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COLLANA STORIA LOCALE 32

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COLLANA STORIA LOCALE

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Questo libro è dedicato alProf. Francesco Maria Antonini,

Maestro di geriatria e gerontologia.Un pioniere, visionario e profetico:

indicava strade, raramente sbagliandole.A Lui si deve l’idea del

Centro Sociale di Lastra a Signa.

Iª edizione aprile 2013ISBN 978-88-6039-287-9

Tutti i diritti riservati

© Copyright Masso delle Fate

Masso delle Fate EdizioniVia Cavalcanti, 9 - 50058 Signa (FI)www.massodellefate.it

COMUNE DILASTRA A SIGNA

Il Centro Socialedi Lastra a Signa

La sfida continua

A cura di

Leonora Biotti e Gavino Maciocco

Prefazioni

11 Il Centro Sociale. Un patrimonio della comunità locale. E non solo Angela Bagni

13 Invecchiamento della popolazione e malattie croniche. Le strategie della Regione Toscana Barbara Trambusti

17 Le parole chiave sono: dignità, libertà, invecchiamento attivo Celina Cesari

Centro Sociale, Ieri e Oggi

27 La storia di un’“innovativa” soluzione residenziale per anziani (“vecchia” di quasi 40 anni) Gavino Maciocco

41 Organizzazione e funzionamento del Centro Sociale Leonora Biotti

La ricerca sul Centro Sociale

51 Un nuovo modello di residenzialità degli anziani è possibile. Gli obiettivi di una ricerca indipendente Leonora Biotti e Gavino Maciocco

Indice

55 Ricerca retrospettiva, La storia di 197 persone Giacomo Mazzoni

69 La ricerca geriatrica. Lo stato di salute Alessandro Morrione, Enrico Mossello e Mauro Di Bari

89 La ricerca sociale. La qualità della vita Filomena Maggino e Ester Macrì

111 Una ricerca sugli aspetti architettonici e urbanistici del Centro Sociale di Lastra a Signa Corrado Marcetti, Jacopo Ammendola, Chiara Babetto e Benedetta Masiani

Testimonianze

157 Come eravamo Anna Bini

159 Il Centro Sociale. Una sorta di destino Massimo Tilli

165 La partecipazione del volontariato Bruna Velona

Postfazione

169 Ricerca e legami sociali Nedo Baracani

Prefazioni

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Il Centro Sociale.Un patrimonio della comunità locale. E non solo

Angela BagniAssessore alle Politiche sociali e Vice-Sindaco di Lastra a Signa

Il lavoro di ricerca sul Centro Sociale di Lastra a Signa contenuto in questa pubblicazione dimostra la capacità di questa struttura di dare ri-sposte a lungo termine ai bisogni della popolazione anziana. Una capa-cità che non è venuta meno nella sua storia ultratrentennale, che si è anzi rinnovata e aggiornata dimostrando quanto lungimirante fosse stata la scelta scaturita negli anni ‘70 e portata da allora in avanti dalle Ammini-strazioni comunali di Lastra a Signa. In tutto questo tempo il Centro Sociale è stato ripetutamente oggetto di osservazioni, ricerche e valuta-zioni e anche per questo esso è divenuto non solo un patrimonio della comunità locale, ma anche un modello di residenzialità sociale cui si guarda con interesse a livello non solo nazionale.

Voglio qui sottolineare due aspetti che contribuiscono a fare del Centro Sociale un punto di riferimento per le politiche sociali, di attenzione e di impegno verso la popolazione anziana.

La libertà e l’autonomia delle personeIl primo aspetto riguarda la strutturazione stessa del Centro sociale e la visione, che ne sta alla base, dell’anziano quale valore attivo della collet-tività. È così che l’essenza del Centro sociale potrebbe essere individua-ta in parole-chiave quali libertà e autonomia delle persone: chi vive nel Centro Sociale non è vincolato da orari o obblighi di sorta, salvo quelli della comune convivenza, e può fruire - se lo vuole - di una rete di rela-zioni composta di familiari, altri residenti, operatori del Centro Sociale, associazioni di volontariato. Una rete che la ricerca ha dimostrato essere

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Angela Bagni

efficace nell’alimentare l’interesse per la vita, prevenire la non-autosuf-ficienza e evitare nella grande maggioranza dei casi il ricorso al ricovero in RSA.

Un mattone per la difesa dello stato socialeDalla constatazione di come, in un lungo arco di tempo, si sia riusciti a gestire all’interno del Centro molte situazioni di disabilità, consentendo dunque agli anziani di rimanere più a lungo nella propria abitazione, prevenendo la lungodegenza ed evitando o rimandando l’ingresso in RSA, discendono l’elevato beneficio sociale, per la persona, ed economi-co per i servizi sociali regionali e, dunque, per l’intero Servizio sanitario nazionale. Un aspetto questo, ci sembra, niente affatto secondario, so-prattutto alla luce, purtroppo, della drammatica situazione in cui sta versando quello che costituiva, un tempo, lo “stato sociale” italiano, oggi sempre più in via di smantellamento. È dunque essenziale, secondo noi, in presenza dell’attacco frontale all’idea stessa di stato sociale e del dila-gare di risposte “utilitaristiche” alle problematiche della difesa sociale, individuare mezzi e modi per far fronte alle esigenze, vecchie e nuove, che emergono nella struttura sociale della comunità.

Per questi motivi il Comune di Lastra a Signa ha sostenuto e sostiene il Centro in quanto patrimonio della collettività intera, sviluppandovi, in modo strutturato, innumerevoli attività, in collaborazione con associa-zioni, soggetti e movimenti e contribuendo in tal modo a renderlo sem-pre più una struttura aperta, in cui libertà e solidarietà rappresentano le migliori componenti di una vecchiaia vissuta il più a lungo possibile in autonomia. La ricerca sul Centro sociale, voluta dall’Amministrazione comunale, promossa della Regione Toscana e realizzata in collaborazio-ne con l’Università di Firenze e la Fondazione Michelucci, permette di dotarsi di sempre maggiori strumenti di conoscenza e valutazione, affin-ché questo patrimonio sia riconosciuto come modello valido, in grado di dare risposte sempre più adeguate alle nuove sfide.

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Invecchiamento della popolazione e malattie croniche.Le strategie della Regione Toscana

Barbara TrambustiDirigente Settore Politiche per l’integrazione socio-sanitaria e la salute in carcere.Direzione Generale Diritti di Cittadinanza e Coesione sociale. Regione Toscana

“La tendenza all’invecchiamento della popolazione toscana, con il con-seguente aumento della rilevanza delle patologie croniche, pone al siste-ma la necessità di far fronte alla modifica della domanda assistenziale attraverso una risposta ai bisogni complessi caratterizzata da una forte integrazione socio-sanitaria. Per quanto riguarda l’indice di vecchiaia, infatti, la Toscana ha raggiunto valori tra i più elevati al mondo, stabi-lizzatisi, negli ultimi anni, attorno a 192 ultrasessantacinquenni ogni 100 giovani di età inferiore ai 15 anni.La gestione dell’incremento della prevalenza di cronicità rappresenta uno dei problemi sanitari e sociali più rilevanti che le società cosiddette evolute debbono affrontare; con l’aumento della speranza di vita della popolazione, la diffusione e la presenza delle malattie croniche sono in continuo aumento. Attualmente i 4/5 delle prestazioni sanitarie sono richieste per il trattamento della cronicità ed i 2/3 dei ricoveri sono ad esse attribuibili; alcuni studi predittivi stimano che nel 2020 circa il 60% della popolazione sarà affetto da patologie croniche.In media otto anziani su dieci soffrono di una o più patologie croniche caratterizzate da diversi stadi di gravità. Tale problema è particolarmen-te significativo per la Toscana dove l’indice di vecchiaia è tra i più alti in Europa. Oltre ai costi diretti vanno ovviamente considerati i costi socia-li che la cronicità induce, sia in relazione alle modifiche della struttura familiare che alla disabilità totale quale risultante dell’evoluzione delle patologie croniche”.

Abbiamo tratto queste affermazioni dal Piano Sanitario 2008-2010 che

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Barbara Trambusti

lanciava una nuova strategia per affrontare il problema dell’invecchia-mento e della cronicità. Una strategia basata sulla sanità d’iniziativa. “La sanità di iniziativa, intesa come modello assistenziale per la presa in carico, - continua il Piano 2008-2010 - costituisce, nell’ambito delle malattie croniche, un nuovo approccio organizzativo che affida alle cure primarie l’ambizioso compito di programmare e coordinare gli interven-ti a favore dei malati cronici. Il modello operativo prescelto, il Chronic Care Model, è basato sulla interazione tra il paziente reso esperto da op-portuni interventi di formazione e di addestramento ed il team multi-professionale composto da operatori socio sanitari, infermieri e MMG. Le evidenze scientifiche dimostrano che i malati cronici, quando ricevo-no un trattamento integrato e un supporto al self-management e al follow up, migliorano e ricorrono meno alle cure ospedaliere. Sulla base delle esperienze realizzate in varie aziende sanitarie toscane, il sistema utilizza il lavoro integrato di diversi professionisti chiamati ad assicurare la presa in carico e la continuità assistenziale (disease management) e si basa su: a) l’adozione di corretti stili di vita, in particolare l’attività fisica, e le cor-rette abitudini alimentari, viste non solo come strumento di prevenzio-ne, ma anche come indispensabile sussidio nella gestione della patolo-gia. In questa ottica è stata promossa l’Attività Fisica Adattata (AFA) come un programma di esercizio fisico, non sanitario, svolto in gruppo, appositamente indicato per cittadini con disabilità causate da sindromi algiche da ipomobilità o da sindromi croniche stabilizzate negli esiti della malattia; b) il supporto all’auto-cura, nel team multiprofessionale, per far acquisire alle persone assistite quelle capacità che le mettano in grado di attuare un’adeguata autogestione della propria malattia; c) l’at-tuazione degli interventi assistenziali presso il domicilio del malato o l’ambulatorio del MMG; d) un sistema informativo centrato sul pazien-te basato sulla gestione di liste dei pazienti stratificate per patologia o rischio da parte dei MMG”.

Le indicazioni del Piano sanitario 2008-2010 hanno trovato conferma

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Invecchiamento della popolazione e malattie croniche

negli “Indirizzi alle aziende sanitarie ed alle Aree vaste per il riordino del sistema sanitario regionale” (approvati dalla Giunta Regionale nel di-cembre 2012), dove si legge:

“Per quanto attiene alle scelte operative, dovrà essere ulteriormente svi-luppata la Sanità di Iniziativa, introdotta dal Piano Sanitario Regionale 2008-2010, quale approccio organizzativo che assume il bisogno di sa-lute prima dell’insorgere della malattia, o prima che essa si manifesti o si aggravi, prevedendo ed organizzando le risposte assistenziali adeguate. Essa affida alle cure primarie l’ambizioso compito di programmare e coordinare gli interventi a favore dei malati cronici, prendendo come riferimento il modello operativo dell’Expanded Chronic Care Model, ba-sato sulla interazione tra il paziente reso esperto da opportuni interventi di formazione e di addestramento ed il team multiprofessionale compo-sto da MMG, infermieri e operatori sociosanitari. La sperimentazione di tale modello avviata nel 2009, estesa ad oggi a circa il 40% della popola-zione toscana, ha dimostrato di produrre miglioramenti nella qualità dei servizi territoriali: il 67% dei pazienti intervistati in una recente indagi-ne sulla soddisfazione degli utenti ha dichiarato di aver riscontrato dei benefìci sul proprio stato di salute da quando è stato introdotto il nuovo modello e l’86% di essi ha rilevato un miglioramento complessivo dell’assistenza. Sul versante dei professionisti coinvolti, la sfida dell’inte-grazione e del lavoro per percorsi si è rivelata un’occasione di sviluppo e di rinnovamento che non può che essere consolidata. Tali positivi risul-tati, insieme alle evidenze di efficacia del modello riscontrabili in lettera-tura, costituiscono un punto di forza da valorizzare nella strategia di ri-assetto delle cure primarie.

Nella stessa delibera della Giunta Regionale del dicembre 2012 viene altresì affrontata la questione della residenzialità degli anziani non auto-sufficienti.

“Sarà altresì importante attivare azioni di sistema in materia di residen-

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Barbara Trambusti

zialità, volte a migliorare qualità e appropriatezza dei servizi offerti alla popolazione anziana non - autosufficiente, favorendo la differenziazione dell’offerta. Tali azioni verranno attivate attraverso un processo di gover-nance territoriale, mentre il livello regionale assicurerà un governo co-stante del processo, anche attraverso l’adozione di indicatori che ne con-sentano il monitoraggio e la valutazione”.

In precedenza la Regione Toscana con la del. G.R. 1044/11 “Percorso di revisione del progetto per l’assistenza continua alla persona non autosuf-ficiente”, aveva delineato la strategia in materia di assistenza alla persona anziana non autosufficiente, mantenendo, anzi rafforzando il proprio modello e rendendolo compatibile col diverso panorama socio-sanitario ed economico che ci circonda. Fra gli obiettivi previsti: a) universalità dell’accesso; centralità dell’anziano e dei suoi familiari attraverso la presa in carico unitaria del bisogno; c) appropriatezza nelle risposte e persona-lizzazione del percorso di assistenza; d) integrazione dei servizi, dei pro-fessionisti e delle risorse; e) perfezionamento delle procedure di valuta-zione dell’anziano; f ) trasparenza delle liste di attesa in RSA; g) monito-raggio fisico e della spesa.

Essenziali nel lavoro intrapreso nel campo delle malattie croniche e della residenzialità degli anziani sono i risultati dei numerosi progetti di ricer-ca e di valutazione avviati da Regione Toscana in collaborazione con l’Agenzia Regionale di Sanità, il Laboratorio Mes dell’Università Sant’Anna di Pisa, e - con questa specifica ricerca - con l’Università di Firenze e la Fondazione Michelucci.

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Le parole chiave sono:dignità, libertà, invecchiamento attivo

Celina CesariSegretaria Nazionale SPI - CGIL

L’Italia è uno dei Paesi con il più alto livello di invecchiamento.L’Istat conta 144 persone sopra i 65 anni per ogni 100 con meno di 15, per un totale di 12.384.963. Le donne e gli uomini anziani costituisco-no il 20% della popolazione ed un quarto del corpo elettorale, ma sono confinati ai margini delle agende politiche.Se vi compaiono, sono rappresentati come costi e non per quel che sono: soggetti titolari di diritti e capaci di iniziativa e di impegno nel sociale.La politica, nelle sue diverse espressioni, non riesce a pensare l’allunga-mento della vita come una conquista dell’umanità. Non prende in con-siderazione i mutamenti profondi del vivere civile e tende a considerare l’invecchiamento come un capitolo delle politiche di assistenza, da af-frontare solo in logiche emergenziali.L’assenza di una visione politica lungimirante ha come conseguenza di togliere visibilità alla più grande trasformazione sociale in atto, e con-danna un grande processo storico di trasformazione all’esilio nell’econo-micismo, nell’assistenzialismo e nella burocrazia. Questo tipo di approccio è sbagliato e fallimentare perché perde di vista la ricchezza e lo spessore della dimensione individuale e sociale, conside-rando le persone oggetti passivi ai quali destinare una qualche pratica burocratica o, al più , qualche elaborazione statistica.

Per questo motivo noi, Sindacato dei pensionati della Cgil, rivendichia-mo una strategia di governo per un processo inarrestabile e destinato ad incidere con forza sempre maggiore nella vita sociale del nostro Paese, e proponiamo l’idea di “invecchiamento attivo” come fattore di promo-

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Celina Cesari

zione del benessere delle persone e come strumento per lo sviluppo del capitale sociale.Siamo perciò contrari all’idea di un invecchiamento subìto, chiuso nel-le costrizioni imposte da una società che coltiva ancora il mito del gio-vanilismo e che, pertanto, favorisce un mercato sempre più aggressivo, fedele alla considerazione che le persone anziane siano un business - gente da indirizzare verso stili di vita propri, appunto, di una visione giovanilista e consumistica.Occorre, dunque, praticare una politica che “indirizzi” il mercato a non alimentare la paura di invecchiare e quindi di rifiutare i cambiamenti indotti dall’avanzare degli anni.Ma poiché si comincia ad “invecchiare” non appena si viene al mondo, diventa per noi irrinunciabile assicurare alle donne ed agli uomini di tutte le età una prospettiva di autonomia e realizzazione di sé, in un pro-getto di vita capace di non cristallizzarsi nelle segmentazioni con le qua-li si concepiscono le diverse stagioni dell’esistenza.Questo significa avere ben presente la realtà degli anziani di oggi, ma anche quella degli anziani di domani, di coloro che oggi sono adulti o soprattutto giovani.

Le condizioni di precarietà e di vera e propria esclusione, dolorosamente sperimentati dalle giovani generazioni, vanno affrontate con urgenza attraverso interventi di facilitazione all’ingresso al lavoro e di predisposi-zione di una rete di ammortizzatori sociali in grado di proteggerli e so-stenerli nei periodi di passaggio da un lavoro all’altro. Così come va af-frontata la questione dell’espulsione dai processi produttivi e dell’impos-sibilità del ricollocamento delle persone, in particolare donne, comprese nella fascia di età 50-60 anni.Il Piano del lavoro proposto dalla Cgil è un utile strumento per contra-stare la gravità della situazione ed aprire percorsi di speranza.I cambiamenti introdotti dal Governo Monti in materia di durata del tempo di vita destinato al lavoro sono un dramma per gli adulti costret-ti a cambiare repentinamente il proprio progetto esistenziale, una lesio-

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Le parole chiave sono: dignità, libertà, invecchiamento attivo

ne del diritto dei giovani a godere in futuro di una pensione dignitosa, un’ingiustizia per gli anziani che hanno visto impoverito il loro reddito.Certo, all’allungamento della vita può corrispondere un aumento degli anni di lavoro.Ad esempio la Germania, con un invecchiamento superiore a quello italiano, ha un tasso di occupazione per gli over 60 pari al 41%. Ma nel nostro Paese registriamo solamente un tasso del 20,5% per gli ultra ses-santenni. Il punto in discussione, comunque, riguarda gli strumenti attraverso i quali si accompagna l’aumento del tempo di permanenza al lavoro con il rispetto della dignità e delle prerogative di libertà delle persone - fatta salva la garanzia per le categorie dei lavori cosiddetti usuranti di una usci-ta anticipata. Il regime pensionistico attualmente in vigore, invece, con-danna questi ultimi a raggiungere con molta difficoltà il traguardo del pensionamento.Per tutti vanno introdotti quegli elementi di conciliazione con i tempi di vita, di rispetto per il lavoro di cura destinato ai figli ed ai nonni, di for-mazione, incentivazione e flessibilità utili ad aiutare la permanenza nel lavoro. Va poi affrontato il tema difficile e delicato del passaggio dal lavoro al pensionamento. Bisogna progettare modalità di fuoriuscita corrispon-denti al desiderio della persona e, comunque, con una riduzione pro-gressiva del tempo di lavoro. Anche attraverso esperienze di metà lavoro e metà pensione, promuovendo il tutoraggio verso i giovani assunti e, quindi, la condivisione delle mansioni tra persone di età differenti.Tutto questo implica una riforma profonda dell’attuale legislazione pre-videnziale che ha già manifestato la sua insostenibilità sociale attraverso la creazione di una nuova figura, l’esodato, ma che è destinata a dispie-gare nel medio periodo effetti ancora più nefasti in riferimento all’acces-so alla pensione e al reddito disponibile.

È anche a partire da questo tema che si può cominciare a curare le ferite inflitte all’insieme dei diritti di cittadinanza dagli interessi della finanza

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Celina Cesari

e dei mercati.In ultima analisi, nell’ottica di un ripensamento globale di tutti gli aspet-ti della realtà sociale ed economica dell’occidente sviluppato, e assumen-do la dimensione europea come l’ambito ottimale per riprendere il filo smarrito della promozione del benessere delle persone, bisogna ricostru-ire un modello di società ancora una volta fondato sul lavoro e sui suoi valori e perciò solidale, coeso, inclusivo e capace di assicurare a tutti pari dignità sociale ed uguaglianza di fronte alla legge.Ribadiamo, allora, i contenuti dell’art. 3 della nostra Costituzione che affida alla Repubblica il compito di “rimuovere gli ostacoli di ordine econo-mico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazio-ne di tutti… all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.” Tornano qui tutti i temi relativi alla promozione della dignità, della li-bertà delle persone e della promozione del loro benessere, sapendo che una società che invecchia deve interrogarsi in modo nuovo sui fattori che la tengono coesa. Per questo è utile assumere il punto di vista dell’invecchiamento attivo, perché, nel significato ad esso assegnato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, costringe ad assumere il concetto di “arco della vita” come orizzonte culturale da cui ripartire per impostare una diversa idea della vecchiaia e definire una nuova progettazione della società.E il primo punto sul quale compiere un’operazione di verità riguarda l’aumento dei costi dei servizi sanitari, assistenziali, sociali e previdenzia-li “imposti” ai bilanci pubblici da una società che invecchia. Siamo dav-vero di fronte ad una spesa insostenibile, o ad un uso dei problemi di carattere finanziario per indebolire tutele e diritti attraverso la destruttu-razione dei sistemi di welfare?Siamo convinti che la seconda ipotesi sia quella giusta. Per questo va sconfitto un pensiero, purtroppo pervasivo e traversale, che usa l’argo-mento dell’insostenibilità dei costi per consegnare alla responsabilità individuale ed al mercato le forme finora collettive delle tutele rispetto ai rischi che si incontrano nel corso dell’esistenza.

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Le parole chiave sono: dignità, libertà, invecchiamento attivo

Questa è l’idea che vogliamo sconfiggere, in modo responsabile e con-sapevole, avanzando proposte per innovare e riformare il sistema del welfare.Ad esempio, andrebbe avviata una politica della salute incentrata su in-terventi innovativi con lo scopo di potenziare le cure primarie e tutti i livelli della prevenzione. E la definizione degli obiettivi di salute dovreb-be essere partecipata e condivisa dagli anziani e da tutti i cittadini. Il coinvolgimento delle persone dovrebbe essere uno stile di lavoro co-stante per tutti i servizi, con lo scopo di promuovere il loro benessere anche attraverso l’adozione di stili di vita salutari, lo sviluppo di attività motorie, educazione alimentare, e quant’altro sia utile per il loro star bene - abbracciando un concetto di salute come benessere individuale e sociale. Dunque una forte attenzione va rivolta alla salubrità dell’ambiente, alla riprogettazione dei quartieri, dei servizi comuni per lo sport, la socialità, l’istruzione e l’apprendimento permanente. E siamo fortemente convinti che le politiche per la salute vanno restitui-te al territorio, dove il sistema delle cure primarie può realizzare l’effettiva integrazione tra attività sociali e sanitarie in modo da garantire la presa in carico per un tempo indefinito e non per singolo episodio di malattia.

Queste osservazioni, a nostro parere, possono indicare le condizioni ne-cessarie per uscire dalla medicalizzazione della vecchiaia e della sua ge-stione assistenzialistica.Il territorio va assunto come spazio di relazione, di socialità e di inclu-sione. È nei contesti territoriali che vanno promosse le politiche dell’abitare, della mobilità, del superamento delle barriere architettoniche, le occa-sioni e le opportunità per il tempo libero, l’espressione della creatività e dell’impegno solidale. E, quindi, vanno messi in atto anche tutti gli in-terventi necessari a garantire all’anziano il diritto a vivere il più a lungo possibile nella propria abitazione. Occorre sviluppare l’insieme delle attività e dei servizi a sostegno degli

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Celina Cesari

anziani vulnerabili o in procinto di esserlo. Quindi: punti informativi e di orientamento; porte di accesso ai servizi; prestazioni di assistenza do-miciliare più o meno integrata, ma da realizzare in forme e modi tali da garantire il rispetto della persona e la promozione della sua autonomia.Servono Centri diurni, Case famiglia, Alloggi protetti ed ogni forma di residenzialità in progressiva e totale sostituzione dei cronicari ed in con-trasto con le pratiche ancora troppo diffuse di istituzionalizzazione.A queste esigenze dovrebbe “piegarsi” il mercato. La crisi nella quale siamo ancora immersi dimostra in modo tragico quanto errato sia foca-lizzare l’attenzione solo sugli aspetti finanziari, senza curarsi della di-mensione umana. Per questo va anche riconsiderata la ricerca scientifica e tecnologica in relazione al fenomeno dell’invecchiamento. La tecnologia, la progetta-zione innovativa di dispositivi e di ausili, permette anche per gli anziani in condizione di perdita di autonomia grave o leggera di vivere la propria situazione in condizioni di benessere, senza abbassare la qualità della propria esistenza.

E siamo interessati alle esperienze e a tutte le buone pratiche che vanno nella giusta direzione.Difatti, abbiamo manifestato tutto il nostro apprezzamento per quanto realizzato nella Regione Toscana per la presa in carico dei malati cronici. È un modello di cura che riesce a fare i conti con la transizione epide-miologica, evita sprechi ed inappropriatezze e, quello che più conta, in-segna modalità positive di convivenza con la propria patologia ed assicu-ra migliore qualità di vita.La richiesta di adottare il Chronic care model è presente, assieme alla pro-posta di Casa della salute, in tutte le nostre piattaforme regionali ed è ormai in quasi tutte le programmazioni regionali.Nello stesso tempo giudichiamo positiva l’esperienza del Centro sociale per anziani del comune di Lastra a Signa. Ci sembra una modalità di sostegno per gli anziani quanto mai opportuna e positiva, perché riesce a sostenere persone in condizioni di fragilità con forme leggere di soste-

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Le parole chiave sono: dignità, libertà, invecchiamento attivo

gno, senza ledere la loro libertà di movimento, rispettando i ritmi natu-rali del loro vivere, allontanando così nel tempo la perdita di abilità e di autonomia. Ci sembrano, questi ultimi due, esempi positivi che vorremmo vedere estesi e praticati su scale più vaste. Vorremmo in sostanza che interventi di questo genere cessino di essere considerati e praticati come “sperimentali” ed “aggiuntivi” ad un model-lo di organizzazione sanitaria ancora centrata sulla cura delle acuzie. Ci piacerebbe vederli diventare pratica corrente perché sono davvero quel che serve nella fase di transizione demografica ed epidemiologica che ci troviamo a vivere.Per farlo bisogna convincere i decisori politici, le istituzioni e tutte le professioni e le figure del lavoro sanitario e sociale, e coinvolgere soprat-tutto i soggetti interessati, gli anziani appunto, che di questi cambia-menti devono diventare protagonisti e non destinatari passivi. Lo Spi CGIL, che li rappresenta, con la propria autonoma iniziativa la-vora in questo senso attraverso la pratica della contrattazione sociale, svolta in ogni angolo del Paese e con tutti i livelli istituzionali in stretto raccordo con i propri iscritti, e considera la ricerca presentata in questo volume un utile contributo da diffondere in tutto il Paese.

Centro Sociale,ieri e oggi

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La storia di un“innovativa” soluzione residenziale per anziani (“vecchia” di quasi 40 anni)

Gavino Maciocco

PrologoEra un caldo pomeriggio del luglio 1973 a Firenze. Villa Monna Tessa a Careggi, studio del Prof. Francesco Maria Antonini, ordinario di Geria-tria all’Università di Firenze. Intorno al tavolo della riunione oltre al fondatore della Geriatria italiana, il sindaco di Lastra a Signa, Gerardo Paci, l’assessore ai servizi sociali, Dolfo Poggesi, e l’autore di questo con-tributo, allora poco più che trentenne medico condotto dello stesso Co-mune, nella veste di facilitatore dell’incontro tra Accademia e Ammini-strazione locale.

L’intenzione del Sindaco era quella di costruire nel territorio del Comu-ne una Casa di Riposo per anziani (oggi si chiamerebbe RSA). L’idea fu rapidamente smontata dal Prof. Antonini con gli argomenti che gli sta-vano più a cuore: le case di riposo sono la negazione della dignità degli anziani, perché li privano della libertà, perché la vita quotidiana viene regolata dalla struttura e ciò li rende passivi e gli impedisce di utilizzare ed eventualmente sviluppare le loro capacità residue - fisiche, intellettua-li, affettive -. A causa di tutto ciò, questo era il ragionamento, le Case di Riposo non fanno altro che accelerare il decadimento degli ospiti, gene-rando depressione e disperazione.

“Esistono altre soluzioni per sostenere la fragilità, e anche le condizio-ni di handicap, degli anziani, senza privarli della libertà e della dignità. Se volete ve le mostro, poi decidete”, con queste parole Antonini ci congedò.

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Gavino Maciocco

Due mesi dopo eravamo con lui e con una ventina di specializzandi in Geriatria alla volta della Francia (Grenoble e Alta Savoia) e della Svizzera (Ginevra) a visitare strutture per anziani costituite da miniappartamenti raggruppati, dotati di servizi comuni: mensa, biblioteca, lavanderia, pa-lestra, pulizie, in certi casi un ambulatorio infermieristico. I miniappar-tamenti, per singoli o per coppie, erano del tutto indipendenti, dotati di cucina, frigo, TV e servizi. Naturalmente ovunque una scrupolosa atten-zione alle barriere architettoniche e alla facile agibilità per il transito delle carrozzine. Quindi libertà assoluta di vivere nel proprio apparta-mento in piena autonomia, e di utilizzare i servizi comuni (e di fruire della solidarietà degli altri ospiti) in caso di bisogno.

Le strutture visitate in Francia e Svizzera erano (e sono tuttora) denomi-nate logements foyers, “residences offrant aux retraités un logement indépen-dant avec possibilité de bénéficier de services collectifs (restauration, blan-chissage, salle de réunion, infirmerie, etc.) dont l’usage est facultatif ”.

Nello stesso periodo - anni settanta - l’emergere del problema residenzia-le per gli anziani e la ricerca di soluzioni che coniugassero libertà/auto-nomia con sicurezza/supporto in caso di bisogno dette vita in vari paesi a iniziative originali come lo sheltered housing nel Regno Unito, abitazio-ni “protette”, molto simili come tipologia ai logements foyers, ma raffor-zate dalla presenza di una figura denominata “warden”, una sorta di “portiere sociale” con compiti di supervisione, coordinamento e suppor-to in caso di bisogno.

Se logements foyers e sheltered houses erano soluzioni indirizzate esplicita-mente alla popolazione anziana con differenti gradi di fragilità, il co-housing nasce in Danimarca sulla spinta di ideali comunitari e ecologisti le cui parole chiave sono: sostenibilità, progettazione partecipata, condi-visione di spazi, attrezzature e risorse, socializzazione e mutualità. All’i-nizio è una tipologia abitativa che attrae giovani coppie, divenendo po-polare in nord Europa e negli USA, e estendendosi nel tempo anche a

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La storia di un“innovativa” soluzione residenziale per anziani

gruppi di anziani, singoli o in coppia.

Alla fine del 1973 presso il Comune di Lastra a Signa fu costituita una commissione incaricata di progettare una soluzione abitativa per anziani con le caratteristiche dei logements foyers osservati nella spedizione guida-ta dal Prof. Antonini. Un paio di anni per preparare il progetto e trovare i finanziamenti: i lavori iniziano nel 1976 e si completeranno nel 1979, anno di inizio dell’attività del Centro Sociale.

La cronistoriaPer descrivere la storia - dalla fondazione ai giorni nostri - del Centro Sociale abbiamo utilizzato il materiale dei documenti prodotti nell’arco di 35 anni. Rapporti con analisi e ricerche pubblicati dall’Amministra-zione Comunale, a testimonianza di una volontà, mai venuta meno nel tempo, di documentare con precisione e rigore il cammino percorso.

1975 - Analisi dei bisogni della popolazione anziana di Lastra a SignaNel periodo maggio-agosto del 1975 fu effettuata un’indagine, attraver-so interviste a domicilio, su 1775 persone di età 60 anni e oltre (un campione molto ampio: il 55% della popolazione anziana di Lastra a Signa). L’indagine - a cura di L. Gambassini, G. Maciocco, A. Passigli e D. Poggesi - mirava a studiare le condizioni socio-economiche e familia-ri della popolazione, la condizione dell’abitazione, lo stato di salute, la richiesta di servizi. Il quadro generale che emergeva era quello di una popolazione prevalen-temente a basso stato socio-economico: il 62,8% apparteneva infatti a un gruppo che dichiarava di avere una pensione mensile inferiore a 100.000 lire, di ricevere uno scarso e nullo aiuto da parte dei familiari, che viveva in abitazioni modeste o scadenti in termini di servizi – telefo-no, riscaldamento, servizi igienici-.Alla domanda se sarebbero stati interessati ad andare a abitare presso il Centro Sociale – in vista della sua realizzazione - la risposta è stata affer-mativa nel 14,9% degli intervistati. Percentuali più elevate nei gruppi

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Gavino Maciocco

più fragili: 38% tra gli anziani che abitavano da soli; 25,7% tra gli anzia-ni che abitavano in case in affitto; 20,1% tra gli anziani che abitavano in case con riscaldamento insufficiente. L’indagine esplorò anche la relazione tra condizioni socio-economiche e stato di salute. Questi i risultati: il 53% degli anziani con reddito alto era in buone condizioni di salute, il 41% in condizioni discrete, e solo il 5,2% in condizioni scadenti. Ben diversa la situazione degli anziani con reddito basso dove soltanto il 26% era in buone condizioni, il 57% in condizioni discrete e il 15% in condizioni scadenti.

1976 - Completamento delle strutture portanti del Centro Sociale. Nell’occasione, il Comune di Lastra a Signa produce un Rapporto a cura di M. Geddes, G. Maciocco e A. Perra, con la presentazione del Sindaco Corrado Bagni (successivamente pubblicato sulla rivista Prospettive so-ciali e sanitarie) in cui, tra l’altro, si legge:

“Il momento della progettazione del Centro Sociale è stato prece-duto da un ampio e approfondito studio da parte degli amministra-tori, urbanisti e operatori sanitari. Un primo quesito si pose: è cor-retto parlare di abitazioni per anziani?Su questo punto non esistono dubbi: quando il nucleo familiare si riduce, quando gli anziani abitano da soli la casa deve avere partico-lari caratteristiche: essere di piccole dimensioni, essere dotata di una serie di accorgimenti che garantiscano il massimo di comodità e di sicurezza per chi vi abita. L’altro quesito fu: è più giusto raggruppare insieme gli appartamen-ti per anziani o disperderli nelle altre strutture abitative? Per l’im-possibilità di trovare in Italia esperienze valide cui fare riferimento, l’attenzione si è necessariamente spostata verso esperienze straniere. Le soluzioni adottate nei paesi esteri sono molto differenziate: vi sono esempi in USA, Svizzera e Finlandia dove vengono raggruppa-ti insieme centinaia di mini-appartamenti; in altri paesi come l’In-ghilterra si è posto un limite di 50 mini appartamenti ammettendo

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la possibilità di mini appartamenti «dispersi». In Danimarca in un primo tempo si rifiutò la concezione di appar-tamenti raggruppati, ma recentemente tale tendenza si è invertita. Questi sono i maggiori benefici degli appartamenti raggruppati. «Appartamenti raggruppati con certi servizi comuni rappresentano una buona soluzione per coloro che desiderano avere minori re-sponsabilità e che necessitano di maggiori cure personali». «Quando i problemi da affrontare vanno oltre quello della ricerca di alcuni accorgimenti che da soli permettono una vita autosufficiente ed al problema degli anni si aggiungono la solitudine e tutta una gamma di necessità che compromettono l’indipendenza e la libertà fisica e psicologica del vecchio, occorre dare qualche cosa di più alla casa descritta. A questo stadio di necessità la casa non può rimanere a sè stante, isolata, sia pure ripetuta nella sua nuova molteplicità di standard attrezzati. Ma deve partecipare ad un sistema organizzato che faccia capo ad un nucleo di servizi comuni».

1984. Viene pubblicato un Rapporto “Il Centro Sociale” ( a cura di S. Barzini, A. Bini, C. Cappellini, Q. Cartei, G. Giacomelli, G. Maciocco, C. Poggi, V, Ragonese, GB. Ravenni, A. Scarafuggi) in cui - nell’intro-duzione del Sindaco, C. Bagni - si legge:

«Il progetto iniziale del Centro era quello di creare una struttura residenziale che rispondesse alle necessità abitative della fascia di popolazione anziana più esposta a rischi di tipo sociale, senza ricor-rere alle classiche soluzioni della casa di riposo o dell’ospizio. Ci si rese ben presto conto che per ottenere questo risultato era necessa-rio che si realizzassero due condizioni fondamentali: - le residenze dovevano essere caratterizzate dal massimo di libertà e di autonomia per chi avrebbe dovuto abitarvi: appartamenti singo-li o doppi dotati di cucina e servizi, un vero e proprio condominio con la possibilità - e non l’obbligo - di fruire di spazi per la vita collettiva;

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- la zona residenziale doveva essere inserita in un contesto più am-pio di servizi aperti a tutta la popolazione.

Il Centro Sociale fu così progettato come centro di servizi integrati: residenze per anziani (con alcuni appartamenti destinati a situazio-ni di emergenza), ristorante, lavanderia, palestra per attività moto-rie di riabilitazione, sedi per ambulatori, per attività amministrative e associazionistiche. Realizzare il progetto, attivare molteplici e differenziati servizi ha richiesto anni di impegnativo lavoro a vari livelli: politico, ammini-strativo, finanziario, tecnico. Abbiamo dovuto adattare il progetto a esigenze nuove che emergevano in corso d’opera: si sono dilatati gli spazi destinati a quelle attività motorie per i giovani che hanno registrato negli ultimi anni un eccezionale incremento, è stata col-locata nel Centro la sede della biblioteca comunale in spazi inizial-mente finalizzati ad altri scopi, per un certo periodo alcuni locali sono stati utilizzati per accogliere classi della scuola elementare.

Oggi possiamo dire di aver conseguito gli obiettivi principali che ci eravamo proposti e aperto nuove prospettive: il Centro Sociale è diventato un riferimento importante per la vita della comunità lo-cale, un punto di aggregazione, anche e soprattutto giovanile, in una nuova zona di espansione residenziale . Una parte del progetto mantiene invece i connotati di una partita aperta: avere strutturato la zona residenziale in miniappartamenti autonomi, collocandoli in un centro di servizi, di per sè attenua ma non annulla i rischi di segregazione, di emarginazione e di depres-sione per chi vi abita. L ‘esperienza di questi anni ci insegna che la tipologia della struttura gioca un ruolo rilevante ma non definitivo: abbiamo imparato che il ‘fattore umano’ è di gran lunga più impor-tante ed essenziale. ‘Fattore umano’ sono i rapporti che si stabiliscono tra gli anziani, la loro capacità di autonoma iniziativa e di partecipazione; è la sensi-

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bilità e la competenza professionale che gli operatori devono posse-dere nell’affrontare processi complessi e delicati come quelli dell’in-vecchiamento di una comunità; è la disponibilità della gente nello stabilire e mantenere legami di solidarietà; è infine la nostra capaci-tà di amministratori di cogliere con la necessaria prontezza i reali bisogni della collettività. Il ‘fattore umano’ non si adotta con regolare delibera, magari si po-tesse... La partita è tutta da giocare: c’è posto e c’è bisogno del con-tributo di tutti. Concludendo, il Centro Sociale ha rappresentato l’occasione di sperimentare un nuovo approccio con le problematiche della terza età che si concretizza nel tentativo di ricostruire quei rapporti uma-ni la cui rarefazione costituisce uno degli aspetti più gravi dell’ “es-sere vecchi”. Il dato rilevante della nostra esperienza è che questo, oltre a essere possibile, è anche economicamente e socialmente van-taggioso rispetto ad uno schema assistenziale in cui non esistono rapporti interpersonali e tutte le contraddizioni si creano e si risol-vono tra singolo ed istituzione. Tuttavia è evidente che la nostra esperienza non può sopperire alle necessità di anziani in stato di dipendenza psico-fisica. Strutture come il Centro sono inadeguate a far fronte a tali problemi, a meno che non vi si prevedano aree protette in cui si invertano i rapporti personale-assistiti e vi si pos-sano fornire cure. Ma anche in questo caso, a nostro avviso, è neces-sario uno stretto rapporto con il proprio habitat sociale e culturale, un solido legame con la realtà del paese o del quartiere.»

1992 - Viene prodotto un nuovo Rapporto dal titolo “La casa comune per gli anziani - Analisi del Centro Sociale di Lastra a Signa” (a cura di A. Bini, S. Fontanelli, D. Gazzarri, L. Landi, G. Maciocco, A. Perra, C. Poggi, F. Rossi Prodi, A. Stocchetti) in cui si esaminano gli aspetti strut-turali/architettonici del Centro e vengono riportati i dati di un’indagine sulla popolazione residente effettuata nel 1990, le cui conclusioni sono le seguenti:

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«Dall’analisi dei dati e dalla valutazione incrociata degli stessi, rite-niamo possibili alcune considerazioni conclusive. l. Il Centro Sociale rappresenta una struttura con un discreto livello di socializzazione interna ed un sufficiente grado di integrazione con il territorio circostante. I motivi di questo risultato sono da ri-cercare nel riferimento territoriale che ha regolato e regola le am-missioni, nella omogeneità dello status sociale, nella omogeneità di condizioni psicofisiche. Questi elementi consentono uno sviluppo interno della struttura, su interessi comuni, su possibilità di dialogo su temi comuni, sulla riscoperta di vissuti riferibili a situazioni per-sonali e sociali simili. Questo elemento di omogeneità è importante in quanto evita divisioni sull’appartenenza, riscontrabili spesso in strutture comunitarie alle quali si accede in età avanzata, e consente la produzione di iniziative programmate e basate sul consenso, ma sopratutto il recupero e/o l’acquisizione di comportamenti impron-tati alla solidarietà 2. Emerge dall’esame dei dati un apprezzamento da parte degli an-ziani della condizione di totale libertà in cui vivono all’interno del Centro Sociale. La struttura pertanto è al servizio dell’individuo che rimane prota-gonista assoluto della propria vita. Tale condizione è raramente riscontrabile nelle strutture tradizio-nali ove invece la presenza degli anziani è funzionale ai ritmi e alle esigenze della gestione. 3. La valutazione dei motivi che hanno determinato la scelta per gli ospiti di lasciare la precedente abitazione sono per la quasi totalità riferibili alle condizioni igienico - ambientali della casa ed alle diffi-coltà derivanti dalla presenza di barriere architettoniche. In tal sen-so appare evidente come il Centro Sociale abbia risposto più a pro-blemi che riguardano l’ambiente che a problemi che riguardano la persona.Dalla valutazione della struttura che viene fatta dagli anziani preva-le, a conferma li quanto sopra, un apprezzamento degli aspetti con-

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nessi all’ambiente interno e ai servizi. In tal senso appare anche evidente come un miglioramento delle condizioni ambientali, ma sopratutto la possibilità di usufruire di servizi essenziali in modo facile e adeguato alle difficoltà personali, riduce notevolmente il grado di dipendenza dell’ anziano. Quest’a-spetto tuttavia apre una riflessione sul rilievo che, in una politica dei servizi tesa a valorizzare il più possibile il mantenimento delle persone nel proprio ambiente, deve avere l’intervento volto ad eli-minare nei luoghi di vita quotidiana degli anziani, e non solo, tutti quegli aspetti dell’ambiente (casa) che riducono i margini dell’au-tosufficienza. Dai risultati dell’indagine emerge chiaramente come il Centro So-ciale abbia rappresentato, sopratutto per le persone sole, I’unica alternativa esistente. Occorre tenerne conto e, là dove è possibile, è necessario risolvere nel luogo di abitazione quei problemi che oggi gli intervistati hanno risolto nel Centro Sociale. »

Dai dati della ricerca emerge, tra l’altro, che:

«Poco meno della metà dei residenti deI Centro Sociale (47,9%) si trova in condizione di completa autonomia fisica, la restante parte (52,1%) registra gradi variabili di dipendenza: ciò richiede la pre-senza di un adeguato supporto assistenziale, domestico e infermie-ristico. Nessun caso tuttavia ha superato, nella Scala di dipenden-za-autonomia di Delcros e Lanoe, il punteggio di 65, espressione di un grado grave di dipendenza». È osservazione comune che le persone non autosufficienti di vario grado rimangono all’interno del Centro Sociale grazie a un’efficace rete di supporti e relazioni (familiari, vicini, assistenti domestiche del Centro, personale in-fermieristico del Distretto), e che sono assolutamente rari i casi di ricoveri in RSA, mentre i decessi dei residenti avvengono all’inter-no del Centro o in ospedale al termine di una fase acuta di dipen-denza terminale.»

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2005. L’Amministrazione Comunale decide di avviare una riflessione pubblica sull’esperienza e sul ruolo del Centro Sociale, per fare un bi-lancio di trent’anni di attività e individuare le prospettive future. Oltre al Dipartimento di Sanità pubblica dell’Università di Firenze viene coin-volto nell’iniziativa il Dipartimento di Sociologia della stessa Università. In due anni e mezzo di lavoro – con la collaborazione di un gruppo studenti universitari di Lastra a Signa – viene raccolto e selezionato il materiale storico-documentale disponibile e vengono intervistati i resi-denti del Centro Sociale e tutti coloro che – a vario titolo: amministra-tori, gestori, operatori, medici curanti, infermieri, etc. – hanno “vissuto” l’esperienza del Centro Sociale. Viene sentita anche la voce di chi sta “fuori” dal Centro Sociale per valutare la percezione della popolazione generale sulla struttura .

Al termine di questa ricerca viene organizzato un convegno “Il Centro Sociale. Un patrimonio della comunità” (7 novembre 2008), di cui vengono pubblicati gli atti.

Dall’intervento di Nedo Baracani, professore di Sociologia, (vedi anche la sua Postfazione a pag. 169) riportiamo i seguenti significativi passi:

«Le storie che ci sono nelle interviste delle varie persone sono molto interessanti: oggi non c’è tempo di andare a fondo su questo, ma dovranno in qualche modo essere rese disponibili perché c’è un altro passo da fare, e cioè trasformare il Centro Sociale in qualche cosa che svolga un ruolo pubblico più ampio. La memoria è una dimensione di grande rilevanza perché ci fornisce identità, perché lega le genera-zioni l’una all’altra, perché ci permette di riflettere e valutare.Quando abbiamo preso in mano per la prima volta l’insieme delle persone che sono transitate da qui, e siamo andati a vedere quanto c’erano state, gli eventi che erano avvenuti durante il corso della loro permanenza, come e dove è avvenuto il decesso, quale era l’età in cui avveniva la perdita e la diminuzione dell’autosufficienza, ecco qui ci

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siamo resi conto di quanto era prezioso tale materiale: prezioso non soltanto per noi, per il Comune, ma di interesse veramente generale.

Come si è tenuto in piedi il Centro Sociale e cosa succederà nel fu-turo? Nei primi trent’anni si è tenuto in piedi per l’impegno delle persone in modo quasi automatico, nel senso che questa comunità ha avuto una sua continuità nel tempo, ha mantenuto la sua struttu-ra, ma non credo che ci possa fidare di questo, cioè l’orizzonte cultu-rale del Centro Sociale andrà ripensato secondo i cambiamenti de-mografici, sociali, culturali che stanno avvenendo. E cito solo una cosa: il successo di questa struttura dipende dal fatto che, con quat-tro persone, si fa funzionare una struttura molto complessa, perché si mantengono i legami con le famiglie di provenienza, ed è su quel fronte che bisogna fare un lavoro estremamente importante. Sono però già apparse le famiglie che scelgono di comprare sul mercato l’assistenza e di fornirla all’interno del Centro: il futuro è già comin-ciato, ed è cominciato come avviene spesso cioè senza che nessuno lo decida: i comportamenti dei singoli fanno emergere i fenomeni. E vengo all’ultimo punto di questa riflessione. Siamo di fronte a un modello. Guardate che è una pretesa grossa proporsi come modello, impegnativa, nel senso che noi possiamo offrire ad un pubblico la considerazione di risultati raggiunti, ma se sviluppiamo la pretesa che sia un modello, dobbiamo anche saper indicare con precisione le condizioni in cui questo modello può funzionare; quindi probabil-mente è un modello che potrà essere replicato solo in certe realtà, proprio perché si basa sull’unione di risorse pubbliche, di risorse vo-lontarie, di risorse professionali ma al fondo c’è sempre la famiglia.»

ConclusioneIl Centro Sociale nasce dalla volontà di dare una risposta assistenziale pubblica a una fascia di popolazione anziana “fragile” dal punto di vista economico e della condizione abitativa e familiare. Si deve tener conto

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che all’epoca della sua nascita - anni 70 - molti anziani del Comune di Lastra a Signa vivevano in aree rurali, in casolari privi il più delle volte di riscaldamento, telefono, bagno; inoltre non era passato molto tempo dalla terribile alluvione dell’Arno del 1966 che aveva inondato il centro storico della cittadina, rendendo poi precaria l’abitabilità di molti fab-bricati. Di questa situazione erano gli anziani il gruppo che aveva più sofferto. La condizione di autosufficienza fisica era un requisito per poter fare la domanda di ammissione al Centro Sociale, ma molte situazioni erano “borderline”: per esempio un anziano con una grave artrosi, con annessi problemi della deambulazione, era “non autosufficiente” nella casa di origine, abitando al 3° piano di una casa senza ascensore, ma diventava “autosufficiente” all’interno del Centro Sociale, semplicemente affidan-dosi all’uso del bastone. Inoltre l’autosufficienza non era richiesta a una persona che entrava al Centro Sociale con il coniuge, perché in questo caso il coniuge stesso si sarebbe fatto carico del suo necessario supporto nello svolgimento delle attività quotidiane.

Tuttavia la questione di come il Centro Sociale potesse affrontare le si-tuazioni di perdita temporanea o permanente della non autosufficienza dei residenti diventò ben presto oggetto di discussione, come emerge chiaramente da un passo dell’introduzione del Sindaco Bagni (Rappor-to 1984): “È evidente che la nostra esperienza non può sopperire alle neces-sità di anziani in stato di dipendenza psico-fisica. Strutture come il Centro sono inadeguate a far fronte a tali problemi, a meno che non vi si preveda-no aree protette in cui si invertano i rapporti personale-assistiti e vi si pos-sano fornire cure.”

In sostanza, si temeva che il Centro Sociale non fosse in grado di garan-tire l’assistenza degli anziani quando questi perdessero l’autosufficienza e si prospettò l’ipotesi di creare all’interno del Centro delle “aree protet-te” dotate di un numero maggiore di personale per rispondere in manie-ra adeguata ai maggiori bisogni emergenti.

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La risposta al problema posto nel 1984, ovvero agli inizi dell’esperienza del Centro Sociale, la troviamo qualche anno dopo, nel Rapporto del 1992 dove si afferma: “Poco meno della metà dei residenti del Centro So-ciale (47,9%) si trova in condizione di completa autonomia fisica, la restan-te parte (52,1%) registra gradi variabili di dipendenza: ciò richiede la pre-senza di un adeguato supporto assistenziale, domestico e infermieristico. È osservazione comune che le persone non autosufficienti di vario grado ri-mangono all’interno del Centro Sociale grazie a un’efficace rete di supporti e relazioni (familiari, vicini, assistenti domestiche del Centro, personale infer-mieristico del Distretto), e che sono assolutamente rari i casi di ricoveri in RSA, mentre i decessi dei residenti avvengono all’interno del Centro o in ospedale al termine di una fase acuta di dipendenza terminale”.

Ciò che ha consentito a una consistente parte di residenti con problemi di autonomia, insorti a causa di malattie o semplicemente a causa della senescenza, di rimanere all’interno del Centro Sociale non è stata - for-tunatamente - la creazione di un’area “protetta”, né un incremento del personale di assistenza. Con le risorse “interne” al Centro Sociale si è fatto fronte alla vera sfida di una residenza per anziani del modello “loge-ments foyers/ sheltered housing”, quella di garantire la permanenza dei re-sidenti con crescenti problemi di autonomia, in condizioni di libertà.

Se - come sta emergendo nel dibattito scientifico - la salute è in primo luogo “la capacità di adattarsi e autogestirsi”(“La salute non è un’entità fissa. Essa varia per ogni individuo in relazione alle circostanze. La salute è definita non dal medico, ma dalla persona, in relazione ai suoi bisogni fun-zionali”), anche il concetto di autonomia varia in relazione alle circo-stanze, alle caratteristiche dell’ambiente, al supporto dei servizi alla per-sona, alle relazioni affettive e di aiuto solidale.

Il Centro Sociale di Lastra a Signa - a costi assolutamente sostenibili (vedi successivo contributo di L. Biotti) - è riuscito a creare le condizioni di sufficiente autonomia per decine di persone che in altre circostanze

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sarebbero state condannate al ricovero in RSA, grazie alle risorse del “sistema”: l’assenza di barriere architettoniche, la possibilità di fruire di servizi comuni, l’aiuto domestico di quattro bravissime operatrici, l’in-tervento di personale infermieristico e riabilitativo del distretto, l’aiuto solidale dei vicini, il ruolo dei medici di famiglia, la presenza delle fami-glie e di eventuali “aiutanti”, e - infine - la volontà politica dell’Ammini-strazione Comunale che nell’arco di più trent’anni - pur con diverse sfumature - ha assicurato la necessaria attenzione e l’indispensabile so-stegno economico, garantendo nel contempo la presenza di coordinato-ri sociali capaci, competenti e appassionati.

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Il Centro Sociale di Lastra a Signa si configura come un esempio di con-dominio solidale, di co-housing community pubblica, rivolto ad anziani autosufficienti, la cui organizzazione e gestione consente loro di rimane-re presso la propria abitazione il più a lungo possibile.Una struttura costituita da 61 mini-appartamenti, 21 doppi e 40 singo-li, ed inserita in un complesso che accoglie anche una scuola materna, una biblioteca e un asilo nido comunali, una mensa cui tutti possono accedere liberamente, le sedi di varie associazioni, tra cui l’AUSER, gli uffici comunali dei Servizi alla persona; collocata oltretutto in un’area altamente urbanizzata e nei pressi di un centro commerciale.

1. Come si diventa residenti del Centro SocialeL’organizzazione e la gestione trovano fondamento nel Regolamento di gestione del Centro Sociale, così come recentemente modificato con deliberazione del consiglio comunale n. 27 del 03/05/2011, e n. 24 del 05/06/2012, che determina le linee guida del funzionamento e rappre-senta uno strumento di trasparenza di gestione, che nel tempo viene sottoposto a revisioni ed aggiornamenti in base alle nuove esigenze so-cio-demografiche; consultabile sul sito internet del Comune http://www2.comune.lastra-a-signa.fi.it/centrosociale.

Il Centro è nato per fornire un’abitazione stabile ad anziani con situazio-ni di fragilità socio-economica e quindi esposti più di altri agli effetti negativi di un invecchiamento in condizioni precarie e al conseguente rischio di istituzionalizzazione.

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L’assegnazione degli appartamenti avviene attraverso un bando che il Comune redige annualmente, aperto per 60 giorni, in seguito al quale viene pubblicata una graduatoria degli aventi diritto, con validità an-nuale. I requisiti di accesso richiesti dal Regolamento di gestione sono: un’età superiore ai 65 anni, la condizione di autosufficienza, la residenza nel territorio comunale, un reddito annuo che non superi quello previ-sto per l’accesso agli alloggi ERP ed un ISEE estratto inferiore ai 20.000 euro, non essere proprietari o comproprietari e non esserlo stati negli ultimi 3 anni di alcuna proprietà in misura maggiore al 30%, non essere usufruttuari.Il punteggio finale assegnato ad ogni richiedente, sulla base di quanto predisposto dal regolamento, tiene in considerazione l’età anagrafica, gli anni di residenza nel Comune di Lastra a Signa, la presenza/assenza dei figli, le condizioni abitative della persona (documentate con certificazio-ni di inabitabilità, di locali impropriamente adibiti ad abitazione, anti-gienicità, preavviso di sfratto, sfratto esecutivo), l’incidenza del canone di locazione sul reddito percepito, il rapporto tra il reddito ed il minimo vitale, ed infine le condizioni di solitudine con rischio di emarginazione e le situazioni con elevato disagio socio-familiare, valutate e supportate con relazione del Servizio Sociale Professionale, che realizza quindi l’in-tera fase istruttoria, di analisi delle domande, acquisizione della docu-mentazione, valutazione dei requisiti, calcolo del punteggio, ed elabora-zione della graduatoria.

Il gruppo di lavoro che opera all’interno è dipendente del Comune di Lastra a Signa ed è composto dal responsabile della struttura nella figura del funzionario dei servizi alla persona, da un coordinatore assistente sociale, e da quattro assistenti domiciliari: è garantita la copertura del personale, dal lunedì al sabato, dalle ore 8.00 alle ore 19.30.

2 - Comitato di gestione del Centro Sociale Il comitato di gestione è un organo consultivo dell’amministrazione co-munale che collabora nella gestione del CS, con la finalità di garantire

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Organizzazione e funzionamento del Centro Sociale

una gestione partecipata della struttura esprimendo pareri e proposte, attraverso collaborazioni con le organizzazioni sociali del territorio, per consentire la massima integrazione con la realtà sociale circostante; co-stituito da: Assessore alla sicurezza sociale che lo presiede, responsabile dei servizi alla persona del Comune o suo delegato, assistente sociale del Comune: coordinatore sociale del CS, responsabile sanitario della ASL 10 (distretto Scandicci - Lastra a Signa), rappresentante degli operatori sociali del centro, da essi designato, sei membri designati dal Consiglio Comunale, di cui due designati dalla minoranza consiliare, due rappre-sentanti degli anziani residenti, da un rappresentante del sindacato pen-sionati, designato dal sindacato unitario, da un rappresentante delle as-sociazioni di volontariato sociale presenti sul territorio.

Ogni incontro viene verbalizzato, dal personale amministrativo predi-sposto.

3. Elementi essenziali per il buon funzionamento della strutturaIl funzionamento della struttura avviene attraverso essenziali elementi cardine, inscindibili e strategicamente organizzati, che sono: a) Servizio sociale professionale; b) Misure di contrasto alla povertà; c) Interventi a promozione della permanenza presso il proprio domicilio; d) Attività di socializzazione.

3.1 Il Servizio Sociale Professionale.Si realizza attraverso il coordinamento da parte dell’assistente sociale, di-namico ed integrato, di concerto con l’agire delle assistenti domiciliari, ed esercita azioni di informazione, monitoraggio, predisposizione di proget-ti individualizzati di intervento, raccordo ed integrazione con le figure sanitarie di riferimento, con gli altri servizi pubblici e privati (terzo setto-re), con le famiglie, promozione reti di auto aiuto tra i residenti del cen-tro, gestione dell’ingresso della persona, della permanenza e dell’uscita (passaggio in RSA, ritorno in famiglia, decesso). La strategia di intervento operativo segue linee generali, riconducibili al metodo “problem solving”, che di volta in volta vengono adattate alla situazione da affrontare: linee

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generali che hanno un andamento di circolarità che va dall’osservazione, alla rilevazione, alla valutazione, all’elaborazione di un progetto assisten-ziale personalizzato, alla realizzazione/implementazione del progetto, fino all’osservazione dei risultati ed alla verifica degli stessi. Un circuito continuo, che pone al centro la persona, con diritti, volontà, desideri, e che si conclude soltanto con l’uscita dal CS per decesso, trasferimento in RSA o per rientro a casa dei parenti. Come ampiamente descritto in uno dei capitoli della ricerca, una larga maggioranza dei residenti del CS con-clude la propria esistenza nel proprio appartamento. Il processo di valutazione ha inizio “alle origini” ovvero dal momento in cui la persona presenta domanda di accesso al centro.Sinteticamente, fin dall’ingresso la persona viene “osservata”, nei se-guenti ambiti: a) Nella cura di sé (alimentazione, corretta assunzione farmaci, cura del proprio aspetto...) e del proprio ambiente di vita; b) Nelle relazioni con gli altri (parenti, altri residenti, operatori etc.); c) Nel livello di partecipazione.

Eventuali variazioni in una (o più) di queste sfere di vita, può significare che qualcosa sta cambiando e dall’osservazione è possibile effettuare una mappatura delle risorse (personali, di carattere sociale, sanitario, econo-mico, etc...) che contribuisce alla definizione di una strategia di inter-vento. La presenza o meno dei figli è una variabile importante del pro-getto individualizzato, in quanto determina un differente livello d’inter-vento delle assistenti domiciliari. Concretamente, di fronte all’evento critico sanitario, le prime valutazio-ni riguardano le risorse appena citate, da considerare in relazione alle caratteristiche di quanto accaduto, con la finalità di creare una rete di aiuto o di incrementare quella già esistente, intorno e con la persona, la cui volontà, sta alla base di ogni valutazione possibile.La rete è costituita quindi dalla persona (che sproniamo e sosteniamo ad aiutarsi da se’, affinchè possano essere mantenute le proprie capacità il più a lungo possibile) dai familiari, dal vicinato, dalle figure amicali, dall’assistente sociale, dalle assistenti domiciliari del centro, dal medico

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di base e da altri specialisti se ci sono, dagli infermieri, dai fisioterapisti, dalle associazioni di volontariato, etc. … tasselli organizzati e raccordati, ognuno con il proprio ruolo e con le proprie funzioni.

Nella quotidianità tra l’assistente sociale coordinatrice e i quattro assi-stenti domiciliari (di cui uno ha compiti di referente), circola un conti-nuo scambio di informazioni e questo permette di rispondere tempesti-vamente anche a bisogni improvvisi.Periodicamente si svolgono riunioni di équipe, durante le quali vengono trattate in maniera meticolosa ed attenta le situazioni oggetto dell’ordine del giorno, con l’obiettivo di pianificare il possibile intervento nell’am-bito del piano assistenziale personalizzato.Teoria e pratica si incontrano in maniera funzionale ed attiva, e per rispondere al meglio ai bisogni delle persone, è necessario che gli assi-stenti domiciliari siano dotati di competenze più educative che assi-stenziali, attraverso un agire fatto di intelligenza emotiva e sociale: una marcia in più per comprendere e comprendersi in relazione agli altri, che permette di collegare conoscenze-emozioni-azioni nel circuito del processo di aiuto.

3.2 La realizzazione di misure di contrasto alla povertà.Il CS rappresenta una misura di contrasto alla povertà, e anche gli inqui-lini intestatari di una pensione minima possono condurre una vita digni-tosa. I residenti pagano mensilmente “una compartecipazione alle spese”, comprensiva delle utenze (acqua, luce, metano, tassa sui rifiuti, etc.) che va da un minimo di 70 euro circa per un appartamento singolo, ad un massimo di 200 euro circa per un doppio: di fatto il calcolo della com-partecipazione avviene sulla base del reddito percepito dalla persona.

3.3 L’attivazione di interventi a promozione della permanenza presso il proprio domicilio.L’obiettivo primario consiste nel fare in modo che la persona, anche in presenza di una perdita di autonomia, possa rimanere a casa propria il

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più a lungo possibile, preferibilmente fino alla fine, nel rispetto della sua volontà: i piani assistenziali personalizzati, e gli interventi che ne realiz-zano le finalità, ruotano intorno a questa “volontà”. I progetti indivi-dualizzati possono prevedere l’assistenza di base, il sostegno per l’assun-zione di terapie farmacologiche, il raccordo con i familiari, l’impulso della creazione di reti di auto aiuto, ed il monitoraggio attento e non intrusivo, che permette di raccogliere le informazioni necessarie alla re-alizzazione degli interventi.

3.4 La socializzazione.Il CS è una struttura nel territorio e del territorio, intesa come parte in-tegrante e luogo di vita e socialità. Al fine di promuovere un rapporto sinergico con l’esterno, durante l’anno, vengono organizzate attività di socializzazione, eventi culturali, cene e spettacoli, ai quali, sia i residenti che tutti gli altri cittadini, accedono liberamente. La programmazione viene redatta in collaborazione con la Consulta del volontariato, organo dell’ associazionismo locale, che volontariamente e gratuitamente con-tribuisce in termini di organizzazione di spettacoli ed iniziative. Annual-mente vengono redatti due calendari, pubblicizzati con manifesti e bro-chure, uno per il periodo invernale e l’altro per quello estivo: tra le atti-vità emergono il corso di cucina, il gruppo del cucito denominato l’“Arte del cucito” (i cui proventi dalla vendita degli articoli realizzati, vengono totalmente devoluti in beneficenza), incontri culturali, proiezioni setti-manali di film, spettacoli teatrali, cene e merende, etc. Programmazioni che coinvolgono gli anziani anche nell’organizzazione e che offrono l’opportunità di impiegare il tempo in attività collettive, socialmente utili, e tali da apportare un beneficio sia individuale che per tutta la co-munità.

4. La vita quotidiana al Centro Sociale.L’inquilino del CS vive la propria quotidianità con la totale autonomia e libertà di scelta di chi abita presso casa propria: ogni singolo apparta-mento è dotato di un bagno e di un angolo cottura, e non esistono orari

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Organizzazione e funzionamento del Centro Sociale

uguali per tutti, dettati ad esempio da una cucina comune. Gli apparta-menti sono arredati dagli assegnatari al momento dell’ingresso, e spazi consentiti, spesso vengono traslocati alcuni mobili dalla precedente abi-tazione; è possibile per chi lo desidera, apportare piccole migliorie am-bientali, purchè autorizzate dalla direzione dei servizi tecnici del Comu-ne: questo agevola il “cambiamento” o “passaggio” ad una nuova situa-zione di vita. In merito alla conduzione ed al mantenimento dell’appar-tamento, il regolamento di gestione distingue la manutenzione straordi-naria da quella ordinaria, rimettendo quest’ultima a carico dell’assegna-tario, salvo esplicita deroga richiesta dal servizio sociale competente.

Di fatto, poste le regole di buona convivenza civile, vige la piena libertà di scelta sul come impiegare il proprio tempo; da questo punto di vista, osservare le loro vite permette di rilevare come poco differiscono da quel-le degli anziani in generale, che vivono l’età della pensione occupandosi ad esempio dei propri nipoti e degli hobby preferiti. Alcuni partecipano in maniera attiva alle attività proposte, altri scelgono, o hanno, interessi diversi. Nel periodo estivo i corridoi sono ulteriormente rallegrati dalla presenza dei nipotini, e durante tutto l’anno figli, parenti e amici vengo-no a pranzare o a cenare dal genitore o dall’amico che vive al centro. Gli spazi comuni sono ampi, e rappresentano zone di aggregazione per chi non ha la possibilità o il desiderio di uscire. Può capitare che vengano utilizzati per la realizzazione di feste, cene o spettacoli teatrali, quando le condizioni metereologiche non consentono di allestire l’esterno.

5. I costi. Una soluzione sostenibileI costi di gestione sono costituiti dalle seguenti voci: manutenzioni (re-lative alla manutenzione straordinaria degli ascensori, alle opere mura-rie, alle imbiancature, etc.), utenze (CONSIAG, energia elettrica, ac-qua), personale (responsabile dei servizi alla persona per il 6% dell’orario di lavoro, assistente sociale coordinatrice per il 50%, 3 assistenti domi-ciliari al 100%, una collaboratrice esterna dipendente di cooperativa di servizio al 50%), pulizie (cooperativa di servizio), riassumibili attraverso

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Leonora Biotti

la seguente tabella inerente l’anno 2012:

Descrizione Costi  anno  2012 Entrate  anno  2012

Manutenzioni 31.000,00  euro

Utenze 98.962,00  euro

Personale 125.592,90  euro

Pulizie 17.589,06  euro

Compartecipazione  residenti 100.509,50  euro

Totale 273.143,96  euro 100.509,50  euro

La differenza tra i costi sostenuti dal Comune, e le entrate percepite dal-le compartecipazioni dei residenti, per l’anno 2012 è di 172.634,46 euro, che se suddiviso per il numero dei residenti nello stesso anno, ov-vero 70 persone, porta ad ottenere un risultato di 2.466,2 euro come “costo” sostenuto per ognuno di loro.

6. ConclusioniIl Centro Sociale in questi trent’anni è stato in grado di affrontare i cam-biamenti socio-demografici della società, adeguando la propria organiz-zazione ai nuovi bisogni della persona anziana, ponendosi come misura di contrasto a fenomeni di disagio sociale, e nello specifico come filtro efficace rispetto al ricovero in RSA; un esempio significativo di politica dell’abitare, non solo per una valutazione delle risposte individuali da un punto di vista umano e sociale, rispetto ad una comunità organizzata, ma anche per una dimostrazione di efficacia del nostro modello residen-ziale, dell’approccio metodologico e del sistema delle relazioni. Il Centro Sociale testimonia il ruolo prezioso che strutture orientate al manteni-mento dell’autonomia abitativa, al condominio solidale con minimi (ma qualificati) livelli di assistenza, all’interazione con il contesto sociale e con le altre risorse territoriali, possono svolgere - a costi assolutamente sostenibili - rispetto alle tradizionali soluzioni istituzionalizzanti.

La ricerca sulCentro Sociale

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Un nuovo modello di residenzialità degli anziani è possibile.Gli obiettivi di una ricerca indipendente.

Leonora Biotti e Gavino Maciocco

Quando, nel lontano 1973, l’Amministrazione Comunale di Lastra a Signa decise di portare avanti il progetto di “Centro Sociale” era ben consapevole di aver intrapreso una strada nuova, di avere di fronte una sfida che richiedeva un impegno “diverso” dalla normale routine della gestione di una comune struttura: ciò che si stava realizzando era non solo una nuova struttura, ma una nuova idea di abitare, rivolta a una popolazione anziana, fragile dal punto di vista socio-economico.Un’idea di abitare, e anche di assistere, basata non sulla costrizione (clas-sico modello dei vecchi ospizi e delle più moderne residenze sanitarie assistenziali - RSA), ma sulla libertà, sulla adattabilità, sulla partecipa-zione e sulla condivisione.

Le Amministrazioni Comunali che si sono succedute nel tempo – con i rispettivi Sindaci e Assessori ai servizi sociali – hanno avuto sempre ben presente la portata di questa sfida e per questo hanno dedicato le miglio-ri risorse per la gestione del Centro Sociale. Hanno anche deciso di ren-dere questo “esperimento” visibile dall’esterno e verificabile. Ne sono prova le molte pagine del registro di coloro che da varie regioni d’Italia e anche dall’estero sono venuti a visitarlo, e soprattutto le ricerche e le valutazioni che periodicamente sono state svolte da parte di équipe mul-tidisciplinari.

Ad ogni occasione la domanda è stata sempre la solita: può il Centro Sociale rappresentare un nuovo modello di residenzialità per anziani, una soluzione alternativa al modello “costrittivo” delle RSA?

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Leonora Biotti e Gavino Maciocco

Soluzione “alternativa” non nel senso di sostituire un modello lungode-genziale che può avere un’effettiva ed indiscutibile utilità per pazienti che necessitano di alti livelli di intensità assistenziale (un esempio classi-co: le forme molto gravi e terminali di demenza). Soluzione “alternati-va”, invece, nel senso di distinguersi dal modello assistenziale costrittivo caratterizzato da una struttura rigida - tipica delle strutture di degenza simil-ospedaliera - a cui si devono necessariamente piegare gli ospiti. Alternativo perché si basa sulla libertà, sulla adattabilità e sulla parteci-pazione, in quanto :1) La persona che ha “perso” qualcosa, e per esempio comincia ad avere problemi nella deambulazione, trova all’interno del Centro Sociale le condizioni per adattarsi alla nuova condizione e quindi per mantenere ampi margini di autonomia; 2) Il Centro Sociale è stato ideato per offrire risposte ai mutevoli bisogni delle persone che vi abitano e l’ organizzazione interna - nell’arco di 32 anni - è rimasta fedele all’idea originaria, creando di volta in volta, per-sona per persona, le condizioni che consentano di continuare a vivere all’interno del Centro, pur in presenza di gravi forme di disabilità, fino all’ultimo istante della vita; 3) chi vive al Centro ha la possibilità di “partecipare”, ad aspetti fonda-mentali della vita: al proprio progetto assistenziale personalizzato, che viene concordato e condiviso con la stessa e non “imposto” da una situa-zione strutturale, organizzativa e socio- abitativa; ad una vita di socialità potendo oltretutto scegliere di contribuire anche ad attività di solidarie-tà, mettendo a disposizione della comunità tempo e conoscenza; ad una vita di relazioni sociali ed amicali, fatte di reciprocità, aiuto e sostegno.

Gli attori e i contenuti della ricercaLa ricerca oggetto di questa pubblicazione è diversa dalle precedenti, perché avvalendosi di un finanziamento regionale collegato al progetto “Centro Studi, ricerca e formazione sulla qualità della vita per anziani”, è stata interamente affidata a soggetti indipendenti: Università di Firenze e Fondazione Michelucci. Per l’Università di Firenze hanno contribuito

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Un nuovo modello di residenzialità degli anziani è possibile

il Dipartimento di Sanità Pubblica (che ha svolto il compito di coordina-mento), la sezione di Geriatria del Dipartimento di Medicina Sperimen-tale e Clinica, il Laboratorio StaRSE del Dipartimento di Statistica.

Gli ambiti di ricerca sono stati i seguenti:1. Un’indagine retrospettiva che ha esaminato la storia di 197 persone

che dal 1979 al 2011 sono “uscite” dal Centro Sociale o perché de-cedute, o perché trasferite in RSA o perché tornate nelle case dei propri parenti. La domanda cui questa parte della ricerca ha cercato di rispondere è stata: il Centro Sociale è riuscito a svolgere la fonda-mentale funzione di mantenere più a lungo possibile l’autonomia delle persone residenti e quindi di consentire loro di vivere (e alla fine anche di morire) all’interno del Centro Sociale pur in presenza di malattie e disabilità anche gravi?

2. Un’indagine di carattere geriatrico sugli attuali residenti del Centro Sociale per valutarne lo stato di salute e i livelli di autonomia. Ogni residente è stato sottoposto ad una valutazione standardizzata dell’au-tonomia, del livello cognitivo globale, del tono dell’umore, della per-formance degli arti inferiori, della presenza di malattie croniche e della qualità della vita legata allo stato di salute. Quanta parte degli anziani attualmente residenti hanno importanti problemi di salute e autonomia? Il Centro Sociale oggi è in grado di rispondere a questi bisogni?

3. Un’indagine di carattere sociale sulla qualità della vita dei residenti. L’attenzione è stata posta in particolare sul benessere soggettivo per-cepito dei residenti del Centro, sulla loro soddisfazione nei confronti di differenti aspetti della propria vita, e sul tentativo di capire se essi percepiscono, in che misura e in che modo, i vantaggi che risiedere al Centro Sociale comporta.

4. Un’indagine di carattere architettonico e urbanistico, con due diffe-renti finalità: a) Proposta di interventi leggeri di rinnovamento della struttura e di riprogettazione di alcuni elementi spaziali al fine di migliorare la qualità abitativa del complesso e rafforzarne il carattere

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Leonora Biotti e Gavino Maciocco

di urbanità; b) Descrizione e analisi di esperienze innovative condot-te sul piano internazionale e nazionale sul tema dell’abitare anziano.

Ogni braccio della ricerca ha avuto obiettivi propri e ha conseguito pro-pri risultati, producendo una rilevante quantità di dati e di documenta-zione, a disposizione di chiunque desideri approfondire e analizzare le varie tematiche. Ciò che emerge come dato complessivo è il fatto che l’idea originaria era non solo valida ed intraprendente, ma soprattutto lungimirante. La ri-cerca dimostra che un nuovo modello di residenzialità degli anziani non solo è possibile, ma anche auspicabile e sostenibile. Forse assolutamente necessario.

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Ricerca retrospettiva. La storia di 197 persone

Giacomo MazzoniDipartimento di Sanità Pubblica, Università di Firenze

SommarioLa ricerca si è basata sull’indagine retrospettiva sugli anziani che dall’an-no della sua apertura, il 1979, al 2011 sono usciti dal Centro Sociale (CS). Si tratta di 197 residenti che sono entrati, hanno avuto una per-manenza all’interno più o meno lunga e, infine, sono usciti, perchè de-ceduti all’interno della struttura o in ospedale, ma restando sempre in carico al CS; oppure sono stati trasferiti in strutture come le RSA o sono rientrati in famiglia. La ricerca vuole rispondere alla seguente domanda: il CS è riuscito a svolgere la fondamentale funzione di mantenere più a lungo possibile l’autonomia delle persone residenti e quindi di consen-tirgli di vivere (e alla fine anche di morire) all’interno del CS pur in presenza di malattie e disabilità anche gravi? La risposta è che il CS ha funzionato - come prevedeva il progetto iniziale - come un condominio solidale dove persone in condizioni socio-economiche svantaggiate han-no potuto vivere con dignità e libertà gli ultimi anni della loro esistenza anche in presenza di malattie gravi e di severe disabilità.

1. IntroduzioneIl Centro Sociale (CS) è stato edificato con il fondamentale obiettivo di offrire ai cittadini del Comune di Lastra a Signa una soluzione abi-tativa dignitosa, adatta ai bisogni di una popolazione anziana in con-dizioni di fragilità (sociale, economica, familiare, ambientale), a un costo sostenibile.

I criteri per accedere agli appartamenti del CS erano infatti i seguenti:

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Giacomo Mazzoni

- Aver superato il 60esimo anno di età alla data di presentazione della do-manda.- Risiedere nel Comune di Lastra a Signa negli ultimi tre anni dalla data di presentazione della domanda.- Essere fisicamente e psichicamente autosufficiente.- Fruire di un reddito annuo non superiore a quanto previsto per l’assegna-zione degli alloggi popolari.

Criteri che sono rimasti sostanzialmente invariati fino ad oggi, eccetto il primo che è stato modificato nel 2001, innalzando i requisiti dell’età a 65 anni.

La condizione di autonomia è indispensabile per poter accedere al CS, tenendo presente che la condizione di “autonomia” di una persona è sempre il risultato dell’incontro delle condizioni psico-fisiche e sociali di quella persona con le risorse umane, fisiche e sociali dell’ambiente in cui essa vive. Per questo il CS fu progettato per rendere quell’ambiente ricco di risor-se, per mantenere più a lungo possibile l’autonomia delle persone, per aiutarle nei momenti di difficoltà, temporanei o prolungati, continuan-do a vivere in piena libertà nella propria abitazione.

Gli elementi che nella progettazione del CS hanno consentito di realiz-zare questo obiettivo sono i seguenti:

1. La mancanza di barriere architettoniche in ogni spazio della struttu-ra. Anche all’interno degli appartamenti sono stati adottati accorgi-menti per facilitare la vita delle persone con possibili handicap (esem-pio: ogni spazio è accessibile a una carrozzina).

2. La presenza di servizi comuni, da una mensa (aperta al pubblico) a cui possono accedere anche i residenti (quando può essere, per qual-siasi motivo, “scomodo” cucinare in casa) alla biblioteca comunale.

All’inizio e per alcuni anni successivi presso il CS erano collocati i

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Ricerca retrospettiva. La storia di 197 persone

servizi socio-sanitari del Distretto di Lastra a Signa, trasferiti poi in altra sede.

3. Il CS è dotato di ampi spazi comuni verso cui convergono, in entram-bi i piani, i tre corridoi degli appartamenti. Ciò facilita la relazione tra i residenti (anche le relazioni di mutuo aiuto) e consente lo svolgi-mento di frequenti attività sociali e ricreative (cucito solidale, spetta-coli teatrali e cinematografici, ballo, pranzi e cene per le feste ricor-renti, attività culinarie).

4. Anche se il CS funziona come un normale condominio (ogni appar-tamento è completamente indipendente, l’entrata e l’uscita sono libe-re), fin dall’inizio ha funzionato una “discreta” attività di monitorag-gio delle situazioni di bisogno emergente (temporaneo o prolungato).

Gli interventi in caso di bisogno sono generalmente attivati dagli stessi residenti con la richiesta della presenza di un familiare o di un vicino, della visita del medico di famiglia. Il “discreto” monitoraggio dell’assistente sociale consente d’intervenire nelle situazioni più complesse, in cui si rende necessario un coordina-mento degli interventi. In questi casi entrano in gioco le quattro assistenti domiciliari che ope-rano stabilmente all’interno del CS, le quali, oltre a svolgere le attività di supporto nella vita quotidiana, sono anche le antenne più sensibili delle situazioni critiche e complesse.

La ricerca che qui presentiamo cerca di rispondere alla seguente doman-da: il CS è riuscito a svolgere la fondamentale funzione di mantenere più a lungo possibile l’autonomia delle persone residenti e quindi di consen-tirgli di vivere (e alla fine anche di morire) all’interno del CS pur in presenza di malattie e disabilità anche gravi?

2. Materiali e MetodiLa ricerca si è basata sull’indagine retrospettiva sugli anziani che dall’an-no della sua apertura, il 1979, al 2011 sono usciti dal CS. Si tratta di residenti che sono entrati, hanno avuto una permanenza all’interno più

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Giacomo Mazzoni

o meno lunga e, infine, sono usciti, perchè deceduti all’interno della struttura o in ospedale, ma restando sempre in carico al CS; oppure sono stati trasferiti in strutture come le RSA o sono rientrati in famiglia. Per ognuno di questi soggetti, in totale 197, è stata raccolta la storia as-sistenziale dal momento dell’ingresso in struttura fino all’uscita dal CS. In particolare si sono ricercate informazioni riguardo i problemi di salu-te insorti nel tempo e la loro durata: ricoveri ospedalieri, eventi “cata-strofici” come fratture di femore o ictus, malattie progressive che hanno determinato una disabilità permanente vedi demenze o malattia di Par-kinson. Per ogni soggetto sono state raccolte le seguenti informazioni. 1. Dati anagrafici.2. Anno ingresso al CS.3. Problemi di salute insorti durante la permanenza al CS.4. Tipologia e durata del supporto assistenziale all’interno del CS.5. Data e luogo di decesso. 6. Data e luogo del trasferimento in RSA o rientro a domicilio/in fami-

glia.

Le fonti delle informazioni sono state:1. Gli archivi del CS che, a seconda dei vari periodi, hanno caratteristi-

che molto diverse in termini di qualità e completezza delle informa-zioni. Le cartelle personali dei residenti contengono sempre i dati anagrafici e amministrativi, ma solo parzialmente le informazioni ri-guardanti i problemi di salute e i relativi percorsi assistenziali; per questo motivo la storia personale di ciascuno è stata ricostruita anche attraverso:

2. Le testimonianze di coloro che a vario titolo sono entrati in contatto con la persona ed erano quindi in grado di riferire – quasi sempre con ampia cognizione – la natura degli eventi: gli assistenti sociali che nel tempo hanno avuto la responsabilità del CS; le assistenti domiciliari in attività (e in pensione) che nel CS hanno svolto funzioni di assi-stenza diretta; i medici di famiglia; i familiari; altri residenti del CS.

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Ricerca retrospettiva. La storia di 197 persone

3. Il Registro di mortalità regionale dell’ISPO (Istituto per lo Studio e la Prevenzione Oncologica) da cui sono state raccolte le cause di morte, per i deceduti dopo il 1985 (data di attivazione del Registro). Tale informazione era importante per valutare la corrispondenza della do-cumentazione conservata presso il CS e delle testimonianze con il dato ufficiale della certificazione di morte.

3. RisultatiDelle 197 persone uscite dal CS (113 donne, 84 uomini), 144 sono deceduti presso il CS o in ospedale a seguito di un ricovero per un even-to acuto o nella fase terminale di una malattia, 28 sono stati trasferiti in RSA e 25 sono tornati al domicilio di parenti (Tabella 1).

Tabella  1.  

Deceduti  all’interno

del  CS  o  in  Ospedale144 73,2%

CS 70 35,6%

Ospedale 74 37,6%

Trasferiti  in  RSA 28 14,2%

Tornati  da  parenti 25 12,6%

TOTALE 197 100%

Anche se tutti i residenti hanno ricevuto una qualche forma di aiuto assistenziale, una parte di residenti ha convissuto a lungo con una con-dizione invalidante che ha richiesto un considerevole impegno assisten-ziale all’interno del CS. La popolazione in esame - i 197 soggetti - è stata suddivisa in due gruppi, in relazione alla durata dell’impegno as-sistenziale ricevuto all’interno del CS prima del decesso o del trasferi-mento in RSA o del rientro al domicilio di parenti: a) pari o inferiore a 6 mesi (125 soggetti, pari al 63,4%); b) superiore a 6 mesi (72 soggetti pari al 36,6%).

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Giacomo Mazzoni

Tabella  2.  

Durata   dell’impegno  

assistenziale  

Deceduti

all’interno  del  CS

o  in  ospedale

Trasferiti  in  

RSA

Tornati  al  

domicilio

dei  parenti

Pari  o  inf.  a  6.mesi 125  (63,4%) 95  (76,1%) 11  (8,8%) 19  (15,1%)

Superiore  a  6  mesi 72    (36,6%) 49  (68,1%) 17  (23,6%) 6  (8,3%)

La Tabella 2 mostra come la percentuale di persone trasferite in RSA sia molto maggiore tra coloro che hanno richiesto un impegno assistenziale superiore a 6 mesi (23,6% vs 8,8%). Le Tabelle 3 e 4 forniscono un quadro d’insieme e di dettaglio dei dati sopra descritti.

Riguardo ai problemi di salute dei residenti, che hanno richiesto inter-venti assistenziali di varia intensità e durata, questi sono stati raggruppa-ti in sette principali categorie – Ictus, Demenze, Tumori, Malattie car-diache, Malattie respiratorie, Fratture e Artrosi gravi - come descritto nella Tabella 5, dove i dati sono disaggregati per durata dell’impegno assistenziale e tipologia di uscita dal CS. Tra i residenti che hanno richie-sto un impegno assistenziale superiore ai 6 mesi predominano netta-mente le malattie cardiache e le demenze; tra i residenti che hanno ri-chiesto un impegno assistenziale pari o inferiore ai 6 mesi sono princi-palmente presenti le malattie cardiache e i tumori. Le demenze rappre-sentano il principale problema di salute associato al trasferimento in RSA: 11 su 28 casi (39,2%).

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Ricerca retrospettiva. La storia di 197 persone

TABELLA  3

SOGGETTI  DECEDUTI  PRESSO  CS  O  OSPEDALE

ASSISTENZA  INFERIORE

O  PARI  A  SEI  MESI  -­  95

ASSISTENZA    SUPERIORE

A  SEI  MESI    -­  49    

 TOTALE    -­  144

Genere

Maschi

Femmine

Maschi

Femmine

Maschi

Femmine

 43

52

 27

 22

 70

 74

Età  decesso

Media  

Range

Media

Range

Media

Range

Media

Range

Media

Range

Media

Range

Anni

79

60-­96

87

55-­99

80,8

60-­96

85,3

66-­104

80

60-­96

83,5

55-­104

Durata  permanenza

Media

Range

Media

Range

Media

Range

Media

Range

Media

Range

Media

Range

 Anni

   6,5

1-­21

 81-­25

 8,3

2-­25

 91-­17

 7,2

1-­25

 81-­25

Luogo  decesso

CS

Ospedale

CS

Ospedale

CS  

Ospedale

CS

Ospedale

CS

Ospedale

CS

Ospedale

 Numero  casi

19

24

24

28

16

11

11

11

35

35

35

39

TABELLA  4

SOGGETTI  TRASFERITI  PRESSO  RSA  O  DOMICILIO

 ASSISTENZA  INFERIORE

O  PARI  A  SEI  MESI  -­  30

ASSISTENZA  SUPERIORE

A  SEI  MESI  -­  23

TOTALE  -­  53

Genere

Maschi

Femmine

Maschi

Femmine

Maschi

Femmine

10

20

419

14

39

Età  trasferimento

Media

Range

Media

Range

Media

Range

Media

Range

Media

Range

Media

Range

Anni

79,5

69-­89

84,5

69-­99

85

77-­89

83,5

64-­96

81

69-­99

84

60-­99

Durata  permanenza

Media

Range

Media

Range

Media

Range

Media

Range

Media

Range

Media

Range

Anni

5,5

1-­14

8,6

1-­19

73-­15

14

2-­27

61-­15

11,5

1-­27

Luogo  trasferimento

RSA

Domicilio

RSA

Domicilio

RSA

Domicilio

RSA

Domicilio

RSA

Domicilio

RSA

Domicilio

Numero  casi

28

911

31

14

55

923

16

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Giacomo Mazzoni

Tabella  5.  Problemi  di  salute

 Impegno  assistenziale

superiore  a  6  mesi

 Impegno  assistenziale

pari  o  inferiore  a  6  mesi

CS/Ospedale RSA Famiglia TOT CS/Ospedale   RSA Famiglia TOT

Ictus 11 2 0 13 11 2 2 15

Demenze 13 9 3 24 7 2 0 9

Tumori 8 0 0 8 21 0 1 22

Malattie  

cardiache20 4 1 25 22 4 3 29

Malattie  

respiratorie6 0 0 6 15 0 1 16

Fratture 7 1 1 9 4 2 0 6

Artrosi  gravi 7 2 0 9 0 2 0 2

TOTALE 71 18 5 94 41 12 7 99

Tra coloro che hanno ricevuto un’assistenza all’interno del CS superiore a 6 mesi - 72 casi - sono diverse le persone che se ne sono fatte carico. In 17 casi (26,3%) il problema è stato gestito prevalentemente dalle assi-stenti domiciliari del CS; in 24 casi (33,3%) dai familiari, anche con il supporto di assistenti private (badanti); in 31 (43,4%) casi è stato im-possibile identificare un soggetto principale perché si è trattato dell’in-tervento di una complessa rete di supporto rappresentata da assistenti domiciliari, familiari, medico di famiglia, infermiere del Distretto, ami-ci e vicini di casa del CS che sono intervenuti e si sono coordinati per non fare mancare mai l’aiuto necessario. Finora abbiamo esposto una serie di dati e di percentuali, per fornire la necessaria sintesi del lavoro di ricerca. Ma dietro quei numeri e quelle percentuali ci sono le storie delle 197 persone, delle 113 donne e degli 84 uomini, che sono passati per il Centro sociale; ci sono i racconti e le testimonianze di coloro che li hanno conosciuti e gli sono stati vicini. Questa, la raccolta delle testimonianze di tante diverse persone (a cui va la mia riconoscenza), è stata la parte più impegnativa della ricerca e se non è possibile riprodurre interamente e integralmente le storie delle

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197 persone, riteniamo importante riportare almeno un piccolo, sinte-tico - ma significativo - campione di esse.

Cinque brevi storie del Centro Sociale

1. T.B. UltracentenariaT.B. è la persona più anziana che ha vissuto al CS. Entrata nel 1981, all’età di 90 anni, ha avuto una permanenza di 14 anni che ha visto fin dall’inizio un impegno costante da parte di tutti: vicini di appartamen-to, assistenti domiciliari, assistenza infermieristica, medico curante e alla fine anche un’assistente domestica privata.Viveva da sola a Malmantile, una frazione di Lastra a Signa, in un’abi-tazione rurale assai disagiata, con scale e con impianto di riscaldamen-to assai precario. Soffriva di una grave forma di sindrome varicosa (ul-cerata) agli arti inferiori che rendeva precaria la deambulazione e le impediva, ad esempio, di andare a fare la spesa, soprattutto d’inverno. Il medico curante sollecitò l’intervento dell’assistente sociale che si adoperò per un tempestivo inserimento nel CS. Al CS le condizioni ambientali erano favorevoli e T.B. poteva camminare ma solo per pic-coli tragitti, quindi aveva spesso bisogno dell’aiuto dei vicini e delle assistenti domiciliari per la spesa e piccole commissioni. Dopo 4 anni dall’ingresso - a 94 anni - i bisogni di assistenza s’intensificano: T.B. ha bisogno di aiuto per vestirsi, pettinarsi, lavarsi, prepararsi il pasto. Dopo 8 anni dall’ingresso - a 98 anni - T. B. è costretta in carrozzina e comincia ad avere problemi mentali (confusione, disorientamento). Le condizioni si aggravano progressivamente, con cadute dal letto du-rante la notte. Per questo viene attrezzato un letto con sponde. Negli ultimi due anni sono sempre più evidenti i sintomi della demenza e ciò richiede un impegno continuo da parte dei vicini, delle assistenti do-miciliari, di personale volontario e del servizio infermieristico. Muore a 104 anni all’interno del CS, alle 3 di notte, dopo un breve periodo di completo allettamento.

Ricerca retrospettiva. La storia di 197 persone

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Giacomo Mazzoni

2. C.M. Imparare a rifarsi il lettoC.M. entrò insieme alla madre nel 1980 all’età di 45 anni. Era affetto da epilessia con ritardo mentale, completamente dipendente dalla madre che lo accudiva come un bambino. Alla morte della madre, avvenuta improvvisamente nel 1983, in assenza di altri parenti il personale del CS si dovette fare interamente carico dell’assistenza a C.M.. Fu predisposto un progetto finalizzato a far raggiungere a C.M. la piena autonomia personale, a cominciare dal rifarsi il letto, a farsi la doccia e compiere le faccende domestiche. C.M. imparò a lavarsi i panni e a gestire le sue medicine. Anche la sua vita di relazione migliorò enormemente. L’assistente socia-le del CS lo responsabilizzò impegnandolo in mansioni quotidiane, in piccole commissioni come la consegna di plichi al Comune. Iniziò an-che a usare l’autobus per fare brevi viaggi e piccole vacanze. Fu l’inizio di una nuova vita. Passano gli anni e cresce anche il peso corporeo di C.M, fino a raggiun-gere i 120 Kg.Una mattina di gennaio 1998 le due assistenti domiciliari lo trovarono riverso a terra, senza riuscire a sollevarlo a causa del peso eccessivo. Fu ricoverato in ospedale a causa di una forma severa di insufficienza respi-ratoria, aggravata dall’obesità. Di questo morirà, presso il CS, due mesi più tardi.

3. L.A. - Serva bambinaL.A. abitava in una casa isolata nei pressi di Ginestra Fiorentina. Un’abi-tazione priva di elettricità, acqua e riscaldamento. L.A. dormiva su un giaciglio e viveva come una barbona. Nata in Sicilia, era stata allontana-ta dalla famiglia all’età di sei anni e mandata a servizio. Arrivò a Firenze per fare la domestica. Si sposò e rimase vedova, per finire nella situazione in cui la trovò l’assistente sociale del Comune, che si prodigò per il suo inserimento presso il CS che avvenne nel 2000, quando L.A. aveva 68 anni. Si scoprì che aveva una grave forma di diabete, che necessitava di trattamento insulinico. Fu presa in carico dal personale del CS che do-

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veva occuparsi di una persona con un carattere molto difficile e una personalità segnata da una vita particolarmente dolorosa (“Non ho mai ricevuto affetto da nessuno”). Alternava periodi di serenità a periodi di chiusura e risentimento nei confronti di tutti. Non rispettava le prescri-zioni dietetiche del medico per controllare il diabete e spesso rifiutava le cure. La malattia si aggravò malamente con manifestazioni di confusio-ne mentale. Durante la notte cadeva spesso dal letto e fu ripetutamente ricoverata. Erano trascorsi due anni dal suo ingresso nel CS quando fu deciso il sua trasferimento in RSA, per l’impossibilità di poter gestire la situazione soprattutto durante le ore notturne. Dopo pochi mesi morì per ictus. L.A. è l’unica persona che ha lasciato al Centro sociale la sua eredità, utilizzata per rinnovare l’impianto elettrico di una parte del CS. 4. M.L. - Cure palliative M.L. entrò al CS nel 1993 all’età di 63 anni con una storia di etilismo cronico, per cui era seguito dai servizi di salute mentale. Non sposato, in condizioni economiche precarie, aveva alcuni parenti (4 sorelle e un fratello) con cui aveva scarsi rapporti. Persona gentile e corretta, passava gran parte della giornata fuori dal CS.Nel luglio 1996 gli viene diagnosticato un tumore alla gola in fase avan-zata, avendo già difficoltà alla deglutizione. Una condizione che rapida-mente si aggrava, richiedendo il supporto del personale del CS che inizia un’attività assistenziale quotidiana, che però necessariamente si diradava nel fine settimana. Per questo motivo l’assistente sociale richiede l’inter-vento dei parenti che fino ad allora non avevano mostrato interesse per il loro congiunto. I parenti accettarono di fornire la necessaria assistenza, integrandosi perfettamente con il supporto del personale del CS e del servizio infermieristico del Distretto. Il decesso è avvenuto nel maggio 1997 all’interno del suo appartamento e durante tutto il periodo di presa in carico M.L. non è mai stato ricove-rato in ospedale grazie a un forte sostegno di rete anche a livello sanita-rio: medico curante e infermieri hanno garantito cure palliative nella fase terminale della malattia.

Ricerca retrospettiva. La storia di 197 persone

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Giacomo Mazzoni

5. A.G. - L’olandese che parlava 4 lingueA.G. di origine olandese entra nel CS nel 2004, all’età di 73 anni. È stato il suo medico a convincerlo: A.G è affetto da esiti di poliomielite, cammina con difficoltà con l’aiuto delle stampelle e per lui è sempre più difficile vivere da solo in una casa isolata, piena di barriere architettoni-che. Entra nel CS a malincuore: ha alle spalle una vita piena di interessi culturali e la conoscenza di 4 lingue: è depresso e ha molte difficoltà a integrarsi nell’ambiente. Nel 2006 le condizioni di autonomia si aggra-vano: non riesce più a camminare e ha bisogno di una carrozzina per muoversi e dell’aiuto delle assistenti domiciliari per il disbrigo delle fac-cende domestiche. Paradossalmente questa condizione di maggiore di-pendenza provoca in A.G. una maggiore disponibilità alle relazioni con le altre persone del CS. Per esempio stabilisce una stretta amicizia con un altro residente in carrozzina. Dall’aprile 2009 - su proposta dell’assistente sociale del CS - A.G. riceve il supporto di un assistente domestico privato che gli consente di muo-versi al di fuori della struttura, recuperando le vecchie passioni: visite ai musei e alle chiese fiorentine, nel centro storico lastrigiano e nei parchi pubblici (il parco fluviale di Lastra a Signa, in particolare). Nell’ottobre 2009 A.G. torna persino in Olanda a fare visita ai parenti. Al rientro, dopo circa 20 giorni, le condizioni di salute di A.G. precipi-tano: la diagnosi è di tumore al cervello. A causa di ciò A.G. viene ripe-tutamente ricoverato in ospedale e nei periodi che trascorre al CS è se-guito assiduamente dal servizio domiciliare e infermieristico, fino al de-cesso avvenuto in casa di cura nel gennaio 2011.

ConclusioniLa ricerca retrospettiva ha cercato di dare una risposta alla seguente do-manda: il CS è riuscito a svolgere la fondamentale funzione di mantene-re più a lungo possibile l’autonomia delle persone residenti e quindi di consentirgli di vivere (e alla fine anche di morire) all’interno del CS pur in presenza di malattie e disabilità anche gravi?Possiamo dire che la risposta è affermativa.

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Il dato complessivo ci dice che su 197 persone che hanno abitato nel CS solo 28 di esse - il 14% -, nell’arco di 32 anni, hanno dovuto lasciare la loro abitazione per concludere la propria esistenza in una RSA. Si tratta di casi di particolare gravità - in larga parte casi di demenza - in cui le ri-sorse delle famiglie (in alcuni casi inesistenti) e del CS non sono riuscite a garantire un’assistenza adeguata ai bisogni, come ad esempio l’accudi-mento notturno. Il dato complessivo ci dice, e le cinque brevi storie ci confermano, che il CS ha funzionato - come prevedeva il progetto iniziale - come un con-dominio solidale dove persone in condizioni socio-economiche svantag-giate hanno potuto vivere con dignità e libertà gli ultimi anni della loro esistenza anche in presenza di malattie gravi e di severe disabilità.

Ricerca retrospettiva. La storia di 197 persone

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La ricerca geriatrica. Lo stato di salute

Alessandro Morrione, Enrico Mossello, Mauro Di BariUnità di ricerca di Medicina dell’invecchiamento.Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica. Università degli Studi di Firenze

SommarioIn una delle regioni più anziane del mondo, la Toscana, già dagli anni Ottanta il Comune di Lastra a Signa ha creato il Centro Sociale Residen-ziale (CS), un modello abitativo rivolto ad anziani con disagio sociale, ma senza disabilità conclamata. Lo studio effettuato ha avuto lo scopo di descrivere lo stato di salute e la qualità della vita degli ospiti del CS ed in particolare valutare la capacità della struttura di ospitare persone con varie problematiche di salute e disabilità. Ogni residente è stato sottoposto ad una valutazione standar-dizzata dell’autonomia, del livello cognitivo globale, del tono dell’umo-re, della performance degli arti inferiori, della presenza di malattie cro-niche e della qualità della vita legata allo stato di salute.Nel periodo compreso tra Febbraio e Giugno 2012 sono stati valutati 65 residenti su 70 (età media 78 anni). Solo il 42% dei residenti è risultato totalmente autonomo nelle attività di base della vita quotidiana, il 39% mostrava un deficit cognitivo e il 37% sintomatologia depressiva. Il 45% dei residenti aveva una riduzione della performance degli arti inferiori e l’88% risultava affetto da almeno una patologia cronica. La disabilità nelle attività di base della vita quotidiana è risultata essere associata pre-valentemente alla ridotta performance degli arti inferiori, quella nelle attività strumentali (domestiche e sociali) al deficit cognitivo. Confron-tando i risultati del questionario sulla qualità della vita SF-36 dei resi-denti con un campione italiano di età simile, gli ospiti del CS presentano una qualità della vita migliore.In conclusione il CS risulta capace di ospitare anche anziani con parzia-

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Alessandro Morrione, Enrico Mossello, Mauro Di Bari

le disabilità, associata sia a disfunzione motoria che a decadimento co-gnitivo; malgrado questo gli ospiti mantengono una qualità di vita mi-gliore rispetto alla popolazione italiana di pari età. Tale soluzione abita-tiva potrebbe quindi risultare in grado di ridurre il ricorso ai servizi so-cio-sanitari. Ospitando un’elevata percentuale di soggetti a rischio di disabilità, potrebbe essere inoltre sede di interventi di prevenzione.

1. IntroduzioneConsiderato il crescente invecchiamento della popolazione del mondo occidentale, i sistemi sanitari di questi Paesi sono chiamati a gestire un carico assistenziale sempre maggiore. Tale trend appare particolarmente rilevante in alcune aree geografiche e, tra queste, la Toscana, una delle regioni più “vecchie” del mondo. Infatti, nel 2008, si è registrata una prevalenza di popolazione ultrasessantacinquenne superiore alla media nazionale (23,3% contro il 20,1% delle altre regioni). Su 3,5 milioni di abitanti, nel 2008 gli ultrasessantacinquenni residenti in Toscana erano 862.680, di cui 362.210 uomini (42%) e 500.470 donne (58%) e, di questi, circa il 10% presentava disabilità in una o più attività della vita quotidiana. Questo rende spesso necessario il ricorso a servizi socio-sa-nitari, comprendenti l’assistenza domiciliare integrata, i centri diurni e le residenze sanitarie assistenziali (RSA). Queste ultime, in particolare, hanno subito un notevole incremento negli ultimi 25 anni, con impiego di ingenti risorse finanziarie (1).In parallelo a tale processo di invecchiamento, nelle società occidentali è stato osservato negli ultimi decenni un progressivo impoverimento della rete di connessioni tra i singoli individui e le comunità di appartenenza, che nell’insieme costituisce il “capitale sociale”, inteso in senso lato come risorsa collettiva cui ciascuno dei membri della comunità può avere con-cretamente accesso. Uno dei fattori associati a tale cambiamento è stato identificato nel “cambio generazionale” che vede la progressiva uscita di scena delle generazioni più anziane, nate nel primo terzo del secolo, maggiormente coinvolte nella vita civile rispetto ai loro figli e ai loro nipoti (2). Esiste un’ampia letteratura scientifica che documenta un’as-

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La ricerca geriatrica. Lo stato di salute

sociazione tra l’entità della rete sociale ed un miglior stato di salute. In particolare, nell’ambito dell’invecchiamento, l’intensità delle relazioni sociali, misurata sia come entità del supporto disponibile che come livel-lo di integrazione sociale in senso più ampio, è risultata associata ad un’aspettativa di vita maggiore (3). La protezione che la ricchezza del contesto sociale esercita sullo stato di salute appare particolarmente rile-vante per individui che, alla maggior vulnerabilità alle malattie, unisco-no condizioni di scarso supporto sociale personale: è, questa, la condi-zione tipica delle persone che, invecchiando, perdono progressivamente i loro legami sociali e vivono in famiglie sempre più esili nella consisten-za delle generazioni più giovani (4). Nell’insieme, si potrebbe sostenere che le generazioni più anziane, che più hanno contribuito alla formazio-ne del tessuto sociale e maggiormente necessitano della protezione che esso è in grado di offrire, trovano intorno a sé, all’opposto, contesti sem-pre meno in grado di offrire loro possibilità di avere interazioni, svolgere un ruolo attivo e/o ricevere supporto, a partire dal livello politico gene-rale fino a quello territoriale locale (quartiere, paese). Questa contraddizione appare particolarmente rilevante in Italia, Paese in cui il ricorso all’istituzionalizzazione è da sempre inferiore rispetto ad altri e le risposte assistenziali per gli anziani che sviluppano disabilità conclamata vengono fornite in modo informale dalla rete sociale, rap-presentata prevalentemente dalla famiglia di origine (5). Tuttavia, in conseguenza del progressivo aumento dell’aspettativa di vita, del ridotto tasso di natalità e della modificazione dell’assetto tradizionale della fami-glia, anche in Italia quest’ultima risulta sempre meno in grado di dare risposte adeguate alla crescente porzione di popolazione anziana con problematiche complesse, di tipo sia sociale che sanitario.In particolare, i soggetti che vivono soli sono particolarmente a rischio di essere istituzionalizzati in RSA, anche per livelli di disabilità relativa-mente lievi, se il supporto familiare di cui dispongono è insufficiente. Questa, che può essere una scelta obbligata in assenza di alternative, ri-sulta alla fine non ottimale sia dal punto di vista dell’individuo, che viene sradicato dal suo contesto di vita ed inserito in una “istituzione

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Alessandro Morrione, Enrico Mossello, Mauro Di Bari

totale” ove rischia di perdere l’autonomia residua, sia dal punto di vista della collettività, che deve farsi carico del costo dell’assistenza per una persona che potrebbe avere, al contrario, ancora un ruolo almeno par-zialmente attivo. In tale scenario, risulta particolarmente lungimirante l’iniziativa del Co-mune di Lastra a Signa, che ha creato il Centro Sociale (CS), attivo dal 1981, un modello residenziale rivolto ad anziani con disagio sociale, ma senza disabilità conclamata. L’esperienza del CS è rimasta in Italia pres-soché isolata nelle sue peculiarità: la valorizzazione della libertà persona-le, dell’autonomia e dell’autosufficienza dei residenti, le relazioni sociali con la comunità esterna, la rete amicale e il supporto della famiglia per-mettono l’instaurarsi di rapporti solidali capaci di consentire la gestione quotidiana ed il superamento dei momenti di difficoltà. Composto da 54 mini-appartamenti, il CS non prevede la presenza di personale sani-tario dedicato; è invece presente un servizio di supporto sociale per alcu-ne attività della vita quotidiana (ad esempio il fare la spesa e/o la prepa-razione dei pasti). Esperienze residenziali simili sono state realizzate in Paesi del Nord-Euro-pa, come l’Olanda, la Germania, la Finlandia, dove sono stati raggruppa-ti insieme centinaia di mini-appartamenti; in altri Paesi come l’Inghilter-ra si è posto un limite di circa 50 mini-appartamenti per blocco. Gli “appartamenti raggruppati” con alcuni servizi comuni sembrano rappre-sentare la soluzione abitativa ottimale per preservare le abilità dell’anzia-no: questo risultato richiede che il numero degli appartamenti sia conte-nuto, secondo i criteri inglesi, e che le abitazioni siano integralmente in-serite nel contesto sociale, affinché non si verifichi alcuna occasione di emarginazione o di segregazione. Le soluzioni abitative citate si pongono come obiettivi da una parte l’adattamento alle esigenze di una popolazio-ne che invecchia progressivamente e dall’altra il massimo dell’integrazio-ne con il tessuto sociale ed urbanistico circostante. Soluzioni residenziali in parte simili, sviluppate negli Stati Uniti, sono, al contrario, caratteriz-zate da una relativa separazione geografica rispetto alle comunità circo-stanti. Tali esperienze sono state descritte in articoli scientifici e pubblica-

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La ricerca geriatrica. Lo stato di salute

zioni monografiche sull’argomento (4, 6, 7), che tuttavia non forniscono indicazioni univoche sulle modalità architettoniche ed organizzative mi-gliori per tali strutture abitative, le cui peculiarità possono differenziarsi in funzione delle specificità geografiche e culturali. La presenza, all’interno del CS, di servizi di tipo sociale, inclusa l’assisten-za per la spesa, la fornitura dei pasti, la lavanderia (a supporto delle cosid-dette “attività strumentali della vita quotidiana”), può avvicinare il com-plesso di Lastra a Signa al alcune forme di “assisted living” sviluppate negli Stati Uniti. Esse rappresentano un insieme eterogeneo di modalità abita-tive che, in senso lato, sono in grado di fornire diversi livelli di assistenza e supervisione nelle attività della vita quotidiana, ma non l’assistenza in-fermieristica continuativa assicurata dalle RSA, e sono caratterizzate da unità abitative individuali. Tali strutture possono prevedere livelli diffe-renziati di supporto assistenziale, anche decisamente superiori rispetto a quanto avviene a Lastra a Signa, hanno caratteristiche architettoniche domestiche e si pongono come obiettivo il massimo il livello di funziona-mento individuale e l’autonomia (8). Negli anni, l’osservazione empirica nel CS ha evidenziato il caso di perso-ne che, autonome al momento dell’inserimento nella struttura, hanno sviluppato una condizione di disabilità anche nelle attività di base della vita quotidiana, quali lavarsi o vestirsi, che tuttavia non ha portato all’isti-tuzionalizzazione. La soluzione di tale situazioni è spesso affidata ad un mix variabile di supporto da parte della famiglia di origine e di altre mo-dalità di aiuto, formale o informale, prestato ai residenti. Non è mai stata condotta all’interno della struttura una valutazione sistematica delle di-verse aree che definiscono, secondo la metodologia della valutazione multidimensionale geriatrica, lo stato di salute complessivo dell’anziano, a partire dal livello di disabilità.

2. Scopo della ricercaL’Università degli Studi di Firenze, con il supporto della Regione Tosca-na e del Comune di Lastra a Signa, ha ideato e svolto uno studio osser-vazionale sugli ospiti del CS di Lastra a Signa, allo scopo di acquisire

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Alessandro Morrione, Enrico Mossello, Mauro Di Bari

informazioni relative allo stato di salute dei residenti ed in particolare di valutare: 1) la prevalenza di disabilità e l’entità e tipologia del supporto assisten-

ziale ricevuto;2) le diverse aree dello stato di salute, in particolare il livello cognitivo,

la funzionalità motoria, il tono dell’umore, la comorbosità e la loro associazione con la disabilità;

3) la qualità della vita legata allo stato di salute, confrontandola con quella di un campione di popolazione italiana di età simile.

3. Soggetti e MetodiÈ stato effettuato uno studio osservazionale trasversale, nel quale sono stati arruolati tutti gli anziani che risiedevano nel CS nel periodo com-preso tra febbraio e giugno 2012, alla sola condizione che esprimessero il proprio consenso informato. Lo studio è stato approvato dal Comitato Etico dell’Azienda Sanitaria di Firenze.

Dati raccoltiOgni partecipante è stato sottoposto ad un protocollo di valutazione multidimensionale geriatrica, allo scopo di definire la presenza di pato-logie croniche, il livello cognitivo, la disabilità, il tono dell’umore, le capacità motorie, l’entità del supporto assistenziale ricevuto e la qualità della vita legata allo stato di salute. In particolare, mediante intervista diretta sono state ottenute le seguenti informazioni: · dati anagrafici e scolarità; · rete familiare (numero di figli e/o di altri familiari in vita, frequenza

delle visite); · eventi clinici maggiori verificatisi durante la permanenza al CS (ictus,

diagnosi di demenza, infarto miocardico acuto, fratture, ospedalizza-zioni);

· necessità di assistenza di tipo formale (infermiere, assistenza domicilia-re integrata, etc.) ed informale (familiari, vicini, amici, badanti, ecc).

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La ricerca geriatrica. Lo stato di salute

I diversi ambiti dello stato di salute sono stati esplorati mediante stru-menti di valutazione standardizzati. · Il livello di disabilità è stato valutato mediante le scale ADL (Activities

of Daily Living) di Katz (9) e IADL (Instrumental Activities of Daily Living) di Lawton (10). Esse permettono una quantificazione dell’abi-lità di un individuo di portare a termine specifiche attività quotidiane (fare il bagno, vestirsi, andare alla toilette, spostarsi, controllare la con-tinenza e alimentarsi per le ADL; usare il telefono, fare acquisti, prepa-rare un pasto caldo, fare le faccende domestiche, lavare la biancheria, usare mezzi di trasporto pubblico, assumere i farmaci e gestire le pro-prie finanze per le IADL), consentendo quindi di determinare in modo oggettivo le necessità assistenziali dei pazienti e favorendo la comuni-cazione tra gli operatori. Per ciascuna scala viene contato il numero di attività che il soggetto non è più in grado di svolgere autonomamente, con un punteggio tra 0 e 6 per le ADL e tra 0 e 8 per le IADL, dove a valori maggiori corrisponde una disabilità più grave. Poiché la presen-za di disabilità predice la prognosi, in particolare del rischio di decesso e di istituzionalizzazione, indipendentemente dalla presenza di malat-tie associate (11), essa può essere considerata quale un indice sintetico di stato di salute dell’anziano.

· Il livello cognitivo globale è stato misurato mediante il Mini Mental State Examination (MMSE) (12), test di valutazione cognitiva globale che esplora l’orientamento temporo-spaziale, la memoria, l’attenzione e il calcolo, la denominazione, la comprensione ed espressione del lin-guaggio parlato e scritto e la prassia costruttiva. Il punteggio è aggiu-stato per età e scolarità; il suo valore massimo è 30, mentre 24 è il cut-off generalmente accettato a scopo di screening per porre un so-spetto di patologia.

· Il tono dell’umore è stato valutato mediante la Geriatric Depression Scale (GDS) a 15 item (13), strumento che comprende 15 domande a risposta dicotomica (sì/no) relative ai sintomi psichici della depressio-ne (valutazione della propria vita presente, disposizione verso il futu-ro, motivazione ed energia, immagine di sé, vissuti di perdita, ansia).

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Alessandro Morrione, Enrico Mossello, Mauro Di Bari

Il punteggio, sommatoria dei sintomi depressivi, è compreso tra 0 (nessun sintomo) e 15 (tutti i sintomi); un cut-off di >5 viene consi-derato come indicativo di depressione del tono dell’umore potenzial-mente rilevante dal punto di vista clinico. La GDS è stata sommini-strata come test di autovalutazione o con l’assistenza da parte dell’esa-minatore.

· La presenza di patologie croniche coesistenti è stata valutata mediante l’indice di comorbosità di Charlson (14), che è costruito in base alla pre-senza nella storia clinica di 17 patologie croniche, a ciascuna delle qua-li viene assegnato, sulla base della gravità, un punteggio compreso tra 1 e 6. A punteggi complessivi maggiori corrisponde una più grave co-morbosità, cui corrisponde un significato prognostico peggiore e, in particolare, un maggior rischio di decesso.

· La funzionalità degli arti inferiori è stata valutata mediante la Short Physical Performance Battery (SPPB) di Guralnik (9). Tale batteria pre-vede una valutazione diretta standardizzata dell’equilibrio (a piedi uni-ti, con piedi in semitandem, con piedi in tandem), della velocità del cammino su 4 metri e della velocità nell’alzarsi da una sedia per 5 volte senza l’ausilio delle braccia. A ciascuna delle 3 prove viene asse-gnato, dal confronto tra il tempo impiegato e quello registrato in una popolazione di riferimento, un punteggio compreso tra 1 e 4, per un punteggio totale di 12, dove a valori maggiori corrisponde una miglior performance. La letteratura internazionale, come del resto anche studi condotti su popolazioni toscane, dimostra che al diminuire del pun-teggio SPPB aumenta il rischio di morte (16) e, in soggetti inizialmen-te autonomi, quello di disabilità incidente (17), indipendentemente da età, tipologia e gravità delle malattie associate e decadimento cogni-tivo. Per tale motivo la valutazione della performance degli arti inferio-ri mediante SPPB è raccomandata dal Ministero della Salute (18) e dalla Regione Toscana (19) come strumento di screening della fragili-tà, intesa come condizione di ridotta riserva funzionale dell’anziano ancora autonomo, che lo mette a rischio di eventi avversi quali disabi-lità, ospedalizzazione, istituzionalizzazione e morte.

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La ricerca geriatrica. Lo stato di salute

· Qualità della vita legata allo stato di salute (health-related quality of life) mediante il Questionario sullo Stato di salute SF-36 (Short Form-36 Health Survey). L’SF-36 è un questionario, sviluppato negli Stati Uni-ti a partire dagli anni ‘80, che esplora in modo multi-dimensionale e non patologia-specifico l’impatto delle alterazioni dello stato di salute sulla qualità della vita. Comprende 36 item, che si riferiscono concet-tualmente a 8 domini della salute: AF-attività fisica (10 item), RP-li-mitazioni di ruolo dovute alla salute fisica (4 item), RE-limitazioni di ruolo dovute allo stato emotivo (3 item), BP-dolore fisico (2 item), GH-percezione dello stato di salute generale (5 item), VT-vitalità (4 item), SF-attività sociali (2 item) e MH- salute mentale (5 item). Tutte gli item dell’SF-36, tranne uno, si riferiscono ad un periodo di quattro settimane precedenti la compilazione. Per ognuno degli 8 domini esplorati viene calcolato un punteggio tra 0 e 100, in cui a valori mag-giori corrisponde una miglior qualità della vita percepita. La validità dell’SF-36 è stata largamente studiata in gruppi di pazienti e nella po-polazione generale, compresa quella di età avanzata (20). In Italia il questionario è stato tradotto ed adattato a metà degli anni 90 dall’Isti-tuto Mario Negri, che ne ha predisposto un manuale di utilizzo e rac-colto dati normativi su un campione di 2031 soggetti, rappresentativi della popolazione italiana (21). Il questionario SF-36 è stato auto-compilato dal soggetto o con l’assistenza di un esaminatore.

Analisi statisticaI dati raccolti sono stati analizzati mediante l’impiego del programma di analisi statistica SPSS per Windows (PASW 18.0). Le variabili continue sono state espresse come media e deviazione standard, quelle categoriche come frequenze percentuali. Il confronto tra medie è stato effettuato mediante il t-test di Student, quello tra variabili categoriche mediante il test chi-quadrato. La correlazione tra variabili continue è stata analizzata mediante correlazione lineare (R di Pearson). Allo scopo di identificare i determinanti di disabilità è stato costruito un modello di regressione lineare multipla con backward deletion, in cui

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Alessandro Morrione, Enrico Mossello, Mauro Di Bari

sono state inserite le variabili associate al livello di disabilità ADL e IADL in analisi univariata. Il livello di significatività statistica è stato fissato per valori di p inferiori al 5% (p<0,05).

4. RisultatiNel periodo compreso tra il primo Febbraio ed il 30 Giugno 2012 è stata effettuata la valutazione di 65 dei 70 residenti nel CS (93%) che hanno dato il loro consenso alla partecipazione allo studio.L’età media era di 78±9 anni (range 50-98 anni); il 63% del campione era composto da donne. Le caratteristiche socio-demografiche e i principali indicatori dello stato di salute relativi alla popolazione in studio sono riportate nella Tabella 1.

Tabella 1: Caratteristiche generali della popolazione

Casistica  globale  (n=  65)

Età  (anni) 78±9

Range  di  età  (anni) 50-­98

Maschi/Femmine  (n) 24/41

Scolarità  media  (anni) 4±3

Media  residenza  al  CS  (anni) 9±7

ADL  (n  attività  perse) 1,2±1,4

IADL  (n  attività  perse) 2,5±3,1

Charlson  Index 2,8±2,2

MMSE 23,9±6,2

GDS 5,6±3,7

SPPB 7,7±4,1

I dati sono media ± deviazione standard.ADL = Activities of Daily LivingIADL = Instrumental Activities of Daily LivingMMSE = Mini Mental State ExaminationGDS = Geriatric Depression ScaleSPPB = Short Physical Performance Battery

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La ricerca geriatrica. Lo stato di salute

Per quanto riguarda il livello di autonomia, solo 27/65 (42%) ospiti sono risultati totalmente autonomi nelle ADL. Tuttavia, in ben 13 casi l’unica ADL deficitaria era rappresentata dalla continenza sfinterica, per la presenza di incontinenza urinaria in genere saltuaria e di grado lieve, pertanto espressione di patologia d’organo più che di disabilità in senso lato. Se si escludono i pazienti affetti dalla sola incontinenza urinaria, il numero dei soggetti completamente autosufficienti nelle ADL sale a 40/65 (62%). La Figura 1 riporta la percentuale dei soggetti che hanno perduto l’au-tonomia nelle singole ADL. Le ADL più frequentemente compromesse sono risultate, dopo l’incontinenza urinaria, la capacità di fare il bagno da soli, perduta da 22 ospiti (34%), e la capacità di vestirsi autonoma-mente, perduta da 16 soggetti (25%). La Figura 2 riporta la prevalenza di disabilità nelle singole IADL. Le attività per cui vi è maggiore necessità di assistenza sono il fare il bucato, per cui richiedono aiuto 29 ospiti (45%) e fare la spesa, per la quale ri-chiedono assistenza 26 residenti (40%). Seguono, nell’ordine, 23 ospiti (35%) che hanno bisogno di assistenza per gli spostamenti fuori casa e 22 (34%), che hanno bisogno di aiuto per la preparazione dei pasti.Come si può notare dalla Tabella 2, il supporto assistenziale nelle ADL è fornito principalmente dalla famiglia di origine. Da notare comunque che circa il 9% ha ricevuto assistenza al personale del CS per lavarsi ed il 5% per vestirsi. In un numero limitato di casi, l’assistenza nelle ADL viene fornita da badante pagata dall’interessato. Anche per le IADL, come mostrato in Tabella 3, i familiari forniscono più frequentemente supporto assistenziale; tuttavia il personale del CS ha fornito assistenza all’11% degli ospiti nella preparazione dei pasti e ben al 14% nell’effet-tuare il bucato. Una piccola percentuale degli ospiti ha dichiarato di ri-cevere sistematicamente assistenza anche da altri ospiti nello svolgimen-to degli atti della vita quotidiana.

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Figura 1. Percentuale di ospiti non autosufficienti nelle singole ADL (attività di base della vita quotidiana)

Figura 2. Percentuale di ospiti non autosufficienti nelle singole IADL (attività stru-mentali della vita quotidiana)

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La ricerca geriatrica. Lo stato di salute

Tabella 2. Chi fornisce il supporto assistenziale nelle ADL

LAVARSI VESTIRSI WC SPOSTAMENTI ALIMENTAZIONE

NESSUNO  (n,  %) 43  (66,2) 49  (75,4) 58  (89,2) 63  (96,9) 65  (100)

FAMILIARI  (n,  %) 10  (15,4) 9  (13,8) 3  (4,6) 1  (1,5) 0  (0)

PERSONALE  DEL  CS  (n,%) 6  (9,2) 3  (4,6) 0  (0) 0  (0) 0  (0)

BADANTE  (n,  %) 5    (7,7) 3  (4,6) 3  (4,6) 1  (1,5) 0  (0)

PIU’  DI  UN  CAREGIVER  (n,%) 1  (1,5) 1  (1,5) 1  (1,5)   0  (0) 0  (0)

Più di un caregiver (ad esempio vicino di casa/familiare, personale CS/familiare, personale CS/vicino di casa, badante/vicino di casa, badante/personale CS, badan-te/familiare).

Tabella 3. Chi fornisce il supporto assistenziale nelle IADL

TELEFONO SPESA CUCINA CURA  CASA BUCATO SPOSTAMENTI FARMACI FINANZE

NESSUNO  (n,%)58

(89,2)

37

(56,9)

43

(66,2)

47

(72,3)

36

(55,4)

42

(64,6)

46

(70,8)

45

(69,2)

FAMILIARI  (n,%)5

(7,7)

22

(33,8)

10  

(15,4)

10

(15,4)

14

(21,5)

20

(30,8)

13

(20,0)

19

(29,2)

PERSONALE  DEL

CENTRO  (n,%)

1

(1,5)

2

(3,1)

7

(10,8)

2

(3,1)

9

(13,8)

1

(1,5)

2

(3,1)

0

(0,0)

BADANTE  (n,%)1

(1,5)

0

(0,0)

2

(3,1)

5

(7,7)

5

(7,7)

0

(0,0)

3

(4,6)

1

(1,5)

PIÙ  DI  UN

CAREGIVER  (n,%)

0

(0,0)

4

(6,2)

3

(4,6)  

1

(1,5)

1

(1,5)

2

(3,1)

1

(1,5)

0

(0,0)

Più di un caregiver (ad esempio vicino di casa/familiare, personale CS/familiare, personale CS/vicino di casa, badante/vicino di casa, badante/personale CS, badan-te/familiare).

Per quanto riguarda le patologie associate, secondo l’indice di Charlson risulta che 57 (88%) residenti sono risultati essere affetti da almeno una patologia cronica. Inoltre 23 (35%) sono stati ricoverati almeno una volta in ospedale negli ultimi tre anni.

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Alessandro Morrione, Enrico Mossello, Mauro Di Bari

Mediante il MMSE si è osservato che il 39% dei residenti ha ottenuto un punteggio, corretto per età e scolarità, inferiore a 24, indicativo della presenza di decadimento cognitivo, verosimilmente una demenza, me-diamente in stadio lieve. Il 37% dei residenti ha presentato un valore > 5/15 alla GDS, indicativo di una sintomatologia depressiva di possibile rilevanza clinica. La perfomance degli arti inferiori, valutata mediante la SPPB, è risultata francamente ridotta (punteggio < 10) in ben il 45% degli ospiti. Tale condizione può corrispondere ad un disturbo della deambulazione con-clamato oppure ad un’iniziale riduzione della prestazione degli arti infe-riori, possibile espressione di problemi di salute di diversa natura (neu-rologica, ma anche osteo-muscolare, cardio-circolatoria, respiratoria).

Predittori di disabilitàMediante modelli di regressione multivariata sono stati identificati i fat-tori che si associano alla presenza di disabilità, separatamente nelle ADL e IADL come descritto nelle Tabelle 4 e 5. Il grado di disabilità nelle ADL è risultato associato ad una peggior performance degli arti inferiori e ad una maggior gravità della sintomatologia depressiva. Il principale predit-tore di disabilità nelle IADL è risultato invece essere una maggior com-promissione cognitiva; sono risultati inoltre associati ad una maggior ne-cessità di aiuto nelle IADL un’età avanzata, una maggior gravità dei sin-tomi depressivi, una maggior gravità delle malattie croniche associate e, ai limiti della significatività statistica, una peggior performance motoria.

Tabella 4. Predittori di disabilità nelle ADL (risultati della regressione multipla)

R2=0,585 B p

Short  Physical  Performance  Battery -­0,197 <0,001

Geriatric  Depression  Scale 0,105 0,013

Variabili escluse dal modello: età, sesso, Mini Mental State Examination, Charlson index

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La ricerca geriatrica. Lo stato di salute

Tabella 5. Predittori di disabilità nelle IADL (risultati della regressione multipla)

R2=0,629 B P

Età   0,071 0,046

Mini  Mental  State  Examination -­0,218 <0,001

Geriatric  Depression  Scale 0,199 0,021

Charlson  Index 0,266 0,028

Short  Physical  Performance  Battery -­0,205 0,082

Variabili escluse dal modello: sesso

Qualità della vitaNella Tabella 6 sono illustrati i risultati ottenuti alla SF-36, a confronto con i dati normativi relativi ad un campione di popolazione italiana di sesso maschile e femminile con età 75 anni (21). Come si può notare, i soggetti dello studio hanno presentato un miglior punteggio in tutte le scale analizzate dal questionario SF-36. In partico-lare, hanno ottenuto un punteggio migliore nelle aree relative a: · attività fisica, che comprende le limitazioni percepite in relazione alla

salute fisica nell’esecuzione di tutti i tipi di attività, comprese le più impegnative;

· ruolo e attività fisica, che comprende le limitazioni percepite in relazio-ne alla salute fisica nello svolgimento delle attività quotidiane;

· dolore, che comprende la percezione di impatto negativo del dolore fisico sullo stato di salute;

· attività sociali, che valuta l’interferenza percepita sulle attività sociali da parte di problemi fisici ed emotivi;

· ruolo e stato emozionale, inteso come limitazione delle attività quoti-diane a causa di problemi emotivi.

Risultano relativamente più bassi, e comunque in linea con quelli ri-scontrati nella popolazione generale ultrasettantacinquenne, i punteggi relativi agli item vitalità (principalmente in riferimento alla polarità astenia/energia) e salute mentale (impatto di depressione e ansia).

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Alessandro Morrione, Enrico Mossello, Mauro Di Bari

Tabella 6. Risultati al questionario SF-36 dei residenti del CS confrontati con i dati di norma della popolazione italiana con età 75 anni

Residenti  CS

(punteggi  da  0  a  100)

Popolazione  Italiana  

(punteggi  da  0  a  100)

66,47 45,61

81,89 45,52

64,63 48,27

Salute  in  generale  (media  punteggi) 47,88 40,71

Vitalità  (media  punteggi) 58,53 42,80

Attività  sociali  (media  punteggi) 89,22 58,29

Ruolo  e  stato  emozionale  (media  punteggi) 87,93 50,87  

Salute  mentale  (media  punteggi) 58,68 52,33

5. ConclusioniComplessivamente questo studio mette in evidenza che:1) una quota elevata di anziani residenti al CS presenta condizioni di

parziale disabilità, compensata in parte dai servizi offerti dal Centro;2) coesiste un’elevata prevalenza di decadimento cognitivo, sintomato-

logia depressiva e riduzione della prestazione motoria, che si associa-no alla presenza di disabilità presente e, verosimilmente, futura;

3) malgrado ciò, i residenti mantengono una qualità della vita più eleva-ta rispetto alla popolazione italiana di pari età.

I risultati di questo studio osservazionale dimostrano quindi che il CS, sebbene pensato per anziani autonomi, risulta capace di ospitare anche anziani con parziale disabilità, che riguarda nella maggioranza dei casi le IADL, ma spesso anche le ADL. Sebbene la famiglia d’origine fornisca spesso assistenza nelle attività che l’anziano non è più in grado di svolge-re da solo, i servizi forniti dal CS partecipano al supporto in diverse atti-vità quotidiane, in particolare la cucina e la lavanderia; in alcuni casi il

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La ricerca geriatrica. Lo stato di salute

personale presta anche una limitata assistenza per il bagno e l’abbiglia-mento. In una certa percentuale di casi, inoltre, gli altri ospiti del CS partecipano ad aiutare gli anziani parzialmente disabili, almeno nelle attività strumentali della vita quotidiana. Più di un terzo degli anziani ospitati dal CS mostra un quadro di deca-dimento cognitivo compatibile con una demenza ed altrettanti presen-tano una sintomatologia depressiva di potenziale rilevanza clinica; poco meno di metà degli ospiti presenta inoltre una ridotta performance degli arti inferiori. La performance motoria risulta essere un chiaro predittore di disabilità nelle attività di base della vita quotidiana, mentre sembra avere un peso relativamente inferiore rispetto ad altri fattori nel determi-nare la necessità di assistenza nelle attività strumentali della vita quoti-diana. Al contrario il decadimento cognitivo risulta essere il principale predittore di disabilità nelle attività strumentali della vita quotidiana. La presenza di sintomatologia depressiva appare inoltre associata alla disa-bilità, con un rapporto di causalità non univoco. Tale dato suggerisce che l’identificazione, e l’opportuno trattamento, di tali problematiche “geriatriche” potrebbe essere potenzialmente in grado di ridurre la disa-bilità di tali soggetti. Appare ancor più rilevante che quasi la metà degli ospiti possano essere definiti “fragili” sulla base della ridotta performance degli arti inferiori. Sulla base della letteratura internazionale, tali soggetti sono infatti ad elevato rischio di progressione della disabilità, ospedalizzazione, istitu-zionalizzazione e decesso (15-17) e possono essere destinatari di inter-venti di prevenzione secondaria, che si sono dimostrati in grado di ridur-re la comparsa e la progressione di tali disturbi nel tempo: tra gli altri, l’applicazione di una valutazione geriatrica multidimensionale con ste-sura di piano assistenziale individualizzato e la messa in atto di program-mi strutturati di attività fisica (22).Infine, rispetto alla popolazione italiana di pari età, i residenti del CS risultano avere una percezione relativamente buona della propria qualità della vita legata allo stato di salute, malgrado l’elevata prevalenza di ma-lattie croniche, disabilità e sintomatologia depressiva. In particolare, ap-

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Alessandro Morrione, Enrico Mossello, Mauro Di Bari

pare decisamente inferiore rispetto all’atteso la limitazione percepita nelle attività quotidiane a seguito di problematiche fisiche ed emoziona-li e particolarmente buona la percezione delle proprie attività sociali. Tale dato può essere interpretato come un effetto protettivo sulla qualità della vita da parte del contesto sociale ed abitativo in cui gli anziani vi-vono, che comprende la disponibilità di servizi sociali dedicati, la vici-nanza degli altri ospiti e, in diversi casi, il persistere del supporto della famiglia di origine. Sembra pertanto che il CS sia in grado di massimiz-zare per i suoi residenti il godimento di quel “capitale sociale” che con-sente loro di continuare una vita all’interno della comunità, senza carico sui servizi socio-sanitari ed in una condizione di relativo benessere.Nell’insieme, la soluzione abitativa studiata potrebbe quindi risultare un valido modello residenziale, senza impatto sulla spesa sanitaria, poten-zialmente in grado di ridurre il ricorso ai servizi socio-sanitari e di man-tenere un’elevata qualità della vita ottimizzando il contesto sociale degli individui. Ospitando inoltre un’elevata percentuale di soggetti a rischio di disabilità, potrebbe essere sede di interventi di prevenzione.

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La ricerca geriatrica. Lo stato di salute

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La ricerca sociale. La qualità della vita

Ester Macrì e Filomena Maggino Dipartimento di Statistica, Informatica, Applicazioni “G. Parenti” (DiSIA)Laboratorio StaRSE. Università degli Studi di Firenze

SommarioAll’interno del progetto di ricerca sul Centro Sociale (CS) di Lastra a Signa è stata inserita una ricerca sociologica sulla qualità della vita dei residenti del centro. L’attenzione è stata posta in particolare sul benessere soggettivo percepito dei residenti del CS, sulla loro soddisfazione nei confronti di differenti aspetti della propria vita, e sul tentativo di capire se essi percepiscano, in che misura e in che modo, i vantaggi che risiedere al CS comporta. L’indagine è stata portata avanti attraverso interviste faccia a faccia ai residenti del CS. L’intervista prevedeva una parte strutturata, con la somministrazione di un questionario standardizzato creato ad hoc, e di una parte non strutturata, cioè un colloquio informale con l’intervistato a proposito della sua vita nel CS. Il presente lavoro espone i principali risultati della ricerca, con attenzione sia alla parte prettamente quantitativa che a quella più qualitativa.

1. Obiettivi della ricercaL’attenzione della parte di ricerca curata dall’area sociologica all’interno del Centro Studi del Centro Sociale (CS) è stata focalizzata sulla rilevazione della soddisfazione rispetto alla qualità della vita all’interno del CS, tema sul quale gli autori e curatori della ricerca lavorano da tempo sia in ambito nazionale che internazionale.L’interesse è stato posto sul benessere soggettivo percepito dai residenti del Centro e sulla loro soddisfazione nei confronti di differenti aspetti della propria vita.

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Ester Macrì e Filomena Maggino

In particolare interessava capire se i residenti della struttura percepi-scano, in che misura e in che modo, i vantaggi che risiedere al CS comporta, nell’ottica della rilevazione del benessere soggettivo dei residenti del CS.Il concetto di benessere soggettivo nasce nell’ambito del dibattito sulla rilevazione di un concetto più vasto, quello di “qualità della vita”, e di esso può essere considerato una macro-dimensione.In letteratura il benessere soggettivo è rilevato attraverso due dimensioni: la dimensione cognitiva e la dimensione affettiva (Diener, 1984). La dimensione cognitiva del benessere soggettivo riguarda la capacità di un individuo di valutare la propria esistenza anche in un’ottica retrospettiva, stimando la propria “soddisfazione” per essa.La vita viene considerata nel suo complesso facendo riferimento agli standard che ogni individuo si prefigge rispetto ad aspettative, ideali, desideri, confronti con esperienze del passato etc.Ogni individuo è dunque capace di esprimere il proprio livello di soddisfazione verso la vita in un determinato momento mettendola in relazione con tutti questi standard e con i ricordi di momenti differenti. La seconda dimensione del benessere soggettivo, la dimensione affettiva, intende rilevare invece tutte le emozioni (positive o negative) che gli individui provano durante la loro vita di tutti i giorni.Queste emozioni sono dette in letteratura “affect” e secondo alcuni autori (Veenhoven, 2010) hanno carattere universale, e quindi non sono determinate da stili individuali di risposta o da differenze culturali.Come detto la componente cognitiva riguarda una riflessione a posteriori sulla propria vita fino ad un determinato momento, mentre la componente affettiva è collegata solamente al presente.

Sinteticamente le due dimensioni sono così scomponibili:1) Dimensione “cognitiva”: suddivisa in soddisfazione per la propria vita

nel suo complesso e soddisfazione nei diversi ambiti di vita 2) Dimensione “affettiva”: scomponibile in affect positivi (felicità,

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La ricerca sociale. La qualità della vita

serenità, ecc.), affect negativi (preoccupazione, stress, ecc.) e affect associati ad alcuni particolari ambiti o domini (per esempio, famiglia, lavoro, amicizia…).

A partire da questa base teorica si è costruito uno strumento di rilevazione ritenuto idoneo per il contesto e gli obiettivi cognitivi della ricerca.

2. Gli strumenti della ricercaPer la rilevazione è stato predisposto uno strumento ad hoc, ovvero un questionario standardizzato che contiene numerose scale già validate per la rilevazione della soddisfazione riguardo a differenti aspetti della vita degli anziani. Molte delle domande contenute nello strumento di rilevazione infatti sono già state utilizzate in ricerche analoghe, su campioni di anziani. I residenti del CS sono stati invitati a partecipare alla ricerca in una assemblea pubblica tenuta presso i locali del CS nel maggio 2011, durante la quale sono state illustrate le finalità dello studio e sono stati presentati i ricercatori. Lo strumento è stato somministrato personalmente dalla dottoressa Macrì ai residenti del CS attraverso 55 interviste faccia a faccia svolte all’interno delle abitazioni del CS. Si sono registrate purtroppo alcune impossibilità nel condurre le interviste a tutti i residenti del CS, dovute essenzialmente a motivi di salute. È opportuno sottolineare come, rispetto alla ricerca di tipo geriatrico, la somministrazione di un questionario di tipo soggettivo richieda capacità cognitive più elevate e non possa essere delegato ad un caregiver seppur informato, in quanto ciò che si intende rilevare è la percezione del soggetto stesso, e non di una terza persona. Il questionario prevedeva anche dei supporti cartacei ingranditi per i residenti con problemi di vista dovuti all’età. La somministrazione dei questionari si è comunque svolta in un contesto informale, di “chiacchierata” e libero scambio, e sono stati raccolti anche alcuni appunti che costituiscono un’ulteriore momento di riflessione qualitativa sulla situazione complessiva del CS.

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Ester Macrì e Filomena Maggino

Ogni intervista ha avuto durata varia, da un minimo di venti minuti, nei casi di residenti con particolari problemi di salute che non favorivano il dialogo, ad un massimo di un’ora, nel caso di residenti che risiedono al CS da molti anni e che hanno voluto corredare la somministrazione del questionario con la narrazione di episodi della propria vita nel CS e precisazioni su di essa. In questo modo la ricerca è stata costituita da due momenti tra loro collegati in maniera imprescindibile: uno più qualitativo, che comprende il primo contatto con l’ospite e la richiesta di appuntamento, la parte di presentazione della ricerca e il colloquio generale a casa dell’intervistato, e un momento prettamente quantitativo, ovvero la vera e propria somministrazione dello strumento di rilevazione. I risultati esposti di seguito in questo lavoro tengono conto di entrambi i momenti della ricerca.

3. L’analisi dei dati

3.1 Aspetti della vita quotidiana: importanza e soddisfazione.La prima domanda del questionario, in linea con la letteratura di riferi-mento, riguardava l’attribuzione dell’importanza di differenti aspetti della propria vita per i residenti del CS. Agli intervistati è stato chiesto di ordinare dieci aspetti dal più importante al meno importante. Questa domanda è risultata molto complessa da comprendere per alcuni residenti, tuttavia, dopo adeguate spiegazioni e grazie ad un supporto cartaceo (cartellini con scritti i vari aspetti da ordinare) si è potuto pro-cedere con la somministrazione. Al primo posto troviamo la salute, indicata come primo aspetto più im-portante della vita da 30 intervistati, come secondo da 11 intervistati, come terzo da 4, e da tutti gli altri come minimo come quinto aspetto importante nella vita.A seguire troviamo la famiglia, posizionata al primo posto da 5 interv-istati, al secondo da 20, al terzo da 7.Segue e poi l’amicizia, indicata al primo posto da 5 intervistati, al sec-

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La ricerca sociale. La qualità della vita

ondo posto per 9, al terzo per 4. Importante tra i vari aspetti della vita risulta infine anche l’autonomia, che è stata posizionata al primo posto da un intervistato, al secondo da 2, al terzo da 10 e al quarto da 11. Gli aspetti ritenuti meno importanti dai residenti del CS risultano in-vece la spiritualità, indicata al decimo e ultimo posto da 10 intervistati e al nono da 9 intervistati, la partecipazione alla vita pubblica, posizionata al decimo posto da 9 intervistati e al nono da 10, e il denaro al decimo posto da 13 intervistati ma al nono per nessuno. Rispetto al denaro è tuttavia ipotizzabile che si siano registrate risposte falsate in qualche modo da un’effetto di “desiderabilità sociale” in quan-to dichiarare che il denaro è importante nella vita è sembrato sconveni-ente alle persone intervistate. Ciò verrà successivamente confermato controllando questa risposta con le risposte a domande successive che riguardavano, in maniera più o meno diretta, il denaro e la situazione economica degli intervistati.La seconda domanda riguardava invece la soddisfazione personale perce-pita dagli intervistati nei confronti degli stessi aspetti della vita elencati nella domanda precendente. Gli intervistati erano quindi chiamati a riflettere sui differenti ambiti della propria vita ed esprimere un proprio grado di soddisfazione in una scala da 1 a 10. In generale è importante sottolinerare come i livelli di soddisfazione verso tutti gli ambiti della vita siano molto alti tra i residenti del CS, con voti medi tutti superiori al 6, cioè al voto che è inteso, in senso comune e in sede di analisi dei dati, come la sufficienza. La soddisfazione più alta è stata, in media, registrata rispetto alla libertà, rispetto alla quale si è riscontrato un valore medio estremamente alto, pari cioè a 9,20. Questo risultato è estremamente importante nel contesto del CS di Las-tra a Signa, che nasce proprio con l’intento di favorire e stimolare l’autonomia dei propri residenti anche negli ultimi anni della propria vita nel rispetto della libertà individuale di ciascuno e proprio facendo

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Ester Macrì e Filomena Maggino

leva su di essa. Livelli di soddisfazione molto alti si registrano anche rispetto all’autonomia, che registra una soddisfazione media pari a 8,61 e alla privacy, che presenta un valore medio di soddisfazione pari a 8,49. Questi risultati sono assai importanti e congruenti con l’obiettivo cogni-tivo della ricerca. Infatti risulta chiaro quanto i residenti del CS si sen-tano liberi di muoversi a loro piacimento, autonomi e sentano che la loro privacy è rispettata. Questi tre aspetti (libertà individuale, autono-mia, privacy) sono elementi fondanti per il CS, e questo risultato mostra quanto non siano solo vaghi ideali, ma sono realmente percepiti nella vita quotidiana dei residenti della struttura. Tutto ciò è confermato anche dalla parte qualitativa della ricerca. Nei colloqui svolti negli appartamenti, infatti, molti residenti hanno più volte sottolineato come il pregio principale del CS sia che ognuno può vivere la propria vita in autonomia e senza interferenze, potendo però avvalersi del sostegno delle operatrici e dei vicini di casa qualora ce ne sia bisogno.Gli aspetti della vita rispetto ai quali gli residenti del CS risultano meno soddisfatti sono invece la partecipazione alla vita pubblica, con un valore medio pari a 6,45, il denaro, che presenta un valore medio di soddisfazi-one pari a 6,71 e la salute, che registra un valore medio pari a 6,74. Tuttavia sia partecipazione alla vita pubblica sia il denaro non risulta-vano essere ritenuti particolarmente importanti per i residenti della struttura, come emergeva dai risultati della prima domanda e sopra esposti.La salute, invece, risultava al primo posto nella classifica dei residenti del CS in base all’importanza per i differenti ambiti della vita. È op-portuno tuttavia considerare che, in un contesto di sole persone an-ziane, un valore medio di soddisfazione per la propria salute pari a 6,74 è estremamente alto.La Tabella 1 mette a confronto i risultati della prima domanda, relativa all’ordine di importanza dei differenti aspetti della vita, con i valori medi di soddisfazione registrati per ciascun ambito indagato.

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La ricerca sociale. La qualità della vita

Tabella 1. Importanza dei differenti aspetti della vita

 importanza  

dichiarata

soddisfazione  

media

salute 1 6,74

famiglia 2 7,90

amicizia 3 7,36

autonomia 4 8,61

privacy 5 8,49

libertà 6 9,20

svago 7 7,21

denaro 8 6,71

vita  pubblica 9 6,45

spiritualità 10 7,55

Notiamo dalla Tabella 1 come non ci sia sostanziale divergenza tra i due risultati, e come la soddisfazione media per gli ambiti dell’esistenza rite-nuti molto importanti sia molto alta. Ne consegue che nei residenti del CS è presente una sostanziale armonia tra aspettative e soddisfazione verso la propria vita.In generale, dunque, i residenti del CS appaiono soddisfatti rispetto alla propria vita, e ciò emerge chiaramente anche dai risultati dell’analisi dei dati della terza domanda, che riguardava proprio la soddisfazione glo-bale rispetto alla propria vita. Come mostra la Figura 1, la maggior parte degli anziani intervistati si dichiara soddisfatta della propria vita (19 su 55) o addirittura del tutto soddisfatta (14 su 55). Dieci degli intervistati si dichiarano né soddisfatti né insoddisfatti e solo 5 dei residenti intervistati si dichiarano insoddisfatti della propria vita. Un solo residente si è dichiarato del tutto insoddisfatto e nessuno ha dichiarato che non sa esprimersi in merito. Cinque intervistati si sono tuttavia rifiutati di rispondere alla domanda.

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Ester Macrì e Filomena Maggino

Figura 1. Grado di soddisfazione generale rispetto alla propria vita da parte dei residenti del CS.

Anche modificando la tecnica di rilevazione della soddisfazione perce-pita e spostandola più verso la rilevazione della felicità in senso stretto, i residenti del CS si percepiscono, nell’insieme, felici. È stato infatti mostrato un cartoncino con il disegno di diverse espres-sioni facciali e i residenti intervistati dovevano scegliere quale faccia sul cartoncino rappresentasse meglio il proprio stato d’animo attuale. Come mostra la Figura 2, nessun intervistato ha scelto la faccia più triste, corrispondente all’estrema insoddisfazione verso la propria vita e al livello massimo di infelicità. Ben quindici intervistati intervistati hanno scelto la faccia più sorriden-te, corrispondente all’estrema soddisfazione verso la propria vita, dieci la seconda faccina sorridente e undici la terza.Sei residenti si sono identificati nella faccia neutra, quattro nella faccia parzialmente triste e solo tre nella faccia triste. Sei intervistati, tuttavia, non sono stati in grado di rispondere alla domanda perché non capaci di vedere bene il disegno sul cartoncino,

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La ricerca sociale. La qualità della vita

sebbene ingrandito. Non è stato quindi possibile somministrare loro questa domanda.

Figura 2. Quale di queste espressioni è più simile al suo stato d’animo attuale?

3.2 La fiducia.La fiducia verso le altre persone, specialmente quelle con cui si vive più a contatto, è ritenuto in letteratura un indicatore utile per valutare la qualità della vita di un individuo, in quanto chi si sente sostenuto da una rete e ha fiducia negli altri tenderà ad essere più soddisfatto della propria vita e a vivere in maniera migliore in generale.In questo lavoro si è quindi voluto indagare il livello di fiducia dei resi-denti del CS da due punti di vista: la fiducia verso gli altri in generale (anche sconosciuti) e la fiducia verso le persone più vicine. Per quanto riguarda la fiducia verso le altre persone in generale, la mag-gior parte degli intervistati, ai quali era stato chiesto di esprimere la pro-

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Ester Macrì e Filomena Maggino

pria posizione su un continuum che andava da “non ci si può fidare di nessuno” a “in generale ci si può fidare della gente”, si colloca in posizio-ne intermedia tra i due item proposti (16 intervistati su 55) - Figura 3. Undici intervistati tuttavia si dichiarano del tutto d’accordo con “non ci si può fidare di nessuno”, mostrando quindi uno scarso livello di fiducia verso il prossimo. Sei intervistati mostrano invece completo accordo con la frase “in gene-rale ci si può fidare della gente”, e hanno quindi il livello massimo di fi-ducia verso gli altri. In generale sono più gli intervistati che si collocano nella parte di conti-nuum più “sfiduciata” (24 intervistati in tutto) rispetto a coloro che di-chiarano di avere fiducia nelle altre persone (11 intervistati in tutto).

Figura 3. Accordo con le frasi “non ci si può fidare di nessuno”- “in generale ci si può fidare della gente”

Passando invece ad analizzare la fiducia verso le persone più vicine, dai risultati dell’indagine emerge che in caso di difficoltà i residenti intervi-stati pensano di potersi avvalere soprattutto dell’aiuto degli operatori del CS e dei propri familiari. Come mostra la Figura 4, ben 32 intervistati hanno dichiarato di poter

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contare “moltissimo” sull’aiuto degli operatori del CS in caso di difficol-tà e altri 8 intervistati hanno dichiarato di poter contare “molto” sugli operatori del CS. Soltanto 2 intervistati hanno dichiarato di poter con-tare “pochissimo” sugli operatori del CS. Anche i familiari godono di buona fiducia, infatti 25 intervistati dichia-rano che potrebbero contare “moltissimo” sui propri familiari in caso di difficoltà, 9 di potervi contare “molto”, 6 “poco” e 3 “pochissimo” (solo con riferimento a quei residenti che hanno dei familiari). Gli amici, sia dentro il centro che fuori, sono invece la categoria verso i quali i residenti del CS nutrono meno fiducia. Infatti sono 17 gli intervistati che dichiarano di poter contare “pochissi-mo” sugli amici al di fuori del CS e 15 quelli che dichiarano di potervi contare “poco”.Rispetto agli amici all’interno del centro, 7 intervistati dichiarano di potervi contare “pochissimo” e 21 intervistati di potervi contare “poco”.Anche a livello qualitativo, dai risultati delle chiacchierate informali con i residenti emerge che sono pochi coloro che ritengono di avere dei veri amici su cui contare. Altri raccontano di aver avuto in passato degli amici ma di averli persi con l’andare del tempo. Sono comunque 10 gli intervistati che hanno dichiarato di poter contare “moltissimo” sugli amici fuori dal centro in caso di necessità e 9 quelli che hanno dichiarato la stessa cosa relativa-mente agli amici all’interno del CS.

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Figura 4. In caso di difficoltà quanto potrebbe contare su…

3.3 Analisi dei dati della scala sul benessere soggettivo degli anziani.È stata somministrata agli residenti del CS una scala di rilevazione del benessere soggettivo degli anziani già testata in altre ricerche simili che ha l’obiettivo di misurare il livello di benessere degli anziani in relazione sia alla percezione del proprio umore sia in relazione alla percezione del proprio livello di autonomia. Di seguito sono riportati i risultati. Il primo item intende rilevare la percezione del proprio umore da parte degli intervistati. Ben 16 intervistati si dichiarano “molto d’accordo” con la frase “la maggior parte del tempo sono di buon umore”, 11 si di-chiarano “d’accordo”, 16 né d’accordo né in disaccordo, 4 si dichiarano “non d’accordo” e soltanto 3 intervistati si dichiarano “molto in disac-cordo” - Figura 5.Questo risultato è solo in parte coerente con i risultati della scala grafica di rilevazione della felicità tramite la rappresentazione delle espressioni facciali. In quel caso erano infatti 36 gli intervistati che avevano scelto le tre

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espressioni relative al buonumore. In questo caso sono invece 26 gli in-tervistati che dichiarano di essere di buon umore la maggior parte del tempo, sommando le categorie dell’accordo. Tuttavia l’item ha un riferimento temporale più ampio, cioè “la maggior parte del tempo” e quindi più impegnativo, mentre la scala grafica era invece riferita al momento preciso della rilevazione, e ciò può spiegare la parziale incoerenza tra i due diversi risultati.

Figura 5. Grado di accordo con la frase “La maggior parte del tempo sono di buon umore”

Il secondo item compreso nella scala riguarda invece la percezione del proprio desiderio di uscire maggiormente fuori e di stare all’aria aperta. La maggioranza dei residenti del CS intervistati (24 in totale) si è dichia-rata “molto in disaccordo” con la frase “vorrei trascorrere più tempo all’aria aperta”. Soltanto 5 intervistati si sono dichiarati molto d’accordo con questa frase, e 12 d’accordo. Tre intervistati si sono dichiarati né d’accordo né

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in disaccordo, 4 non d’accordo, come mostra in sintesi la Figura 6. Sette intervistati non si sono espressi a proposito di questa frase.

Figura 6. Grado di accordo con la frase “vorrei trascorrere più tempo all’aria aperta”.

Il terzo item della scala verte invece sulla percezione degli intervistati ri-spetto alla propria solitudine. Si tratta di un aspetto fondamentale per valutare il benessere soggettivo delle persone anziane, in quanto uno dei principali problemi legato all’avanzare dell’età è proprio quello del sen-timento di solitudine e di abbandono. Ben 22 intervistati si sono dichiarati “molto in disaccordo” con la frase “mi sento spesso solo”.Altri 9 intervistati si sono dichiarati “non d’accordo” 5 né d’accordo né in disaccordo, 8 “d’accordo” e soltanto 6 “molto d’accordo”, 5 non han-no voluto rispondere alla domanda - Figura 7.Complessivamente quindi i residenti del CS non sembrano avvertire in maniera forte la solitudine, fatta eccezione per 6 residenti che si sentono spesso soli e 8 che comunque hanno mostrato accordo con la frase.

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Unendo questi dati ad un’analisi di tipo più qualitativo, in relazione a quanto emerso dalle interviste non strutturate, è importante sottolineare che coloro che avvertono maggiormente la solitudine sono quei residen-ti che soffrono di particolari patologie o che sono entrati al CS in segui-to ad eventi traumatici che hanno lasciato un senso di solitudine (perdi-ta di tutti i parenti o punti di riferimento etc). Per il resto la maggior parte degli intervistati ha dichiarato di non sentir-si solo perché “basta aprire la porta dell’appartamento per poter trovare sempre qualcuno”.

Figura 7. Grado di accordo con la frase “mi sento spesso solo”

Il quarto item della scala riguarda invece la percezione della propria au-tonomia decisionale e della possibilità di gestire a piacimento l’organiz-zazione quotidiana della propria vita. Anche questo aspetto è molto im-portante rispetto agli anziani, che spesso avvertono un senso di frustra-zione e impotenza verso la propria vita. Ben 32 residenti del CS si dichiarano “molto d’accordo” con la frase “mi

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sento padrone della mia vita e delle mie scelte”, altri 12 intervistati si dichiarano “d’accordo”, 2 “né d’accordo né in disaccordo”, soltanto 3 “non d’accordo”, un solo intervistato “molto in disaccordo” e cinque intervistati hanno preferito non rispondere alla domanda. I risultati sono mostrati in sintesi nella Figura 8.Pertanto sembra che i residenti del CS si sentano padroni della propria vita e delle proprie scelte e si percepiscano come globalmente autonomi nelle proprie decisioni e nell’organizzazione della vita quotidiana, e ciò emerge chiaramente anche nella parte qualitativa della ricerca.

Figura 8. Grado di accordo con la frase “mi sento padrone della mia vita e delle mie scelte”

L’ultimo item della scala riguarda invece la percezione del proprio stato di salute e del livello di autonomia ad esso legato. Sono in questo caso 12 i residenti del CS intervistati che si dichiarano “molto d’accordo” con la frase “non posso fare molte cose che vorrei a causa della mia salute”, 15 sono “d’accordo”, 4 “né d’accordo né in disac-

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cordo”, 6 “non d’accordo”, 13 “molto in disaccordo” - Figura 9. In generale possiamo dire che i residenti del CS avvertono i limiti ogget-tivamente imposti dalle proprie condizioni di salute. Tuttavia, se mettia-mo in relazione questo risultato con gli altri e con i risultati più qualita-tivi della ricerca, non emerge un forte senso di frustrazione causato da questi limiti, se non in alcuni soggetti con patologie particolari.

Figura 9. Grado di accordo con la frase “non posso fare molte cose che vorrei a causa della mia salute”.

3.4. Cosa manca e cosa è importante.Ai residenti del CS intervistati è anche stato chiesto di indicate tre cose (oggetti, persone, aspetti della vita) che mancano attualmente nella loro vita e che la renderebbero migliore. Tra le cose che mancano nella propria vita e potrebbero renderla migliore sono state indicate innanizitutto dai residenti intervistati 10 possibili migliorie alle proprie abitazioni all’in-terno del CS, nello specifico: lavatrice in ogni casa (indicata da 2 intervi-stati), un piccolo orto da coltivare, la possibilità di tenere animali dome-

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stici, la separazione degli ambienti notte/giorno (nel caso di un apparta-mento singolo, infatti gli appartamenti doppi hanno già questa separa-zione), un terrazzo privato, un balcone più grande per poterci tenere delle piante e dei fiori, degli armadi più spaziosi, una stanza più grande, un cucinotto separato dal resto della casa. A mancare sono poi i mariti e le mogli, i compagni di vita che non ci sono più, ma anche possibili com-pagni per trascorrere gli anni attuali dell’esistenza, che qualche residente si augura di trovare. Otto intervistati invece dichiarano che avrebbero bisogno di un po’ più di soldi, per vivere meglio e togliersi qualche sfizio in più. Sette intervistati vorrebbero invece godere di una salute migliore. Sei intervistati vorrebbero potersi muovere più agevolmente e sei intervi-stati sentono la mancanza di viaggi e vacanze. Quattro vorrebbero mi-gliorare situazioni personali (rapporto coi figli, risolvere vecchie questio-ni in sospeso etc), quattro sentono la mancanza di parenti che non ci sono più o sono troppo lontani e malati per poterli vedere, e tre sentono la mancanza di amici, come mostra sinteticamente la Figura 10.

Figura 10. Cose che mancano nella propria vita e la renderebbero migliore.

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Agli intervistati è stato poi chiesto di indicare tre cose che sono presenti nella propria vita e la rendono migliore ogni giorno. Al primo posto troviamo i figli, importanti per 16 intervistati, al secondo posto i nipoti, al terzo gli amici, al quarto i fratelli e le sorelle, poi gli hobby (sono stati indicati la pittura, ascoltare musica, leggere, cucire, guardare la tv e pas-seggiare), le medicine e il volontariato, come mostra in sintesi la Figura 11. Soltanto tre residenti hanno segnalato tra le cose più importanti e che migliorano la propria vita il CS. Questo risultato è stato oggetto di riflessione e confronto anche con le operatrici del CS. La conclusione più convincente sembra essere quella che i residenti tendano a dare un po’ per scontata l’importanza del CS e che per questo non l’abbiano se-gnalato tra le cose fondamentali per loro. Tuttavia è importante sottoli-neare che il sentimento di riconoscenza verso il CS è emerso chiaramen-te dalla parte qualitativa della ricerca. Infatti tutti i residenti hanno espresso chiaramente questo senso di ringraziamento verso il Centro e le operatrici del Centro.

Figura 11. Cose che sono presenti nella propria vita e la rendono migliore.

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3.5. L’uso del tempoPer quanto riguarda l’uso del tempo dei residenti del CS di Lastra a Si-gna, le attività più frequenti sono stare a casa, guardare la tv, uscire per fare la spesa (la vicinanza con il supermercato e centro commerciale Iper-coop facilita sicuramente questa attività), ricevere visite dai familiari, fare piccole passeggiate e uscire per andare a fare visita ai propri familia-ri. Le attività meno frequenti sono invece andare al cinema, andare in chiesa, ascoltare la radio, fare la parole crociate e giocare a carte, come mostra in sintesi la Figura 12.

Figura 12. Uso del tempo

4. Analisi qualitativa dei colloqui con i residenti.

In un’ottica più qualitativa, sulla base di quanto emerso dai colloqui con i residenti del CS, possiamo sintetizzare i principali risultati per punti chiave, di seguito riportati.I residenti del CS hanno ben chiaro che risiedere al Centro è un indi-

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scusso vantaggio. Innanzitutto il vantaggio percepito è di tipo economi-co, perché vivere fuori dal Centro comporterebbe spese che molti non sarebbero capaci di sostenere. In secondo luogo è chiaro il vantaggio di risiedere all’interno del Centro in termini di compagnia, i residenti in-fatti mostrano apprezzamento verso la possibilità di avere sempre qual-cuno vicino. Più controverso appare il ruolo delle operatrici del Centro; se per molti residenti la loro presenza e il loro supporto appare fonda-mentale e indispensabile, altri negano di essere aiutati in alcun modo perché vige la tacita regola per cui “chi ha figli non viene aiutato”. Altri residenti si collocano in posizione intermedia, per cui dichiarano di non aver bisogno di grande aiuto da parte delle operatrici ma di apprezzarne il supporto, la presenza e la cordialità. Dai colloqui effettuati emerge infine una differenza su come viene vissuto il CS da diversi tipi di utenti. Possiamo individuare i seguenti utenti tipo:1) Donne anziane sole o in coppia: sono la categoria che maggiormente

apprezza il CS anche come luogo di socializzazione, usa in maniera costante gli spazi comuni e lega più facilmente con vicini e operatrici.

2) Uomini anziani soli: sono i più dipendenti dal CS, si appoggiano molto alle cure delle operatrici, frequentano in maniera parziale gli spazi comuni.

3) Uomini non molto anziani soli o in coppia: sono “gli invisibili” del CS, escono spesso, hanno amici e impegni fuori dal Centro. Non utilizzano quasi per niente gli spazi comuni.

4) Coppie non molto anziane: si collocano in posizione intermedia, an-che perché spesso entrate da poco nel Centro. Hanno una vita attiva al di fuori del CS (spesso accudiscono nipoti o parenti), cercano però al tempo stesso, soprattutto le donne, di vivere il CS in tutte le sue proposte e di familiarizzare con gli altri residenti.

5. ConclusioniIn conclusione possiamo affermare che dai risultati dell’indagine socio-logica presso il CS emerge un quadro estremamente positivo rispetto al benessere soggettivo e alla qualità della vita dei residenti.

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Il livello di soddisfazione verso la propria vita è molto alto rispetto a tutti i principali ambiti, i residenti si percepiscono felici ed autonomi, non accusano particolarmente senso di solitudine o di frustrazione, e anche in presenza di problemi di salute hanno, globalmente un atteggia-mento positivo verso la propria esistenza. La posizione strategica del CS sul territorio di Lastra a Signa permette ai residenti di muoversi agevolmente anche fuori, di ricevere e scambiare visite con amici e parenti e di sentirsi comunque inseriti in un contesto più ampio senza percepire un senso di segregazione anche nel tempo libero.In generale il livello della percezione della qualità della vita dei residenti del CS è decisamente alto.

DIENER, E. (1984). Subjective well-being. Psychological Bulletin, 95, 542-575.

VEENHOVEN R. (2010). How Universal is happiness? in DIENER, HEL-LIWELL, KAHNEMAN, International Differences in Well Being, Oxford Univer-sity Press.

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Una ricerca sugli aspetti architettonici e urbanisticidel Centro Sociale di Lastra a Signa

Corrado Marcetti, Jacopo Ammendola,Chiara Babetto e Benedetta Masiani Fondazione Giovanni Michelucci

SommarioL’impianto generale delle strutture di residenza collettiva destinate alla terza età riflette l’arretratezza culturale del modello con cui la società contemporanea affronta i cambiamenti socio-demografici e tra questi l’invecchiamento della popolazione ed in particolare l’abitare difficile delle sue componenti più fragili. Il passaggio dal “territorio della costri-zione” rappresentato dalle strutture tradizionali di assistenza al “territo-rio della scelta” ha caratterizzato sin dalla sua nascita il Centro Sociale (CS) di Lastra a Signa, la cui concezione innovativa è stata il frutto di una feconda interazione fra disponibilità all’innovazione dell’Ammini-strazione pubblica, visione geriatrica avanzata e capacità di ascolto e tra-duzione progettuale. L’integrazione degli aspetti urbanistici, architetto-nici e sociali al modello organizzativo-gestionale si conferma come pun-to di forza di tutta l’esperienza. È la chiave da cui riparte la Fondazione Michelucci nell’ambito del progetto “CS Studi, ricerca e formazione sulla qualità della vita per anziani” conducendo un’analisi preliminare degli aspetti urbanistici e architettonici del CS. Gli approfondimenti sull’uso degli spazi interni ed esterni da parte degli abitanti, a trenta anni dall’inaugurazione del CS, forniscono un primo quadro molto impor-tante sull’architettura vissuta alle diverse scale di osservazione, le dina-miche relazionali interne al complesso e le interazioni con la città. Suc-cessivamente sulla base di un laboratorio di progettazione partecipata finalizzato alla elaborazione di interventi leggeri di rinnovamento della struttura, vengono avanzate le proposte di riprogettazione di alcuni ele-menti spaziali al fine di migliorare la qualità abitativa del complesso e

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rafforzarne il carattere di urbanità.Intanto attraverso un altro filone di ricerca condotto dalla Fondazione, relativo alle esperienze innovative condotte sul piano internazionale sul tema dell’abitare anziano, è emerso un panorama di interventi di grande interesse, comparabile sotto diversi aspetti con il modello del CS di La-stra a Signa. Dal quadro comparativo si evidenziano da ogni intervento una o più risposte alle problematiche dell’abitare anziano: da quelle psi-cologiche ed emotive a quelle funzionali e compositive, a quelle urbani-stiche e di contesto nel segno etico ed estetico di un’architettura sociale degna di questo nome.

1. L’abitare degli anziani: oltre il territorio della costrizione La rete delle strutture di residenza collettiva destinate alla terza età non riesce a tenere il passo dei cambiamenti socio-demografici, delle modifi-cazioni economiche ed anche delle aspirazioni soggettive delle nuove schiere di anziani. Il divenire della condizione anziana nella società con-temporanea manifesta una complessità scarsamente riducibile e recinta-bile negli schemi rigidi del sistema delle classificazioni e delle tipologie di assegnazione. Queste presentano i limiti evidenti di una comparti-mentazione statica e datata sotto diversi aspetti. A fronte del forte invec-chiamento della popolazione è proprio l’impianto complessivo delle strutture di assistenza che ha subito il maggiore invecchiamento a causa dell’ arretratezza culturale del modello. È caduta l’illusione che potesse essere la moltiplicazione dei posti nelle Residenze sanitarie assistenziali (RSA) la risposta principale ai problemi derivanti dall’invecchiamento della popolazione ed è cresciuta la consa-pevolezza che i soggetti che richiedono di essere accolti in RSA fanno (o altri fanno per loro) una richiesta “in negativo”, cioè dettata dalla soffe-renza e dalla assenza di alternative. È cresciuta la consapevolezza che le RSA non possano essere il definitivo e terminale approdo dell’anziano, ridotto a oggetto fisiologico di assistenza a soggettività cessata. Le risposte residenziali che riguardano gli anziani presentano, a una os-servazione basata sull’evidenza, una senescenza di impianto culturale per

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tutta una serie di aspetti oggettivi, ma soprattutto rispetto alle aspettati-ve soggettive delle “nuove schiere” di anziani, che, per storia sociale ge-nerazionale, hanno una consapevolezza dei diritti e della qualità della vita differente da quella delle generazioni precedenti per le quali l’ospi-zio-casa di riposo, seppure a malincuore, poteva rientrare, in assenza di alternative, come terminale di carriere di vita dura. I motivi che palesano quanto il modello unico delle residenze assisten-ziali sia superato sono evidenti e molteplici: l’insopportabile compres-sione delle identità individuali, le regolamentazioni restrittive della li-bertà personale, e tra queste della libertà di espressione affettiva e sessua-le (spesso scoraggiata con atteggiamenti di disagio se non palesemente ostacolata), il diritto alla privacy.I nuovi anziani sono assai poco disposti a subire scelte che classifichino il proprio abitare come abitare differenziato e separato. Essi presentano una opposizione critica a concetti residenziali stereotipati e rivendicano un ruolo di componente sociale attiva. Per quanto concerne il tema delle residenze e dei servizi abitativi essi preferiscono di gran lunga la permanenza nel proprio domicilio, even-tualmente riadeguato, o in alloggio facilitato, in autonomia abitativa e non disagevole per il mantenimento della propria rete relazionale. Pro-pendono per programmi efficaci di assistenza domiciliare e per quelle misure che consentono il mantenimento quotidiano della propria sfera di relazioni e consuetudini. Ma sono anche disponibili a valutare e pren-dere in considerazione modelli innovativi di convivenza o di alloggio che consentano di sostenere la perdita progressiva o traumatica di ambiti di autonomia. Appare dunque necessario un generale ripensamento dei modelli assi-stenziali - abitativi correnti, anche in rapporto ai “pesi” sociali assunti dalle componenti anziane della popolazione, che richiedono nuove stra-tegie urbane, un rinnovato carattere di urbanità dell’architettura che va riconquistato per una migliore interpretazione delle ragioni e delle esi-genze degli abitanti. Affrontare la questione in termini progettuali signi-fica tener conto di alcuni aspetti essenziali come la piccola dimensione

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del nucleo familiare anziano, spesso mononucleare, e l’aumento delle persone anziane anagraficamente sole, la crescita della consistenza nu-merica del gruppo dei “grandi anziani” ultraottantenni che aumenta in maniera significativa con una accentuata connotazione femminile. Rac-cogliere queste istanze dal punto di vista progettuale significa prevedere ambienti abitativi che contemplino il progressivo adeguamento alle esi-genze derivanti dall’avanzare della disabilità correlata all’età, condizione di maggiore incidenza nel quadro sanitario dello scenario socio-demo-grafico. La progressiva perdita di abilità richiede rispetto alla dimensione dell’abitare una serie di servizi che promuovano il mantenimento dell’au-tonomia delle persone anziane.Tema di grande rilevanza è quello della anzianità povera o impoverita con disagio socio-sanitario che non ha i mezzi per sostenere le scelte di carattere abitativo più favorevoli rispetto alla progressiva perdita di auto-nomia. Le soluzioni abitative disponibili presentano costi assai poco sostenibili per chi ha economie deboli e debolissime come i tanti che hanno posizioni pensionistiche al di sotto della soglia di povertà e le cose si aggravano tendenzialmente per i nuovi anziani. Occorrono nuovi in-dirizzi per promuovere l’incrocio tra anzianità-povertà-solitudine e cit-tà-tessuto-retiLa prospettiva di una crescita ulteriore degli utenti delle strutture resi-denziali, sia di quelle destinate ai non autosufficienti che di quelle desti-nate agli autosufficienti, non appare percorribile e l’inversione di ten-denza, frutto di politiche specifiche dirette a favorire soluzioni di carat-tere abitativo, dovrebbe essere contrassegnata dallo sviluppo di una scala di servizi di assistenza domiciliare fortemente richiesta dagli “utenti di elezione” di questo servizio - anziani non autosufficienti o parzialmente non autosufficienti- e dalla realizzazione di sistemi di residenzialità col-lettiva caratterizzata da alloggi autonomi integrati in una rete comunita-ria di sostegno ( dalle forme del condominio solidale alla rete dei servizi socio-sanitari). Oggi le RSA, sistemi di attrezzature e organizzazioni spa-ziali specializzate e costose, assorbono la gran parte della spesa sociale rivolta agli anziani e c’è un evidente squilibrio di pesi nei servizi rivolti

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Una ricerca sugli aspetti architettonici e urbanistici del Centro Sociale di Lastra a Signa

agli anziani tra queste strutture e l’assistenza domiciliare che è comples-sivamente sottodimensionata. Verso le RSA c’è una pressione in crescita mentre permane come problema di assoluta gravità quello di carattere alloggiativo che mette a repentaglio la permanenza degli anziani in diffi-coltà nella propria casa e preme sui servizi dell’emergenza abitativa. Complessivamente l’impianto attuale dei servizi in Italia presenta la sua maggiore debolezza nella difficoltà ad introdurre progetti e pratiche in-novative, anche quando giustificati nel quadro della spesa socio-sanitaria e conformi alle priorità dagli anziani stessi indicate. Il modello del CS, la cui riproducibilità non è stata in questi anni adeguatamente ricercata, e il ventaglio internazionale di casi che in questo articolo è presentata, possono offrire un valido riferimento per potenziare l’elasticità dell’of-ferta a fronte di una domanda potenziale molto alta che si compensa o si sacrifica altrimenti. Sulle tracce di queste esperienze alloggiative innova-tive può essere costituito un modello fondativo di nuove risposte sul piano progettuale.

2. L’abitare degli anziani: verso il territorio della scelta Una direttrice fondamentale per una progettualità innovativa sull’abita-re contemporaneo degli anziani è la realizzazione di una nuova urbanità che attraversi tutte le scale interessate: dallo spazio domestico, al quartie-re e alla città, con risposte specifiche finalizzate alla costruzione di un ambiente complessivamente adeguato alla vita della persona anziana in ogni contesto, salvaguardandone dignità, autonomia e partecipazione.L’attraversamento deve riguardare le stesse strutture RSA affinché, den-tro una strategia urbana di ricerca di soluzioni differenziate e più ade-guate, siano utilizzate in modo più dinamico, flessibile e relazionato con le altre risorse territoriali e comunque sempre nel contrasto delle tenden-ze istituzionalizzanti delle persone accolte. Oggi c’è tanto “istituto” per-ché manca la città, come habitat umano, come organismo vitale. Gli anziani cercano la città ma quest’ultima non esce dalla sua crisi storica se non ridefinisce la sua modernità anche in termini di solidarietà sociale, se non trova forza nelle sue debolezze, cioè nel servizio a chi è debole, a

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chi cerca relazioni e in quanto tale è “costruttore” di città. Intervenire sulla città, realizzare un ambiente urbano sostenibile alla vita delle persone anziane, abbattere le barriere architettoniche, favorire la socialità, significa liberare gli anziani da una condizione di “arresti domi-ciliari” e riqualificare la città stessa come ambiente vivibile e meno diffi-coltoso per tutti.Una città conviviale incentiva a conoscersi e riconoscersi, ad incontrarsi, a darsi appuntamento, a cooperare, riaprendo il circuito sociale contro i rischi di separatezza, isolamento, abbandono.Il superamento del trattamento istituzionalizzato dell’anzianità deve ri-marcare una discontinuità netta attraverso la promozione della dignità abitativa, della autonomia nella conduzione dell’alloggio, della cittadi-nanza attiva e della partecipazione.La condivisione dell’anziano nel costruire le condizioni per affrontare la nuova fase della sua vita è fondamentale. Egli va messo in condizione di organizzare la propria vita quotidiana e di scegliere tra diverse soluzioni di abitazione e servizi. Il territorio della scelta, invece che il territorio della costrizione, deve essere la direzione per una nuova cultura dell’abi-tare verso cui orientare le risorse, dai finanziamenti pubblici, al “contri-buto di solidarietà”, al rapporto con gli interventi privati.Un’altra linea di ricerca sulle tipologie abitative innovative per anziani indaga i confini progettuali del rapporto tra residenza e cura. La direzio-ne è quella di aumentare le possibilità di scelta, oggi troppo costrette, e avviare esperienze che vadano sia nel senso del prolungamento della per-manenza negli spazi domestici che nel senso di strutture, come le Case della salute, collocate a livello microterritoriale e capaci di offrire una pluralità di servizi. Nuove strade in questa stessa direzione meritano di essere percorse.Sempre meno l’autonomia della persona può essere considerata come la somma di punteggi derivante dalle diverse performance individuali. Sempre più l’autonomia può essere invece considerata come capacità variabile di espressione del soggetto, anche in relazione alla disponibilità di risorse ed opportunità per facilitarla, per recuperarla, per conservarla.

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Le risorse vanno da quelle di carattere abitativo a quelle di carattere rela-zionale, organizzativo, tecnologico, del self help, del volontariato. Tutte queste considerazioni definiscono l’innovazione come quella tesa alla prevenzione rispetto alla neo-istituzionalizzazione.Si può delineare un nuovo modello di assistenza, strutturato sulla cen-tralità delle esigenze dell’anziano, sulla riconquista (o almeno il mante-nimento) di margini di autonomia, sulla ripresa di relazioni e attività, piuttosto che sull’accompagnamento all’inevitabile decadimento. Rispetto al forte impegno delle risorse dei Comuni sul settore degli an-ziani, uno dei capitoli su cui occorre programmare un nuovo indirizzo di spesa è quello relativo alla residenzialità degli anziani in progressiva perdita di autonomia abitativa. Esperienze lungamente “testate” come quella del CS indicano l’esigenza di un generale ripensamento della ra-dicalità di questa divisione, della netta separazione del luogo residenzia-le da quello assistenziale. Dunque il necessario rimodellamento di pre-stazioni e servizi dedicati agli anziani comprende un piano di innovazio-ni nel campo delle tipologie abitative. La ricerca sulle tipologie abitative innovative si pone in maniera trasver-sale rispetto al tradizionale impegno delle politiche sociali, coglie l’in-crocio con le politiche di governo urbano della città: le politiche di pia-no, la sostenibilità e vivibilità urbana, il disagio abitativo. Intervenire sulle condizioni di inidoneità ambientale con efficaci e appropriati in-terventi, può impedire l’innesco di quel circuito di complicanze a casca-ta che rende inevitabile il passaggio dall’assistenza domiciliare alle cure ospedaliere e, purtroppo spesso, alle strutture di lungo degenza. Significa rendere l’alloggio capace di accogliere le esigenze derivanti dal-le modificazioni fisiologiche e psico-comportamentali caratteristiche dell’invecchiamento. Questi interventi di cura, manutenzione e facilita-zione del luogo abitativo consentono di sostenere l’autonomia nelle fasi di pre-fragilità, fragilità e disabilità dell’anziano, e possono aiutare a su-perare quegli stati di ansia e depressione motivati dall’esposizione al ri-schio di essere di peso, quella condizione di precarietà derivante dalle difficoltà nell’autogestire la propria mobilità divenuta instabile e insicu-

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ra e dal conservare una adeguata soglia di igiene personale e della casa. La residenza facilitata intesa come un sistema di alloggi dotati di un portierato sociale o di una calibrata soglia di assistenza, inseriti in luoghi di vita aperti ed integrati, con appartamenti concepiti perché ci si possa vivere a tutte le età, introducono fattori protettivi rispetto al divenire dei personali percorsi dei singoli anziani senza intaccare la loro autonomia. Consentire il più possibile l’uso delle risorse proprie dell’anziano porta ad una maggior consapevolezza del proprio status e sottolinea una con-dizione di indipendenza nelle scelte, rispetto alla delega nella gestione della propria vita a strutture istituzionalizzanti, a volte limitando le stes-se garanzie di libertà personale. Per la persona anziana è importante non essere in condizione di totale dipendenza, sentirsi “padrone di casa”, in-quilino o proprietario, con autodeterminazione anche economica dei propri redditi, con la possibilità o meno di usufruire, anche in forma transitoria, di servizi di cura della persona e del luogo, di accompagna-mento di promozione di socialità e partecipazione, di attrezzature prote-siche. È possibile pensare a sistemi di alloggi che coniughino sicurezza, indipendenza abitativa e comfort senza cadere nella mitologizzazione della domotica. Il supporto della domotica, della tecne, è sicuramente utile per una serie di gravi disagi ma caratteristica importante della sua applicazione deve essere quella della “assistenza invisibile” della sapiente combinazione con la caratterizzazione domestica degli interventi.

3. L’architettura del Centro Sociale Il progetto del Centro Sociale è stato ideato negli anni Settanta, in un periodo ricco di fermenti sociali e istanze di superamento delle istituzio-ni totali e delle strutture di lungodegenza.Nei primi anni Settanta l’Amministrazione comunale di Lastra a Signa intenzionata a realizzare un ospizio per gli anziani predispose una va-riante urbanistica per la sua realizzazione. L’idea originaria fu però rivo-luzionata quando il sindaco Gerardo Paci, primo cittadino tra il 1965 e il 1975, coinvolse nel progetto il medico Gavino Maciocco e, su consi-glio di questi, il gerontologo Francesco Maria Antonini, fondatore

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dell’Istituto di Geriatria a Firenze, che osteggiò la realizzazione dell’isti-tuto per anziani in quanto espressione concreta della messa in disparte dei vecchi, costretti a subire il rito della spoliazione dalla vita quotidiana e dalla propria individualità. Ne nacque una feconda collaborazione, volta alla definizione di un modello innovativo dell’abitare anziano, che comportò la visita a strutture avanzate sia in Svizzera che in Francia. La localizzazione fu strategicamente inserita in un quartiere residenziale di nuova realizzazione, caratterizzato da una significativa presenza di servi-zi e spazi verdi che oggi gli conferiscono una buona qualità urbana. Il quartiere è dotato di spazi gioco per bambini e percorsi-vita molto fre-quentati, che lo rendono estremamente vivace.Alla traduzione architettonica del modello fu chiamato un gruppo di giovani architetti. In circa sei mesi di lavoro l’architetto Vito Giarrizzo e

Disegni di progetto, C.A.U. vista prospettica, 1974

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i suoi collaboratori del Collettivo architetti e urbanisti (C.A.U) Nicola Bianchini e Adriano Perra, in un intenso dialogo con Antonini e Ma-ciocco, interpretarono nel progetto dell’organismo architettonico la vi-sione della libertà e dell’autonomia dell’anziano come chiave per la pre-venzione della non autosufficienza e come valore dell’organizzazione sociale. Il nuovo Sindaco di Lastra a Signa Corrado Bagni, eletto nel 1975, e il nuovo assessore alla Sanità Marco Geddes da Filicaia, promos-sero attivamente la realizzazione dell’avanzato programma ereditato e con il sostegno di nuovi finanziamenti regionali l’edificio fu completato sul finire degli anni Settanta. La cooperativa PROGECO nella quale confluirono i membri del C.A.U, l’architetto Paolo Coggiola, gli inge-gneri Maurizio Coggiola e Gianluigi Barducci, il geometra Italo Cucchi curò la progettazione esecutiva. La direzione dei lavori fu espletata dall’architetto Adriano Perra. Il carattere di innovazione che il progetto tutt’oggi incarna è frutto di una lungimiranza pionieristica, di una visio-ne anticonvenzionale dell’anzianità in cui l’approccio scientifico si fonde con la tutela della libertà della persona, col rispetto del bagaglio di espe-rienza di vita vissuta, con una grande attenzione ai contenuti umani del processo di invecchiamento affinché la persona non si trovi a dover cam-biare radicalmente i propri comportamenti e le proprie abitudini. La struttura del CS come supporto rispetto alle perdite e alle limitazioni presenti in questa fase della vita, per favorire attività di socializzazione e promuovere iniziative culturali e ricreative, fu dotata di una serie di spa-zi adeguati a partire dalla scelta di localizzazione. Il CS, collocato in un quartiere residenziale, è vicino ai punti nevralgici della comunità, è rag-giungibile sia con l’autobus che a piedi in pochi minuti. Inoltre la vici-nanza di un supermercato ha permesso agli anziani del CS di svolgere attività quotidiane di fondamentale importanza come fare la spesa e cu-cinare.L’anziano, residente al CS, mantiene i contatti con la rete familiare e amicale, vivendo autonomamente in un appartamento, privo di barriere architettoniche, dove i costi delle utenze quotidiane sono totalmente abbattute e l’affitto è calcolato sulla base del reddito individuale, per-

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mettendo una vita qualitativamente migliore, grazie anche alla presenza di una piccola equipe, coordinata da un’assistente sociale, di quattro operatori socio-assistenziali, molto motivata nel sostenere e nel sollecita-re i residenti a mantenere qualità di vita individuale e sociale e autono-mia nella quotidianità abitativa.La struttura residenziale, a differenza della composizione tipica delle RSA, basata su camere per gli utenti, presenta un’articolazione in am-bienti comuni e appartamenti che presentano una scala di variazione di questo tipo: singolo, doppio, singolo con terrazza, doppio con terrazza, tutti personalizzabili per quanto riguarda l’arredo, da parte degli stessi residenti sia pure nelle ridotte dimensioni (per due persone mq. 40,42 con terrazzo non compreso, mq. 45,12 senza terrazzo; singoli mq. 18,04 con terrazzino interno, mq. 24,12 senza terrazzino) e tenuto con-

Disegni di progetto, C.A.U. vista prospettica, 1974

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to degli ingombri derivanti dalla presenza di armadi attrez-zati anche per l’uso cucina. La presenza di altri servizi nello stesso complesso (biblioteca, palestra, mensa, bar, sede di va-rie associazioni, asilo, uffici Asl, uffici Comunali, scuola di dan-za) a disposizione di tutta la cit-tadinanza fu progettata per evi-tare la separatezza degli alloggi per gli anziani integrandoli in un contesto di vita attiva, in un’area di socializzazione e di aggregazione. Ciò fa si che il luogo venga frequentato da utenze diverse, portando così ad una fruizione plurigenera-zionale che riduce l’ isolamento dell’anziano. Servizi e spazi col-lettivi (interni ed esterni) sono presenti ai diversi piani del complesso.A oltre trent’anni dalla sua inaugurazione, il CS è stato og-getto di un progetto ampio e diversificato di ricerca, sostenu-to dalla Regione Toscana e dal Comune di Lastra e coordinato da Gavino Maciocco, in cui la Fondazione Michelucci ha im-postato un piano di ricerca ba-sato su un’analisi degli spazi dal

Disegni di progetto, C.A.U.pianta piano terra, 1974

Disegni di progetto, C.A.U. pianta primo pia-no, 1974

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punto di vista dell’architettura vissuta finalizzato allo sviluppo delle potenzialità di migliora-mento e alla promozione di quello che appare come un vero e proprio modello di habitat collettivo, suscettibile di ripro-ducibilità sul territorio, piutto-sto più che una semplice solu-zione abitativa per anziani non abbienti. Ad una prima analisi condotta sulla struttura emerge una complessiva buona tenuta del CS. L’integrazione degli aspetti urbanistici, architetto-nici e sociali al modello orga-nizzativo-gestionale si confer-ma come elemento chiave e punto di forza di tutta l’esperienza. Anziani appartenenti alle fasce eco-nomicamente deboli, usufruiscono di un sistema abitativo che salva-guardia autonomia e dignità alloggiativa, con costi sostenibili per gli anziani stessi come per l’Amministrazione. In questo sistema sono stati attivati circuiti di solidarietà tra utenti, secondo un principio di auto-aiuto; laboratori ed iniziative, volti al mantenimento e allo stimolo delle facoltà cognitive e allo scambio generazionale che favoriscono il prolun-gamento dell’autosufficienza e la permanenza di anziani con parziale disabilità. L’esigenza di fare emergere con uno sguardo in profondità e attraverso il coinvolgimento dei residenti del CS i nodi critici su cui in-tervenire e le potenzialità da sviluppare attraverso la riprogettazione si inserisce nella necessità di nuova verifica del CS basata sulla funzionalità dei suoi spazi, i rapporti con la città ed il territorio alla luce delle trasfor-mazioni sociali avvenute in questo trentennio.

Disegni di progetto, C.A.U. miniappartamen-to per coppie di anziani,1974

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4. La ricerca ed il laboratorio di progettazione partecipataNell’ambito del progetto “Centro Sociale. Studi, ricerca e formazione sulla qualità della vita per anziani”, la Fondazione ha condotto prima un’analisi preliminare degli aspetti urbanistici e architettonici del CS, con approfondimenti sull’uso degli spazi e le dinamiche relazionali in-terne come sul variegato sistema di relazioni con la città vissuta secondo raggi molto differenziati di interazione da parte dei diversi gruppi di anziani. Successivamente ha impostato un laboratorio di progettazione partecipata finalizzato alla elaborazione di interventi leggeri di rinnova-mento della struttura.L’approccio proposto dalla Fondazione è stato centrato sulla partecipa-zione dei residenti anziani e degli operatori con particolare attenzione all’uso e al “sentimento dello spazio” di ciascuno, alla connessione tra l’ambiente spaziale e quello relazionale, all’autonomia e alla qualità abi-tativa. Il CS di Lastra a Signa, proprio per la sua natura dedicata a perso-ne autosufficienti, ma che negli anni andranno incontro ad una progres-siva perdita di autonomia, pur in una condizione ottimale per il prolun-gamento della stessa, accoglie persone di età diverse e in condizioni psi-co-fisiche molto differenti tra loro. Questo influisce notevolmente sulla modalità con cui i residenti vivono le relazioni interpersonali, gli am-bienti comuni e privati, nonché i servizi offerti dalla struttura stessa. Tra i residenti del CS è possibile distinguere almeno due diverse tipologie di residenzialità. La prima è quella di coloro che vivono intensamente il CS, anche nei suoi aspetti più comunitari partecipando alle attività e trascorrendo molto del proprio tempo negli ambienti comuni. Per que-ste persone il personale del CS rappresenta un vero e proprio punto di riferimento al quale si rivolgono nei momenti di difficoltà, ma anche durante il tempo libero. La parte più cospicua delle relazioni di queste persone si concentra all’interno del CS nel quale trascorrono gran parte della loro giornata con una progressiva perdita dei rapporti con chi non vi risiede fatta eccezione per i parenti, quando presenti. Per gli apparte-nenti a questo gruppo le vicende del CS assumono grande importanza tanto da farne l’oggetto principale delle loro conversazioni. Queste per-

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sone sono spesso quelle che presentano età più avanzata, con condizioni di salute meno buone. Alla seconda tipologia di residenzialità è possibile ricondurre coloro che, invece, vivono essenzialmente il CS come il com-plesso abitativo di cui fa parte anche il loro alloggio, una sorta di condo-minio di cui accettano le regole, ma dal quale tendono a voler rimarcare la propria indipendenza. Gran parte della loro giornata la trascorrono fuori casa spesso presso i figli, che volentieri aiutano ad affrontare la quotidianità, oppure portando avanti i loro interessi residui, non ulti-mo l’impegno in associazioni di volontariato. Questa tipologia di resi-denti concentra la propria rete relazionale prevalentemente al di fuori del CS, perché ritiene la struttura poco adatta ad ospitarla o semplice-mente ha altri luoghi adibiti agli incontri. Il rapporto con il personale è prevalentemente buono, basato sul rispetto e sul riconoscimento del ruolo svolto presso i residenti in difficoltà. Meno tollerate sono da que-ste persone alcune dinamiche interne di tipo vicinale riguardanti coloro che trascorrono la maggior parte della giornata all’interno dell’edificio. Fanno parte di questo gruppo persone con alti livelli di autonomia, spesso con un’età meno elevata e condizioni di salute migliori. Signifi-cativa per l’analisi appare essere la variabile di genere trasversale a queste due macro-categorie e condizionante le dinamiche relazionali interne al CS. Se, infatti, la maggior parte delle donne mostrano una buona adat-tabilità alle condizioni e alle relazioni offerte dal CS, coniugando auto-nomia e consolidamento di relazioni interpersonali che permettono loro di affrontare il progressivo peggioramento delle condizioni di salu-te grazie ad un graduale aumento della partecipazione alle dinamiche interne, gli uomini, complice anche la loro minoranza numerica (38% dei residenti), rivelano maggiori difficoltà di integrazione. Questi, in-fatti, sembrano voler mantenere sia una maggiore autonomia rispetto al CS, che si manifesta attraverso una minore partecipazione alle attività e alla dinamiche interne, sia una concentrazione delle proprie occupazio-ni al di fuori dalla struttura.Ciò se da un lato si rivela positivo per il loro coinvolgimento in attività lavorative o di volontariato presso realtà diverse dal CS o per il manteni-

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mento delle relazioni amicali indipendenti dal contesto abitativo in cui risiedono, dall’altro porta a posticipare l’integrazione e la costruzione di relazioni con gli altri residenti; infatti, tale tendenza può assumere con-notazioni critiche nel momento in cui si verifichi un peggioramento delle condizioni di salute e quindi una minore possibilità di spostamen-to e mobilità.Alla luce di questa analisi, proprio gli uomini residenti appaiono portato-ri di esigenze specifiche che sarebbe opportuno sviluppare in modo da rendere il CS un luogo significativo per le relazioni e il tempo libero, in grado di offrire momenti di svago e collettività pensati per persone con buoni livelli di autonomia, in grado perciò di svolgere una funzione im-portante per la comunità e coltivare le proprie relazioni amicali anche all’interno del CS grazie a delle aree pensate per essere accoglienti e vitali. L’esperienza condotta nella gestione del laboratorio di progettazione partecipata nel CS è stata modellata sulle caratteristiche della vita socia-le del CS affinché la partecipazione fosse efficace rispetto al contesto fa-vorendo l’espressione di forme di cittadinanza attiva e consapevole.La prima condizione indispensabile per un suo corretto sviluppo è stata l’informazione piena e leale nei confronti di quanti si sono resi disponi-bili a dedicare una parte del loro tempo al percorso partecipativo, in merito alle finalità, agli strumenti, alla metodologia che si intende ado-perare. La seconda è stata promuovere una reale capacità di incidenza del processo rispetto ad una concreta volontà di intervento in un determi-nato contesto.Il percorso è iniziato nell’ottobre 2010 con una serie di incontri tra il personale della Fondazione Michelucci impegnato nella ricerca e le figu-re di riferimento del CS. Grazie al confronto con gli operatori interni e gli assistenti sociali è stato possibile acquisire informazioni importanti sulle attività ricreative presenti nel CS e la partecipazione che esse otten-gono da parte di persone interne ed esterne alla struttura, componendo un quadro il più possibile esaustivo del diverso utilizzo e significato dato ai singoli luoghi del CS. L’avvio della progettazione partecipata, fulcro del progetto presentato dalla Fondazione, è stato preceduto da una riu-

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nione dell’equipe che ha individuato nell’intervista semi-strutturata con i residenti la modalità meno invasiva e più adatta a far emergere le infor-mazioni di interesse spaziale e architettonico. I colloqui sono stati prece-duti da un’assemblea pubblica con i residenti all’interno del CS in cui sono state illustrate la finalità di tale operazione, ottenendo un buon li-vello di consenso e partecipazione. Nel maggio 2011 sono, perciò, ini-ziate le interviste che hanno interessato un campione significativo di re-sidenti (27 colloqui condotti singolarmente o per nucleo abitativo) e che intendevano indagare la modalità in cui i residenti percepivano e viveva-no gli spazi della struttura. Nel momento in cui le informazioni raccolte sono state valutate sufficienti, il personale della Fondazione si è dedicato prima ad un’analisi di tale materiale e successivamente allo sviluppo di alcune proposte progettuali che agivano sulla struttura a livello spaziale e architettonico. Dai colloqui avuti con i residenti del CS è emerso come, al momento della presentazione della domanda, la struttura fosse da loro già ben conosciuta e individuata come la sistemazione più adeguata in ragione delle loro condizioni di fragilità.Se per diversi anziani rimasti soli la scelta è derivata dagli aspetti di socia-lità, attenzione e sicurezza domestica che caratterizzano il CS, alcune delle persone intervistate hanno ammesso, invece, di aver scelto questa soluzione principalmente per problemi economici. L’apprezzamento delle qualità di facilitazione abitativa e collaborazione in caso di necessi-tà, tipiche del CS, sembra, infatti, sopraggiungere in un secondo mo-mento così come la valutazione positiva di quelle caratteristiche che mi-rano al mantenimento dell’autonomia e ad una maggior qualità della vita dell’anziano. Un altro fattore determinante per l’entrata al CS appa-re essere per alcuni l’uscita dalla solitudine, spesso conseguente alla per-dita del coniuge o all’impossibilità di andare a vivere con i figli o al rifiu-to di “pesare” su quest’ultimi. Nonostante il CS rappresenti un punto di riferimento per la comunità lastrigiana, dalle interviste è emersa l’esi-stenza di una sorta di pregiudizio sulla struttura, che viene manifestato attraverso l’iniziale opposizione alla presentazione della domanda per il CS da parte dei famigliari di alcuni residenti e dalla difficoltà incontrata

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da diversi ospiti nell’invitare gli amici all’interno dei loro appartamenti, soprattutto se ancora giovani.Tale percezione negativa sulla struttura determina, secondo i residenti, una diminuzione delle relazioni con l’esterno e un disgregarsi dei rap-porti amicali conseguente all’entrata al CS. A fronte di un giudizio com-plessivamente soddisfacente sulla struttura, le critiche raccolte si sono concentrate sulle dimensioni eccessivamente ridotte degli appartamenti singoli che, comprendendo il terrazzino nella propria superficie, risulta-no meno accoglienti rispetto a quelli che ne sono privi, tuttavia, tale osservazione non è stata condivisa da tutti gli abitanti, infatti, alcuni di coloro che godono di appartamenti più grandi, ma privi di terrazzo, hanno espresso il desiderio di uno spazio dove tenere le piante. Un’altra notazione condivisa interessa le porte dei bagni interne agli appartamen-ti, che rendono difficoltose, per il loro verso d’apertura e la loro dimen-sione, eventuali operazioni di supporto all’anziano in difficoltà. I resi-denti negli appartamenti al piano sottotetto hanno, inoltre, evidenziato come, durante il periodo estivo, la temperatura dei loro appartamenti risulti superiore alla media. Da parte dei responsabili del CS è stata sottolineata una necessità mag-giore di appartamenti singoli rispetto al numero di quelli attuali, otteni-bile attraverso una calibrata riduzione di quelli per due persone, nonché una riserva di alcuni alloggi per situazioni di emergenza derivanti dall’improvvisa perdita della propria abitazione da parte di altri anziani. Rispetto agli spazi collettivi sui quali la Fondazione ha condotto paralle-lamente una lettura continuativa della loro fruizione da parte dei resi-denti, sono emersi aspetti di dispersività per quanto concerne quelli cen-trali presenti sui piani, mentre lo spazio esterno dedicato all’anfiteatro risulta essere scarsamente utilizzato dagli abitanti del CS.Relativamente alla scala urbana e di quartiere, sono inoltre stati eviden-ziati punti critici nella percorribilità pedonale e ciclabile di maggior uso tra i residenti del CS nei propri spostamenti, con alcune situazioni di pericolosità nell’itinerario che collega la struttura ai principali punti di interesse dei residenti.

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5. Le proposte di intervento progettualeSulla base del lavoro di analisi che ha messo a fuoco gli aspetti di criticità legati all’uso continuato e appassionato della struttura, la Fondazione Giovanni Michelucci propone una serie di piccoli interventi che possono contribuire a migliorare il CS per renderlo in grado di soddisfare le nuove esigenze.La redazione di queste proposte come linee guida per l’ avvio di un pro-cesso che possa dar vita a progetti di intervento veri e propri, riguarda in particolare quattro ambienti caratterizzati dal fatto di essere luoghi di relazione e di “incontro” tra la città e il CS. Il rapporto tra gli spazi del CS e gli spazi esterni come soglia critica è emerso durante le analisi e le conversazioni con gli abitanti che hanno evidenziato le difficoltà di mantenere le relazioni precedenti all’entrata nel CS e la percezione di una troppo forte introversione degli spazi collettivi interni, percepita soprattutto da parte degli ospiti che godono di una migliore salute. Una linea di demarcazione nonostante gli sforzi dei progettisti è rimasta an-che in questa struttura, concepita con criteri d’avanguardia e la contrad-dizione va assunta in termini progettuali.Per quanto riguarda gli spazi interni l’attenzione è stata focalizzata in particolare sulle sale e le terrazze che costituiscono i luoghi ”filtro” tra la vita del CS e quella del quartiere. Le grandi sale collocate nella zona no-dale della struttura, per quanto abbastanza frequentate, si presentano come spazi poco connotati e risultano, nella quotidianità, un po’ disper-sivi. La necessità di conservare la spazialità di questi grandi ambienti per la loro utilità in occasione di feste e altri eventi collettivi di cui il CS si fa promotore è mediata, nella proposta progettuale, dall’inserimento di pareti mobili capaci di creare ambienti più raccolti, in linea con le esi-genze degli utenti, senza interdire la funzionalità delle sale come grandi spazi aperti.Lo spazio della terrazza-anfiteatro è stato quasi completamente inutiliz-zato con le finalità per cui era stato originariamente progettato, e ad oggi appare difficilmente fruibile per motivi di sicurezza a causa della presen-za di barriere architettoniche e per un orientamento che ne penalizza

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Proposta di pareti mobili per gli ambienti comuni del Centro Sociale

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l’uso durante la stagione estiva. Inoltre, una parte delle terrazze giace in stato di semi abbandono per l’assenza di pavimentazione. L’unico spazio coperto e dotato di una funzione d’uso quotidiano - la lavanderia - è molto frequentato come spazio di relazione anche grazie alla sua posizio-ne, che lo rende uno dei luoghi “filtro” tra esterno e interno. La Fondazione ipotizza la riconversione del teatro all’aperto in giardino e orti pensili. La particolare conformazione “a gradoni” si presta in modo ottimale al posizionamento di aiuole facilmente coltivabili anche da per-sone con difficoltà di movimento. Il posizionamento di parapetti sui

Proposta di riconversione del parcheggio in uno spazio verde

Proposta di trasformazione dell’anfiteatro in giardino

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gradoni destinati al passaggio garantirebbe, inoltre, un adeguato livello di sicurezza. L’introduzione di pergolati in legno e di arredi per esterni nonché il ripristino della pavimentazione assente, migliorerebbe la qua-lità dello spazio dando luogo a ambienti ombreggiati utili nei mesi più caldi. La creazione di un collegamento diretto tra le terrazze ai piani su-periori e quella del secondo piano, mediante una nuova scala, riconnet-terebbe lo spazio esterno del CS con il quartiere rendendo possibile la realizzazione di eventi aperti anche alla cittadinanza.Per quanto riguarda gli ambienti esterni è stato rilevata, a fronte di un uso piuttosto intenso da parte dei residenti, una scarsa qualità dello spa-zio, sia in termini di arredo che di armonia compositiva. La maggior parte degli spazi, infatti, non presenta le caratteristiche necessarie per una fruizione quotidiana da parte dei residenti. L’unica eccezione, rap-presentata dalla presenza di sedute nella parte verde retrostante è co-munque penalizzata dalla presenza del parcheggio a distanza ravvicinata.La proposta presentata mira a riqualificare gli spazi contigui alla strada e, attraverso la valorizzazione dell’attuale sede dell’Auser, il parco retro-stante. Dalle analisi effettuate, infatti, il piano terra risulta privo di spazi filtro e configurato in modo dispersivo e confuso. Tale criticità potrebbe essere agevolmente superata attraverso lo spostamento dell’attuale par-

Proposta di collegamento tra le terrazze con una nuova scala

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Proposta di arredo urbano per creare un punto di aggregazione

cheggio, collocato di fronte al passaggio coperto che introduce l’ingresso al CS, nella superficie attigua e la sostituzione dello stesso con un picco-lo spazio verde che assecondi l’accesso alla struttura. Il nuovo giardino così ricavato si collegherebbe, attraverso un percorso pavimentato, alla zona verde retrostante, definendo un asse principale di percorrenza e ri-qualificando anche gli spazi coperti, attualmente poco caratterizzati. La pavimentazione dell’area coperta potrebbe essere integralmente sostitu-ita introducendo altri elementi di differenziazione.Il progetto relativo all’ambiente attualmente occupato dall’Auser è ca-ratterizzato dall’apertura di quest’ultimo verso il parco attraverso la rea-lizzazione di un nuovo ingresso che ne favorisca la trasformazione in punto di ritrovo per l’intera comunità di quartiere. In questo luogo, piccoli elementi di arredo urbano possono favorire l’aggregazione all’a-perto e l’utilizzo di un ambiente attualmente poco sfruttato, inoltre, l’introduzione di tavolini, sedie e ombrelloni da giardino conferirebbe nuova identità a questi spazi. Nella proposta, l’asse di percorrenza che attraversa il CS viene, inoltre, evidenziato da un percorso pavimentato che prosegue, in continuità con il fronte strada, fino alla zona ristoro. Un altro aspetto che merita di essere promosso è la vicinanza del CS con luoghi di interesse pubblico come gli uffici del Comune, la biblioteca,

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l’asilo e la scuola, rendendolo già un luogo frequentato, ma che con l’i-stituzione di piccoli servizi aggiuntivi, potrebbe divenire un vero e pro-prio punto di riferimento per le esigenze legate alla popolazione anziana e non solo. Con l’attrezzatura delle aree immediatamente circostanti l’entrata del CS, sarebbe infatti possibile offrire un punto di ritrovo vi-vace non solo per gli anziani residenti e per i loro conoscenti, ma anche per i ragazzi che frequentano la biblioteca, i genitori e i bambini dell’asi-lo e della scuola, le persone della scuola di ballo, coloro che utilizzano la mensa, i frequentatori del parco. Questo introdurrebbe una variabile intergenerazionale importante e potrebbe contribuire ad una migliore percezione del CS da parte dell’intera comunità.Inoltre, proprio per il suo ruolo riconosciuto nel quartiere e per la co-munità lastrigiana, l’istituzione presso il CS di uno sportello di Portiera-to sociale che si proponga come punto di informazione, erogazione e collegamento per tutti quei servizi che rispondono a bisogni di tipo pratico e abitativo e presso il quale la popolazione anziana possa trovare risposta e attenzione alle sue esigenze, potrebbe già rappresentare un miglioramento notevole nella qualità della vita delle persone anziane che non risiedono all’interno del CS. Dal momento che le condizioni di vita di diversi anziani poveri non residenti appaiono di fatto peggiori o comunque più difficili rispetto a coloro che vi abitano, questo potrebbe rappresentare per la comunità locale non solo una diversa soluzione abitativa riservata ad un ristretto numero di anziani con difficoltà eco-nomiche, ma il luogo più appropriato per ospitare un Osservatorio sulle condizioni di vita della popolazione anziana. Un’intensificazione della attività pensate per gli anziani autosufficienti e in buone condizioni di salute potrebbe, inoltre, favorire l’instaurarsi di relazioni positive tra residenti nel CS e non residenti. Sarebbe inoltre possibile ripensare la caratteristica di monogenerazionalità residenziale esclusiva del CS con l’inserimento di alcuni nuclei di persone giovani che, oltre a necessitare di una soluzione abitativa a basso costo, siano coinvolgibili in progetti di animazione e apertura.Tale valorizzazione del CS ne evidenzierebbe maggiormente il suo ruolo

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di bene condiviso della comunità lastrigiana, una realtà preziosa di con-vivenza, rinnovabile e riproducibile come modello. La conferma del va-lore del CS, infatti, arriva anche sul versante internazionale dalla compa-razione con altre esperienze e modelli di domiciliarità portatori di inno-vazione nel panorama delle residenze per anziani sotto diversi versanti, da quelli dell’inserimento socio-urbanistico a quelli architettonici, dal carattere di impresa associativa e comunitaria al modello gestionale, dal-le tipologie di servizi offerti al condominio solidale e all’autorganizzazio-ne degli anziani stessi.

6. Il Centro Sociale di Lastra a Signa e le esperienze nazionali e inter-nazionali di residenzialità innovativa per gli anzianiNegli ultimi dieci anni, in diversi Paesi europei, a seguito della ricaduta sul versante abitativo delle dinamiche demografiche di invecchiamento della popolazione con una crescente domanda di alloggi e di assistenza abitativa per gli anziani, si è sviluppata una significativa ripresa di pro-grammazione e progettualità su questo tema al fine di garantire un’offer-ta più articolata. Se fino agli anni Novanta la richiesta era concentrata quasi esclusivamente in residenze per anziani non autosufficienti e aveva portato alla costruzione di strutture molto vicine alla tipologia ospeda-liera, dotate di servizi di cura collettivi e grandi stanze che imponevano la convivenza di numerosi individui, nell’ultimo decennio la maturazio-ne dei temi ha portato alla diffusione di una tipologia abitativa essenzial-mente costituita da piccoli appartamenti collegati da spazi comuni, qua-si a creare una sorta di quartiere, in cui anche le persone possano trovare un contesto di vita familiare, un habitat più favorevole allo sviluppo di interessi e di iniziative.Altre declinazioni dell’abitare anziano si stanno affermando rispetto a quella più nota delle tipologie edilizie fortemente istituzionalizzate e in passato persino monumentalizzate. Sono tipologie molto più articolate con una scala di interessanti media-zioni tra il tema dell’alloggio privato e quello della casa collettiva. Di grande interesse è l’esperienza realizzata più di venti anni fa in Fran-

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cia con la Résidence pour personnes âgées a Toulouse.Commissionata dalla Patrimoine S.A. Languedocienne d’H.L.M. e costruita nel 1989, la residenza per anziani integrata in un edificio per abitazioni, nasce in un con-testo di forte attenzione al problema e di investimento in termini di progettualità innovativa da parte del Ministère de l’E-quipment et du Logement e del Ministère de la Solidarieté. La residenza per persone anziane infatti, si inserisce nel program-ma specifico denominato SEPIA, finalizza-to a migliorare la vita quotidiana degli an-ziani e promuovere la costruzione di allog-gi adeguati come alternativa sia al trasferi-mento in istituzioni specializzate che al mantenimento degli anziani in case non più consone alle loro esigenze. Parte inte-grante del programma è stato lo sviluppo di un metodo di progettazione partecipata coinvolgente i diretti interessati, e le perso-ne impegnate nella loro assistenza.

L’edificio, parte di un quartiere organizzato attorno ad una piazza, è co-stituito da 46 alloggi, di cui 22 per famiglie e altri 24 così destinati: 18 a persone anziane, 2 a persone affette da morbo di Alzheimer, 1 a persona con disabilità motoria, 1 al responsabile della struttura. Sono inoltre presenti 2 studi medici di guardia. Il complesso realizzato a Toulouse, adiacente ad una struttura di servizi integrati, appare quindi come un normale edificio di abitazioni, con al-loggi adattabili alle esigenze particolari delle persone anziane e secondo il loro grado di autonomia.Oltre a questo caso francese, il CS di Lastra a Signa risulta accomunato ad

Résidence pour personnes âgées, Toulose, pianta di un alloggio

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altre esperienze nazionali e internazionali innovative sotto l’aspetto di un’ integrazione delle soluzioni abitative con altre funzioni civili che rappre-senta un elemento di lungimiranza evidente dell’esperienza lastrigiana. Questa chiave progettuale si ritrova, infatti, in diverse delle nuove realiz-zazioni europee, tese a superare uno dei rischi maggiori dell’abitare an-ziano, quello dell’isolamento. In questo senso l’esperienza del St. Jakob-Park a Basilea, aperta nel 2001, dove la struttura polifunzionale, proget-tata da Herzog & de Meuron, che inserisce gli alloggi per anziani in un grande insediamento con centro commerciale e nuovo stadio rappresen-ta un caso limite. Tuttavia la tendenza ad affiancare alle unità abitative per anziani strutture pubbliche tipo asili nido, scuole, servizi o esercizi come bar, trattorie, palestre, spazi per attività culturali e ricreative, aper-te a cittadini che non necessitano necessariamente di assistenza e di cura, rappresenta ormai un processo consolidato, spesso legato alla creazione di nuove piazze e giardini della città attivate da questi stessi interventi.Un’altro progetto che è importante ricordare è quello per il Complejo residencial para ancianos y centro cívico en la periferia norte de Barce-lona realizzato nel 2009, in quanto esplicita dal punto di vista funziona-le una stretta relazione tra le attività di servizio del centro civico di quar-tiere e la specifica destinazione residenziale. Pur mantenendo una distin-zione tra le due funzioni principali del complesso, esse non mancano di relazionarsi in una reciprocità fluida e positiva ben rappresentata dall’in-gresso alle residenze, mediato dalla presenza del centro civico che prende l’aspetto di due piccole corti che accolgono il visitatore e lo accompagna-no fino ai volumi delle residenze.Anche il Belgio offre diverse esperienze interessanti ai fini di una compa-razione con il CS di Lastra a Signa. Le Résidence pour personnes âgées a Lommel, ultimate nel 2008, sono inserite in un brano importante della città e realizzate nel contesto di un intervento di riqualificazione organizzato intorno alla progettazione di una nuova piazza. Infatti, le residenze per gli anziani di Lommel costituiscono un volume importan-te e integrato con altri servizi. Mentre il piano terra è destinato al risto-rante, a spazi commerciali e ai servizi a essi connessi, le residenze si svi-

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luppano sugli altri quattro piani e si caratterizzano per una progettazio-ne che ha volutamente tutelato gli aspetti indispensabili della privacy, nonché una maggior fluidità degli spazi interni pensati per offrire la massima fruizione degli stessi da parte di persone con differenti abilità fisiche.Ogni unità abitativa è caratterizzata, inoltre, da un grande open space collettivo con funzioni di cucina, pranzo e soggiorno che incoraggia ad appropriarsi degli spazi collettivi garantendo occasioni di incontro, di mediazione e di confronto, essenziali in una fase della vita che tende all’isolamento e alla reclusione. Questo valore della cucina comune è stato verificato nella sua importanza anche a Lastra, dove pure spazi cot-tura sono presenti nei singoli alloggi. Nel CS sono stati attivati corsi di cucina aperti agli esterni oltre ad essere consolidata la preparazione col-lettiva di pasti e dolci.Una strutturazione urbana analoga che vede gli alloggi degli anziani in-

Résidence pour personnes âgées a Lommel, Belgio, esterno del complesso

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seriti in un articolato piano di riqualificazione e fisicamente affacciati su una nuova piazza creata appositamente inserendo nel complesso un ri-storante, svariati spazi commerciali, un caffè letterario e alcuni servizi a essi connessi, è riscontrabile nel Recupero dell’ex-carcere delle Murate a Firenze. Aspetto di grande interesse di questa esperienza è che la concentrazione di popolazione anziana nel complesso non è dovuta ad una destinazione pianificata degli alloggi bensì all’assegnazione ordinaria degli stessi che ha portato imprevedibilmente al fatto che 35 su 73 assegnatari fossero persone over 65. La collocazione, infatti, è risultata di per sé estrema-mente gradita alle persone anziane perché offre un senso di protezione e di sicurezza in quanto non isola i residenti. La conformazione dello spa-zio, inoltre, coinvolge i residenti anziani in dinamiche di relazioni inter-generazionali.Un rapporto equilibrato tra vita comunitaria e privacy, atto a consentire

Rigenerazione urbana del complesso delle Murate, Firenze

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assoluta libertà di scelta nelle modalità di interpretazione dei luoghi re-lazionali e abitativi funzionalmente al grado di intimità desiderato è un altro dei temi fondamentali posti dal CS di Lastra a Signa che trova eco in tante di queste nuove realizzazioni.Sempre in Italia, la ristrutturazione del complesso edilizio cinquecentesco di Palazzo Graziani rinominato “Giardino dei Semplici” a Bagnacavallo, Ravenna, rappresenta una soluzione innovativa che ha dato vita a 27 ap-partamenti, di cui 22 destinati a persone anziane. L’intervento, infatti, pur realizzandosi nel rispetto degli edifici storici, si è valso di una forte componente tecnologica che ha interessato gli ambien-ti in termini di massima accessibilità e fruibilità da parte dei residenti anziani e disabili al fine di assicurare il massimo grado di autonomia. Anche la dimensione sociale è stata fortemente incentivata affiancando agli appartamenti, spazi collettivi e di servizio: sale di ritrovo, locali per la terapia di mantenimento, biblioteca e cineteca, spazi per la medicina di gruppo, servizi sanitari, portineria con reperibilità ventiquattro ore al giorno. Il contesto condominiale assistito e l’inserimento della palazzina nella realtà urbana, fa dei 13 mini appartamenti privi di barriere architettoni-che che compongono il Condominio Solidale a Imola una realtà conso-na al mantenimento dell’autonomia dei residenti anziani e a scongiurare il loro ricovero in residenze assistenziali e case di riposo. La struttura sorta circa un anno fa, ospita anziani soli o in coppia con una ridotta autonomia sul piano fisico, ma con sufficienti capacità cognitive, assisti-te, 24 ore su 24 , da 20 volontari di Auser ed Antea, che in stretto con-tatto con il medico di base, si occupano anche dell’assistenza infermieri-stica. L’assegnazione dell’alloggio avviene rivolgendosi allo Sportello Sociale o agli Sportelli Territoriali e riguarda anziani (soli o in coppia) e adulti con un quadro assistenziale e sanitario con ridotta autonomia fisi-ca, ma sufficiente capacità cognitiva, che necessitano di attenzioni gesti-bili nel domicilio.Anche nel Condominio Solidale a San Lazzaro di Savena, Bologna composto da 25 alloggi in affitto convenzionato, frutto della riqualifica-

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zione urbana operata a nord della via Emilia, gli appartamenti sono col-locati in un’area centrale. Perfettamente serviti dal trasporto pubblico i residenti possono godere di un’area verde, di spazi per l’assistenza perso-nale degli anziani, di spazi comuni per la socializzazione ed il tempo li-bero, di un ambulatorio, di un bagno attrezzato e di salette da pranzo comuni. Anche in questo intervento si rimarca l’importanza ormai con-solidata del rapporto tra strutture residenziali e contesto urbano quale elemento qualitativamente rilevante ai fini dell’autonomia e del benesse-re delle persone più fragili.L’intervento di ampliamento e riqualificazione dell’esistente complesso residenziale per anziani di Santa Casa de la Misericordia a Alcácer do Sal in Portogallo ha considerato prioritario e sviluppato pienamente

Santa casa della Misericordia, Portogallo, esterno del complesso

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l’obiettivo di una concreta predisposizione degli ambienti a tutela e va-lorizzazione del tema della «libertà», laddove pure la condizione anziana caratterizza inevitabilmente la gestione della vita quotidiana. Nella stessa configurazione morfologica dell’opera architettonica è riscontrabile l’at-tenzione rivolta al fondamento teorico di una rigorosa impostazione gerarchica nell’organizzazione dell’impianto dei luoghi «pubblici» e «privati», sia esterni che interni. Seppure autonomi e chiaramente carat-terizzati, ambienti aperti e coperti, collettivi e individuali sono interrela-ti senza soluzione di continuità da una reciproca connessione percettiva e funzionale. Il complesso è dotato di un’ampia corte centrale, indispen-sabile riferimento per la vita di relazione, e di piccoli giardini dal carat-tere più appartato.Un altro tema cardine della comparazione è quello dello scambio inter-generazionale. L’Auberge du Vivier a Habay in Belgio è considerabile come uno degli esempi più riusciti di abitare comune, infatti, la struttu-ra convive in adiacenza - basandosi su un concetto di prossimità piutto-sto che di fusione - con il “Centre d’accueil Saint-Aubain” che accoglie circa 30 bambini. Tale sinergia ha fatto sì che proprio la sopravvivenza del centro sia di fatto resa possibile grazie ad una gestione integrata con lo stesso “l’Auberge du Vivier” a tal punto che la presenza dei bambini è diventata parte integrante del progetto di vita proposto dalla struttura per anziani. Lo stesso tema della comunicazione intergenerazionale è affrontato in maniera più articolata in un’altra esperienza belga. Le Balloir a Liegi, è un progetto che unisce in un organismo spazialmente differenziato per volumi e funzioni (una residenza per anziani, alloggi tipo habitat groupé, servizio residenziale) anziani, bambini soli o accompagnati dalle loro madri e giovani madri in difficoltà.Anche in Italia è possibile rintracciare iniziative sperimentali che valoriz-zano le potenzialità offerte dai rapporti sociali e di vicinato come quella promossa dall’Assessorato ai Servizi Sociali del Comune di Torino. Nell’esperienza del Condominio Solidale a Torino, gli anziani, sebbene portatori di problemi importanti, legati principalmente al loro stato di

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salute, sono visti come parte attiva, possibile sostegno e aiuto allo svilup-po del progetto stesso. Nella struttura sono presenti 18 alloggi riservati ad anziani soli o in coppia aventi i requisiti di accesso alle case popolari (8 dei quali dedicati alla permanenza temporanea di persone che termi-nano un percorso di tipo assistenziale non superiore a 18 mesi) , mentre nei primi due piani 8 alloggi sono destinati a madri con figli minori, donne sole, giovani di età compresa tra i 16 ed i 32 anni. L’Associazione aggiudicatrice della concessione ha il compito della gestione del condo-minio sociale attraverso l’affidamento dei 4 alloggi ad essa concessi che vengono riservati a nuclei familiari composti da una o più persone che si rendono disponibili a risiedere presso il condominio e a prendere in af-fido le persone che temporaneamente vi abitano, per aiutarle nel rag-giungimento dei loro obiettivi individuali attraverso la costruzione di reti locali solidali che realizzino servizi di supporto non solo per i resi-denti, ma per l’intero quartiere.Al piano terra, inoltre, uno spazio anziani, in gestione alla II Circoscri-zione, offre servizi di assistenza a tutti i residenti della zona nonché alcu-ni locali comuni, nei quali vi è una zona bimbi attrezzata, una grande sala, una zona cucina. A Trento, invece, l’esperienza di Casa Salvina a Prè di Ledro nasce dalla consapevolezza che la solitudine rappresenta uno dei principali nodi critici per la terza età. Questa convinzione insieme ai problemi economi-ci delle giovani coppie della valle a mettere sù famiglia e comprare casa ha dato vita ad una co-residenza nata dal recupero di un edificio storico nel centro di Prè che è stato trasformato in 9 alloggi: 6 destinati a perso-ne anziane e 3 assegnati a canone calmierato a giovani coppie.La vita di comunità è, inoltre, facilitata da soluzioni architettoniche: balconi comunicanti affacciati su una corte interna molto ampia per consentirne l’uso per feste della comunità e incontri nonché sale pluriu-so e sala da pranzo comune che permettono una convivenza all’insegna del confronto e dell’apertura.La positività insita nel reciproco rapporto tra giovani coppie e persone anziane avrebbe potuto rappresentare l’aspetto nodale del progetto resi-

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denziale in via Canova a Firen-ze dell’architetto Riccardo Roda. La proposta non realizza-ta, prevede 60 alloggi di cui 36 per persone anziane e 24 per giovani nuclei familiari circon-dati da ben 800 mq di aree verdi comuni. Gli spazi comuni sono stati destinati all’uso di entram-bi i gruppi di residenti nonché aperti al resto della cittadinan-za, valorizzando la dimenzione sociale e comunitaria dell’espe-rienza.Distaccandosi da questa impo-stazione e privilegiando un ta-glio monogenerazionale, l’e-sperienza del Senior Citizens Housing and Amenity Center Foibe in Finlandia rappresenta

un ottimo esempio di quella che potremmo riconoscere come una cul-tura nordica dell’abitare anziano che cerca di offrire attraverso l’architet-tura una risposta esaustiva alle diverse esigenze dell’invecchiamento, non limitandosi solamente ai servizi impiantistici di ausilio e alle attrez-zature tecniche.Il complesso comprende 51 appartamenti singoli e quattro appartamenti di gruppo, con aree semiprivate di prossimità agli alloggi e altre semipub-bliche dove si trovano i servizi al piano, per una migliore articolazione del rapporto tra privato e pubblico. La strada principale dell’edificio conduce con un corridoio vetrato, attraverso un giardino giapponese, al centro di assistenza. Le saune, le palestre, la piscina, le aule per le arti e i mestieri, il ristorante, e la biblioteca sono raggruppate in blocchi colorati disposti intorno alla sala principale, creando una sorta di piccolo villaggio.

Senior Citizens Housing ad Amenity Center, Foibe, Finlandia, vista dall’ingresso

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Anche se il tipo di investimento appare lontano dalle risorse disponibili su questo tema nelle politiche pubbliche italiane, l’esperienza finlandese è un manifesto dell’invecchiamento offrendo proposte che traggono ispirazione nelle nuove esigenze di protagonismo delle persone anziane. Un’altra esperienza internazionale nata dal desiderio di trarre il massimo beneficio dalle relazioni sociali unite ad un ambiente abitativo conforte-vole e consono alla progressiva perdita di autonomia dell’anziano è quel-lo realizzato dal gruppo Nieuw Wede ad Amersfoort in Olanda. Nel 1985, dopo aver constatato che nessuna delle formule abitative per an-ziani esistenti in Olanda, soddisfaceva le loro necessità, i 45 membri originari di Nieuw Wede con età compresa principalmente tra i 55 e i 75 anni, hanno pensato di creare una nuova forma di vita in comunità nel-

Nieuw Wede ad Amersfoort, Olanda, giardino del complesso

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la quale avrebbero potuto mantenere autonomia e attività il più a lungo possibile. Pur possedendo ciascuno, single o coppia, un appartamento privato progettato senza barriere architettoniche, parte integrante delle relazioni sociali si svolge nelle zone comuni tra le quali una grande sala contenente un salotto, una piccola cucina, una biblioteca e una stanza per gli ospiti, insieme a un pezzo di terra abbastanza grande per soddi-sfare il proprio fabbisogno. A 25 anni dalla nascita di questa esperienza, alcuni membri del gruppo hanno compiuto i 90 anni, nuovi membri di età più giovane sono entrati a far parte arricchendo l’esperienza anche di un valore intergenerazionale aggiunto.L’assetto intergenerazionale costituisce la tappa raggiunta nella storia evolutiva di una delle più longeve testimonianze di cohousing MunksØgaard a Roskilde in Danimarca.

MunksØgaard a Roskilde, Danimarca, orti e sullo sfondo l’edificio

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Questa comunità, infatti, costituita settant’anni fa, su iniziativa di alcu-ni giovani ambientalisti, nel 1995 ha raccolto attorno a sé altre persone interessate a portare avanti un progetto che ha dato vita al miglior inse-diamento sostenibile del XXI secolo.La comunità è suddivisa in cinque blocchi di venti abitazioni ciascuno: uno per i giovani, uno per gli anziani e tre destinati a famiglie; sia di pro-prietà privata che in affitto. Tutti i blocchi comprendono edifici per le attività comuni e si articolano intorno ad un grande terreno dove viene prodotto metà del fabbisogno annuale della comunità di ortaggi e cereali, nonché avviene l’allevamen-to degli animali da pascolo.Altri spazi a disposizione dell’intera comunità assicurano l’instaurarsi di pratiche ad alta intensità relazionale che costituiscono il tessuto indi-spensabile per sostenere la spontaneità della condivisione delle attività quotidiane che rappresenta il vero fulcro di questa esperienza danese.Rispetto agli anni e al contesto in cui il CS di Lastra a Signa fu concepi-to e realizzato, si sono sviluppate nuove sensibilità. Una fra queste è certamente quella di un moderno approccio bioclimatico. Se a Lastra si stanno avviando oggi interventi di risparmio energetico, diverse delle nuove residenze per anziani sono state da subito progettate in termini di sostenibilità ambientale. In alcune di queste, oltre al risparmio di risorse energetiche è riscontrabile un’attenzione agli effetti sulla salute psicofisi-ca degli abitanti attraverso l’impiego di materiali biocompatibili ed il raggiungimento di adeguati livelli di comfort termoigrometrico, acusti-co e visivo. Tra le esperienze più recenti può essere segnalato il Centro di accoglienza per anziani a Marsciano, Perugia. Qui all’interno di un più ampio intervento che comprende una residenza protetta, l’Ater (Azien-da territoriale edilizia residenziale) realizzerà 8 alloggi, destinati ad an-ziani autosufficienti, rispondendo a criteri di bioarchitettura. Si tratta di un intervento eccellente sotto il profilo energetico e ambientale con in-novative soluzioni tecniche inserito in un programma edilizio di qualità. Nel territorio parmense a partire dagli anni Settanta, l’opera di Mario Tommasini, assessore provinciale alla sicurezza sociale, ha sollecitato le

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istituzioni locali a chiudere gli ospizi portando l’assistenza nei quartieri e consentendo agli anziani di rimanere all’interno del tessuto cittadino. Fu bloccato un progetto di ampliamento della casa di riposo dell’ Iraia (Istituti riuniti assistenza inabili e anziani) a favore della riconversione dell’ investimento nell’istituzione di 4 centri diurni e case protette per anziani non autosufficienti.Fu l’inizio di una serie di programmi importanti al motto «Più anni alla vita ma anche più vita agli anni» Il primo fu quello degli Orti sociali a Parma. Il progetto degli Orti sociali (cinquanta metri quadri di terra coltivabile dati a ciascun anziano coltivatore) ha avuto una diffusa realiz-zazione con un coinvolgimento comunitario che ha portato anche al recupero di ruderi e a forme di mutuo aiuto che costituiranno il sogget-to del film « Gli orti dell’amore » del regista Silvano Agosti. Il secondo è stato il progetto Esperidi - «Non risparmiare per la vecchia-ia, ma investi sulla tua vecchiaia » il motto - un programma di condomi-

Recupero di alloggi per anziani nel borgo di Tiedoli, Borgotaro, Parma

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ni solidali per anziani e giovani coppie con portierato sociale, presentato per la prima volta al Consiglio Regionale dell’Emilia riunito nella Fatto-ria di Vigheffio, una vecchia colonica trasformata in appartamenti e at-tività per gli ex-internati dell’Ospedale Psichiatrico di Colorno, come alternativa alle Case di riposo. Concretamente avviato nel 1997 il pro-getto si è tradotto in realtà a Parma, Traversetolo, Fornovo, Pellegrino Parmense, Lesignano Bagni, Borgotaro, Tornolo. A Tiedoli, un paesino ˝invecchiato˝della collina parmigiana con 73 abitanti residui, indicato dal sindaco di Borgotaro come la frazione più dimenticata e abbandona-ta dai giovani, Esperidi si traduce nel recupero di vecchi case abbando-nate e la loro ristrutturazione in in appartamentini senza barriere per gli anziani, con l’assistenza di una portineria sociale attrezzata gestita dalla cooperativa Aurora e l’inserimento di alcune giovani coppie. Il costo ri-sultò essere 5 volte inferiore a quello della Casa di riposo. A Parma dove nel quartiere Pablo, in via Olivieri, era stata realizzata una delle prime esperienze, non trovò invece realizzazione il progetto nell’area ex-Gon-drand dell’Oltretorrente a Parma dove il sistema degli alloggi concepito per consentire agli anziani una vita autonoma e dignitosa fu, dopo qual-che incertezza dovuta alla pressione di un movimento d’opinione favo-revole , ritenuta impraticabile dall’allora Amministrazione comunale. In Inghilterra l’esperienza denominata Sheltered Housing è attiva e dif-fusa in diverse località e comprende una varietà di modelli abitativi per anziani, disabili o persone vulnerabili derivanti dal concetto di casa col-lettiva, intesa come blocco di appartamenti o bungalow con zone comu-ni e servizi adiacenti, assistita da una gestione - di solito un’organizzazio-ne senza fini di lucro che opera a stretto contatto con le autorità locali e da queste è cofinanziato- e da un portierato sociale. Nella maggior parte dei casi l’operatore vive nella struttura. Questo sistema alloggiativo e di sostegno è strutturato in modo da consentire agli anziani di mantenere la propria indipendenza e autonomia. Lindfield court, sheltered housing in Hollingdean, a Brighton in In-ghilterra è una struttura di 31 appartamenti per anziani supportati dalla presenza permanente di un “custode”. L’edificio è stato costruito nel

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1989 e si articola attraverso appartamenti, spazi comuni e servizi interni come: soggiorno, lavanderia, giardino, biblioteca ed è ben collocato e facilmente raggiungibile dal centro. La struttura fornisce un alloggio standard ed un supporto che consente all’anziano di vivere con comfort e dignità, in sicurezza e in un contesto di comunità. Alexandra Place South lake Crescent, a Woodley in Inghilterra costitu-isce il modello più innovativo tra le Shetered Housing tanto da aggiudi-carsi il Premio Nazionale per l’Innovazione abitativa. Il principio base che anima tale struttura è supportare gli anziani perché possano vivere in modo indipendente e autonomo in una comunitá che promuove la di-gnitá e la realizzazione personale. Selezionato per ‘Best Design Vita In-dipendente’ ai Design Awards Sanità Pinders è riconosciuto come con-creto esempio di progettazione in grado di migliorare la qualità della vita

Lindfield court, sheltered housing a Brighton

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per i residenti. La struttura, realizzata nel 2001, è costituita da 64 appartamenti singoli o doppi. È presente personale di assistenza non residente nella struttura e un servizio di allarme attivo 24h su 24. La struttura è provvista al suo interno di vari servizi quali: ristorante, servizio di lavanderia, servizi per gli ospiti, giardino, bar, negozio, parrucchiere, sala per bagno assistito. È contemplata la possibilità dei residenti di tenere animali domestici. L’in-tero edificio è privo di barriere architettoniche e si colloca in posizione facilmente raggiungibile dal centro della città, ben connesso anche dai trasporti pubblici. I residenti vivono indipendentemente nei loro appar-tamenti, che sono autonomi e completamente privi di barriere architet-toniche. Ogni appartamento ha un box doccia e una connessione al si-stema di chiamata di emergenza. Sono inoltre previsti incontri mensili tra i residenti, per discutere problemi e pianificare le attività sociali che con una vasta gamma animano la struttura. Questa è destinata a persone di diversa fascia sociale, dai bassi redditi ai ceti agiati, in modalità di af-fitto o di proprietà condivisa. Dieci dei 61 appartamenti sono riservati a persone con demenza e presentano accorgimenti architettonici specifici e sistemazioni d’interni particolari come sottili variazioni di colore sui rivestimenti e segnaletica chiara per ovviare a difficoltà d’orientamento e senso di smarrimento. Anche i residenti con demenza, per i quali sono contemplate cure specialistiche e di supporto, frequentano le attività e sono parte attiva nella comunità. Il tema dell’abitare degli anziani in particolari condizioni di fragilità e vulnerabilità rispetto alle modalità abitative consuete, conosce diverse declinazioni e presenta una varietà di soluzioni abitative. Questa varietà è rivolta soprattutto agli anziani definiti autosufficienti o parzialmente autosufficienti, in grado di accompagnare la gradualità dei passaggi da una vita personale e di relazione autonoma ad una con significative per-dite di abilità.Tuttavia anche l’abitare difficile dei gruppi di anziani non autosufficien-ti, delle persone con vari gradi di demenza senile, dei malati di Alzhei-mer, che sembrerebbe un territorio esclusivo delle RSA può presentare

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significative eccezioni. L’esperienza di “Mariemontvillage” a Morlan-welz in Belgio ricopre un ruolo d’avanguardia rispetto all’accompagna-mento abitativo di questo gruppo di persone. Il principio cardine è il concetto di cantous, parola francese che significa focolare, luogo caldo di raccolta e fulcro di relazioni comunitarie, ma che qui è anche acronimo di “Centre d’Animation Naturelle Tirée d’Occupations Utiles et Sécuri-santes”. Retroterra di questa esperienza le esperienze americane svilup-pate dagli anni Cinquanta con un chiaro riferimento all’organizzazione spaziale delle strutture cantous di Phoenix chiamate “Spécial Care Units” impostate sul concetto di circolarità, e alla cura agli aspetti spaziali e ar-chitettonici derivante dalle riflessioni della gerontologa Mary Marshall della University of Sterling. Flucro centrale è l’adattamento dell’ambien-te alla persona disorientata attraverso un progetto specifico sul design dei mobili, lo spazio soggiorno e la camera. Ognuno degli 8 cantous, ciascuno con 14 persone, gestiti all’interno di “Mariemontvillage” ri-sponde ad uno specifico progetto di abitare sviluppato rispetto all’esi-genza delle persone alloggiate. L’esperienza di Lastra a Signa non con-templa la presenza di anziani non autosufficienti. Ciò nonostante nella sua storia si è più volte misurata con anziani residenti che hanno pro-gressivamente perduto ogni capacità di autonoma conduzione abitativa. Il sistema di relazioni sviluppato ha permesso di spostare in avanti la soglia dell’uscita. Il piccolo numero di residenti che dal CS si è trasferito in RSA conferma quando questa linea di confine non sia meccanica-mente determinata.Dal quadro comparativo emerge come da ogni singola esperienza analiz-zata si possano evidenziare una o più risposte alle problematiche dell’a-bitare anziano: da quelle psicologiche ed emotive a quelle funzionali e compositive, a quelle urbanistiche e di contesto.Per quanto riguarda gli aspetti formali e architettonici il caso del CS di Lastra a Signa è la dimostrazione di quanto non sia giustificato il pregiu-dizio che gli anziani preferiscano edifici che conservano valori architet-tonici di tipo tradizionale, rifiutando quindi strutture, forme e materiali marcatamente contemporanei. Diversi dei casi studiati evidenziano

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come sia possibile per gli anziani identificarsi e ritrovare il carattere inti-mo delle proprie dimore anche in architetture che parlano il linguaggio del proprio tempo. Edifici che dimostrino apertamente il periodo in cui sono stati costruiti appaiono sempre come i più attendibili e l’obiettivo dei progettisti è piuttosto quello di una loro armonizzazione coi contesti circostanti affinché gli anziani residenti non abbiano la percezione di abitare costruzioni aliene come spesso l’edilizia specialistica propone.È possibile non rinunciare ad un’immagine architettonica e ad una qua-lità formale nella progettazione di questo tipo di edifici; affermare un carattere di urbanità nella realizzazione degli alloggi per anziani; salva-guardare una dimensione abitativa domestica intesa come luogo delle azioni quotidiane e non come surrogato della casa perduta; favorire la caratterizzazione dell’arredo interno, seppure nei limiti oggettivi della piccola dimensione, conferendo un’immagine ben differente rispetto a quella paraospedaliera delle RSA Infine è possibile progettare nell’etica di un’architettura davvero degna di questo nome.

Testimonianze

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Come eravamo

Anna BiniAssistente Sociale Coordinatrice del Centro Sociale dal 1982 al 1996.

Nei primi anni ’80 il Centro Sociale aveva caratteristiche diverse da quelle odierne, una “pietra preziosa allo stato grezzo” , il cui valore era ancora difficile da stabilire.I primi inquilini si trovavano a vivere lì per necessità più che per scelta, sentendosi talvolta perfino “scaricati lì in modo irruento” spesso dai figli. Le richieste di ingresso erano poche ed il terzo piano era disabitato. La cittadinanza non aveva le idee chiare sul tipo di struttura che stava na-scendo, e per abitudine la configuravano come “ospizio”.Gli amministratori del tempo però avevano una certezza sull’orienta-mento da dare al Centro sociale: doveva essere prima di tutto una strut-tura “aperta” ed avere un rapporto dinamico col territorio e con tutti i cittadini; il centro doveva essere parte della comunità se non addirittura “risorsa” per la stessa. Cominciammo così, improvvisando a dire il vero, a reinventare la vita delle persone che vi vivevano, ed a valutare la perso-na anziana, per quello che avrebbe potuto essere: risorsa attiva e non soggetto di sola assistenza. Riscoprimmo il vero significato di solidarietà, che emergeva tra gli anziani anche in maniera naturale e spontanea, e la vita al centro iniziò a crescere, attraverso un sentire comune di condivi-sione; perfino la morte divenne un momento di “non solitudine”, e la persona gravemente malata non veniva mai lasciata sola, neanche la not-te. Un clima di partecipazione, che coinvolgeva anziani ed operatori. A questo proposito, forse è giusto sottolineare come questi si formassero soprattutto attraverso l’operatività quotidiana, anziché con corsi di for-mazione ed aggiornamento , che venivano comunque svolti; il vivere di ogni giorno, era crescere anche in termini di competenze professionali,

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Anna Bini

difficilmente riconducibili ad altre situazioni lavorative, data l’originali-tà del contesto.Ci sentivamo “pionieri” di un nuovo sociale e forse lo eravamo.Auguro agli operatori di oggi lo stesso spirito e lo stesso coraggio di in-traprendere soluzioni sempre nuove, ed in continua evoluzione.

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Il Centro Sociale. Una sorta di destino

Massimo TilliCoordinatore Sanitario, Zona Nord-Ovest, Azienda Sanitaria di Firenze

Il mio primo incontro ravvicinato con il Centro Sociale di Lastra a Signa risale a metà degli anni Ottanta nel momento in cui, come molti della mia generazione, volgare disertore, optai per l’obiezione di coscienza.Allora si doveva scontare la scelta della non violenza e dell’obiezione di coscienza al servizio militare con venti mesi punitivi di servizio civile, contro i dodici del servizio militare, svolgendo lavori sociali che nessuno voleva fare presso Comuni, Enti, Associazioni.Qualche anno prima per quelli come me c’era la galera.Mi presentai, dottorino di belle speranze e forte della mia intenzione di fare da grande il geriatra, alla coordinatrice sociale Anna Bini.Un piacevolissimo ricordo. Sorridente, accogliente, gentile, l’Anna mi conquistò subito; il Centro Sociale dove avrei dovuto lavorare per venti mesi era come lei sorridente, accogliente, gentile.Visitai il Centro. Ci si mise d’accordo, mi avrebbero richiesto come obiet-tore in servizio civile sostitutivo presso il Comune di Lastra a Signa, ed era fatta. Tornai a casa contento perchè sentivo che quella era la mia strada. Spadolini, allora ministro della difesa, decise invece che gli obiettori dovevano fare il servizio civile lontano dai luoghi di residenza se no era troppo facile e troppo comodo.Mi andò di lusso: destinazione Lucca Centro Sportivo Libertas. Ci rimasi troppo male, non volli più sentir parlare di Lastra a Signa e di centri sociali.Un Capitano dei parà della Folgore responsabile degli obiettori di co-scienza di Lucca veniva ogni tanto a farci visita... eravamo in tre: io, un pratese e un disgraziato di Fano, leva di mare, per questo ventisei mesi di

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Massimo Tilli

servizio civile da scontare lontanissimo da casa, sicuramente un racco-mandato.Il capitano arrivava con una scoppiettante camionetta (oggi si direbbe fuoristrada) si accertava del nostro stato e ci chiedeva come ci trattasse l’Ente a cui eravamo stati assegnati e come fosse il rancio. Ottimo ed abbondante capitano! No, non era il Centro Sociale Dovevano passare alcuni anni, tutti i lavori che si presentavano retribu-iti e non, la specializzazione che, come succede nella vita, non fu in Ge-riatria ma in Igiene e Medicina preventiva, per incontrare di nuovo l’An-na e il Centro Sociale di Lastra a Signa.Nel 1993, USL 10F Scandicci Le Signe, Coadiutore Sanitario dei servi-zi di base, mi assegnarono il compito di sostituire un collega di Lastra a Signa nel presidio distrettuale di Via Togliatti.Toh ! Il Centro Sociale ! Di nuovo.Il destino è destino, il karma non perdona.Il tiro era aggiustato di poche decine di metri, il presidio era praticamen-te nel Centro Sociale che avevo visitato anni prima; c’era comunicazione tra le due strutture ed era dove adesso è collocata la scuola materna Gio-vanni XXIII. La situazione nel Centro Sociale era ancora più vitale e ricca di stimoli di quando l’avevo visitata negli anni Ottanta, c’era anco-ra l’inossidabile Anna Bini che non esitò subito a dirmi: “Ah se rimanes-si tu a Lastra a Signa !”Questa l’ho già sentita pensai, speriamo bene!Ma andò proprio così, dopo vent’anni sono ancora qui.La collaborazione con il Distretto era intensissima, anche troppo, nel senso che era come “abitare” nel Centro Sociale con i pro ed i contro; la rapidità delle comunicazioni e dei nostri interventi con infermieri, me-dici, era straordinaria ma tutto questo determinava anche abitudini alla frequentazione degli ambulatori per ogni starnuto e... per ogni confi-denza.“È una signora del Centro”, così sottovoce la Giovanna Mucci, la capo-sala mi segnalava la paziente che avrebbe potuto avere un trattamento

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Il Centro Sociale. Una sorta di destino

“speciale”. Devo dire che poi si trattava tutti alla stessa maniera, ma gli inquilini del centro e voglio ripetere la parola inquilini del centro ci sta-vano più simpatici!I medici di medicina generale quotidianamente andavano al centro poi passavano dal distretto e li si discuteva e si decideva il da farsi su casi un po’ complicati (volutamente ho detto complicati, non complessi). La Medicina di iniziativa è nata nei piccoli distretti come Lastra a Signa, dove con i medici di famiglia si programmavano gli accertamenti sanita-ri, le visite periodiche degli infermieri, i prelievi ematici, l’elettrocardio-gramma di controllo.Altro che Medicina di attesa si era sempre con la borsa in mano (anche il sottoscritto che ufficialmente era un coordinatore quindi un organiz-zatore più che un clinico) e se il paziente si dimenticava di fare un esame si riacchiappava anche per la strada.Un classico nei ricordi i dottori Orlandini e Tozzi che scrivono la pre-scrizione di esami sul cofano della Land Rover e che come il generale Patton che stendeva sul cofano della Jeep i piani di battaglia, così loro imponevano al paziente incontrato per strada quella visita specialistica o quella terapia.Altri tempi ? Forse sì.Il Distretto così vicino assicurava al Centro Sociale l’attività di assistenza domiciliare programmata dei medici di famiglia per coloro che erano nella impossibilità di recarsi all’ambulatorio del curante. L’assistenza infermieristica era fornita quasi in tempo reale e si organizzavano tra-sporti per centri diagnostici sul territorio, per esempio per la radiologia che allora era a Ponte a Signa in Via Puccini. L’Odontoiatria sempre al Ponte iniziava in quegli anni l’attività.Mi fu richiesta da subito la partecipazione alle riunioni del Comitato di Gestione del Centro sociale. Gavino Maciocco all’epoca era il Direttore del Dipartimento Attività Sanitarie di Comunità della ASL 10 e proprio a lui chiesi se riteneva opportuno che partecipassi a quelle riunioni.Non solo lo ritenne opportuno ma a suo parere era importante che fossi

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membro effettivo del Comitato di Gestione; e così fu.Ero finalmente tornato al Centro Sociale di Lastra a Signa.Passano gli anni l’USL diventata Azienda diventa poi unica Azienda Sanitaria di Firenze con quattro Zone e il Distretto 8 di cui ero respon-sabile comprende Lastra a Signa e Scandicci e fa parte della Zona Nord ovest; in quegli anni si inaugura l’Alfa Columbus.Ricordo l’entusiasmo, l’orgoglio di tutti per avere nel territorio il più moderno e più grande presidio territoriale dell’Azienda sorto su una struttura, una ex fabbrica, di Lastra a Signa che aveva per i Lastrigiani un significato simbolico che andava al di là di un recupero di una vecchia fabbrica.Io ero molto fiero di avere traghettato con successo il passaggio da un piccolo presidio come quello di Via Togliatti ad uno delle dimensioni dell’Alfa che comprendeva anche tutte le attività del Ponte a Signa radio-logia e dialisi incluse, con un reparto di odontoiatria che faceva invidia all’ospedale.Ma qualcuno era triste: gli abitanti del Centro Sociale.Me ne accorsi subito quando pochi giorni prima del trasloco una proces-sione di persone veniva da me a chiedere se i servizi rimanevano quelli di prima, se la cardiologa poteva fare visite a domicilio perchè sì ci si poteva muovere, ma un conto era attraversare il cortile un conto andare a finire laggiù al Ponte!Con molta difficoltà si cercava di far comprendere che nulla sarebbe cambiato per quanto riguardava l’assistenza domiciliare che avrebbe mantenuto la stessa periodicità, gli stessi infermieri e così via. I medici di medicina generale furono esemplari per quanto riguarda la gestione del trasferimento perchè nella rassicurazione degli abitanti del centro furo-no determinanti.“Caro mio... almeno vi muovete un po’ invece di stare sempre fermo o fare tre passi su una mattonella!”Il Voi che da queste parti ancora si da alle persone di una certa età non mitigava di certo l’impatto su una sindrome da abbandono che di fatto si stava manifestando e il fare sbrigativo di alcuni colleghi mi toglieva

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Il Centro Sociale. Una sorta di destino

dall’imbarazzo di dovere giustificare quello che veniva percepito come un vuoto nella assistenza giornaliera.Lì mi sono convinto che qualcosa nel meccanismo e nelle consuetudini fino ad allora consolidate non andava.Perchè un inquilino del Centro Sociale che ben camminava, con appeti-to alvo e diuresi normali, come si dice nelle anamnesi, sentiva il bisogno di avere gli ambulatori della ASL a portata di mano?Insicurezza? Avevamo coccolato troppo i nostri amici del Centro?Alcuni medici, alcuni cittadini mi chiesero di aprire un ambulatorio nei locali del Centro sociale, proprio all’interno della struttura, per medici in visita, per gli infermieri, i terapisti della riabilitazione da organizzare in giorni precisi.La proposta era animata dalle migliori intenzioni ma rientrava dalla fi-nestra la medicalizzazione uscita dalla porta. Mi opposi quindi con decisione.Non che non abbia avuto momenti di dubbio o di riflessione, mi dispia-ceva per le persone, per gli operatori che forse si sentivano più tranquilli con noi vicino. Poi fu la volta dei determinanti di salute che confermarono quello che intuitivamente ciascun medico sapeva: per quanto riguarda lo stato di salute i fattori socio-economici e gli stili di vita contribuiscono per il 40-50%; le condizioni dell’ambiente per il 20-30%; l’eredità genetica per un altro 20-30% e i servizi sanitari per il 10-15%.Noi eravamo quel 15%. È vero in quella percentuale ci mettevamo an-che un plus valore: il rapporto umano che fa parte di quel 30% di con-dizioni ambientali ma che io della vecchia guardia ritengo indispensabi-le e minimo garantito nel lavoro del medico e dei sanitari in genere. L’ambiente cioè l’insieme dei fattori esterni all’organismo umano può essere distinto in fisico,biologico,sociale, culturale, ecc. Questi fattori possono influenzare lo stato di salute delle popolazioniÈ provato del resto che le persone con solide relazioni affettive e sociali manifestano il 50% in più di probabilità di sopravvivenza dopo un even-to acuto, rispetto a coloro che tali relazioni non hanno.

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Ora le persone che abitano nel condominio perchè di questo si tratta, di un condominio, non hanno bisogno di sanità, ma di salute e questa la possono avere dall’ambiente, dalle buone abitudini, dallo stile di vita, dalle relazioni sociali con gli abitanti del quartiere, dal cinguettio dei bambini che giocano nell’asilo.Questa è la vera prevenzione ai mali del vivere. Oggi più di ieri il Centro Sociale deve essere una struttura al Centro della vita Sociale. L’edificio sorge in uno dei quartieri più popolati del comune di Lastra a Signa. Davanti vi è la scuola materna, sul lato sinistro un circolo dell’AUSER, la Biblioteca comunale, gli uffici delle politiche sociali e della cultura del Comune, dietro vi è la mensa del quartiere e sotto la palestra con la scuo-la di danza. Non lontano vi sono la scuola elementare... il centro com-merciale.Il Distretto, l’ASL , gli Infermieri, i Medici non sono più lì ma va bene...va bene così.

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La partecipazione del volontariato

Bruna VelonaPresidente Consulta del Volontariato.

L’associazionismo locale, riunito nella Consulta del Volontariato, costi-tuita nel 2008, ha un rapporto costante e dinamico con il Centro Socia-le, che si concretizza attraverso l’elaborazione congiunta di una pro-grammazione biennale di attività ed iniziative con scopi non solo di socializzazione, ma anche di solidarietà, a cui tutta la cittadinanza può partecipare liberamente.Tali iniziative si realizzano nei locali e negli spazi comuni del Centro.Nel tempo la programmazione è andata strutturandosi in modo ciclico con la suddivisione delle iniziative nei periodi invernali ed estivi, per ren-dere l’offerta ampia e variegata: la divulgazione e la pubblicità di quanto realizzato, è supportata da brochure diffuse sul territorio.Nell’organizzazione e messa in opera di queste iniziative è indispensabi-le la preziosa collaborazione del personale del Centro e dei residenti, cui è affidato lo sviluppo delle varie fasi di realizzazione.Spettacoli teatrali, corsi di cucina e ballo, cucito solidale, cene comuni-tarie, attività ricreative di vario tipo, sono state promosse con spirito di volontariato, da compagnie teatrali locali, o associazioni quali Auser, Misericordia, ARCI, Fratres, Soci Coop, gruppi parrocchiali.La popolazione di Lastra a Signa si è così avvicinata sempre di più alla vita del Centro Sociale, favorendo momenti di maggiori attività a cui poter accedere liberamente e gratuitamente.Ricordo infine che gli anziani del Centro partecipano, attivamente, in-sieme alle associazioni, anche all’organizzazione periodica di iniziative di beneficenza, quali ad esempio “il mercatino del RE.SO”, basato sul commercio di prodotti di magazzini invenduti, donati da varie imprese del territorio, il cui ricavato va a sostegno di finalità benefiche e sociali, di volta in volta stabilite.

Postfazione

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Ricerca e legami sociali Nedo Baracani1

Le pagine di questo volume contengono una storia locale positiva fatta di innovazione e di relazioni solidali: al volgere dei trent’anni del Centro Sociale di Lastra a Signa sono stati esposti dei dati che confermano la positività delle soluzioni adottate per persone anziane, singole ed in cop-pia, autonome o quasi autonome che hanno vissuto a lungo nel centro stesso. In questi tre decenni si sono susseguiti vari momenti a seconda dei bisogni e degli orientamenti a cui si doveva cercare delle risposte. Quanto ai bisogni basti ricordare come alla fine degli anni ‘70, in parti-colare con l’applicazione della legge 180, vi fosse una grande necessità di soluzioni abitative per persone che avevano vissuto periodi più o meno lunghi nel vecchio manicomio: il Centro Sociale di Lastra a Signa accol-se all’inizio anche questo tipo di domande, oltre a quelle di carattere strettamente abitativo del proprio territorio. Quanto agli orientamenti,

1. Nedo Baracani ha insegnato fino al 2011 Sociologia del lavoro presso l’Università di Firenze. Nel 2006 ebbe dall’Amministrazione Comunale di Lastra a Signa l’incarico, insieme a Tiziana Mola, di avviare la ricerca sul Centro Sociale al fine di “aggiornare” i due rapporti già apparsi in precedenza. La prima fase di attività è stata una ricerca intervento, nel senso che si doveva tracciare una sintesi dei primi trent’anni di attività del Centro assumendo la prospettiva degli anziani che ci vivevano, del personale che ci lavorava e delle famiglie (con le rispettive importantissime memorie) al fine di prepa-rare il terreno a contributi più specifici, quali l’analisi dell’archivio, ricostruito nell’oc-casione, il ripensamento architettonico degli spazi, le mutate caratteristiche delle per-sone residenti e delle famiglie, la definizione di un ruolo formativo e di ricerca per il Centro, considerata l’attualità di quel tipo di struttura che mobilita energie sociali di prossimità per garantire una vita personale e sociale soddisfacente.

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vanno distinti quelli degli amministratori e degli operatori da un lato, proiettati verso soluzioni più avanzate e moderne dell’Europa centrale e settentrionale, orientamenti che convivevano con le soluzioni tradizio-nali rappresentate dalle case di risposo o, detto in modo più popolare, dagli ospizi. Tra i cittadini, infatti, era presente una certa resistenza ad accettare la soluzione del Centro Sociale, che appariva ai loro occhi come una rottura degli stili di vita e delle relazioni, orientamento che poi si modificò nel tempo attraverso le esperienze di organizzazione della quotidianità e, soprattutto, attraverso la pratica della libertà, la massima che ciascuno potesse avere in base alle sue condizioni: avere in tasca le chiavi del Centro era il segno di questa libertà e l’impegno alla responsabilità. L’originalità del Centro derivò anche dalle difficoltà eco-nomiche dell’amministrazione locale che doveva, al tempo stesso, met-tere in funzione una struttura piuttosto grande senza avere le risorse per un organico effettivo. Questo fatto va ricordato perché va a merito di coloro che hanno garantito la gestione operativa del Centro e di tutti quei cittadini, i familiari in primo luogo, le associazioni del territorio, gli operatori dei vari settori che hanno saputo interpretare le diverse si-tuazioni che si sono presentate nel tempo dando vita e forza a quella sorta di triangolo che legava l’amministrazione locale, le persone del Centro, le loro famiglie e il volontariato per offrire una buona qualità di vita senza incorrere nella necessità di un organico il cui costo sarebbe stato difficile da reggere. Negli anni recenti si sono visti cambiamenti importanti, sia pure spesso a livello di avvisaglie. Cambiamenti demografici, innanzitutto, con fa-miglie più contenute e fragili, denatalità forte e migrazioni altrettanto forti con l’arrivo di singoli e famiglie provenienti da molti paesi. Tra le “avvisaglie”, le prime esperienze di acquisto sul mercato, da parte delle famiglie, di prestazioni assistenziali da svolgersi all’interno del Centro. Più in generale la percezione della necessità di adeguare il modello di gestione del Centro rendendolo aderente ai bisogni di nuovi anziani che arrivavano, di bisogni assistenziali forniti dalle famiglie con modalità innovative e, in quanto tali, bisognose di verifiche e di formazione.

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Ricerca e legami sociali

Quindi necessità di cambiamento, di adeguamento degli spazi, delle regole, della formazione del personale, della presenza del Centro sul ter-ritorio. Dentro questa prospettiva la ricerca sociale si presenta innanzi-tutto come costruzione di nuovi legami sociali attraverso il coinvolgi-mento di famiglie, cittadini, gruppi sociali, istituzioni.

Ricerca sociale e relazioni nella quotidianità.Detto questo in termini generali, è quindi da sottolineare la rilevanza del nesso tra comunità locale, ricerca sociale e mantenimento/promozione di legami sociali. Intendo dire che la ricerca sociale, in quanto si interro-ga su aspetti della vita quotidiana e di relazione ascoltando le persone interessate e quelle che hanno contribuito a costruire quella quotidiani-tà, non solo aiuta a comprendere le vicende della struttura nel tempo e i mutamenti della società che quelle vicende rendono comprensibili, ma crea qualcosa di nuovo, delle relazioni nuove, delle opportunità nuove e, in prospettiva, delle possibilità di partecipazione dentro la struttura e nel contesto sociale. In questo senso la ricerca avviata nel 2006 e che ora arriva ad un suo primo insieme di risultati, teneva in considerazione i due rapporti già pubblicati nel 1984 e nel 1992, ma cercava di dare la parola ai residenti presso il Centro, agli amministratori del passato, ai familiari dei residenti. Nei due rapporti precedenti aveva prevalso prima un giudizio fortemente positivo dovuto all’innovazione e in particolare al fatto che presso il Centro venivano offerti servizi molto accessibili in un contesto ricco di relazioni; successivamente, invece, era emersa chia-ramente la paura di quanto avveniva nella società, di certi comporta-menti e stili di vita. Paura che la libertà che si poteva vivere nel Centro venisse vanificata da un contesto sociale tumultuoso, problematico o che tale appariva. Nel lavoro iniziato nel 2006 la domanda che ci si poneva non volgeva verso l’esaltazione di quella soluzione che era nata in modo innovativo e “resisteva” nel tempo, e ciò tanto meno in prossimità di una scadenza come il trentennale dell’inaugurazione, quanto piuttosto di sperimentare situazioni che fossero al tempo stesso ricerca e pratica di legami sociali per una qualità di vita buona, non solo per gli anziani, ma

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per tutti. Per questa ragione si pensò ad una modalità sicuramente poco scientifica ma promettente dal punto di vista del coinvolgimento del contesto sociale verso relazioni nuove. A me è capitato spesso di chiedere ad un sindaco se fosse a conoscenza del numero degli studenti universitari del suo comune ed a quali corsi fossero iscritti, domanda che ha suscitato sempre qualche imbarazzo. Bene. Lastra a Signa aveva nel 2006 335 iscritti all’università di Firenze. Decidemmo, in accordo col sindaco, che sarebbe stata inviata una lette-ra ufficiale a questi giovani spiegando brevemente che cosa si voleva fare e chiedendo di manifestare un loro eventuale interesse per un progetto del genere. Ricevemmo, se ricordo bene, 16 dichiarazioni di interesse per arrivare poi a costituire un gruppo di 14 studenti che spaziavano su vari corsi di laurea: tra questi anche Giacomo Mazzoni che oggi presenta un suo contributo nel presente volume. Fu realizzato un breve passaggio formativo che comprendeva tanto i rudimenti per la realizzazione delle interviste ai residenti presso il Centro, quanto le testimonianze di ammi-nistratori ed operatori che nel tempo si erano occupati del Centro stesso. Questo fu un momento particolarmente importante sia per costituire il gruppo, sia per far emergere vissuti relativi a familiari in passato presen-ti al Centro o ancora residenti in quel momento. L’incontro con gli an-ziani stessi fu molto vissuto, perché loro sapevano che questi ragazzi erano di Lastra a Signa, di qualcuno conoscevano le famiglie e quindi la comunicazione fluiva con semplicità in una relazione fiduciosa, con tan-te domande, momenti di soddisfazione per la reciproca appartenenza all’ambiente sociale. È ben vero che Lastra a Signa non ha avuto negli ultimi decenni esplo-sioni demografiche e/o edilizie come in altri casi, il che ha forse attenua-to il disperdersi delle relazioni sociali, per così dire, più di tipo tradizio-nale: nonostante questo, l’incontrarsi di questi ragazzi al Centro con le persone anziane è stato un momento molto positivo. Presentare poi ai residenti del Centro una intervista suscitò le reazioni più disparate: l’al-leanza tra gli operatori del Centro ed il gruppo di ricerca fu l’elemento di rassicurazione che permise agli anziani di vivere la presenza di quel

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gruppo come una novità, un evento positivo nella quotidianità. Non dimentichiamo che un gruppo di persone giovani che fanno una simile esperienza, sono poi attori di narrazioni e di letture della vita presso il Centro che arricchisce culturalmente ed umanamente tutti coloro che ne vengono coinvolti nelle famiglie come nelle relazioni di prossimità di ciascuno. Concludo su questo punto richiamando l’opportunità di valo-rizzare sempre il potenziale relazionale che si può sprigionare da una ri-cerca sociale basata sull’ascolto e portata avanti da persone che fanno parte del contesto locale. È un investimento sui giovani ed un modo per creare/mantenere delle relazioni positive, aspetto non sanitario, ma de-terminante per la salute, il benessere e la conservazione dell’autonomia.

Ricerca sociale ed opportunità di trasformazione.Nei rapporti di ricerche sociali si trascurano, di solito, eventi apparente-mente marginali, situazioni che si producono senza che qualcuno le ab-bia programmate, mutamenti nei programmi a seguito di incontri, di-scussioni, esiti inattesi rispetto ad ipotesi che si erano fatte. Insomma, lo svilupparsi concreto delle relazioni sociali tra persone di generazioni di-verse che appartengono allo stesso contesto e che quindi “si fidano” reci-procamente, apre la strada a sviluppi interessanti nel momento in cui qualcuno dall’esterno, conoscendo bene la situazione, prova a proporre l’ispessirsi delle relazioni per risultati utili ad un contesto sociale molto più ampio. Ed è quello che in parte è successo nel lavoro nel Centro Sociale. Lo scopo era stato individuato, in modo generale, nella produ-zione di idee per un adeguamento del Centro, di un suo ripensamento che dovesse rispondere a delle domande sul futuro, considerando anche che il personale che in questi trent’anni ha operato nel Centro stava per lasciare il lavoro e si trattava quindi di affrontare una possibile “crisi di successione”. Era sottinteso che avremmo dovuto recuperare i dati delle persone che erano passate attraverso il Centro Sociale, ma nessuno sape-va esattamente dove queste informazioni si trovassero e soprattutto qua-le grado di completezza avessero. Solo alla fine della prima fase di ricerca ci si trovò con in mano l’elenco quasi completo delle persone che lì

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avevano trascorso una buona parte della loro vita. E in quella situazione il felice incontro tra una ricercatrice e il personale del Centro produsse una combinazione perfetta tra memoria e documentazione. Devo qui ricordare il grande lavoro svolto da Tiziana Mola la cui sensi-bilità e il cui impegno sono stati molto apprezzati ed hanno prodotto degli ottimi risultati realizzando a pieno il mandato della ricerca (ascol-tare i residenti, ascoltare le famiglie, ascoltare il personale e pensare al futuro). Le operatrici del Centro si sono rivelate una miniera inesauribi-le di informazioni. Bastava prendere un elenco di nomi e sottoporlo alla loro memoria ed affioravano eventi, situazioni, successi ed insuccessi, racconti, che sono uno degli aspetti più interessanti. Mano a mano che questo lavoro andava avanti e mano a mano che negli incontri si univano dati formali e memoria, apparivano più chiaramente le sfide e le oppor-tunità. Le sfide riguardavano la capacità di dare continuità a questa struttura e alla sua “vocazione” come era venuta definendosi nella quoti-dianità, le opportunità riguardavano la messa all’ordine del giorno di interventi che vanno dalla ristrutturazione degli spazi alla eventuale ri-definizione delle regole, alle decisioni relative al personale ed alla sua formazione. La strada da percorrere è quella di stabilire legami con altri contesti sociali nei quali una soluzione di questo tipo potrebbe rappre-sentare un miglioramento significativo dell’organizzazione sociale loca-le. La ricerca deve continuare soprattutto perché il futuro è molto incer-to e la situazione di oggi è moto diversa da quella del 2006. L’attivazione di tutti i legami sociali potrebbe essere l’elemento che ci permette di mantenere la coesione nelle comunità locali, che restano comunque uno dei punti forti anche dentro la globalizzazione.In concreto questo significa rafforzare i legami tra il Centro e le famiglie e tra le famiglie, promuovere la solidarietà, far conoscere la struttura e metterla nelle condizioni di svolgere un ruolo formativo verso figure del settore socio-assistenziale, pensare all’arrivo di nuove generazioni di an-ziani che vengono da famiglie più fragili e che hanno necessità più com-plesse (ma che potrebbero anche svolgere delle attività più complesse per le loro competenze) preparare con cura il personale a questi cambiamen-

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ti, definire delle modalità diversificate per far fronte ad accresciuti biso-gni di assistenza temporanei per mantenere il vecchio costume che fin che si può si affrontano i problemi di salute all’interno della struttura, ristrutturare gli spazi di vita quotidiana arricchendoli di offerte di rela-zione, di attività, di svago (e qui la rete fa la sua comparsa in modo evi-dente...), mettere il Centro in rete per lo scambio continuo di informa-zioni sui problemi che si presentano e sulle soluzioni che si adottano per scegliere le pratiche migliori, abbandonando gradualmente l’asfissiante produzione regolamentare secondo la quale si fa tutto con regole che tutto proibiscono. Torna l’immagine della rete: il nuovo si produce ovunque e le soluzioni sono là dove il copertone tocca la strada.

Finito di stampare nel mese di aprile 2013presso la Nova Arti Grafiche

Via Cavalcanti, 9/D - 50058 Signa (FI)Tel. 055 8734952 - fax 055 875713