chimica - risposte

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Page 1: Chimica - Risposte

- Illustrazione del sistema periodico e delle proprietà degli elementi

Il chimico russo Dmitrij Mendeleev fu il primo a proporre, nel 1869, una tavola periodica degli elementi. Egli notò che se si ordinano gli elementi secondo il numero atomico crescente, periodicamente, cioè ad intervalli regolari, si incontrano elementi con proprietà simili. Per rappresentare questa periodicità gli elementi vengono disposti secondo il numero atomico crescente in righe orizzontali (dette periodi), dove le proprietà variano con continuità. Gli elementi che vengono a trovarsi su una stessa colonna, detta gruppo, presentano invece proprietà simili. L’insieme dei periodi e dei gruppi che si origina prende il nome di tavola periodica. Nella tavola una linea di demarcazione “a gradini” permette di suddividere gli elementi in tre categorie: metalli, non metalli e semimetalli.Sono metalli gli elementi a sinistra della linea e sono quelli che tendono a cedere gli elettroni del livello più esterno per raggiungere la configurazione elettronica del gas nobile che precede. Ad eccezione del mercurio, a temperatura ambiente sono solidi, in genere buoni conduttori di calore e di elettricità. Si presentano duttili e malleabili, all’apparenza mostrano anche una buona lucentezza. Essi sono molto reattivi e facilmente ossidabili. Sono non metalli gli elementi a destra della linea di demarcazione e hanno la tendenza ad acquistare gli elettroni per raggiungere la configurazione elettronica del gas nobile che segue. A temperatura ambiente possono essere solidi, liquidi o gassosi e non conducono né il calore né l’elettricità. Gli elementi adiacenti alla linea di demarcazione (boro, silicio, arsenico, germanio e tellurio) sono chiamati metalloidi. Essi possiedono proprietà che sono intermedie tra quelle dei metalli e quelle dei non metalli. Essi sono semiconduttori elettrici. Da notare il gruppo 0, ultimo a destra della tavola periodica, dove sono collocati i gas nobili: essi presentano otto elettroni nel livello più esterno e data la grande stabilità è molto difficile strappare un elettrone. Occupano inoltre una posizione particolare i cosiddetti elementi di transizione, esattamente sono compresi tra il IIA e il IIIA; hanno proprietà metalliche anche se meno accentuate. Oltre a perdere elettroni dei livelli più esterni, essi possono perdere anche gli elettroni dei livelli più interni, come i sottolivelli d.L’energia nucleare, l’energia di prima ionizzazione, l’attrazione nucleare, l’affinità elettronica, la massa atomica e l’elettronegatività sono tutte proprietà che aumentano nel periodo (da sinistra a destra) e diminuiscono lungo il gruppo (dall’alto verso il basso). Il raggio atomico, la reattività, le energie degli orbitali e la polarizzabilità diminuiscono nel periodo (da sinistra a destra) e aumentano lungo il gruppo (dall’alto verso il basso).

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- Illustrazione della struttura atomica attraverso i vari modelli atomici

Dopo aver verificato che, se bombardando con particelle alfa delle sottili lamine d’oro, notando che queste ultime vengono attraversate senza problemi nella maggior parte dei casi, Rutherford dedusse che gli atomi presentassero una grande regione di spazio vuoto. Nel dettaglio, egli sosteneva che le particelle negative (gli elettroni) circolano lungo orbite intorno al nucleo, composti da due tipi di particelle, i protoni e i neutroni. I protoni hanno una carica positiva che viene neutralizzata da quella negativa intrinseca degli elettroni; i neutroni hanno carica neutra e contribuiscono alla massa dell’atomo. Un atomo aumenta di dimensioni man mano che il raggio degli elettroni aumenta a sua volta. Secondo questo modello, gli elettroni non cadono nel nucleo perché la forza elettrostatica centripeta è bilanciata dalla forza centrifuga generata dal movimento rotatorio. Il limite della struttura di Rutherford sta nel fatto che, secondo le leggi della fisica classica, un corpo carico, muovendosi circolarmente, deve emettere energia sotto forma di radiazioni elettromagnetiche; per questo motivo l’elettrone fornirebbe energia e cadrebbe nel nucleo disegnando orbite a spirale. Da ciò deriverebbe che gli atomi non siano sistemi stabili ma la stabilità è data dall’esistenza stessa della materia.Grazie alle nuove teorie sulla meccanica quantistica elaborate da Plank (secondo cui un corpo irradia energia solo in pacchetti discreti chiamati quanti), fu possibile avanzare nuovi modelli in alternativa a quelli di Rutherford. Secondo il danese Bohr, l’elettrone dell’atomo di idrogeno può ruotare attorno al nucleo solo in determinate orbite circolari; finché si muove in una delle orbite permesse l’elettrone non irradia energia, ruotando all’infinito. Quando l’atomo viene eccitato esternamente, l’elettrone acquista energia passando ad un’altra orbita più esterna (qualora perda energia, l’elettrone rientra in un’orbita più interna e cede energia sotto forma di onde elettromagnetiche di lunghezza definita).Un’altra tappa importante nell’evoluzione della chimica fu segnata da Heisemberg, il quale arrivò a dimostrare che risulta impossibile determinare nello stesso momento e con la stessa precisione l’esatta posizione e velocità di una particella. A questo punto si può parlare solo di una probabilità di trovare le particelle in un certo spazio, perciò il concetto di orbita fu sostituito con quello più appropriato di orbitale, definito come quella regione di spazio in cui vi è un’elevata percentuale di trovare gli elettroni. Gli orbitali sono caratterizzati da diversi numeri quantici, quali il numero quantico principale (n=numero del livello), il numero quantico azimutale (l=definisce la forma), il numero quantico magnetico (m=orientazione del campo magnetico) e il numero quantico di spin (s= +1/2, -1/2). Decisive risultarono essere gli studi condotti da Pauli, secondo cui in ciascun orbitale si possono collocare al massimo 2 elettroni, e Hund, secondo il quale quando sono disponibili orbitali di energia identica, gli elettroni inizialmente occupano questi orbitali singolarmente.

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- Illustrazione del legame covalente e delle proprietà dei solidi covalenti

Il legame covalente si ha quando vi è una condivisione di elettroni da parte di 2 atomi, ovvero quando ciascun atomo dona un elettrone e i 2 elettroni di atomi diversi, unendosi, non sono più costretti a stare nel proprio orbitale ma possono anche muoversi e raggiungere il nucleo dell’altro atomo, passando nell’altro orbitale. Così i due orbitali atomici si sovrappongono formando un orbitale molecolare. Il numero totale di orbitali deve però essere conservato, dunque se in partenza ho 2 orbitali atomici, con il legame devo ottenere 2 orbitali molecolari. Uno di questi sarà l’orbitale legante, cioè l’orbitale in cui si sistema il doppietto elettronico; in questo orbitale l’energia è più bassa rispetto agli orbitali atomici, quindi per separare gli atomi legati bisognerà fornire energia. L’altro orbitale è invece un orbitale vuoto, che non contiene elettroni; in questo orbitale l’energia di un elettrone sarebbe più alta rispetto a quella degli orbitali atomici, quindi se viene inserito un elettrone qui il legame si indebolisce (orbitale antilegame). In genere il legame covalente avviene tra atomi con bassa differenza di elettronegatività. Se la sovrapposizione dei due orbitali avviene lungo la congiungente dei due nuclei si ha un legame covalente σ, mentre se avviene lateralmente allora si ha un legame π. Il legame covalente può essere polare o puro: è puro se avviene tra 2 atomi con elettronegatività simile tanto che la nuvola elettronica dell’orbitale molecolare è simmetrica rispetto ai due atomi, mentre è polare se avviene tra due atomi con piccola differenza di elettronegatività tanto che la nuvola dell’orbitale molecolare è più spostata verso l’elemento più elettronegativo. L’atomo meno elettronegativo acquista una parziale carica positiva e l’atomo più elettronegativo una parziale carica negativa. Un tipo particolare di legame covalente è il legame dativo, in cui un atomo mette a disposizione entrambi gli elettroni per formare il legame. Questo atomo si chiama donatore mentre quello con cui li condivide si chiama accettore.Solidi covalenti: nei solidi covalenti in corrispondenza del nodo reticolare si trovano due atomi legati tra loro da un legame covalente. Dato che tale legame è molto forte vi è una elevata energia di legame. In genere questi solidi sono durissimi, isolanti e hanno elevata temperatura di fusione, perché gli elettroni sono impegnati nei legami covalenti e non si muovono nel cristallo. Ogni cristallo covalente può dunque essere considerato come un’unica grande molecola. Sono esempi di solidi covalenti il diamante e la silice.

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Page 4: Chimica - Risposte

- Illustrazione del legame ionico e delle proprietà dei solidi ionici

Il legame ionico avviene attraverso un vero e proprio scambio di elettroni da parte degli atomi; un atomo infatti dona ad un altro un elettrone definitivamente che lascia completamente l’orbitale del donatore e viene accettato in quello del ricevente. In questo modo il donatore, perdendo carica negativa, diventa ione positivo, mentre l’accettore diventa ione negativo e i due atomi si attraggono vicendevolmente. Tale legame ionico avviene in genere tra i metalli e i non metalli. Un classico esempio è il sale da cucina (NaCl), composto ionico di sodio e cloro: questo composto si forma grazie all’atomo di sodio che cede un elettrone all’atomo di cloro, creando così uno ione positivo e uno negativo. Il cloruro di sodio ha forma stabile e tutte le unità NaCl sono ordinate in un reticolo in cui ogni cristallo contiene bilioni di unità. In generale tutti i composti ionici possiedono una struttura tridimensionale anche se una può essere diversa dall’altra e ciò dipende dal tipo di ioni che formano il composto. Il legame ionico avviene spesso tra atomi con elevata differenza di elettronegatività.Solidi ionici: in questi solidi, in corrispondenza dei nodi reticolari, si trovano due ioni mantenuti in equilibrio dalle forze di attrazione elettrostatiche. Questi solidi hanno temperature di fusione abbastanza elevate, sono cattivi conduttori di elettricità (la conducono allo stato fuso e in soluzione acquosa). Presentano buona rigidità e durezza, ma risultano facilmente sfaldabili.

- Illustrazione del legame metallico e delle proprietà dei solidi metallici

Tale legame tiene uniti gli atomi nei metalli quindi concerne i metalli. Un metallo può essere considerato come un insieme di ioni positivi (cationi) circondati da una nube di elettroni. Questo perché i metalli hanno bassa elettronegatività e tendono a cedere facilmente elettroni. Poiché ogni atomo è circondato da tantissimi altri, i vari orbitali atomici si sovrappongono permettendo agli elettroni di muoversi liberamente lungo la nube elettronica. Proprio la forza di attrazione tra gli ioni positivi e la nube di elettroni determina il legame metallico. Solidi metallici: La maggior parte degli elementi nella tavola periodica sono metalli e questi, quando sono allo stato puro, godono di alcune caratteristiche comuni: elevata densità, buona conducibilità elettrica e termica, struttura cristallina, malleabilità e duttilità, superficie riflettente, effetto fotoelettrico. In questi solidi gli atomi metallici, tenuti insieme dagli elettroni che si muovono tra gli atomi, si trovano in corrispondenza dei nodi reticolari. Tutti gli elettroni dunque spendono pochissima energia per passare da un atomo all’altro; di conseguenza i metalli sono buoni conduttori termo-elettrici.

- Illustrazione dei legami deboli intermolecolari e loro influenza sulle proprietà dei materiali

Oltre ai legami tra atomi esistono anche legami tra molecole, detti legami intermolecolari, di natura essenzialmente elettrostatica. Nel legame dipolo-dipolo, tutte le molecole sono polari e tendono ad orientarsi testa-coda con il risultato di una forza attrattiva. Il legame dipolo-dipolo indotto si verifica tra molecole polari e molecole apolari, tuttavia facilmente polarizzabili per induzione da parte di quelle polari. Le forze di London si instaurano nell’interazione tra molecole apolari, dovute alla distorsione momentanea della nuvola elettronica che si propaga per induzione alle molecole circostanti. La forza di questi ultimi due legami dipende dalla polarizzabilità delle molecole, cioè dalla facilità con cui gli elettroni di una molecola possono essere spostati dalla loro posizione media. Il legame idrogeno è la forza intermolecolare più intensa e si instaura quando l’atomo di idrogeno appartiene a uno dei due dipoli interagenti (avente per altro una coppia di elettroni non impegnata) ed è legato mediante legame covalente ad un elemento molto elettronegativo. Nell’acqua, il legame idrogeno è meno forte rispetto al legame covalente ed ha una distanza di legame maggiore. L’influenza e l’importanza di questo tipo di legame si nota sullo stato di aggregazione. I solidi molecolari hanno bassa temperatura di fusione, sono deformabili, poco duri.

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Page 5: Chimica - Risposte

- Illustrazione del modello degli orbitali e della ibridazione degli orbitali

Il modello degli orbitali fu teorizzato solo in seguito ai contribuiti di Heisenberg, Pauli e Hund che, con le loro teorie, rinnovarono alcuni aspetti della chimica. Grazie al principio di indeterminazione di Heisenberg, sappiamo che è più opportuno e corretto parlare di orbitali (piuttosto che orbite), intese come regioni di spazio ove è molto alta la probabilità di trovare elettroni. In questo modo fu superata la teoria di Bohr, secondo cui gli elettroni stazionano su orbite circolari precise; per il fisico tedesco è impossibile determinare con la stessa precisione la posizione esatta e la velocità con cui si muove un elettrone. Il principio di esclusione di Pauli (in ogni orbitale non possono esservi più di due elettroni) e la regola di Hund (se sono disponibili più orbitali aventi la stessa energia, gli elettroni si dispongono uno per ciascun orbitale con la stessa direzione di spin) completarono la formulazione del modello degli orbitali (caratterizzati da numeri quantici).L’ibridazione permette ad un atomo di formare più legami covalenti di quanti in realtà potrebbe, dato che forma più legami del numero di elettroni spaiati che possiede. Ciò avviene grazie appunto all’ibridazione. Gli orbitali più esterni a diversa energia si combinano formando uno stesso numero di orbitali atomici isoenergetici (o degeneri). Per esempio il carbonio ha 4 elettroni nel livello più esterno e configurazione 2s2 2p2. Potrebbe formare solo 2 legami ma in realtà nella maggior parte dei casi ne forma 4 perché un elettrone che sta nell’orbitale 2s passa nell’orbitale 2p e quindi si vengono a trovare a 4 elettroni spaiati e 4 orbitali isoenergetici ibridi (ibridazione sp3). Nella molecola del metano ad esempio il carbonio forma 4 legami covalenti, mentre nella molecola di etilene ciascuno degli atomi di carbonio è legato a 3 atomi, 2 di idrogeno e poi ciascun atomo di carbonio di carbonio è legato ad un altro uguale tramite un doppio legame. Nell’acetilene l’atomo di carbonio è legato ad un atomo di idrogeno e con un triplo legame ad una altro di carbonio (uno σ e 2π). Esistono diversi tipi di ibridazione: la sp3 in cui un orbitale s e 3 orbitali p si combinano formando 4 orbitali degeneri diretti verso i vertici di un tetraedro a 109° di distanza tra loro nello spazio (CH4, SiH4). L’ibridazione sp2 avviene con un orbitale s e 2 p che si combinano formando 3 orbitali ibridi sp2 disposti a 120° di distanza (BCl3, BF3). Infine l’ibridazione sp con 2 orbitali ibridi a 180° di distanza tra loro (BeCl2). Inoltre ci sono le molecole piramidali triangolari (NH3, PH3) con angoli di 107° un doppietto non condiviso e le molecole angolari (H2O, H2S) che forma angoli di 104,5° con 2 doppietti non condivisi.

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Page 6: Chimica - Risposte

- Illustrazione della teoria degli orbitali molecolari e della sua estensione nella teoria delle bande

Il punto di partenza di questa teoria è quello di considerare che al legame tra atomi non concorrono solo gli elettroni di valenza, ma in generale tutti gli elettroni che contribuiscono alla formazione della molecola. Nella molecola quindi gli elettroni non appartengono più ai singoli atomi, ma vengono distribuiti su tutta la molecola in nuovi livelli energetici definiti appunto orbitali molecolari. Lo studio dei loro livelli energetici e del modo in cui si dispongono in essi gli elettroni permette di conoscere la stabilità della molecola considerata. Poiché secondo i principi della teoria quantomeccanica il numero totale degli orbitali deve essere conservato, quando due orbitali atomici interagiscono tra loro per formare la molecola, si formeranno due orbitali molecolari. Il primo è l’orbitale molecolare legante, in cui si vengono a collocare il doppietto elettronico. Dato che vi è un guadagno di energia degli elettroni rispetto agli orbitali atomici, la molecola risulta essere stabile e per dividere gli atomi occorre fornire l’energia persa nella formazione del legame. L’altro orbitale è detto antilegame, ovvero un orbitale potenziale in cui potrebbero collocarsi altri elettroni; nel caso in cui ciò avvenisse, gli elettroni in questa regione avrebbero un’energia maggiore rispetto a quando erano negli orbitali atomici. In questo modo il legame risulta notevolmente indebolito. Sintetizzando, N orbitali molecolari possono essere prodotti solo da N orbitali atomici e ogni orbitale molecolare, secondo il principio di esclusione di Pauli, deve essere riempito da elettroni con spin antiparallelo. La teoria delle bande rappresenta un valido modo per spiegare alcune proprietà dei materiali, fra le quali la conduttività elettrica. Se consideriamo una molecola formata da un numero elevato ma finito di atomi che si impiegano nei legami, allora avremo che gli orbitali molecolari saranno in numero altrettanto elevato, sapendo che inoltre la differenza di energia tra gli stessi diminuisce sempre più al crescere del numero di atomi. Nel caso in cui il numero di atomi nel materiale è infinito (come nei metalli), allora anche gli orbitali molecolari risultano essere infiniti, perché generati da infiniti orbitali atomici. In questo modo non ci sarà più differenza tra i livelli energetici dei vari orbitali molecolari e si avrà una banda di energia unica in cui gli orbitali leganti avranno minore energia rispetto agli orbitali antileganti. In una banda un elettrone sarà libero di passare da un livello energetico ad un altro; essa è costituita da orbitali molecolari la cui differenza di energia tende a zero quando il numero degli orbitali atomici tende a infinto, cioè quando gli orbitali molecolari della banda sono infiniti. Tra l’altro in una banda gli orbitali molecolari che hanno un’energia più elevata sono per la maggior parte antileganti, mentre quelli a minore energia sono in gran parte legante. Nel caso in cui ogni orbitale atomico che contribuisce agli orbitali molecolari contiene solo un elettrone, la banda sarà mezza piena, dato che ci sono N elettroni per N orbitali molecolari i quali possono contenere 2N elettroni (le bande sono piene solo in questo caso). Quando una banda è parzialmente piena, l’occupazione avviene seguendo il criterio della Fermi-Dirac Distribution, per cui la banda è piena esattamente per metà quando la temperatura assoluta è T=0K (l'energia di Fermi EF è il valore dell'energia che separa il più alto livello energetico occupato dal più basso livello non occupato nello stato fondamentale a 0°K).

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- Illustrazione delle caratteristiche dei 4 stati di aggregazione della materia

Gli stati fondamentali della natura sono tre: solido, liquido, gassoso. Le proprietà della materia sono caratterizzate dalle forze di interazione tra le particelle che la compongono. Ogni elemento chimico può esistere allo stato gassoso, liquido e solido (la maggior parte sono allo stato solido).Stato solido: le particelle sono distribuite ordinatamente poiché le forze interparticellari sono molto forti al punto che le particelle possono solo oscillare intorno a posizioni ben definite, dette nodi reticolari, ovvero i punti rappresentativi della posizione media della particella nel reticolo cristallino. I solidi quindi hanno volume e forma definiti. In sostanza ogni solido è un cristallo ed il suo reticolo cristallino non è altro che la ripetizione nello spazio della cella elementare, ovvero l’unità più piccola e semplice del reticolo stesso. Le particelle di un solido sono legate fra loro da legami chimici, con cui distinguiamo i solidi in diversi sottogruppi: solidi covalenti, solidi ionici, solidi molecolari e solidi metallici. Stato liquido: le particelle hanno un’energia cinetica maggiore di quella dello stato solido, possono muoversi disordinatamente ed urtarsi tra di loro; gli urti sono resi possibili anche dalle minor forze di coesione. Tra una particella e l’altra vi è spesso dello spazio vuoto. Le proprietà principali dei liquidi sono la viscosità, la tensione superficiale e la tensione di vapore. Per viscosità intendiamo l’attrito interno di un liquido, esprimendo la possibilità di scorrimento di uno strato del liquido rispetto allo strato adiacente; questa diminuisce all’aumentare della temperatura e dipende dalla forma e dalla grandezza delle molecole. Tensione superficiale. Se consideriamo le molecole interne di un liquido, circondate da tante altre, esse sono sollecitate ugualmente in tutte le direzioni per cui la risultante delle sollecitazioni è nulla. Se prendiamo invece le molecole superficiali, si osserva che la risultante delle sollecitazioni non è nulla, ma è diretta verso l’interno del liquido. Da ciò la superficie del liquido tende a contrarsi e la sua massa tende a ridurre al minimo la sua superficie (es goccia acqua, dimensione sfera perché a parità di volume la sfera ha minore superficie). Quindi l’insieme delle forze (di coesione) che tengono unite le particelle alla superficie del liquido è chiamato tensione superficiale, che dipende dunque sia dalla superficie del liquido sia dall’energia superficiale specifica del liquido stesso. Tensione di vapore. Per evaporazione si intende il passaggio allo stato di vapore delle molecole che costituiscono un liquido; queste evaporano in maniera proporzionale rispetto all’entità delle forze di coesione delle particelle costituenti. Si definisce inoltre equilibrio dinamico il numero delle particelle che abbandonano la superficie del liquido, uguale al numero delle particelle che nello stesso tempo vi ritornano. La pressione gassosa corrispondente all’equilibrio liquido-vapore alla temperatura costante T è detta tensione di vapore del liquido. Temperatura di ebollizione. Nel caso in cui si aumenta la temperatura di un liquido, la sua tensione di vapore raggiunge il valore della pressione esterna ed inizia a bollire, ovvero si crea del vapore non solo superficialmente ma anche in tutta la massa. La temperatura a cui si verifica questa condizione è detta temperatura di ebollizione.Stato gassoso: le particelle si muovono in maniera caotica e si possono trascurare le forze di coesione. Sperimentalmente, nelle condizioni di basse pressioni, possiamo assimilare il comportamento di qualsiasi gas a quello di un gas ideale, ovvero un insieme di molecole del tutto libere di muoversi senza alcuna interazione e di grandezza infinitamente piccola rispetto al volume al punto tale da essere considerate puntiformi. In presenza di un gas perfetto o ideale, costituito da particelle tutte uguali, con la stessa massa e puntiformi, è possibile applicare l’equazione dei gas perfetti, che relaziona il volume, la pressione (inversamente proporzionali tra loro) e la temperatura (direttamente proporzionale ai primi due): PV = nRT (R costante uguale a 0.08206 atm litri moli-1 K-1. In presenza di un gas reale, caratterizzato da particelle con un volume definito (non puntiforme), che condensano (nel gas perfetto no) se raffreddiamo la temperatura del sistema e tra le quali esistono delle attrazioni e repulsioni, non è applicabile l’equazione di stato dei gas perfetti, ma l’equazione di Van der Waals, che tiene conto di tutti questi parametri.Plasma: il plasma è un gas parzialmente o totalmente ionizzato (portato a temperature superiori a 5000 °C), in cui sono presenti contemporaneamente specie neutre come atomi e molecole e specie cariche come ioni ed elettroni in equilibrio tra loro. Il plasma può essere freddo o caldo. Nel plasma freddo gli elettroni hanno temperatura elevata mentre le specie neutre hanno temperatura inferiore (questo tipo di

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plasma può essere realizzato ad alta o bassa pressione). Nel plasma termico invece la temperatura di ogni specie è compresa tra 5000 e 10000K, la pressione è qui elevata.

- Illustrazione dei passaggi di stato della materia e di un diagramma di stato.

Ogni passaggio di stato è caratterizzato dalla rottura o formazione di legami chimici: nel caso in cui passiamo da uno stato in cui le particelle sono associate nel modo più compatto (solido) ad uno in cui esse sono associate in maniera meno compatta, si ha la rottura dei legami chimici (fornendo calore), nel processo inverso si ha la formazione di legami (sottraendo calore al sistema). La pressione si comporta in maniera simmetricamente opposta alla temperatura, ovvero se aumentiamo la pressione si ha la successione dei passaggi aeriforme-liquido-solido, se la abbassiamo si ha la successione solido-liquido-aeriforme. Fino a quando tutta la massa della sostanza non si è trasformata, si verifica una sosta termica (temperatura rimane costante poiché il calore viene impiegato per la rottura dei legami), continuando a fornire calore che deve raggiungere un preciso valore (calore latente) per unità di massa. Il calore latente viene poi restituito nell’atto della trasformazione inversa. Solitamente le transizioni di stato delle sostanze avvengono a pressione costante. Nella maggior parte dei casi, per descrivere lo sviluppo dei passaggi di stato, si usano i diagrammi isobari (dove la pressione rimane costante, le ascisse rappresentano il tempo e la quantità di calore, le ordinate la temperatura e l’energia cinetica media delle particelle) e i diagrammi P/T dove si considerano le variazioni di pressione e temperatura. Consideriamo ora un diagramma di stato isobaro applicabile per qualsiasi solido e prevedente la seguente successione di transizione solido-liquido-aeriforme. SF= il calore fornito al solido fa aumentare la sua temperatura da To a Tf e l’energia cinetica media delle particelle. FL=alla temperatura Tf (temperatura fusione) l’energia cinetica raggiunge il valore necessario per rompere il reticolo ed il solido comincia a fondere; continuando a fornire calore non si verifica aumento di temperatura poiché viene usato per rompere i legami (calore latente).LE=da L tutto il solido è diventato liquido. Continuando a fornire calore si verifica un aumento della temperatura da Tf a Tv e dell’energia cinetica media delle particelle. EV=alla temperatura Te (temperatura ebollizione), l’energia cinetica delle particelle è tale che il valore della tensione di vapore del liquido equivale a quello della pressione esterna e di conseguenza il liquido bolle. Continuando a fornire calore, l’ebollizione prosegue ma non aumenta la temperatura, per cui il calore fornito per rompere i legami è detto calore latente di ebollizione. V…=al punto V tutto il liquido è evaporato ed il tratto successivo raffigura l’aumento della temperatura del vapore e delle particelle del gas.

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- Illustrazione delle tecniche microscopiche utilizzate per la caratterizzazione dei materiali

La microscopia ottica permette di riprodurre immagini ingrandite di oggetti troppo piccoli per essere osservati ad occhio nudo. Per vedere in maniera distinta un oggetto, sulla retina si deve riprodurre un’immagine nitida; il cristallino funge da lente convergente e grazie alla sua elasticità l’occhio può vedere oggetti distinti ad una distanza minima di 2,5cm, con un’apertura angolare massima di 140°. Per vedere oggetti ad una distanza minore, si ricorre al microscopio semplice o a quello composto.Microscopio semplice: è una lente convergente posta tra l’occhio e l’oggetto in modo che questo si trovi in posizione intermedia tra il primo piano focale e la lente stessa. In questo modo la lente fornisce un’immagine virtuale dritta e ingrandita dell’oggetto osservabile ad occhio nudo. Gli oggetti visibili con questo strumento sono dell’ordine dei micrometri (um) = 10 -6m.Microscopio composto: è costituito da due lenti convergenti, l’oculare e l’obiettivo, montate a distanza fissa alle estremità di un tubo chiuso. L’obiettivo raccoglie la luce (proveniente o da una sorgente diretta o da uno specchio indirizzante) e ne fornisce un’immagine reale, capovolta e ingrandita, trasmessa al fuoco dell’oculare che la trasforma nell’immagine finale, capovolta e ingrandita. Il tubo è inoltre montato su una struttura detta statore, vi è inoltre un porta campioni e dispositivi per la messa a fuoco. Questo microscopio ingrandisce fino a circa 1000 volte.Microscopio elettronico a scansione (SEM): viene focalizzata una sonda di elettroni sulla superficie di un campione, scannerizzandolo in forma di successione di righe. Gli elettroni, prodotti da un filamento di tungsteno, passano in una colonna dove ci sono due lenti elettromagnetiche, il condensatore (controlla il numero di elettroni nel fascio) e l’obiettivo (focalizza il fascio sul campione). Il fascio elettronico (20eV) genera una serie di segnali rilevati da un apposito detector. La superficie può o emettere degli elettroni secondari, provenienti dagli strati più superficiali, utili per l’analisi morfologica, o riflettere gli elettroni stessi detti retro diffusi, provenienti dagli strati più profondi (essendo la loro intensità una funzione del numero atomico medio della sostanza, identifica la presenza di composti diversi in un campione eterogeneo), o emettere raggi X (gli elettroni del fascio interagiscono con quelli superficiali eccitandoli a livelli con energie più alte; il loro ritorno allo stato originario causa l’emissione dei raggi X). I campioni da osservare col SEM devono essere anidridi o conduttivi o, qualora non lo siano, si applica sullo strato superficiale un sottile strato di oro. L’ESEM (variante del SEM) permette di analizzare anche campioni umidi e soprattutto non conduttivi, come campioni biologici, senza intaccarne l’integrità. Max ingrandimento: 50000x.Microscopio elettrico a trasmissione (TEM): qui il fascio incidente (generato da un cannone elettronico) viene focalizzato sul campione tramite diverse lenti elettromagnetiche, lo attraversa e proietta oltre la sua immagine su di uno schermo fluorescente, operando sempre in UHV. Per questa microscopia, il campione deve essere assottigliato (prima meccanicamente e poi elettrochimicamente) fino a produrre un foro sul campione. La zona osservabile sarà il tronco di cono nei pressi del foro stesso. Questo strumento è utile in campo biologico e nella scienza dei materiali. Max ingrandimento: 300000x.Microscopio a sonda a scansione: sono costituiti da una sonda simile ad un "pick-up", la cui punta, che esplora il campione con un movimento a reticolo, può essere tanto sottile da avere le dimensioni di un solo atomo. Nel microscopio a effetto tunnel (STM), tra punta e campione (che deve essere conduttivo) si genera una lieve corrente elettrica la cui intensità varia in base alla distanza punta-oggetto. Le variazioni vengono analizzate, registrate e convertite tramite un computer in un’immagine ingrandita. Col microscopio a forza atomica (AFM), è possibile analizzare anche materiali non conduttivi. In particolare gli elettroni emessi dalla punta interagiscono con quelli degli atomi superficiali del campione e si vengono a generare delle forti forze di repulsione. I movimenti "in su" e "in giù" della punta sono rilevati da un fascio laser riflesso dal braccio del pick-up verso un sensore collegato ad un computer che trasforma i segnali in immagine visibile.Microscopio a forza atomica: è costituito da un sensore a punta molto fine (tip), montato alla fine di una sottile asta elastica (cantilever), che è posto in contatto con la superficie del campione. La punta è mossa lungo tutta la superficie la quale, essendo rugosa, fa muovere su e giù la punta e il cantilever. Questo movimento può essere misurato con elevata risoluzione, ricostruendo la struttura superficiale lungo l’asse z. Invece uno scanner piezoelettrico fornisce le coordinate x e y. L’immagine si ottiene attraverso tre classi di interazione: contact mode (punta e campione restano in contatto), tapping mode (punta e campione in contatto solo per una piccola frazione) e non-contact mode (campione e punta non si

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toccano). Con questo microscopio posso analizzare sia materiali conduttori che isolanti, in aria, in UHV e in liquido; con l’AFM posso avere anche la topografia di un campione. - Illustrazione dei vari tipi di reticoli cristallini nei quali possono cristallizzare i solidi e delle

differenze tra solidi cristallini e solidi amorfi

Tutti i solidi cristallini sono caratterizzati da una distribuzione ordinata delle particelle nello spazio e ne consegue che le particelle sono disposte in un reticolo tridimensionale. In tale reticolo è possibile individuare tre direzioni nello spazio e i tre angoli annessi. L’unità base del reticolo, ovvero la cella elementare può essere scelta arbitrariamente ma in genere la si sceglie in modo che sia la più semplice possibile, cioè con volume minimo ed angoli agli spigoli prossimi a 90°. È opportuno che ciascun atomo presente in una cella elementare abbia lo stesso intorno e che la cella si ripeta in tutto il cristallo senza lasciare lacune (assumendo una forma di parallelepipedo). Affinché nel cristallo si abbia la minima energia per unità di volume, e di conseguenza il più stabile ordinamento possibile delle celle, è necessario che si rispettino le seguenti condizioni: neutralità elettrica, minimizzazione della repulsione tra ioni, conformità al carattere direzionale e discreto dei legami covalenti, massimo impaccamento atomico possibile. Le strutture cristalline possono essere raggruppate in sette diversi sistemi cristallografici. Nel 1848 Bravais dimostrò che ci sono ben 14 possibili distribuzioni spaziali degli atomi nei sette sistemi e le celle in questi reticoli possono essere : P (cella semplice o primitiva), C (cella a base centrata), F (a facce centrate), I (a corpo centrato). Nella cella primitiva (P) gli atomi si dispongono agli spigoli del parallelepipedo, mentre nella cella a base centrata (C) oltre che agli spigoli gli atomi si dispongono anche al centro delle due basi del parallelepipedo. Nelle celle a facce centrate (F) gli atomi si dispongono al centro di ciascuna faccia del parallelepipedo oltre che agli spigoli, infine nelle celle a corpo centrato (I) c’è un atomo al centro del parallelepipedo oltre che agli spigoli. Per esempio nei cristalli con struttura cubica a corpo centrato (I) in ogni cella ci sono 2 atomi, uno al centro ed a ciascun vertice c’è 1/8 di atomo condiviso con altre celle. Nei cristalli a struttura cubica a facce centrate (F) ci sono in ogni cella 4 atomi, 6/2 di atomo sulle facce laterali e 8/8 sugli spigoli. I cristalli che presentano la struttura più compatta sono quelli con strutture CFC (cubica a facce centrate) e EC (esagonale compatta), cioè i cristalli con atomi situati sui vertici di una cella a forma di prisma esagonale (3 atomi all’interno della cella e 2 sulle facce esagonali del prisma).I solidi non cristallini presentano strutture che non sono costituite da disposizioni tridimensionali. Tuttavia questi solidi presentano una specie di ordine locale all’interno delle cosiddette sub-unità, ma sono privi dell’ordine a lungo raggio tipico dei cristalli perché queste sub-unità sono impacchettate casualmente. Esse possono intrecciarsi facilmente allo stato liquido ma durante il processo di solidificazione presentano scarsa mobilità diventando inestricabili allo stato solido. Dunque la struttura rigida che si ottiene dopo il processo di solidificazione rimane definitivamente non cristallina. Tali solidi non cristallini non hanno una precisa temperatura di solidificazione (tipica dei cristalli), ma la temperatura alla quale il materiale assume l’aspetto di una massa rigida è detta temperatura di transizione vetrosa. A temperature sufficientemente basse tutti i materiali tendono a cristallizzare; tuttavia esistono materiali che non raggiungono mai questo stato pur essendo solidi, come accade con il vetro. Materiali di questo tipo sono definiti amorfi.

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- Illustrazione della diffrazione dei Raggi X per l’analisi strutturale dei materiali

I raggi X sono onde elettromagnetiche con una lunghezza d’onda molto più piccola rispetto alle radiazioni visibili e sono generati dalla decelerazione degli elettroni nelle collisioni con i nuclei atomici e dai passaggi degli elettroni nelle orbite più profonde degli atomi. Si verificò col tempo che i raggi X differiscono dalla luce solo per la lunghezza d’onda, dato che mostrano effetti di interferenza passando attraverso un cristallo; questa lunghezza è ricavabile conoscendo la direzione dell’interferenza costruttiva e la distanza tra i piani reticolari. Quindi grazie alla diffrazione possiamo conoscere la struttura interna del cristallo. A seconda dei processi che li originano, i raggi X si suddividono in: Raggi X di frenamento (emessi da fasci di elettroni quando vengono bruscamente frenati dall’urto con gli atomi dell’anticatodo, usati per la radiografia) e Raggi X caratteristici degli atomi (derivati dall’eccitazione di elettroni interni degli atomi dell’anticatodo per bombardamento con fasci di elettroni). Quindi la radiazione emessa dipende dalla natura dell’anticatodo ed è definita e caratteristica per quel tipo (es: un anticatodo di cromo emette raggi X con lunghezza d’onda definita di 0.299 nm). Sapendo che i raggi X hanno lunghezza d’onda pari alla distanza tra i piani reticolari dei solidi, essi generano delle figure di diffrazione che vengono interpretate dai cristallografi. Nello specifico, quando gli elettroni più interni degli atomi del campione interagiscono con i raggi X, entrano in risonanza con i raggi stessi oscillando con la stessa frequenza. Quindi gli elettroni diffondono raggi X con la stessa lunghezza del fascio incidente. Se il campione in analisi è cristallino, le onde diffuse interferiscono tra loro dando luogo ad uno spettro di diffrazione.

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- Illustrazione delle varie tipologie di difetti nei materiali e formazione delle leghe metalliche

Ogni struttura cristallina, tranne nei casi più eccezionali, presenta sempre qualche difetto, ovvero non è mai prettamente regolare. Tuttavia una struttura cristallina perfetta non sempre è vantaggiosa ed infatti molte volte i difetti vengono appositamente introdotti all’interno dei una struttura cristallina affinché il materiale presenti alcune proprietà desiderate. I difetti che possono essere individuati all’interno di una struttura cristallina: difetti puntuali, difetti lineari e difetti superficiali.Difetti puntuali: sono quelli che riguardano uno o pochi atomi e si distinguono in difetti di vacanza e difetti interstiziali o sostituzionali. Il difetto di vacanza consiste nella mancanza di un atomo dalla sua posizione all’interno di un reticolo. Invece il difetto interstiziale riguarda un atomo che si trova tra due atomi in normali posizioni reticolari, cioè un atomo in più nel reticolo in una posizione in cui non ci dovrebbero essere altri atomi. L’atomo in eccesso può essere dello stesso elemento del cristallo ospitante oppure di un altro elemento (quando l’atomo di un altro elemento sostituisce uno del reticolo si parla di difetto sostituzionale). In ogni caso, qualsiasi tipo di difetto deforma il reticolo. Difetto lineare: questi tipi di difetti sono detti dislocazioni. Le dislocazioni, a differenza dei difetti puntuali, sono estese sul reticolo ed influenzano la duttilità dei metalli, ovvero la loro resistenza alla deformazione prima della rottura. In tutti i cristalli la deformazione plastica avviene per scorrimento, ovvero una porzione di cristallo viene spostata rispetto ad un’altra adiacente. Ma tale moto di una porzione di cristallo su di un altro, proprio grazie alle deformazioni lineari viene facilitata in quanto l’energia a far scorrere un piano di atomi sull’altro si riduce notevolmente. Dunque le dislocazioni sono dei difetti che facilitano le deformazioni e le rotture di alcuni materiali. Le dislocazioni possono essere a spigolo, quando si ha un semipiano aggiuntivo di atomi disposto perpendicolarmente rispetto ai piani di scorrimento, e a vite, che consiste un una distorsione elicoidale del reticolo. Difetti di superficie: consistono in zone di transizione o discontinuità. Ogni materiale cristallino non è formato da un unico cristallo ma in realtà ci sono tanti piccoli cristalli che si chiamano grani e che si formano durante la solidificazione del materiale. Il diverso orientamento di tali cristalli durante il processo di solidificazione fa si che si formino queste zone di transizione in cui i grani si adattano l’un l’altro e gli atomi presentano una sistemazione meno compatta e possiedono maggiore energia. Queste zone si chiamano “bordi di grano” e sono molto reattive perché a maggior contenuto di energia. Ovviamente se l’orientamento dei grani è più disordinato, i bordi di grano saranno maggiori ed influenzeranno maggiormente le proprietà del materiale in cui si trovano. Gli stessi bordi di grano possono dare vita alla formazione di dislocazioni. Infine si può accennare anche ai difetti di volume che sono imperfezioni volumetriche.Un prodotto di natura risultante dall’unione macroscopica omogenea di due o più elementi, almeno uno dei quali è metallico, prende il nome di lega metallica. A seconda del numero di costituenti della lega, le leghe possono essere binarie, ternarie, quaternarie… Lo scopo della formazione di una lega è principalmente quello di migliorare le proprietà dei singoli metalli usati nella formazione stessa. Una lega in soluzione solida presenta un solvente, cioè il metallo che conserva il proprio reticolo cristallino, ed un soluto, o più soluti, che sono gli altri componenti. Gli atomi del soluto vanno a sostituire quelli del solvente nel reticolo se ci sono affinità tra i due elementi, ovvero se il raggio atomico dei due tipi di atomi non differisce di molto, se le strutture cristalline dei due elementi sono simili e se sono soddisfatti altri criteri di compatibilità tra gli atomi. In questo caso si parla di soluzione solida sostituzionale. Se invece gli atomi del soluto sono molto più piccoli del solvente vanno ad occupare spazi interatomici e si tratta di una soluzione solida interstiziale. In base al numero di fasi che la compongono, una lega può essere monofasica o polifasica. Le leghe monofasiche hanno una struttura omogenea, mentre quelle polifasiche hanno una struttura eterogenea. In ogni caso le leghe presentano caratteristiche diverse in base agli elementi che la compongono. Le leghe ferrose sono formate da ferro-carbonio. La ghisa è una lega di questo tipo più l’aggiunta di altri elementi quali silicio, manganese; il tenore di carbonio è compreso tra l’1,9% e il 5,5%. È dura, fragile, resiste poco alla trazione e alla riflessione, è resistente alla compressione e alla corrosione, non è malleabile. L’acciaio è una lega di ferro-carbonio con un tenore di carbonio inferiore al 2%; si ricava dalla ghisa greggia, dal rottame di ferro e dalle ferroleghe (non hanno impiego autonomo). In base alla quantità di carbonio distinguiamo acciaio extradolci, dolci, semiduri, duri. Gli acciai inossidabili contengono diversi elementi leganti come cromo, nichel che li rendono brillanti e particolarmente resistenti all’aggressività degli agenti esterni. Leghe non ferrose: le leghe a base di rame si presentano come composti resistenti alla corrosione e materiali adatti alla conduzione elettrica, sono in genere monofasiche. Gli ottoni sono formati da rame (70% in peso) e zinco (30%), è meccanicamente più resistente del rame da solo e lo zinco è meno costoso del rame. I bronzi sono leghe rame-stagno in cui lo stagno supera raramente il 14%. Le leghe di titanio sono soluzioni solide molto stabili caratterizzate da elevata durezza e fragilità, usate in campo medico e areonautico-spaziale.

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- Illustrazione delle varie tipologie di degrado dei materiali metallici

La corrosione è un processo di ossido-riduzione derivante dall’interazione tra il materiale e l’ambiente circondante che causa alterazione e degrado delle proprietà chimico-fisiche. La corrosione a secco avviene in assenza di umidità a temperature elevate in presenza di ossigeno (dipende inoltre dalla temperatura e dal tipo di metallo). La corrosione ad umido si verifica quando il metallo viene a contatto con agenti aggressivi in soluzione acquosa; si verifica in seguito ad un’ossidazione anodica del metallo e ad una riduzione catodica di specie differenti (varia anche in funzione del pH). Corrosioni facilmente identificabili con osservazione visiva. Corrosione uniforme: è caratterizzata da un attacco corrosivo che procede su tutta la superficie o comunque su una grande frazione dell’area totale; si ha un generale assottigliamento del materiale fino alla rottura. In base alla quantità di materiale perso, è la più importante forma di corrosione. E’ tuttavia piuttosto facile da misurare e da prevedere e le rotture disastrose sono rare. Si può individuare con l’osservazione visiva e siccome si estende su tutta la superficie può essere controllata o con la protezione catodica e con l’uso di protettivi e vernici. Corrosione per pitting: è una forma di corrosione localizzata nelle quali sono prodotti buchi (pit, appunto) o cavità nel materiale. Il pitting è considerato una forma più pericolosa della corrosione uniforme perché è difficile da scoprire e contrastare. Un piccolo pit può portare infatti alla rottura di un’intera struttura. Il pitting può essere causato da: corrosione localizzata o danneggiamento meccanico al film protettivo di ossido - acidità, bassa quantità di ossigeno disciolto che destabilizza i film di ossido o alti contenuti di cloruri – danneggiamento localizzato o applicazione difettosa di strati protettivi – la presenza di disuniformità nella struttura metallica. Corrosione interstiziale: è una forma di corrosione usualmente associata con una soluzione stagnante in un microambiente schermato, quale quello generato da guarnizioni, rondelle, ecc. Le fasi che portano a questo tipo di corrosione sono: diminuzione dell’inibitore – diminuzione di ossigeno – spostamento verso condizioni di acidità – aumento di specie aggressive come i cloruri. Corrosione galvanica: La corrosione galvanica è una delle forme più comuni di corrosione ed una delle più distruttive, indotta dall’accoppiamento di due materiali diversi in presenza di un elettrolita; ad esempio quando due o più metalli sono messi in contatto da una soluzione acquosa. Entrambi i metalli potrebbero o non potrebbero corrodersi separatamente; ma quando vengono a contatto la loro velocità di corrosione singola cambia: uno dei metalli diventa l’anodo e si corrode più velocemente di quello che farebbe se fosse da solo, mentre l’altro che diventa il catodo si corrode invece più lentamente. La forza trainante è la differenza di potenziale tra i due materiali. Corrosioni che richiedono osservazioni supplementari. Corrosione per erosione: è una accelerazione della velocità dell’attacco corrosivo dovuta alla velocità relativa del fluido corrosivo rispetto alla superficie metallica. L’aumento di turbolenza causato dal pitting nella superficie interna di una condotta origina un aumento della velocità di erosione aggravata anche da difetti di finitura delle superfici, quali sbavature, che possono aumentare ancora la turbolenza. Una combinazione di corrosione ed erosione porta a velocità di pitting estremamente elevate. Corrosione per fretting: è dovuta al contatto tra due superfici sotto carico che si muovono una rispetto all’altra, come nel caso di vibrazioni continue. Il film protettivo presente sulle superfici metalliche è rimosso dall’azione di sfregamento ed espone nuovo materiale all’azione aggressiva. Corrosione intergranulare: La microstruttura di metalli e leghe è costituita da grani separati da bordi di grano. La corrosione intergranulare è localizzata lungo i bordi di grano mentre il centro del grano rimane inattaccato. Questa forma di corrosione è in genere associata agli effetti delle segregazioni o alla presenza di specifiche fasi che precipitano ai bordi dei grani. Queste precipitazioni possono produrre zone a ridotta resistenza alla corrosione nelle vicinanze. I bordi di grano diventano anodici rispetto al resto della superficie che diventa catodica. L’attacco in genere procede in zone ristrette lungo i bordi di grano ed in caso di un severo attacco corrosivo si può avere lo scalzamento di interi grani, con deterioramento anche delle proprietà meccaniche. Corrosione da verificare con microscopia. Corrosione selettiva: si riferisce alla rimozione di un elemento da una lega a causa di un processo selettivo; un esempio comune è la dezincificazione di un ottone non stabilizzato, lasciando una struttura porosa a base rame che ha una scarsa resistenza meccanica. La rimozione selettiva può procedere o in modo uniforme o in modo localizzato. Stress corrosion cracking: è la frattura indotta dall’influenza dello stress e dell’ambiente corrosivo; lo stress può essere applicato direttamente o può essere uno stress residuo. In genere la maggior parte della superficie rimane inalterata ma sono presenti sottili cricche che penetrano nel materiale; SCC è classificata come una forma catastrofica di corrosione, perché l’identificazione di cricche molto sottili può essere molto difficile e rotture disastrose possono aver luogo con perdita minima di materiale. Corrosione a fatica: è il risultato di una azione combinata di uno stress alternato e di un ambiente corrosivo. La fatica causa la rottura del film protettivo e si accelera il processo corrosivo; l’introduzione di un ambiente corrosivo elimina il normale limite di fatica di una lega ferrosa e crea una condizione di vita limitata indipendentemente dal livello di stress. La corrosione atmosferica ha luogo in presenza di uno strato elettrolita sulla superficie metallica esposta e l’aggressività viene aumentata dalla presenza di inquinanti (ossidi di zolfo, come nelle città). In genere essa dipende dal materiale, da fattori ambientali (umidità, tipo di atmosfera…), dall’esposizione dell’oggetto.

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- Illustrazione delle tipologie di modica delle superfici con attenzione ai trattamenti in plasma

La superficie è la parte più esterna di un materiale e corrisponde a pochi strati atomici; ha caratteristiche diverse rispetto all’interno del materiale. Molte volte vengono applicati ai materiali degli strati protettivi per proteggere il materiale dalla corrosione e dagli agenti aggressivi, da processi chimici. Gli strati protettivi applicati sulle superfici dei materiali non servono a rendere il materiale stesso più resistente ma solo a conservarne l’integrità. Gli strati metallici protettivi sono dei film che conferiscono durezza e resistenza al materiale (le proprietà meccaniche sono date dal materiale). I film sono generati mediante immersione in una soluzione contenente diversi reagenti che conferiscono allo strato le caratteristiche richieste. La galvanizzazione consiste nell’applicare un film di zinco su un componente in ferro o acciaio per immersione in zinco fuso. L’elettrodeposizione si ottiene applicando la corrente elettrica in una soluzione contenente ioni del metallo da depositare sull’oggetto da proteggere, posto come catodo in una cella elettrolitica. La deposizione senza corrente impressa consiste nella riduzione catalitica di ioni nichel in una soluzione acquosa contenete un agente riducente, i quali poi vengono deposti sul materiale metallico senza corrente (valvole, parti di pompe). Il thermal spraying consiste nel fornire energia al film da depositare affinché si favorisca l’adesione sul metallo da rivestire. In genere si attua un trattamento termico alla pellicola fornendogli energia termica, ma talvolta vengono adoperati anche plasmi che forniscono energia cinetica (e non termica). I metodi PVD sono più puliti e ricoprono tutto il componente contemporaneamente; consistono nel creare una specie aeriforme (da un liquido o da un solido) per poi trasportare i suoi atomi o molecole sul substrato del metallo da coprire.[Il plasma è considerato il quarto stato della materia ed è costituito da una miscela di specie cariche come gli elettroni o ioni, e specie neutre, come atomi o molecole. Alcune di queste specie vengono eccitate a causa dell’emissione di fotoni. Il plasma si genera per processi collisionali tra i costituenti del gas di partenza. Si differenziano plasmi termici e plasmi freddi. I plasmi termici hanno una temperatura che varia da 5000K a 10000K ed una pressione elevata. Gli elettroni e le specie neutre in queste condizioni collidono. I plasmi freddi hanno la stessa temperatura elettronica dei plasmi termici ma la loro temperatura delle specie neutre è più bassa. In queste condizioni il numero di collisioni è basso.] Esistono tre tipi di processi che possono interessare una superficie esposte ad un plasma freddo. Plasma etching: processi di erosione delle superficie a causa di reazioni con il substrato di specie presenti nel plasma con la formazione di prodotti volatili. PE-CVD: consiste nella deposizione di sottili film organici o inorganici le cui parti sono generate dalla frammentazione del gas (“monomero”). Plasma treatments: processi di modificazioni degli strati più superficiali dei materiali che si realizzano alimentando il plasma con gas reattivi in modo tale da creare determinate funzionalità chimiche (gruppi acidi…) che si legano covalentemente alla superficie del substrato. Rivestimenti inorganici: con o senza elettricità, cambiano la superficie del metallo in uno strato di ossido. Anodizzazione: consiste nella conversione della superficie metallica in uno strato di ossido mediante il passaggio attraverso un elettrolita di corrente elettrica. Cromatazione: consiste in una breve immersione in soluzioni acide di cromati e i film sono colorati diversamente in base al materiale base. Fosfatazione: consiste nell’immersione prolungata in soluzioni acide di orto fosfato contenenti ferro, zinco o manganese. Nitrurazione: consiste nell’ottenere uno strato di nitrurato applicabili ad acciai trattati in ammoniaca a 600°C.

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- Illustrazione della polimerizzazione di addizione/condensazione con esempi

Il polimero è una macromolecola il cui peso molecolare è molto elevato ed è formato da tantissime piccole molecole, uguali o diverse, unite tra loro dallo stesso tipo di legame. La parte della molecola caratterizzata da specifici elementi e che conferisce al composto una reattività tipica è detta gruppo funzionale. Un polimero lineare è una molecola in cui gli atomi sono disposti in una lunga catena, chiamata catena principale; a questa si attaccano o singoli atomi o altre catene laterali, più piccole rispetto alla centrale. La più piccola e semplice struttura che si ripete diverse volte è detta unità strutturale ed è indicata tra parentesi. Tuttavia non sempre le catene sono lineari; in presenza di numerose ramificazioni, tutte le catene principali possono essere attaccate una all’altra (polimeri reticolati), se invece le catene sono legate in un unico centro comune sono detti polimeri a stella. Poiché le catene sono flessibili e possono attorcigliarsi, si forma un’unica massa aggrovigliata, allo stato solido non facilmente districabile rispetto allo stato fuso. La reazione chimica che dà origine al polimero è chiamata polimerizzazione, ovvero l’unione di tante piccole molecole (monomeri) per formare polimeri. Polimerizzazione per addizione: si ha quando tutta la molecola di monomero diventa parte del polimero. Ad esempio il polietilene è polimerizzato dai singoli monomeri di etilene. Il polietilene ha una grandissima diffusione (plastica molto utilizzata) e consiste in una lunga catena di atomi di carbonio, con due atomi di idrogeno attaccati a ciascun atomo di carbonio. Un altro esempio di polimerizzazione per addizione è il polipropilene, utilizzato come plastica e come fibra; l’unità è data da due atomi di carbonio, di cui uno è legato a due atomi idrogeno, l’altro ad un idrogeno e ad un CH3. Polimerizzazione per condensazione: si ha se una parte della molecola di monomero viene eliminata quando il monomero diventa parte del polimero. Ad esempio nella formazione del nylon 6-6, ottenuto dal cloruro di adipoile e la esametilendiammina, si perdono atomi di cloro sotto forma di HCl. Un altro esempio sono i poliesteri, polimeri contenenti il gruppo funzionale degli esteri lungo la catena carboniosa principale (usati per es per produrre bottiglie infrangibili).C’è un altro sistema per classificare le polimerizzazioni, tramite due categorie distinte. Nella polimerizzazione a catena i monomeri diventano parte del polimero simultaneamente e consiste in semplici addizioni consecutive di monomeri. Esso è detto a catena perché ogni passaggio dipende da quello precedente e permette quello successivo. Dunque in questo tipo di polimerizzazione può accadere solo che un monomero si aggiunga a quello precedente formando un dimero (poi al dimero si aggiunge un altro monomero formando un trimero ecc.). Nella polimerizzazione a stadi il dimero può comportarsi in maniera varia, ovvero sia come in una polimerizzazione a catena (unendosi ad un altro monomero), oppure può unirsi ad un altro dimero formando un tetramero, o unirsi ad un trimero formando un pentametro ecc. Dunque in una polimerizzazione a stadi le catene ancora in crescita possono reagire tra loro formando catene ancora più lunghe, mentre in una polimerizzazione a catena solamente un monomero può unirsi ad una catena in crescita (due catene in crescita non possono unirsi). Un altro parametro per classificare i polimeri è la tatticità, che indica il modo in cui i gruppi sostituenti sono disposti rispetto alla catena principale in un polimero. Se tutti i gruppi sono dalla stessa parte della catena diciamo che il polimero è “isotattico”. Se i gruppi sono alternativamente da una parte e dall’altra della catena, il polimero è detto “sindiotattico”. Se i gruppi sono su entrambi i lati senza un particolare ordine, il polimero è detto “atattico”. Nei primi due casi, è facile per i polimeri impacchettarsi tra loro per generare cristalli e fibre.

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- Illustrazione dei processi di fabbricazione e drogaggio del silicio per elettronica

Il drogaggio è quel processo chimico che consiste nell’aggiungere in un semiconduttore piccole percentuali di atomi che non fanno parte del conduttore stesso ma ne vanno a modificare alcune proprietà elettriche. Basta una minima quantità dell’elemento drogante (1atomo ogni 109 atomi del materiale ospitante). 1° modo (n): Se si introducono atomi di fosforo (P) o di arsenico (As) all’interno di un cristallo di silicio avremo un drogaggio di tipo “n”, ovvero l’atomo del drogante avrà un elettrone in più rispetto a quelli necessari per soddisfare i legami del reticolo cristallino. La banda in cui risiedono tutti questi elettroni (la banda drogante) è molto vicina alla banda di conduzione e basta poca energia termica affinché gli elettroni passino alla banda di conduzione e conducano in tutto il solido. 2° modo (p): Se invece droghiamo il silicio con atomi di elementi quali il boro (B) e gallio (Ga) si avrà un drogaggio di tipo “p”, in cui gli atomi droganti hanno un elettrone in meno rispetto a quelli che servono per soddisfare i legami del reticolo cristallino. In tal caso vengono introdotte nel solido lacune positive e si forma una banda sottilissima al di sopra della banda di valenza che sarà in grado di accettare gli elettroni dei livelli di energia più alti della banda di valenza, dopo che questi saranno stati eccitati per energia termica. Nella banda di valenza si creano delle lacune che rendono mobili gli elettroni. I semiconduttori di tipi n o p sono molto utilizzati nei componenti elettronici.Il silicio è il materiale di base per la realizzazione di transistor, circuiti integrati, microprocessori ed altri dispositivi microelettronici integrati. Per la creazione di un circuito integrato "planare" (cioè con i componenti disposti su un piano) è infatti necessario avere un substrato estremamente planare; tali substrati sono detti wafer. Il silicio metallurgico si ricava dalla silice (SiO2). Per ottenere il silicio si parte da sabbia di rocce silicee e quarzose. Il silicio si separa dalla silice per carboriduzione (si sommano 2atomi di carbonio) in forni ad arco sommerso (al suo interno ci sono due elettrodi di grafite che, se in funzione, fondono il silicio che cola in una lingottiera dove poi solidifica, ottenendo così il silicio metallurgico). Una volta raffinato chimicamente (processo Siemens), si eliminano le impurezze per via fisica tramite raffinazione a zone. Per ridurre il silicio metallurgico (stato policristallino, con molte impurezze, inadatto all’uso dell’industria microelettronica) a silicio monocristallino viene adoperata frequentemente la tecnica Czochralsk. Il silicio viene fatto fondere in un crogiolo e mantenuto a temperatura appena superiore a quella di fusione (si noti che le impurezze preferiscono stare nella fase liquida). Dall’alto viene poggiato sulla superficie fusa un germe di silicio cristallino: a contatto con esso, il silicio fuso vi solidifica. Tirando lentamente il germe e applicando una lenta rotazione antioraria (per favorire la crescita laterale) si forma il monocristallo a tronco di cono. L'operazione successiva consiste nel tagliare il lingotto tramite un disco diamantato, ottenendo i sottili dischi con spessore di pochi decimi di millimetro chiamati wafer (che vengono lucidati e attaccati chimicamente per rimuovere le ultime impurezze); i wafer costituiranno quindi il supporto (substrato) per i diversi dispositivi elettronici. Questi wafer, in seguito, possono essere sottoposti a drogaggio (per diffusione) e si prosegue con l’impiantazione, il processo per cui le impurezze, ridotte in forma ionica, sono accelerate da campi elettrici e focalizzate sul semiconduttore. Inoltre, per adoperare la tecnologia planare, si applica uno strato superficiale di ossido (per CVD o PVD, ovvero lo sputtering) e infine si procede con la microlitografia (riprodurre i disegni, i layout, sul silicio; per incidere particolari non troppo piccoli si usa la luce ultravioletta, per particolari più piccoli si adoperano fasci di elettroni o raggi X).

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- Illustrazione delle differenze tra materiali conduttori, semiconduttori ed isolanti

In generale distinguiamo materiali conduttori, semiconduttori ed isolanti in base alla facilità con cui essi conducano elettricità. I conduttori, di solito metalli, presentano una nube di elettroni liberi di muoversi per effetto o di una differenza di potenziale o di un campo elettrico oscillante di un raggio di luce. I semiconduttori, come silicio o germanio, si distinguono dai conduttori poiché la loro conduttività è direttamente proporzionale alla temperatura, mentre quella dei conduttori aumenta al diminuire della temperatura. Gli isolanti sono sostanze dotate di conduttività elettrica quasi nulla. I superconduttori sono una classe di materiali che presentano resistenza elettrica nulla a temperature bassissime. Tuttavia, per comprendere a fondo le differenze tra questi diversi materiali, è opportuno far riferimento alla teoria degli orbitali molecolari e delle bande. La banda è formata da un insieme di orbitali molecolari tra cui sostanzialmente non c’è differenza di energia. Gli orbitali atomici che danno vita alla molecola erano talmente numerosi che si sono sovrapposti e gli orbitali molecolari si raggruppano fino a formare un’unica banda virtuale, caratterizzata da una serie continua ed ininterrotta di livelli energetici. Le bande di valenza (dove sono siti gli elettroni) sono separate dalla banda di conduzione (vuota) da intervalli di banda (gap band) che corrispondono a valori di energia che gli elettroni non possono assumere. Nei conduttori, se una banda non è del tutto completa, gli elettroni vicini al livello di Fermi possono essere facilmente promossi ai vicini livelli vuoti, divengono mobili e possono spostarsi dentro il solido con relativa libertà. Negli isolanti, la banda di valenza è completamente piena di elettroni che quindi non hanno a disposizione livelli energetici ulteriori da poter riempire; inoltre non possono neanche accedere alla banda di conduzione perché l’intervallo di banda è considerevole e ci vorrebbe un’energia troppo grande affinché questo avvenga (l’immobilità elettronica causa l’impossibilità di conduzione). Nei semiconduttori, la banda energetica (di valenza) è completamente piena ma il salto energetico che gli elettroni dovrebbero compiere per giungere alla banda di conduzione del livello superiore è minore rispetto ai corpi isolanti, per cui con sufficiente energia termica (aumento temperatura) gli elettroni eccitati possono superare e saltare la banda proibita. I superconduttori presentano resistenza elettrica pari a zero se portati a bassissime temperature (Onnes 1923 portò il mercurio a 4K e notò il fenomeno). La temperatura alla quale si verifica l’annullamento della resistenza viene chiamata temperatura critica, anche se in realtà a tale temperatura la resistenza assume un valore molto basso (non completamente pari a zero). Teoria della superconduttività (Bardeen – Cooper – Schieffer): all’interno dei superconduttori, gli elettroni si muovono a coppie anziché singolarmente (le “coppie di Cooper” si formano grazie a spostamenti vibrazionali degli atomi costituenti il reticolo).

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- Illustrazione dei sistemi elettrochimici utilizzati per generare energia

Un sistema elettrochimico è un dispositivo capace di trasformare energia chimica in energia elettrica (generatore o cella galvanica) oppure trasformare energia elettrica in energia chimica (elettrolizzatore o cella elettrolitica). Nella sua forma più semplice il sistema elettrochimico è costituito da due elettrodi (conduttori elettronici) a contatto con un elettrolita (conduttore ionico). Quando il sistema elettrochimico è in funzione, gli elettrodi sono collegati esternamente al dispositivo che utilizza l’energia elettrica (carico), se il sistema è un generatore; in ogni caso il sistema costituisce un circuito elettrico chiuso, che è di tipo elettronico nella parte esterna agli elettrodi e di tipo ionico nella parte interna. I sistemi elettrochimici, dal punto di vista dell’utilizzazione, possono essere generatori (pile o accumulatori) quando trasformano la energia chimica in energia elettrica oppure elettrolizzatori o celle quando trasformano la energia elettrica in energia chimica.Se si considera un generatore elettrochimico nel contesto più ampio delle problematiche connesse con la “conversione dell’energia” è conveniente introdurre la distinzione tra generatori primari o pile e generatori secondari o accumulatori. Secondo questa distinzione le pile sono dispositivi che consentono di trasformare l’energia chimica dei reagenti in energia elettrica. Quando tutti i reagenti si sono consumati, la pila cessa di funzionare. Al contrario gli accumulatori, dopo una fase di scarica, durante la quale i reagenti si trasformano nei prodotti fornendo energia elettrica, possono essere assoggettati ad una fase di carica durante la quale viene fornita energia elettrica al sistema al fine di ottenere la trasformazione, inversa, dei prodotti nei reagenti. Il sistema può così essere utilizzato ciclicamente un gran numero di volte. In questo senso si può dire che il generatore secondario consente di “accumulare” l’energia elettrica fornita durante la fase di carica sotto forma di energia chimica (dei reagenti) che verrà utilizzata convertendola in energia elettrica durante la fase di scarica. La pila è un sistema basato sulla conversione di energia chimica in elettrica. In una pila una sostanza si ossida (perde elettroni) ed un’altra si riduce (acquista elettroni); questo flusso di elettroni genera corrente continua sfruttata dall’utilizzatore. La pila si scarica quando le reazioni redox giungono all’equilibrio. La pila di Volta è costituita dall’alternanza di dischetti rame-zinco-umido (panno imbevuto di acido solforico e acqua)-rame-zinco il tutto sostenuto da una struttura in legno: collegando i due estremi della pila con due fili di rame, si viene a creare una differenza di potenziale in grado di generare corrente. Il zinco è l’elemento che si ossida ma gli elettroni persi non vengono accettati dal rame (che serve solo per creare la d.d.p.) ma allo ione ossonio formatosi dalla dissociazione ionica dell’acido in acqua. La pila Daniell è formata da una cella contenente due soluzioni elettrolitiche separate da un setto poroso: solfato di zinco in acqua, contenente l’elettrodo di zinco (il polo negativo), e solfato di rame in acqua, contenente l’elettrodo di rame (il polo positivo). Durante il funzionamento della pila, la corrente circola esternamente attraverso un filo elettrico che collega i poli e internamente attraverso le soluzioni elettrolitiche, grazie al movimento degli ioni. Il funzionamento della pila dipende dalle due semireazioni che hanno luogo agli elettrodi. In corrispondenza di quello negativo, lo zinco metallico tende a ossidarsi, cedendo due elettroni. All’elettrodo positivo, invece, lo ione bivalente Cu2+ tende a ridursi, acquistando due elettroni per diventare rame metallico. In sostanza, i due elettroni liberati dalla reazione di ossidazione al polo negativo sono attirati da quello positivo; circolano quindi attraverso il circuito esterno e raggiungono l’elettrodo di rame. Nel frattempo, lo ione Zn2+ prodotto entra in soluzione, mentre il rame Cu passa dalla soluzione all’anodo: via via che la reazione procede, quindi, l’elettrodo di zinco si consuma mentre l’elettrodo di rame si ingrossa. Lo scompenso di cariche che si crea nelle due semicelle è colmato dal flusso di ioni attraverso il setto poroso (o il ponte salino), che tende a ristabilire l’equilibrio. La pila Leclanché (prima pila a secco e più commercializzabile) è costituita da un anodo di zinco metallico, che funge anche da contenitore, e da un catodo costituito da una barretta di grafite, sulla cui superficie avviene la riduzione del biossido di

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manganese, miscelato a del cloruro d'ammonio a formare un gel umido. Quest'ultimo rappresenta l'elettrolita immerso tra i due elettrodi. Altri sistemi elettrochimici di simil genere sono le pile Wenston, le batterie alcaline, a mercurio e ad argento. Un’altra versione di pila a secco è la pila a bottone, o pila Mallory o Ruben, comunemente utilizzata negli orologi al quarzo e nelle calcolatrici. Viene anche detta pila a mercurio, perché l'elettrodo positivo è costituito da ossido di mercurio. Fornisce una tensione leggermente inferiore alla Leclanché (circa 1,4 V), ma garantisce una corrente costante e una maggiore durata; il suo elettrolita, infatti (idrossido di potassio), corrode lo zinco in misura minore rispetto a quello della pila Leclanché (cloruro di ammonio), con un considerevole aumento della durata.

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