clara contemporanea e gli americani oltre

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contemporanea edizioni aab CLARA E GLI AMERICANI OLTRE 124

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CLARAE GLIAMERICANIOLTRE

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Comune di BReSCiApRovinCiA di BReSCiAASSoCiAzione ARtiSti BReSCiAni

aab - vicolo delle stelle, 4 - Brescia6-21 luglio 2005feriali e festivi 15,30 -19,30lunedì chiuso

mostra ideata daClara Scarampella Lombardia cura di Fausto Lorenzi

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Ad Angiola Churchill, Fausto Lorenzi, Vasco Frati,Martino Gerevini e Sandro Fontana.

Nel pugno colmo di sabbia del mio primo mattino,schiudendolo ora, ho ritrovato pochi granelli luminosi:però voi c’eravate.

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CLARA E GLI AMERICANI 5. OLTREFausto Lorenzi

Oltre è tutto ciò che sta al di là di una soglia, di un confine: fisico, me-tafisico, spirituale. Oltre era il tema del quinto appuntamento biennaletra l’artista italiana Clara Scarampella Lombardi, ideatrice dell’iniziativa,e gli artisti, provenienti dagli Stati Uniti ma anche da altri Paesi delmondo, che frequentano il Graduate Program della New York Univer-sity a Venezia, diretto da Angiola Churchill (creatrice del D. A., Dotto-rato in arte, il programma della New York University che offre agli spe-cializzandi una struttura di studio equivalente in profondità e ampiez-za ai dottorati di scienze, legge o filosofia). I partecipanti al NYU-Venice Program appartengono a più genera-zioni ed a più aree culturali: alcuni sono artisti professionisti, altri so-no ricercatori o insegnanti nel campo delle arti visive. La proposta,fin dalla prima edizione, è stata quella di misurarsi su un tema comu-ne, perché si mescolino sguardi e letture del mondo. I partecipantinon sono vincolati da alcuna tecnica o stile, bensì dal tema e dalle mi-sure assai contenute dei lavori. Ciascuno propone un solo lavoro,mentre Clara Scarampella Lombardi è presente di volta in volta conpiù opere, ma sempre rigorosamente a tema. Ci sono anche dei pre-mi, offerti dall’artista mecenate Clara Scarampella Lombardi e asse-gnati da una giuria.L’idea stessa al fondo di Clara e gli americani – come s’intitola l’ap-puntamento biennale –, è quella dell’oltre, svolgendosi su una sortadi borderline, su una linea di confine tra mondi diversi, tra culture di-verse, dove si scambiano sguardi e intenzioni di sguardi, ma ancheveri e propri racconti, pronti a transitare in ogni direzione. L’artistache ha promosso l’iniziativa – contro ogni omologazione, o, se sipreferisce, globalizzazione massificante e livellante – non vorrebbeperdere nessuna delle forme possibili del mondo, e chiama tutti gliartisti a far sì che queste altre forme non restino perdute, scartatee irrecuperabili per sempre. L’arte, la poesia, è proprio questo scar-to dalla norma, quella differenza che filtra dalla capacità di aprire gliocchi, di vedere uno spazio dilatato, sfuggente, giammai chiuso dallalinea dell’orizzonte, ma sempre aperto alla sorpresa, all’incontro, al-l’ignoto.

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Tutto nacque nel 1996, quando Clara Scarampella – dopo essere statavisiting professor al Master di Venezia – provò a sfidare gli americani amettersi dal suo punto di vista, proponendo anche a loro di ideareopere sulla base degli oggetti trovati che, fotografati, costituivano il pun-to di partenza del suo lavoro. Un esercizio che non era di pura speri-

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mentazione, perché richiedeva a tutti di riconsiderare il processo cheporta gli oggetti all’arte.La seconda volta, nel 1998, fu proposto il tema Presenza/assenza. Di-ventò per tutti una riflessione sull’atto stesso del produrre immagini,che è proprio il tentativo di trattenere nello sguardo qualcosa che ci ècaro, o che ci ha colpito in maniera particolare.La terza edizione, nel 2000, è stata dedicata al tema del Chiaroscuro: untema minuscolo, quasi banale e tecnico (il gioco d’ombre) e insiememolto arduo e profondo, con gli artisti chiamati a riflettere sull’arte ri-dotta alle sue ragioni estreme di luogo generato dalla luce, e che resi-ste come spazio di memoria della luce, fondendosi con il tempo. Sia lacecità, che l’abbaglio, ci tolgono la vista. Pare allora che il mondo ap-partenga alla zona intermedia, chiaroscurale, di scambio tra il vederetroppo e il non vedere.Il quarto appuntamento, nel 2002, Autoritratto: tracce di sé, è derivato daltema precedente del Chiaroscuro come un baluginare enigmatico: esisteuna parte chiara, diurna del sentimento, della passione, della ragione disé, e ne esiste una notturna, ambigua, oscura. Si è convenuto così chel’autoritratto non dovesse essere quello classico della figura davanti al-lo specchio, che rischia di essere accademico, ma che ciascuno dei par-tecipanti si raccontasse in maniera indiretta, magari più profonda, at-traverso oggetti, o luoghi, o spazi, o luci, o colori e calori. Cioè, che cia-scuno si raccontasse attraverso le cose o i luoghi della propria espe-rienza, aloni, tracce e impronte della propria presenza e del propriovissuto, o attraverso umori, sensazioni, aspirazioni, passioni.

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L’arte tenta sempre di suggerire nuove forme di visione del mondo, finoallora mai esistite. È questo il senso ultimo di Oltre, il tema del quintoappuntamento biennale di Clara e gli americani: per vivere dobbiamostare dalla parte della metamorfosi, provare per via d’immaginazionead essere altro che non siamo, l’altro da sé, il vento, il gabbiano, l’alba-tro del vecchio marinaio nella ballata romantica del poeta Coleridge.Solo che, nel mondo contemporaneo, dove tutto è decentrato e dis-seminato, non c’è più né un punto di partenza né una meta, come nel-le navigazioni virtuali nell’oceano periglioso del web.Dalla vertigine romantica, nell’insaziata sete d’innocenza, si arriva allaconsapevolezza degli astrofisici: solo l’uno per cento, o poco più, dellamateria dell’universo è visibile. E già sappiamo che la stessa struttura del-la materia e dell’universo è ben più ricca di fantasia – di morfologia – diquanta la fantasia stessa possa suggerire. Allora la scommessa dell’etàdell’illuminismo e poi dell’età del positivismo, di classificazione scientifi-ca, di minuta, esatta descrizione del mondo, in una linearità nitida e infal-libile di scrittura e disegno, sempre vacilla sul bilico di un’esplorazioneche fa affiorare anche le zone oscure e misteriose della ragione umana.

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Il problema della conoscenza è anzitutto morale, e quello estetico è unmodello di esperienza della verità che sonda e custodisce il rischio del-l’esistenza. L‘arte è sempre oltre il limite, ma è eternamente frustratain questa sua peregrinazione al di là del limite, perché la materia vive esi fa sul limite in cui dalla crisalide si schiude la farfalla. Si pensi a Gior-gio Morandi, grande pittore italiano del ’900, che ha tentato di farci ve-dere dall’interno, nella luce che si insinua nei pori delle cose, la fissio-ne dell’essere. Nelle opere estreme, Morandi si collocò sulla soglia del-l’essere che si libera dell’apparizione molteplice e illusoria, ma conser-va il tepore della sua fisicità, l’impronta appena della vita vissuta. Esplo-rava fantasmi, oggetti in negativo, struggenti epifanie d’un inafferrabile,eterno spirito formale. Sagome quasi di pura rifrazione, entro un rista-gno o scavo di luce, il colore come uno scheletro eroso degli oggettirimasti sul piano di posa, assediati dal nulla.Dar forma all’invisibile. Kandinskij chiamò quest’assunto dell’arte «la ri-cerca del suono interiore». Nelle antiche civiltà, anche la percezionedell’oltre era connessa all’idea di un potere stabile, perenne: il dio, l’an-tenato, abitavano in quella precisa forma. Quest’esperienza del mondoè oggi sconvolta: la struttura del reale è data dal caos, dalla pluralità deitempi e degli spazi, non dall’ordine e dalla stabilità. La stessa visione as-somiglia piuttosto ad uno sprofondamento. C’è una tendenza a ricollocare oggi gli oggetti in un contesto di giudi-zio sulla realtà, ma in un indirizzo classificatorio, quasi da test, da pre-lievo. Ma l’arte trattiene comunque una sacralità degradata, per direche la materia nelle mani dell’artista (la luce, l’ombra) è pur semprepartecipe d’un’energia spirituale o cosmica, o è ricordo di qualcosa diremoto, di oscuro, di cui sopravvivono frammenti nella coscienza del-l’artista.Brancusi, il grande scultore rumeno del primo ’900, asceta che si sfor-zava di raggiungere la purezza attraverso le sue opere, diceva che l’o-pera d’arte «esprime giustamente ciò che non è sottomesso alla morte».Nei suoi simboli mirava alla rivelazione della solidarietà che esiste trale strutture dell’esistenza umana e le strutture cosmiche.Il gesto dell’artista si offre come recupero dello spazio a centro d’o-rientamento e d’identificazione, come luogo di riaggregazione di forzevitali. La creazione poetica, con materie spesso povere e gesti essen-ziali, cerca di contrastare la barbarie, la superstizione tecnologica ed ilfeticismo consumistico con cui il mondo attuale riempie il vuoto di va-lori. Bisogna imparare ad accettare anche il senso dell’assenza: di quello chenon si vede, ma che c’è.E, come nella visione del mondo orientale, c’è un vuoto che non è as-senza, ma elemento attivo che nutre tutte le forme. Diceva il filosofo Wittgenstein che la nostra vita non ha fine nell’esat-to modo in cui il nostro campo visivo non ha limiti. Ma quest’assenza

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di limiti è nell’arte un progetto di vita (ecco una via dell’oltre). Un Pa-pa del ’900, Paolo VI, ha sempre cercato il confronto con gli artisti, per-ché diceva che l’arte è un veicolo di trascendenza: la materia che pren-de forma nell’opera riceve il sigillo dello spirito («il bello è la prova da-ta all’esperienza che l’incarnazione è possibile»).La spiritualità sentita come un’essenza concreta ed esistenziale di se-gno e materia pittorica, quasi si potesse far percepire l’anima che si ab-bandona al mistero della terra e dell’incarnazione come una sostanzacarnale. È la via che ha tentato ad esempio William Congdon, che è stato unodei protagonisti dell’avventura artistica americana dell’Action Painting,la pittura di gesto, nel secondo dopoguerra, accanto a Pollock,Motherwell, Tobey, Rothko. Poi ebbe la svolta mistica, scegliendo di vi-vere prima ad Assisi sui luoghi di San Francesco, quindi come un pove-ro monaco in un cascinale in Lombardia vicino a un monastero. Cer-cava un colore-spazio penetrato dall’infinito (per lui il divino) attraver-so vere e proprie stigmate. Un’arte senza immagine, ma d’afflato sacro,dove terra e cielo s’incontrassero. L’aspirazione a una forma di luceche traducesse l’analogia tra la terra feconda della campagna, la pittu-ra e la vita dello spirito.Agli artisti partecipanti all’edizione 2005 di Clara e gli americani non erarichiesto esplicitamente di testimoniare di un’arte propriamente reli-giosa, ma di far intuire il ritmo interno su cui si regge la loro strumen-tazione espressiva, a intendere la pratica dell’arte come fondazione direlazioni umane, in questo sì, quasi spazio sacro. Si sono posti il pro-blema di rivelare o evocare forze vitali, guidandoci anche al senso del-l’assenza. Tutti si sono comunque interrogati, tutti si sono dovuti rivol-gere anche alle sorgenti interiori (magari più nella riflessione sull’ope-ra, che nel risultato dell’opera in sé), ed hanno riportato a quello stu-pore che sa cogliere l’epifania del tutto anche nel frammento.Come le opere contemporanee rintraccino, per così dire, segni di va-lori ancestrali, facendo affiorare relitti di simulacri sepolti nei depositimitici del tempo, è esperienza ormai comune. Scultura, pittura, regia dimateriali sono del resto fatte di gesti di conservazione e sacralizzazio-ne della materia, e di gesti di motivazione dello spazio: è così che con-giungono materialmente la sfera esistenziale a quella degli archetipi edelle origini. Ancora oggi l’artista può piazzarsi sulla linea di passaggiotra ciò che si conosce, si soppesa e misura e ciò che si teme, e quindi– insieme oscuro e fascinoso – si esorcizza. Non a caso, anche strego-ni e sciamani vivevano ai margini della comunità, per significare il pun-to di congiunzione con le forze invisibili. Ecco che gli artisti sono co-me gli sciamani che avevano il compito col canto e il mimo di renderela tribù partecipe delle proprie avventure «attraverso i mondi».Può essere difficile accettare un’arte spesso disancorata dalla figura,basata su una visione che s’assottiglia fino alla percezione più esile ed

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estenuata, ma che magari nella verità istantaneae sfuggente di un gesto, di un segno, di un colo-re concentra la bellezza di una verità profonda.Fu proprio una conquista del ’900, per l’arte oc-cidentale, la capacità di cogliere il valore espres-sivo anche del vuoto, come luogo dell’immagine,e delle forme di luce come evocazioni di pre-senze assolute.Lucio Fontana, importantissimo artista italiano delsecondo Novecento, arrivò a sfrattare la figura,per far posto allo spazio, finché attraverso lacera-zioni (squarci netti o buchi colabrodo) la superfi-cie diventò schermo, luogo di sfondamento di unadimensione ulteriore. Arrivò, tagliando e bucando

la tela, a guardare in faccia il vuoto oltre il supporto, perché pensò sem-pre che, finita la materia, finito l’uomo, continua l’infinito. Perciò offrìgrandi esempi della fluidità, dell’energia potenziale, e quindi della spiri-tualità, dentro la materiaL’arte analizza e definisce se stessa, la forma non risponde ad altranecessità che al compimento di se stessa, ma se è intessuta di unacoscienza della visione, se crea in se stessa una dimora dell’uomo. Ela società multietnica, multilinguistica, multimediale che si dà realiz-zata per arte, rivela invece come la massificazione ed omologazioneplanetaria esasperi il problema dell’identità individuale, della presa didistanza, dei confini del corpo e dell’anima. È anche questo, l’oltre dasaggiare.La liberazione dell’arte dal peso delle cose è stato un proposito per-seguito fin nella radicalità del concettualismo, che si limitava ad enun-ciare l’opera, appagato della compiutezza dell’idea. Ma anche il con-cettuale dei nostri anni, se insegue qualcosa oltre l’oggetto, sa che èraggiungibile solo attraverso l’oggetto stesso: recupera perciò la sen-

sibilità dei materiali perché in essi sia rappresa ladensità del pensiero. Per simpatia simbolica, l’im-magine è sia ricordo che prefigurazione, saggian-do la percezione di una cifra di confine, di nonappartenenza, con una figuralità talora di estre-ma reticenza, di trasparenza o di enigma. La fra-gilità è proprio il senso primario di queste ope-re sulla soglia dell’oltre: la cura, la coltivazione (ilgiardino) delle differenze che abitano la terra,nella consapevolezza che la vita umana non si li-mita all’arco di una sola esistenza. Anche i vuotidi senso, anche la mancanza e il nulla segnano l’e-sperienza umana e solo il linguaggio poetico lipuò custodire.

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Tazeen Ahmed. L’ordito fa emergere sulla tela le fibre dei sentimentie delle passioni, vero tessuto connettivo di storie e valori profondi. C’èanche la funzione propria della tradizione decorativa di avvicinamento astilizzazioni magiche, alla ripetizione di motivi ancestrali con significati re-ligiosi, taumaturgici, propiziatori, che vogliono mettere in sintonia colgrembo della natura, come le forze più vitali. Risalendo ad ataviche for-me di percezione del mondo nelle tradizioni popolari e nella storia del-la propria famiglia, nel richiamo, anche in pittura, ai ritmi nomadi del rica-mo e della tessitura, Tazeen Ahmed va oltre la propria storia individuale,coltiva l’idea di una tessitura che intrecci legami tra individui e culture,un’uscita dalle mura delle stanze delle donne e dei pregiudizi. L’arte èproprio questa aspirazione a ricucire le lacerazioni dell’esistenza

Leslie J. Carlson sceglie la strada dell’enunciato concettuale pertracciare il proprio autoritratto come altro da sé: ne escono vere eproprie regole, ma sono aforismi che sovvertono la logica correntee vengono presentati come opera visiva. L’oltre è appunto tutto ciòche non si può contenere entro una definizione o una regola, che at-tiene a una sfera di conoscenza emozionale. Può essere soltanto al-luso, proprio da quella parola, che nella storia della nostra civiltà èchiave per aprire il libro dell’universo. Il ripristino di una dialettica,come bonifica dall’inquinamento delle immagini, per una disposizionepiù meditata all’ascolto, così che si riesca a cogliere ancora anche unbisbiglio, un sussurro, la verità d’una persona, d’una vita, oltre l’appa-renza, oltre i puri dati segnaletici. L’enunciazione apparentementefredda, scientifica, si regge così su una delicata, rarefatta, quasi tra-sparente sensibilità, di ricerca d’una presenza viva, che non si può nédescrivere né circoscrivere.

Alicia Cuccolo esplora la traccia aperta d’un viso: un’improntaesilissima, una sagoma di pura rifrazione dentro un ristagno tremu-lo di luce che crea lo spazio dell’attesa. Sulla carta resta solo unprofilo interrotto, con la corsività dell’appunto visivo nervoso, dia-ristico: è anche un modo per superare lo sgomento, per capire l’e-ternità del piccolo spazio che ciascuna persona occupa, perché in-torno ci sono le stagioni che eternamente vivono, eternamente sidistruggono.La pura grafia, quasi un danzante arabesco, è concepita come ambigua,slittante segnaletica di un senso di liberazione, di ostacoli eliminati: l’im-magine è sia ricordo che prefigurazione, esponendosi anche all’espe-rienza della mancanza. Il problema non è quello di rappresentare le co-se e le persone, ma di farle intuire, di lasciare le tracce di una scrittu-ra dell’esistenza. L’artista vuole inseguire la semplicità che procede dauna profonda esperienza dell’anima.

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Stephanie Czerniewski ricostruisce fasi di vitad’una fanciulla (come scene da un’autobiografiaironica), in affioramenti netti e riassorbimenti nelfondo della carta. La vita si dà come racconto, chelei affida a una grafica fumettistica, di umorosa, sa-pida stenografia novellistica, ma soprattutto allesinopie che in controcanto acquistano una va-ghezza di ricordo confuso e smarrito, di sogno, dinostalgia, a smorzare il linguaggio del disegnotroppo fiero e narcisistico. L’oltre diventa una ca-pricciosa fatalità, sul leggerissimo equilibrio tra lanotazione descrittiva – puntuale, d’acuto umori-smo, nella situazione grottesca e fatua – ed il liri-

smo d’un incantato e favoloso abbandono al mistero della memoria, alsegreto dell’esistenza che appena dà qualche barlume. Il disegno dellaparte segreta di sé – del proprio doppio – è un arabesco quasi total-mente assorbito nella luce, prossimo a svanire, per attingere una di-mensione ultrasensibile.

Meghan Valentine Gifford lavora su oggetti simbolici d’una lungaconvenzione dello sguardo, la cornice e il sipario teatrale. Un sipario ditela dipinta che s’apre su uno spiraglio cupo, una scena che appare piut-tosto un tunnel. L’oltre è una storia tutta da costruire, ma soprattuttocostringe a una lettura in profondità, al di là di ogni apparenza, con gliinterrogativi ultimi della vita: il mistero, l’ignoto, il nuovo. Le ombre so-no buchi nella luce, quando incontra ostacoli: i surrealisti sfruttavano glieffetti dell’ombra (spesso creando un vero e proprio cono buio) percreare un senso di sospensione, mistero, inquietudine. Qui, c’è ancheun’esigenza morale, nel sipario che sventola davanti a noi: di bonificaverso una disposizione più meditata all’ascolto, allo sguardo profondo,di fronte all’invadenza attuale delle immagini, che scorrono incessante-mente davanti ai nostri occhi, ma appunto per questo non sono maiguardate davvero, diventando indifferenti, intercambiabili, risolte tuttein superficie. Ecco invece l’invito a esprimere il segreto nascosto nelprofondo di ogni esistenza.

Joyce Haut ricrea un interno la cui prospettiva scivola verso la gran-de finestra aperta su un balcone. Dipinge con l’acqua usata dalla vita,quella che non si coagula in grandi storie, ma intride luoghi e stanzed’ombre e luci umide, di riflessi tremolanti, di ricordi più o meno di-stinti. Interroga, più che la dimensione sensibile, quella esistenziale: piùaffronta come presenza pura il tessuto del reale, più si scontra col sen-so del vissuto e dell’inesorabile consumarsi del tempo, con la memo-ria che impregna ogni cosa, anche la più apparentemente inerte. Lastessa brunitura del colore, fino a sembrare sporco e opaco, segnala

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l’avvolgimento dell’esperienza nel sudario del tempo, fino a farsi labilecome uno stato di coscienza liquido e vago. Più misura lo spazio conlo sguardo, più scopre d’approssimarsi all’indecifrabilità della visione,nello stupefatto straniamento di chi s’affaccia, al fondo della stanza, sullaporta dell’infinito. Nulla è visibile a questo mondo – diceva Goethe –se non a condizione di una luce mescolata di tenebra, di un’oscurità ri-schiarata: è come il ritorno a una casa remota, oltre, dall’altra parte, dicui sopravvivono barlumi nella coscienza dell’artista.

Jason P. Maddock suggerisce la vita come un intreccio di fibre e gan-gli nervosi o di vasi sanguigni. Un universo magico dove l’uomo non sisenta distinto dalle cose: c’è da lasciarsi pervadere, perché tutto si me-scola allo spazio e al tempo dell’esistenza, alla densità della materia edalla gestualità del fare. C’è una sorta di continuo scambio tra superfi-cie e sfondo, mentre le forme si legano e innestano l’una all’altra sen-za interruzione, come a fare dell’opera – in un incalzante assemblage –la porzione, il frammento d’un eterno circolo. La realtà del mondo simostra come tessuto ritmico, pulsante, nella transizione dinamica di unmotivo nell’altro. L’artista si mette dal punto di vista della mutazione,anche biologica e organica, nell’interpretazione percettiva della dialet-tica positivo/negativo che organizza il mondo, in una mobilità infinita.

Lisa Mermelstein usa la fotografia come una camera chiara, non scu-ra, per rivelare come nell’ombra fotografica si concentri l’emanazionedi un reale passato. Scova sui muri di Venezia macchie che paiono figu-re imprigionate per sempre, come fantasmi di antichi abitanti, soprav-vissuti solo per chi li sappia intuire, come guizzi brevi e improvvisi, lie-vi, quasi impalpabili, con l’aperta disponibilità del cuore, più che dellamente. Come se l’arte non fosse che questo spazio sommesso, intro-verso, paziente di memoria della luce, di stupore sospeso tra l’essere eil nulla. È l’arte di salvare dal nulla, del suggellare i ricordi nella loro so-litudine, nel loro eterno enigma, sapendo che i muri – i luoghi del vis-suto – custodiscono e liberano memorie e voci autenticamente uma-ne. Ci ricorda che la nostra esperienza si nutre di una moltitudine diforze vitali, che vengono da molto lontano, anche nel tempo.

Sara Ruth Orner galleggia nel liquido amniotico di una placenta uni-versale, tra moti cellulari, scoppi e cascate di efflorescenze e di barba-gli. Il suo è un tuffo nei misteri biologici allo stato puro, andando a sfio-rare le radici dell’informe e dell’invisibile. I segni che eccitano la su-perficie sono come tessuti connettivi di uno spazio primordiale efluente, che potrebbe essere un liquido biologico ricco di filamenti e dimicrorganismi. Fa fluttuare il colore in questa spazialità acquorea e pal-pitante, fatta di luce e movimento, di macchie e nebulose vibranti, qua-si trepide, delicate nel liberare l’energia del colore. Sicché ci si può in-

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terrogare se le forme della natura e le forme del-le emozioni non siano governate dalle stesse leg-gi. Un modo per fondere la ritmica fisiologica edil flusso di coscienza, a dire che la vita non è maiinerte, che ogni esistenza pulsa col tutto. Anche ildipinto non allude, ma pone la sua esistenza, co-me il trancio di un continuo che non può essereinterrotto.

Liz Perlin indica l’oltre nel mondo del sogno, chesvanisce con la veglia. Convoca gli oggetti che han-no popolato il suo sogno, ma la regola che li con-nette in una trama di racconto non è la stessa che

vale per la veglia. Un indagare, catalogare, raccogliere frammenti e segni,sondando una sorta di enigmistica, di struttura arbitraria di definizioniesatte, commista a un esercizio di autobiografia personale, che s’avvici-na a un sondaggio dell’inconscio. Ma non si può alzare la saracinesca tragli oggetti del quotidiano e i fantasmi che popolano i sogni: spezzando ilfilo della coscienza, resta solo l’ordine misterioso dell’attesa, del nondetto, la malinconia della vita come vuoto catalogo. Un enigma accam-pato sul nulla, sicché il collage cuce l’arbitrio di cose lanciate come dadiper tentare la sorte, avendo perso il filo del sogno. Ma questi materia-li sono pur sempre un deposito d’anima, proprio perché coagulanoframmenti del vissuto. Sono il doppio, il lato notturno, il compagno se-greto che convive con ciascuno di noi.

Sharon Talmor crea un’installazione spiraliforme di listelli di legno escritture, che affida poi all’azione del tempo e della natura, limitandosia conservare la documentazione fotografica. Opera sulla traccia di unamobilità infinita, sulle energie che plasmano le forme, perché l’arte siscioglie nella vita. Intervenendo nell’ambiente, riafferma l’unità con lanatura e le sue forze, ma anche la simbologia di gesti ancestrali di ri-stabilimento d’un equilibrio con la natura, con l’azione dell’acqua, delsole, del vento. I gesti dell’artista valgono per il segmento stesso di vi-ta, di energia emotiva e di flusso intellettuale che genera il farsi dell’o-pera. Il gesto dell’artista come un seme fecondante, un flusso di scrit-tura vitale, ma anche come un flebile, smarrito relitto (l’arte modernaci ha ben abituato, alla percezione del tutto nel frammento). Ma ci di-ce anche che ogni viaggiatore nel mondo, ogni essere umano, può crea-re da sé i propri sistemi di riferimento, fissare il valore dei propri se-gni, imparando a vivere di tappe ulteriori, non di punti d’arrivo, uscen-do così dai luoghi comuni dati una volta per sempre.

Maria Julia Vacas affida la memoria dei giorni vissuti a campiture dicolori cupi e luminosi, al dripping, alle sgocciolature. Sono le energie

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emotive, che danno forma, direzione. L’opera è come un organismoche vive tutto nel presente, lasciato sospeso come una tranche de vie,col senso della contingenza e insieme del destino, della fatalità: l’ideadel bagliore e dell’ombra d’un passaggio umano, di ciò che è strappatoal nero inghiottente dell’oblio e sopravvive nell’azione della luce chesfianca e consuma, che esala con l’esistenza. La vita è un dramma dicreazione e distruzione della luce e dello spazio, che inscena il pati-mento di tutti i movimenti e soprassalti interiori del corpo e dell’ani-ma. Ma in questa pittura che si scalda di sole, liberandosi dalla notte,circola come un presentimento dell’alba, la speranza – pur tra tutte lestriature più o meno dolorose dell’esistenza – della pienezza del gior-no. Il colore cerca dunque di liberarsi come un respiro vitale.

Joshua Weintraub lavora sull’oggetto trovato, che altro non è che unpezzo di brioche di crema coperta di colla, come un frammento di nu-trimento con effetto ambiguo e repellente, di muffa e gelatina. Sa chegli scarti, i rifiuti, ci parlano dell’uomo. Il confronto col trash, con unacondizione di deriva, è una messa in stato d’allarme, nell’insicurezza dichi è privato del senso del futuro. Ci ricorda la corporeità anche bru-tale dell’arte e la sua analogia oggi con un lavoro di passione archeo-logica da consumare nel corpo della vita quotidiana, scandagliando i re-perti del presente, inglobando lacerti del tessuto reale, anche il più ba-nale, di cui è fatta la vita, la schiuma e la casualità dei giorni. E ci ricor-da anche che l’arte è una sorta di trafugamento di cadaveri, un lavorosulle spoglie, sul non esserci delle persone e delle cose (l’oltre). Il tra-sh, così contaminato e infetto, ci ammonisce di comprendere le cosevalendoci anche di ciò che i sensi ci dicono di loro, e ci insegna che l’e-stetica non è solo il nascondere, il rassettare sotto il dominio del bel-lo canonico.

Eugenia Pei-Ying Wu crea un’installazione in cui, come Cenerento-la, perde la scarpina della griffe famosa, ornata di eleganti nastrini. Lastessa elegante bellezza l’affida invece alla natura, all’ornamento dei ra-mi in germoglio ritratti in due fotografie, a dire della sensibilità emo-zionata anche dalle più labili e fugaci parvenze dell’esistere, nel paesag-gio. È come se trascorresse in una favola fluida, dall’artificio alla natu-ralità perduta, ma sempre con la stessa percezione di leggerezza e fra-gilità, come di fiore e foglia nel vento delle stagioni. C’è una grazia fles-suosa e un sottile brivido di languida malinconia, mentre intensificaqualsiasi momento dell’esperienza, godendone il senso della delicatabellezza e della fragile precarietà, per sentirne l’armonia oltre i limitidell’esistenza individuale. Un costante pensiero dell’eleganza pura, sti-lizzata, sempre danzante su un’incompiutezza, una fragilità che s’iscrivenel travaglio del divenire.

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Clara Scarampella Lombardi costruisce un ve-ro e proprio percorso-installazione, sul ritmo d’unapartitura percettiva, verso l’oltre. C’è anche il tra-passo, da un materiale all’altro – dall’installazione ef-fimera fotografata e distrutta, all’elaborazione digita-le, al vetro –, fino a un soffio di colore-luce che schiu-de la porta del Paradiso. Ha capito che mai, comenell’attimo in cui stanno sospese sull’orlo della con-sunzione, le cose – anche la goccia d’acqua, il refolod’aria, la favilla di luce – mostrano più forte la vo-lontà di durare. Cercando il varco, la porta dell’Ol-tre, finisce con l’inseguire la traccia incancellabile che

ogni esistenza, nel micro e macrocosmo, compiendosi, lascia nel mondo.Clara Scarampella lavora abitualmente sull’idea dell’arte che trattieneil tempo perduto, vera realtà della nostra vita. Indaga sulla durata del-l’immagine nella risonanza interiore: fissa l’apparire alla luce di creazio-ni fugaci affinché, svaporate, leggere e fluide, ma non perse, resistano inuna sorta di immagine eterna. Gli oggetti entrano a far parte dell’ope-ra come traccia o impronta, attraverso un processo di purificazionedella sensorialità percettiva. Gli oggetti – nel lavoro abituale di Clara – sono quelli trovati, comenella tradizione dada, ma non più prelevati dal mondo dei consumi,bensì raffinati dalla natura: marmo, cemento, terra, sabbia, polistirolo,neve, zucchero, acqua. L’autrice li manipola in sculture effimere, cheriprende da un solo punto di vista con la macchina fotografica, ri-proietta in bianconero su tela emulsionata, poi talora vira a colorid’olio, acrilico, anilina, giocando proprio sui rilievi. Negli ultimi anniutilizza anche elaborazioni digitali, fondendole con tecniche manuali,e lavora sui vetri come bolle di sapone o lanterne magiche che rac-chiudono illusioni e segreti. Gli oggetti, le cose, perdono la loro consistenza fisica per acquistare ilrilievo di simboli, o meglio di immagini mentali e psichiche d’una realtàpazientemente scomposta, fatta macerare e infine ricostruita come pu-ra rifrazione o ristagno di luce. Anche i luoghi, come nelle fotografie diquesta installazione la riva e la spuma del mare, trascendono in una va-lenza simbolica.Clara Scarampella consegna il pensiero visivo a barlumi, travisamenti,sussulti e sussurri d’una realtà altra, a un oltre che supera le linee di de-marcazione tra scultura, fotografia e pittura, dove pelle delle cose emembrana dell’anima aderiscono l’una sull’altra, transitando nella luce. Sempre più, avanzando nel suo oltre, rappresenta quel che resta delle co-se, in un’estrema ridotta della visione, che viene a coincidere con quelche resta del giorno, da vivere. Il noto critico Pierre Restany ha rilevatoche tutto il linguaggio di Clara Scarampella «è un linguaggio di fragilità le-gato all’effimera verità dell’istante: esisto però potrei non esistere».

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Per Oltre, ha lavorato sull’analogia tra arte e vita dello spirito, a figura-re lo spazio d’incontro fra le circostanze quotidiane dell’esistenza e ilmistero della stessa, come se questo mistero potesse essere svelatonella luce. «Quello che conta – dice l’artista – è che alla fine le imma-gini appaiano come proiezioni della mia anima, delle sue luci e delle sueombre». In un ristagno appena di luce, in una molle imprimitura chescaldi il senso struggente di finitudine esistenziale, con una promessadi luce eterna. Una ricerca di strati purificati, profondi e leggeri, in cuisi sgorga come liberandosi da un nucleo impuro. La fotografia-pittura-scultura in vetro è pensata attraverso la memoria,l’immagine si costruisce dall’interno di questa memoria, rendendonevisibili le energie primarie, non come manifestazione di un’esperienzasolo individuale, ma come momento di conoscenza universale. Eccola dunque partire dal mare, sul limitare della spiaggia, avendo in-tuito che le vere linee del mare, che non possono essere tracciate sul-le carte nautiche, sono la profondità dell’abisso e lo slittamento dell’o-rizzonte. L’oceano divide il finito dall’infinito, come vogliono tutte leconvenzioni fiabesche e romantiche. Vive la fascinazione del mare pe-netrato dalla luce come un golfo, un ventre materno ricettivo, un luo-go abitato da un’aura, un’invisibile presenza dove la materia si rigeneranella luce.Un’ascesi percettiva nella polvere di luce, il bianconero come dialetti-ca fondamentale della vita, così come la terra e il mare, il finito e l’infi-nito cui conduce la scia di luce che sulla schiena del mare indica la rot-ta oltre l’orizzonte, fino al colore come invocazione, lamento, grido,canto di disperata felicità, in chi cerca la resurrezione nella luminositàdibattendosi nel nero abissale che è la vita, attendendo il diradarsi del-le nuvole minacciose (e nei vetri del Limbo, il luogo dell’attesa, tra laTerra e il Cielo, tra giardini e colombe, c’è già una rifrazione caleidosco-pica d’una Città celeste). Fino allo schiudersi dolcissimo (è una straor-dinaria trasfigurazione di cristalli di zucchero) della Porta del Paradiso,che indica un abbandono fiducioso a una visione d’assoluto. Così, dalla Finestra sull’Oltre alla Porta del Paradiso, il viaggio si compie nelracconto di un’anima che restituisce le sue forze all’universo, le cosealla loro innocenza primordiale. Alla fine, si concentra su un gestoestratto dal profondo, che crea un luogo luminoso. L’evento si compienel bagliore e nella fosforescenza che segnalano il compiersi di eventimiracolosi. Ecco, il mondo di Clara Scarampella Lombardi resta sospe-so sulla soglia d’un mistero ricettivo, accogliente, in cui guizza un tre-mito d’assoluto.

* Le immagini che corredano questo testosono relative a precedenti edizioni di “Clara e gli americani”

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gli americani

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Viaggiofibra cm 48 x 30Premiata

Tazeen Ahmed120 South Lawn Avenue – Dobbs Ferry, NY [email protected]

CURRICULUM VITAETazeen Ahmed è nata in Pakistan e risiede attualmente a New York. Ha fre-quentato il Manhatanhville College, a Purchase, New York, dove si è laureata apieni voti con lode in Belle Arti. È stata premiata con il Davig Fagen Award pereccellenza nella tecnica di pittura. Una delle sue opere fa parte della collezio-ne permanente della Valalla Community College, NY. È socia attiva del Mo-morrneck Artist Guild di New York ed ha partecipato a varie mostre colletti-ve a New York ed in Nuova Zelanda. Attualmente è rappresentata dalla AgoraGallery a New York.

POETICAHo studiato il ricamo femminile che proviene dalla mia cultura e dalla mia tra-dizione familiare pakistana ed ho deciso di incorporare alcuni dei suoi temi nelmio lavoro artistico per onorare questa tradizione artistica femminile.Oltre ai disegni complessi si possono intravedere le facce di donne che spera-no di trovare l’uguaglianza. Le cornici che si vedono nelle mie opere sono net-te, chiare ma allo stesso tempo spaccate e per questo ambigue: esprimonol’ansia del nostro tempo.

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8 direzionicarta stampata su pannello cm 28,5 x 11,5Premiata

Leslie J. Carlson2627 N. Spaulding Avenue 3W – Chicago, IL 60647

CURRICULUM VITAENata nel 1979, Leslie J. Carlson ha studiato disegno e pittura al Cleveland In-stitute of Art ed allo Early College Program presso la School of the Art Insti-tute of Chicago (SAIC). Ha ottenuto la laurea in Belle Arti nel 2001 presso ilSAIC ed attualmente studia per il conseguimento del Master in Belle Arti pres-so la New York University, sede di Venezia. Ha esposto in varie mostre collet-tive e negli ultimi due anni ha avuto due mostre personali presso la Gescheid-le Gallery a Chicago. La sua mostra più recente, “Meat”, a luglio 2004, ha rice-vuto due recensioni nei giornali: la prima, informativa nel Chicago Tribune, e laseconda nella sezione “Critics Choice” del Chicago Reader. Carlson è statapremiata con il Fellowship in Belle Arti presso il SAIC ed attualmente lavoracome assistente al direttore in una galleria d’arte a Chicago.

POETICALa mia ricerca artistica si concentra sul tema dell’auto-ritratto. Attraverso lapittura ed il disegno chiedo a me stessa di che materia sono fatta. Quindi, nel-le mie opere propongo direzioni assurde ed impossibili in modo da ottenereinformazione artistica sul corpo. Cerco di evocare una risposta dal pubblicoche sia fisica e viscerale, così da provocare ognuno di noi ad immaginare i con-tenuti del nostro corpo. Tramite questo processo di “domanda e risposta” vo-glio iniziare un dialogo tra la coscienza scientifica e fisica e le nostre idee na-turalistiche della bellezza e del corpo. L’azione dell’immaginazione e del pen-siero creativo utilizzata per accedere a queste dimensioni ci porta fuori dai no-stri corpi, lontano dalla scienza e dalla natura, verso un’esperienza cognitiva.

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Dormireacrilico su carta cm 80 x 60

Alicia Cuccolo43 Lane Avenue – West Caldwell, NJ 07006Tel. 001.973.228.6710 [email protected] - [email protected]

CURRICULUM VITAENata nel 1967 a Montclair, New Jersey, Alicia Cuccolo ha ottenuto la laurea inBelle Arti presso la School of Visual Arts a New York. Ha ottenuto la licenza inPedagogia presso la Parsone School of Design e la Bank St. College of Educa-tion, entrambe a New York. Attualmente lavora come insegnante di Belle Artinel New Jersey.

POETICAOltre il desiderio rimanela solitudinelo spaziola separazioneun compagno nel silenzionella memoriauna tracciauna facciaquella tua.

Tramite la pittura ossessiva ed i cambiamenti del viso di qualcuno che rappre-senta l’altro di noi stessi si rivela l’essenza di una persona.

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Come sono nei tuoi ricordi di me?carta ed inchiostro cm 67 x 44Segnalata

Stephanie Czerniewski263 23rd St. Apt. 2 – Brooklyn, NY 11215Tel. 001.718.788.6786 [email protected]

CURRICULUM VITAEStephanie Czerniewski è la più giovane di sei fratelli in una famiglia emigrata direcente negli USA. Ha studiato Belle Arti alla School of Visual Arts a New York.Attualmente è insegnante a Brooklyn e da questa esperienza si è resa conto diquanto necessario sia trasmettere ed insegnare l’amore agli studenti di oggi.

POETICALa nostra memoria trascende l’esperienza fisica.

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Oltre il telo si trova il mondo dell’immaginazioneolio su tela cm 30 x 40 circa

Meghan Valentine Gifford13 Stillwell Lane – Laurel Hollow, NY 11797Tel. [email protected]

CURRICULUM VITAEMeghan Gifford è nata ed è cresciuta nella costa nord di Long Island a NewYork. Entrambi i suoi genitori erano insegnanti di Belle Arti ed hanno influen-zato il suo interesse per le arti. Ha incominciato con la pittura al liceo, dovenacque l’interesse per la figura e l’esperienza umana. Ha ottenuto la laurea conlode in pittura e disegno alla Hamilton College nel 2004. A primavera dellostesso anno ha esposto per la prima volta in una mostra collettiva presso laEmerson Gallery a Clinton, New York.

POETICACome artista mi turba molto il modo nel quale la tecnologia e i media modernibombardano le nostre esperienze quotidiane tramite le immagini. L’importan-za nel cercare ed immaginare le immagini é negata o assente nella nostra so-cietà: la tecnologia ha cambiato la nostra percezione del mondo. Le immaginisono talmente accessibili che diventa difficile sottrarsi da loro, diffuse come so-no nelle tecnologie della televisione, di internet, dei sistemi digitali e delle vi-deocamere di sicurezza.

In questa opera ho cercato di coprire l’immagine con un telo per rimandarciai nostri istinti creativi. Vorrei che la nostra immaginazione formasse o perce-pisse l’immagine che è nascosta dietro il velo.

L’utilizzo della nostra immaginazione ci permette di esaminare la nostra sa-pienza più profonda del mondo e dell’esperienza umana. Ci aiuta ad esprimer-ci con più libertà senza l’inquinamento delle imitazioni tratte dai media e dal-la tecnologia. La nostra immaginazione non ha dimensioni.

Credo e spero che nel sottrarre dalla vista l’immagine, il pubblico imparerà adapprezzare l’importanza delle immagini ancora di più. Penso che le cose cui ab-biamo più accesso sono spesso sottovalutate, e che solo quando vengono sot-tratte o nascoste ci rendiamo conto della loro vera natura e di quanto valorehanno per noi. Tramite questo progetto spero di portare una nuova definizioneal significato delle immagini e della nostra immaginazione, in questo mondo di-ventato troppo tecnologico. Spero di riportarci ad un mondo dove le immaginiancora una volta possano portare ad “una intimità di esperienze umane”.

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Stanza dei ricordigouache e cera su pannello cm 20 x 31Premiata

Joyce Haut152 N. Union St.– Lambertville, NJ 08530

CURRICULUM VITAEJoyce Haut, nata nell’Ohio, appartiene alla generazione dei “baby-boomers”. Ècresciuta negli stati centrali degli USA. Ha ottenuto la licenza in Pedagogia del-le Belle Arti nel 1976 dopo i suoi studi alla Moore College of Art e alla Uni-versity of the Arts a Philadelphia. Insegna da oltre venti anni nelle scuole pub-bliche e private, dalla scuola elementare al liceo. Nel corso degli anni ha speri-mentato diversi materiali e tecniche artistiche, specializzandosi nei collages di-pinti a mano, e più recentemente nei gouaches architettonici.

POETICANelle mie opere cerco di ottenere una evocazione poetica e spirituale di spa-zio e di luogo tramite l’esplorazione della forma architettonica e l’investiga-zione di diverse qualità di luce.

Spesso utilizzo punti di vista multipli di un solo spazio oppure una combina-zione di punti di vista per creare ambiguità spaziale.Lavoro in modo mosso ma preciso su forme, che trattano il colore e la defini-zione dei valori cromatici e meno il dettaglio decorativo, per arrivare a speci-ficare un luogo o una sensazione.

Il dipinto Stanza dei ricordi evoca un’interiorità implicita, uno spazio che con-tiene i ricordi, la tristezza, il desiderio mancato, ma che allo stesso tempo è unospazio rarefatto e rimosso, lontano da una esperienza specifica conosciuta.

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Il nostro rapporto nascostoacquerello e pennarello su carta, plastica e acrilicocm 51 x 31

Jason P. MaddockVia C. Marx, 14 – Villaggio Mirscile – 20090 Noverasco di Opera – MilanoCell. [email protected]

CURRICULUM VITAEJason P. Maddock è nato nell’Ohio e cresciuto in campagna presso la fattoriadi famiglia a 40 miglia a sud-ovest di Cleveland. Ha ottenuto la laurea in Peda-gogia delle Belle Arti nel 2000 presso la Cleve and Sate University. Ha espostole sue opere in diverse mostre a Cleveland. Dal 2000 al 2003 ha insegnato inun distretto urbano di Cleveland e dal 2003 è insegnante in Belle Arti pressola Scuola Americana di Milano. Attualmente studia per il conseguimento di unMaster in Belle Arti alla New York University, sede di Venezia.

POETICALe mie opere sono il risultato di un processo autobiografico. I miei dipinti so-no una espressione diretta delle esperienze che ho avuto e delle persone cheho incontrato. Le figure nei miei quadri sono espresse con una prospettivaestrema, raffiguranti gesti inconsueti. Il mio lavoro è un modello originale del-l’arte del ritratto che incorpora parole e la mia calligrafia in sovrapposizionealle figure. Ho sperimentato combinazioni di materiali quali la plastica, il pen-narello nero e l’acrilico su tela con l’obiettivo di far vedere qualcosa di straor-dinario in un oggetto ordinario. In questa opera ho fatto uno studio sul rap-porto invisibile tra di noi.

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Ci sono persone che abitano dentro le mura di Venezia.Oltre le murafotografia ed inchiostro, carta Epson cm 70 x 50

Lisa Mermelstein626 Garden St. # 1 – Hoboken, NJ 07030

CURRICULUM VITAELisa Mermelstein è un’artista che vive a New York City. Ha ottenuto la laureain Belle Arti presso la Syracuse University ed attualmente studia per il conse-guimento di un Master in Belle Arti alla New York University, sede di Venezia.Insegna disegno grafico su computer a livello universitario e le sue passioni so-no la fotografia ed il disegno. Ha ricevuto riconoscimenti importanti dalla rivi-sta Forum dedicata alla fotografia ed ha partecipato ad una mostra collettivapresso la galleria PS 122 a New York. Nel suo tempo libero si dedica a viag-giare con la macchina fotografica e il libro di schizzi, e le piace scoprire i lega-mi fra cose che prima non aveva mai visto.

POETICACi sono persone che abitano dentro le mura di Venezia. Loro esistono perchéli ho fotografati. Sono vissuti lì da secoli ed io ve li rivelo: loro esistono. Essi so-no l’esistenza oltre le mura.

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Tutti noi proveniamo dall’inizioolio su carta e tela cm 94 x 37

Sara Ruth Orner3016 Darby Street – Baltimore, MD 21211Tel. [email protected]

CURRICULUM VITAEÈ nata a Baltimore, Maryland. Ha studiato alla National Gallery a WashingtonD.C. e ha ottenuto la laurea in Belle Arti presso lo Maryland Institute Collegeof Art. Attualmente studia per il conseguimento del Master in Belle Arti tra-mite la New York University, sede di Venezia. Ha studiato in molti paesi all’e-stero, quali Costa Rica, Francia, Spagna, Grecia ed Italia, le lingue, le belle arti ela storia dell’arte, compreso un semestre a Cortona, dove ha partecipato a duemostre. Ha esposto le sue opere in Grecia, a Baltimore e a Venezia. Spera nelfuturo di diventare un’artista ed allo stesso tempo insegnante all’estero in bel-le arti e storia dell’arte.

POETICAOltre le mie cellule esiste l’universo.Vorrei potere vedere il tutto dalla prospettiva visiva di un atomo.Mi interessa molto il sovrapporsi della cognizione sul corpo umano nellaomeostasi. L’ansietà può avere reazioni simili ad una malattia. L’amore allaga il corpo conle sensazioni di dolore e di estasi. Queste emozioni e fenomeni fisici io le per-cepisco tramite la vista.Come possiamo far convivere il matrimonio fra il nostro corpo fisico e la psi-che per la quale esso esiste? Attraverso le mie opere voglio esprimere il mo-do nel quale io immagino questo rapporto.

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Sembrava così verocollage cm 30 x 20Premiata

Liz Perlin204 North State Rd. – Briarcliff, NY 10510Tel. [email protected]

CURRICULUM VITAELiz Perlin lavora come insegnante ed artista nello stato di New York. Negli ul-timi quattro anni ha insegnato belle arti a livello di scuola elementare nel Con-necticut. Inoltre insegna belle arti presso il Rockland Center for the Arts aNyack, New York, dove ha esposto le sue opere. Di recente ha partecipato auna mostra esposta nel Capital Building a Hartford, Connecticut. Ha ottenutola laurea in Belle Arti presso lo SUNY Binghamton ed un Master in Pedagogiadelle Belle Arti presso Teachers College, Columbia University. Attualmente stu-dia per il conseguimento di un secondo Master in Belle Arti presso la NewYork University.

POETICALe mie opere spesso rispecchiano il costante cambiamento del mio rapportocon il mondo che mi circonda. In questa opera indago il mondo dei sogni. Neimiei sogni entro in un mondo composto da regole diverse. I miei sogni fannoparte di me e sono un’invenzione del mio pensiero. Quando mi trovo in que-sto luogo sono cosciente di come funziona e come devo agire.

Una volta ritornata sveglia cerco di ricostruire quella esperienza. Cerco i suoisignificati, ma mi è difficile comprendere la struttura e i simboli di quel mondoparticolare. Quando mi trovo nello spazio solido della mattina provo a ripren-dere quei sogni ed con mio disappunto mi trovo a mani vuote.

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Senza titolodocumentazione fotografica di una installazione scultorea cm 19 x 65

Sharon Talmor30 W. 71St. #1A – New York City, NY 10023 Tel. [email protected]

CURRICULUM VITAESharon Talmor ha ottenuto la laurea nel 1999 presso il Muhlenberg College.Nell’ultimo anno di università è stata premiata con il Premio Wallace A. Riesper il suo contributo alla comunità nelle arti visive. Attualmente studia per ilconseguimento di un Master in Belle Arti presso la New York University, sededi Venezia. Da tre anni insegna belle arti presso l’Intermediate School 125 aQueens, New York.

POETICAOltre le muraCammina senza pausaFermati un solo momentoArte …

La combinazione di tensione e fragilità che si esprimono nella flessibilità e nel-la resistenza del legno, legno che tenta di frenare l’imprevedibilità, diventa unaspirale lineare gigante che si proietta nello spazio.

Col tempo la gravità, gli effetti della temperatura sul legno e gli interventi del-l’ambiente porteranno un cambiamento volumetrico degli spazi. Come la vitastessa questa scultura è sottoposta al cambiamento costante.

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Sensazioniacrilico su legno cm 64 x 55

Maria Julia VacasP.O. Box 17-08-8141 – Quito, EcuadorTel. 00593.2.2921243 Cell. [email protected]

CURRICULUM VITAEMaria Julia Vacas è nata a Quito, Ecuador. Ha studiato presso la UniversidadCentral del Ecuador a Quito. I suoi studi in storia dell’arte ed in belle arti so-no iniziati quindici anni fa; da dieci anni si dedica al ritratto, e in modo parti-colare alla pittura astratta. Attualmente studia per il conseguimento di una lau-rea in Storia dell’Arte e Belle Arti presso la Universidad San Francisco de Qui-to, Ecuador.

POETICAOltre

Oltre le sensazioni, le emozioni, la felicità e la tristezza. I colori nelle mie ope-re sono la traduzione delle mie esperienze, esse colmano i miei sogni ed i mieidesideri…; dipingo ed esprimo, dipingo e mi sento realizzata, dipingo e cono-sco me stessa, dipingo e capisco.

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Oltre l’Italiabrioche di crema e colla cm 3 x 10

Joshua Weintraub144 Sullivan St. # 10 – New York City, NY 10012 Cell. [email protected]

CURRICULUM VITAEAttualmente studia per il conseguimento di un Master in Belle Arti presso laNew York University.

POETICAQuest’opera riguarda la Slovenia, stato che è oltre l’Italia, ma non troppo lon-tano. In più, l’opera è “oltre” l’essere una opera di collezione, perché è certa-mente ridicola e sicuramente farà la muffa anche se coperta da colla. In effet-ti, l’unica cosa che non contiene in sé è l’amore.

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Rinuncio alla mia bella scarpa e ai nastri, ora cosa rimane di me?una scarpa, un nastro di seta, due fotografie a colori Segnalata

Eugenia Pei-Ying Wu1 Floor, No. 3, Lane 188 – Guen-Kur Road, Wen-Shen Area – Taipei / TaiwanTel. [email protected]

CURRICULUM VITAEÈ nata nel 1978 a Taipei, Taiwan. Ha studiato in Taiwan, nel Giappone e negliStati Uniti.

POETICAHo interpretato il tema di “Oltre” in questa opera come rinuncia alla facciatache utilizzavo per presentarmi al mondo, la rinuncia alla bella scarpa e ai nastriche facevano da arma.Le due fotografie rappresentano il mio interiore, la mia percezione di come so-no dentro.

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e Clara

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CLARA SCARAMPELLA LOMBARDIClara Scarampella è nata a Brescia e vive e lavora a Rezzato in via Scalabrini n.4; telefono 030.2791132 e fax 030.2593603.Pierre Restany ha scritto per lei: Immagini delle natura e Natura delle immagini.Si sono interessati del suo lavoro: G. Ballo, M. Corradini, G. Cortenova, F.Lorenzi, G.F. Marchiori, L. Meneghelli, A. Verdè.Ha esposto a New York, S. Francisco, Vienna, Parigi, Bruxelles, Nizza, Tokyo,S. Paul de Vence (Museo), Ferrara (Palazzo dei Diamanti), Lugano (Malpensata),Milano, Bari, Padova, Verona, Mantova, Bergamo, Como e Savona.

“La mia realtà non esiste:non sono mai nata”.

Finestra affacciata sull’Oltretela emulsionatacm 118 x 681975

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Il mare n. 1fotografia elaboratacm 77,5 x 282004-2005

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Trittico del maretre fotografie elaborateciascuna cm 8 x 78,52004-2005

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Il mare n. 3fotografia elaboratacm 67,5 x 97,52004-2005

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Il mare n. 4fotografia elaboratacm 77,5 x 382004-2005

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Il mare n. 5fotografia elaboratacm 38 x 772004-2005

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La promessa dell’oltrefotografia elaboratacm 97,5 x 672004-2005

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I giardini del Limbo 1tecnica mistacm 25 x 232005

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I giardini del Limbo 2tecnica mistacm 25 x 202005

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I giardini del Limbo 3tecnica mistacm 22 x 22,52005

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I giardini del Limbo 4tecnica mistacm 19,5 x 22,52005

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I giardini del Limbo 5tecnica mista fusa in vetrocm 35 x 37,52005

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I giardini del Limbo 6tecnica mista fusa in vetrocm 24,5 x 24,52005

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I giardini del Limbo 7tecnica mista fusa in vetrocm 31,5 x 322005

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I giardini del Limbo 8tecnica mista fusa in vetrocm 31,5 x 31,52005

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Lucignolotecnica mista fusa in vetrocm 34 x 352005

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La porta del Paradisotela emulsionatacm 115 x 851985

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Ringrazio di cuoreAvy, Gerry, Elena, Gigi e Virginia.

CLARA SCARAMPELLA

Principali mostre personali1974 Milano, “Teatro Uomo”1975 Bari, “Arte e Spazio”1976 Vienna, “Kunstlerhaus”1977 Milano, “Palmieri”

Padova, “La Cupola”1979 Verona, “La Quaglia”

Bari, “Arte e Spazio”1980 “Musée Municipal de Saint Paul de Vence”

Trento, “9 Colonne”1982 Bruxelles, “Galérie Montjfoie”

Nizza, “Galleria Sapone”1983 Ferrara, “Palazzo dei Diamanti”

Tokio, “Galleria Ginza”Savona, “Il Brandale”

1985 Giappone, Fukuoaka, “Area Deux Gallery”1986 Como, “Il Salotto”1988 Giappone, “Museo d’Arte moderna di Kitalkyusbu”

Giappone, “Soko Bank di Fukuoaka”1989 Nizza, “Galleria Sapone”1990 Bari, “Arte e Spazio”1991 Bergamo, “Galleria Diade”1993 Capri, “Galleria Miniaci”1994-95 “Musée Municipal de Saint Paul de Vence”1995 New York, “Scuola di N.Y.”1997 Modena, Castello Montese, “Antologica”

Brescia, A.A.B., “Clara e gli americani”Roma EXPO, “Arte Roma”

1998 Brescia, “Galleria Armando Ciferri”Roma EXPO, “Arte Roma”

1999 Roma EXPO, “Arte Roma”Brescia, A.A.B., “Clara e gli americani 2”

2000 Rezzato (BS), Bottega Alta, “Colore Viola”2000-01 “Musée Municipal de Saint Paul de Vence”, “Clara e gli americani”2001 Brescia, A.A.B., “Clara e gli americani 3”2002 Villa Carcina, “Luogo comune”2003 Brescia, A.A.B., “Clara e gli americani 4”

New York, “Monique Goldstrom Gallery Vetrin (Galassie)”

Saloni e fiere1980-81-82 XXVI e XXVII “Salon de Mai”, Parigi - Premio per il miglior artista straniero

“Expo Arte Bari 1981” con la Galleria Sapone“Arte 81” di Basilea

1989 Premio per la grafica “Tavolozza d’argento”, Comune di Milano1994 Venezia, “Conferenze alla Collezione Peggy Guggenheim”1996 Premio Padova, Concorso nazionale per opere d’arte per il nuovo Palazzo

di Giustizia di Padova1997-98-99 Expo Arte Roma

RiferimentiGalleria Sapone, Nice - tel. 0033.93.885427Galleria Ginza, Tokio - tel. 571.1000Studio dell’artista: Rezzato (BS) - tel. 030.2791132 - fax 030.2593603

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Contemporanea - 19Clara e gli americani 5. Oltre6-21 luglio 2005Mostra ideata da Clara Scarampella Lombardi

Cura della mostra e del catalogoFausto Lorenzi

Progetto graficoMartino Gerevini

Referenze fotograficheGerry

Allestimento della mostraLuigi Paracchini

Segreteria dell’AABSimona Di Cio ed Erika Ruggeri

Fotocomposizione e stampa:Arti Grafiche Apollonio - BresciaFinito di stampare nel mese di giugno 2005.Di questo catalogo sono state tirate 1500 copie.

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LOMBARDI S.R.L.

MARMI E GRANITI

25086 REZZATO (BS) - Via Disciplina, 88 - 20122 MILANO - Via Durini, 26Tel. 030.2596288 - Fax 030.2593603

www. lombardimarmi.it - e-mail: [email protected]

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