreso dal pron.ella: guarda se la mia virt allaltezza di ci (cfr. Rime XC 50:guarda la vita mia quanto ella dura); possente: che ha la possi-bilit, la capacit di far qualcosa: sufficiens ad tantum opus(Benvenuto); cfr. Par. XIX 55 e XXIII 47.

    12. a lalto passo: a entrare in questo difficile, arduo cammino(indica leccezionalit dellimpresa, che quella stessa, come dirsubito dopo, di Enea e di Paolo); passo con valore di passaggio dif-ficile (come a I 26) si ritrova pi volte nel poema: in particol