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CNEL – Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro 1 ALLEGATI 1. ORIENTAMENTI PER UNA POLITICA NAZIONALE IN MATERIA DI ENERGIA 2. DOMANDA DI ENERGIA ED OFFERTA DI FONTI FOSSILI ED URANIO NEL MONDO - SITUAZIONE ATTUALE E PROSPETTIVE FINO AL 2030 3. SCHEDE TECNICHE SULLE NUOVE TECNOLOGIE SVILUPPABILI NEI PROSSIMI ANNI 4. IL SETTORE TRASPORTO IN ITALIA

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CNEL – Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro

1

ALLEGATI

1. ORIENTAMENTI PER UNA POLITICA NAZIONALE IN MATERIA DI ENERGIA

2. DOMANDA DI ENERGIA ED OFFERTA DI FONTI FOSSILI

ED URANIO NEL MONDO - SITUAZIONE ATTUALE E PROSPETTIVE FINO AL 2030

3. SCHEDE TECNICHE SULLE NUOVE TECNOLOGIE SVILUPPABILI NEI

PROSSIMI ANNI

4. IL SETTORE TRASPORTO IN ITALIA

CNEL – Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro

2

ALLEGATO 1

ORIENTAMENTI PER UNA POLITICA NAZIONALE IN MATERIA DI ENERGIA

Roma, 30 marzo 2005

CNEL – Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro

3

PREMESSA

Le condizioni attuali del sistema energetico del nostro Paese richiedono attualmente

un’azione di indirizzo e di governo per eliminare le molte criticità esistenti nelle infrastrutture, nei

mercati e nei costi in modo da consentire, da un lato, un miglioramento della competitività del

Paese e dall’altro, un graduale ridimensionamento del vincolo economico ed ambientale che

l’attuale assetto energetico comporta per le diverse classi sociali.

Per ottenere questi risultati, occorrono investimenti e politiche di intervento da parte di

soggetti pubblici e privati, in un quadro di certezza e stabilità, che necessitano tempi non brevi per

il loro avvio a realizzazione e tempi ancor più lunghi perché ne maturino i risultati sul piano

economico, sociale e su quello ambientale.

Queste decisioni inoltre dovranno tener conto, visto il processo di integrazione in corso a

livello europeo e le dinamiche internazionali degli approvvigionamenti energetici, di una stretta

correlazione con gli attuali scenari mondiali in materia di energia e della loro tendenziale

evoluzione.

CNEL – Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro

4

PARTE INTERNAZIONALE

1.La crescita di domanda di energia nel mondo

1.1 Secondo il recente studio "World Energy Outlook 2004" dell'Agenzia Internazionale

dell'Energia (AIE) la domanda mondiale di energia nel mondo è prevista crescere ad un tasso

medio di circa il 2% l’anno nei prossimi dieci anni che nel periodo successivo dovrebbe attestarsi

intorno all’1,7% , determinando un aumento del 60% della domanda di energia globale entro il

2030.

Lo studio prevede che la domanda mondiale di energia cresca da 10,8 Gtep (miliardi tep)

nel 2002 a 15,1 Gtep nel 2020 e raggiunga i 16,5 Gtep nel 2030. Di questo incremento i due terzi

dipenderanno dalla richiesta proveniente dai paesi in via di sviluppo, in seguito alla rapida crescita

della popolazione e del reddito pro-capite. Come conseguenza si determinerà una diminuzione

della quota della domanda mondiale per i paesi OCSE (dall’attuale 52% fino al 43% nel 2030),

mentre incrementerà quella dei paesi in via di sviluppo (dal 37% al 48%). La quota delle economie

in transizione scenderà leggermente (dal 10% al 9%).

Fonte: EIA, 2004

Fonte AIE

L’intensità energetica (energia primaria consumata per unità di PIL) è prevista in calo

dell'1,5% all’anno a livello mondiale, benché a tassi differenti nei diversi paesi, in relazione ai

differenti livelli di sviluppo economico raggiunto. Il tasso di variazione media annua sarà più

Domanda di energia primaria per ripartizione geografica (milioni tep)

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moderato nell'area OCSE (-1,2 %), mentre é più forte per i PVS (-1,6 %) e soprattutto per l'ex

URSS (-2,2 %) a causa dell'incremento delle attività a bassa intensità energetica, dell'introduzione

di tecnologie con maggiore efficienza energetica, della riduzione degli sprechi e della riforma dei

prezzi dell'energia. Occorre notare che per i PVS l'intensità energetica è calcolata facendo

riferimento al potere d'acquisto locale della moneta (PPP) e non al tasso di cambio. Facendo

riferimento a quest'ultimo, il valore dell'intensità energetica sarebbe molto più alto, e la sua

diminuzione col tempo molto più rapdia.

Fonte AI

In questo sce

soddisfacendo l’85%

quota delle fonti ene

valore assoluto) scen

Il petrolio con

anche se la sua quo

2030. La domanda

carburanti per il trasp

1 Il rapporto dell’AIE prepetrolio, raggiungendo un 33% del 1971.

Intensità energetica (tasso medio annuo di variazione)

5

E

nario, i combustibili fossili continueranno a dominare il mercato energetico,

dell’incremento mondiale della domanda lungo il periodo 2002–2030. La

rgetiche rinnovabili rimarrà stabile, mentre il nucleare (pur aumentando in

derà in percentuale dal 7% al 5%.

tinuerà ad essere il combustibile maggiormente usato tra le fonti energetiche,

ta subirà una diminuzione marginale passando dal 36% nel 2002 al 35% nel

di petrolio sarà in crescita a tassi sostenuti trainata dal forte consumo dei

orto1, dove non si intravedono nel breve termine sostituzioni con altri prodotti.

vede che il settore dei trasporti assorbirà i due terzi dell’incremento della domanda di la quota del 54% sul totale di petrolio utilizzato nel 2030 a fronte di un 47% attuale e

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Nel settore residenziale e commerciale l'uso dell'olio diminuirà nei paesi OCSE, mentre conserverà

un ruolo dominante in numerosi PVS.

Stati Uniti, Cina, Asia sud-orientale, India e Giappone continueranno a sostenere questa elevata

domanda, che però interesserà anche paesi in via di sviluppo e ad economia di mercato (Europa,

Russia etc.).

Domanda energetica primaria mondiale (Mtep)

1971 2002 2010 2020 2030 2002 -2030*

Carbone 1407 2 389 2 763 3 193 3 601 1.5% Olio 2 413 3676 4 308 5074 5766 1.6% Gas 892 2190 2 703 3451 4130 2.3% Nucleare 29 692 778 776 764 0.4% Idroelettrico 104 224 276 321 365 1,8% Biomassa e rifiuti 687 1119 1264 1428 1605 1.3%

Di cui biomassa tradizionale 490 763 828 888 920 0.7%

Altre rinnovabili 4 55 101 162 256 5.7%

Totale 5 536 10 345 12 194 14 444 16 487 1.7%

Fonte AIE

Il gas tenderà a sostituire parzialmente il petrolio in alcuni usi e settori, particolarmente nella

generazione di elettricità, dove è previsto un forte aumento in quasi tutti i Paesi, in funzione di una

potente crescita della domanda elettrica. Il gas sarà preferito in particolare nelle nuove centrali ad

alta efficienza a ciclo combinato; una quota piccola, ma crescente, della domanda di gas naturale

verrà anche da impianti Gas-to-Liquids (GTL) (per la produzione di carburanti liquidi) ed

eventualmente, sul lungo termine, dalla produzione di idrogeno per le celle a combustibile.

Incremento della domanda di energia mondiale secondo il combustibile

6Carbone Olio Gas Nucleare Idroelettrico Altri

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7

Infine il carbone, per il quale pur intravedendosi problemi al suo impiego a motivo di vincoli

ambientali, è previsto ancora una robusta crescita, in quanto combustibile di elezione in alcuni

paesi come la Cina e l’India che registreranno elevati tassi di sviluppo della loro domanda

energetica. Gli impianti di generazione elettrica assorbiranno la maggior parte dell’incremento della

domanda di carbone, sebbene questa fonte continuerà a perdere quote di mercato nella

produzione elettrica dei paesi OCSE e di alcuni paesi in via di sviluppo.

In relazione alle altre fonti è previsto uno sviluppo modesto del nucleare (+ 0,4%) dal

momento che ci si attende che il tasso di costruzione di nuovi reattori vada al passo con il tasso

con il quale i vecchi reattori saranno dismessi. Questo andamento peraltro risponde ai problemi

che l’energia nucleare2 avrà nel prossimo futuro nel competere con le altre tecnologie e

soprattutto risponde alle politiche restrittive che molti paesi hanno adottato nei riguardi di questa

forma di energia.

La produzione idroelettrica avrà uno sviluppo abbastanza sostenuto (+ 1,8%) nella

proiezione dell'AIE, soprattutto grazie al contributo dei paesi in via di sviluppo che mostrano un

patrimonio considerevole di risorse ancora non sfruttate; comunque la quota di questa fonte

energetica sul totale dell’elettricità prodotta è prevista in diminuzione a causa della crescita del gas

per usi termoelettrici.

L’utilizzo delle biomasse e dei rifiuti è previsto in leggera crescita (+ 1,3%), per lo più

concentrata nei paesi in via di sviluppo.

Infine si prevede un incremento importante delle altre fonti rinnovabili, che comprendono la

geotermia, il solare, l'eolico, che insieme cresceranno ad un tasso medio del 5,7% annuo lungo il

periodo considerato. La quota3 della domanda mondiale coperta dalle fonti rinnovabili rimarrà

comunque esigua nel 2030 dal momento che queste partono da una base molto bassa e

l’incremento dell’uso riguarderà in primo luogo il settore elettrico.

1.2 L'AIE prospetta anche nello stesso studio sopracitato, uno scenario alternativo a quello

indicato (che può essere considerato tendenziale), basato su una serie di politiche energetiche

adottate da tutti i Paesi, che prevedano un forte miglioramento dell'efficienza energetica, l'utilizzo

di nuove tecnologie in campo nucleare e nel settore delle fonti rinnovabili (per abbattere le

emissioni di gas serra) e l'uso generalizzato del gas naturale.

Anche in questo scenario alternativo peraltro il peso del petrolio rimane elevato e gli

obiettivi di Kyoto non vengono raggiunti.

2 Secondo il rapporto dell’AIE World Energy Outlook 2004 la produzione nucleare avrà un picco subito dopo il 2010 e poi subirà un declino graduale. La sua quota sulla domanda mondiale di energia primaria diminuirà e la produzione nucleare avrà un incremento solo in pochi paesi, la maggior parte in Asia. Queste proiezioni sono soggette a un considerevole grado di incertezza dal momento che riflettono la situazione attuale. Possibili cambiamenti delle politiche pubbliche sulla generazione elettrica e degli atteggiamenti dell’opinione pubblica porterebbero il nucleare a giocare un ruolo molto più importante di quanto non si ha in questa proiezione. 3 La quota più significativa dell’incremento riguarderà i paesi dell’OCSE, la maggior parte dei quali ha attuato politiche per incrementare l’adozione di tecnologie per lo sfruttamento delle nuove rinnovabili.

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Anche se costruite su molti dati e su modelli sufficientemente affidabili, le previsioni AIE

trovano scettici molte Istituzioni e Centri di studio sopratutto perché basate su assunzioni

"tradizionali", su proiezioni fornite da compagnie petrolifere e governi e su scenari molto

conservativi.

Critiche su queste previsioni sono state fatte da molte Istituzioni, compreso l'IFP (Istituto

Francese del Petrolio), alcune Università inglesi e americane, l'Oxford Institute for Energy Studies

e da molti altri centri specializzati nel settore petrolifero ed energetico.

Il World Council on Renewable Energy ha evidenziato come l’AIE, nel definire uno scenario

energetico globale, non preveda alcun incremento rilevante del contributo delle energie rinnovabili

(vento, sole, biomasse, idro). Dal punto di vista strategico, l'AIE sottovaluta i problemi derivanti

dalla dipendenza degli approvvigionamenti di energia da aree del mondo politicamente critiche, e

non tiene nella giusta considerazione il fatto che due terzi della domanda globale verranno dai

paesi in via di sviluppo che hanno popolazioni numerose e in rapida crescita e partonoggi da

consumi energetici pro capite molto bassi.

2. I problemi ambientali e climatici

L’aumento di domanda di energia, sopratutto di quella legata all’utilizzo delle diverse fonti

fossili, sta provocando un forte innalzamento della percentuale di CO2 e di altri gas serra di origine

antropica in atmosfera, che tendono ad alterare la situazione climatica del pianeta con probabili

effetti nocivi sul suo habitat.

Il problema del cambiamento del clima costituisce una delle sfide più delicate di questo XXI

secolo: esso potrà manifestarsi non soltanto come aumento delle temperature medie globali, ma

anche come aumento in intensità e frequenza dei fenomeni estremi (uragani, temporali,

inondazioni, siccità, etc), come aumento del livello dei mari, come desertificazione e perdita di

biodiversità. La comunità scientifica internazionale ha dibattuto a lungo sulle cause e sulla intensità

sia dell’effetto serra4 che dei cambiamenti climatici. Oggi è accettato da tutti che siamo in presenza

di un aumento graduale della concentrazione di gas-serra nell'atmosfera e che questo aumento è

dovuto alle attività umane; sono stati riscontrati aumenti di temperatura media che - pur nell'ambito

di incertezze non trascurabili - corrispondono a quelli previsti dalla teoria come conseguenza

dell'aumento misurato dei gas serra. Certo vi sono ancora incertezze e diversità di previsioni

sull'andamento del fenomeno nel futuro, e sulle conseguenze che il riscaldamento globale potrà

4 L'effetto serra è un fenomeno naturale che permette il riscaldamento dell'atmosfera terrestre fino ad una temperatura adatta alla vita. Senza l'effetto serra naturale, sarebbe impossibile vivere sulla Terra, poiché la temperatura media sarebbe di circa -18 gradi Celsius. L'effetto serra è possibile per la presenza in atmosfera di alcuni gas detti gas serra. Negli scorsi decenni le attività dell'uomo, in particolare la combustione di vettori energetici fossili e il disboscamento delle foreste tropicali, hanno provocato un aumento sempre più rapido della concentrazione dei gas serra nell'atmosfera alterando l'equilibrio energetico della terra. Come conseguenza si è avuto un anomalo aumento della temperatura atmosferica. I modelli climatici prevedono entro il 2100 un aumento della temperatura media globale compreso tra 1,4 e 5,8 gradi Celsius. L'aumento della temperatura atmosferica media è la causa principale dei cambiamenti climatici

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avere nelle differenti zone del pianeta; ma ormai l'evidenza scientifica del legame delle alterazioni

del clima con le attività antropiche gode di largo consenso fra gli scienziati. I lunghi tempi di

permanenza dei gas-serra nell'atmosfera (centinaia di anni) fanno sì che ci voglia molto tempo per

invertire la tendenza, e che non è quindi possibile aspettare a prendere provvedimenti fino a che

non siano del tutto chiarite le questioni teoriche e le previsioni di dettaglio. Si ritiene in generale

che sia necessario adottare fin d'ora una politica di prevenzione vista come una polizza di

assicurazione (non aspettiamo di essere sicuri che la nostra casa prenderà fuoco per assicurarla

contro gli incendi), iniziando da quelle misure che hanno anche altre giustificazioni, economiche o

sociali o ambientali.

La questione centrale riguarda, naturalmente, le fonti di energia e le relative emissioni di

gas serra, soprattutto CO2. Ogni atomo di carbonio contenuto nei combustibili fossili si trasforma,

una volta bruciato, in una molecola di biossido di carbonio che si libera nell’atmosfera.

Il piacevole clima di cui godiamo oggi è il risultato di una condizione che gli scienziati

chiamano metastabile, ossia tale che piccole perturbazioni non causano mutamenti drastici. Ma

significa anche che, allontanandoci un po' di più dallo stato di equilibrio, questo stato potrebbe

finire bruscamente, sostituito da un altro5 completamente diverso, difficile da prevedere ma

potenzialmente distruttivo nei confronti dell'agricoltura, degli insediamenti umani, delle coste, del

controllo delle malattie e della flora e fauna nociva, e così via.

Quello della stabilizzazione del clima risulta quindi uno dei vincoli fondamentali delle

politiche energetiche di tutti i Paesi, anche al di là degli impegni presi con il Protocollo di Kyoto.

Non altrettanto concorde è l'opinione sul metodo migliore per intervenire.

Una prima e parziale risposta a questi interrogativi è stato un recente accordo

generalizzato, fra un gran numero di Paesi (protocollo di Kyoto6) che prevede un progressivo e

coordinato abbassamento delle immissioni di gas serra7 emesse ogni anno e/o un aumento di

misure compensative in modo da limitare al massimo i danni provenienti dalla combustione di fonti

fossili. Il Protocollo di Kyoto sulla base del principio di "comuni, ma differenziate responsabilità",

impegna i paesi industrializzati e quelli ad economia in transizione ad una specificata riduzione8

5 Esistono infatti altri possibili stati metastabili drasticamente differenti da quello in cui ci troviamo, che possono verificarsi senza un cambiamento nella distanza della Terra dal Sole. 6 Il protocollo di Kyoto, firmato in Giappone alla fine del 1997, ed entrato in vigore il 16 febbraio 2005, impegna i paesi industrializzati e con economia in transizione a ridurre (nel periodo di adempimento 2008-2012) il totale di emissioni di gas serra del 5,2% rispetto ai livelli del 1990. I Paesi coinvolti (inclusi nell’Allegato 1 del Protocollo), per raggiungere i loro obiettivi, possono implementare misure per la riduzione delle emissioni nazionali o utilizzare i cosiddetti meccanismi flessibili internazionali (che comprendono: Emission Trading; Joint Implementation e Clean Development Mechanism). 7 Prima dell’era industriale il livello di CO2 nell’atmosfera era stabile a circa 280 parti per milione (PPM), mentre all’epoca di Kyoto, nel 1997, quel livello era salito a 368 PPM e sette anni dopo ha raggiunto 379 PPM. Secondo vari esperti, tra cui David King, consigliere scientifico del governo britannico, non dovrebbe essere superata la soglia di 550 PPM (benché altri esperti denunciano che già con questo limite andiamo incontro ad un incremento della temperatura terrestre da 2 a 5°C) e per raggiungere questo obiettivo è indispensabile fare importanti cambiamenti nella produzione globale di energia. 8 Il terzo rapporto sul clima del Panel intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC) considera accettabile una crescita della temperatura media del pianeta attorno ai 2°C entro la fina del secolo, al quale corrisponderebbero effetti climatici “governabili”, sia in termini di aumento del livello dei mari che di incremento della frequenza e dell’intensità degli eventi estremi. A questa temperatura corrisponde una concentrazione di CO2 compresa tra 500 e 550 parti per milione. E per raggiungere tale concentrazione, le emissioni globali di anidride carbonica dovranno essere ridotte, a cominciare

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delle emissioni dei principali gas ad effetto serra rispetto ai valori del 1990; vi sono anche impegni

(per il momento non quantitativi.ma qualitativi) dei PVS che hanno firmato l'Allegato 2 del

Protocollo di Kyoto.

In particolare, l'Unione Europea ha un obiettivo di riduzione dell’8%, nell'ambito del quale

l'Italia si è impegnata a ridurre le emissioni del 6,5% rispetto ai livelli del 1990. L'obiettivo italiano

risulta ambizioso in funzione del fatto che l'Italia è caratterizzata da una intensità energetica già

bassa e, inoltre, dal 1990 ad oggi le emissioni italiane di gas serra sono notevolmente aumentate.

Per tale motivo lo sforzo reale richiesto per rispettare al 2008-2012 gli obblighi previsti dal

Protocollo di Kyoto è del 19 % circa; in termini assoluti ciò equivale ad una riduzione delle

emissioni di circa 93 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti.

Questo accordo, accanto ad una maggiore sensibilità ai problemi ambientali, spinge e

spingerà sempre più ad un diverso uso delle varie fonti fossili, con l’utilizzo di quelle più

ecocompatibili e con lo sviluppo di tecnologie pulite per l’abbattimento di fumi e sostanze inquinanti

derivanti dalla loro combustione.

Conseguentemente si sta verificando nel mondo un rapido avanzamento nell’impiego del

gas naturale in sostituzione del petrolio e del carbone, una forte crescita, anche sostenuta da

politiche nazionali ed europee, delle fonti rinnovabili ed un più attento esame delle problematiche

relative all’efficienza energetica.

Secondo i dati forniti dall'AIE nel citato rapporto,nello scenario tendenziale le emissioni di

anidride carbonica a livello mondiale sono previste passare da 23,6 Gton del 2002 a 33,2 Gton nel

2020, raggiungendo i 38 Gton nel 2030 con un tasso di incremento medio anno pari a circa il 2%.

L’olio sarà responsabile del 37% dell’incremento delle emissioni di CO2 del settore

energetico lungo il periodo di proiezione, il carbone per il 33% e il gas naturale per il 30%.

Nei tre decenni precedenti, le emissioni mondiali di CO2 connesse al settore energetico

sono cresciute meno rapidamente della domanda energetica. Le emissioni di carbone sono

cresciute dell’1,7% annuo, mentre la domanda energetica del 2%. Nel Rapporto dell’AIE si

considera che lungo il periodo considerato queste9 crescano allo stesso tasso dell’1,7% annuo con

cui aumenta la domanda di energia nel mondo.

dal 2030-2050, nella misura di almeno il 50% rispetto ai livelli attuali. Quanto prima si realizzerà un contenimento delle emissioni rispetto allo scenario tendenziale, tanto meno drastiche (e quindi realisticamente più attuabili) potranno essere le politiche di contenimento delle emissioni sui tempi più lunghi. 9 Il contenuto medio del carbonio del consumo energetico rimarrà più o meno costante al valore di circa 2,3 tonnellate di CO2 nel periodo considerato.

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Fonte AIE

Il 64% dell'incremento delle emissioni è previsto avvenire nei paesi in via di sviluppo, sia per il forte

incremento dei consumi energetici e sia per il forte ruolo che avranno in questi Paesi il carbone e

gli idrocarburi (principalmente petrolio). Essi sorpasseranno presto, entro il 2020, i paesi OCSE

come principali responsabili delle emissioni globali.

Emissioni mondiali di CO2 provocate da combustibile nel settore energetico

Emissioni mondiali di CO2 del settore energetico per Paesi

E

Fonte AI

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Conseguentemente tra il 2003 e il 2020 la quota di emissioni nei Paesi in via di sviluppo

passerà dal 35% al 43% mentre quella nei paesi OCSE scenderà dal 53% al 46%. L'area

URSS/Balcani rimarrà stazionaria intorno al 10/11%.

Nonostante il forte incremento delle emissioni dei paesi in via di sviluppo, i paesi dell’OCSE

e delle economie in transizione contribuiranno in buona misura all’incremento delle emissioni pro

capite entro il 2030. I paesi in via di sviluppo non solo mostrano un basso consumo energetico a

persona, ma continuano il loro utilizzo di biomassa e rifiuti (considerati, nel rapporto, ad emissioni

zero).

La generazione elettrica si prevede che contribuisca a circa la metà dell’incremento delle

emissioni mondiali dal 2002 al 2030. La quota del settore elettrico sul totale delle emissioni

crescerà, dal 40% nel 2002 al 44% nel 2030, in linea con la quota di incremento del settore

nell’uso dell’energia. Tale settore diventerà anche più dipendente dalle fonti fossili e la maggior

parte dell’incremento del settore verrà dai paesi in via di sviluppo, che consumeranno ancora una

quota rilevante di carbone.

Il settore dei trasporti consolida la sua posizione come il secondo più importante

responsabile mondiale delle emissioni di CO2. La sua quota sul totale delle emissioni crescerà dal

21% del 2002 fino al 23% dl 2030. Più della metà dell’incremento delle emissioni del settore

dipenderà dai paesi in via di sviluppo, dove si prevede che i proprietari privati di macchine

crescano rapidamente.

Da questo quadro emerge come gli scenari di stabilizzazione della concentrazione di CO2 a

livelli di sicurezza contrastano in modo evidente con le previsioni energetiche future, elaborate

dall’Agenzia Internazionale dell’Energia (AIE). Questo contrasto mette in evidenza la necessità di

intervenire con una strategia globale di lungo periodo per affrontare i due principali aspetti

necessari per ottenere una migliore protezione del clima globale:

• la riduzione della intensità di carbonio, o decarbonizzazione, dell’economia globale,

attraverso lo sviluppo di un nuovo sistema energetico fondato sulle fonti rinnovabili, sul gas

naturale, sull’energia nucleare e sull’uso efficiente delle fonti fossili convenzionali;

• l’accessibilità alle fonti e alle tecnologie energetiche alternative al petrolio da parte delle

economie emergenti dei paesi in via di sviluppo, per assicurare nello stesso tempo crescita

economica, sicurezza energetica e riduzione delle emissioni.

3. La disponibilità delle diverse fonti di energia nel mondo

3.1 Secondo stime ufficiali, le attuali riserve potenziali (scoperte e scopribili) di olio, gas e

carbone, ai ritmi attuali di produzione (in funzione della attuale domanda mondiale) sono pari a :

olio: circa 38 anni

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gas: circa 70 anni

carbone: circa 200 anni

L'olio10 comprende il greggio, i condensati11 (pentano e idrocarburi più pesanti separati dal

gas in superficie a pressione atmosferica) e gli idrocarburi più leggeri (propano e butano) che sono

liquefacibili a temperatura normale con pressioni da 10 a 20 bar.

A fine 2003 le riserve mondiali di olio ammontavano a 1148 Gbbl (miliardi di barili), ubicate

in Medio Oriente12 (63 %), America Latina (9 %), Africa (9 %), ex URSS (8 %), Nord America (5

%), Estremo Oriente (4 %) ed Europa (2 %).

In queste riserve sono comprese sia quelle di olio convenzionale (1102 Gbbl) che quelle di

olio non convenzionale, comprendenti principalmente l'olio estraibile dalle sabbie bituminose del

Canada (11 Gbbl) e dagli oli extra-pesanti del Venezuela (35 Gbbl). Il volume delle riserve di olio

non convenzionale del Canada comprende solo le riserve che siano in una fase attiva di sviluppo

mentre l'ammontare totale delle riserve recuperabili é stimato in 135 Gbbl. Per le riserve di olio

extrapesante del Venezuela le riserve totali potrebbero ammontare ad oltre 400 Gbbl.

In relazione all’offerta di olio, tra il 2003 ed il 2020 nell'ambito dell'area non-OPEC, sono

previsti cali sensibili di produzione in Europa, Asia e Medio Oriente, mentre incrementi sono attesi

nell'ex URSS, in America latina ed in Africa.

In conseguenza della sostanziale stagnazione prevista per la produzione non-OPEC, la

quota percentuale della produzione OPEC13 sulla produzione convenzionale mondiale crescerà,

raggiungendo nel 2020 valori superiori al 50%, passando da un volume di 30 Mbbl/g nel 2003 a 50

Mbbl/g nel 2020. Se però il tasso di crescita della domanda petrolifera dovesse rimanere su livelli

superiori14 a quelli degli ultimi anni, l’incremento della quota produttiva OPEC subirebbe una

ulteriore accelerazione.

A fine 2003 le riserve mondiali di gas naturale erano 158.000 Gmc, ubicate in Medio

Oriente (41 %), ex URSS (32 %), Africa (8 %), Estremo Oriente (8 %), Nord America (4 %),

America Latina (4 %) ed Europa (3 %), con un diverso grado di concentrazione geografica rispetto

all'olio.

10 Nello scenario di riferimento elaborato dall’AIE la produzione prevista per ogni paese deriva dalle stime effettuate dall’USGS (United States Geological Survey) secondo cui le riserve mondiali presenti dall’origine dell’utilizzo ammontano a 3.345 miliardi di barili. 11 L'insieme dei condensati e degli idrocarburi più leggeri costituisce i "Natural Gas Liquids" o NGLs. 12 L’OPEC è una organizzazione che comprende 6 paesi del Medio Oriente (Arabia Saudita, Iran, Iraq, EAU, Kuwait e Qatar), 3 paesi dell'Africa (Libia, Nigeria ed Algeria), Venezuela e Indonesia. Tali Paesi sono i più importanti paesi produttori ed esportatori e possiedono il 77 % delle riserve mondiali di olio. 13 Nell'ambito dell'OPEC la crescita maggiore si dovrebbe verificare in Medio Oriente, passando da una produzione di 21 Mbbl/g nel 2003 a 37 Mbbl/g nel 2020. 14 Prendendo in considerazione i dati di domanda e offerta petrolifera relativi ai primi 9 mesi del 2004, si nota un improvvisa accelerazione della crescita con un incremento di domanda di 2,9 Mbbl/g rispetto al corrispondente periodo del 2003, ben più levato della crescita annuale negli anni precedenti (1,8 Mbbl/g nel 2003 e una media annuale di 0,85 Mbbl/g nel quinquennio 1998-2002). Questa crescita è legata in primo luogo allo sviluppo economico impetuoso che caratterizza la Cina e gli altri PVS dell’Asia. L’incremento di domanda è stato bilanciato in larga parte con un aumento dell’offerta OPEC e in misura molto inferiore con l’aumento dell’offerta non-OPEC, in particolare dell’ex URSS.

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14

Per il gas naturale i maggiori tassi di incremento delle produzioni sono previsti in Medio

Oriente, Africa ed America latina (valori compresi tra 5,5 % e 6 %). In valori assoluti le principali

aree di produzione nel 2020 restano l'ex URSS (oltre 1000 Gmc), il Nord America (900 Gmc) ed il

Medio Oriente (700 Gmc).

Il quadro previsivo della domanda e dell'offerta di gas mette in evidenza una forte crescita

degli scambi tra le diverse aree geografiche per cui il volume complessivo di importazioni nette

delle aree importatrici (Nord America, Europa, Pacifico OCSE e Cina) dovrebbe crescere da 290

Gmc nel 2003 a 460 Gmc nel 2010 ed a 680 Gmc nel 2020.

Per quanto riguarda il carbone, a fine 2003 le riserve mondiali ammontavano a 984 miliardi

ton (501 miliardi tep), ubicate in Estremo Oriente (32 %), Nord America (25 %), ex URSS (22 %),

Europa (12 %), Africa (7 %) ed America Latina (2 %), con un grado di concentrazione geografica

molto differente da quello dell'olio e del gas naturale.

La grande abbondanza delle riserve di carbone (che al 2003 presentano un rapporto

riserve/produzione di 199 anni), in particolare nei paesi (Cina e India) col maggiore sviluppo

economico atteso nei prossimi anni, consente un incremento della produzione sufficiente a

soddisfare la domanda di carbone prevista.

3.2 La costruzione dello scenario di offerta di olio e gas dell’AIE si è basata sull’analisi delle

riserve residue a fine 2003 e della disponibilità progressiva nel tempo delle riserve potenzialmente

scopribili in nuovi campi e di quelle che potranno derivare dalla potenziale rivalutazione delle

riserve dei campi già scoperti; considerando, secondo uno studio condotto dall’United States

Geological Survey (USGS)15, che il rapporto tra le riserve potenzialmente addizionabili in 30 anni e

le riserve effettivamente addizionate negli ultimi 30 anni è pari al 147% per l’olio e al 135% per il

gas.

A tale proposito occorre considerare che nelle ipotesi di produzione dello scenario AIE,

verso il 2025 la produzione cumulativa mondiale di olio convenzionale avrà raggiunto il 50% delle

riserve complessive quantificate (produzione cumulativa + riserve residue + riserve potenziali da

nuove scoperte e da rivalutazioni).

Un altro elemento di criticità, sottolineato anche nel rapporto AIE, si riferisce al fatto che la

quota OPEC delle riserve convenzionali è prevista rimanere sul valore del 77% fino al 2020, grazie

all’apporto delle riserve addizionali che sono ubicate principalmente in questa area.

Pertanto dal 2002 al 2030, più del 95% dell’incremento nella produzione di olio riguarderà i

Paesi non-OCSE, a differenza del periodo16 tra il 1971-2002 il cui valore si aggirava intorno al

15 Tale studio, pubblicato nel 2000, e basato sulla stima a fine 1995 delle riserve originarie, della produzione cumulativa e delle riserve residue di olio e gas dei bacini sedimentari più interessanti delle diverse aree geografiche del mondo (contenenti circa il 94% delle riserve residue totali mondiali), ha portato ad una stima delle riserve di olio e gas potenzialmente scoplribili in 30 anni nei diversi bacini e ad una stima delle rivalutazioni, potenzialmente effettuabili in 30 anni, delle riserve dei giacimenti già scoperti, relativa a due grandi aree (USA e Resto del Mondo). 16 In questi anni l’incremento della quota non-OPEC di produzione dell’olio è stata determinata in massima parte dalla risalita della produzione dell’ex URSS sui livelli prossimi ai massimi del 1988, recuperando il terreno perduto in seguito

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15

70%. Questa situazione risponde al fatto che la maggior parte delle risorse di petrolio sono situate

nei Paesi dell’OPEC, soprattutto quelli del Medio Oriente, che dovranno espandere la loro

produzione rapidamente lungo il periodo considerato. Le loro risorse sono abbondanti e i loro costi

di produzione sono generalmente bassi; restano però forti incertezze sulla producibilità di tali

risorse a causa di difficili situazioni geopolitiche e di un basso livello di investimenti.

Il controllo dell’OPEC e, più in particolare dei Paesi del Medio Oriente, sul mercato

petrolifero diventerà quindi sempre più rilevante nei prossimi anni con tutta una serie di

preoccupazioni e di incertezze sul futuro delle riserve ubicate in questa area esposta ad attacchi

terroristici / bellici degli impianti di produzione, trasporto e stoccaggio.

Sulla base di queste osservazioni si può avanzare l’ipotesi, dopo alcuni anni di prezzi

abbastanza sostenuti, che le quotazioni del greggio potranno mantenersi su livelli elevati per molti

anni. Infatti l’ampiezza crescente della quota OPEC17, derivante degli equilibri di domanda ed

offerta delineati, ampiamente conforta una tale ipotesi di evoluzione dei prezzi.

Nonostante l’AIE ritenga le risorse energetiche del mondo adeguate a soddisfare

l’incremento previsto della domanda di energia fino al 2030, il problema maggiore risulta essere

quale potrà essere il costo per sviluppare e trasportare i combustibili fossili e le altre risorse per

incontrare la domanda.

Gravi incertezze derivano dalla finanziabilità degli enormi investimenti necessari al

soddisfacimento della domanda prevista (16.000 miliardi di dollari fino al 2030 concentrati per circa

la metà nei Paesi in via di sviluppo) in relazione alla necessità che vi siano le condizioni perché un

tale impegno possa essere garantito dal sistema finanziario globale.

Lo studio dell'AIE "World Investment Outlook 2004" valuta che nel periodo 2001-2030

saranno necessari investimenti per l'esplorazione e lo sviluppo dei giacimenti pari a circa 2.300

miliardi di $.

Agli investimenti upstream si debbono aggiungere per l'olio quelli per la raffinazione e per il

trasporto, stimati dall'AIE, per il periodo 2001-2030 rispettivamente in poco più di 400 e 250

miliardi $.

Per il gas l'AIE stima per il periodo 2001-2030 gli investimenti di trasporto, stoccaggio e

distribuzione in circa 1200 miliardi $.

Un aspetto non trascurabile del problema degli approvvigionamenti è l’emergere di carenze

e difficoltà delle capacità, sia upstream che downstream. Un tempo alcuni Paesi OPEC

mantenevano una capacità extra di produzione che rappresentava un cuscinetto necessario, visto

alla crisi politica, finanziaria ed operativa conseguente al crollo dell’unione Sovietica. La restante parte dell’area non-OPEC ha registrato solo modesti incrementi produttivi. 17 Infatti, se la quota OPEC è prevista in sensibile crescita, si creano le condizioni per un più facile rispetto delle quote (in progressivo aumento) assegnate a ciascun Paese del cartello, e, quindi, per un mantenimento o anche una crescita dei prezzi. Se invece la quota OPEC dovesse essere stagnante o in leggera crescita, potrebbero verificarsi in futuro condizioni ricorrenti di esubero di offerta, con conseguente pressione al ribasso sui prezzi. Le ipotesi cautelative sulla riduzione del volume delle riserve addizionali disponibili nei prossimi anni portano a rafforzare un quadro di prezzi elevati poiché determinano un ulteriore rafforzamento della quota OPEC.

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16

che nel breve termine sia la domanda che l’offerta variano in continuazione e spesso bruscamente.

Attualmente quella capacità di produzione extra si è molto ridotta, arrivando quasi a zero dal

momento che sia le compagnie nazionali che quelle private hanno costantemente disinvestito18

nella ricerca e produzione di idrocarburi a causa dell’incertezza sui prezzi di riferimento e

soprattutto in relazione alle difficoltà di collocare gli investimenti in aree promettenti e sicure.

Inoltre la quantità delle riserve di petrolio conosciute è definita da una cifra molto aleatoria.

Tale cifra risulta di solito da una somma di dati governativi e commerciali dei vari paesi produttori,

e questi dati sono in vari casi distorti da considerazioni politiche o economiche.

Prima di tutto, c’è confusione su cosa misurare. In secondo luogo la rendicontazione delle

riserve è causa di incertezza dal momento che le riserve sono risorse finanziarie e in quanto tali

sono, giustamente, sottoposte alle regole di borsa. Questo ha provocato che le stime delle riserve

sono state progressivamente riviste e corrette verso l’alto, dando una confortante ma fuorviante

impressione di una costante crescita, comunemente attribuita alla tecnologia, quando in effetti era

principalmente un escamotage tecnico-contabile messo in atto da compagnie petrolifere e Stati.

Il problema delle riserve è quindi un problema complesso che non va sottovalutato e va

inquadrato nella giusta prospettiva.

3.3 In relazione a questo e premesso che molte stime provengono dagli stessi paesi produttori che

hanno tutto l’interesse a tenere alto il potenziale delle riserve a loro attribuibile, e che la domanda

attuale di petrolio è prevista crescere sensibilmente di più rispetto alle stime dell’AIE, il periodo in

cui la produzione cumulativa di olio avrà raggiunto il 50% delle riserve potrebbe essere molto

prima del 2025 e posizionarsi intorno al 2015. Peraltro - come è evidente - non è necessario

arrivare a consumare l’ultima goccia di petrolio, per determinare la fine di un periodo basato

sull’uso di questo combustibile ma semplicemente arrivare ad un periodo di forte scarsità.

Seppur non si ritiene che il petrolio sia sul punto di esaurirsi, non si può escludere che il

mondo debba prepararsi ad affrontare la fine della prima metà dell’era del petrolio, che cominciò

150 anni fa, con lo scavo dei primi pozzi sulle sponde del Mar Caspio e in Pennsylvania. I timori di

un declino delle scoperte e della produzione non sono infondati. In effetti il declino sta già

interessando i giacimenti degli Stati Uniti, del Mare del Nord e di molte altre aree, mentre

l’estrazione aumenta solo nelle repubbliche ex sovietiche, ed in particolare in Russia anche se con

molti problemi.

Quando sarà diventato impossibile (o troppo costoso) il totale reintegro delle riserve

petrolifere scoperte a fronte di una domanda sempre più elevata (e quindi la produzione inizierà a

calare) si avrà il primo vero segnale sulla “scarsità” di questa importante fonte di energia e quindi

sull’inizio di un nuovo modello di sviluppo.

18 I motivi del sottoinvestimento sono vari: le compagnie nazionali mancavano dei fondi necessari oppure delle capacità manageriali,

o ancora l’incentivo a investire è stato indebolito dal pessimismo sull’andamento della domanda.

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17

La difficoltà a rimpiazzare nuove riserve di petrolio, sempre più scarse ed in aree instabili,

accanto alla forte domanda di energia nel mondo, avvicinano infatti il momento in cui ci sarà un

sostanziale mutamento di scenario, basato sulla consapevolezza della scarsità e del prossimo

esaurimento delle riserve petrolifere convenzionali, che hanno consentito di costruire l’attuale

assetto economico e sociale delle nazioni più progredite. Questo nuovo scenario sarà inoltre

caratterizzato da alti prezzi del petrolio.

Questa crescita dei prezzi potrebbe innescare un processo di autocontenimento della

domanda simile a quello che ebbe luogo negli anni Settanta e Ottanta, e quindi un prolungamento

della vita economica delle risorse. Ma la razionalizzazione energetica indotta dai precedenti shock

petroliferi ha potuto avvalersi di forti margini di recupero di efficienza nei paesi industriali, che oggi,

a meno di non introdurre cambiamenti sostanziali nello stile di vita (che comporterebbero un costo

economico elevato), sono molto più difficili.

Occorre, inoltre, considerare che il fabbisogno tendenziale di petrolio è dettato, più che dai

paesi industrializzati avanzati, dalla domanda sempre più alta che vanno esprimendo le vaste aree

geopolitiche in via di sviluppo (Cina, India, Asia meridionale, etc.) che hanno una crescita della

domanda di energia, ed in particolare di petrolio, non comprimibile, perché basata su un

miglioramento del loro tenore di vita e su un forte sviluppo economico - industriale.

4. Il picco di Hubbert e la situazione delle riserve petrolifere

L’aumento del prezzo del greggio e le tensioni sul piano geopolitico stanno provocando

preoccupazioni sul futuro del petrolio.

E’ evidente che, trattandosi di risorsa limitata, non potremo, nel lungo periodo, sfuggire

all’esaurimento del greggio, anche se la definizione dei tempi in cui avrà inizio la fase di

diminuzione della produzione del petrolio non è indifferente per poter far fronte a tale problema.

In realtà, le valutazioni sono diverse.

Alcuni dei più autorevoli geologici petroliferi prevedono che la prima grande crisi si

verificherà molto presto. Per tutto il XX secolo il consumo di petrolio è aumentato a ritmo elevato;

fino agli anni Cinquanta, i geologi si aspettavano che si potesse mantenere per sempre lo stesso

tasso di crescita. Tutti i moniti alla prudenza e a tenere conto della limitatezza delle risorse

venivano ignorati e irrisi, visto che si continuavano a scoprire nuovi giacimenti più rapidamente di

quanto aumentassero i consumi.

Poi, nel 1956, King Hubbert, un geofisico della Shell, rendendosi conto che le scoperte di

giacimenti negli Stati Uniti avevano raggiunto il culmine negli anni Trenta, predisse che la

produttività dei giacimenti statunitensi avrebbe raggiunto il picco più alto intorno al 1970 e quindi

sarebbe calata rapidamente. Quando si scoprì che aveva ragione, altri geologi cominciarono a

studiare seriamente il problema.

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18

La tendenza alla scoperta di nuovi giacimenti nel mondo è in diminuzione, nonostante le

ambiziose e ottimistiche ricerche ed esplorazioni a livello mondiale, malgrado i molteplici progressi

tecnologici e malgrado un regime economico favorevole per cui la maggior parte dei costi di

esplorazione è stata sostanzialmente detassata. La figura sottostante mostra la storia delle

scoperte petrolifere, usando i dati delle compagnie petrolifere,opportunamente retrodatati,

pubblicati da ExxonMobil.

Di recente diversi geologi hanno applicato le tecniche di Hubbert ai dati sulla produzione di

petrolio mondiale. Alcuni sono giunti alla conclusione che ci sarà un “picco di Hubbert” nella

produzione di petrolio su scala planetaria in questo decennio o nel prossimo e, conseguentemente

da quel momento, la velocità con cui consumeremo questo combustibile sarà superiore a quella

con la quale potremo reintegrarlo; mentre per quel che riguarda la scoperta di nuovi giacimenti, il

picco di Hubbert si è gia verificato. Quindi secondo questa teoria “la crisi” non avverrà alla fine

delle riserve petrolifere, ma molto prima.

Non tutti i geologi danno peso a questa valutazione. Molti adottano un’altra procedura che

consiste nel valutare la quantità totale di petrolio presente con certezza nel sottosuolo e dividerla

per il ritmo con cui viene utilizzata annualmente. Procedura nota nell’industria energetica come

rapporto R/P, ossia il rapporto fra riserve e produzione di petrolio. A seconda dei dati utilizzati, oggi

il rapporto R/P risulta essere compreso fra 30 e 40 anni, ritenendo che se continuiamo a produrre

petrolio e consumarlo al ritmo di oggi, l’ultima goccia verrà estratta fra 38 anni.

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19

I seguaci di Hubbert invece, considerando il trend crescente della domanda di petrolio, una

volta passata la vetta della produzione, ritengono che l’offerta disponibile diminuisca all’incirca con

la stessa velocità con cui cresce la domanda.

La crisi pertanto non avverrà quando l’ultima goccia di petrolio verrà estratta e cioè fra circa

40 anni, bensì quando il tasso di estrazione del sottosuolo comincerà a diminuire, ossia quando si

giungerà ad avere estratto metà del petrolio presente in natura e cioè fra dieci/ quindici anni.

Un'annotazione importante riguarda l’ubicazione delle attuali riserve petrolifere, per la

maggior parte localizzate in Medio Oriente, un’area a rischio e dove, per diverse motivazioni, non

vengono più fatti investimenti per aumentare la capacità produttiva e cioè per mettere in

produzione le vecchie e le nuove riserve.

Oltre il 63% delle riserve di olio nel mondo sono infatti localizzate in Medio Oriente, una

regione tra le più instabili politicamente e con forti connotazioni fondamentalistiche, dove le grandi

compagnie petrolifere internazionali da tempo non operano più e dove, come già detto, le

compagnie statali hanno difficoltà a fare nuovi investimenti.

La recente guerra in Iraq e la situazione politica degli altri grandi paesi produttori del Medio

Oriente (Arabia Saudita ed Iran) non lasciano prevedere peraltro situazioni di stabilità in grado di

consentire un ordinato sviluppo delle enormi potenzialità petrolifere che questi Stati hanno, con il

fondato pericolo che parte delle loro grandi riserve non verrà sfruttata nei prossimi anni. Ciò in

presenza di un forte calo delle scoperte nelle aree non OPEC, dove operano le grandi compagnie

petrolifere, aree ormai mature ed a costi sempre crescenti.

Questa situazione potrebbe accelerare ulteriormente un processo di modifica del rapporto

domanda/offerta di petrolio a livello mondiale, (più domanda e meno offerta) e quindi, la presa di

coscienza della scarsità di questa fonte in tempi brevi.

5. L'inizio della seconda metà dell"'era del petrolio".

Secondo molti economisti del petrolio sta per iniziare la seconda metà dell'era del petrolio.

L'attuale corsa al rialzo dei prezzi segna l'inizio di questa nuova epoca, in cui non ci sono riserve

sostanziali né c'è speranza di trovarne a sufficienza.

Molti osservatori avanzano spiegazioni un po' superficiali circa l'attuale aumento dei prezzi

del greggio, secondo le quali si tratterebbe di una contingenza momentanea dovuta alla situazione

geopolitica del Medio Oriente e dell’Iraq, Arabia Saudita in particolare, ed in concomitanza alla

forte domanda della Cina e di altri fattori occasionali (ridotta capacità di raffinazione, problemi

logistici etc).

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20

Ma il fatto che questi fattori - più o meno contingenti - abbiano già da due anni un forte

impatto sul livello delle quotazioni internazionali del petrolio giunte a superare i 50 dollari al barile,

non fa che sottolineare che il problema di fondo e cioè, la limitazione delle riserve e dell'offerta in

generale a fronte di una domanda in forte crescita, esiste ed è ormai strutturale.

Molti esperti petroliferi sostengono a tal proposito che un deciso miglioramento potrà

venire dalla tecnologia, che riuscirà a estrarre molto più petrolio dalle rocce aumentando così il

tasso di recupero. L'industria petrolifera usa però già metodi molto avanzati che ottengono recuperi

ottimali, e solo alcuni bacini e tipi di petrolio si prestano a trattamenti estrattivi speciali. Così, nella

migliore delle ipotesi, il progresso tecnologico e l'incremento della produzione di petrolio da fonti

convenzionali potrà rallentare di poco il tasso di declino, ma avrà un impatto trascurabile

sulla sua curva di esaurimento.

gas associato

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Per quel che riguarda il gas naturale esso, come è noto, è a minor rischio di esaurimento

del petrolio e va ricordato anche che il suo sfruttamento è stato finora limitato per difficoltà a

commercializzarlo da aree lontane dai centri di consumo e nel corso degli ultimi anni il suo

rapporto riserve/produzione è sempre aumentato e raggiunge oggi circa i 70 anni. Il

corrispondente picco di Hubbert per il gas naturale può essere quindi atteso almeno venti anni

dopo quello del petrolio.

E’ probabile che, quando si verificherà il picco della produzione di petrolio, lo scontro tra

una domanda in rapida crescita e un’offerta in altrettanto rapido calo provocherà una scarsità

che non sarà né temporanea né artificiale, ma permanente. La fine dell’era del petrolio a buon

mercato provocherà un considerevole aumento dell’inflazione, dovuto in parte al rialzo del

prezzo del petrolio al consumo, ma anche al costo crescente dei trasporti e dei prodotti derivati.

La transizione verso il declino del petrolio sarà quindi un momento di grande tensione

internazionale: i grandi consumatori, con in testa gli Stati Uniti e la Cina19, si troveranno a

competere per assicurarsi gli approvvigionamenti, la maggior parte dei quali è concentrata in

pochi paesi che si affacciano sul Golfo Persico.

La seconda metà dell'era del petrolio, dunque, sarà caratterizzata dalla diminuzione degli

approvvigionamenti da questa fonte e di tutto quel che da essa dipende, compreso le rendite

finanziarie delle compagnie e degli Stati sia produttori sia consumatori.

Ciò potrebbe comportare una modifica di molti aspetti economici, compresi quelli relativi

al sistema di tassazione indiretta sui carburanti e l’inizio di un nuovo sistema di prelievo fiscale.

È impossibile prevedere il corso degli eventi. perché la transizione verso il declino del

petrolio rappresenta un evento senza precedenti, dal momento che mai prima d'ora è capitato

che una risorsa di cruciale importanza come il petrolio entrasse in fase di esaurimento senza che

fosse in vista un sostituto.

6. Come affrontare la nuova era del "dopo" petrolio?

E’ difficile dare una risposta, come è difficile rispondere con certezza alla domanda se

abbiamo davvero raggiunto, o ci stiamo avvicinando al picco della produzione petrolifera, che

segna la fine della prima metà dell’era del petrolio.

Le conseguenze, economiche e non solo, di un declino lento e prolungato saranno

evidentemente molto diverse di quelle di una brusca caduta della produzione. Il problema,

essenzialmente, è quello della transizione dall’era del petrolio a un’altra era, in cui la fonte primaria

di energia sarà un altro tipo di combustibile.

19 Gli analisti prevedono che sul lungo termine la domanda cinese di carbone sia destinata a crescere significativamente, benché il ruolo del carbone calerà percentualmente nel soddisfacimento del fabbisogno energetico del cinese. Infatti si prevede che nel 2020 sostituirà gli Stati Uniti come principale agente di emissioni inquinanti. Il fabbisogno energetico cinese trova espressione anche in ingenti consumi di petrolio. Il 2003 ha visto la Cina al secondo posto nel mondo per il consumo di prodotti petroliferi, con una domanda di 5,56 milioni di barili al giorno. La domanda dovrebbe raggiungere i 12,8 milioni di barili al giorno entro il 2025 (con importazioni di 9,4 milioni di barili al giorno). Data la scarsità delle riserve, sufficienti a soddisfare i consumi solo per il prossimo decennio, e in uno scenario di crescente dipendenza dalle importazioni petrolifere,la Cina sta conducendo una politica tesa ad acquisire con vari strumenti una parte crescente delle risorse mondiali, e a diversificare al massimo le sue fonti di approvvigionamento.

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Questo rappresenta una questione da affrontare, dal momento che, in realtà, bisogna

considerare che una fonte alternativa al petrolio non esiste, se si considerano le dimensioni del

mercato e alla sua facilità di impiego nei diversi usi energetici ed all'enorme sistema infrastrutturale

e logistico messo in atto nel corso degli ultimi 100 anni (raffinerie, rete di distributori, etc.). Le

ragioni che impediscono una facile sostituzione del petrolio sono quindi di carattere economico,

tecnico, sociale e politico.

Il “problema energetico”è alla base dell’evoluzione delle società umane, ed è destinato a

essere tra le questioni dominanti di questo secolo, nel suo rapporto sia con lo sviluppo socio–

economico che con le tematiche ambientali ed anche con le situazioni conflittuali che

probabilmente ci attendono.

In questo contesto, le scoperte scientifiche e le innovazioni tecnologiche, fattori

fondamentali della dinamica sociale oltre che culturale, costituiranno sempre più gli strumenti

indispensabili non solo per l’utilizzo delle fonti energetiche disponibili in natura o create

dall’ingegno umano, ma anche per far maturare una cultura dell’energia adeguata alla società

contemporanea.

La corsa del prezzo del petrolio (che ha superato i 50 dollari al barile) pone in ogni caso

seri problemi per il futuro delle principali economie, anche se gli economisti sono divisi nella

valutazione dell’incidenza di questo dato sullo sviluppo dell’economia mondiale. C'è però una

presa di coscienza ormai su alcuni punti.

Il primo è che siamo arrivati a questa nuova svolta di grande cambiamento

nell’approvvigionamento energetico mondiale basato su prezzi elevati e sull'esaurimento

progressivo della fonte petrolio.

Il secondo punto è che non c'è in vista una nuova fonte di energia pulita in grado di

sostituire il petrolio.

Il terzo punto è che probabilmente, da un punto di vista energetico, i prossimi anni saranno un

periodo di transizione verso nuove tecnologie piuttosto che verso una nuova fonte.

E’ probabile che potremo disporre di tecnologie non ancora sviluppate, magari basate su

scoperte non ancora avvenute, in grado di sostituire almeno in parte, quelle note, basate sull’uso

dei combustibili fossili.

Il progresso nel settore energetico avanzerà così a piccoli passi su vari fronti, sulla base di

principi che già conosciamo e che potremo migliorare. Ad esempio potremo sfruttare meglio:

− la trasformazione del gas in prodotti liquidi (GTL);

− le celle fotovoltaiche a costi minori e più efficienti;

− la fissione nucleare con nuove tecnologie;

− la sequestrazione della CO2 per ottenere un carbone pulito;

− i nuovi processi per produrre l’idrogeno a costi competitivi.

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Lo sviluppo di queste tecnologie richiederà però uno sforzo di ricerca enorme, cosa che

abbiamo solo iniziato a fare.

In questa situazione di incertezza, bisognerà accelerare gli investimenti nella ricerca e sviluppo

di fonti alternative oltre che per sostituire il petrolio, anche per promuovere uno sviluppo

sostenibile.

Naturalmente, gli effetti della crisi potrebbero venire decisamente mitigati compiendo i passi

necessari per diminuire la domanda di petrolio. Esistono innumerevoli modi di ridurre gli esorbitanti

consumi energetici: città riprogettate allo scopo, abitazioni con migliore isolamento termico,

aumento dei trasporti pubblici e dell’utilizzo di auto con motori ad alta efficienza e carburanti

ecologici. Simili cambiamenti stanno lentamente verificandosi, ma ci sono forti interessi, in primis

da parte delle compagnie petrolifere e dell’industria automobilistica, che si oppongono. Inoltre è

molto difficile cambiare le abitudini e lo stile di vita di intere popolazioni.

Uno dei problemi più ardui da risolvere è trovare un carburante adeguato per i mezzi di

trasporto. Una possibilità è che batterie elettriche avanzate renderanno effettivamente utilizzabili i

veicoli a propulsione elettrica. Negli ultimi dieci anni, sono state sviluppate batterie per telefoni

cellulari e computer portatili in grado di fornire, a parità di volume o di peso, energia molte volte

superiore a quella delle classiche batterie per automobile. Tali batterie potrebbero diventare la

base dei futuri mezzi di trasporto.

In alternativa, il carburante del futuro potrebbe essere il metano, i biocarburanti o l’idrogeno, da

bruciare in una camera di combustione “vecchio stile” o da usare in celle, che producono

direttamente elettricità.

Intanto, nell’orizzonte più vicino, accanto alle azioni per ridurre i consumi energetici e

aumentare la quota di energie rinnovabili, emergono anche altre opzioni tecnologiche (es.

sequestrazione della CO2) sulle quali è necessario lavorare da subito senza tralasciarne nessuna,

così da poter sostituire gradualmente il petrolio con quote significative di altre fonti e prevenire i

danni di uno shock da esaurimento delle risorse energetiche.

Il principale compito al riguardo peraltro spetterà ai governi, agli enti pubblici, ai grandi centri di

ricerca internazionale, che devono porsi obiettivi non di breve termine e non basati su un

immediato ritorno economico.

Le compagnie energetiche e quelle petrolifere infatti tendono ad investire solo su obiettivi di

breve termine che diano immediati ritorni economici, utilizzabili nei bilanci annuali e quindi fanno

poca ricerca di base.

Inoltre negli ultimi anni, le grandi compagnie petrolifere, come è apparso anche recentemente

nella grande stampa specializzata, hanno ridotto sensibilmente i propri investimenti sia in ricerca

tecnologica e sia anche nella ricerca e sviluppo di nuovi giacimenti.

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Nel frattempo - secondo molti esperti e Centri di Studio - è necessario puntare su diverse

opzioni facilmente raggiungibili per traghettare dal petrolio ad altri sistemi energetici efficienti e

puliti.

Quindi è necessario:

− Valutare correttamente la situazione reale, per non essere fuorviati da previsioni errate

diffuse da organizzazioni internazionali che rispondono a pressioni politiche o da aziende

che hanno interessi propri;

− Intraprendere un imponente e capillare programma di informazione pubblica, in modo che

tutti diventino più coscienti del problema dell'energia e si impegnino per limitarne gli

sprechi;

− Incoraggiare l'efficienza energetica, con diverse forme anche attraverso "sconti" sulla

bolletta elettrica;

− Incoraggiare il rapido sviluppo delle fonti dì energia rinnovabili, come il vento, il sole, la

geotermia e le coltivazioni a fini energetici di biomasse;

− Rivalutare l'opzione nucleare, pensando, ad esempio, a nuovi sistemi che garantiscano una

sicurezza intrinseca rispetto a incidenti gravi, e possibilmente siano di taglia più ridotta di

quelli attuali. Tale strada presenta indiscutibili vantaggi ambientali oltre ad offrire la

possibilità di diversificare l’attuale mix (oggi alquanto limitato) di fonti energetiche;

− Ridurre la domanda di petrolio per far fronte al tasso di esaurimento mondiale, e sostituire

questo combustibile con il gas naturale in tutti (o quasi) gli usi. La trasformazione da un

sistema a petrolio a un sistema a gas presenta sicuramente minori difficoltà di una

sostituzione del petrolio con altre fonti e avrebbe maggiori vantaggi sul piano ambientale.

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PARTE NAZIONALE

1. L’approvvigionamento delle varie fonti

L’Italia ha – come è noto - una elevata dipendenza e vulnerabilità nell’approv-vigionamento

energetico. Nel 2004 la dipendenza del nostro Paese dalle fonti estere ha raggiunto quasi l’90,3%.

In particolare l’Italia ha importato in quell’anno:

82,5 (milioni di tep) di petrolio pari al 94% del consumo

55,1 (milioni di tep) di gas pari al 83,7% del consumo

17,1 (milioni di tep) di carbone pari al 97,5% del consumo

La nostra bolletta energetica è salita così ai 30 miliardi di euro nel 2004 a seguito degli

aumenti del prezzo del petrolio.

Le prospettive sono per un continuo aumento della nostra dipendenza energetica

dall’estero, a seguito del progressivo declino dei nostri giacimenti di gas e da una stazionarietà di

quelli di olio a fronte di una domanda in progressiva crescita.

Anche per l’energia elettrica, in presenza di una costante difficoltà a realizzare nuove

centrali, e soprattutto, di una maggiore convenienza ad importare energia elettrica dall’estero a

basso costo, non si intravedono prospettive di una autosufficienza nei prossimi anni.

2. L’evoluzione tendenziale della domanda di energia in Italia

Nel 2004 la domanda di energia in Italia è cresciuta dello 0,8% rispetto all’anno precedente

passando da 191,4 a 192,4 milioni di tep. Per il 2005 si prevede pure un modesto aumento e cioè

intorno all'1%

La domanda delle singole fonti è stata – secondo l’Unione Petrolifera - la seguente (milioni

di tep):

2003 2004 %

Petrolio 90,2 87,9 -1,6

Gas 63,8 66,2 +3,7

Combustibili solidi 14,2 17,1 +21,0

Fonti rinnovabili 12,6 12,5 – Si consolida quindi l’aumento del gas e dei combustibili solidi, essenzialmente quali sostituti

del petrolio nella generazione elettrica.

Tra gli impieghi finali di energia abbiamo un leggero decremento del settore civile passato

da 43,5 Mtep a 43,3 nel 2004 (- 0,6%) in funzione di migliori fattori climatici ma ancora

caratterizzato da un maggior uso di elettrodomestici; un aumento del settore trasporti passato da

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43,7 Mtep a 44,1 Mtep nel 2004 (+1,7%) dove si riscontra un cambiamento di uso dei prodotti

trazione (+ diesel e meno benzina); ed infine un modesto aumento del settore industriale (+1,4%).

Per i prossimi anni le previsioni indicano, in presenza di politiche di contenimento della

domanda, un incremento medio dell'1% circa con una quota più elevata del gas e più bassa del

petrolio.

Infatti, secondo la previsione dell'Unione Petrolifera, la domanda energetica al 2020 sarà

così caratterizzata:

2.1 Domanda energetica

La complessiva domanda di energia primaria, stimata20 per il 2004 a 192,8 milioni di Tep, sale a

194,1 nel 2005, a 199 nel 2010, a 202,3 nel 2015 e a 205,2 nel 2020.

Le percentuali medie annue di incremento della domanda di energia (raffrontate a quelle del Pil)

mostrano incisivi effetti sul contenimento dei consumi e forniscono un'idea dello sforzo che dovrà

essere svolto per consentire nel lungo termine un tasso di sviluppo economico, con incrementi

modesti nel consumo di energia:

Incrementi % medi annui

2000/2005 2005/2010 2010/2015 2015/2020

1,2 2,3 2,0 1,9 Prodotto interno lordo e

domanda di energia 0,9 0,7 0,3 0,3

L'intensità energetica complessiva (Tep per miliardo di Pil), scesa del 3% dal 1990 ai 2000,

é prevista ridursi del 10% nel prossimo decennio e del 22% traguardando il 2020:

Tep per miliardo di Pil a eurolire 1995

2004 2005 2010 2015 2020

183 182 168 155 143

Il consumo energetico pro-capite sale dai 3,3 Tep attuali ai 3,4 nell'anno 2010, ai 3,5

nell’anno 2015 e nel quinquennio successivo.

20 Rif. Statistiche Petrolifere pubblicate su Notizie Petrolifere da Unione Petrolifera – marzo 2005.

CNEL – Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro

27

2.2 Il ruolo delle fonti energetiche primarie

L'incidenza delle singole fonti primarie sul totale consumo energetico è prevista21

modificarsi sensibilmente, con un ridimensionamento del peso del petrolio a favore del gas

naturale e delle energie rinnovabili. Rimane sostanzialmente costante il ruolo del carbone.

Pesi percentuali sulla domanda energetica

2004 2005 2010 2015 2020

Combustibili solidi 8,9 8,9 8,7 8,7 8,7

Petrolio:

- prodotti tradizionali 45,5 44,1 40,8 37,5 36,5

- CBC 0,10 - - - -

Gas naturale 34,3 35,1 36,9 38,9 40

Import. nette energia elettrica 4,7 5,3 5,2 5,4 5,1

Fonti rinnovabili 6,5 6,6 8,4 9,5 9,7

Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

Nell'anno 2015, pertanto, il petrolio cederà al gas naturale il ruolo di principale fonte

energetica del Paese, con una quota sul totale pari al 39%.

2.3 Emissioni di C02

Nonostante la sostituzione del petrolio con il gas naturale nonché l'ipotizzato sensibile

ulteriore miglioramento dell'efficienza e il previsto contributo crescecnte delle energie rinnovabili, le

emissioni di COZ2 sono destinate a crescere ancora fino all'anno 2005 per poi stabilizzarsi ed ad

iniziare a scendere, molto lentamente, per arrivare all'anno 2015 e 2020 a livelli ancora superiori

del 9% rispetto a quelli del 1990.

milioni di tonnellate di CO2

1990 2000 2005 2010 2015 2020

400 423 450 449 447 446

21 Per le tavole di sintesi dei risultati di previsione della domanda energetica primaria e delle emissioni di CO2 si rimanda all’Allegato.

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28

2.4 Domanda petrolifera

Il consumo complessivo di prodotti petroliferi è previsto dall'Unione Petrolifera proseguire

la graduale contrazione, iniziata nel 1999.

Questa risulta particolarmente accentuata per l'insieme dei prodotti oggetto di vendita al

consumatore finale, mentre viene attenuata dalla prevista crescente incidenza di:

− tradizionali Consumi di Raffineria (in espansione per la necessità di soddisfare sempre più

severe caratteristiche qualitative dei prodotti);

− impiego di Semilavorati per gassificazione e produzione elettrica nelle Raffinerie.

Milioni di tonnellate

2004 2005 2010 2015 2020

Prodotti per il consumatore finale 79,2 77,1 72,3 67,2 65,2

Altri prodotti (1) 10 9,7 10,1 10.0 9,8

Totale consumi 89,2 86,8 82.4 77,2 75

(1) Consumi di Raffineria, Semilavorati per gassificazione, CBC (Orimulsion).

Il contributo della fonte petrolifera complessiva al soddisfacimento della totale domanda

energetica (45,6% nel 2004) scende al 40,8% nel 2010, al 37,5% nel 2015 e al 36,5% nel 2020.

Nella composizione del barile raffinato il peso dei distillati medi (gasoli) è previsto in forte

incremento: dal 37% del 2004 passa al 44% del 2010 e al 45,4% nel 2020.

Per la domanda dei principali prodotti petroliferi si può prevedere questo andamento:

• La benzina per autotrazione risulta in sistematica e incisiva contrazione:

Milioni di tonnellate 2004 2005 2010 2015 2020

14,6 13,5 11 9,2 8,9

• La domanda complessiva di gasoli é prevista in rialzo fino all'anno 2010 e in leggera

discesa nel periodo successivo. In particolare: la domanda di gasolio autotrazione sarà in crescita

fino al 2010 e in ridimensionamento dopo tale anno per l'ipotizzato trasferimento di un certo

quantitativo di merci dalla strada a ferrovia/nave; dovrebbe proseguire la contrazione dei gasolio

riscaldamento fino alla soglia del consumo (1,8 milioni di tonnellate) attribuibile alle zone

geografiche che non saranno servite dal metano: si prevede in ulteriore moderata crescita la

domanda per impiego nei settori agricolo e marina.

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29

• La complessiva domanda di carburanti, inclusi i prodotti per uso agricolo, marina e

aviazione, salirà ancora fino al 2010 per poi scendere negli anni successivi.

Milioni di tonnellate

2004 2005 2010 2015 2020

Gpl trasporti 3,5 3,4 3,4 3,6 3,8 Carboturbo 3,6 3,7 4,4 4,7 4,8 Benzina (auto+agricola) 14,6 13,5 11 9,2 8,9 Gasolio autotrazione 23,8 25,1 26,9 25,5 24,8 Gasolio agricolo e marino 2,6 2,6 2,7 2,9 3 Totale 48,1 48,3 48,4 45,9 45,3

La domanda di olio combustibile (escluso bunkeraggi e consumi in raffineria) è prevista in ulteriore

accentuata discesa, come conseguenza della prevista sensibile contrazione dell'impiego per uso

termoelettrico, principalmente a seguito del maggior impiego di gas, di carbone e di Semilavorati

per gassificazione e produzione di energia elettrica in Raffineria.

Milioni di tonnellate 2004 2 005 2010 2015 2020

Totale 10,6 8,6 5,5 4,5 4 di cui per uso termoelettrico (*) 8 6 3,1 2,5 2,5

(*) Al netto dell'autoproduzione di elettricità da parte dell'industria.

SINTESI DEI RISULTATIDomanda energetica e ruolo del petrolio

0

50

100

150

200

250

2000 2004 2005 2010 2015 2020

mili

oni d

i MTE

P

Domanda energeticadomanda petrolifera

3. I vincoli del sistema Italia

Notevoli sono i vincoli relativi al nostro sistema energetico che lo rendono vulnerabile, poco

efficiente, costoso, scarsamente attrattivo e non completamente liberalizzato.

Molti vincoli dipendono dalla struttura propria del nostro sistema, fortemente dipendente

dall’estero; altri da scarsi investimenti effettuati e da politiche di tipo monopolistico. Infine altri

vincoli sono di tipo istituzionale come quelli derivanti dall’aver assegnato l’energia come materia

legislativa concorrente alle Regioni ovvero quelli derivanti dalla litigiosità (v. numerosi ricorsi al

TAR) e conflittualità (v. opposizioni locali a nuove infrastrutture) con cui si caratterizza il nostro

Paese.

I vincoli riguardano tutte le fonti. Nel petrolio a causa della inefficienza e onerosità della rete

carburanti. Nel gas in funzione di una situazione di offerta attualmente scarsa e di una struttura

distributiva polverizzata. Nel settore elettrico, a causa di un mix di fonti usate nella generazione

elettrica che penalizza l’efficienza e la competitività, di una rete di trasmissione ormai satura e di

una forte presenza di un “incumbent” sul mercato libero.

Molti di questi vincoli sono stati esaminati in varie sedi (Parlamento, Governo, Istituzioni,

etc) e si tende così a correggerli anche con provvedimenti legislativi e normativi (v. recente legge

Marzano). Altri però sussistono e lasciano pochi spazi ad un loro rapido superamento.

L’energia nel nostro Paese è peraltro sempre più vincolata da due fattori ad essa

strettamente correlati e cioè l'ambiente ed il territorio.

Vincoli ambientali vengono sollevati su molti delle le fonti di energia primaria (petrolio,

carbone, nucleare e persino rinnovabili) mettendo in difficoltà anche il sistema competitivo Paese

che si trova ad avere costi più elevati a causa, ad esempio, di mancanza di insufficienza di

infrastrutture energetiche, di poche centrali che utilizzano il carbone e della scelta di abbandono

del nucleare.

Limitazioni alla ricerca, coltivazione e produzione di idrocarburi da parte di molte Regioni,

alla realizzazione di nuovi terminali di gas ed a nuove centrali elettriche, mettono poi a rischio

l’offerta delle principali fonti a livello nazionale, aumentano la dipendenza dall’estero, e riducono le

competenze tecnologiche accumulate nel nostro Paese negli ultimi anni in campo energetico.

Vincoli territoriali, per alcune fonti rinnovabili (eolico in Sardegna ed in altre regioni), per lo

smaltimento di rifiuti, per lo sviluppo della rete elettrica e per la localizzazione di alcune importanti

infrastrutture, rendono inoltre difficile investire e programmare nel nostro Paese ed aumentano lo

sbilancio tra Regioni fortemente industrializzate e con elevata capacità di generazione energetica

ed altre più povere.

Ciò rende anche complicato migliorare le congestioni di rete, i costi a livello regionale e

quindi l’unificazione delle tariffe energetiche (elettricità, gas, rifiuti etc.).

Anche se con successivi provvedimenti normativi il Governo ha cercato di accelerare gli iter

autorizzativi per la realizzazione delle varie infrastrutture energetiche necessarie al nostro Paese,

CNEL – Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro

31

ha difficoltà di conciliare le esigenze nazionali con le aspettative locali, il ché rende ancora difficile

e lungo il processo di localizzazione e costruzione di molte nuovi impianti di generazione e

trasporto nel settore energetico.

4. Le infrastrutture e la logistica

Il nostro Paese è dotato di una buona rete di infrastrutture per la ricezione ed il trasporto di

idrocarburi e di elettricità sia via terra che via mare.

Molte di queste opere sono state recentemente ampliate (es. Transmed) o sono in corso di

ampliamento e di sviluppo (reti elettriche transfrontaliere e gasdotti dall’Europa e dalla Libia).

Altre sono invece in situazione di “stallo” a seguito delle opposizioni locali che ne

impediscono l’avvio a realizzazione, nonostante siano state date tutte le autorizzazioni previste

dalla attuale legislazione.

In linea di massima si ritiene che il sistema energetico italiano sia sufficientemente strutturato nella

rete elettrica (anche se mancano ancora dei tratti) in quella del gas e del petrolio.

Programmi di sviluppo e potenziamento di queste reti sono previste dai soggetti interessati

(GRTN/Terna e SNAM Rete Gas) e dovrebbero consentire un miglioramento nei prossimi anni nel

trasporto e distribuzione delle due fonti liberalizzate (elettricità e gas), anche in vista di una forte

crescita della loro domanda nel mercato domestico.

Anche per gli impianti di generazione elettrica, anche se sussistono moltissime opposizioni

locali, sembrano si siano avviate a realizzazione centrali per almeno 19.000 MW, che hanno

ottenuto i relativi decreti da parte del Ministero delle Attività Produttive e che dovrebbero

consentire un buon sviluppo al parco di produzione elettrica nel nostro Paese superando così i

rischi di black - out.

Problemi recenti si avvertono per la localizzazione di nuove centrali eoliche in alcune

regioni (Sardegna, Molise e Basilicata) e per i termovalorizzatori in quasi tutte le aree del

meridione.

In generale, anche a seguito di una confusa legislazione in materia di autorizzazioni e

sopratutto a causa di una scarsa fiducia da parte delle popolazioni nelle infrastrutture energetiche,

l’avvio di nuove opere avviene con molte difficoltà e con gravi ritardi che ne alterano i costi e

spesso causano la rinuncia da parte di molti investitori.

NALISI DELLE POSSIBILI RICADUTE DEGLI SCENARI ENERGETICI INTERNAZIONALI SUL

SISTEMA ITALIA

1. L'impatto sulle fonti di approvvigionamento

Si deve presumere che se dovessero verificarsi gli scenari internazionali sopra delineati,

basati su un rapido cambiamento delle condizioni di disponibilità di alcune fonti fossili, con

CNEL – Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro

32

particolare riferimento al petrolio, i Paesi più dipendenti da questi fonti, quali il nostro, sarebbero

fortemente penalizzati.

Ciò sia da un punto di vista delle necessarie riqualificazioni e conversioni da effettuare, sia

da un punto di vista del diverso modello di sviluppo da adottare e sia infine, da un punto di vista dei

costi da sostenere per le opere infrastrutturali e sociali.

C’è infatti il fondato rischio che alcune forniture di greggio da paesi del Medio Oriente,

venendo a mancare, possano creare difficoltà alle lavorazioni di alcune nostre raffinerie con

conseguenti chiusure, mentre, tutto il sistema trasporto su strada potrebbe essere investito da forti

rincari e da difficoltà logistiche con ripercussioni sul commercio e sulla mobilità generale.

2. L'impatto sui costi e sui vincoli interni

Uno scenario di scarsità del petrolio avrebbe come prima conseguenza quella di far

lievitare i prezzi di questa fonte su tutti i mercati internazionali.

Le conseguenze, come già verificatosi nel corso del 2004 e nei primi mesi del 2005,

sarebbero pesanti sulla crescita economica, sul reddito delle famiglie e sulla competitività delle

imprese.

In particolare per il nostro Paese, che ha una economia “petrolio dipendente”, le

conseguenze di uno scenario come quello delineato, sarebbero ben peggiori di quelle relative a

paesi che utilizzano molto carbone e nucleare.

La perdita di competitività del nostro Paese, già oggi grave, si accrescerebbe ulteriormente, con la

conseguente delocalizzazione di molti dei maggiori settori industriali e la relativa perdita di posti di

lavoro.

Il trasporto merci e passeggeri, basato in Italia essenzialmente su strada, diverrebbe molto

più oneroso, con un conseguente aggravio di costi, che andrebbero a ripercuotersi su due settori

vitali per il Paese, il commercio ed il turismo.

Si avrebbero conseguenze anche sul traffico marittimo e sulle attività portuali per il ridotto

movimento di navi e per il maggior costo dei bunkeraggi.

In sintesi tutto il nostro sistema produttivo, economico e sociale verrebbe gravemente

distorto e danneggiato da uno scenario “oil scarsity”.

Tutti gli attuali vincoli relativi al nostro sistema energetico sarebbero ulteriormente

amplificati e resi più rigidi in conseguenza di una situazione internazionale di difficoltà di

approvvigionamento petrolifero.

Innanzitutto quelli relativi alla scarsità di risorse del Paese a fronteggiare una domanda di

energia prevista in costante crescita e di offerta in continuo declino.

CNEL – Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro

33

Al riguardo va sottolineato che nello scenario adottato dall'Unione Petrolifera, pur con una

forte diminuzione del peso del petrolio, questa fonte rappresenterebbe nel 2015 ancora il 37% del

nostro fabbisogno con circa 75 milioni di tonn. di petrolio importato

Quindi sarebbero ancor più gravi i vincoli relativi all'onerosità ed inefficienza dei vari

sottosistemi energetici, da quello dei trasporti a quello elettrico.

Infine sul piano economico, una mancanza o scarsità di una fonte, come il petrolio, diffusa

e poco costosa, avrebbe come conseguenza per il nostro Paese una influenza negativa sul intero

sistema delle infrastrutture e degli scambi commerciali.

3. L'impatto sulla mobilità

Come già indicato, uno scenario di scarsità di petrolio avrebbe un grave impatto sul nostro

settore trasporti.

Quest'ultimo, peraltro, soffre già di un grave problema che è quello relativo al vincolo

ambientale che, sopratutto nelle grandi città, sta conducendo ad una progressiva paralisi della

mobilità urbana sia privata che pubblica. Le restrizioni circa il tasso di emissioni di prodotti

inquinanti ed ora di polveri sottili da parte della Commissione Europea nei riguardi degli

autoveicoli e autobus cittadini, non può essere risolto con azioni contingenti (blocco del traffico) ma

solo con azioni strutturali volte a modificare il parco vetture attraverso nuovi dispositivi di controllo

ma soprattutto attraverso l'impiego di nuovi carburanti non più petroliferi.

In questo contesto, la possibile scarsità ed il forte aumento dei prezzi dei prodotti petroliferi

potrebbe rappresentare una grande opportunità per modificare il sistema di alimentazione del

parco auto in Italia introducendo carburanti più ecologici ed anche più economici.

Quindi in questo settore, che è tra l'altro uno dei maggiori consumatori di energia (petrolio)

del nostro Paese, andrebbero prioritariamente adottate nuove soluzioni e portate avanti scelte

coraggiose in grado di ridurre i consumi ed abbattere le emissioni nocive, senza incidere sul grado

di mobilità delle merci e dei passeggeri che è uno degli aspetti più rilevanti ed anche più vincolanti

del progresso economico e sociale del nostro Paese. Lo spostamento di una parte consistente di

trasporto di passeggeri e di merci dalla strada alla rotaia è un obiettivo certamente auspicabile ma

che appare in pratica difficilmente raggiungibile.

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34

LE SCELTE DI POLITICA ENERGETICA IN ITALIA

1. Una politica di “governance” in Italia

Attualmente manca una vera politica di “governance” in campo energetico in Italia.

Infatti con il nuovo ruolo che l’Unione Europea ha assunto nell’ambito delle politiche

energetiche rivolte ai vari paesi membri ed alla modifica dell’Art. V della Costituzione, che

attribuisce potestà legislativa concorrente in materia di energia alle Regioni, lo Stato ha perso di

fatto moltissime prerogative in campo energetico.

In alcuni casi (es. liberalizzazione dei mercati, sviluppo di nuove fonti, risparmio energetico,

etc.) lo Stato deve rispondere a precise direttive dell’U.E.; in altri casi (es. nuove infrastrutture,

gestione delle risorse locali, efficienza energetica etc.) esso deve “mediare” con le Regioni.

Finora l’esperienza di concertazione con le Regioni non è stata molto positiva, ma potrebbe

migliorare con la legge Marzano, che stabilisce meglio compiti e funzioni fra potere centrale e

quello locale.

Con l’Unione Europea il ruolo del nostro Paese è potenzialmente limitato, come è

dimostrato dai forti vincoli di riduzione di gas serra accettati e dalla incapacità ad ottenere misure

di reciprocità in altri paesi europei (es. Francia) per la liberalizzazione dei mercati energetici, da noi

già attuati.

Anche il ruolo dell’Autorità per l’Energia per governare il sistema energetico è tuttora molto

limitato sia dall’attuale ridotta funzione sanzionatoria nei confronti delle imprese e sia dai frequenti

ricorsi al TAR da parte di regioni, imprese e istituzioni sulle direttive che vengono emanate.

Questa mancanza di una politica di “governance”, già di per se critica, appare peraltro ben

più grave se si guarda oltre al breve termine, e cioè in una prospettiva di 12-15 anni, durante i quali

le attuali condizioni del sistema che assicura l’approvvigionamento energetico al Paese,

potrebbero cambiare drasticamente producendo modifiche sensibili e impatti negativi ad un

equilibrato ed ordinato sviluppo del nostro sistema economico, industriale e sociale.

Occorre ricordare a tal proposito che le decisioni di investimento che vengono prese da

parte dei soggetti pubblici e privati in campo energetico richiedono tempi lunghi per le fasi

progettuali e realizzative (tra i 5 ed i 6 anni) ed ancor più lunghi (fra 10 e 20 anni) per il ritorno

degli investimenti.

Pertanto senza una adeguata azione di indirizzo e di governo da parte del Parlamento e

dell’esecutivo, c’è il fondato rischio di lasciare senza alcun controllo un settore, come quello

energetico, vitale per l’economia del Paese e sopratutto di lasciare senza un quadro di riferimento

preciso, tutti gli operatori del settore, sia pubblici e sia privati.

2. Le scelte di breve medio termine ed uno scenario evolutivo al 2020

CNEL – Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro

35

2.1 Le scelte di breve-medio termine

La principale preoccupazione da parte del Governo e del Parlamento, dovrà essere quindi

orientata ad assicurare la sicurezza, l’economicità e l’ecocompatibilità dell’approvvigionamento

energetico del Paese, anche attraverso la formulazione di modelli ed opzioni diversi da quelli

adottati e consolidati.

In questa ottica, una prima importante opzione strategica dovrà essere quella di sostituire il

più rapidamente possibile, tenuto conto comunque dei vincoli di struttura, la fonte petrolio nel

sistema energetico nazionale, con una o più fonti alternative e sostitutive.

2.1.1 La prima scelta da fare riguarda la rapida sostituzione del petrolio, con il gas naturale che

dovrebbe divenire, nel corso dei prossimi 10 anni, la prima fonte energetica del nostro Paese con

un peso vicino al 50%.

Le motivazioni di tale scelta sono molteplici.

A livello generale esse sono:

− la larga disponibilità di riserve, ubicate in zone politicamente più stabili di quelle petrolifere

− la possibilità di accordi di lunga durata con Paesi produttori

− la bassa variabilità dei prezzi sui mercati internazionali

− le grandi reti di trasporto esistenti ed in costruzione

− la possibilità di sviluppare il trasporto via GNL verso terminali di rigassificazione ubicati nei

paesi consumatori

− la buona sostituibilità del gas al petrolio in tutti gli usi, incluso quelli relativi al settore

trasporto (in Francia è partita una campagna per l’uso del metano nel settore autotrazione

con un accordo tra Citroên e Gaz de France)

− la possibilità di trasformare il gas in prodotti liquidi da usare in sostituzione di prodotti

petroliferi (tecnologia GTL)

A livello italiano le motivazioni per una scelta gas sono:

− la rilevante e collaudata esperienza nel settore gas da parte del Gruppo ENI

− l’esistenza di una grande rete di trasporto e distribuzione nel Paese

− il forte interesse in atto da parte di molti operatori italiani e stranieri a sviluppare la filiera del

GNL (esistono numerosi progetti per nuovi terminali) e la vendita del gas in Italia

− la rapida sostituzione del gas ad altri combustibili nella generazione elettrica con

l’affermarsi dei cicli combinati

− le ottime possibilità di essere una fonte importante nella microgenerazione di energia

elettrica e termica (produzione combinata di elettricità e calore)il basso livello di emissioni

di CO2

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− il vantaggio competitivo ed economico per il Paese

− la buona possibilità di affermarsi come carburante in sostituzione della benzina e del

gasolio nel settore del trasporto pubblico e privato anche per risolvere i drammatici

problemi ambientali delle grandi città

Circa la scelta di sviluppare la fonte gas naturale, oltre le motivazioni sopra indicate vanno

segnalati due aspetti importanti.

38,9 38,045

Il primo aspetto riguarda il vantaggio economico e competitivo di questa scelta.

ternazionali.

Infatti,

troviam

il gas

25-30%

oltre a

rappre

rappre

di una

distrib

1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005

18,2

28,8 24,7 25,1

28,8

12,6

20,8 23,2

16,820,1

23,327,0

0

5

10

15

20

25

30

35

40

Petro lioGas

$/bl

cor

rent

i

(*)

(*) Prezzo del Brent in $/bl correnti - (**) Prezzo medio del gas naturale importato CIF

(**)

Il gas naturale rispetto al petrolio ha un rapporto più favorevole circa i prezzi in

36

guardando le serie storiche, ed anche le più recenti previsioni sui prezzi delle due fonti,

o che rapportate in termini di uno stesso valore di riferimento ($/bl) ed al mercato europeo,

naturale è sempre più economico a parità di potere calorifico, rispetto al greggio di circa un

.

Il secondo aspetto è che il passaggio della rete carburanti da benzina/gasolio a metano,

consentire lo sviluppo di questo prodotto meno caro e meno inquinante nel trasporto,

senterebbe la prima fase del progetto di sviluppo delle auto ad idrogeno, in quanto il gas

senta il prodotto più semplice per alimentare le pile a combustibile; inoltre, la realizzazione

rete di distribuzione a metano per auto, faciliterebbe il successivo passaggio ad una rete di

uzione ad idrogeno.

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37

Si potrebbe osservare che con l'aumento di domanda negli ultimi anni il gas naturale

potrebbe avere prezzi più elevati. Ma anche in questo caso, tenendo conto che l'aumento di

domanda di petrolio sarà sempre molto elevata e l'offerta tenderà ad essere rigida e scarsa (v.

precedenti scenari) c'è da ritenere che il differenziale tra gas naturale e petrolio sarà sempre più

favorevole al gas rispetto alle quotazioni del greggio sulle piazze internazionali.

Oltre a tale assunzione, è importante segnalare altri tre elementi che rendono il gas

naturale più interessante e conveniente per il nostro Paese nei prossimi anni rispetto al petrolio.

Il primo è che il gas naturale può essere impiegato "tal quale" per quasi tutti gli usi, dal

riscaldamento alla termoelettrica e fino all'autotrazione, senza quindi costi aggiuntivi di

trasformazione, laddove il petrolio per essere utilizzato nei vari usi richiede un costo aggiuntivo di

lavorazione in raffineria che incide sul prodotto finale.

Il secondo elemento è che il gas naturale si trasporta più facilmente e con costi minori

rispetto al petrolio ed ai prodotti petroliferi perché viaggia nelle tubazioni, mentre i prodotti

petroliferi viaggiano in autobotti e hanno costi aggiuntivi di carico e scarico, problemi di

congestione di traffico sulle strade quindi di crescita di inquinamento ambientale.

L'ultimo elemento è proprio quello ambientale, che vedendo il gas naturale in termini di

emissioni di CO2 e di altri inquinanti più ecocompatibile rispetto al petrolio (e prodotti petroliferi),

produce un minor costo in termini di "esternalità" per il Paese e quindi anche di maggiore

economicità come fonte da adottare per il prossimo futuro.

2.1.2 La seconda scelta in ordine di importanza dopo il gas in sostituzione del petrolio,

riguarda lo sviluppo delle fonti rinnovabili.

Le motivazioni per questa scelta sono basate su principi noti, quali:

− basso impatto ambientale, con zero emissioni di CO2

− risorse naturali disponibili sul territorio e quindi senza vincoli di importazione

− possibilità di sviluppo tecnologico ed impiantistico

− distribuzione diffusa

− costi descrescenti e competitivi con un petrolio a 50-60 €/barile

Queste due scelte di fonti da utilizzare nel nostro sistema energetico, non dovrebbero

escludere del tutto il ricorso ad un carbone pulito, visto più come una risorsa da sviluppare nel

medio-lungo termine, quando la tecnologia avrà sanato i suoi principali svantaggi di uso, che nel

breve termine, dove i problemi di impatto ambientale e di accettazione sociale, sembrano ancora

molto rilevanti

2.1.3 Le due opzioni indicate sul lato offerta non escludono, nel breve-medio termine, un altra

importantissima opzione da affrontare sul lato domanda, dove è necessario realizzare un profondo

riesame del modello attuale di consumo, riducendo gli sprechi e migliorando l’efficienza energetica.

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38

Un buon inizio potrebbe venire a tal riguardo dai certificati bianchi e cioè dall’obbligo posto

ai distributori di elettricità e gas di ridurre i consumi aumentando l’efficienza delle apparecchiature

e dei sistemi di utilizzo delle stesse.

Altre tre strade dovrebbero però essere percorse per incrementare l’efficienza energetica.

La prima è quella di politiche più incisive (anche da parte delle Regioni) che impongano più

elevati standard di efficienza agli edifici, alle nuove apparecchiature elettriche o basate

sull’elettricità, che prevedano l’ampliamento della etichettatura a nuove classi di elettrodomestici, e

l’utilizzo di temporizzatori o sensori per l’illuminazione a nuove abitazioni ed edifici pubblici.

La seconda è quella di una politica di ricerca pubblica, volta a incentivare lo studio ed a

promuovere la realizzazione e la vendita di nuovi apparati, utilizzabili per ridurre il consumo

energetico nelle varie categorie di uso.

La terza, infine, è quella di una grande campagna informativa ed educativa a livello

nazionale, che fornisca gli elementi e le ragioni per migliorare l’efficienza energetica (ed elettrica),

nelle abitazioni e negli uffici, senza alterare il livello di benessere del consumatore finale, ma

consigliandolo a risparmiare denaro sulla bolletta elettrica ed energetica che dovrà pagare.

2.2 Uno scenario evolutivo al 2020

Sulla base delle opzioni di breve - medio termine indicate si è tentato di tratteggiare uno

scenario evolutivo del settore energetico italiano al 2020.

Le ipotesi sono:

− crescita della domanda di energia dal 2005 al 2020 ad un tasso annuo del 0,5% anche a

seguito di una forte riduzione dell'intensità energetica (v. ipotesi U. Petrolifera) in funzione

delle misure di efficienza energetica che verranno adottate

− forte sviluppo della domanda di gas naturale in tutti i settori (compreso il trasporto)

− mantenimento dell'attuale quota di combustibili solidi e di importazione di energia elettrica

nel bilancio nazionale

− forte incremento del peso delle fonti rinnovabili

− contrazione del peso del petrolio in relazione alla sua sostituzione con altre fonti (sopratutto

gas)

Con questa ipotesi lo scenario al 2020, basato sulle opzioni di breve - medio termine

esaminate e proposte, prevede un aumento del gas naturale sul totale della domanda energetica

nazionale con una percentuale che passa, dal 2005 al 2020, dal 35 al 46%; un aumento del peso

delle fonti rinnovabili che passano dal 7% al 11% e da una contrazione del peso del petrolio che

passa dal 44% al 28%.

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39

In particolare lo sviluppo della domanda di gas naturale in Italia è prevista crescere ad un

tasso del 2,85 % anno con una forte penetrazione in tutti i settori d'uso come risulta dalla

seguente tabella:

Previsione della domanda di gas naturale in Italia

(Gmc/a)

2004 2010 2020 Termoelettrica 32,1 39,1 48,0 Civile 28,1 29,5 32,5 Industria 18,6 23,0 26,5 Trasporti 0,5 2,0 8,0 Altro - 0,5 (*) 2,0 (*) Totale 79,3 94,1 118,0

(*) destinati alla microgenerazione (produzione combinata di elettricità e calore)

Previsione della domanda di energia in Italia (scenario obiettivo)

milioni di tep

2004 2005 2010 2020

Combustibili solidi 17,1 18,0 18,0 18,0

Gas naturale 66,1 68,8 78,0 97,0

Imp. energia elettrica 10,0 10,0 11,0 11,0

Petrolio 87,0 85,0 78,0 60,0

Fonti rinnovabili 14,0 14,3 17,0 24,0

Totale 194,6 (*) 196,2 202,0 210,0 (*) Fonte Ministero Attività Produttive

Pesi percentuali delle varie fonti sul totale

2004 2005 2010 2020 Combustibili solidi 8,8 9,2 8,9 8,6

Gas naturale 35,1 35,1 38,6 46,2

Imp. energia elettrica 5,1 5,1 5,4 5,2

Petrolio 44,7 43,3 38,6 28,6

Fonti rinnovabili 7,4 7,3 8,5 11,4

Totale 100,00 100,00 100,00 100,00

In termini di offerta di gas per il nostro Paese un consumo di 97 milioni di tep, pari a circa 118

miliardi di mc al 2020 non dovrebbe rappresentare un grosso problema.

Infatti, ad una disponibilità di gas già prevista per il 2010 di circa 100 miliardi di mc si dovrebbe

aggiungere una ulteriore nuova capacità di importazione, tra potenziamento e/o nuovi pipeline (v.

collegamenti Algeria-Sardegna-Italia) e sopratutto nuovi terminali di rigassificazione pari

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40

complessivamente a 35 miliardi di mc per far fronte alla domanda prevista al 2020 (rapporto

capacità/produzione 115/100).

In tale ipotesi si dovrebbe contare sulla realizzazione di una nuova condotta di gas

dall'Algeria per 8 miliardi di mc (pipeline Galsi per la Sardegna ed il continente Italiano), al

potenziamento delle condotte di importazione esistenti per altri 5-6 miliardi di mc (già previste da

parte dell'ENI) ed alla realizzazione di altri due-tre terminali di gas da 8 miliardi di mc ciascuno,

oltre quelli già in costruzione di Brindisi e Rovigo per 16 miliardi di mc complessivi.

Peraltro i progetti per nuovi terminali di rigassificazione (due in Toscana, uno in Calabria, uno in

Sicilia ed uno in Venezia Giulia) sono attualmente già di un ordine di grandezza pari a quelli richiesti,

mentre i progetti per nuove pipeline e gli ampliamenti previsti sono anche essi già in linea con quanto

sopra.

Con questo scenario di forte penetrazione del gas che, al 2010 diventerebbe la principale fonte

energetica del nostro Paese, si avrebbero notevoli vantaggi sul piano economico ed anche un consistente

abbattimento delle emissioni di CO2 che dovrebbero ridursi al 2020 rispetto a quelle attuali, passando da

440 milioni di tonnellate di CO2 a circa 415 milioni e cioè di poco superiori al livello del 1990.

3. La ricaduta delle scelte su alcuni settori economici del Paese

Esaminiamo ora come le opzioni e scelte di breve-medio termine potrebbero migliorare la

situazione di alcuni importanti settori economici.

3.1 Il settore elettrico

E' ben noto che il nostro settore elettrico soffre di molte disfunzioni, tra le quali la insufficiente

capacità di generazione, un forte sovrautilizzo della rete elettrica che presenta anche problemi di

congestione e sopratutto elevati costi di produzione a causa di un parco inefficiente ed in larga

parte obsoleto e di un mix di fonti energetiche molto sbilanciato verso i combustibili più cari ed

inquinanti rispetto a quelli utilizzati in altri Paesi europei.

Percentuale combustibili usati per produrre elettricità

% Rinnovabili Nucleare Gas Naturale

Carbone Olio Altre

Europa 25 12,8 31,9 18 29,7 6,2 1,4

Germania 8,2 28,8 10,7 49,8 0,8 1,8

Spagna 14,7 25,6 13,7 33 11,6 1,4

Francia 11,6 78,2 3,7 4 1,6 1

Olanda 4,2 4,1 62,5 24,9 2,9 1,4

Regno Unito 2,9 22,7 39,7 32,1 1,8 0,7

Italia 16,9 0 36,7 12,5 30,9 3,1

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41

Questa situazione penalizza i nostri costi di generazione che risultano mediamente più

elevati del 30% di quelli degli altri Paesi europei.

Con le recenti normative (v. decreto sblocca centrali e Legge Marzano) è stato fatto un

primo importante passo per aumentare la capacità di generazione elettrica nel nostro Paese sia

attraverso processi di riconversione e repowering delle vecchie centrali e sia attraverso la

costruzione di nuove centrali a ciclo combinato a gas.

Quest'ultimo tipo di impianto presenta nel nostro Paese una serie di vantaggi sia sul piano

economico e sia su quello ambientale. Nel primo caso infatti ha ridotti costi di investimento e di

esercizio; nel secondo caso bassi tassi di emissioni inquinanti e/o climaltranti (CO2).

Secondo alcuni studi, il costo di una centrale a cicli combinati a gas, ai valori attuali del

combustibile avrebbe un vantaggio sulle altre tipologie di centrali, ad esclusione di quelle a

carbone, che però dovrebbero tener conto di una carbon tax (o di un maggior costo per le

emissioni di CO2).

Anche in una prospettiva futura, secondo studi del Politecnico di Milano, i costi di una

nuova centrale a ciclo combinato a gas sarebbero più convenienti.

Le tabelle sottostanti forniscono i costi di investimento, il rendimento, il fattore disponibilità

massima annua e i costi di esercizio (O & M) per le alternative impiantistiche considerate all’inizio

(anno 2003) e alla fine (anno 2030) del periodo in esame.

Anno 2003 Costo installazione Rendimento PCI Disponibilità Costi 0&M

E/kW % ore/anno E/kW E/kWh Centrale a Carbone 1135 43.2 7250 18.0 0.0045 GCC medio 1309 43.0 7000 20.0 0.0045 Ciclo combinato nuovo 447 54.7 8000 9.0 0.0025 Ciclo combinato repowering 364 53.7 8000 9.0 0.0025 Ciclo interrefrigerato 330 44.0 8000 7.0 0.0040 Ciclo semplice HD 203 33.0 8000 7.0 0.0090 Ciclo semplice AD 265 38.0 8000 7.0 0.0070 Impianto cogenerativo 500 58.0 6000 7.0 -0.0055 Centrale elettronucleare 2000 - 8000 32.0 0.0080

Anno 2030 Costo installazione Rendimento PCI Disponibilità Costi 0&M

EI/kW % ore/anno E/kW E/kWh Centrale a carbone 1050 47.3 7250 18.0 0.0045 GCC medio 1090 48.8 7000 20.0 0.0045 Ciclo combinato nuovo 416 60.7 8000 9.0 0.0025 Ciclo combinato reowering 338 59.5 8000 9.0 0.0025 Ciclo interrefrigerato 305 48.9 8000 7.0 0.0040 Ciclo semplice HD 188 34.6 8000 7.0 0.0090 Ciclo semplice AD 245 42.4 8000 7.0 0.0070 Impianto cogenerativo 470 64.3 6000 7.0 -0.0055

Centrale elettronucleare 1800 - 8000 32.0 0.0080

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42

Questa situazione favorevole alle centrali a ciclo combinato a gas verrebbe ancor più

migliorata se si tenesse conto di una carbon tax che andrebbe a penalizzare sopratutto le centrali

a carbone.

Pertanto in prospettiva l'utilizzo – e quindi la disponibilità - del gas naturale nel settore

elettrico italiano appare come una condizione importante e necessaria per migliorare la situazione

dei costi di generazione elettrica nel nostro Paese (che comunque rimarrebbero più elevati rispetto

a quelli francesi e/o tedeschi che possono utilizzare centrali nucleari e a carbone già

ammortizzate) ed anche per consentire il rapido sviluppo di un nuovo parco più efficiente di

generazione elettrica in Italia con le nuovi centrali GCC, in grado di soddisfare insieme alle

importazioni, la futura domanda elettrica, prevista crescere a tassi sostenuti.

Anche un maggior utilizzo delle fonti rinnovabili in Italia potrebbe dare un buon contributo

alla crescita ed alla modernizzazione del parco di generazione elettrica.

Il potenziale teorico stimato di nuova potenza elettrica che le fonti rinnovabili potrebbero

fornire al Paese è valutato infatti in circa 40 GW.

Mettendo insieme infatti le stime del potenziale economico di sfruttamento delle varie fonti

rinnovabili per la produzione di elettricità in Italia, si ha la seguente tabella sinottica.

Potenziale economico sfruttabile entro il 2030

Consuntivo e previsioni tendenzialial 2030

GW TWh 2002 (TWh)

2030 (TWh)

CAGR (*) 2002-2030

Idroelettrico > 10 MW 21 56 31.5 36 0.5%

Idroelettrico < 10 MW 4 16 8.0 12 1.5%

Geotermia 3 17 4.7 7 1.4%

Eolico 8 15 1.4 10 7.3%

Solare 1 1 0.014 0.072 6.0%

Biomasse, biogas, RSU 3 14 3.4 9 3.5%

TOTALE (A) 39 119 49,0 74 1,5%

Richiesta sulla rete (B) 495 311 495 1.7%

Quota richiesta (AlB) 24% 16% 15% (*) Tasso di crescita annuo medio calcolato

Come si vede, la quota delle rinnovabili sulla richiesta complessiva di energia elettrica in

Italia - incluse le importazioni e al netto di pompaggi e autoconsumi - è oggi intorno al 16%.

Nelle ipotesi tendenziali la previsione al 2030 è per una quota del 15%, cioè dell'ordine di

quella attuale, anzi in lieve diminuzione. Ciò contrasta, peraltro con gli obiettivi di sviluppo del 22 -

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43

25% previsti per l'Italia dalla Direttiva 2001/771CE della Commissione Europea sulle fonti

rinnovabili, peraltro nell'orizzonte temporale al 2010.

Entro il 2030 tale quota, invece, nell'ipotesi che la richiesta complessiva di energia elettrica

sulla rete nazionale salga a 495 TWh/l'anno, potrebbe potenzialmente arrivare al 24%, ove si

riuscisse a saturare il potenziale indicato per ciascuna fonte.

Le migliori opportunità sul piano economico e delle disponibilità di risorse sono riscontrabili

nelle fonti geotermiche, eoliche e delle biomasse, che, tenuto conto anche delle incentivazioni

relative ai certificati verdi, potrebbero competere con le centrali tradizionali e dare un apporto al

settore elettrico al 2030 pari al 5% con una produciblitàstimata di circa 14/17 TW/h/anno per

ciascuna fonte.

3.2 Il settore trasporti

Il nostro Paese soffre di alcune forti squilibri nel settore del trasporto.

Il numero di auto private è molto elevato ed il rapporto con il numero di abitanti e con i

chilometri di strade è uno dei più alti in Europa. Conseguentemente abbiamo, anche in funzione

della struttura geografica del Paese e del sistema viario relativo, un congestionato traffico

automobilistico che, soprattutto nelle città, è anche una delle maggiori fonti di inquinamento.

Il trasporto privato sia passeggeri e sia merci in Italia è predominante rispetto a quello

pubblico; conseguentemente è difficile provvedere ad una sua efficiente gestione e ad una mobilità

sostenibile sia nelle grandi arterie e sia nelle aree urbane.

Infine il trasporto su strada (o su gomma) è in continua crescita rispetto a quello su rotaie

che risulta ancora molto arretrato e poco veloce; conseguentemente aumentano gli incidenti

stradali, e soprattutto le emissioni inquinanti derivanti dagli scarichi delle vetture che utilizzano

carburanti petroliferi (gasolio e benzina).

Questa situazione tende, in assenza di interventi strutturali, a perpetuarsi nei prossimi anni,

aumentando il disagio, la congestione e l’inquinamento dell’aria (soprattutto nelle aree urbane).

Secondo alcune previsioni adottate dall’Unione Petrolifera, le tendenze di fondo relativamente

al parco vetture circolanti in Italia sembrerebbero essere le seguenti:

− saturazione del parco autovetture private che dovrebbe rimanere intorno a circa 31 milioni

di unità;

− crescita del parco autobus che dovrebbe passare da 92,7 mila unità a circa 106 mila nel

2015;

− riduzione della percorrenza media annua sia per le vetture private che per gli autobus (in

particolare per quelli urbani);

− riduzione del parco autovetture a benzina e contestuale aumento di quello a gasolio che

dovrebbe rappresentare nel 2015 oltre il 42% del totale parco automobilistico;

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44

− scarso aumento delle vetture e dei bus alimentati a GPL e metano.

In questo scenario, molto conservativo, apparentemente favorito dalle case

automobilistiche, l’unico elemento di novità sarebbe rappresentato dal processo di

"dieselizzazione" che consentirebbe la sostituzione, anche abbastanza rapida, delle vecchie auto a

benzina con le più moderne auto a gasolio.

Sul piano dei consumi petroliferi e delle emissioni di CO2, tale scenario tendenziale peraltro

non apporterebbe nessun vantaggio al Paese, perché la sostituzione della benzina con il gasolio

nelle autovetture private ed il maggior numero di bus a gasolio circolanti nelle aree urbane, non

darebbero nessun contributo alla riduzione dell’inquinamento nelle città, né al rilascio dei gas

climalteranti da parte del settore dei trasporti, e in maniera ridotta alla compressione della

domanda petrolifera nei prossimi anni.

Se invece si volesse dare una spinta all’uso del gas naturale nel settore trasporti, così

come sembra si stia facendo in Francia con un accordo tra Gaz de France e Citroën22, si

potrebbero porre alcuni obiettivi di sostituzione della benzina (ed anche del gasolio nel segmento

degli autobus) con metano, favorendo, oltre la riconversione di alcune vetture già circolanti anche,

e soprattutto, lo sviluppo di nuove auto e autobus a metano da parte delle case costruttrici.

Il metano infatti è il combustibile alternativo più pulito attualmente disponibile e il suo

impiego sui veicoli può offrire un contributo alla soluzione dei problemi ambientali delle città. Per la

semplicità della sua composizione rispetto agli altri carburanti (contiene più idrogeno e meno

carbonio), il metano è intrinsecamente ecologico e garantisce una notevole pulizia della

combustione.

Tutte le emissioni inquinanti sono inferiori a quelle prodotte dai carburanti tradizionali.

Rispetto ai motori alimentati a benzina, l'adozione della motorizzazione a metano consente di

ridurre gli idrocarburi volatili più dannosi (in particolare il benzene) del 94-96%, l'inquinamento

fotochimico (provocato dall'ozono troposferico, anch'esso nocivo alla salute) dell'80%, e la

formazione di anidride carbonica del 25-30%. Inoltre l'impiego del metano consente di eliminare

pressoché totalmente le emissioni di zolfo e piombo. Infine, rispetto ai veicoli che utilizzano motori

diesel, come ad esempio gli autobus urbani, è possibile ridurre dell'85-90% le emissioni di ossidi di

azoto e dell'85-95% quelle di monossido di carbonio. Le emissioni di particolato (le pericolose

polveri inquinanti PM10 crescono in fretta ma scendono molto lentamente: per questo è importante

22 In relazione al futuro utilizzo del gas naturale come combustibile per veicoli, Gaz de France e Citroën hanno deciso di unire know-how e competenze tecniche per sviluppare una serie di prodotti da offrire ai proprietari privati. Conseguentemente la Citroën ha presentato il modello C3 1.4i CNG, che sarà lanciato sul mercato nella prima metà del 2005 e che usa il metano come carburante. Da parte sua Gaz de France punta sull’utilizzo del gas naturale come un credibile combustibile alternativo nel settore trasporti e sta cercanndo di incrementare la quota di veicoli alimentati a gas naturale nella flotta degli enti e delle autorità locali. Attualmente Gaz de France sta anche promovendo la realizzabilità di un sistema di rifornimento domestico di metano per la Citroën C3 1.4i CNG. Entro pochi mesi, i clienti domestici di Gaz de France saranno infatti in grado di rifornire i loro veicoli alimentati a gas naturale direttamente nel garage di casa per mezzo di un piccolo compressore costruito ad hoc e brevettato da Gaz de France. Questo nuovo sistema pratico e time-saving, riservato fino ad oggi ai soli clienti pubblici, offrirà molti vantaggi ai proprietari delle macchine che potranno rifornire la loro auto nel proprio garage, ogni qual volta che lo desiderano e in totale sicurezza.

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prevenirle) sono quasi totalmente assenti, così come il benzene e i composti aromatici responsabili

della formazione dell’ozono.

Attualmente, il metano è il carburante che più si avvicina all'idrogeno. Anche la formula è

quella più vicina, con meno tenore di carbonio e più idrogeno. Per darci un'idea: la formula del

metano è CH4, quella dell'idrogeno H2.

Contrariamente a quanto si è comunemente portati a credere, il metano è un carburante

molto sicuro. Il più sicuro, a detta degli esperti, tra tutti quelli per motori a combustione interna.

Essendo più leggero dell'aria, evapora immediatamente. Ciò lo rende più sicuro di un carburante

liquido. Per incendiarsi deve raggiungere una temperatura di 650° C, superiore cioè a quelle della

benzina e del gasolio. Per questo motivo, contrariamente ad un'opinione diffusa, i veicoli a metano

sono autorizzati ufficialmente ad entrare in posti chiusi come, ad esempio, i parcheggi sotterranei.

Fare rifornimento di metano è semplicissimo: un moderno sistema di pompe e pistone di

rifornimento previene errori di qualsiasi tipo e garantisce tempistiche pressoché analoghe a quelle

dei carburanti liquidi. La scarsità di distributori a metano non è dovuta a difficoltà tecniche, ma ad

una erronea politica energetica.

Per evidenziare il notevole risparmio dato dai sistemi a metano riportiamo il confronto tra tre

auto dello stesso modello:

Zafira carburante (Euro) Euro x 100 km

1.6 16V ecoM metano (0,655 al kg) 3,5

1.6 16V benzina (1,17 al litro) 9,27

2.0 DTI 16V gasolio (0,95 al litro) 6,23

Appare chiaro che l'alimentazione a metano consente apprezzabili economie di esercizio

rispetto a quella a benzina o gasolio.

Al riguardo si può ricordare un accordo di programma tra Ministero dell'Ambiente, Fiat e

Unione Petrolifera che prevede incentivi per l'acquisto di veicoli nuovi a metano per operatori

professionali. Gli incentivi sono di 2500 Euro per le vetture e da 1500 a 6500 Euro per i veicoli

commerciali. Il progetto prevede l'adesione dei Comuni, individuati dalle Regioni come zone con

più problemi ambientali legati alla qualità dell'aria.

Tutto ciò premesso, se si volesse consentire una penetrazione del gas nel settore trasporti

in Italia un primo traguardo potrebbe essere quello di sostituire il 50% dei bus per servizio pubblico

(quasi tutti con servizio urbano) e la maggior parte delle flotte di mezzi pubblici (o con servizio

pubblico) da gasolio a metano. Si tratterebbe di circa 30.000 mezzi con un consumo di circa 1-2

miliardi di metri cubi di metano l’anno.

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Un secondo obiettivo potrebbe essere quello di portare le attuali 340.000 autovetture

alimentate a metano a 2,5 milioni di vetture entro il 2015 ed a 5 milioni entro il 2020 (16% del totale

parco autovetture privato). Il metano potrebbe essere usato o come carburante in sostituzione

della benzina e del gasolio (nuove auto) oppure come dual fuel.

Naturalmente questi obiettivi dovrebbero essere sostenuti da un adeguato sforzo

promozionale presso le case automobilistiche, presso gli utenti, i Comuni e soprattutto presso i

distributori carburanti che dovrebbero aggiungere, almeno in una certa percentuale, alle colonnine

che forniscono benzina e gasolio anche una colonnina che fornisca metano.

Peraltro, considerata la capillare rete di distribuzione di questo prodotto in Italia ed il suo

trasporto che avviene per mezzo di condotte sotterranee, la realizzazione di una rete di gas

destinata alle aree di servizio carburanti sia nelle città, sia nelle maggiori strade di comunicazione

nazionali, non dovrebbe comportare particolari problemi, né logistici né economici da parte del

soggetto che opera nel settore del trasporto gas a livello nazionale, che peraltro ha ancora una

connotazione pubblica.

Con l’adozione di questi obiettivi, si avrebbe un maggior consumo di gas naturale al 2020 di

circa 8 miliardi di metri cubi destinato al settore trasporti, una corrispondente riduzione delle

emissioni di CO2 dell’ordine dei 5 – 6 milioni di tonnellate al 2020, un forte abbattimento di alcuni

importanti inquinanti nelle città (polveri sottili, aromatici, etc.) ed un miglioramento della bolletta

energetica grazie al minor costo del gas naturale che verrà consumato in sostituzione del petrolio.

Inoltre le nostre case automobilistiche potranno avvantaggiarsi di nuovi modelli ecologici da

esportare anche in altri Paesi

PARCO AUTOVETTURE CIRCOLANTI (milioni di unità)

2000 2005 2010 2015 2020

Scenario tendenziale

Auto a benzina 23.3 21.7 18.5 15.7 13.9 a gasolio 4.5 8.3 11.4 13.4 14.1

a metano 0.3 0.3 0.5 0.8 1.0

altri (GPL) 1.2 1.0 1.2 1.3 1.5 totali 29.3 31.3 31.6 31.2 30.5

Scenario obiettivo

Auto a benzina 23.3 21.7 18.5 16.2 13.5

a gasolio 4.5 8.3 9.2 10.5 10.5

a metano 0.3 0.3 1.6 2.5 5.0

altri (GPL) 1.2 1.3 1.3 1.3 1.5

totali 29.3 31.3 31.6 30.5 30.5

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3.3 Il settore industriale

Anche questo settore, come quello elettrico e dei trasporti, presenta attualmente importanti

problemi a causa della sua scarsa competitività nei confronti del mercato internazionale, sopratutto

dopo l'ingresso nel WTO di Cina, India ed altri Paesi che hanno costi di produzione molto bassi.

Uno dei fattori che maggiormente incide sul costo di produzione di molti settori industriali e

che quindi li penalizza sul piano della loro competitività, è l'energia, sia sotto forma di energia

elettrica e sia sotto forma di energia di processo.

Il miglioramento del parco di generazione elettrico nei prossimi anni e l'impiego del gas

naturale in sostituzione del petrolio, nei cicli combinati ed in altri utilizzi industriali, sicuramente

potrà contribuire a rendere meno forte il divario fra costi di produzione italiani e quelli di altri paesi

europei.

Ma, accanto a questa modifica del mix di combustibili usati nel settore termoelettrico, un

forte beneficio al settore industriale potrebbe venire anche da un maggior incremento di efficienza

energetica al proprio interno, e cioè da un minor consumo di energia per unità di prodotto.

In questo ambito sembra sia possibile ottenere per il settore industriale, ma anche per il

settore terziario, miglioramenti di efficienza dell'ordine anche del 30%; il che si tradurrebbe in forti

diminuzioni dei costi di produzione e quindi di aumento di competitività.

Naturalmente per raggiungere questo traguardo occorre un notevole sforzo di ricerca per

migliorare le tecnologie esistenti e realizzare delle nuove, che potrebbero anche essere sviluppate

nel nostro Paese dando così un contributo all'industria dei beni strumentali. Da preliminari studi

effettati dal CESI peraltro ciò è non solo ipotizzabile, ma possibile, in quasi tutti i comparti dove si

possono ottenere contributi importanti di efficienza, che peraltro rappresentano un altra delle

opzioni a breve termine previste in una nuova "governance" del settore energetico del nostro

Paese.

Da non dimenticare, peraltro, che alcuni dei settori industriali più energivori rappresentano

un "insieme" di comparti ad alta tecnologia e con forti correnti di esportazione (vetro, ceramica,

carta, chimica, etc.) e che quindi, la salvaguardia delle loro competitività, è estremamente

importante per il "made in Italy", per il mantenimento della relativa occupazione e sopratutto delle

tecnologie proprie di questi settori all'interno della nazione.

Per ultimo occorre ricordare che i miglioramenti di efficienza oltre a soddisfare l'esigenza di

un aumento di competitività di molti settori industriali italiano, servono anche a ridurre il livello di

emissioni di CO2 e quindi favoriscono, da un lato, i costi (con la vendita di diritti di emissione) e

dall'altro, il rispetto dell'ambiente.

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4. Le azioni da realizzare sul piano infrastrutturale e normativo

Le azioni necessarie per realizzare le opzioni indicate riguardano da un lato le infrastrutture

e dall’altro lato le politiche.

Sul lato delle infrastrutture è indispensabile realizzare nel nostro Paese una serie di opere

per la ricezione, il trasporto e lo stoccaggio del gas naturale, che dovrebbero portare non solo al

pieno soddisfacimento della domanda interna, (incrementata dai nuovi usi sostitutivi del petrolio),

ma anche la possibilità che si creino in Italia le condizioni per realizzare un grande “Hub” nel

settore del gas naturale (potenzialmente destinabile all'Europa Centrale che vedrà crescere la

domanda e ridurre la produzione interna già a partire dal 2007).

Per far ciò, occorre dare un segnale forte alle Regioni ed agli operatori, con eventuali

modifiche anche sul piano legislativo e fiscale volte a favorire la realizzazione di nuove reti e

stoccaggi per il gas naturale.

In merito alle politiche occorre, da un lato superare rapidamente le ostilità locali alla

costruzione di nuovi terminali e dall’altro lato dare un quadro di certezze agli investitori di nuove

infrastrutture sia pubblici (SNAM Rete Gas) sia privati.

Inoltre, anche in accordo a quanto previsto dall’Autorità per l’Energia, bisogna sviluppare la

Borsa del gas, superare le difficoltà nella vendita e distribuzione del gas agli utenti finali, ed

incentivare infine, un fondo ricerca - come quello per il settore elettrico e cioè finanziato dalle

tariffe - per migliorare l’utilizzo, il trasporto e la sicurezza del gas naturale nel nostro Paese.

5. Le scelte di medio-lungo termine e le tecnologie da considerare

Con un probabile cambiamento di scenario internazionale, le scelte di politica energetica

del nostro Paese non si dovrebbero fermare al breve-medio termine, ma guardare anche verso un

periodo più lungo e cioè oltre i 15 anni, in modo da essere pronti a cogliere le opportunità che nel

tempo possono provenire da un cambiamento strutturale e comportamentale (stile di vita) nel

settore energetico e sopratutto dallo sviluppo di nuove tecnologie.

Le opzioni da affrontare nel medio-lungo termine, riguardano essenzialmente l’offerta e

dovrebbero andare ad incidere sulla quota petrolio rimanente del nostro sistema energetico.

Queste opzioni riguardano essenzialmente le tecnologie in campo energetico in grado di

fornire un contributo al soddisfacimento dei fabbisogni del Paese in situazione di buona

economicità (prezzi contenuti) e di basso o nullo impatto ambientale.

Si tratta in particolare delle tecnologie per la gassificazione del carbone e la sequestrazione

della CO2, delle tecnologie per migliorare l’efficienza del fotovoltaico e in più in generale l’uso del

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solare per produrre energia elettrica e calore, ed, infine, delle tecnologie per sviluppare, nel tempo

la produzione economica e l’utilizzo dell’idrogeno negli usi di trasporto ed in quelli elettrici.

Un presidio tecnologico dovrebbe anche essere mantenuto sul nucleare in vista di nuovi

sviluppi tecnologici e commerciali che si stanno verificando in Europa ed in altre aree geografiche.

Di seguito vengono analizzate le principali opzioni tecnologiche di medio-lungo periodo da

considerare.

5.1 Il carbone pulito

Il carbone rappresenta la maggiore fonte di energia per la produzione di elettricità nel

mondo; attualmente il 37% dell’elettricità mondiale è prodotta dal carbone e solo in Europa copre il

32% della generazione elettrica.

Con il termine carbone pulito ci si riferisce ad un insieme di tecnologie finalizzate alla

diminuzione delle emissioni gassose inquinanti (per esempio la combustione a letto fluido, la

gassificazione del carbone, ecc). Queste tecnologie permettono di ottenere notevoli riduzioni delle

emissioni anche rispetto alle centrali a vapore convenzionali.

Le nuove tecnologie consentono un uso molto più efficiente del carbone rispetto al passato.

I nuovi impianti a vapore a condensazione supercritici consentono di raggiungere temperature e

pressioni del vapore molto elevate, che si traducono in un' efficienza netta di conversione elettrica

del 45%, rispetto a impianti tradizionali sub-critici che avevano rendimenti del 36-37%. Gli

inquinanti contenuti nei fumi di combustione vengono rimossi attraverso impianti chimici di

trattamento, con efficienze di abbattimento molto elevate.

Resta il fattore negativo della logistica pesante che tali impianti richiedono. Essi vengono

infatti costruiti con taglie elevate (2.000 MW) per favorire le economie di scala e comportano la

movimentazione di grandi quantità di materiali in entrata e in uscita(ceneri di carbone, gesso,

calce, ammoniaca, ecc).

La riduzione delle emissioni di CO2 passa dal miglioramento delle efficienze energetiche ed

in questa direzione vanno oggi le migliori tecnologie di combustione del carbone. La conversione di

un vecchio impianto a carbone in un nuovo impianto a carbone USC (Ultra-Super-Critico) di pari

potenza diminuisce le emissioni unitarie di CO2 del 20%, mentre la conversione da un vecchio

impianto a olio combustibile a un nuovo impianto a carbone USC aumenta le emissioni unitarie di

CO2 del 6% appena. Se confrontato con un nuovo impianto a gas naturale a ciclo combinato di

pari potenzialità, un nuovo impianto a carbone USC ha comunque un livello più che doppio di

emissioni unitarie di CO2, come mostra la tabella che segue.

rendimento medio annuo g CO2/kWh

gas naturale CCGT 56% 359

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50

carbone USC 45% 752

olio combustibile 38% 707

Oltre alle tecnologie USC dotate di impianti chimici di controllo degli inquinanti, esistono

altre tecnologie innovative per il “carbone pulito”:

Combustione a letto fluido FBC Combustione a letto fluido pressurizzato PFBC Gassificazione del carbone IGCC Gassificazione del carbone “Fuel Cell Systems” IGFC - Letto fluido

Nelle centrali termoelettriche a letto fluido il polverino di carbone viene miscelato con fini

particelle di calcare tenute in sospensione da un getto di aria ascendente.

La massa costituita dal combustibile e dal comburente, oltre al materiale di supporto, è soggetta ad

una combustione caratterizzata da una elevata turbolenza in grado di rendere la stessa più

efficiente; di conseguenza si registra una produzione minore di polveri e si hanno dei più alti

rendimenti.

Il calcare, oltre a fungere da supporto per il polverino di carbone serve ad abbattere circa il

90% dell’anidride solforosa che si forma e che viene trattenuta da questo materiale.

Nelle centrali a letto fluido possono essere impiegati anche dei carboni scadenti (ad alto contenuto

di zolfo ed altre impurezze). Inoltre esse possono funzionare, a parità di rendimento, a temperature

di combustione relativamente basse, poco sopra gli 800 °C, il che consente di contenere la

produzione di NOx. Con queste tipologie di impianti "policombustibili" si può bruciare ogni tipo di

combustibile fossile, alternando prodotti liquidi a solidi e semisolidi.

- Gassificazione del carbone

Si produce a partire da una miscela di acqua e carbone ad elevata temperatura un gas

combustibile sintetico composto da CO (monossido di carbonio) e H2 (idrogeno), quello che una

volta veniva chiamato “gas di città”.

Questo gas di sintesi può avere diversi utilizzi. Per la produzione di energia elettrica esso

può essere utilizzato in impianti a ciclo combinato ad alta efficienza (IGCC), in luogo del gas

naturale, una volta purificato dagli inquinanti. Se dal gas di sintesi viene separato l’idrogeno, esso

può anche essere impiegato in stadi di celle a combustibile per la produzione diretta di energia

elettrica, oppure può essere venduto per impieghi nell’indutria chimica o, in futuro, come

combustibile per i trasporti. Inoltre, col gas di sintesi è possibile produrre composti per la chimica di

base, o anche combustibili per i trasporti (ad esempio DME). In defnitiva, l’idea di fondo degli

impianti IGCC è che essi si sviluppino come vere e proprie “raffinerie di carbone”, in grado di

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51

produrre elettricità, combustibili per i trasporti e prodotti chimici, a partire da carbone, ma anche da

altri combustibili di basso pregio come i rifiuti solidi urbani, le biomasse, gli scarti di raffineria, ecc..

Centrale Costo impianto

($/KW) Abbattimento

SO2 NOx emessi (mg/KWh)

CO2 emessa (g/KW)

Efficienza (% di energia convertita in elettricità)

Turbina a Vapore

Gas 750 Tracce 648 140 36

Carbone 1550 90 1080 250 34

Ciclo combinato

Gas 510 Tracce 54 100 47

Carbone gassificato 1550 99 90 200 42

Combustione a letto fluido pressurizzato

Carbone a ciclo combinato

1150 90 216 190 42

Celle a combustibile

Gas 600 - 800 Tracce 18 - 72 90 – 100 50 – 55

Carbone gassificato 1000 – 1500 99 36 - 126 170 – 190 45 - 52

Negli ultimi quindici anni, l’innovazione tecnologica ha anche rivitalizzato un processo, la

sintesi di Fischer-Tropsch, la cui chimica di base affonda le sue radici negli anni trenta, quando per

ragioni politiche in Germania fu sviluppata questa tecnologia per produrre carburanti liquidi dalle

materie prime presenti sul territorio (carbone). L’interesse è stato guidato dagli avanzamenti

tecnologici che hanno ridotto il costo di trasformare grandi riserve di gas naturale, non facilmente

accessibili via pipeline, con prodotti combustibili liquidi di elevata qualità. L’enfasi è stata riposta

sull’uso di catalizzatori a cobalto a letto fisso e di reattori in grado di raggiungere alti livelli di resa di

cera paraffinica, la quale può essere facilmente convertita in carburanti, quali diesel, nafta e

prodotti speciali.

Il carbone può essere dunque trasformato per produrre syngas e da questo prodotti chiave

quali il metanolo, usato nei motori a benzina, e alcuni combustibili puliti come il dimetiletere (DME),

alternativo al gasolio. Il processo di trasformazione prevede l’utilizzo di due diversi approcci:

liquefazione indiretta, ovvero gassificazione a syngas e sintesi Fischer-Tropsch, e una liquefazione

diretta, ovvero trasformazione del carbone in liquidi in unico passaggio mediante un processo di

cracking idrogenante. Oltre alla produzione di combustibili sintetici dal carbone attuata in Germania

durante la Seconda Guerra Mondiale, è interessante ricordare il successo commerciale della Sasol

in Sud Africa, dove per diversi anni hanno funzionato impianti di produzione della benzina dal

carbone col processo Fischer-Tropsch.

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52

5.2 Il nucleare sicuro

Diverse sono le tecnologie per lo sfruttamento dell'energia nucleare per fissione, con

prototipi ad uno stadio più avanzato o ad uno stadio di ricerca e sviluppo. Comunemente si

classificano i reattori per generazione di appartenenza. I reattori detti di Generation I furono

sviluppati nel 1950-60 e relativamente pochi sono ancora in funzione oggi. I reattori di Generation

II sono il tipico esempio presente nella flotta USA e per la maggior parte sono ancora in funzione.

Generation III sono gli Advanced Reactors, alcuni dei quali sono in funzione in Giappone, altri sono

in costruzione o pronti per essere ordinati. Infine i progetti dei reattori di Generation IV sono ancora

in fase di studio e non saranno operativi prima del 2010-2015.

Gli impianti nucleari a sicurezza passiva di terza generazione sono concepiti in modo da

non richiedere l’intervento rapido di sistemi di arresto in caso di incidente, e sono caratterizzati da

una successiva evoluzione delle condizioni chimico–fisiche del sistema così lenta da riuscire ad

evitare la fuoriuscita prodotti radioattivi anche se risultassero praticabili solo interventi manuali a

distanza di diverse ore da quando si è verificato l’incidente. Alcuni reattori di Generation III sono:

o Reattore nucleare European Pressurized Water (EPR): esso ha una potenza di

1.500 MW e brucia il plutonio sottoforma di MOX (misto ossidi di plutonio e di

uranio). Il rendimento può essere migliorato tramite cogenerazione, usando il

vapore a bassa pressione per riscaldare un quartiere, oppure per far funzionare

un'industria. Oppure si può surriscaldare il vapore primario, per ottenere rendimenti

termodinamici migliori. L'EPR è quasi immediatamente disponibile poiché è il

successore dei reattori attuali e la tecnologia per la relativa costruzione è già

attuale.

o Reattori "asciutti", raffreddati ad elio a temperatura elevata (HTR): questi reattori

sarebbero meno potenti (ad esempio da 100 a 300 megawatt). Il prototipo MGHTR

è allo studio della cooperazione fra la General Atomics (U.S.A.), Framatome

(Francia e Germania), Fuji Electric (Giappone)e vari istituti russi. Questo reattore

funziona diversi anni con una singola carica, adatto anche per la produzione di

idrogeno con idrolisi termochimica utilizzando il calore in eccesso.

o Reattori Autofertilizzanti a neutroni veloci (FBR): come il francese Superphénix, che

può creare plutonio fissile dall'uranio 238 (non fissile). Infatti, la caratteristica

fondamentale di un reattore autofertilizzante è nel fatto che esso può produrre, a

partire da sostanze dette fertili, una quantità di materiale fissile superiore a quello

che consuma. I reattori veloci possono contribuire a risolvere il problema delle

scorie radioattive longeve (chiamate "attinidi secondari") incenerendoli con il

plutonio. Sono ritenuti efficienti e sicuri quanto i reattori attuali, però gli Stati Uniti, il

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53

Regno Unito e la Francia hanno abbandonato i loro reattori autofertilizzanti, più per

un problema di costi che di sicurezza.

o International Reactor Innovative and Secure (IRIS): esso è un PWR integrato ed è

di potenza medio – piccola (100 – 350 Mwe), modulare, integrato cioè con tutti i

componenti del circuito primario inseriti nel recipiente a pressione insieme al

nocciolo. Esso è attualmente sviluppato da un consorzio di 18 organizzazioni di otto

Paesi (l’Italia partecipa al suo sviluppo ) e si prevede che la prima centrale sia

pronta entro il 2012. Le specifiche che deve soddisfare il progetto sono:

- Resistenza alla proliferazione: riduzione della frequenza dei ricambi di

combustibile e gestione del combustibile operata direttamente dal paese

"nucleare";

- Economia elevata: mediante semplificazione dell’impianto e standardizzazione

dei componenti;

- Sicurezza aumentata: mediante l’eliminazione di importanti classi di

incidente con una diversa concezione dell’impianto (safety by design);

- Minimizzazione dei rifiuti radioattivi e facile smantellamento: eliminazione di

tutti i prodotti attivati al di fuori del recipiente a pressione

I fondamenti tecnici di un nucleare che potremmo definire intrinsecamente pulito e in una

prospettiva sostenibile si riferiscono solo in parte ai reattori di Generation III , ma è opinione diffusa

che il vero rilancio del nucleare possa avvenire solo con la nuova generazione di reattori a

sicurezza intrinseca, Generation IV, che si assumono l’onere di rendere sostenibile l’intero ciclo

nucleare, dall’estrazione dell’uranio nelle miniere, all’uso senza produzione di scorie in reattori ad

altissima sicurezza. Essi sono infatti concepiti in modo tale che le risposte a transitori

potenzialmente incidenti riportino sempre il sistema sotto controllo. In relazione alla produzione di

scorie, esso è, forse, il problema tecnico più serio. Gli attuali reattori nucleari bruciano solo l’uno

per cento del materiale fissile con cui vengono alimentati e dopo il ciclo i rifiuti radioattivi diventano

rifiuti costosi da stoccare ed estremamente pericolosi. I reattori di Generation IV dovrebbero

utilizzare tutto il combustibile, sia l’uranio originario sia il plutonio eventualmente prodotto, portando

praticamente a zero la quantità di transuranici, cosiddetti attiniti, e riducendo i livelli dei prodotti di

fissione.

I reattori di nuova generazione attualmente allo studio appartengono a tre grandi classi:

quelli raffreddati a gas, quelli raffreddati ad acqua e quelli a spettro veloce. I primi sono molto

piccoli, consentono una ricarica continua del combustibile nucleare, non possono fondere e sono

raffreddati con un gas nobile, l’elio, che non reagisce chimicamente con le sostanze. Il primo

reattore raffreddato a gas diventerà operativo in Sud Africa nel 2006. La statunitense

Westinghouse Electric ha messo a punto un progetto innovativo del vecchio reattore raffreddato ad

acqua, che consente di aumentare la sicurezza e di diminuire la grandezza dell’impianto. Questo

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tipo di reattore avrebbe un’alta efficienza energetica e quindi consentirebbe di diminuire i costi. Ma

ha ancora problemi di sicurezza irrisolti. L’ultimo dei reattori di nuova generazione che si sta

esplorando è quello cosiddetto a spettro veloce, perché utilizza neutroni ad alta energia. Anche in

questo caso si ha un forte aumento della efficienza, tuttavia non viene definitivamente risolta la

questione delle scorie.

Tra i numerosi reattori di nuova generazione si evidenzia il reattore ibrido. Si tratta di un

reattore "subcritico" in cui un acceleratore di particelle fornisce un fascio di protoni che va a colpire

un metallo pesante (ad esempio il piombo). Da questo scontro fuoriesce un fascio di neutroni che,

a sua volta, va colpire il materiale fissile, che potrebbe essere uranio o torio. Questi reattori

vengono considerati sicuri, (definiti a "sicurezza intrinseca" ) poiché basterebbe "spegnere"

l'acceleratore di particelle per fermare tutto in caso di guasto. Inoltre questi reattori potrebbero

anche incenerire le scorie radioattive. Moltissimo lo sviluppo necessario prima che si possa dire se

i reattori ibridi saranno pratici ed economici. Orizzonte di tempo: forse 30 anni.

A metà tra i reattori di terza generazione e quelli di quarta, è opportuno ricordare il MARS,

reattore a sicurezza “intrinseca”, modulare (ciascun modulo corrisponde a circa 200 MWe) e

cogenerativo (elettricità e calore), ideato e sviluppato dal Dipartimento di Ingegneria Nucleare e

Conversioni di Energia dell’Università La Sapienza e al cui studio hanno contribuito esperti

dell’Enea e dell’Enel, nonché scienziati stranieri. Il MARS punta sul requisito essenziale della

sicurezza intrinseca, intesa come sicurezza basata su leggi ineludibili di natura. Altre

caratteristiche che lo rendono interessante sono:

- le modalità e le tecnologie di fabbricazione da esso adottate sono ben note e ben

collaudate;

- l’impianto è completamente in acciaio a collegamenti flangiati anziché saldati ed è quindi

possibile una prefabbricazione integrale in officina, con precisi controlli di qualità e

operazioni in sito limitate al solo montaggio dei componenti;

- l’impianto è dotato di dispositivo di produzione di acqua potabile che, insieme alla piccola

taglia, alla sicurezza intrinseca ed alla facilità di trasporto e montaggio, lo rende adatto

all’installazione in Paesi ad economia emergente;

- è prevista la completa smontabilità e sostituibilità di tutti i componenti del reattore, inclusa

strumentazione, sicché l’impianto può avere costi di smantellamento molto contenuti e vita

tecnica lunghissima.

L’allungamento della vita è un accorgimento essenziale per gli impianti nucleari che hanno,

nel costo di installazione la voce predominante del costo di produzione del kWh, rispetto a un

costo di combustibile estremamente ridotto rispetto alle fonti fossili. Anzi, è proprio questa

sostanziale indipendenza del costo di produzione dal rendimento di impianto a far sì che le centrali

nucleari non invecchino dal punto di vista economico, mentre le centrali a fonti fossili diventano

obsolete dopo una ventina d’anni. E peraltro, i tempi di ammortamento degli investimenti in centrali

nucleari sono lunghissimi e richiedono anch’essi che gli impianti abbiano lunga vita.

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55

L’interesse per l’allungamento della vita tecnica dei reattori nucleari è testimoniata dal

relicensing che gli impianti statunitensi stanno ottenendo in massa, per altri 20 anni di

funzionamento. Essa è un vantaggio competitivo non indifferente per quegli impianti che hanno

terminato il periodo di ammortamento e possono produrre elettricità a costi bassissimi.

5.3 L'idrogeno economico

La produzione mondiale annua di idrogeno è di circa 500 miliardi di Nm3, equivalenti a 44

milioni di tonnellate, ottenuti per il 90% dal processo chimico di reforming degli idrocarburi leggeri

(principalmente il metano) o dal cracking di idrocarburi più pesanti (petrolio) e per il 7% dalla

gassificazione del carbone. Solo il 3% dell'attuale produzione è ottenuta per elettrolisi. L' idrogeno

prodotto è impiegato per il 95% nell'industria chimica, che con esso produce ammoniaca, alcool

metilico (metanolo) e prodotti petroliferi; il 5% è invece utilizzato dall'industria metallurgica per il

trattamento dei metalli.

Il principale prodotto della sua ossidazione è l’acqua, che può ritornare facilmente

all’ambiente, offrendo una potenzialità notevole per la riduzione delle emissioni di gas serra e degli

altri agenti inquinanti. Tuttavia molte barriere di ordine economico e tecnologico frenano il decollo

dell’idrogeno come vettore energetico. La maggior parte delle tecnologie è ancora in uno stadio di

sviluppo o di fase dimostrativa con gli inevitabili limiti di maturità indispensabile per la

commercializzazione.

Agli inizi del Terzo Millennio, enti pubblici e privati mostrano un interesse crescente nei

confronti della ricerca sull’idrogeno. Molto attivi si dimostrano sia la Commissione Europea sia

l’Amministrazione statunitense, che, seppur con vision sostanzialmente differenti, stanno cercando

di razionalizzare ed indirizzare le varie azioni, in essere e previste, mediante programmi e progetti

di valenza internazionale, anche per cercare di fronteggiare le iniziative giapponesi. Mentre

l’Europa ha una vision di long term vuole cioè arrivare ad un idrogeno prodotto partendo da fonti

rinnovabili mediante tecnologie elettrolitiche, processi termochimici, eccetera, cioè al cosiddetto

idrogeno verde, gli USA hanno invece un approccio di short-mid term guardando per ora alla

produzione di idrogeno da fonti fossili (in particolare il carbone) mediante tecnologie di

gassificazione, cioè al cosiddetto idrogeno nero.

I processi per la produzione dell’idrogeno sono:

- Trasformazione dagli idrocarburi: lo steam reforming ( SMR - trasformazione con vapore) del

metano è un processo ben sviluppato ed altamente commercializzato e attraverso il quale si

produce circa il 48% dell'idrogeno mondiale. Tale metodo può essere applicato anche ad altri

idrocarburi come l'etano e la nafta. Non possono essere utilizzati idrocarburi più pesanti perché

essi potrebbero contenere impurità. Altri processi, invece, come l'ossidazione parziale, sono più

efficienti con idrocarburi più pesanti. Lo SMR implica la reazione di metano e vapore in presenza di

catalizzatori. Il rendimento del processo si aggira sul 50%-70%. Nello steam reforming tradizionale,

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56

gli idrocarburi sono la fonte sia dell’energia chimica, sia dell’energia termica (circa il 45% del

consumo degli idrocarburi è destinato alla produzione di calore). Poiché l’idrogeno in tal modo

prodotto è più costoso della sostanza di partenza, il metano, la sostituzione di questo con

l’idrogeno come combustibile non è conveniente. I costi dello SMR sono notevolmente inferiori a

quelli dell'elettrolisi e competitivi con quelli delle altre tecnologie, esso comporta inoltre un

ridottissimo impatto ambientale.

Alcuni autori sostengono che la tecnologia SMR può essere conveniente, se combinata con

l'alimentazione di veicoli, per l'applicazione su celle a combustibile prodotte su scala ridotta. Altre

innovazioni invece, riguardano più in particolare lo SMR stesso. Uno degli obbiettivi della ricerca è,

infatti, quello di migliorare il tradizionale processo SMR con il perfezionamento di un nuovo

processo denominato Sorbtion Enhanced Reforming (SER). Rispetto al tradizionale SMR tale

processo implica la produzione di idrogeno a temperatura particolarmente bassa e l’abbinamento

di un processo di rimozione selettiva dell’anidride carbonica rilasciata durante la fase di reforming.

Il vantaggio principale del SER quindi, consiste nell’ottenere direttamente dei flussi separati,

estremamente puri, sia di idrogeno che di CO2 senza ricorrere a costosi sistemi di purificazione.

Questo nuovo processo ha dunque la possibilità di prevalere rispetto ai processi convenzionali, e

di favorire l’introduzione a breve termine dell’idrogeno, non solo per i ridotti costi operativi che esso

comporta ma anche per il contributo alla riduzione della concentrazione dei gas serra

nell’atmosfera. Le attività di ricerca sono ovviamente volte all’individuazione dei materiali più idonei

all’assorbimento di CO2, alla dimostrazione della validità tecnica dei sistemi sperimentali e

all’analisi dei relativi vantaggi economici.

5.4 Il solare-fotovoltaico efficiente

La tecnologia attualmente più usata per la realizzazione delle celle al silicio prevede che i

contatti metallici vengano saldati sulla superficie della cella, comportando alcuni svantaggi fra cui

una riduzione dell’area captante. La tecnologia LGBG (Laser a contatti sepolti) per le celle

fotovoltaiche al silicio si basa invece sulla possibilità di "nascondere" i contatti all’interno della

cella. Un laser viene utilizzato per creare dei solchi sulla superficie della cella all’interno dei quali

viene poi fuso il metallo a base di rame che fungerà da conduttore per l’elettricità prodotta. Questo

processo, inventato da Martin Green e Stuart Wenham nel 1984, è stato poi applicato per la

realizzazione di celle commerciali dal 1992. Attualmente le celle LGBG raggiungono un’efficienza

del 17%, ma gli esperti prevedono di raggiungere a breve il 20%.

Nella tavola sotto una sintesi tra le diverse caratteristiche delle varie tipologie di moduli in

commercio.

Tipologia modulo Energia spesa per 1 kWp

(energia grigia) Energia prodotta da 1 kWin 20 anni

Costo impianto per kWp (Italia)

Monocristallino 6-9 MWh 18-23 MWh 10-12.000 €

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Policristallino 5-7 MWh 16-19 MWh 8-11.000 € Amorfo 3-5 MWh 10-17 MWh 6- 9.000 €

Dagli anni 90 sono iniziate le esplorazioni di una nuova tecnologia per migliorare l'efficienza

delle celle fotovoltaiche utilizzando delle cella composte, costituite da differenti materiali

semiconduttori disposti a strati, uno sull'altro, e che permettono alle differenti porzioni di spettro

solare di essere convertite in elettricità a differenti profondità, aumentando con ciò l'efficienza

totale di conversione della luce incidente. Viene anche definita come Split spectrum cell o VMJ

(Vertical Multijunction Cell).

Gli sforzi che il comparto pubblico e privato impiegano nella ricerca e nello sviluppo della

tecnologia fotovoltaica si indirizzano ad un ampio spettro di questioni, che riguardano: innovazioni

dei materiali e dei meccanismi, al fine di migliorare il funzionamento dei moduli FV conducendo

così a più contenuti costi di produzione; attività di sviluppo tecnologico riguardanti per lo più

l’ingegneria e la sicurezza dei sistemi e lo sviluppo dei componenti diversi dalle celle. Alcune

tecnologie fotovolatiche innovative sono:

- Celle fotovoltaiche a concentrazione: il concentratore fotovoltaico consiste in piccoli

concentratori che utilizzano lenti Fresnel o microprismi, in grado di concentrare

(moltiplicare) i soli, fino a 500 volte la potenza. Un prototipo di questa tecnologia, il progetto

spagnolo Euclides, prevede un sistema lungo 24 metri, con un rendimento ottenuto del

16% ed un costo finale ancora molto elevato di circa 5.000 € al kWp.

- Sistemi termo – fotovoltaici: con il termine termo – fotovoltaico si indicano due diverse

tecnologie:

1. il sistema Termo Foto Voltaico (TPV) è un processo che genera energia elettrica

mediante celle fotovoltaiche sensibili alla radiazione infrarossa irraggiate da un

corpo portato a temperatura di emissione con un bruciatore;

2. il sistema Thermo – Photovoltaic System (TPVS), rappresenta la tecnologia più

semplice e in qualche misura presente nel mercato e consiste in pannelli nei quali

sono integrati un collettore termosolare e celle fotoelettriche. L'energia primaria

utilizzata è quella solare diretta, questa tecnica può essere interessante nel caso il

fluido termico sia in grado di regolare la temperatura delle celle fotovoltaiche, le

quali generalmente hanno maggiore efficienza ad una temperatura di 20/25° C.

- Celle fotovoltaiche organiche, polimeriche, plastiche: Il principio del loro funzionamento e'

stato individuato nel 1990 dal chimico svizzero Michael Graetzel che, ispirandosi alla

fotosintesi per convertire la luce in corrente elettrica, ha pensato di porre sulla superficie di

un semiconduttore uno strato di molecole organiche trattate in modo da metterle in grado di

assorbire la luce. Se prodotte a livello industriale, le celle di Graetzel potrebbero superare

in breve tempo in efficienza e convenienza le attuali celle fotovoltaiche in silicio. Gli esperti

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58

che lavorano al progetto prevedono che entro i prossimi dieci anni il costo dell'energia

solare potrà essere paragonabile a quello degli impianti tradizionali.

La STMicroelectronics, società italo-francese, leader nella produzione di semiconduttori,

ritiene sia possibile produrre sistemi fotovoltaici con semiconduttori organico-polimerici ad un costo

di 200 € al kWp: 20 volte meno dei sistemi attuali al silicio, l'efficienza dovrebbe essere del 5-10%

e quindi per avere 1 kWe di picco servono dai 20 ai 10 mq di superficie fotovoltaica. La

commercializzazione è prevista per il 2005. Tale prospettiva riapre completamente le potenzialità

del fotovoltaico che diventerebbe una fonte enorme e semplice da utilizzare.

Tutte queste tecnologie andrebbero peraltro studiate fin d’ora senza attendere molti anni,

con un maggior coinvolgimento delle nostre Istituzioni e delle grandi società energetiche in progetti

di ricerca internazionali in grado di far avanzare le nostre conoscenze ed il livello dei nostri

ricercatori in linea con il progresso mondiale.

Anche in questo campo occorre fare delle scelte e finalizzare le spese di ricerca energetica

del nostro Paese (tra le più basse in assoluto in Europa e nell’OCSE) a pochi grandi obiettivi

concentrati, su alcuni filoni e su pochi centri di ricerca di eccellenza.

Per ciò è necessario destinare una aliquota (anche modesta) del prelievo fiscale su prodotti

energetici ad un fondo per la ricerca e l'innovazione tecnologiche definendo alcuni precisi obiettivi

al riguardo ed utilizzando per la loro realizzazione sia le strutture di ricerca esistenti (ENEA, CESI,

CNR etc.) e sia un eventuale nuovo Istituto tecnologico dedicato al settore energetico.

Infrastrutture e ricerca tecnologica sono pertanto due elementi fondamentali per non

arrivare impreparati ad un appuntamento con una nuova sfida che si presenterà a tutti i paesi

consumatori nei prossimi anni e che l’Italia non può mancare sotto pena di regredire tra i paesi

meno industrializzati.

6. Un quadro di obiettivi condiviso

Per non tracciare un programma di opzioni e di obiettivi in campo energetico di tipo

dirigistico e teorico è essenziale che lo stesso sia ampliamente condiviso da tutte le forze politiche,

economiche e sociali del Paese.

E’ pertanto necessario, una volta definiti i principali obiettivi e le relative azioni da portare

avanti, che le stesse siano portate a conoscenza e dibattute con tutti gli “stakeholders”.

Questa necessità è tanto più importante, quanto il problema di una “governance” nel nostro

Paese deve transitare attraverso un accordo generale, non solo con tutte le forze politiche e

sociali, ma anche, e sopratutto, con le realtà locali, che devono condividere i principi di una nuova

politica energetica volta ad assicurare al Paese una energia sicura, affidabile, economica e non

inquinante.

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59

A tale scopo è anche necessario superare rapidamente la conflittualità locale che ostacola

la realizzazione di nuove infrastrutture energetiche e rende difficile la gestione dell’intero settore

energetico.

Il nostro Paese si caratterizza ormai da tempo infatti come uno dei più litigiosi e conflittuali

in materia energetica-ambientale.

Il veto da parte di vari organismi locali alla realizzazione di nuove infrastrutture energetiche

è ben noto. Più difficile comprendere le ragioni che spesso non sono di tipo ambientale o

paesaggistico, ma semplicemente di tipo “egoistico”.

La compensazione ambientale prevista nella legge Marzano sembra insufficiente a

risolvere i conflitti ed i veti a livello locale, perché c’è il timore che “pagare può significare

compensare un rischio che c’è”.

In realtà quello che bisognerebbe ottenere da parte della popolazione locale, che poi a sua

volta condiziona il parere delle varie autorità locali (sindaco, assessore etc.) è la consapevolezza

del controllo efficace dei rischi collegabili a nuove infrastrutture energetiche.

Per far ciò, non sono necessarie erogazioni di denaro e di altri benefici da parte delle

imprese che vanno a realizzare i nuovi impianti, bensì accurate campagne informative ed

educative sulle caratteristiche di queste infrastrutture, sulle loro emissioni, sul loro impatto sul

territorio ed anche sull’esigenza di non lasciare regioni o l’intero paese senza elettricità (o gas).

Per queste ed altre ragioni è importante, anzi necessario, che una volta che il Governo

abbia definito un quadro di linee ed obiettivi di politica energetica per i prossimi anni, questo

quadro sia portato con forza ed in tutte le sedi, ad un confronto e dibattito, per poi trovare, nel

Parlamento la sede finale per essere approvato e tramutato in nome, direttive, azioni e vincoli per

tutti.

Solo così un quadro di indirizzi può tramutarsi in una “governance” e cioè in un sistema

condiviso di azioni e cose da fare nell’interesse dell’intero Paese.

CONCLUSIONI I cambiamenti di scenario a livello internazionale, la forte vulnerabilità del nostro Paese,

accanto ad una mancanza di indirizzi ed obiettivi in campo energetico rendono urgente la

definizione di una incisiva e condivisa politica energetica che affronti tutti i nodi ed i problemi che

abbiamo e che avremo nei prossimi 10-15 anni.

Si tratta di formulare – come già fatto in altri Paesi – degli obiettivi (o delle opzioni) che

siano in grado di assicurare al nostro Paese, non solo nel breve ma anche nel medio termine,

l’energia in situazione di sicurezza, economicità ed ecocompatibilità.

Questi obiettivi sono tanto più importanti quanto sembra sia molto vicina una rapida

transizione da un modello di sviluppo basato sulla fonte petrolio ad un diverso modello di consumo

che utilizza altre fonti di energia più disponibili, meno costose e sopratutto con un basso (o nullo)

impatto sia in termini di agenti inquinanti sia di emissione di gas serra (CO2).

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60

Non va dimenticato al riguardo che il nostro Paese ha firmato il protocollo di Kyoto e si è

impegnato a ridurre le emissioni di gas climalterante nei prossimi anni e quindi deve fare un

cospicuo sforzo per migliorare o modificare l'utilizzo delle fonti primarie di energia che consuma.

Il primo aspetto da affrontare nell'ambito di una "governance" in campo energetico è quello

di separare gli obiettivi di breve-medio termine (10-15 anni) raggiungibili per il nostro Paese da

quelli di più lungo termine che richiedono scelte tecnologiche ed economiche ancora da definire.

Sugli obiettivi di breve-medio termine - tenuto conto anche dei vincoli esterni ed interni -

sembra logico puntare su tre grandi opzioni, peraltro largamente condivise da parte dei principali

schieramenti politici, dalle Regioni e dalle principali imprese e cioè:

− progressiva sostituzione del petrolio con il gas naturale che dovrebbe diventare la

principale fonte primaria di energia nel nostro Paese con una forte penetrazione in tutti i

settori (incluso il trasporto);

− sviluppo e sostegno delle fonti rinnovabili di energia sopratutto di quelle già

economicamente sostenibili;

− incremento dell'efficienza energetica e del risparmio di energia in tutti gli usi attraverso

politiche e misure più incisive ed ampie campagne di sensibilizzazione di tutti i

consumatori.

Queste tre opzioni sarebbero già in grado di dare una buona prospettiva energetico-

ambientale al nostro Paese al 2015-2020 con una riduzione delle emissioni di CO2, un

miglioramento della nostra bolletta energetica e con la possibilità, anche, di creare nuove

opportunità di sviluppo e lavoro per le nostre industrie di beni strumentali.

Circa le opzioni di medio-lungo termine, la scelta dovrebbe essere fatta dal nostro Paese

sulla base di alcune verifiche di natura tecnologica ed economica che richiedono fin da ora un forte

sforzo di ricerca scientifica e sviluppo tecnologico da impostare - con adeguati fondi - presso Istituti

italiani e stranieri lavorando di concerto. Si tratta di verificare le possibilità che si sviluppino nel

nostro Paese tecnologie in grado di utilizzare un carbone più pulito (con la sequestrazione della

CO2), un solare più efficiente e meno costoso ed un nucleare di nuova generazione anche in

compartecipazione con altri Paesi.

Nel più lungo tempo è necessario anche verificare lo sviluppo di nuove tecnologie di uso

basate sul vettore idrogeno ottenuto con procedimenti economici.

Per ultimo va sottolineato che una politica di “governance” in campo energetico per essere

veramente efficace va condivisa con tutte le forze politiche e sociali, con le Regioni e con tutti gli

“stakeholders”, perché solo da questa condivisione di obiettivi è possibile giungere ad un nuovo

assetto del sistema energetico in grado di superare vincoli ed ostacoli e consentire un corretto ed

economico soddisfacimento dei fabbisogni di energia del Paese in condizioni di ampia sostenibilità.

CNEL – Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro

61

La proposta del CNEL si pone quindi come un contributo al dibattito in corso sulle nuove

linee di sviluppo che il Governo sta per presentare al Parlamento ed al CIPE per il comparto

dell’energia, tentando di fornire nuove chiavi di lettura e nuove idee per realizzare una strategia di

“governance” e di sviluppo per il settore energetico italiano.

CNEL – Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro

62

TABELLE DI SINTESI SULLE PREVISIONI DELLA DOMANDA ENERGETICA PRIMARIA E DELLE EMISSIONI DI CO2

(Rapporto Unione Petrolifera)

CNEL – Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro

63

SINTESI DEI RISULTATI

DOMANDA ENERGETICA PRIMARIA (milioni di tep)

1990 1995 1998 1991 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2010 2015 2020 SOLIDI (1) 15,0 12,5 11,3 11,7 12,1 12,2 12,91 13,7 14,21 14,5 17,1 17,3 17,3 17,5 17,9

GAS NATURALE (2) 39,1 44,8 46,4 47,8 51,5 56,0 58,4 58,5 58,1 63,6 66,2 68,2 73,5 78,72 82,0 IMP.NI NETTE Di EN. ELETTRICA (3) 7,4 7,9 7,8 8,0 8,4 8,6 9,2 9,9 10,3 10,3 9,1 10,2 10,3 11,0 10,5

92,5 95,7 94,3 94,9 94,5 91,2 89,7 89,7 89,9 88,8 87,7 85,6 81,1 75,8 74,8 PRODOTTI PETROLIFERI PETROLIO:

C.B.C. (4) - - - - 0,4 1,2 1,6 1,5 1,6 1,5 0,2 - - -

FONTI RINNOVABILI (5) 8,2 9,7 10,7 10,7 10,8 12,0 12,2 12,9 11,5 11,6 12,5 12,8 16,8 19,3 20,0

TOTALE DOMANDA 162,2 170,6 170,5 173,1 177,7 181,2 184,0 188,2 185,6 190,3 192,8 194,1 199,0 202,3 205,2

Variazione % annua 0,9% -0,1% 1,5% 2,7% 2,0% 1,6% 1,2% -0,3% 2,5% 0,8% 0,6% 0,7% 0,3% 0,3% PIL (Miliardi Eurolire 1995) 866,6 923,1 933,1 952,0 969,1 985,3 1016,2 1034,5 1038,4 1042,2 1052,2 1066,9 1181,4 1304,3 1433,0

Variazione % annua 1,3 1,1 2,0 1,8 1,7 3,1 1,8 0,4 0,4 1,1 1,4 2,3 2,0 1,9

TEP per Miliardo di PIL 187 185 183 182 183 184 181 180 179 183 183 182 168 155 143

POPOLAZIONE PRESENTE milioni a metà anno (6) 56,9 56,6 56,7 56,9 57,0 57,1 57,2 57,3 57,4 57,5 57,6 57,7 58,2 58,6 59,0

TEP pro capite 2,9 3,0 3,0 3,0 3,1 3,2 3,21 3,21 3,21 3,31 3,3 3,4 3,4 3,5 3,5

(1) da tavola 22. (2) Milioni di mc, convertiti in tep in base al coefficiente 8,250. (3) dai kWh indicati a tav. 11, trasformati al coefficiente termoelettrico effettivo di ogni anno. (4) Combustibili a basso costo: emulsioni di greggi pesanti ad alto tenore di zolfo (Orimulsion) e olio combustibile Atz di qualità non conforme alle specifiche, utilizzati per produzione termoelettrica. A tali combustibili si attribuisce un potere calorifico di 6550 kcal/kg. (5) Comprende: A - Energia elettrica di origine idrica (al netto dei pompaggi), geotermica, vegetali, biomasse, RSU, eolico, fotovoltaico. B - Energia termica per settori domestico, industriale e trasporti derivante da vegetali/biomasse; geotermica/solare/RSU, biodiesel . (6) Dall'anno 1993 nuova metodologia di rilevazione.

UNIONE PETROLIFERA "Rilevazioni ed Analisi - Febbraio 2004

CNEL – Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro

64

SINTESI DEI RISULTATI DOMANDA ENERGETICA PRIMARIA

(percentuali)

1990

1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2010 2015 2020

SOLIDI 9,2 7,3 6,6 6,8 6,8 6,7 7,0 7,4 7,6 7,6 8,9 8,9 8,7 8,7 8,7

GAS NATURALE 24,1

26,3 27,2 27,6 29,0 30,9 31,7 31,4 31,3 33,4 34,3 35,1 36,9 38,9 40,0

IMP.NI NETTE DI EN. ELETTRICA 4,6

4,6 4,6 4,6 4,7 4,8 5,0 5,3 5,6 5,4 4,7 5,3 5,2 5,4 5,1

PRODOTTI PETROLIFERI 57,0

56,1 55,3 54,8 53,2 50,4 48,8 48,1 48,4 46,7 45,5 44,1 40,8 37,5 36,5

PETROLIO C.B.C. 0,2 0,6 0,9 0,9 0,9 0,8 0,1 - - - -

FONTI RINNOVABILI 5,1 5,7 6,3 6,2 6,1 6,6 6,6 6,9 6,2 6,1 6,5 6,6 8,4 9,5 9,7

TOTALE DOMANDA 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

UNIONE PETROLIFERA “Rilevazioni ed Analisi” – MARZO 2005

CNEL – Consiglio Nazio

ANNO Milioni

Tep TC

SOLIDI 15,0

GAS NATURALE 39,1

PETROLIO (1) 82,4

TOTALE

(1) I Milioni di Tep di energia cpetrolchimica, dei lubrificanti, d

Memoria: Le emissioni per il Gincludendo anche altri gas (qu

nale dell’Economia e del Lavoro

65

1990 ANNO 1995 ANNO 2000 ANNO 2005 ANNO 2010 ANNO 2015 ANNO 2020 Coeff. O2/tep

M.ton CO2

Milioni Tep

Coeff. TCO2/tep

M.ton CO2

Milioni Tep

Coeff. TCO2/tep

M.ton CO2

Milioni Tep

Coeff. TCO2/tep

M.ton CO2

Milioni Tep

Coeff. TCO2/tep

M.ton CO2

Milioni Tep

Coeff. TCO2/tep

M.ton CO2

Milioni Tep

Coeff. TCO2/tep

M.ton CO2

3,8 57 12,5 3,8 48 12,9 3,8 49 17,3 3,8 67 17,3 3,9 67 17,5 3,9 68 17,9 3,9 69

2,3 88 44,8 2,3 103 58,4 2,3 135 68,2 2,3 157 73,5 2,3 169 78,7 2,3 179 82,0 2,3 188

3,1 255 84,9 3,0 257 80,1 3,0 239 82,4 3,1 226 69,6 3,1 213 65,2 3,1 200 63,6 3,1 189

400 408 423 450 449 447 446

EMISSIONI DI CO2

orrispondono al totale consumo del Paese (inclusi i residui da gassificare per produzione di energia elettrica e i combustibili a basso costo) al netto del feedstock della ei bitumi e con i bunker marina ed il carboturbo assunti secondo la percentuale variabile indicata nel National Inventory Report.

as ad Effetto Serra (GHG) del settore energetico riportate nella Delibera Cipe di recepimento del Protocollo di Kyoto sono pari a 424,9 milioni di t di CO2 equivalente,ali il metano e il protossido di azoto).

UNIONE PETROLIFERA “Rilevazioni ed Analisi” – MARZO 2005

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CNEL – Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro

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CNEL – Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro

69

ALLEGATO 2

DOMANDA DI ENERGIA ED OFFERTA DI FONTI FOSSILI

ED URANIO NEL MONDO

SITUAZIONE ATTUALE E PROSPETTIVE FINO AL 2030

Roma, Dicembre 2004

CNEL – Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro

70

1. INTRODUZIONE

L'elaborazione del presente studio si basa sul rapporto "World Energy Outlook 2004" dell'Agenzia Internazionale dell'Energia AIE.

Questo rapporto, che costituisce la più aggiornata elaborazione sui problemi energetici mondiali (edita nell'autunno 2004) presenta, a partire dal 2002, uno scenario di sviluppo economico e la connessa prospettiva di domanda ed offerta di energia fino al 2030.

II presente studio analizza la situazione energetica fino all'anno 2020. Sono stati anche analizzati ed utilizzati altri studi e rapporti:

- "World Energy Investment Outlook 2003" - Agenzia Internazionale dell'Energia AIE "World Petroleum Assessment 2000" - U.S.Geological Survey

- "Survey of Energy Resources 200V- World Energy Council "BP Statistical Review of World Energy 2004" - BP Documentazione AIE 2004, sulla situazione petrolifera mondiale nel 2004

- Documentazione da altre fonti informative Le principali conclusioni del rapporto AIE sono le seguenti:

1 - Se continuano le politiche energetiche in atto nel mondo, la domanda di energia

crescerà entro il 2030 del 60 %. Le fonti fossili copriranno gran parte dell'incremento di domanda. Le quote del nucleare e delle fonti rinnovabili resteranno di limitata entità.

2 - Le risorse energetiche della terra saranno sufficienti a soddisfare la domanda anche se a costi di produzione e trasporto elevati. Per l'olio convenzionale il picco di produzione non sarà raggiunto prima del 2030. A tale proposito occorre sottolineare che le analisi del presente studio indicano che, nelle ipotesi di produzione del rapporto AIE, verso il 2025 la produzione cumulativa mondiale di olio convenzionale avrà raggiunto il SO % delle riserve complessive quantificate (produzione cumulativa + riserve residue + riserve potenziali da nuove scoperte e da rivalutazioni). In effetti queste riserve complessive non sono assimilabili alle riserve "ultimate" in quanto lo studio USGS (preso a base del rapporto AIE) considera solo le riserve addizionali potenzialmente accertabili nell'arco di 30 anni, non escludendo che ulteriori riserve potranno essere accertate successivamente.

3 - Serie preoccupazioni derivano dai rischi sulla sicurezza degli approvvigionamenti in relazione al forte incremento degli scambi internazionali di energia con forte crescita del ruolo di poche aree politicamente sensibili quali fornitori di olio e gas (accresciuto potere contrattuale dei paesi produttori ed esposizione ad attacchi terroristici/bellici degli impianti di produzione, trasporto e stoccaggio).

4 - Dubbi sulla sostenibilità dello sviluppo dei consumi energetici a causa del forte incremento delle emissioni di anidride carbonica.

5 - Dubbi sulla finanziabilità degli enormi investimenti necessari al soddisfacimento della domanda prevista (16.000 miliardi $ fino al 2030 concentrati per circa la metà nei Paesi in via di sviluppo) in relazione alla necessità che vi siano le condizioni perchè un tale impegno possa essere garantito dal sistema finanziario globale.

6 - E' possibile adottare una serie di misure di politica energetica e di sviluppo tecnologico per migliorare l'efficienza energetica e ridurre significativamente i consumi energetici rispetto allo scenario di riferimento (Scenario Alternativo).

7 - E' necessario portare avanti programmi di sviluppo della tecnologia nel campo nucleare e delle fonti rinnovabili perché in futuro si possa progressivamente

CNEL – Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro

71

alleggerire la dipendenza del sistema energetico mondiale dall'utilizzo delle fonti fossili, che genera la crescita delle emissioni di anidride carbonica.

Il presente studio, che riguarda le prospettive della situazione energetica mondiale

fino al 2020, parte dalla descrizione dello scenario economico e demografico e passa poi all'analisi dello scenario di domanda energetica di riferimento. Viene poi analizzata la situazione attuale delle riserve e della produzione delle fonti fossili e dell'uranio e l'entità delle riserve addizionali di olio e gas che potranno essere accertate in futuro. Sulla base di queste assunzioni si esamina con quali modalità l'offerta delle fonti fossili potrà soddisfare la domanda energetica mondiale.

Si esaminano quindi alcuni aspetti critici dello scenario: disponibilità delle riserve di olio non convenzionale, problemi geopolitici della disponibilità di olio e gas, entità degli investimenti necessari, problemi connessi al ciclo LNG, emissioni di anidride carbonica.

Si passa poi alla descrizione di uno scenario alternativo di domanda energetica basato su una serie di politiche energetiche che privilegiano l'efficienza energetica ed il contenimento delle emissioni di anidride carbonica.

Viene quindi esaminata la possibile evoluzione dei prezzi delle fonti energetiche fossili.

Nello studio sono state distinte 8 grandi aree geografiche (3 appartenenti all'OCSE, 1 comprendente i Paesi in transizione, 4 relative ai Paesi in via di sviluppo PVS): - OCSE

* Nord America: USA, Canada e Messico * Europa: Unione Europea (esclusi paesi baltici, Slovenia, Cipro e Malta), Norvegia,

Svizzera, Islanda, Turchia * Pacifico: Australia, Nuova Zelanda Giappone, Corea del Sud

- Paesi in transizione:

* Ex URSS, Balcani, Cipro e Malta - Paesi in via di Sviluppo (PVS)

* Cina * Altri Asia (Asia orientale ed Asia meridionale) * Medio Oriente * Africa * America Latina

2. SCENARIO ECONOMICO

Lo scenario economico presentato nel rapporto AIE prevede uno sviluppo medio annuo del PIL mondiale del 3,4% nell'arco del periodo 2002-2020 (3,7 % fino al 2010 e 3,2 % nel decennio successivo).

In particolare il tasso annuo di crescita é al 2,4 % nell'OCSE, al 4,7 % nei PVS e al 4,1 % nell'ex URSS e Balcani. La maggiore crescita é prevista in Cina (5,6 %) e Asia Meridionale (5,1 %), quella minore nel Pacifico OCSE (2,2 %) e in Europa (2,3 %). Più sostenuta la crescita in Nord America (2,8%).

La popolazione mondiale é prevista crescere da 6,2 miliardi nel 2002 a 7,5 miliardi nel 2020.11 tasso annuo di crescita é in media al 1,1 %, ma in decelerazione, passando da 1,2 % del periodo 2002-2010 a 1 % nel decennio successivo. La popolazione dei PVS é prevista crescere all' 1,3 % e quella dell'area OCSE allo 0,5 %. La popolazione dell'ex URSS e dei Balcani calerà al tasso annuo dello 0,2 %. Nell'ambito dei PVS i più forti tassi di crescita riguardano Medio Oriente (2,1 %) ed Africa (2,0 %).

CNEL – Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro

72

3. DOMANDA DI ENERGIA La domanda mondiale di energia é prevista crescere da 10,8 Gtep (miliardi tep) nel

2002 a 15,1 Gtep nel 2020 con un tasso di incremento medio annuo di 1,9 %. Il tasso annuo di crescita dovrebbe calare da 2,1 % nel periodo 2002-2010 a 1,7 % nel decennio successivo.

L'intensità energetica (energia primaria consumata per unità di PIL) é prevista in calo di 1,5 % all'anno a livello mondiale. Il tasso di variazione media annua é più moderato nell'area OCSE (-1,2 %), mentre é più forte per i PVS (-1,6 %) e soprattutto per l'ex URSS (-2,2 %) a causa dell'incremento delle attività a bassa intensità energetica, dell'introduzione di tecnologie con maggiore efficienza energetica, della riduzione degli sprechi e della riforma dei prezzi dell'energia.

Per quanto riguarda le fonti fossili, per l'intero periodo, la domanda di olio dovrebbe passare da 3,7 a 5,1 Gtep con un tasso annuo di incremento di 1,8 %, quella di gas da 2,2 a 3,5 Gtep al tasso di 2,6 % e quella del carbone da 2,4 a 3,2 Gtep, al tasso di 1,6 %.

Per le altre fonti é previsto uno sviluppo modesto del nucleare (0,6 %) e delle biomasse (1,4 %), ed uno più sostenuto dell'idroelettricità (+2,0 %) e delle altre fonti rinnovabili (6,2 %), comprendenti geotermica, solare, eolica, maree, onde.

Nello scenario proposto le quote di penetrazione delle diverse fonti variano solo di poco: l'olio rimane al primo posto quasi stabile sul 34 %, il gas sale di quasi 3 punti a 22,9 % sorpassando il carbone, che scende di 1 punto a 21,2 %, il nucleare perde oltre 1 punto e si porta a 5,2 %, le biomasse scendono di 1 punto a 9,5 %, la quota delle altre fonti rinnovabili raddoppia giungendo a 1,1 %.

La domanda di olio sarà sempre più concentrata nel settore dei trasporti dove avrà una concorrenza molto limitata dalle altre fonti energetiche. Nel settore residenziale e commerciale l'uso dell'olio diminuirà nei paesi OCSE, mentre conserverà un ruolo dominante in numerosi PVS.

Tra il 2003 e il 2020 é prevista una crescita da 80 a 107 Mbbl/g (milioni barili/giorno) al tasso medio annuo di 1,7 %. I PVS dovrebbero crescere al tasso di 3,0 %, con una punta di 4,1 % per la Cina, l'ex URSS e Balcani al 2,6 % e 1'OCSE allo 0,9 %.

La domanda dell'Estremo Oriente nel suo complesso é prevista superare già nel 2010 la domanda del Nord America (quasi 27 Mbbl/g).

Nel 2020 la domanda dovrebbe ammontare a 56 Mbbl/g nell'area OCSE, a 44 Mbbl/g nei PVS e a 7 Mbbl/g Nell'area ex URSS-Balcani.

Per il gas gran parte della crescita sarà assorbita dalla generazione di elettricità, in particolare nei PVS dove l'aumento dei consumi di elettricità sarà più rapido. 11 gas sarà preferito in particolare nelle nuove centrali per gli impianti ad alta efficienza a ciclo combinato.

Complessivamente é prevista una crescita nel periodo 2003-2020 da 2.600 a 4.100 Gmc (miliardi di metri cubi) con tasso di incremento medio annuo di 2,7 %, che é previsto passare da 33,2 % nel periodo 2002-2010 a 2,4 nel decennio successivo. I PVS vedranno uno sviluppo annuo al 4,6 % e l'area OCSE a 2,0 %.

Nel 2020 si prevede che la domanda sia di circa 1900 Gmc nell'area OCSE, 1300 Gmc nei PVS e di 900 Gmc nell'area ex URSS-Balcani.

Per il carbone, benché vi sarà una diminuzione della quota destinata alla generazione elettrica, é prevista una robusta crescita, in quanto esso costituisce il combustibile più diffuso in Cina ed India, paesi che registreranno i più elevati tassi di sviluppo della domanda energetica. Per quanto riguarda i consumi finali di carbone nei settori industriale e residenziale, la diminuzione nei paesi OCSE sarà più che compensata dall'incremento nei PVS.

A livello mondiale, nel periodo 2003-2020, si dovrebbe avere un aumento della domanda da 2,6 a 3,2 Gtep con un tasso medio annuo di 1,3 %. I consumi nei PVS sono

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73

previsti crescere ad un tasso del 2,2 % giungendo ad oltre 1,7 Gtep; quelli nell'area OCSE allo 0,3 % fino a 1,2 Gtep, per l'ex URSS e Balcani la domanda dovrebbe crescere allo 0,4 % fino ad oltre 0,2 Gtep.

Il ruolo dell'energia nucleare calerà progressivamente nell'arco del periodo considerato poiché in molti paesi vi sono restrizioni alle nuove costruzioni o programmi di uscita progressiva dal nucleare 4. OFFERTA DI FONTI FOSSILI E DI URANIO 4.1. Riserve residue e produzione di fonti fossili di energia e di uranio

Le riserve sono le quantità di combustibili fossili recuperabili, ossia le quantità di combustibili fossili che possono essere prodotte.

Le riserve certe sono le quantità di combustibili fossili che i dati geologici ed ingegneristici dimostrano, con ragionevole certezza, possano essere recuperate in futuro dai giacimenti nelle condizioni operative ed economiche esistenti, ossia con le tecnologie del momento ed in condizioni di economicità ai prezzi e costi del momento, senza sperare quindi in futuri miglioramenti tecnici ed operativi, in future riduzioni di costi o in futuri aumenti dei prezzi.

Le riserve probabili e possibili sono quantità di combustibili fossili già scoperte, la cui entità ed il cui recupero in futuro ha gradi decrescenti di certezza dal punto di vista geologico, ingegneristico ed economico. - Olio

L'olio comprende il greggio, i condensati (pentano e idrocarburi più pesanti separati dal gas in superficie a pressione atmosferica) e gli idrocarburi più leggeri (propano e butano) che sono liquefacibili a temperatura normale con pressioni da 10 a 20 bar. L'insieme dei condensati e degli idrocarburi più leggeri costituisce i "Natural Gas Liquids" o NGLs.

A fine 2003 (Tab.l) le riserve mondiali di olio ammontavano a 1148 Gbbl (miliardi di barili), ubicate in Medio Oriente (63 %), America Latina (9 %), Africa (9 %), ex URSS (8 %), Nord America (S %), Estremo Oriente (4 %) ed Europa (2 %).

In queste riserve sono comprese sia quelle di olio convenzionale (1102 Gbbl) che quelle di olio non convenzionale, comprendenti principalmente l'olio estraibile dalle sabbie bituminose del Canada (11 Gbbl) e dagli oli extra-pesanti del Venezuela (3S Gbbl). Il volume delle riserve di olio non convenzionale del Canada comprende solo le riserve che siano in una fase attiva di sviluppo mentre l'ammontare totale delle riserve recuperabili é stimato in 135 Gbbl. Per le riserve di olio extrapesante del Venezuela le riserve totali potrebbero ammontare ad oltre 400 Gbbl.

I più importanti paesi produttori ed esportatori, membri dell'OPEC, organizzazione che comprende 6 paesi del Medio Oriente (Arabia Saudita, Iran, Iraq, EAU, Kuwait e Qatar), 3 paesi dell'Africa (Libia, Nigeria ed Algeria), Venezuela e Indonesia, hanno i177 % delle riserve mondiali di olio.

Nel 2003 la produzione mondiale di olio é stata di 76,8 Mbbl/g. La prima area produttiva é stata il Medio Oriente (29 %), seguita da Nord America

(19 %), ex URSS (14 %), Africa (11 %), Estremo Oriente (10 %), America Latina (9 %) ed Europa (8 %).

La produzione OPEC é stata di 30,4 Mbbl/g (40 %). Il rapporto riserve/produzione, ossia il numero di anni di futura produzione con

l'attuale ritmo di produzione, é di 41 anni per il Mondo, 88 anni per il Medio Oriente, 42

CNEL – Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro

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anni per l'America Latina, 33 anni per l'Africa, 23 anni per l'Ex URSS, 17 anni per l'Estremo Oriente, 12 anni per il Nord America e 8 anni per l'Europa.

Ciò non significa che nell'anno 2040, continuando l'attuale ritmo produttivo, le riserve di olio del mondo saranno esaurite, poiché in futuro riserve addizionali di olio saranno scoperte con l'esplorazione o diventeranno disponibili attraverso l'incremento del fattore di recupero. - Gas naturale

A fine 2003 le riserve mondiali di gas naturale erano 158.000 Gmc, ubicate in Medio Oriente (41 %), ex URSS (32 %), Africa (8 %), Estremo Oriente (8 %), Nord America (4 %), America Latina (4 %) ed Europa (3 %), con un diverso grado di concentrazione geografica rispetto all'olio.

Nel 2003 la produzione mondiale di gas naturale é stata 2618 miliardi mc. La prima area produttiva é stata il Nord America (28 %), seguita da ex URSS (28

%), Estremo Oriente (12 °%), Europa (11 %), Medio Oriente (10 %), America Latina (6 %) Africa (S %).

Il rapporto riserve/produzione é stato di 67 anni per il Mondo, 278 anni per il Medio Oriente, 97 anni per l'Africa, 78 anni per l'Ex URSS, 46 anni per l'America Latina, 43 ani per l'Estremo Oriente, 20 anni per Europa e 10 anni per il Nord America. - Carbone

A fine 2003 (le riserve mondiali di carbone ammontavano a 984 miliardi ton (501 miliardi tep), ubicate in Estremo Oriente (32 %), Nord America (25 %), ex URSS (22 %), Europa (12 %), Africa (7 %) ed America Latina (2 %), con un grado di concentrazione geografica molto differente da quello dell'olio e del gas naturale.

Nel 2003 la produzione mondiale di carbone é stata equivalente a 2519 milioni tep. La prima area produttiva é stata l'Estremo Oriente (S2 %), seguita da Nord America (23 %), Europa (9 %), ex URSS (8 %), Africa (6 %) ed America Latina (2 %). Nel Medio Oriente vi é stata una produzione estremamente ridotta.

Il rapporto riserve/produzione é stato di 199 anni per il mondo, 518 anni per l'ex URSS, 120-270 anni per le altre aree. Ciò indica che il volume delle riserve non é un fattore limitante per una crescita futura della produzione in tutte le aree. - Uranio

A fine 1999 le riserve provate (a costo < 80 $/kg) di uranio (U) nel mondo ammontavano a 2,5 milioni ton, ubicate in ex URSS (28 %), Estremo Oriente (26 %), Africa (20 %), Nord America (17 %), America Latina (7 %), ed Europa (2 %).

I più importanti paesi erano Australia (S71 kton), Kazakhstan (437 kton), Canada (326 kton), Sud Africa (233 kton), Brasile (169 kton), Namibia (149 kton), Russia (141 kton), USA (105 kton), Niger (71 kton) ed Uzbekistan (66 kton). L'insieme di questi 10 paesi possedeva il 91 % delle riserve mondiali di uranio (a costo < 80 $/kg). A queste riserve vanno aggiunte:

- riserve provate (a costo di 80-130$/kg) per 0,8 milioni ton - riserve addizionali (geologicamente note, ma con minore livello di affidabilità) per

2,5 milioni ton - riserve scopribili per 10,7 milioni ton. Le riserve conosciute e le risorse potenziali ammontavano quindi nel 1999 a 16,5

milioni ton. Nel 1999 la produzione mondiale di uranio (tab. 15) é stata di 32.600 ton. La prima area produttiva é stata il Nord America (3l %), seguita da ex URSS, Africa

ed Estremo Oriente (21-22 % ciascuna) ed Europa (4 %).

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I più importanti paesi produttori (Tab. 16 e Tab. l6a) erano Canada (8,2 kton), Australia (6 kton), Niger (2,9 -ton), Namibia (2,7 kton), Russia (2,6 kton), Uzbekistan (2,1 kton), USA (1,8 kton), Kazakhstan (1,6 kton), Sud Africa (1,1 kton) ed Ucraina (1 kton)_ L'insieme di questi 10 paesi produceva il 92 % del totale mondiale.

Il rapporto riserve/produzione é stato di 76 anni per il mondo, con oscillazioni tra 30 e 100 anni per le diverse aree. Considerando anche le riserve provate con costo fino a 130 $/kg, il rapporto riserve/produzione a livello mondiale era nel 1999 pari a 101 anni.

La domanda di uranio ammontava nel 1999 a 61.600 ton, mentre la capacità produttiva era di 45.800 ton (7S % della domanda).

A partire dal 1991 la domanda è stata soddisfatta in larga parte con le scorte di uranio accumulate in precedenza, in particolare nell'ex URSS, e si ritiene che tale situazione permarrà almeno fino al 2010, per cui la capacità produttiva viene mantenuta ad un livello inferiore a quello della domanda. Tensioni sui prezzi potrebbero accadere se si dovessero verificare interruzioni nell'utilizzo delle scorte. Va comunque tenuto presente che il rapporto riserve/domanda era nel 1999 di 40 anni per le riserve con costo < 80 $/kg e di 53 anni considerando anche le riserve con costo fino a 1 30 $/kg.

Considerando anche le riserve addizionali e quelle scopribili si può ritenere che la disponibilità di riserve di uranio nel mondo non é un fattore limitante per mantenere ed incrementare l'attuale livello della produzione elettrica nucleare. 4.2. Riserve potenziali di olio e gas

Per una valutazione della futura offerta di olio e gas occorre considerare, accanto alle riserve certe, le riserve che potranno essere addizionate in futuro ("riserve potenziali") attraverso:

- la scoperta di nuovi giacimenti ("riserve scopribili"), con pozzi esplorativi "new field wildcats" - la rivalutazione delle riserve dei giacimenti già scoperti ("riserve da rivalutazioni") mediante:

- pozzi esplorativi di estensione dei giacimenti già scoperti ("extension wells", "new pool tests", "deeper pool tests", "shallower pool tests")

- studi sul comportamento produttivo del giacimento, che dimostrino un incremento della stima delle riserve recuperabili, senza interventi operativi

- interventi per il miglioramento del recupero primario (con la perforazione di nuovi pozzi produttivi, con la realizzazione di nuovi impianti di produzione, con interventi di manutenzione)

- interventi per il miglioramento del recupero secondario e terziario (con l'iniezione di acqua, gas, calore e additivi chimici) Uno studio condotto dall'United States Geological Survey (USGS), pubblicato nel

2000, e basato sulla stima a fine 1995 delle riserve originarie, della produzione cumulativa e delle riserve residue di olio e gas dei bacini sedimentari più interessanti delle diverse aree geografiche del mondo (contenenti circa il 94% delle riserve residue totali mondiali), ha portato ad una stima delle riserve di olio e gas potenzialmente scopribili in 30 anni nei diversi bacini e ad una stima delle rivalutazioni, potenzialmente effettuabili in 30 anni, delle riserve dei giacimenti già scoperti, relativa a due grandi aree (USA e Resto del Mondo).

I risultati dello studio indicano che, a livello mondiale, nei soli bacini considerati, a fine 1995, le riserve scopribili di olio, pari a 939 miliardi di barili (Gbbl), erano di entità analoga a quella delle riserve residue già note, pari a 959 Gbbl; la rivalutazione attesa delle riserve di giacimenti già scoperti ammontava a 730 Gbbl. Le riserve potenziali addizionali complessive erano quindi stimate in 1669 Gbbl, pari quindi al volume delle riserve originarie (riserve residue + produzione cumulativa) stimate in 1677 Gbbl. Un confronto con la realtà storica mostra che negli ultimi 30 anni (1973-2002) le riserve addizionali di olio nel mondo (da scoperte e rivalutazioni) ammontano a 1135 Gbbl. Le

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riserve potenzialmente addizionabili in un trentennio, secondo la stima USGS, sono dunque pari al 147 % di quelle addizionate nell'ultimo trentennio.

A livello mondiale, nei bacini considerati, le riserve scopribili di gas, pari a 147 migliaia di miliardi di mc (TmO, erano di entità analoga a quella delle riserve residue già note, stimate in 136 Tmc; la rivalutazione attesa delle riserve di giacimenti già scoperti ammontava a 104 Tmc. Le riserve potenziali addizionali complessive erano quindi stimate in 251 Tmc, più elevate, quindi, delle riserve originarie (185 Tmc). Un confronto con la realtà storica mostra che negli ultimi 30 anni (1973-2002) le riserve addizionali di gas nel mondo (da scoperte e rivalutazioni) ammontano a 186 Tmc. Le riserve potenzialmente addizionabili in un trentennio, secondo la stima USGS, sono dunque pari al 135 % di quelle addizionate nell'ultimo trentennio).

Un'analisi critica di questi risultati mette in evidenza che per l'olio il rapporto tra le riserve scopribili e le riserve originarie dei campi già scoperti é negli USA pari a 41 % contro 58 % nel resto del mondo.

Poiché la maturità esplorativa degli USA (data dal numero di pozzi esplorativi, e dal relativo metraggio, perforato per unità di superficie dei bacini potenzialmente petroliferi) é di gran lunga superiore a quella di tutte le altre aree del mondo la differenza tra i valori di questi rapporti appare a prima vista troppo esigua.

Va d'altro canto ricordato che la metodologia di calcolo delle riserve é negli USA generalmente più prudenziale che nelle altre aree geografiche, per cui appare probabile che le riserve originarie dei campi scoperti negli USA, se fossero stimate con le metodologie utilizzate nel resto del mondo, risulterebbero più elevate.

Ma, considerando che la difformità di valutazione delle riserve tra USA e resto del mondo riguarda solo i campi scoperti negli ultimi anni e che gran parte delle riserve originarie siano riferite a campi scoperti in un passato remoto (la storia dell'attività petrolifera negli USA risale al 1859), si può ritenere che questa difformità di valutazione possa alterare solo di poco la relazione tra i valori analizzati.

Da questo riesame si può quindi trarre la conclusione che le valutazioni USGS sulle riserve scopribili nel resto del mondo siano più pessimistiche di quelle riferite agli USA. Considerato che 1'USGS conosce molto approfonditamente la situazione geopetrolifera del territorio USA, appare credibile la valutazione del potenziale USA, mentre, in confronto, apparirebbe a prima vista sottostimato il potenziale di riserve scopribili nel Resto del Mondo.

Negli USA, per l'olio, il rapporto tra rivalutazione attesa delle riserve e riserve residue negli USA é pari a 259 %, mentre nel resto del mondo questo rapporto assume il valore 71 %.

Anche se per le differenza sopra ricordata tra le metodologie di valutazione delle riserve negli USA e nel resto del mondo, appare giustificata una maggiore potenzialità di rivalutazione delle riserve negli USA, la disparità tra i valori di questo rapporto tra le due aree induce a ritenere che le valutazioni USGS sul potenziale di rivalutazione delle riserve nel resto del mondo siano più pessimistiche rispetto a quelle riferite agli USA.

Per le considerazioni prima riportate apparirebbe sottostimato il potenziale di rivalutazione delle riserve nel resto del mondo.

Per quanto riguarda il gas, l'esame dei dati sul potenziale di riserve scopribili e sul potenziale di rivalutazione delle riserve dei campi già scoperti negli USA e nel resto del mondo porta a conclusioni analoghe a quanto sopra illustrato per l'olio, ossia ad una apparente sottostima delle riserve potenzialmente addizionabili nel resto dl mondo.

Il valore del rapporto tra riserve scopribili in nuovi campi e riserve originarie dei campi già scoperti é, infatti, pari a Sl % per gli USA e a 85 % per il resto del mondo, mentre il rapporto tra il potenziale di rivalutazione delle riserve dei campi già scoperti e le

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riserve residue degli stessi campi é pari a 206 % per gli USA e 72 °% per il resto del mondo.

In conclusione le stime sulle riserve potenziali di olio e gas eseguite dall'USGS sono complessivamente accettabili e forse anche cautelative, ma il tempo necessario per la loro individuazione é molto probabilmente ben superiore ai 30 anni indicati in realtà da USGS come mera potenzialità e non come effettiva disponibilità. 4.3. Riserve di olio e gas disponibili fino al 2020

La costruzione dello scenario di offerta di olio e gas si é basata sull'analisi delle riserve residue a fine 2003 e della disponibilità progressiva nel tempo delle riserve potenzialmente scopribili in nuovi campi e di quelle che potranno derivare dalla potenziale rivalutazione delle riserve dei campi già scoperti.

Considerato, come prima menzionato, che il rapporto tra le riserve potenzialmente addizionabili in 30 anni indicate nello studio USGS e le riserve effettivamente addizionate negli ultimi 30 anni é pari al 147 % per l'olio e al 1-35 % per il gas, si é ritenuto prudenziale ipotizzare che le scoperte dei potenziali nuovi giacimenti di olio e gas e le rivalutazioni delle riserve dei campi già scoperti si realizzino in un periodo di tempo più ampio di quello indicato nello studio USGS.

Pertanto si é ipotizzato che tale periodo di tempo sia in effetti di 45 anni, pari cioè al 150% di quello indicato dallo studio USGS. Ipotizzando una distribuzione omogenea nel tempo delle nuove scoperte e delle rivalutazioni attese, l'ammontare complessivo di riserve addizionali in un trentennio sarebbe pari al 98% delle riserve di olio ed al 90 % delle riserve di gas effettivamente addizionate nell'ultimo trentennio.

Considerato che la valutazione USGS si riferisce alla situazione a fine 1995, si é ritenuto che le riserve addizionali relative agli 8 anni trascorsi tra il 1995 e il 2003 siano state già inglobate nelle riserve residue dichiarate esistenti a fine 2003. Restano in tal caso 37 quarantacinquesimi delle riserve addizionali attese e, in particolare, solo 17 quarantacinquesimi disponibili come riserve nell'arco del periodo di tempo tra la fine del 2003 ed il 2020. 4.4. Offerta di olio

La produzione di olio convenzionale é prevista passare da 76,1 Mbbl/g nel 2003 a 84,6 Mbbl/g nel 2010 ed a 97,7 Mbbl/g nel 2020. Ad essa si aggiunge la produzione di olio non convenzionale, ottenuta soprattutto dalle sabbie bituminose del Canada, dagli oli extra-pesanti del Venezuela e dagli impianti GtL (che producono distillati medi a partire dal gas naturale).

La produzione complessiva di olio non convenzionale é prevista passare da 1,7 Mbbl/g nel 2003 a 3,8 Mbbl/g nel 2010 (di cui 0,4 Mbbl/g di GtL) ed a 6,5 Mbbl/g nel 2020 (di cui 1,5 Mbbl/g di GtL).

Considerando infine il valore dei processing gains, ossia l'incremento di volume derivante dalla trasformazione dei greggi in prodotti petroliferi si ottiene la quantità complessiva dell'offerta di olio che va a bilanciare la domanda, che é prevista passare da 79,6 Mbbl/g nel 2003 a 90,4 Mbbl/g nel 2010 e 106,7 Mbbl nel 2020.

Raffrontando i dati dell'offerta di olio con quelli della domanda si ottiene un quadro dell'exportimport netto di olio tra le aree geografiche principali a cui occorre aggiungere gli scambi internazionali interni alle singole aree geografiche.

Gli scambi inter-area sono previsti passare da 33 Mbbl/g nel 2003 a 56 Mbbl/g nel 2020 con un tasso di incremento annuo del 3,2 %. Tra le diverse aree i più elevati tassi di incremento delle importazioni si registrano in Cina (>8 %) e nell'Asia sud-orientale e meridionale (6 %).

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I volumi di produzione delle singole aree geografiche non-OPEC sono stati stimati sulla base delle riserve disponibili a fine 2003 e e di quelle che si prevede si renderanno disponibili entro il 2020. La crescita della produzione nei paesi OPEC (ad eccezione dell'Indonesia che ha limitate riserve petrolifere ed un basso rapporto riserve/produzione) é stata stimata soprattutto in relazione alla necessità di bilanciamento della domanda petrolifera mondiale, poiché si ritiene che, nel periodo considerato, la disponibilità di riserve ed il valore del rapporto riserve/produzione siano abbastanza elevati da non costituire in generale un fattore limitante per la crescita produttiva in questi paesi.

Il problema principale da risolvere, per raggiungere i livelli produttivi indicati nello scenario per i paesi OPEC, é invece quello della realizzazione degli investimenti per lo sviluppo delle riserve di tali paesi e per lo stoccaggio e trasporto dell'olio prodotto.

I profili di produzione riportati indicano che l'area non-OPEC raggiunge i valori massimi intorno al 2010 (51 Mbbl/g), per incominciare poi un declino che riconduce la produzione convenzionale a valori (48 Mbbl/g) di poco superiori a quelli del 2003.

Tra il 2003 ed il 2020, nell'ambito dell'area non-OPEC, cali sensibili di produzione sono previsti in Europa Asia e Medio Oriente, mentre incrementi rilevanti sono attesi nell'ex URSS, in America latina ed in Africa.

In conseguenza della sostanziale stagnazione prevista per la produzione non-OPEC, la quota percentuale della produzione OPEC sulla produzione convenzionale mondiale cresce, raggiungendo nel 2020 valori superiori al 50%, passando da un volume di 30 Mbbl/g nel 2003 a 50 Mbbl/g nel 2020.

Nell'ambito dell'OPEC la crescita maggiore si dovrebbe verificare in Medio Oriente (da 21 Mbbl/g nel 2003 a 37 Mbbl/g nel 2020.

La ricostruzione dei profili produttivi nelle diverse aree geografiche nei singoli anni tra il 2003 ed il 2020 e la valutazione delle disponibilità di riserve aggiuntive nel corso del periodo derivanti da nuove scoperte e da rivalutazioni ha permesso la stima dell'andamento nel tempo delle riserve e del conseguente valore del rapporto riserve/produzione (R/P),che rappresenta un indice rilevante ai fini della sostenibilità delle ipotesi di produzione assunte.

Le elaborazioni svolte indicano un mantenimento delle riserve mondiali di olio convenzionale ad un livello costante di 1100-1200 Gbbl, mentre all'incremento della produzione fa riscontro la diminuzione di R/P da 40 anni nel 2003 a 33 anni nel 2020.

Per l'area non-OPEC R/P rimarrebbe sostanzialmente stabile intorno a 1 5 anni. L'analisi mostra inoltre che R/P per le singole aree geografiche distinte nel presente

studio assume valori inferiori a 10 anni, ma comunque superiori a 7 anni, solo in Europa e, relativamente al 2020, nell'Africa non-OPEC.

Sono state poi elaborate due ipotesi di tipo cautelativo denominate "A" e "B". Nell'ipotesi A il volume di riserve addizionali annuali (per nuove scoperte e per

rivalutazioni) si riduce del 25 % rispetto alle ipotesi prima formulate. Nell'ipotesi B la riduzione é del 50 %. Nell'ipotesi A a livello mondiale le riserve di olio convenzionale ammonterebbero a valori compresi tra 1000-1 100 Gbbl ed R/P scenderebbe a 35 anni nel 2010 ed a 29 anni nel 2020.

R/P registrerebbe, sia nel 2010 che nel 2020, valori inferiori a 10 anni anche nel Nord America, e valori inferiori a 6 anni in Europa e, limitatamente al 2020, nell'Africa non-OPEC.

In tal caso si creerebbero problemi di sostenibilità delle ipotesi di produzione assunte almeno per queste aree critiche e ne deriverebbe di conseguenza la necessità di una ulteriore crescita della quota di produzione delle aree OPEC.

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Nell'ipotesi B a livello mondiale le riserve di olio convenzionale si manterrebbero superiori a 1000 Gbbl nel 2010 e scenderebbero sotto 900 Gbbl nel 2020. R/P scenderebbe a 33 anni nel 2010 ed a 24 anni nel 2020.

Nell'area non-OPEC R/P calerebbe a poco più di 10 anni nel 2010 ed a meno di 7 anni nel 2020, con situazioni molto preoccupanti in Nord America, Europa ed Africa.

Prendendo in considerazione i dati di domanda e di offerta petrolifera relativi ai primi 9 mesi del 2004, si nota un improvvisa accelerazione della crescita con un incremento di domanda di 2,9 Mbbl/g rispetto al corrispondente periodo del 2003, ben più elevato della crescita annuale negli anni precedenti (1,8 Mbbl/g nel 2003 e una media annuale di 0,85 Mbbl/g nel quinquennio 1998-2002). Questa crescita é legata soprattutto allo sviluppo economico impetuoso che caratterizza la Cina e gli altri PVS dell'Asia. L'incremento di domanda é stato bilanciato in larga parte con un aumento dell'offerta OPEC e in misura molto inferiore con l'aumento dell'offerta non-OPEC, in particolare dell'ex URSS.

Se il tasso di crescita della domanda petrolifera dovesse rimanere su livelli superiori a quelli assunti nello scenario per alcuni anni dopo il 2004, l'incremento della quota produttiva OPEC subirebbe una ulteriore accelerazione. 4.5. Offerta di gas

La produzione mondiale di gas é prevista passare da 2619 Gmc nel 2003 a 3265 Gmc nel 2010 ed a 4254 Gmc nel 2020.con un tasso medio annuo di sviluppo del 2,9 %.

Detraendo dalle produzioni i crescenti volumi di gas destinati agli impianti GtL per la trasformazione in distillati (da 4 Gmc nel 2003 a 150 Gmc nel 2020), si ottiene il volume dell'offerta di gas destinata a sopperire alla domanda mondiale di gas. Esso é previsto crescere da 2615 Gmc nel 2003 a 3225 Gmc nel 2010 ed a 4104 Gmc nel 2020 con un tasso di incremento medio annuo del 2,7 %.

I maggiori tassi di incremento delle produzioni sono previsti in Medio Oriente, Africa ed America latina (valori compresi tra 5,5 % e 6 %).In valori assoluti le principali aree di produzione nel 2020 restano l'ex URSS (oltre 1000 Gmc), il Nord America (900 Gmc) ed il Medio Oriente (700 Gmc).

Il quadro previsivo della domanda e dell'offerta di gas mette in evidenza una forte crescita degli scambi tra le diverse aree geografiche per cui il volume complessivo di importazioni nette delle aree importatrici (Nord America, Europa, Pacifico OCSE e Cina) dovrebbe crescere da 290 Gmc nel 2003 a 460 Gmc nel 2010 ed a 680 Gmc nel 2020.

In particolare la quota di questo volume che utilizza il ciclo LNG (liquefazione, trasporto via mare e rigasificazione) dovrebbe passare da circa 150 Gmc nel 2003 a circa 250 Gmc nel 2010 ed a circa 400 Gmc nel 2020. Questa forte crescita dei volumi di scambi inter-area di LNG in soli 17 anni, a cui dovrebbe aggiungersi una più modesta quota di scambi di LNG all'interno di qualche area (es. dall'Australia al Giappone nell'ambito dell'area Pacifico OCSE), comporterebbe l'effettuazione di una mole imponente di investimenti per la realizzazione delle infrastrutture di produzione, trasporto locale via gasdotto e liquefazione nelle aree produttrici ed esportatrici (in particolare in Medio Oriente, Africa, Asia sud-orientale ed America latina), di una grande flotta di navi metaniere e delle infrastrutture di rigasificazione e trasporto locale via gasdotti nelle aree di consumo (Europa, Nord America, Asia nord-orientale ed Asia meridionale.

La ricostruzione dei profili produttivi nelle diverse aree geografiche nei singoli anni tra il 2003 ed il 2020 e la valutazione delle disponibilità di riserve aggiuntive nel corso del periodo derivanti da nuove scoperte e da rivalutazioni ha permesso la stima dell'andamento nel tempo delle riserve e del conseguente valore di R/P.

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Le elaborazioni svolte indicano una crescita delle riserve mondiali di gas da 176 Gmc nel 2003 a 209 Gmc nel 2020, mentre all'incremento della produzione fa riscontro la diminuzione di R/P da 70 anni nel 2003 a 49 anni nel 2020.

L'analisi mostra inoltre che RIP, per le singole aree geografiche distinte nel presente studio, assume valori inferiori a 15 anni solo in Nord America dove il rapporto passa da 9,5 anni nel 2003 a 4,5 anni nel 2020. Ciò indica che almeno per questa area vi siano forti dubbi sull'effettiva sostenibilità delle ipotesi di produzione assunte.

Nell'ipotesi cautelativa A (il volume di riserve addizionali annuali si riduce del 25 % rispetto alle ipotesi base) a livello mondiale nel 2020 le riserve si ridurrebbero a 186 Gmc, ed R/P a 44 anni. Nelle singole aree R/P registrerebbe, sia nel 2010 che nel 2020, valori inferiori a 10 anni solo nel Nord America, dove però i valori estremamente bassi risulterebbero molto più critici rispetto all'ipotesi assunta di riserve addizionali, con una evidente impossibilità di mantenere il profilo produttivo proposto e la conseguente necessità di accrescere il già rilevante volume delle importazioni, nell'ipotesi di mantenimento del livello di domanda.

Nell'ipotesi cautelativa B (il volume di riserve addizionali annuali si riduce del 50 % rispetto alle ipotesi base) a livello mondiale nel 2020 le riserve si ridurrebbero a 162 Gmc, ed R/P a 38 anni. Nelle singole aree R/P registrerebbe, sia nel 2010 che nel 2020, valori inferiori a 10 anni in Europa, mentre nel Nord America R!P si ridurrebbe drasticamente già nel 2010 e nel 2020 le riserve di gas risulterebbero esaurite. 4.6. Offerta di carbone

La grande abbondanza delle riserve di carbone (che al 2003 presentano un rapporto riserve/produzione R/P di 199 anni), in particolare nei paesi (Cina e India) col maggiore sviluppo economico nel corso dei prossimi, consente un incremento della produzione sufficiente a soddisfare la domanda di carbone prevista ed anche le esigenze energetiche che in alcune aree potrebbero non essere coperte con il gas naturale. 5. ASPETTI CRITICI 5.1. Problemi della disponibilità di olio non convenzionale

Accanto alle riserve convenzionali, esistono abbondanti riserve di olio non convenzionale costituite soprattutto dagli oli extra-pesanti del Venezuela e dall'olio estraibile dalle sabbie bituminose del Canada. Come menzionato in precedenza, il volume complessivo di queste riserve, in Canada e Venezuela, é stimato in circa 580 Gbbl (comprendendo anche le riserve probabili).Nello scenario di offerta si prevede che di queste riserve solo 14 Gbbl verranno prodotti entro il 2020. La disponibilità di una parte significativa di questo volume di riserve nell'arco del periodo 2004-2020 potrebbe migliorare il quadro generale delle riserve anche nell'ipotesi del dimezzamento delle riserve addizionali convenzionali (ipotesi B).

La tecnologia di utilizzo di queste riserve é già nota e sperimentata con costi di produzione compatibili con scenari di prezzi di circa 20 $/bbl, in termini reali.

L'utilizzo di ingenti volumi di altre fonti non convenzionali di olio (scisti bituminosi, carbone e biomasse) incontra ancora sostanziali problemi tecnologici e di definizione dei costi. 5.2. Problemi geopolitici della disponibilità di olio e gas

Nello scenario proposto la quota OPEC delle riserve convenzionali é prevista rimanere sul valore del 77 % fino al 2020, grazie all'apporto delle riserve addizionali che, secondo lo studio USGS sono ubicate per il 48 % nell'area OPEC e per il 52 % nell'area non-OPEC.

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D'altra parte la quota OPEC sulla produzione di olio convenzionale é prevista passare dal 39 % del 2003 al 51 % nel 2020. In valori assoluti la produzione OPEC passa da 30 Mbbl/g nel 2003 a 47 Mbbl/g nel 2015 e a 81 Mbbl/g nel 2030. Nell'ambito dell'OPEC l'area del Medio Oriente passa da 21 Mbbl/g nel 2003 a 50 Mbbl/g nel 2020.

Il controllo dell'OPEC e, più in particolare del Medio Oriente, sul mercato petrolifero diventa quindi sempre più rilevante.

La produzione dell'area dei Paesi industrializzati OCSE é invece prevista scendere da 21 Mbbl/g del 2003 a 16 Mbbl/g del 2020, mentre l'ex URSS dovrebbe mantenere fino al 2020 il livello di quasi 15 mbbl/g che dovrebbe raggiungere verso il 2010, ripartito per 2/3 in Russia e per 1/3 nei paesi dell'area caspica.

Naturalmente nelle ipotesi cautelative di riduzione delle riserve addizionali che si renderanno disponibili entro il 2020, ed in particolare nell'ipotesi B (dimezzamento delle riserve addizionali), il mantenimento dei livelli produttivi complessivi previsti dallo scenario sarebbe realistico solo con un incremento molto forte della quota OPEC e con l'utilizzo massiccio delle riserve di olio non convenzionale del Canada e del Venezuela.

Per il livello di esportazioni di olio destinate ad altre aree il Medio Oriente passa da 18 Mbbl/g nel 2003 (54 % del totale di esportazioni inter-area) a 34 Mbbl/g nel 2020 (60 %) mentre l'Africa e prevista passare da 6 Mbbl/g nel 2003 (18 %) a 8 Mbbl/g nel 2020 (14 %)

Per quanto riguarda il gas, la situazione attuale delle riserve vede una forte presenza del Medio Oriente (41 %) e dell'ex URSS (32 %). Nello scenario proposto si arriverebbe nel 2020 ad un incremento della quota di riserve sia del Medio Oriente (43 %) che dell'ex URSS (34 %).

Per la produzione la quota dell'ex URSS si ridurrebbe leggermente (dal 28 % al 25 %), mentre il Medio Oriente passerebbe dal 9 % attuale al 16 % nel 2020.

Negli scambi di gas tra le aree il Medio Oriente passerebbe da 35 Gmc nel 2003 (12 % del totale esportazioni inter-area) a 207 Gmc nel 2020 (30 %).

L'Africa conserverebbe la sua quota del 26 % passando da 75 Gmc nel 2003 a 170 Gmc nel 2020.

Da questo quadro emerge che la quota complessiva di esportazioni provenienti da aree di potenziale crisi (Africa e Medio Oriente) cresce tra il 2000 e il 2020 dal 72 % al 74 % per l'olio e dal 38 % al 56 % per il gas. 5.3. Entità degli investimenti

Nello scenario é previsto che dal 2004 al 2020 vengano scoperte 355 Gbbl di olio e 56.000 Gmc di gas per un totale di circa 700 Gboe (miliardi barili di olio equivalente). La produzione cumulativa nello stesso periodo é prevista in 570 Gbbl di olio e in 59.000 Gmc di gas per un totale di 935 Gboe. Lo studio dell'AIE "World Investment Outlook 2003" valuta che nel periodo 2001-2030 siano necessari investimenti per l'esplorazione e lo sviluppo dei giacimenti pari a circa 4,2 miliardi $. Per lo stesso periodo la produzione cumulativa di olio e gas é prevista in 1750 Gboe (1100 Gboe olio e 650 Gboe gas) con un investimento unitario di 2,4 $/boe di produzione, Questo parametro indica l'investimento necessario per ricostituire attraverso attività di esplorazione e sviluppo le riserve via via prodotte.

Il valore unitario di 2,4 $lboe appare chiaramente basso e ciò può essere in parte spiegato con la crescente rilevanza che avranno le aree a basso costo dell'OPEC nello sviluppo di olio e gas. Applicando tale parametro alle produzione cumulativa 2004-2020 l'ammontare complessivo degli investimenti upstream ammonterebbe a circa 2300 miliardi $.

Agli investimenti upstream si debbono aggiungere per l'olio quelli per la raffinazione e per il trasporto, stimati dall'AIE, per il periodo 2001-2030 rispettivamente in poco più di

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400 e 250 miliardi $. Si stima che nel periodo 2004-2020 gli investimenti per la raffinazione ed il trasporto dell'olio ammonteranno complessivamente a circa 350 miliardi $.

Per il gas l’'AIE stima per il periodo 2001-2030 gli investimenti di trasporto, stoccaggio e distribuzione in circa 1200 miliardi $. Si stima che gli investimenti per il periodo 2004-2020 ammontino a circa 700 miliardi $. 5.4. Problemi connessi al ciclo LNG

Gli scambi inter-area attraverso il ciclo LNG, nello scenario presentato, dovrebbero passare da 150 Gmc del 2003 a un valore di circa 400 Gmc nel 2020, e, tenendo conto degli scambi all'interno delle aree esaminate, da 170 Gmc nel 2003 a circa 450 Gmc nel 2020.

La stima dell'AIE sugli investimenti destinati a moltiplicare per 6 la movimentazione del sistema LNG mondiale, da 137 Gmc nel 2000 a 800 Gmc nel 2030, é modesta (250 miliardi $) ed é basata sull'ipotesi di una riduzione di quasi il 40 % dei costi unitari di investimento tra il 2002 ed il 2030. Più cautelativamente si può stimare che gli investimenti nel periodo 2004-2020 per il ciclo LNG ammontino a 150-200 miliardi $.

Attualmente, utilizzando riserve di gas di rilevante volume e dal costo upstream molto contenuto, gli investimenti LNG sono economicamente compatibili con un prezzo del petrolio di circa 20 $/bbl, ossia con un prezzo di circa 3,4 $/Mbtu.

Comunque il numero e l'ampiezza degli impianti di liquefazione e di rigasificazione da realizzare nelle varie aree del mondo produttrici ed utilizzatrici di LNG pone problemi operativi complessi legati anche ai rischi ambientali connessi in particolare alla sicurezza anti-terrorismo.

5.5 Emissioni di anidride carbonica

Le emissioni di anidride carbonica sono previste passare nello scenario AIE da 23,6 Gton nel 2002 a 33.2 Gton nel 2020 con un tasso di incremento medio annuo di 1,9 °ío. Il 64 % dell'incremento delle emissioni é previsto avvenire nei Paesi in via di sviluppo sia per il forte incremento di consumi energetici, sia per il più forte ruolo che avranno il carbone e gli idrocarburi rispetto ai paesi industrializzati.

Conseguentemente tra il 2003 ed il 2020 la quota delle emissioni nei PVS passerà dal 35 % al 43 %, mentre quella dell'area OCSE calerà dal 53 % al 46 % e l'area ex URSS-Balcani rimarrà stabile sul 10%. 6. SCENARIO DI POLITICHE ENERGETICHE ALTERNATIVE

Nello scenario di riferimento fin qui illustrato vengono considerate le politiche energetiche attualmente adottate nelle diverse aree del mondo. Ne risulta:

- forte crescita dei consumi energetici, in particolare da fonti fossili, e, conseguentemente * forte incremento delle emissioni di anidride carbonica,

- rilevante aumento della quota OPEC sulla produzione petrolifera mondiale, sia in termini assoluti che in percentuale,

- creazione di uno stato di tensione dei prezzi petroliferi ed a cascata dell'intero sistema di prezzi dell'energia, anche in considerazione della crescente importanza del Medio Oriente nell'approvvigionamento di olio e gas;

- necessità di realizzare una grande mole di investimenti sul piano dell'offerta energetica (esplorazione di olio e gas, impianti e mezzi per la produzione, il trasporto, lo stoccaggio, il trattamento e la distribuzione di olio, gas e carbone, impianti per la produzione, trasmissione e distribuzione dell'energia elettrica).

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Nello scenario alternativo si prevede la realizzazione di un'insieme di iniziative di politica energetica anche differenziate per le diverse aree, concentrate sull'offerta di fonti rinnovabili e soprattutto sul versante della domanda di energia. In questo scenario l'ammontare totale degli investimenti resta sostanzialmente invariato rispetto allo scenario di riferimento, ma si ha una diversa distribuzione con diminuzione degli investimenti complessivi relativi all'offerta ed incremento di quelli destinati al miglioramento dell'efficienza dei consumi energetici.

Gli effetti benefici di tali iniziative sono crescenti nel tempo ed i principali risultati, in termini di confronto con lo scenario di riferimento, sono così sintetizzabili per l'anno 2020: • riduzione del 7 % della domanda di energia primaria • riduzione del 9 % della domanda di olio (-10 Mbbl/g) • riduzione del 6 % della domanda di gas (-234 Gmc) • riduzione del 1 5 % della domanda di carbone (-467 Mtep) • aumento del 5 % della domanda di nucleare (+40Mtep) • aumento del 20 % della domanda di altre fonti rinnovabili (escluso idro) (+33 Mtep) • riduzione dell' 1 1 % delle emissioni di anidride carbonica

La riduzione della domanda di olio comporterebbe una diminuzione della quota OPEC da 50 a 40 Mbbl/g e quindi una forte riduzione della tensione sui prezzi.

La variazione dei consumi di gas si traduce in particolare per le aree importatrici in una riduzione dei consumi nell'area OCSE per 88 Gmc e un incremento di 25 Gmc in Cina con una riduzione complessiva degli scambi inter-area di gas per complessivi 63 Gmc pari al 9 % del totale, in gran parte riconducibile ad una diminuzione degli scambi attraverso il ciclo LNG.

Le principali iniziative di politica energetica che danno corpo allo scenario alternativo comprendono misure per: Industria energetica • promuovere impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili • promuovere impianti a ciclo combinato calore-elettricità • sviluppare rapidamente la tecnologia delle celle a combustibile e delle fonti

rinnovabili • migliorare l'efficienza degli impianti di generazione alimentati a gas e a carbone • estendere la vita e l'efficienza degli impianti nucleari • ridurre le perdite dei sistemi di trasporto e distribuzione idrocarburi • ridurre le perdite dei sistemi di trasmissione e distribuzione elettrica Trasporti • elevare gli standards di efficienza dei combustibili per veicoli • accrescere R&D e incentivi fiscali per veicoli a combustibili alternativi • promuovere l'uso del biodiesel • incoraggiare uso di ferrovie e autoflotramvie Industria • aumentare l'efficienza dei motori nell'industria • promuovere programmi per ridurre l'intensità energetica nell'industria • incentivi fiscali e prestiti agevolati per investimenti per efficienza energetica • finanziare R&D e programmi dimostrativi • promuovere una efficiente gestione energetica degli impianti industriali • restrizioni ambientali sull'uso del carbone negli impianti industriali Residenziale e

commerciale • diffondere standards di efficienza degli elettrodomestici • migliorare l'efficienza per illuminazione, condizionamento ed acqua calda • migliorare l'efficienza delle pompe di calore • migliorare l'efficienza energetica negli edifici residenziali e commerciali • finanziare l'installazione dei pannelli solari per acqua calda e riscaldamento

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7. EVOLUZIONE DEI PREZZI INTERNAZIONALI DELL'ENERGIA

A partire dal 1986 il mercato mondiale del greggio è stato caratterizzato da un'alternanza di periodi di prezzi elevati e di periodi di prezzi bassi.

Per quanto riguarda il greggio marker Brent, dopo il crollo dei prezzi del 1986, che toccò un picco negativo di 8 $/bbl nell'Agosto 1986, ci fu una risalita dei prezzi medi mensili per barile fino a 20 $ nel Luglio 1987, a cui seguì una discesa fino a 12,4 $ nell'Ottobre 1988.

Ad una fase contrastata di aumento del prezzo durata fino al Luglio 1990 seguì l'esplosione dei prezzi connessa all'occupazione del Kuwait da parte dell'Iraq con un picco di 36 $ nell'Ottobre 1990. Allo scoppio della prima guerra del Golfo nel Gennaio - Febbraio 1991 i prezzi crollarono a 19,5 $.

Seguì una discesa di prezzi fino a 13,5 $ nel Dicembre 1993 ed una risalita fino a 24,2 $ nell'Ottobre 1996, ed ancora una discesa fino a 9,9 $ nel Dicembre 1998 ed una risalita fino a 32,7 $ nel Settembre 2000, a cui é seguita un calo fino a 18,7 $ nel Dicembre 2001, una risalita fino a 32,7 $ nel Febbraio 2003, in connessione con la preparazione della guerra all'Iraq, il calo a circa 25 $ in Aprile-Maggio 2003, in corrispondenza della vittoria sull'Iraq, e la successiva risalita e mantenimento di livelli oscillanti tra 27-30 $ fino al Dicembre 2003 nel difficile dopoguerra iracheno. Successivamente il prezzo é risalito e nella seconda metà del 2004 si é portato a livelli superiori a 40 $.

Le riserve di petrolio nel mondo sono concentrate per circa il 65 % in Medio Oriente e per il 78 % nell'area OPEC Questi Paesi, ad eccezione dell'Indonesia, sono caratterizzati dall'abbondanza di riserve e da costi unitari molto contenuti.

L'OPEC, a causa dell'alto livello delle riserve di greggio dei paesi aderenti e del rapporto riserve/produzione (80 anni), potrebbe produrre, se sviluppasse l'intero ammontare delle sue riserve, una tale quantità di greggio da poter soddisfare per intero la domanda mondiale per circa 30 anni, se tale domanda rimanesse al livello attuale.

II prezzo del greggio, come il prezzo di tutti i beni, nel lungo termine, tende ad uguagliare il costo dell'unità marginale prodotta (ossia il costo unitario più elevato tra quelli che caratterizzano le singole unità prodotte).

Nel caso ipotetico in cui la domanda di greggio fosse completamente soddisfatta dall'OPEC, in pochi anni, il prezzo del greggio diventerebbe di circa 6-7 $/barile, ossia pari al costo dell'unità marginale prodotta nell'area OPEC.

L'obiettivo dell'OPEC è di massimizzare il profitto realizzato con la produzione di greggio. Pertanto l'OPEC preferisce limitare la propria produzione e permettere che la produzione non-OPEC soddisfi una parte della domanda mondiale di greggio. In questo modo il costo dell'unità marginale prodotta è molto più alto ed il prezzo del greggio può porsi a livelli molto più elevati di 6-7 $/barile, come in effetti è avvenuto nel corso della storia degli ultimi 30 anni.

Mentre i Paesi non-OPEC generalmente producono al livello massimo tecnicamente consentito, e quindi non possono incrementare i propri livelli produttivi, i paesi OPEC, a causa dell'abbondanza di riserve potrebbero aumentare rapidamente la propria produzione se avessero una rilevante capacità produttiva non utilizzata.

In effetti, ad eccezione dell'Arabia Saudita, i paesi OPEC non hanno tale eccedenza di capacità, benché possono realizzarla con investimenti di ampiezza non eccezionale dato che in genere il costo unitario di sviluppo é di modesta entità .

In realtà ciò non é accaduto per diversi motivi: - restrizioni all'accesso delle compagnie internazionali o regole fiscali e contrattuali

poco attraenti; - interesse delle compagnie di stato dei paesi produttori o dei loro governi ad

utilizzare in altro modo i loro capitali;

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- limitazione deliberata di nuovi investimenti upstream per non incrementare la capacità produttiva e determinare aumento dei prezzi almeno nel breve termine e conservazione delle riserve per un più lontano futuro.

Il rialzo dei prezzi per un periodo prolungato dovrebbe provocare: - una riduzione della crescita economica mondiale, o anche una recessione

economica, e, conseguentemente una riduzione della crescita della domanda mondiale di energia e di greggio, o, addirittura una riduzione assoluta della domanda di energia e di greggio;

- un miglioramento dei benefici economici delle iniziative per la conservazione dell'energia (crescita dell'efficienza energetica e del risparmio energetico), e conseguentemente, un aumento degli investimenti in tali iniziative; ciò porta nel tempo ad una riduzione della domanda di energia e di greggio;

- un miglioramento della redditività degli investimenti nella produzione di fonti di energia e quindi, nel tempo, un aumento dell'offerta di energia da fonti non petrolifere (gas, carbone, elettricità da nucleare e idraulica), e di offerta di greggio da aree non-OPEC. In realtà, dopo 5 anni di prezzi abbastanza sostenuti, le reazioni sopradescritte

hanno ottenuto effetti molto limitati. In passato il periodo di 12 anni di prezzi alti 1973-1985 aveva determinato due

rilevanti recessioni economiche mondiali, mentre in questi anni effetti di tale tipo sono stati molto limitati, Si deve ricordare che allora la crescita dei prezzi fu molto più forte che non in questi anni e che il peso dell'energia sul PIL era molto più elevato di ora.

Nella crisi di 30 anni fa si aprirono nuove frontiere allo sviluppo dell'energia alternativa all'olio OPEC: creazione di un immenso parco di centrali nucleari, realizzazione delle grandi infrastrutture per il trasporto a grandi distanze del gas russo, apertura allo sviluppo delle riserve di idrocarburi nel Mare del Nord e nel Messico.

In questi anni l'incremento della quota non-OPEC di produzione dell'olio é stata determinata in massima parte dalla risalita della produzione dell'ex URSS sui livelli prossimi ai massimi del 1988, recuperando il terreno perduto in seguito alla crisi politica, finanziaria ed operativa conseuente al crollo dell'Unione Sovietica. La restante parte dell'area non-OPEC ha registrato solo' modesti incrementi produttivi.

D'altra parte il grande sviluppo economico dell'Asia costituisce una novità di grande rilevanza rispetto al panorama di 30 anni fa determinando una crescita della domanda mondiale di energia, ed in particolare di petrolio, malgrado il livello elevato dei prezzi.

Si aggiunga infine la situazione politica del Medio Oriente che determina una grave situazione di incertezza sul futuro.

Sulla base di queste osservazioni si può avanzare l'ipotesi che i prezzi possano mantenersi su livelli elevati per molti anni. In effetti l'ampiezza crescente della quota OPEC, derivante dagli equilibri di domanda ed offerta delineati dallo scenario di riferimento, ampiamente conforta una tale ipotesi di evoluzione dei prezzi.

Infatti, se la quota OPEC è prevista in sensibile crescita, si creano le condizioni per un più facile rispetto delle quote (in progressivo aumento) assegnate a ciascun Paese del cartello, e, quindi, per un mantenimento o anche una crescita dei prezzi. Se invece la quota OPEC dovesse essere stagnante o in leggera crescita, potrebbero verificarsi in futuro condizioni ricorrenti di esubero di offerta, con conseguente pressione al ribasso sui prezzi.

Le ipotesi cautelative, descritte in precedenza, sulla riduzione del volume delle riserve addizionali disponibili nei prossimi anni portano a rafforzare un quadro di prezzi elevati poiché determinano un ulteriore rafforzamento della quota OPEC.

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ALLEGATO 3

SCHEDE TECNICHE SULLE NUOVE TECNOLOGIE

SVILUPPABILI NEI PROSSIMI ANNI

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TRASFORMAZIONE DEL GAS IN PRODOTTI LIQUIDI (GTL)

Una tra le più grandi scommesse delle compagnie petrolifere del prossimo decennio è lo sviluppo di una via economicamente attrattiva per la trasformazione sul campo del gas naturale in un prodotto liquido, utilizzabile come intermedio o come vettore energetico (per esempio con tecnologie Gas to Liquids). In relazione a ciò, lo sfruttamento delle ingenti risorse di gas naturale localizzate in aree remote (stranded gas), che rappresenta una importante frazione – circa un sesto – delle riserve di gas naturale accertate (177.6 Tm3, secondo Cedigaz 2002), è ostacolato da costi di produzione svantaggiosi se non addirittura proibitivi, come nel caso del gas associato alla produzione del greggio. Quest’ultimo, classificato tra le varie tipologie di stranded gas, viene reiniettato in pozzo (shut-in gas), bruciato in torcia (flared gas) o liberato all’atmosfera (vented gas), tanto che ogni anno si stimano volumi di gas associato liberato all’atmosfera pari a 116 Gm3 e la frazione di gas associato reiniettato in pozzo intorno a 320 Gm3.

Negli ultimi quindici anni, l’innovazione tecnologica ha rivitalizzato un processo, la sintesi di Fischer-Tropsch, la cui chimica di base affonda le sue radici negli anni trenta, quando per ragioni politiche in Germania fu sviluppata questa tecnologia per produrre carburanti liquidi dalle materie prime presenti sul territorio (carbone). L’interesse è stato guidato dagli avanzamenti tecnologici che hanno ridotto il costo di trasformare grandi riserve di gas naturale, non facilmente accessibili via pipeline, con prodotti combustibili liquidi di elevata qualità. L’enfasi è stata riposta sull’uso di catalizzatori a cobalto a letto fisso e di reattori in grado di raggiungere alti livelli di resa di cera paraffinica, la quale può essere facilmente convertita in carburanti, quali diesel, nafta e prodotti speciali.

Ci sono due ampie classi tecnologiche GTL per produrre un prodotto petrolifero di sintesi (syncrude): una conversione diretta dal gas e una conversione indiretta attraverso gas di sintesi (syngas). La conversione chimica diretta del metano in prodotti liquidi è un obiettivo di ricerca estremamente longevo, recentemente rivitalizzatosi a livello anche industriale, ma per conseguirlo la conoscenza deve essere trasformata in tecnologia. Le scoperte scientifiche hanno creato i presupposti per muoversi su tre, sia per potenzialità che per il livello dei risultati, direttrici principali: l’ossidazione parziale, la pirolisi e il coupling. Il coupling, a lungo considerato il più promettente, è passato in secondo piano con rivisitazioni fondamentali e teoriche. L’ossidazione parziale, sull’onda delle ricerche accademiche interdisciplinari, offre opportunità da approfondire. Dalla pirolisi tradizionale, infine, è scaturita la deidroaromatizzazione catalitica, un outsider che potrebbe avere le carte in regola per risultare vincente.

Tale conversione diretta del metano (tipicamente dall’85 al 90% del gas naturale) elimina il costo di produrre gas di sintesi ma comporta una elevata energia attivata, difficile da controllare. Infatti il fattore caratterizzante tutti i processi di conversione del metano è l’elevata stabilità termodinamica e cinetica di tale idrocarburo. Inoltre, poiché i prodotti della reazione di conversione sono spesso idrocarburi più reattivi del metano stesso, i processi di conversione diretta devono operare in condizioni tali da sfavorire le reazioni competitive. E’ proprio quest’ultimo elemento chiave che ha reso, oggigiorno, la strada indiretta (sintesi MeOH, DME, Fisher-Tropsch) più promettente nei confronti della conversione diretta.

Le tecnologie oggi più vicine alla fase di industrializzazione partono quindi penalizzate da un processo a due stadi: la conversione del metano in gas di sintesi e la successiva trasformazione del gas di sintesi in liquidi. Il costo di produzione syngas, infatti, copre fino al 60% dei costi di impianto. Il processo prevede la conversione del gas naturale a gas di sintesi (miscela CO/H2) attraverso un processo di ossidazione parziale, “steam reforming” o una combinazione dei due processi. La successiva trasformazione di questo a idrocarburi paraffinici a elevato peso molecolare medio (fase Fisher-Tropsh) e la

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loro conversione, mediante hydrocracking, a carburanti di eccellente qualità e compatibilità ambientale (nafta, kerosene, diesel). Quest’ultimo punto è particolarmente attraente, dal momento che consente di ottenere prodotti petroliferi praticamente privi di zolfo, metalli e aromatici, in grado di soddisfare le sempre più rigide specifiche sui carburanti (l’Unione Europea prevede di abbassare il contenuto in zolfo del diesel a 50 ppm entro il 2005, superate dalle 15 ppm entro il 2006, che ipotizza la statunitense Environmental Protection Agency).

In particolare, il processo di trasformazione del gas naturale attraverso la tecnologia GTL fornisce approssimativamente il 70-80% di GTL Diesel e il 20-30% di GTL Nafta. Il GTL Diesel prodotto può essere usato nei convenzionali motori ad accensione compressa, esso presenta un elevato numero di cetano (>70), meno di 5 ppm di zolfo, bassissimo contenuto di aromatici, elevato punto di fumo, basso rilascio di Nox. Queste qualità consentono significative riduzioni nelle emissioni di gas di scarico, con considerevoli benefici potenziali per l’ambiente. Esso risulta compatibile con le infrastrutture di distribuzione dei combustibili già esistenti e rappresenta un ideale combustibile idrocarburo per alimentare celle a combustibile. Il GTL Nafta prodotto dal processo è una nafta leggera altamente paraffinica (95%+), ideale come alimentazione al cracking per produzione olefine.

Si stima che un impianto GTL da 34,000 b/d orientato alla produzione di distillati e con una sezione di upgrading dei prodotti di limitata complessità alimentato da un quantitativo di gas naturale di 325 MMscfd può arrivare ad una resa di: 24,700 b/d di Diesel; 8,000 b/d di Nafta; 1,300 b/d di LPG.

Anche il carbone può essere trasformato per produrre syngas e da questo prodotti chiave quali il metanolo, usato nei motori a benzina, e alcuni combustibili puliti come il dimetiletere (DME), alternativo al gasolio. Il processo di trasformazione prevede l’utilizzo di due diversi approcci: liquefazione indiretta, ovvero gassificazione a syngas e sintesi Fisher-Tropsch, e una liquefazione diretta, ovvero trasformazione del carbone in liquidi in unico passaggio mediante un processo di cracking idrogenante. Oltre alla produzione di combustibili sintetici dal carbone attuata in Germania durante la Seconda Guerra Mondiale, è interessante ricordare il successo commerciale della Sasol in Sud Africa, dove per diversi anni hanno funzionato impianti di produzione della benzina dal carbone col processo Fisher-Tropsch.

Gli ingenti investimenti attuati nella tecnologia GTL da alcuni importanti players del settore energetico hanno permesso una significativa riduzione dei costi di produzione. Le tecnologie utilizzate da alcune società del settore GTL sono:

- Partial Oxidation + SMDS (Shell Middle Distillate Synthesis, un processo Fisher-Tropsch modificato) (Shell)

- Fluid bed autothermal reforming (ExxonMobil AGC21) - Autothermal reforming (Chevron/Sasol/Topsoe) - Autothermal reforming (aria) (Syntroleum) - Compact steam reforming (BP/Kvaerner) - Catalyting partial oxidation (Conoco CoPoxTM) Studi indipendenti condotti su tre delle tecnologie più importanti (Shell, Exxon, Sasol)

hanno evidenziato come la sintesi di Fischer-Tropsch possa essere competitiva con uno scenario di prezzo del greggio intorno a 20 US$/bbl, a patto che il prezzo del gas naturale sia inferiore a 0,8 US$/MMBtu e che il sito scelto non penalizzi, per mancanza di infrastrutture, l‘investimento.

Questa incertezza in relazione al prezzo mondiale del greggio, piuttosto che la tecnologia applicata, è stata un impedimento agli investimenti nella tecnologia GTL. Il recente aumento dei prezzi del greggio ha dunque favorito il sorgere di nuove iniziative industriali e di progetti Gas-to-Liquids, infatti l’industria del GTL può dirsi ad una svolta.

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Entro il 2006 il primo impianto di nuova generazione su scala commerciale sarà avviato in Qatar (ORYX GTL), il secondo è previsto entro il 2008 in Nigeria. L’impianto ORYX GTL in un primo momento era previsto producesse 34,000 bbl/day, recentemente Qatar Petroleum e Sasol-Chevron hanno firmato un Memorandum di Intesa per una espansione del progetto fino a 100,000 bbl/day (ORYX GTL Expansion) ed inoltre hanno raggiunto un accordo per perseguire l’opportunità di sviluppare un progetto integrato upstream/downstream (da 130,000 bbl/day), sulla base del Sasol Slurry Phase Distillate Process, utilizzando risorse dal North Field.

Sulla base di tali avvenimenti Sasol e SasolChevron, in un ottica di gruppo, si posizioneranno come “key-players” nel settore del GTL, insieme a Shell che può vantare l’esperienza operativa dell’impianto di Bintulu, in Malesia (costruito nei primi anni ’90, con capacità pari a 12 kBPD e un investimento di $55 000/b). I Progetti GTL in Qatar e Nigeria rappresentano la chiave di volta per l’industria di GTL attraverso il superamento dell’attuale mancanza di una comprovata esperienza tecnologica ed operativa relativa ad impianti di nuova generazione su scala commerciale

L’utilizzo della tecnologia GTL per produzioni energetiche e chimiche è prevista avanzare rapidamente con l’incremento delle pressioni esercitate sulla industria energetica dai governi, organizzazioni ambientali e la popolazione al fine di ridurre l’inquinamento, incluse le emissioni di gas e il particolato tradizionalmente associate con veicoli convenzionali a petrolio e diesel.

Comunque, è chiaro che il successo commerciale della tecnologia GTL non è ancora stato definito, e i rendimenti su investimenti in progetti GTL dipenderanno dalle proiezioni dei prezzi di mercato per i prodotti petroliferi e presumibili price premiums per i vantaggi ambientali derivanti dall’utilizzo di combustibili GTL. Infatti, Il costo di produzione unitario rifletterà il costo della risorsa gas, il costo del capitale dell’impianto, la disponibilità di infrastrutture e la qualità della forza lavoro locale.

Nel 2002, nella raffineria Eni di Sanazzaro de’ Burgondi (PV), è stato inaugurato un impianto pilota per la trasformazione del gas naturale in idrocarburi liquidi. Si tratta di una tecnologia avanzata frutto della collaborazione tra l’Institut Francais du Petrole (IFP) ed EniTecnologie, che ha permesso di valorizzare le competenze delle due strutture di ricerca. L’impianto, la cui realizzazione ha richiesto un investimento di 16 milioni di euro, ha una capacità di produzione di 20 barili al giorno di prodotti e presenta una tecnologia a ridotto impatto ambientale (i prodotti di scarto sono cere ed acqua).

Il grafico seguente mostra i principali parametri economici per lo sviluppo di un impianto GTL.

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30I principali parametri economici

0

10.000

20.000

30.000

40.000

50.000

60.000

70.000

ExistingPlants

1993 U.S.DOE Study

1998 Target Qatar Project FutureProjects

US

$/b

arre

l

Fonte: Oil & Gas Journal/Technip Italy

•1993:Bechtel indica un costo totale diUS$ 38,000 per b/d per un impianto da 45,000 b/d in U.S.

•1998:Sia Sasol che Shell stimavano30,000 US$/b/d per 20,000 b/d

•2003:Per il Progetto Qatar (33,000 b/d) ilcosto di investimento è di circa28,700 US$/b/d

•Progetti futuri:Il target è 20,000 US$/b/d per unimpianto da 75,000 b/d

NUOVI PROCESSI PiU’ EFFICIENTI PER PRODURRE L’IDROGENO Nello sviluppo di un sistema energetico sostenibile, rinnovabile e meno dipendente

dalle risorse petrolifere, l’idrogeno si candida alla base di questa futura realizzazione. L’idrogeno (dal greco hydor e geno, "generatore d'acqua") è l’elemento da cui trae

energia l’intero universo, infatti può essere prodotto dall’acqua utilizzando un’ampia serie di fonti rinnovabili di energia, dalle rinnovabili al nucleare (per l’energia ottenuta usando l’idrogeno nella fusione nucleare si deve attendere ancora qualche decennio) e, in alternativa dagli idrocarburi, quali il metanolo e il gas naturale, attraverso vari processi di reforming. Le proprietà dell’idrogeno sono tali per cui viene considerato un vettore energetico universale e un combustibile utilizzabile ampiamente anche negli impianti di generazione distribuita, i dispositivi di generazione di emergenza, i macchinari di movimento terra e stradali, oltre ovviamente ai veicoli a motore.

La produzione mondiale annua di idrogeno è di 500 miliardi di Nm3 , equivalenti a 44 milioni di tonnellate, ottenuti per il 90% dal processo chimico di reforming degli idrocarburi leggeri (principalmente il metano) o dal cracking di idrocarburi più pesanti (petrolio) e per il 7% dalla gassificazione del carbone. Solo il 3% dell'attuale produzione è ottenuta per elettrolisi. L' idrogeno prodotto è impiegato per il 95% nell'industria chimica, che con esso produce ammoniaca, alcool metilico (metanolo) e prodotti petroliferi; il 5% è invece utilizzato dall'industria metallurgica per il trattamento dei metalli.

Il principale prodotto della sua combustione è l’acqua, che può ritornare facilmente all’ambiente, offrendo una potenzialità notevole per la riduzione delle emissioni di gas serra e degli altri agenti inquinanti. Tuttavia molte barriere di ordine economico e tecnologico frenano il decollo dell’idrogeno come vettore energetico. La maggior parte delle tecnologie è ancora in uno stadio di sviluppo o di fase dimostrativa con gli inevitabili limiti di maturità indispensabile per la commercializzazione.

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Agli inizi del Terzo Millennio, enti pubblici e privati mostrano un interesse crescente nei confronti della ricerca sull’idrogeno. Molto attivi si dimostrano sia la Commissione Europea sia l’Amministrazione statunitense, che, seppur con vision sostanzialmente differenti, stanno cercando di razionalizzare ed indirizzare le varie azioni, in essere e previste, mediante programmi e progetti di valenza internazionale, anche per cercare di fronteggiare le iniziative giapponesi. Mentre l’Europa ha una vision di long term vuole cioè arrivare il più presto possibile ad un idrogeno prodotto partendo da fonti rinnovabili mediante tecnologie elettrolitiche, processi termochimici, eccetera, cioè al cosiddetto idrogeno verde; gli USA hanno un approccio di short-mid term guardando per ora alla produzione di idrogeno da fonti fossili (in particolare il carbone) mediante tecnologie di gassificazione, cioè al cosiddetto idrogeno nero.

I processi per la produzione dell’idrogeno sono:

- Trasformazione dagli idrocarburi: lo steam reforming ( SMR - trasformazione con vapore) del metano è un processo ben sviluppato ed altamente commercializzato e attraverso il quale si produce circa il 48% dell'idrogeno mondiale. Tale metodo può essere applicato anche ad altri idrocarburi come l'etano e la nafta. Non possono essere utilizzati idrocarburi più pesanti perché essi potrebbero contenere impurità. Altri processi, invece, come l'ossidazione parziale, sono più efficienti con idrocarburi più pesanti. Lo SMR implica la reazione di metano e vapore in presenza di catalizzatori. Il rendimento del processo si aggira sul 50%-70%. Nello steam reforming tradizionale, gli idrocarburi sono la fonte sia dell’energia chimica, sia dell’energia termica (circa il 45% del consumo degli idrocarburi è destinato alla produzione di calore). Poiché l’idrogeno in tal modo prodotto è più costoso della sostanza di partenza, il metano, la sostituzione di questo con l’idrogeno come combustibile non è conveniente. I costi dello SMR sono notevolmente inferiori a quelli dell'elettrolisi e competitivi con quelli delle altre tecnologie, esso comporta inoltre un ridottissimo impatto ambientale. Alcuni autori, sostengono che la tecnologia SMR può essere conveniente, se combinata con l'alimentazione di veicoli, per l'applicazione su celle a combustibile prodotte su scala ridotta. Altre innovazioni invece, riguardano più in particolare lo SMR stesso. Uno degli obbiettivi della ricerca è, infatti, quello di migliorare il tradizionale processo SMR con il perfezionamento di un nuovo processo denominato Sorbtion Enhanced Reforming (SER). Rispetto al tradizionale SMR tale processo implica la produzione di idrogeno a temperatura particolarmente bassa e l’abbinamento di un processo di rimozione selettiva dell’anidride carbonica rilasciata durante la fase di reforming. Il vantaggio principale del SER quindi, consiste nell’ottenere direttamente dei flussi separati, estremamente puri, sia di idrogeno che di CO2 senza ricorrere a costosi sistemi di purificazione. Questo nuovo processo ha dunque la possibilità di prevalere rispetto ai processi convenzionali, e di favorire l’introduzione a breve termine dell’idrogeno, non solo per i ridotti costi operativi che esso comporta ma anche per il contributo alla riduzione della concentrazione dei gas serra nell’atmosfera. Le attività di ricerca sono ovviamente volte all’individuazione dei materiali più idonei all’assorbimento di CO2, alla dimostrazione della validità tecnica dei sistemi sperimentali e all’analisi dei relativi vantaggi economici. - Gassificazione del carbone e dei combustibili fossili: in generale, il processo di gassificazione consiste nella parziale ossidazione, non catalitica, di una sostanza solida, liquida o gassosa che ha l'obiettivo finale di produrre un combustibile gassoso, formato principalmente da idrogeno, ossido di carbonio e da idrocarburi leggeri come il metano. Tramite la gassificazione il carbone viene convertito, parzialmente o completamente, in combustibili gassosi i quali, dopo essere stati purificati vengono utilizzati come combustibili, materiali grezzi per processi chimici o per la produzione dei fertilizzanti. La

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produzione di idrogeno mediante gassificazione del carbone è una tecnologia che trova numerose applicazioni commerciali, ma è competitiva con la tecnologia SMR solo dove il costo del gas naturale è molto elevato (per esempio la Repubblica Popolare di Cina e il Sud Africa). La gassificazione di combustibili fossili si presenta economicamente interessante nelle regioni in cui il carbone abbonda ed è poco costoso. Altre innovazioni sono le tecnologie ZEC (Zero Carbon Emission) le quali saranno in commercio in tempi relativamente brevi. In relazione a queste, il processo più avanzato a livello internazionale è sicuramente FuturGen a cui partecipano 13 Paesi (inclusa l’Italia) con Usa e Canada in primo piano. Da un confronto dei costi dell’idrogeno ottenuto dalla gassificazione del carbone si evince che sarà in tempi molto brevi concorrenziale con quelli del gas naturale e del petrolio, comprendendo nel suo costo di produzione anche il sequestro dell’anidride carbonica prodotta durante il processo di trasformazione da C a H2. - Idrolisi dell’acqua: esistono vari processi per ottenere idrogeno dall’acqua: • Elettrolisi: rappresenta sicuramente il processo più maturo per la produzione industriale, alcuni grandi impianti sono stati costruiti nelle vicinanze di centrali idroelettriche che producono elettricità a basso costo. E’ importante però ricordare che, seppur svantaggioso, dalla produzione di idrogeno mediante il processo elettrolitico si ottiene anche ossigeno puro, da utilizzare in diversi modi. L'elettrolisi è il metodo più comune per la produzione di idrogeno dall’acqua. Anche se incontra notevoli ostacoli per la quantità limitata di idrogeno prodotta e per i costi, ancora troppo elevati, dovuti all'impiego di energia elettrica. Gli elettrolizzatori in commercio ottengono un metro cubo di idrogeno con 3,7 kWh di energia elettrica impiegata. Attualmente, solo il 4% della produzione mondiale di idrogeno avviene per elettrolisi dell'acqua e solo per soddisfare richieste limitate di idrogeno estremamente puro. Per risolvere questo problema, si prevede l’applicazione dell’elettrolisi con vapore ad alta temperatura (900-1000 °C). L’alta temperatura del sistema accelera le reazioni, riduce le perdite d’energia dovute alla polarizzazione degli elettrodi ed accresce l’efficienza complessiva del sistema. Questa tecnologia offre l’opportunità di ridurre il consumo di elettricità al 35% di quella utilizzata dagli attuali elettrolizzatori in commercio. Questa notevole riduzione dei costi, e l’elevata efficienza di conversione stimata (circa il 90%), consentirebbe all’elettrolisi di essere competitiva anche con lo steam reforming, che richiede notevoli investimenti strutturali. Termolisi: la termolisi è la dissociazione delle molecole di acqua tramite solo apporto di calore che richiede temperature molto elevate, dell’ordine dei 3000°C. Con temperature così elevate, è complicato però separare l’idrogeno dall’ossigeno dati i notevoli problemi che pone la resistenza dei materiali. • Decomposizione mediante cicli termochimici: con temperature più basse, tecnologicamente compatibili con i materiali conosciuti, è possibile ottenere la dissociazione dell’acqua per mezzo di cicli chiusi di reazioni chimiche di tipo endotermico. Tali tecnologie di produzione sono motivate dalla speranza di individuare un processo che possa utilizzare direttamente una fonte di calore ad alta temperatura, solare o nucleare (in particolare nei reattori HTGR, caratterizzati da una alta temperatura di uscita dei vapori) con un rendimento globale maggiore di quello ottenibile da un impianto di elettrolisi. Tali sistemi sono applicabili alle tecnologie di concentrazione solare e hanno origine da ricerche sul recupero-utilizzo del calore residuo ottenuto a valle della produzione di energia elettrica in centrali nucleari ad alta temperatura. • Fotolisi: essa si propone di ottenere la dissociazione della molecola dell’acqua fornendo l’energia necessaria sotto forma di radiazioni luminose solari.

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• Decomposizione mediante fotoelettrolisi: L’ultima possibilità di produrre idrogeno impiega il biossido di titanio o rutilio – TiO2 – come fotoelettrodo. Questo sistema, scoperto nel 1972, ha dato vita a numerosi ed interessanti studi e ricerche. Oltre ai metodi analizzati, la ricerca è attiva in diversi settori riguardanti la produzione dell’idrogeno. Essa si muove fondamentalmente in due direzioni: migliorare le tecnologie esistenti e sperimentare nuovi metodi. L’obiettivo principale è quello di abbattere i costi delle tecnologie ormai in uso riducendo la quantità dei materiali impiegati e aumentando quindi i rendimenti di conversione degli impianti esistenti. In secondo luogo, si cercano di perfezionare nuovi sistemi che consentano di risolvere la questione dell’impatto ambientale delle tecnologie basate sull’impiego degli idrocarburi. In particolare, si sta puntando molto su sistemi che consentano la produzione di idrogeno tramite l’impiego diretto dell’energia solare, in sostituzione dell’energia elettrica necessaria per l’elettrolisi dell’acqua. Uno di questi, la produzione dell'idrogeno per fotoconversione, associa un sistema di assorbimento della luce solare ed un catalizzatore per la scissione dell'acqua. Questo processo usa l'energia della luce senza passare attraverso la produzione separata di elettricità richiesta dall'elettrolisi. Ci sono due classificazioni principali di tali sistemi: fotobiologico e fotoelettrochimico. Si tratta, tuttavia, prevalentemente di tecnologie in fase sperimentale, le cui attività di laboratorio richiedono ancora notevoli perfezionamenti. - Tecnologie fotobiologiche. i processi di produzione fotobiologici riguardano la generazione dell'idrogeno da sistemi biologici, che usano generalmente la luce solare. Alcune alghe e batteri sono in grado di produrre idrogeno sotto specifiche condizioni. I pigmenti delle alghe assorbono l'energia solare e gli enzimi nella cellula agiscono da catalizzatori per scindere l'acqua nei suoi componenti di idrogeno e ossigeno. La ricerca sta analizzando i meccanismi dettagliati di questi sistemi biologici. In ogni caso si è ai primi stadi ed il livello di efficienza di conversione in energia (rapporto tra l'ammontare di energia prodotta dall'idrogeno e l'entità della luce solare impiegata) è basso, circa il 5%. Per la produzione di idrogeno su larga scala, questi processi richiedono efficienza più elevata e riduzione dei costi. Esistono numerose attività di ricerca che hanno lo scopo di adeguare i sistemi di produzione fotobiologica a tali difficoltà. A breve termine si prevede l’identificazione di batteri e sviluppo di un sistema che possa produrre idrogeno puro a temperatura e pressione ambiente, nell'oscurità. - Tecnologie fotoelettrochimiche. i sistemi fotoelettrochimici usano degli elettrodi semiconduttori in una cella fotoelettrochimica per convertire energia ottica in energia chimica. Esistono essenzialmente due tipologie di tali sistemi: una utilizza semiconduttori, l'altro metalli complessi dissolti. Nel primo tipo, un materiale semiconduttore è utilizzato sia per assorbire l'energia solare sia per agire da elettrodo per la scissione dell'acqua. Il secondo tipo di sistemi fotoelettrochimici usa materiali complessi dissolti come catalizzatori. Il materiale complesso solubile assorbe energia e crea una separazione tramite carica elettrica che conduce alla reazione di scissione dell'acqua. La ricerca si sta occupando di individuare dei catalizzatori che possano dissociare più efficientemente l'acqua e produrre idrogeno.

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CELLE FOTOVOLTAICHE PIU’ EFFICIENTI L'effetto fotovoltaico consiste nella trasformazione diretta dell’energia associata alla

radiazione solare in energia elettrica. Sviluppata alla fine degli anni 50 nell'ambito dei programmi spaziali, per i quali

occorreva disporre di una fonte di energia affidabile ed inesauribile, la prima applicazione commerciale si ebbe nel 1954 negli Stati Uniti, quando i laboratori Bell realizzarono la prima cella fotovoltaica utilizzando il silicio monocristallino.

Attualmente i moduli fotovoltaici sono costruiti partendo da semiconduttori al silicio, le applicazioni sono essenzialmente per piccole potenze e sopratutto per utenze isolate dove sarebbe oneroso collegarsi con la rete elettrica e non sussistano altre fonti primarie quali venti costanti, corsi/salti d'acqua ecc., esistono centrali solari di qualche MWp più che altro utili a testare le tecnologie maturate, i costi degli impianti attualmente funzionanti sono non sono competitivi con gli altri sistemi di generazione di energia elettrica.

Il funzionamento dei dispositivi fotovoltaici si basa sulla capacità di alcuni materiali semiconduttori, opportunamente trattati, di convertire l’energia della radiazione solare in energia elettrica in corrente continua senza bisogno di parti meccaniche in movimento. Il materiale semiconduttore quasi universalmente impiegato oggi a tale scopo è il silicio, che è l'elemento più diffuso in natura dopo l'ossigeno. Tale materiale per essere opportunamente sfruttato deve presentare una opportuna struttura molecolare (monocristallina, policristallina o amorfa) e un elevato grado di purezza, caratteristiche non riscontrabili nei minerali in cui si trova allo stato naturale.

Il componente base di un impianto FV è la cella fotovoltaica, un dispositivo costituito da una sottile fetta (0,3 mm) di materiale semiconduttore (wafer), in genere silicio, opportunamente trattata. Tale trattamento è caratterizzato da diversi processi chimici, tra i quali si hanno i cosiddetti “drogaggi”: inserendo nella struttura cristallina del silicio delle impurità, cioè atomi di boro e fosforo, si genera un campo elettrico e si rendono anche disponibili le cariche necessarie alla formazione della corrente elettrica.

L'efficienza di conversione di celle commerciali al silicio monocristallino è in genere compresa tra il 12% e il 16%, mentre realizzazioni speciali hanno raggiunto valori del 23%. Il wafer di monocristallo si produce con il metodo Czochralsky, basato sulla cristallizzazione di un “seme” di materiale molto puro, che viene immerso nel silicio liquido e quindi estratto e raffreddato lentamente per ottenere un “lingotto” di monocristallo, che avrà forma cilindrica (da 13 a 30 cm di diametro e 200 cm di lunghezza). Successivamente le celle ottenute affettando questo cilindro vengono squadrate non completamente, lasciando i caratteristici angoli smussati, a volte anche a forme ottagonali, il colore è uniforme.

Le celle a silicio multicristallino (o policristallino; meno costoso ma con rendimenti minori rispetto al silicio monocristallino) possono avere efficienze del 10-13%. Il wafer di multicristallo si origina dalla fusione e successiva ricristallizzazione del silicio di scarto dell’industria elettronica (“scraps” di silicio). Da questa fusione si ottiene un “pane” che viene tagliato verticalmente in lingotti con forma di parallelepipedo, per cui i wafer ottenuti hanno forma squadrata e le caratteristiche striature.

Nel caso di pannelli FV con film in silicio amorfo, in realtà, non si può parlare di celle, in quanto si tratta di deposizioni di silicio (appunto allo stato amorfo, può essere prodotto sotto forma di nastro continuo e quindi a rendimenti più bassi e a costi contenuti) in film sottili su superfici che possono anche essere ampie. I moduli in silicio amorfo possono avere efficienze del 4-6% quelli monogiunzione e 7-10% con le tecnologie a doppia o tripla giunzione che sfruttano una più larga banda dello spettro solare utile. Il maggiore vantaggio dei moduli in silicio amorfo è la potenziale versatilità nell' integrazione architettonica dei moduli FV, sia per quanto concerne la forma che le tonalità cromatiche, fino ad ottenere anche superfici semitrasparenti utilizzabili in facciate vetrate.

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La tecnologia attualmente più usata per la realizzazione delle celle al silicio prevede che i contatti metallici vengano saldati sulla superficie della cella, comportando alcuni svantaggi fra cui una riduzione dell’area captante. La tecnologia LGBG (Laser a contatti sepolti) per le celle fotovoltaiche al silicio si basa invece sulla possibilità di "nascondere" i contatti all’interno della cella. Un laser viene utilizzato per creare dei solchi sulla superficie della cella all’interno dei quali viene poi fuso il metallo a base di rame che fungerà da conduttore per l’elettricità prodotta. Questo processo, inventato da Martin Green e Stuart Wenham nel 1984, è stato poi applicato per la realizzazione di celle commerciali dal 1992. Attualmente le celle LGBG raggiungono un’efficienza del 17%, ma gli esperti prevedono di raggiungere a breve il 20%.

Nella tavola sotto una sintesi tra le diverse caratteristiche e rese delle varie tipologie di moduli in commercio. Tipologia modulo Energia spesa per 1 kWp

(energia grigia) Energia prodotta da kWp in 20 anni

Costo impianto per kWp (Italia)

Monocristallino 6-9 MWh 18-23 MWh 10-12.000 € Policristallino 5-7 MWh 16-19 MWh 8-11.000 € Amorfo 3-5 MWh 10-17 MWh 6- 9.000 €

Dagli anni 90 sono iniziate le esplorazioni di una nuova tecnologia per migliorare l'efficienza delle celle fotovoltaiche utilizzando delle cella composte, costituite da differenti materiali semiconduttori disposti a strati, uno sull'altro, e che permettono alle differenti porzioni di spettro solare di essere convertite in elettricità a differenti profondità, aumentando con ciò l'efficienza totale di conversione della luce incidente. Viene anche definita come Split spectrum cell o VMJ (Vertical Multijunction Cell).

Gli sforzi che il comparto pubblico e privato impiegano nella ricerca e nello sviluppo della tecnologia fotovoltaica si indirizzano ad un ampio spettro di questioni, che riguardano: innovazioni dei materiali e dei meccanismi, al fine di migliorare il funzionamento dei moduli FV conducendo così a più contenuti costi di produzione; attività di sviluppo tecnologico riguardanti per lo più l’ingegneria e la sicurezza dei sistemi e lo sviluppo dei componenti di bilancio del sistema. Alcune tecnologie fotovolatiche innovative sono:

- Celle fotovoltaiche a concentrazione: il concentratore fotovoltaico consiste in piccoli concentratori che utilizzano lenti Fresnel o microprismi, in grado di far convergere una maggior quantità di radiazione solare sulle singole celle a silicio, le quali, però, devono essere opportunamente refrigerate onde evitare significative riduzioni del loro rendimento. Un' unità di base tipica del concentratore Fv consiste in un sistema ottico che mette a fuoco la luce, un complesso di celle FV, un concentratore secondario per riflettere i raggi luminosi eccentrici sulla cella, un sistema per dissipare il calore eccedente dovuto alla concentrazione, i vari contatti e sistemi di fissaggio dei componenti. In pratica il sistema di concentrazione è simile ad una applicazione per i sistemi di concentrazione termosolare ad inseguimento, invece di essere scaldato il fluido termodinamico viene irraggiato il sistema contenente le celle FV con ottica di concentrazione abbinate al sistema di dissipazione del calore dovuto alla concentrazione. Un prototipo di questa tecnologia, il progetto spagnolo Euclides, prevede un sistema lungo 24 metri, con un rendimento ottenuto del 16% ed un costo finale ancora molto elevato di circa 5.000 € al kWp. - Sistemi termo – fotovoltaici: con il termine termo – fotovoltaico si indicano due diverse tecnologie:

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1. Il sistema Termo Foto Voltaico (TPV) è un processo che genera energia elettrica mediante celle fotovoltaiche sensibili alla radiazione infrarossa irraggiate da un corpo portato a temperatura di emissione con un bruciatore. L'energia primaria è generalmente data da combustibili, in teoria anche l'energia solare concentrata ad alte temperature può essere utilizzata. I vantaggi principali dichiarati dai ricercatori sono: la versatilità (può bruciare qualsiasi tipo di combustibile, quali il diesel, il gas naturale, il biogas, il syngas etc); ambientalmente compatibile (il sistema di combustione è lo stato dell’arte per quanto riguarda efficienza ed emissioni); silenziosità (si tratta di una macchina statica, senza parti in movimento e conseguentemente senza necessità di frequenti ed onerosi interventi di manutenzione); elevata efficienza globale; rapporto fra energia termica ed elettrica prodotta ottimale per soddisfare le esigenze dell’utente;

2. il sistema Thermo – Photovoltaic System (TPVS), rappresenta la tecnologia più semplice e in qualche misura presente nel mercato e consiste in pannelli nei quali sono integrati un collettore termosolare e celle fotoelettriche. L'energia primaria utilizzata è quella solare diretta, questa tecnica può essere interessante nel caso il fluido termico sia in grado di regolare la temperatura delle celle fotovoltaiche, le quali generalmente hanno maggiore efficienza ad una temperatura di 20/25° C. Questa tecnologia rientra nei sistemi integrati TPVS ed in pratica è un sistema solare di cogenerazione. Può essere un sistema interessante se contribuisce a "raffreddare" le celle fotovoltaiche quando queste si surriscaldano in presenza di eccessiva insolazione, situazione che riduce l'efficienza fotovoltaica.

- Celle fotovoltaiche organiche, polimeriche, plastiche: Il principio del loro funzionamento e' stato individuato nel 1990 dal chimico svizzero Michael Graetzel che, ispirandosi alla fotosintesi per convertire la luce in corrente elettrica, ha pensato di porre sulla superficie di un semiconduttore uno strato di molecole organiche trattate in modo da metterle in grado di assorbire la luce. Se prodotte a livello industriale, le celle di Graetzel potrebbero superare in breve tempo in efficienza e convenienza le attuali celle fotovoltaiche in silicio. Gli esperti che lavorano al progetto prevedono che entro i prossimi dieci anni il costo dell'energia solare potrà essere paragonabile a quello degli impianti tradizionali. La STMicroelectronics, società italo-francese, leader nella produzione di semiconduttori, ritiene sia possibile produrre sistemi fotovoltaici con semiconduttori organico-polimerici ad un costo di 200 € al kWp: 20 volte meno dei sistemi attuali al silicio, l'efficienza dovrebbe essere del 5-10% e quindi per avere 1 kWe di picco servono dai 20 ai 10 mq di superficie fotovoltaica. La commercializzazione è prevista per il 2005. Tale prospettiva riapre completamente le potenzialità del fotovoltaico che diventerebbe una fonte enorme e semplice da utilizzare. - Celle solari dye – sensitized: La cella sviluppata da Graetzel, conosciuta come Dye-Sensitized Solar Cell (DSSC), riproduce il meccanismo usato dalle piante per convertire la luce del Sole in energia utile, dove ogni funzione è assegnata ad una diversa sostanza. La cella DSSC usa un colorante organico (in pratica un fotosensibilizzatore) per assorbire la luce e creare una coppia elettrone-lacuna, uno strato di ossido metallico nanoporoso ad elevata area superficiale come conduttore di elettroni ed un elettrolita liquido come conduttore delle lacune. Ulteriori sviluppi di queste celle prevedono la sostituzione dell’elettrolita liquido generalmente usato per la funzione del trasporto delle lacune con polimeri conduttori. Ciò potrebbe consentire un’ulteriore riduzione dei costi e quindi un importante passo verso la competitività dell’elettricità solare fotovoltaica.

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L'attuale tecnologia fotovoltaica non è ancora competitiva con gli altri sistemi: il costo dell'energia ottenuta da sistemi fotovoltaici è dieci volte superiore al costo dell'energia ottenuta da sistemi eolici e 4/5 volte superiore al costo dell'energia ottenuta da centrali solari termoelettriche. La speranza per una maggiore concretezza è riposta nelle nuove tecnologie in fase di sperimentazione, le più promettenti sono quelle polimerico – organiche a minor rendimento (maggior superficie necessaria) ma dovrebbero ridurre drasticamente il costo del kWp installato. In relazione a questo si evidenzia che malgrado i notevoli progressi nello sviluppo delle celle e dei moduli, il costo dei moduli fotovoltaici risulta appena il 50% circa del totale (la sola installazione pesa intorno al 20%): i continui cali nei costi di produzione dei moduli, del 20% circa ad ogni raddoppio del volume di produzione mondiale, sono pertanto smorzati dal peso elevato degli altri oneri, che presentano curve di apprendimento molto meno sensibili. Ad ogni modo le potenzialità di sviluppo della tecnologia in termini di rendimento dei dispositivi e di riduzione dei costi di produzione consentono tuttavia di prevedere che nel medio lungo termine il fotovoltaico possa contribuire in misura significativa al soddisfacimento dei fabbisogni energetici.

Poiché la superficie occupata da un impianto fotovoltaico è piuttosto elevata (fra 1 e 2 ettari per MW), la quota maggiore di mercato appartiene ai sistemi integrati negli edifici, soprattutto come copertura superiore (i cosiddetti tetti fotovoltaici). In tal modo, infatti, il costo del terreno è già incluso in quello dell’edificio, come anche quello della struttura di supporto: inoltre al costo del sistema fotovoltaico va sottratto il valore del materiale da costruzione che sostituisce. Nello studio del 2002 dell'International Energy Agency - Photovoltaic Power Systems Programme (IEA-PVPS, Task 7) si è cercato di determinare il potenziale del fotovoltaico integrato negli edifici in alcuni dei Paesi OCSE. Per l'Italia è stata stimata un'area di tetti potenzialmente disponibile all'inserimento del FV pari a 763,53 km2 (410 km2 circa per gli edifici residenziali ed il restante in edifici agricoli, industriali e commerciali) e un'area per le facciate pari a 286,32 km2 (per un valore totale pro-capite pari a circa 18 m2). La produzione potenziale da FV in Italia sarebbe pari a circa 126 TWh/anno (il 45% dei consumi elettrici).

FISSIONE NUCLEARE CONTROLLATA La fissione nucleare è la divisione di un nucleo atomico pesante in due parti,

approssimativamente uguali fra loro. Può avvenire spontaneamente o a causa del bombardamento di neutroni (è il caso più diffuso), particelle cariche, raggi gamma (fissione nucleare indotta). Il processo di fissione nucleare genera una grande quantità di energia; nelle centrali nucleari questo avviene in modo controllato e il calore prodotto dalla reazione viene trasformato in energia elettrica: da 1 g di uranio-235 (il combustibile nucleare più importante) si ottengono circa 80 miliardi di joule di energia (circa 20 milioni di kilocalorie), equivalenti alla combustione di circa 3 t di antracite.

Ad oggi sono attive circa 440 centrali nucleari, concentrate per lo più nei Paesi sviluppati; l’energia nucleare rappresenta il 7% circa del fabbisogno energetico globale contribuendo alla produzione di energia elettrica per il 17%, una quantità che risulta pari alla generazione idroelettrica e superiore all’apporto di petrolio che vale l’11% del totale, mentre preponderante è il contributo del carbone, il 39%. Nell’Europa il peso del nucleare è ben superiore, raggiungendo il 35%, sullo stesso livello del carbone, mentre l’idroelettrico, il petrolio e il gas sono all’incirca equivalenti con un 10%.

Recentemente si respira un’aria nuova nel settore nucleare sia a livello internazionale che a livello europeo e le ragioni di questo cambiamento nello scenario energetico dipendono da diverse ragioni. In primo luogo esso è la conseguenza degli impegni che si sono assunti a livello globale al fine di ridurre i gas serra responsabili del

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riscaldamento globale dal momento che i reattori nucleari possiedono il merito di produrre elettricità senza la liberazione di biossido di carbonio, ossidi di azoto e composti dello zolfo. In Europa, dove il 35% dell’energia elettrica è generata da centrali nucleari, si è avuto un risparmio annuo delle emissioni di biossido di carbonio da 300 a 500 milioni di tonnellate, a seconda del tipo di impianto sostituito (una centrale nucleare da 1.000 Mwe può evitare l’immissione di 7 milioni di tonnellate di CO2 all’anno che sarebbero prodotte da un equivalente centrale a carbone). Una seconda ragione deriva dalla necessità di garantire la sicurezza delle forniture energetiche e da motivazioni geopolitiche (il nucleare consente di diminuire la dipendenza dal petrolio del Medio Oriente), dal momento che oggi l’80% dei consumi mondiali di energia è soddisfatto dai combustibili fossili e allo stato attuale si stima che la dipendenza sull’importazione di energia dovrebbe crescere dal 50% attuale al 70% entro il 2030 e, secondo alcune previsioni, la domanda mondiale di energia crescerà del 50% nel 2030 e raddoppierà entro il 2050.

Il nucleare può quindi essere considerato come uno dei fattori su cui è opportuno far leva per attuare una politica energetica diversificata, bilanciata, economica e sostenibile. Ciò vale a maggior ragione in una situazione di alti prezzi del petrolio e in considerazione di una maggiore stabilità strutturale dei prezzi rispetto ai combustibili alternativi.

Esiste in tutto il mondo una gran varietà di reattori per la produzione di energia nucleare, che differiscono l'uno dall'altro per il tipo di combustibile, il moderatore o il sistema di raffreddamento. Nei reattori moderati e refrigerati ad acqua, viene generalmente usata acqua naturale (non pesante) e questo richiede l'impiego, come combustibile, di uranio arricchito.

Nei reattori ad acqua leggera l’acqua normale costituisce il fluido refrigerante. Da un punto di vista economico tale scelta è estremamente vantaggiosa. Due sono i tipi di reattore ad acqua leggera: − il reattore ad acqua in pressione (PWR); − il reattore ad acqua bollente (BWR).

La grande maggioranza delle centrali nucleari è del tipo PWR (Pressurized Water Reactor, cioè, reattore ad acqua in pressione). Questo tipo di reattore è molto diffuso perché è tecnologicamente semplice, non pone particolari problemi di reperibilità né dei materiali né del combustibile, ed offre ottime garanzie di sicurezza. Nel nocciolo avvengono le reazioni nucleari, che riscaldano a temperature anche notevoli gli elementi di combustibile (ossido di uranio) che è impilato in cilindri molto lunghi e stretti. Questo sono lambiti dall'acqua di raffreddamento del circuito primario, che raffreddandoli asporta il calore e si riscalda. L'acqua si trova a circa 300-330°, ma non evapora, perché viene tenuta a una pressione di circa 155 bar (155 volte la pressione atmosferica). Proseguendo nel suo cammino l'acqua scambia calore con altra acqua in un secondo circuito, a una pressione inferiore. Questa evapora, e il vapore arriva, ad una pressione di circa 55 bar e ad una temperatura di circa 280°, e investe una turbina, collegata a un alternatore che dà energia alla rete elettrica. Il vapore a bassa pressione in uscita dalla turbina viene raffreddato da acqua che scorre in un terzo circuito che viene poi alla fine raffreddato attraverso l’evaporazione di acqua in torri di raffreddamento. Se la centrale si trova nelle vicinanze di un fiume l'acqua del circuito di condensazione (il terzo), che non ha avuto il minimo contatto con zone contaminate viene presa e scaricata dal fiume, ovviamente con portate e temperature tali da non influire sull'ecosistema.

Nel reattore ad acqua bollente (Boiling Water Reactor, BWR), l'acqua refrigerante è mantenuta a una pressione inferiore, e portata all'ebollizione nel nocciolo. Il vapore prodotto viene mandato direttamente nel generatore a turbina, condensato, e quindi ripompato nel reattore. Sebbene il vapore sia radioattivo, non c'è bisogno di alcuno scambiatore di calore intermedio tra reattore e turbina, con il conseguente guadagno in

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efficienza. Come nel PWR, l'acqua di raffreddamento del condensatore proviene da un'altra fonte, come un fiume o un lago. Il livello di potenza di un reattore in funzione viene costantemente controllato da una serie di strumenti di vario genere. La potenza in uscita viene regolata mediante l'inserimento o la rimozione dal nocciolo del reattore di barre di controllo, cioè di elementi costituiti da un materiale capace di assorbire neutroni molto efficientemente. La posizione delle barre viene determinata in modo che la reazione a catena proceda a ritmo costante. Durante il funzionamento, e anche dopo l'interruzione, le radiazioni emesse dal materiale radioattivo vengono assorbite da opportune schermature poste intorno al reattore e al circuito di raffreddamento primario. Altre strutture di sicurezza sono un sistema di raffreddamento del nucleo, che evita che quest'ultimo raggiunga temperature pericolosamente elevate in caso di avaria dei sistemi di raffreddamento principali, e, nella maggior parte dei casi, una struttura di contenimento di tutto il materiale radioattivo che eviti qualunque fuga radioattiva in caso di rottura.

In totale i reattori ad acqua coprono quindi circa i sei settimi della potenza elettronucleare in esercizio, la restante parte essendo suddivisa fra reattori ad acqua pesante, reattori a gas, reattori RBMK, reattori veloci.

Oltre questi reattori si distinguono altre tecnologie per lo sfruttamento dell'energia nucleare per fissione, con prototipi ad uno stadio avanzato o ad uno stadio di ricerca e sviluppo, infatti si distinguono comunemente alcune generazioni di reattori. I reattori detti di Generation I furono sviluppati nel 1950-60 e relativamente pochi sono in funzione oggi. I reattori di Generation II sono il tipico esempio presente nella flotta USA e la maggior parte sono in funzione. Generation III sono gli Advanced Reactors, alcuni dei quali sono in funzione in Giappone, altri sono in costruzione o pronti per essere ordinati. Infine i progetti dei reattori di Generation IV sono ancora in fase di studio e non saranno operativi prima del 2010.

Gli impianti nucleari a sicurezza passiva di terza generazione sono concepiti in modo da non richiedere l’intervento rapido di sistemi di arresto in caso di incidente, e sono caratterizzati da una successiva evoluzione delle condizioni chimico – fisiche del sistema così lenta da riuscire ad evitare la fuoriuscita prodotti radioattivi anche se risultassero praticabili solo interventi manuali a distanza di diverse ore da quando si è verificato l’incidente. Alcuni reattori di Generation III sono:

- Reattore nucleare European Pressurized Water (EPR): esso ha una potenza di 1.500 MW e brucia il plutonio sottoforma di MOX (misto ossidi di plutonio e di uranio). Il rendimento può essere migliorato tramite cogenerazione, usando il vapore a bassa pressione per riscaldare un quartiere, oppure per far funzionare un'industria. Oppure si potrebbe surriscaldare il vapore primario, per ottenere rendimenti termodinamici migliori. L'EPR è quasi immediatamente disponibile poiché è il successore dei reattori attuali e la tecnologia per la relativa costruzione è già attuale.

- Reattori "asciutti", raffreddati ad elio a temperatura elevata (HTR): questi reattori sarebbero meno potenti (ad esempio da 100 a 300 megawatt). Il prototipo MGHTR è allo studio della cooperazione fra la General Atomics (U.S.A.), Framatome (Francia e Germania), Fuji Electric (Giappone)e vari istituti russi. Questo reattore funziona diversi anni con una singola carica, adatti anche per la produzione di idrogeno con idrolisi termochimica utilizzando il calore in eccesso.

- Reattori Autofertilizzanti a neutroni veloci (FBR): come il francese Superphénix, che può creare plutonio fissile dall'uranio 238 (non fissile). Infatti, la caratteristica fondamentale di un reattore autofertilizzante è nel fatto che esso può produrre, a partire da sostanze dette fertili, una quantità di materiale fissile superiore a quello che consuma. I reattori veloci possono contribuire a risolvere il problema delle scorie radioattive longeve (chiamate "actinidi secondari") incenerendoli con il

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plutonio. Sono ritenuti efficienti e sicuri quanto i reattori attuali, però gli Stati Uniti, il Regno Unito e la Francia hanno abbandonato i loro reattori autofertilizzanti, più per un problema di costi che di sicurezza.

- International Reactor Innovative and Secure (IRIS): esso è un PWR integrato ed è di potenza medio – piccola (100 – 350 Mwe), modulare, integrato cioè con tutti i componenti del circuito primario inseriti nel recipiente a pressione insieme al nocciolo. Esso è attualmente sviluppato da un consorzio di 18 organizzazioni di otto Paesi (l’Italia partecipa al suo sviluppo ) e si prevede che la prima centrale sia pronta entro il 2012. Le specifiche che deve soddisfare il progetto sono: - Resistenza alla proliferazione: riduzione della frequenza dei ricambi di

combustibile e gestione del combustibile operata direttamente dal paese ‘nucleare’;

- Economia elevata: mediante semplificazione dell’impianto e standardizzazione dei componenti;

- Sicurezza aumentata: mediante l’eliminazione di importanti classi di incidente con una diversa concezione dell’impianto (safety by design);

- Minimizzazione dei rifiuti radioattivi e facile smantellamento: eliminazione di tutti i prodotti attivati al di fuori del recipiente a pressione

I fondamenti tecnici di un nucleare che potremmo definire intrinsecamente pulito e in una prospettiva sostenibile si riferiscono solo in parte ai reattori di Generation III , ma è opinione diffusa che il vero rilancio del nucleare possa avvenire solo con la nuova generazione di reattori a sicurezza intrinseca, Generation IV, che si assumono l’onere di rendere sostenibile l’intero ciclo nucleare, dall’estrazione dell’uranio nelle miniere, all’uso senza produzione di scorie in reattori ad altissima sicurezza. Essi sono infatti concepiti in modo tale che le risposte a transitori potenzialmente incidentali riportino sempre il sistema sotto controllo. In relazione alla produzione di scorie, esso è, forse, il problema tecnico più serio. Gli attuali reattori nucleari bruciano solo l’uno per cento del materiale fissile con cui vengono alimentati e dopo il ciclo i rifiuti radioattivi diventano rifiuti costosi da stoccare ed estremamente pericolosi. I reattori di Generation IV dovrebbero utilizzare tutto il combustibile, sia l’uranio originario sia il plutonio eventualmente prodotto, portando praticamente a zero la quantità di transuranici, cosiddetti attiniti, e riducendo i livelli dei prodotti di fissione.

I reattori di nuova generazione attualmente allo studio appartengono a tre grandi classi: quelli raffreddati a gas, quelli raffreddati ad acqua e quelli a spettro veloce. I primi sono molto piccoli, consentono una ricarica continua del combustibile nucleare, non possono fondere e sono raffreddati con un gas nobile, l’elio, che non reagisce chimicamente con le sostanze. Il primo reattore raffreddato a gas diventerà operativo in Sud Africa nel 2006. La statunitense Westinghouse Electric ha messo a punto un progetto innovativo del vecchio reattore raffreddato ad acqua, che consente di aumentare la sicurezza e di diminuire la grandezza dell’impianto. Questo tipo di reattore avrebbe un’alta efficienza energetica e quindi consentirebbe di diminuire i costi. Ma ha ancora problemi di sicurezza irrisolti. L’ultimo dei reattori di nuova generazione che si sta esplorando è quello cosiddetto a spettro veloce, perché utilizza neutroni ad alta energia. Anche in questo caso si ha un forte aumento della efficienza, tuttavia non viene definitivamente risolta la questione delle scorie.

Tra i numerosi reattori di nuova generazione si evidenzia il reattore ibrido. Si tratta di un reattore "subcritico" in cui un acceleratore di particelle fornisce un fascio di protoni che va a colpire un metallo pesante (ad esempio il piombo). Da questo scontro fuoriesce un fascio di neutroni che, a sua volta, va colpire il materiale fissile, che potrebbe essere uranio o torio. Questi reattori vengono considerati sicuri, (definiti a "sicurezza intrinseca" ) poiché basterebbe "spegnere" l'acceleratore di particelle per fermare tutto in caso di

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guasto. Inoltre questi reattori potrebbero anche incenerire le scorie radioattive. Moltissimo lo sviluppo necessario prima che si possa dire se i reattori ibridi saranno pratici ed economici. Orizzonte di tempo: forse 30 anni.

Inoltre è opportuno ricordare il MARS, reattore ad alta sicurezza intrinseca, modulare (ciascun modulo corrisponde a circa 200 Mwe) e cogenerativo (elettricità e calore) al cui studio hanno contribuito esperti dell’Enea in gruppi organizzati, singoli esperti dell’Enel, nonché studiosi esteri. Il MARS punta sul requisito essenziale della sicurezza intrinseca, intesa come sicurezza basata su leggi ineludibili di natura. Altre caratteristiche che lo rendono interessante sono: le modalità e le tecnologie di fabbricazione da esso adottate sono ben note in Italia e ben collaudate nel mondo; è prevista la smontabilità e la sostituibilità di tutti i componenti del reattore; costi di smantellamento molto contenuti (gran parte dei pezzi metallici smontati non sarà attivata o contaminata); l’allungamento della vita utile dell’impianto. L’allungamento della vita è un accorgimento essenziale per gli impianti nucleari che hanno, nel costo dell’elettricità, una predominante componente di costo di impianto rispetto a quella di costo del combustibile molto più ridotta. NUOVI MATERIALI PER LA TRASMISSIONE DELL’ELETTRICITA’

La corretta pianificazione e l’adeguata espansione dei sistemi di trasmissione elettrica sono alcune delle fasi fondamentali e maggiormente critiche per lo sviluppo dei sistemi elettrici competitivi.

L’incremento degli scambi di energia all’ingrosso, tipico dei mercati elettrici liberalizzati, infatti, aumenta la richiesta di servizi di trasmissione e, in particolare, di capacità di trasporto. Il mercato è inoltre influenzato dalla disponibilità del sistema di trasmissione, che incide sull’accesso alla rete di produttori e consumatori e influenza i prezzi a cui l’energia può essere sia acquistata che venduta.

Pur essendo l’ambito della ricerca assai più vasto, vengono nel seguito riportati i risultati più significativi per quanto riguarda la pianificazione e lo sviluppo delle interconnessioni. Infatti, l’aumento della richiesta di capacità di trasporto è molto evidente nel sistema europeo, dove l’incremento degli scambi dovuti alla disomogenea distribuzione delle tecnologie di generazione, frutto di asimmetrie nelle politiche di sviluppo energetico intraprese negli anni ante – liberalizzazione, mostra chiaramente la necessità di rinforzare i sistemi di interconnessione, per ridurre le congestioni.

Un’ulteriore aspetto da considerare è che gli scambi internazionali di energia elettrica all’interno del sistema europeo (CBE – Cross Border Exchange) spesso danno luogo a transiti indiretti sui sistemi di trasmissione di nazioni estranee allo scambio. Questi transiti indiretti, per i quali si utilizza il termine inglese transit flows, sono riconducibili sia alla posizione geografica dei sistemi indirettamente coinvolti, sia alle leggi fisiche che governano la ripartizione dei flussi di potenza nelle reti magliate. Il fenomeno risulta particolarmente critico in quanto a volte influisce in modo negativo sulla sicurezza delle interconnessioni e/o delle reti nazionali indirettamente coinvolte.

Con particolare riferimento alle problematiche di potenziamento dei sistemi interconnessi, la ricerca ha sviluppato uno strumento per calcolare gli scambi di potenza/energia che riflettono la competitività delle tecnologie di generazione, tenendo in conto i vincoli e i costi di trasporto, oltre ché i vincoli integrali sulle emissioni di CO2 equivalente per area e i meccanismi di flessibilità introdotti dall’emission trading.

L’aumento della capacità di trasporto di una linea elettrica può essere realizzato attraverso: un aumento della sezione (a pari diametro), un aumento della temperatura di esercizio, un miglioramento della dissipazione del calore.

Soluzioni costruttive che soddisfino i suddetti requisiti possono essere ottenute con le seguenti tipologie di conduttori:

- Conduttori compatti;

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- Conduttori verniciati; - Conduttori ad alta temperatura. Le suddette soluzioni costruttive possono anche essere presenti in uno stesso

conduttore. Sono stati,infatti, sperimentati conduttori verniciati e conduttori compatti ad alta temperatura con ridotto coefficiente di dilatazione termica (conduttori gap – type). - Conduttori compatti: i conduttori convenzionali con fili elementari a sezione circolare sono caratterizzati da un rapporto di circa 0,75 tra la sezione effettiva e la sezione del cilindro avente lo stesso diametro. L’impiego di fili elementari sagomati (trapezoidali o a forma di zeta) consente di incrementare questo rapporto fino a 0,9 – 0,95, permettendo così l’incremento della capacità sopra indicato. Va rilevato che questo incremento è inferiore all’aumento percentuale della sezione del conduttore, in quanto la portata a regime è determinata anche dalla superficie esterna di scambio del calore, che rimane invece pressoché inalterata. - Conduttori verniciati: la verniciatura dei conduttori può essere ottenuta attraverso l’applicazione in fabbrica di un sottile strato di lacca poliuretanica. L’applicazione di questa ricopertura colorata è effettuata per ridurre l’impatto visivo della linea, incrementare la capacità di trasporto aumentando il calore dissipato per irraggiamento (grazie all’incremento del coefficiente di emissività). In quest’ultimo caso, la ricopertura è solitamente di colore nero. Il vantaggio della verniciatura diventa evidente già per temperature sopra i 50-60° C, grazie al fatto che l’energia emessa per radiazione è funzione della differenza tra i valori assoluti della temperatura del conduttore e di quella ambiente, elevate alla quarta potenza. Esperimenti sul comportamento termico di conduttori verniciati (uno verde e uno nero) rispetto al conduttore tradizionale ACSR 31,5 mm di diametro dimostrano come l’impiego di questi conduttori, attraversati dalla stessa corrente di 1100 A e installati su una campata sperimentale esposta alle condizioni ambientali, consenta di ridurre i picchi di temperatura in condizioni di assenza di vento (che permane comunque anche in presenza di vento e forte irraggiamento solare). L’impiego di questi conduttori consente di ridurre i picchi di temperatura in condizioni di assenza di vento (condizione che si verifica con maggior frequenza nelle ore notturne) su linee particolarmente cariche. Dall’esame dei risultati della sperimentazione emerge la possibilità di incrementare la portata delle linee fino al 20% (mediamente 10-15%) nel caso di adozione di conduttori verniciati. - Conduttori ad alta temperatura: tali conduttori impiegano speciali leghe di alluminio termoresistente (TAL) che consentono temperature di esercizio maggiori di quelle ammesse per i normali conduttori (90 – 100° C) senza andare incontro al fenomeno della ricottura e della conseguente perdita di carico meccanico. Sono disponibili differenti tipologie di lega di alluminio che consentono temperature massime a regime da 150° C del TAL ai 200 – 230° C degli ZTAL e XTAL (leghe di alluminio ultra ed extraresistenti). - Conduttori a bassa freccia: l’uso delle leghe di alluminio termoresistenti consente di superare il problema dell’invecchiamento, ma l’elemento limitante delle linee è l’allungamento termico del conduttore e la conseguente riduzione dei franchi verso il suolo e le strutture attraversate in genere. Risulta quindi fondamentale che i conduttori ad alta temperatura presentino anche un basso coefficiente di dilatazione termica. Questo risultato è ottenuto con l’impiego di conduttori, non omogenei, con un’anima centrale di materiali a basso coefficiente di dilatazione termica (invar, fibre di carbonio in matrice di resina) o impieganti anima di acciaio ad elevata resistenza ma con formazione particolare (gas type). Nel primo caso il basso coefficiente di dilatazione termica (dall’1•10-6 / ° C delle fibre di carbonio al 3•10-6 /°C dell’invar) fa in modo che sopra una certa temperatura (detta di ginocchio) il carico meccanico dei mantelli esterni venga trasferito all’anima e che quindi il conduttore, per temperature superiori, si allunghi con il coefficiente di dilatazione dell’anima stessa, con conseguenti aumenti di freccia ridotti. L’altra possibilità è quella

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dell’impiego di conduttori gas type. In questo caso uno spazio (gap), riempito di grasso, viene creato tra l’anima centrale e il primo mantello di lega di alluminio realizzato con fili elementari sagomati. In questo modo, i mantelli possono scorrere sull’anima centrale. All’atto della tesatura, per questo particolarmente complessa, bisogna far sì che i mantelli di alluminio siano scarichi meccanicamente. In questo modo la temperatura di ginocchio viene a coincidere con la temperatura di tesatura. In via sperimentale è stato realizzato, oltre al conduttore con anima di acciaio anche un prototipo con anima di invar. Tale conduttore presenta le frecce più basse per temperature superiori a quella di posa (ipotizzata a 15° C). D’altra parte, visto il basso carico di rottura specifico dell’invar, l’impiego di questo conduttore sarebbe limitato a linee con parametri di tesatura molto bassi e in territorio pianeggiante. Il conduttore gas type con anima di acciaio (nel caso di impiego di acciai ad elevato carico di rottura) consente invece una quasi completa sostituibilità con il conduttore tradizionale. La freccia dell’ACSR a 70° C è uguale a quella dell’XTACSR a 150°C (con una portata quasi doppia). - Linee di trasmissione ad isolamento gassoso (GIL): tali linee sono state inventate nel 1974 e la loro affidabilità elevata, i quali non hanno mai fatto registrare inconvenienti importanti, è assicurata innanzitutto dalla loro semplicità: infatti, come conduttore a guaina vengono utilizzati tubi di alluminio, mentre l’agente isolante è un gas che non presenta alcun fenomeno di invecchiamento. Finora però i vantaggi offerti da questo tipo di linee di trasmissione potevano essere apprezzati solo in alcune applicazioni particolari, ma grazie agli sforzi di ricerca condotti da Siemens e ad una riduzione totale dei costi del 50%, oggi le linee GIL possono essere economicamente realizzate anche per impiaghi su lunghe distanze. La capacità di trasmissione di una linea GIL posata in tunnel od interrata è di 2.000 MVA, consentendo così di interrare una linea in aria, senza riduzione della potenza massima trasmessa. Inoltre, il sistema GIL offre qualche vantaggio supplementare: utilizza una miscela gassosa composta dall’80% di azoto e da meno del 20% di SF6 ; la tecnica di posa consente di rispettare le esigenze di lavoro su terreni agricoli; il costo totale di un collegamento GIL è inferiore a quello di un cavo sotterraneo equivalente dimensionato per il trasporto di potenze elevate (1.000 MVA ed oltre). La linea GIL interrata rappresenta il metodo più economico e più rapido per la posa nel terreno. In modo simile a quanto avviene con le pipeline, la linea GIL viene posata in continuo in una trincea aperta con, nelle vicinanze, un’officina di pre-assemblaggio, per limitare le operazioni di trasporto degli elementi. Grazie al centraggio elastico della sua guaina metallica, la linea si adatta con estrema flessibilità al profilo del terreno. Nel terreno, la linea GIL, è ancorata in modo continuo e non ha bisogno di alcun elemento supplementare di compensazione. Le moderne tecniche di perforazione, sviluppate nel corso di questi ultimi anni, hanno permesso alle linee GIL posate in tunnel, di migliorare la velocità e la precisione di realizzazione dei tunnel. I microtunnel, o gallerie con diametro di circa 3 metri, rappresentano oggi soluzioni economiche nel caso dove la posa interrata non è possibile, ad esempio nelle zone urbane, negli attraversamenti di montagne o nel collegamento sottomarino con le isole. Rispetto ai cavi con isolamento solido ed alle linee aeree, il sistema GIL presenta alcuni significativi vantaggi, dovuti al suo principio di funzionamento ed alla particolare tecnica utilizzata: ridotti costi di gestione ( dal momento che le perdite per effetto Joule sono nettamente ridotte rispetto a alle linee in cavo ed a quelle aeree); gestione simile ad una linea aerea (l’elevata capacità di trasmissione consente di interrare una linea mantenendo lo stesso carico massimo e i cicli di richiusura rapida di tale linea consente di gestire la linea senza particolari modifiche); affidabilità garantita; deboli campi elettromagnetici (nessuna schermatura particolare è richiesta, anche nelle zone critiche per la compatibilità elettromagnetica, quali aeroporti o centri elaborazione dati); nessun invecchiamento; riduzione dei costi (rendendoli appetibili sul piano economico per le grandi distanze).

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Attualmente, esistono diverse nuove innovazioni non ancora utilizzate nel sistema elettrico dal momento che il loro cammino verso il mercato è stato bloccato dalle incertezze commerciali derivanti dalla incompleta transizione ad una industria elettrica pienamente ristrutturata. La nuova generazione di tecnologie promette di risolvere il problema della crescita della capacità offrendo soluzioni non convenzionali per incrementare la capacità di trasmissione senza la necessità di costruire nuove linee. Tra le tecnologie di trasmissione avanzata che dimostrano di possedere il potenziale per rivoluzionare il sistema di trasmissione si rilevano: - High-Temperature Superconducting Cables, nel settore della superconduttività i Pirelli Labs stanno studiando nuovi materiali inorganici avanzati da utilizzare come superconduttori ad alta temperatura diversi da quelli attualmente impiegati. La soluzione tecnologicamente più all’avanguardia in questo campo è il sistema in cavo con materiali superconduttori ad alta temperatura (HTS – High Temperature Superconductors), messa a punto da Pirelli in collaborazione con importanti istituzioni internazionali quali l’EPRI (Electric Power Research Institute) e il Department of Energy degli Stati Uniti. Questa tecnologia è basata sulla proprietà di alcuni materiali che raffreddati al di sotto di una temperatura critica, propria di ciascun materiale, sono in grado di trasportare grandi quantità di corrente continua senza alcuna resistenza elettrica. Pirelli, utilizzando materiali HTS sviluppati con American Superconductor Corporation, ha recentemente completato la costruzione di un sistema trifase in cavo HTS che sarà installato nella rete elettrica della città di Detroit. Tale sistema è in grado di trasportare in corrente alternata 100 MegaWatt a 24.000 Volt (una potenza superiore a quella di un cavo in rame delle stesse dimensioni). Questi High-Temperature Superconductors (HTS) sono stati ora sviluppati per l’utilizzo in sistemi di distribuzione dove essi dimostrano la capacità di ridurre le perdite di energia, bassi costi operativi, e incrementare la capacità di trasmissione degli esistenti corridoi. - Flexible AC Transmission System (FACTS), questi dispositivi utilizzano un’alimentazione elettronica al fine di migliorare il controllo del sistema elettrico, aiutando ad incrementare i livelli di trasmissione senza necessità di investire in nuove linee. I regolatori elettronici di potenza, che agiscono come microprocessori, sono in grado di incrementare o decrementare il flusso corrente sulle singole linee di trasmissione. In alcuni casi, la capacità di particolari linee può essere incrementata fino al 40%. Inoltre, i regolatori elettronici possono aumentare l’affidabilità del sistema rispondendo alle dispersioni transitorie quasi istantaneamente e impedendole così di espandere. Tali regolatori formano la base di un Flexible AC Transmission System (FACTS), il quale è in sviluppo da quasi venti anni ed è entrato alla sua terza generazione. La dimostrazione di un sistema di terza generazione, denominato Unified Power Flow Controller (UPFC), sta per essere avviato. Il dispositivo UPFC ha una abilità unica che consiste nel controllare simultaneamente i tre parametri (quali: tensione, angolo di fase ed impendenza) che governano il flusso di elettricità sulle linee di trasmissione. La prima installazione di un UPFC è stata realizzata presso una sub-stazione dell’ American Electric Power Company (AEP) dove incrementerà il flusso in una regione ad un tasso alto di crescita della domanda fornendo anche un supporto di tensione in una regione industriale vicina. CO2 SEQUESTRATION

Negli ultimi 60 anni, la quantità di emissioni antropogenica di anidride carbonica (CO2) nell'atmosfera, principalmente a causa dell'uso in continuo aumento di combustibili fossili per la produzione di energia elettrica ed industriale, è salita da 280 parti per milione (ppm) dell'epoca preindustriale agli attuali più di 365 ppm. Le stime sul consumo globale di energia indicano, per il secolo appena iniziato, un progressivo aumento delle emissioni di carbonio con conseguente aumento delle concentrazioni di CO2 nell'atmosfera. Uno

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scenario elaborato dall’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC 1996) prevede che, in futuro, le emissioni globali di CO2 nell'atmosfera, aumenteranno dai 7.4 miliardi di tonnellate di carbonio atmosferico (GtC)/anno del 1997 ai 26 GtC/anno circa nel 2100.

Per la riduzione della CO2 esistono diverse strade, come: la riduzione dei consumi energetici favorendo una politica di risparmio energetico, la quale può essere controllata con un cambiamento delle abitudini dei consumatori e la negoziazione di impegni per il settore economico; l’incremento dell’efficienza dei processi di generazione e di utilizzazione di energia, introducendo combustibili che producono una minore quantità di emissioni per unità di energia prodotta (per esempio sostituendo il carbone e l’olio combustibile a favore del gas naturale); l’adozione di tecnologie alternative per la produzione di energia da fonti rinnovabili. Ad ogni modo, la maggior parte degli scenari suggeriscono che da soli questi passi non raggiungeranno le riduzioni richieste nelle emissioni di CO2.

La cattura e la conservazione della CO2 potrebbe giocare un ruolo molto importante nel risolvere il problema, oltre a non richiedere rapidi cambiamenti nei processi di base, nelle infrastrutture di offerta energetica e a favorire il tempo necessario per la transizione ad un futuro sistema energetico carbon-free. Negli ultimi pochi anni, diversi studi e progetti hanno eseguito il sequestro geologico della CO2, in primo luogo gli Stati Uniti, il Giappone e l’Europa. Il concetto base prevede la cattura dell’anidride carbonica emessa dalle maggiori fonti (per esempio la CO2 può essere separata negli impianti di produzione di energia da combustibili fossili, dagli effluenti dei processi industriali, come raffinerie, acciaierie, cementifici, etc, o durante i processi di decarbonatazione di combustibili, come la produzione di idrogeno da idrocarburi come gas naturale o carbone), il trasporto e il suo sequestro in adeguate strutture di natura geologica.

Dal punto di vista economico, vi è ancora molta incertezza sulla determinazione dei costi nelle varie situazioni operative. Le esperienze sinora effettuate e gli scenari studiati lasciano intendere che i costi possono variare anche significativamente da una situazione all'altra, andando da qualche decina di euro per tonnellata fino a 100 euro/tonnellata. Fonti Iea indicano un costo complessivo compreso tra 9 e 49 euro/tonnellata CO2.

Prima che l’anidride carbonica possa essere sequestrata dagli impianti elettrici o dalle fonti industriali, essa deve essere catturata come sottoprodotto dai processi industriali, anche se le tecnologie per la cattura della CO2 non sono efficaci dal punto di vista dei costi per grandi quantità di sequestro. Infatti il processo di cattura dell’anidride carbonica rappresenta circa i tre quarti del costo del sistema complessivo. Miglioramenti evolutivi negli attuali sistemi di cattura della CO2 e nuovi concetti rivoluzionari per la cattura e il sequestro sono necessari per permettere una diminuzione del suo costo, compresi mutamenti specifici dei componenti del sistema energetico esistente che potrebbero semplificare il processo di cattura e stoccaggio nonché abbassarne i costi. Le opzioni più promettenti attualmente identificate per la separazione e cattura della CO2 negli impianti di potenza sono: l’assorbimento (chimico e fisico); l’adsorbimento (chimico e fisico); la distilazione a basse temperature; processi criogenici; la mineralizzazione e la bio – mineralizzazione. Le installazioni fornite di una capacità di depurazione del gas mostrano lo svantaggio di occupare molto spazio, di essere costose e energy – intensive. In alcuni casi, l’energia richiesta risulta essere pari al doppio. Inoltre le condizioni operative non sono favorevoli, perché questi devono processare grandi volumi di vapori a bassa pressione contenenti concentrazioni diluite di CO2. Infatti, nel momento in cui si progettano nuove installazioni sono preferite altre opzioni:

- pre – combustion capture: il combustibile può essere convertito in un gas di sintesi, una miscela di CO e idrogeno, attraverso il processo di steam reforming (gas naturale) in presenza di acqua, oppure con parziale ossidazione in presenza di ossigeno. Il CO nella miscela reagisce con l’acqua

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durante la fase di conversione. In questo modo la CO2 è separata dall’idrogeno sotto buone condizioni (pre – combustion capture) e l’idrogeno può essere per produrre energia (elettricità o calore) senza emettere anidride carbonica;

- capture by oxy – combustion: quando viene implementata la tecnica della oxy – combustion, la combustione ha luogo in presenza di ossigeno puro, che consente di ottenere gas combusti contenenti CO2 concentrata facilmente separabile dal vapore con cui è miscelata.

Una volta che è stata catturata, la CO2 dovrebbe essere sequestrata per un lungo periodo, per lo meno la struttura di tempo durante il quale il problema della CO2 è probabile rimanga critico (non più di uno o due secoli). Come misura precauzionale si considerano anche soluzioni che vorrebbero sequestrare la CO2 per milioni di anni.

Il sequestro della CO2 si ha attraverso la sua immissione in formazioni geologiche appropriate, come i giacimenti di petrolio e gas naturale, esauriti oppure ancora in uso, le formazioni geologiche porose sature di acqua salata (i cosiddetti acquiferi salini) e i giacimenti carboniferi profondi. Qualche hanno fa veniva considerato anche il sequestro marino, ossia la possibilità di immettere CO2 negli oceani a grande profondità, ma tale alternativa presenta lo svantaggio che non si conoscono gli effetti di una aumentata acidità delle acque sugli ecosistemi marini. Vi è anche la possibilità di aumentare i processi naturali che rimuovono la CO2 nell’atmosfera, sequestro terrestre (globalmente la biosfera assorbe annualmente 2 miliardi di tonnellate di carbonio), promuovendo politiche atte alla riduzione del disboscamento e alla promozione di forestazioni. Le pratiche di fertilizzazione organica continuata nel tempo consentono di mantenere od aumentare il tenore in sostanza organica nel suolo, infatti il carbonio che viene fissato in forma di sostanze humiche, ad esempio a seguito di piani pluriennali di ripristino della fertilità organica anche tramite il compost, diventa il catalizzarore (come attivatore della fertilità del suolo) di tutte le funzioni fisiologiche vegetali. Tra queste una funzione importante è quella che consente di assimilare ulteriore CO2 sottraendola all’atmosfera.

La soluzione preferita per il sequestro su larga scala di CO2 è generalmente il sequestro geologico in formazioni geologiche ampiamente diffuse e con capacità di immagazzinamento adeguate, quali: - Giacimenti di petrolio e di gas naturale. Lo smaltimento geologico della CO2 in giacimenti chiusi o praticamente esausti rappresenta una tecnologia interessante dal punto di vista economico. La CO2 viene iniettata per mezzo di sonde di perforazione all’interno di questi bacini, ottenendo, se il giacimento non è completamente esaurito, una ulteriore estrazione di prodotto combustibile, allungando così la vita utile del giacimento stesso. Quel che è certo è che l'immissione di CO2 in giacimenti di petrolio o gas naturale per il recupero assistito, rappresenta la migliore opportunità di sequestro a bassi costi se si considerano i ricavi dovuti al recupero di petrolio o gas. Tale attività (la cosiddetta Eor, Enhanced Oil Recovery) ha una duplice funzione: garantisce evidenti vantaggi ambientali, perché riduce le emissioni di gas serra in atmosfera, e aumenta la produzione di idrocarburi in quei giacimenti dove la pressione esistente non ne consente una adeguata fuoriuscita. Gli Stati Uniti sono i leader mondiali nella tecnologia Eor e utilizzano circa 32 milioni di tonnellate anno di CO2 a questo scopo. Tra i vari progetti merita una citazione quello di Weyburn in Canada: grazie al sequestro permanente di circa 20 milioni di tonnellate di CO2 durante l'intero progetto sarà possibile produrre almeno 130 milioni di barili di petrolio incrementale, il che estenderebbe la vita residua del giacimento di circa 25 anni. Allo stato attuale l’opportunità dell’applicazione Eor è economicamente limitata alle fonti di emissione di CO2 vicini ai giacimenti di petrolio o gas naturale. - Giacimenti di carbone profondi o comunque non sfruttabili. Un’altra via economicamente promettente per lo smaltimento geologico della CO2 è offerta dai giacimenti di carbone che

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non possono essere sfruttati (ad esempio a causa della loro profondità). I giacimenti di carbone tipicamente contengono una grande quantità di un gas ricco in metano che è assorbita sulla superficie del carbone. La pratica attualmente utilizzata per recuperare il metano dai giacimenti di carbone è di depressurizzare il giacimento iniettando acqua nella riserva. Un approccio alternativo consente di iniettare anidride carbonica per mezzo di sonde di perforazione, la quale viene adsorbita dal carbone stesso. Questo fenomeno causa, in genere, un desorbimento di metano dalla matrice carboniosa, favorendo l’estrazione del metano in modo economicamente conveniente e sequestrando la CO2 nel giacimento. Questo tipo di approccio è anche conosciuto come Enhanced Coal Bed Methane (ECBM) ed è stato dimostrato in un limitato numero di campi, infatti è necessario svolgere ulteriori studi per capire ed ottimizzare il processo. Un altro aspetto promettente del sequestro della CO2 in giacimenti di carbone è che un numero elevato di grandi vene di carbone insfruttabili sono vicine ad impianti di generazione di energia elettrica, che rappresentano importanti fonti di emissione di CO2, riducendo in questo modo i costi del trasporto. - Bacini acquiferi profondi. Una delle possibilità per lo smaltimento geologico della CO2, per la quale si ritiene esistano notevoli capacità di immagazzinamento in tutto il mondo, è costituita dai bacini acquiferi. In genere gli acquiferi sono costituiti da strati di roccia sedimentaria porosa (spesso arenaria), più o meno compatta, contenente acqua salata. A seconda della permeabilità, gas e/o liquidi possono fluire attraverso lo strato. Molto spesso al di sopra del bacino si ritrovano strati di roccia quasi completamente impermeabile (ad esempio argilla), che garantisce la tenuta del bacino stesso. La CO2 viene introdotta nell'acquifero per mezzo di una sonda di perforazione, essa si dissolve parzialmente nell'acqua e in parte forma delle sacche spostando il liquido. Sul lungo periodo possono anche aver luogo reazioni chimiche di fissazione con le rocce stesse. In particolare, in presenza di silicati (soprattutto di magnesio), la CO2 può dare luogo a reazioni di precipitazione di carbonati con produzione di silice, fissandosi in modo permanente. I bacini acquiferi presentano inoltre il vantaggio di essere facilmente accessibili dalle fonti più importanti di emissione di CO2. La più imponente operazione di recupero e stoccaggio della CO2 attualmente in corso è quella condotta dal giacimento di gas di Sleipner, nell'area norvegese del Mare del Nord, e rappresenta il primo sequestro eseguito per le ragioni del cambiamento climatico. Un milione di tonnellate di CO2 / anno vengono estratte dal gas naturale prodotto, per riportarne il tenore agli standard commerciali. Il gas carbonico recuperato viene iniettato dal 1996 in una falda d'acqua salata situata ad oltre 800 metri di profondità sotto il Mare del Nord. A tali operazioni è abbinato un programma di ricerca europeo denominato Saline Aquifer CO2 Sequestration (SACS). L'obiettivo è quello di acquisire conoscenze sul comportamento della CO2 negli strati sotterranei e di costruire un modello matematico dell'architettura del serbatoio al fine di disporre di uno strumento che permetta di proiettarsi in avanti e valutare il suo comportamento nelle prossime migliaia di anni.

Una serie di stime sulla capacità potenziale di immagazzinamento mondiale sono mostrate nella tabella seguente. Storage Option Range of Values (Gt C)Ocean 1400 - 2x107 Aquifers 87 - 2700 Depleted gas wells 140 - 310 Depleted oil wells 40 - 190

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Attualmente sono allo studio approcci avanzati che si basano su nozioni chimiche e biologiche, in particolare: - Tecnologie chimiche avanzate. I processi chimici avanzati potrebbero portare a tecnologie veramente uniche di sequestro o a miglioramenti nella nostra comprensione della chimica che miglioreranno le prestazioni di altre metodologie di sequestro. La chimica è una disciplina trasversale che interagirà con quasi tutti gli aspetti del problema del sequestro. Lo scopo è quello di riuscire a far si che la CO2 sequestrata diventi un prodotto stabile ed inerte ma anche utile. Infatti con particolari tecnologie sarà possibile trasformare inutili sottoprodotti in prodotti commercializzabili. Inoltre mediante processi chimici avanzati sarà possibile aumentare la stabilità dallo stoccaggio della CO2 e quindi evitare remissioni in atmosfera. - Processi biologici avanzati. Entro il 2025 si stima la possibilità di implementare processi biologici avanzati atti a limitare le emissioni ed a sequestrare il carbonio dai gas concentrati di combustione prodotti da centrali elettriche ed impianti industriali. Le tecnologie biologiche avanzate aumenteranno o miglioreranno i processi biologici naturali per il sequestro del carbonio dall'atmosfera alle piante terrestri, alle specie fotosintetiche acquatiche fino alle comunità microbiologiche del suolo. Queste tecnologie implicano l'uso di nuovi organismi, sistemi biologici bioingengeristici e miglioramenti genetici nelle catene metaboliche delle specie microbiche terrestri e marine nonché delle specie vegetali ed animali. La ricerca dovrebbe essere indirizzata sull'ingegneria genetica delle proteina delle piante, degli animali e dei microorganismi per richiamare le funzioni metaboliche e migliorarle in modo da poter ottimizzare le tecniche di sequestro del carbonio migliorandone il rendimento. Inoltre sarà necessario stabilire una sinergia tra gli studi dei processi biologici avanzati e le attuali tecniche di sequestro geologico e terrestre.

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ALLEGATO 4

IL SETTORE TRASPORTO IN ITALIA

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1. ANALISI ED OBIETTIVI

In una recente analisi dell’Unione Petrolifera è prevista una certa saturazione del parco

autovetture private in Italia che dovrebbero passare da circa 30 milioni di unità del 2003 a circa 31

milioni di unità nel 2010 / 2015.

Secondo le previsioni adottate da questo Istituto, basate tra peraltro sulle attuali tendenze e

sui programmi dei costruttori di auto, mentre il parco auto benzina si ridurrebbe, aumenterebbe

quello a gasolio che dal 22% del 2003 arriverebbe a rappresentare il 30% nel 2010 ed il 40% nel

2015.

Si è ipotizzato anche un moderato aumento delle vetture equipaggiate con GPL e metano

che sono previste triplicare entro il 2015.

Sono state previste al 2015 un certo numero (800.000) di vetture azionate a celle

combustibile (idrogeno ottenuto da benzina e metano).

In aggiunta a questo caso che possiamo considerare di base, l’Unione Petrolifera prevede

anche un caso alternativo in cui per ridurre le emissioni inquinanti e migliorare la congestione del

traffico si faccia ricorso da un lato ad un maggior uso del trasporto pubblico sia su strada e sia su

ferrovia, ma anche ad un più accentuato uso delle auto alimentate a GPL ed a metano (vedi

tabella).

In realtà, a nostro parere anche questa ipotesi è molto prudenziale perché si passerebbe

da 1 a 2 milioni di auto circolanti a metano con un maggior consumo di gas per uso trazione di 0,7

milioni di Tep.

Se si vuole invece dare una forte spinta all’impiego di questo fuel per il settore trasporti, con

una adeguata promozione presso le case costruttrici e presso le strutture di distribuzione

carburanti, l’obiettivo minimo per il 2015 dovrebbe essere di 4 milioni di vetture per arrivare al 2020

e dopo, a circa il 30% del parco auto private ed almeno al 50% del parco autovetture pubbliche.

La riduzione del peso del petrolio (benzina e gasolio) nel nostro bilancio energetico sarebbe

così più sensibile in grado di consentire un effettivo risparmio della fonte petrolifera ed una sua

potenziale sostituzione con il gas naturale.

Anche sul piano delle emissione di CO2 si avrebbero indubbi vantaggi con un minore

contributo di questo gas serra nell’ordine dei 5 – 6 milioni di tonnellate l'anno (al 2020).

2. LO SVILUPPO PIÙ ACCELERATO DEL PARCO A GASOLIO NEL 2010 SECONDO L'UNIONE PETROLIFERA

Nell' ipotesi che la diffusione delle autovetture alimentate a gasolio sia più accentuata di

quanto previsto nel "caso base", arrivando al 40% del parco autovetture circolanti, si stimano i

seguenti effetti:

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- le autovetture a benzina diminuirebbero dagli attuali 22,0 a 15,9 milioni di pezzi e, rispetto

alle previsioni del caso base, ci sarebbero minori consumi per 2.336.000 t;

- le autovetture a gasolio giungerebbero a 12.4 milioni di pezzi, comportando un maggior

consumo di 2.140.000 t di tale carburante;

- nella composizione del barile il peso dei gasoli salirebbe dall'attuale 38% al 47%, cioè di

3 punti percentuali in più rispetto a quanto previsto nel caso base.

3. IL "CASO ALTERNATIVO" NELLA COMPOSIZIONE DEL PARCO AUTOVETTURE SECONDO L'UNIONE PETROLIFERA

Si é anche considerata l'ipotesi che nel 2015 una maggiore diffusione delle strutture di

rifornimento consenta il raddoppio rispetto al caso base del parco tradizionale alimentato a

metano e che una accelerazione della tecnologia attualmente in fase di studio/sperimentazione

porti ad una presenza di vetture ibride, a celle a combustibile e a idrogeno liquido nella misura

doppia di quella del "caso base".

Questa diversa configurazione del parco circolante, indicata alla tavola seguente come

caso alternativo, comporterebbe comunque effetti contenuti:

− minore consumo di benzina e gasolio per 0,9 milioni di Tep;

− maggiore consumo di metano per 0,7 milioni di Tep;

− minore consumo di energia totale per 0,2 milioni di Tep;

− minori emissioni di C02 per 1 milione di tonnellate.

Con l'adozione di questa ipotesi, il contributo del metano sull'insieme dei carburanti impiegati nel

settore trasporti sarebbe in linea con l'obiettivo della proposta della Direttiva UE sui carburanti

alternativi.

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Accordo di partnership della Citroen

Da diversi anni Citroën e Gaz de France stanno sviluppando tecnologie pulite, in particolare

per veicoli alimentati a gas naturale.

Essendo una risorsa fossile abbondante, ecologica e a basso costo, il gas naturale allo

stato attuale alimenta più di tre milioni di veicoli nel mondo. In Francia, 1.500 autobus alimentati a

gas naturale operano nella maggior parte delle maggiori città, e il loro successo è in crescita.

Convinti del futuro utilizzo del gas naturale come combustibile per veicoli, Gas de France e

Citroën hanno deciso di unire il loro know-how e le loro competenze tecniche per sviluppare una

serie di prodotti da offrire ai proprietari privati.

Al Paris Motor Show del 2004, Citroën ha presentato il modello C3 1.4i CNG, che sarà

lanciato sul mercato nella prima metà del 2005.

Questo nuovo modello, di elegante disegno, si rivolge agli interessi economici ed ambientali

di una ampia serie di clienti. Infatti, il gas naturale riduce le emissioni di CO2 del 20% in confronto

al petrolio, e non emette biossido di zolfo o piombo. Inoltre, il modello C3 presenta un disegno

amichevole e offre dispositivi di sicurezza ed equipaggiamenti di forte attrazione per il cliente.

La ricerca di Gaz de France sull’utilizzo del gas naturale come un credibile combustibile

alternativo ha portato ad incrementare la quota di veicoli alimentati a gas naturale nella flotta degli

enti e delle autorità locali. Attualmente Gaz de France sta esaminando la realizzabilità di un

sistema di rifornimento domestico per la Citroën C3 1.4i CNG.

Entro pochi mesi, i clienti domestici di Gaz de France saranno in grado di rifornire i loro

veicoli alimentati a gas naturale direttamente nel garage di casa per mezzo di un piccolo

compressore costruito ad hoc.

Questo nuovo sistema pratico e time-saving, riservato fino ad oggi solo ai clienti pubblici,

offrirà grandi comfort e vantaggi ai proprietari delle macchine. Gli automobilisti potranno rifornire la

loro macchina nel proprio garage, ogni qual volta che lo desiderano e in totale sicurezza.