cassazione civile e riforme costituzionali
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Cassazione civile e riforme costituzionaliAuthor(s): ANDREA PROTO PISANISource: Il Foro Italiano, Vol. 121, No. 3 (MARZO 1998), pp. 167/168-169/170Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23192369 .
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PARTE QUINTA
ANDREA PROTO PISANI
Cassazione civile e riforme costituzionali (*)
1. - Negli anni 1985-1987 il Foro italiano provocò un dibatti
to sulla corte di Cassazione civile (v. Per la corte di cassazione, in Foro it., 1987, V, 205 ss.).
Se si vanno a rileggere gli scritti in cui si tradusse quel dibat
tito (v. anche l'appendice, La Cassazione civile, id., 1988, V, 1 ss.), si nota che molte delle proposte specie organizzative (ma anche legislative: si pensi alla modifica dell'art. 336, 2° comma,
c.p.c., all'abrogazione dell'art. 152 disp. att. c.p.c.) sono state
accolte o realizzate.
Questo però è avvenuto proprio in un periodo in cui il carico
della Cassazione civile passava dai 10.517 ricorsi incardinati, fra il 1° luglio 1985 e il 30 giugno 1986 (con 8.706 ricorsi esau
riti nello stesso anno), ai 13.910 ricorsi sopravvenuti fra il 1°
luglio 1996 e il 30 giugno 1997 (con 13.346 ricorsi esauriti nello
stesso arco di tempo). Direi che l'immenso impegno per l'efficienza e la razionaliz
zazione profuso da Antonio Brancaccio nella sua lunga presi denza e proseguito dal pres. Sgroi, se ha comportato un incre
dibile aumento di produttività superiore di molto al cinquanta
per cento, è stato purtroppo vanificato dall'aumento del nume
ro dei ricorsi.
Così se alla metà del 1986 i procedimenti pendenti erano
32.448, alla metà del 1997 risultano essere ancora nonostante
tutto aumentati e divenuti 34.865.
In questa situazione di progressivo ulteriore deterioramento
che fare? Certamente è opportuno e doveroso muoversi ancora
sul piano organizzativo consentendo la decisione in camera di
consiglio con motivazione «succinta» e non già solo «concisa»
in caso di manifesta infondatezza o manifesta fondatezza (v. la relazione redatta da Pino Borrè per il Consiglio superiore della magistratura sulla c.d. bozza Brancaccio-Sgroi, Foro it., 1990, V, 263 ss.); ma direi che non occorre essere esperto del
l'arte della profezia per sapere come anche innovazioni di que sta specie non riusciranno ad avviare a soluzione la crisi della
Cassazione civile, specie ove si pensi ai nuovi onerosi compiti che la Cassazione sarà chiamata a svolgere a seguito dell'entra
ta a regime della riforma tributaria del 1992 e della devoluzione alla giurisdizione ordinaria delle controversie dell'ex pubblico
impiego privatizzato. De iure condito — mi sembra la sconsolante conclusione —
la Corte di cassazione nonostante tutti i possibili aggiustamenti
organizzativi e normativi non sembra in grado di poter assume re il ruolo di Corte suprema cioè di organo in grado di assolve re la funzione di nomofilachia indicata dell'art. 65 dell'ordina mento giudiziario: e ciò perché a diritto costituzionale invariato non si è in grado di incidere drasticamente sul numero dei ricor si. De iuro condito la Corte di cassazione è inevitabilmente so
spinta a divenire giudice di terzo grado (e la stessa modificazio ne dell'art. 384, 1° comma, c.p.c. può leggersi in questo senso), ed a far sorgere del pari inevitabilmente più che fondati interro
gativi sull'utilità di tre gradi di giudizio.
2. - In questo contesto assume un interesse tutto particolare la proposta di modifica dell'art. Ili, 2° comma, Cost, avanza ta dal progetto di riforma della seconda parte della Costituzio ne approvato dalla Commissione bicamerale nell'ottobre 1997. Alla stregua dell'art. 131 di tale progetto: «Contro le sentenze
(ivi comprese quelle del giudice amministrativo) è ammesso ri corso per cassazione nei casi previsti dalla legge, che assicura
comunque un doppio grado di giudizio».
Nonostante le pesantissime critiche che a mio avviso sono
da rivolgere alla parte di progetto di revisione della Costituzio
ne relativa alla giustizia, devo francamente ammettere che que sta proposta di revisione del 2° (e del 3°) comma dell'art. Ili
Cost, si muove, sempre a mio avviso, verso la giusta direzione: — allo scopo di consentire alla Corte di cassazione di svolge
re la funzione di garanzia oggettiva di nomofilachia, introdu
zione della possibilità per il legislatore ordinario di ridurre an
che drasticamente i ricorsi per cassazione; — allo scopo di assicurare la garanzia soggettiva dell'impu
gnazione, costituzionalizzazione del principio del doppio grado di giurisdizione.
Possibilità per la legge ordinaria di limitare l'ammissibilità del ricorso per cassazione per un verso significa possibilità di
subordinare l'ammissibilità del ricorso alla presenza di questio ni di principio o di interesse generale: cioè di introdurre filtri
adeguati a limitare il numero di ricorsi anche a non più di un
migliaio l'anno (con conseguente riduzione del numero dei giu
dici, dei collegi decidenti e direi eliminazione della possibilità stessa di contrasti giurisprudenziali inconsapevoli all'interno della
corte). Per altro verso significa possibilità di estendere la fun
zione di nomofilachia anche a quei settori dell'ordinamento og
gi devoluti alla giurisdizione dei giudici amministrativi. È quindi con estremo favore che, a mio avviso, va considera
ta questa proposta di modifica dell'art. Ill Cost., anche se ad
una modifica di tal genere si sarebbe potuti e si potrebbe perve nire tramite la mera novellazione dell'art. Ili senza sconvolgere l'intero titolo IV della seconda parte della Costituzione.
Qualche non secondaria perplessità suscita invece la proposta di costituzionalizzazione del doppio grado di giurisdizione e non
più semplicemente dell'appello. Mi spiego rapidamente. Il dop
pio grado di giurisdizione può non irragionevolmente significa re doppio valido esame delle domande, delle eccezioni, dei mez zi di prova, laddove l'appello è istituto molto più duttile il qua le, se dà pieno sfogo alla garanzia soggettiva di impugnazione, realizza solo in modo tendenziale e mai assoluto il principio del doppio grado (ben essendo possibile che proprio a seguito
dell'appello si decida in primo e unico grado ad es. sulle do
mande o sulle eccezioni subordinate, o si esaminino per la pri ma volta nuove prove o nuove eccezioni, o si rinnovi in appello un segmento più o meno ampio del procedimento svoltosi in
modo invalido in primo grado, ecc.). Allo scopo di evitare che il processo si trasformi in una continua navetta tra giudice di
primo e secondo grado, appare pertanto più ragionevole costi
tuzionalizzare a livello di garanzia il più duttile istituto dell'ap
pello, anziché il più rigido ed astratto principio del doppio gra do di giurisdizione.
3. - Individuata la linea maestra da seguire per attribuire dav
vero alla Corte di cassazione la funzione di Corte suprema e
per consentirle di svolgere quella funzione di garanzia oggettiva di nomofilachia indicata dall'art. 65 dell'ordinamento giudizia rio, vorrei ora indicare sinteticamente il quadro generale del sistema delle impugnazioni che ne dovrebbe seguire.
3.1. - Innanzi tutto generalizzazione dell'appello come stru mento diretto ad assicurare la garanzia soggettiva dell'impugna zione, e (specie nel contesto di una revisione in senso federale della forma di Stato) sua devoluzione a corti regionali d'appello.
In particolare, l'appello dovrebbe essere previsto: a) contro tutti i provvedimenti a contenuto decisorio, relativi
a diritti e con attitudine al giudicato, contro i quali non sia
previsto un rimedio di tipo oppositorio (si pensi per tutti all'op
posizione a decreto ingiuntivo o a decreto penale di condanna); b) se del caso nella forma semplificata del reclamo, contro
tutti i provvedimenti cautelari o emanati nelle forme dei proce dimenti in camera di consiglio;
c) contro le decisioni sulla competenza per valore o materia e per territorio interne al distretto.
3.2. - In secondo luogo occorrerebbe portare a compimento la trasformazione in atto dell'appello da gravame devolutivo
(sia pure non automatico) in mezzo di impugnazione con motivi
(rigidamente specifici sotto sanzione di inammissibilità) illimita ti quanto alle questioni di diritto e limitati al controllo della
congruità logica quanto alle questioni di fatto. 3.3. - In terzo luogo attribuire al ricorso per cassazione natu
ra di rimedio straordinario, cioè ancorare la definitività, il giu dicato formale con tutte le sue innumerevoli appendici, alla sen tenza d'appello. Cioè, una volta modificato l'art. Ili, 2° com
ma, Cost., ben possibile sarebbe il ricollegare alla sentenza
(*) Testo rivisto ed aggiornato dell'intervento svolto alla tavola ro tonda tenutasi a margine del seminario di studio su «La Cassazione civile tra legittimità e merito», organizzato a Frascati dal Consiglio su periore della magistratura il 23-25 ottobre 1997 e dedicato a Giuseppe Borrè.
Le idee accennate al paragrafo 3 sono la sintesi di quanto da me più ampiamente sostenuto in Note sulla struttura dell'appello civile e sui suoi riflessi sulla Cassazione, in Foro it., 1991, I, 107 ss., e Note sulla definitività dell'appello civile e sulle conseguenti possibili riforme del ricorso civile per cassazione, in Dir. e giur., 1992, 317 ss. (entrambi questi scritti sono pubblicati anche nel volume II giudizio di Cassazione nel sistema delle impugnazioni a cura di S. Mannuzzu e R. Sestini, Roma, ed. Tritone, 1992).
Il Foro Italiano — 1998.
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MONOGRAFIE E VARIETÀ
d'appello il prodursi di tutti gli effetti oggi ricollegati al giudi cato formale, quali, per indicarne solo alcuni esempi, l'irrile
vanza dello ius superveniens retroattivo, il venir meno della pre sunzione di non colpevolezza prevista dall'art. 27, 2° comma,
Cost., l'inizio di un nuovo periodo di prescrizione in civile o
il venir meno del decorso della prescrizione in penale.
VITTORIO DENTI
La dottrina italiana del processo civile tra Costituzione e riforme (*)
1. - L'Associazione italiana fra gli studiosi del processo civi
le, come tutti ricorderanno, fu costituita in occasione di un con
vegno, promosso da Piero Calamandrei a Firenze nel gennaio del 1947, convegno che aveva all'ordine del giorno, tra l'altro,
le modificazioni da apportare al codice di procedura civile. De
sidero ricordare anche il nome dei presenti alla riunione, oltre
a Calamandrei: Allorio, Andrioli, Carnacini, D'Onofrio, Fur
no, Garbagnati, Lancellotti, Liebman, Micheli, Minoli, Pavani
ni, Satta, Vocino. Edoardo Garbagnati, se gli fosse stato possi bile essere qui presente, avrebbe potuto darcene testimonianza
personale: consentitemi di inviare ad Andrioli ed a lui un devo
to ricordo ed un affettuoso saluto.
I partecipanti al convegno furono unanimi nel riconoscere l'im
possibilità di un ritorno al vecchio codice di procedura civile
del 1865 (orientamento che pure aveva i suoi sostenitori, so
prattutto nel campo dell'avvocatura) e nell'esprimere il proprio favore per il mantenimento in ogni controversia dell'istituto del
giudice istruttore. A chiusura del convegno, Piero Calamandrei
presentò una relazione sui lavori della sottocommissione della
Assemblea costituente incaricata di preparare gli articoli relativi
alla disciplina del potere giudiziario nella nuova Carta costitu
zionale. La discussione, come ebbe a riferire Furno dando noti
zia del convegno, si incentrò sul problema dell'autogoverno del
la magistratura, ossia della sua indipendenza dal potere esecuti
vo; problema del quale si individuò la soluzione in proposte che andavano dalla nomina dei magistrati per concorso alla crea
zione di un consiglio superiore della magistratura. Se queste furono le prospettive aperte all'attività della Asso
ciazione al momento della sua costituzione, va anzitutto rileva
to che la dottrina processualistica, rimasta sostanzialmente estra
nea sia alla elaborazione dei progetti Solmi del 1937 e 1939,
sia a quella del codice del 1940, recepì in modo acritico la nuo
va codificazione, ponendola alla base delle trattazioni manuali
stiche aventi finalità didattiche: da Redenti a Liebman, da Car nelutti a Satta e a Micheli. Anche il dibattito sulla monocratici
tà o collegialità del giudice in primo grado, ampiamente riferito
nella relazione Grandi al codice, a sostegno della soluzione com
promissoria del giudice istruttore, non venne ripreso adeguata mente dalla dottrina. Ricordo, invece, sul tema, in quegli anni,
scritti di magistrati, tra cui, nel 1961, quello di un grande giudi
ce come Bianchi d'Espinosa. D'altronde, di monocraticità e di
collegialità si discuteva come entità collegate alla dinamica del
processo e delle sue fasi, senza porre il problema della concreta
idoneità dei magistrati all'una piuttosto che all'altra funzione.
Credo non si possa negare che all'origine di questo disinteres
se fosse una certa limitatezza di orizzonti culturali. Da un lato,
infatti, la costruzione dei sistemi, cui si erano accinti i proces
sualisti tra le due guerre, era una operazione sostanzialmente
dogmatica che lasciava necessariamente fuori dal suo ambito
tutto ciò che non riguardava l'autonomia concettuale del diritto
processuale. Dall'altro lato, l'analisi dell'ordinamento giudizia
rio, quando pure veniva proposta, mancava totalmente della
prospettiva storica necessaria per la comprensione del ruolo del
la magistratura. Né va taciuto il difetto della prospettiva com
paratistica, che pure aveva avuto in anni lontani importanti con
tributi, come la «Introduzione allo studio della giustizia in In
ghilterra» di Vittorio Emilio Tiranti.
Sul piano normativo, dunque, le maglie larghe del codice pro cessuale del 1865, che avevano consentito la elaborazione della
sottile trama dei concetti chiovendiani e carneluttiani, erano state
sostituite dalla rigida struttura del nuovo codice, che proprio da quella concettualizzazione aveva tratto il suo carattere ac
centuatamente definitorio. D'altronde, nell'epoca che stiamo con
siderardo le nozioni base dei sistemi si erano andate affievolen
do, o avevano perduto la loro centralità, a cominciare da quelle di «azione» e di «lite». Quanto alla prima, aveva cominciato
Calamandrei a metterne in luce la relatività politico-istituzionale nel celebre scritto del 1959, mentre lo svolgimento posteriore delle dottrine processuali avrebbe spostato l'accento dal diritto
al potere di azione, finendo con lo scorgervi null'altro che l'ag
gregato dei poteri processuali di iniziativa spettanti alla parte nel giudizio. Quanto alla lite, restava solo lo sterile tentativo
di Carnelutti di sovrapporla, disegnando la trama delle sue Isti
tuzioni, al nuovo codice che l'aveva ripudiata. D'altronde, la
fine del «sistema» era stata riconosciuta dallo stesso Carnelutti,
nel celebre ammonimento «Torniamo al giudizio», nel quale sol
lecitava l'attenzione per i meccanismi, logici e valutativi, che
presiedono alla formazione della decisione, dalle prove alla mo
tivazione della sentenza.
2. - La svolta, tuttavia, si avrà soltanto a partire dagli anni
cinquanta, allorquando la dottrina processuale prenderà coscienza
della sovrapposizione al codice di principi normativi di rango su
periore e per loro natura difficilmente riconducibili a categorie concettuali rigide. Intendo riferirmi alla Carta costituzionale ed
alla elaborazione, a partire da quegli anni, delle garanzie costitu
zionali del processo, alla luce delle quali avveniva lentamente la
rifondazione dei suoi momenti centrali, dall'azione al giudicato. Nel contempo, si verificava, nel nostro come in altri ordina
menti, quel fenomeno di litigation explosion che ha alla sua ori
gine le profonde trasformazioni ecoomico-sociali del mondo con
temporaneo, ed essenzialmente: a) l'espansione dei nuovi diritti,
conseguenti allo sviluppo del welfare state; ti) il fatto che tali di
ritti, per la loro stessa natura, avevano il loro sbocco istituziona
le nel riconoscimento, da parte del giudice, degli effetti che al
loro esercizio erano ricollegati; c) l'emergere di una figura di utente
della giustizia prima sconosciuta, dal consumatore in senso lato
al cittadino destinatario dei servizi sociali, che portavano sulla
scena del processo la tutela di quelle situazioni che poi verranno
ricondotte alla categoria generale degli interessi diffusi.
È ovvio il rilievo che l'assetto costituzionale della giurisdizio
ne, come delineato dagli art. 101-113 Cost., era stato il prodot
to della cultura politico-giuridica degli uomini che ne erano sta
ti gli artefici. Alle origini di questa cultura stava il principio della separazione dei poteri e la funzione garantistica che veni
va assegnata alla magistratura dalla dottrina dello Stato di ma
trice liberale, propria della giuspubblicistica dell'Ottocento. E
poiché era diffuso il convincimento che tale funzione garantisti ca non fosse stata svolta dalla magistratura italiana principal mente per la insufficiente tutela giuridica della sua indipenden
za, si profilava l'affermazione, a livello costituzionale, dei due
principi cardine della indipendenza e dell'autogoverno della ma
gistratura. Tuttavia, nei politici che operarono in seno all'As
semblea costituente mancava una effettiva conoscenza storica
delle istituzioni liberali europee, ed in particolare di quelle for
me di amministrazione della giustizia che negli Stati europei di
più antica tradizione liberale avevano costituito il momento di
collegamento fra Stato e società civile, secondo gli ideali bor
ghesi. Ciò vale soprattutto per la giustizia «laica» su base eletti
va, che nella Costituzione ha trovato riconoscimento soltanto
per la giustizia minore (in una norma, peraltro, rimasta del tut
to inattuata), mentre in altri paesi europei copriva, e copre tut
tora, larghi settori di controversie, da quelle commerciali a quelle
di lavoro e delle locazioni. È sintomatico che in sede di assem
blea costituente neppure una parola fosse stata spesa per il ri
pristino della giurisdizione dei probiviri in materia di lavoro, soppressa dal fascismo con la istituzione dell'ordinamento
sindacale-corporativo, e che aveva svolto un ruolo creativo di
un certo rilievo agli albori della contrattazione collettiva.
(*) Testo dell'intervento all'incontro internazionale in occasione del
cinquantenario dell'Associazione italiana fra gli studiosi del processo
civile, tenutosi a Firenze il 27 settembre 1997. Il resoconto di Fumo
cui si fa riferimento può leggersi in Riv. dir. proc., 1997, I, 66.
Il Foro Italiano — 1998.
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