cassandra - giugno 2012

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Il Sarpi spaccia 'sti cosi.

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giugno 2012 2Editoriale

Last ShotsEd eccoci qua. Ultimo numero di Cassandra dell’anno e ultimo mio editoriale su questo giornale. Adesso dovrei , come uso, annoiarvi con un articolo intero su ciò che penso riguardo a questa scuola dopo cinque anni e blablabla. Tranquilli, è quello che farò. E tranquilli, nessuno vi obbliga a leggere. D’ altronde la carta è stampata è così: non c’è un confronto diretto scrittore-lettore, entrambi godono di un enorme potere. Il primo scrive tutto ciò che vuole senza che qualcuno lo interrompa o glielo impedisca, mentre il lettore può tranquillamente fottersene, girare pagina e continuare la propria vita come prima. Ma lasciamo stare i massimi sistemi e torniamo sulla terra.

Inutile dire che sono stati i cinque anni più intensi e divertenti della mia breve esistenza. La scuola non mi è mai pesata, l’ho sempre vissuta con serenità e senza mai studiare troppo, diciamo il giusto, a volte anche un po’ meno. Insomma , ammetto di essermela goduta. Ho ricevuto tanti stimoli che probabilmente altrove me li sarei sognati. Ho letto capolavori immensi e ho studiato autori e filosofi che mi hanno aiutato nello sviluppo di un mio pensiero personale, che hanno fatto crollare i principi su cui beatamente vivevo. Ho conosciuto persone che mi hanno ascoltato, sopportato e sostenuto. Ho scoperto che non è vero che tutti i Sarpini sono spocchiosi e dediti soltanto allo studio, anzi. I ricordi più belli? Son tanti, troppi. Tra tutti, i litigi, le risate e le amicizie costruite nell’ ultima fila, le discussioni col Campa, le seste ore del Sabato,le feste varie, la terrazza soleggiata e le spiegazioni di insegnanti come Santini, Sisana e Mangini.

Ma bando ai sentimentalismi, per quelli bastano i ringraziamenti sull’annuario. Vediamo di vedere anche cosa non ha funzionato e tuttora, secondo me, non funziona in questa scuola.

Anzitutto la concezione del voto: smettiamo (sia noi studenti che i professori) di pensare che il voto sia un giudizio sulla persona. Prendi un quattro? Ricevi, metabolizzi e poi riparti, senza tante manfrine. Non vuol dire che sei una nullità e che nella vita non otterrai nulla. Tu non vali quattro, piuttosto la tua prestazione vale quattro. Ho amici pluribocciati che sono riu- sciti ad ottenere dalla vita ciò che volevano e ho conosciuto secchia- te di secchioni stronzi come pochi, e viceversa.

E poi c’è l’annoso problema del nozionismo. “Altolocati, dei villani”. Non è insegnamento spiegare il libro, quello siamo capaci di farlo da soli. Non è insegnamento elen-care nomi, date e tioli, quello siamo capaci di studiarlo da soli. Quest’anno ho proprio fatto fatica a prepararmi per certi professori e più volte, lo ammetto, non l’ho fatto. A me non serve che tu mi riempia di nozioni per ore. Dovremmo invece riuscire a sviluppare un senso critico, con discussioni e dibattiti. Perdita di tempo? Per me no. Preferisco che un docente spieghi con passione e bene metà del programma previsto, con le giuste digressioni, piuttosto che un professore arrivi fino all’epoca contemporanea trattando gli argomenti frettolosamente e superficialmente, interrogando con il cro-nometro alla mano. Sono scelte, e poi io ora come ora ho solo il diploma di terza media, sono un ignorante qualunque. Giusto?

Mi permetto inoltre, dal basso della mia ignoranza e dal nonsodove della mia esperienza, un umilis-simo consiglio agli studenti che saranno il Sarpi negli anni futuri: vivete la scuola. Vivete attivamente la scuola. E ciò non significa studiare, prendere appunti e prendere appunti e studiare, altrimenti non imparerete l niente. Uscite dalle classi! Non limitate le vostre relazioni solo ai compagni di classe ma uscite. Impegnatevi nella vita d’istituto, nelle commissioni e nei ruoli di rappresentanza, che sia di

Portate il vostro contributo per

la crescita della scuola, per un

istituto migliore di come lo avete

trovato!

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classe, d’istituto o nella consulta provinciale. Portate il vostro contributo per la crescita della scuola, per un istituto migliore di come lo avete trovato! E’ inutile passare il tempo a lamentarsi su Facebo-ok e a piangersi addosso se poi vegetate nelle aule. Apritevi al mondo e mettevi in gioco, qualsiasi contributo fa bene!

Per quanto riguarda Cassandra, sono più che soddisfatto di come sia andata quest’anno. Come sa-pete non mi è mai interessata la forma del prodotto, che sia cartaceo, digitale o in formato audio, in bianco e nero o a colori, stampato qui o altrove. Piuttosto mi interessano i contenuti e il lavoro che ci sta dietro. Quest’anno abbiamo lavorato molto su questi due aspetti. I contenuti, cercando di ren-derli più interessanti e accessibili a tutti i lettori. Abbiamo dedicato molto spazio alla attualità e alla politica, come è giusto che sia, e alla narrativa, vista la numerosa redazione. E poi a ciò che ci sta dietro, ossia alla redazione, perché fosse aperta, vivace e propositiva. E’ così è stata. Abbiamo fatto del nostro meglio, il resto sta all’ arbitrio vostro, liberi di fare tutto, anche, ahimè, di leggere soltanto le ultime due pagine.

Ma se io avessi previsto tutto questo dati causa e pretesto e le attuali conclusioni?

Mi mancherete voi e mancherai tu Sarpi, nel bene come nel male.

Grazie a tutti e buona lettura!

Davide Rocchetti, III A

P.s. : As usual, mi permetto di suggerire qualche lettura, questa volta per l’estate. Oltre che tutta la bibliografia di Sepùlveda, a cui ultimamente ho dedicato più tempo che agli scout ( e ce ne vuole!), consiglio anche la lettura di Patria di Enrico Deaglio, un bel mattone sulla storia del nostro paese dal ’78 ad oggi, per parlare e votare coscientemente. Ah, non è da spiaggia, per quello ci sono già i vari Poirot e Miss Marple.

§

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SommarioSARPI- Intervista a Zappoli- So long, and thanks for all the fish- Un gran finale - Seconda prova: simulazione o ecatombe?

- Due righe- Cosa?- Come?- Perché?

Cultura- Anni ‘70: Seconda Puntata- The Iron Lady- Sacco e Vanzetti

- Ritorno alle origini - Campionamenti Non Statistici Di Colloqui In Terrazza

- Contraccezione

Narrativa- SarpIGNOBEL 2012: And the winner is...- Lettera di ringraziamenti alla scuola- Joseph The Bunny- Ipse Dixit

Terza Pagina

Attualita'

Sport- L’ultimo articolo della mia“carriera”

È stato un onore impaginare per quest’anno! Fencs tu oll! *Pepe*

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5 giugno 2012 Sarpi

Terza Pagina

È stato un onore impaginare per quest’anno! Fencs tu oll! *Pepe*

A: Nome, cognome e soprannome.Z: Stefano Zappoli detto Gomma.*A: Perché?!Z: Quando giocavo a basket ero così chiamato dai miei compagni di squadra.A: Gruppo musicale o cantante preferito?Z: Depeche Mode.A: È intonato?Z: No.A: No! Se no le facevamo cantare una canzone!Z: Penso di no.M: Se fosse intonato, che canzone ci canterebbe?Z: Bah... I Am You, Depeche Mode.A: Ha mai fumato?Z: No. Be’, qualche volta per sbaglio.A: Per sbaglio... Quindi, una canna?Z: No!A: È vero che l’idea del popolo del Manzoni deriva dal fatto che l’ha sentita dire “popolo bue”?Z: Di quale Manzoni? Del collega?A: No, lo scrittore![l’intervistato ride]Z: Dipende da a quale Manzoni ci riferiamo!A: Lo scrittore!Z: Lo scrittore, Alessandro, no, perché mi precede cro-no-lo-gi-ca-men-te. Il collega non lo so.

A: Meglio sarpini o mascheroniani?Z: Meglio sarpini.A: Crede negli alieni?Z: Alieni umani.A: Ma è scritto sul manuale?Z: Questo? [ride] Fine intervista?

A: No, macché. Chi è il suo eroe?Z: Il mio eroe? Cavour.A: Non Calogero?M: Non Benedetto Croce?Z: No, Cavour.A: Adesso sondiamo la sua autoironia: quanto ci impiega a pettinarsi al

mattino?Z: Un quarto d’ora.M: Potrei fare un commento cattivo ma non lo faccio perché sono registrata. E perché lei mi valuta.A: È vero che lei lavora per un mobilificio che le ha imposto di distruggere i cassetti del Sarpi per farne comprare di nuovi?Z: Lavoro segretamente per quel mobilificio, ma i cassetti non sono distrutti. Io svolgo un’azione pedagogica. Sui cassetti.M: Non pensa che la polemica sia il fondamento del progresso filosofico?Z: No, posso anche pensarlo, perché no? La polemica è utile sempre sul piano pedagogico.M: Da cosa dipende la scelta di When We Were Kings per il cineforum?Z: Dalla mia simpatia personale

per Muhammad Alì.M: Allora lei non è pugile?Z: No, però me lo suggerì un professore svizzero ai tempi del mio esilio svizzero, quando ho studiato un paio d’anni a Berna, era un mio professore che mi segnalò quel film. Lo andai a vedere, era allora in proiezione, e m’innamorai di Alì che già mi piaceva come pugile da quando ero ragazzo.M: La sua sordità è congenita o dipende da un avvenimento particolare?Z: Dallo sbattimento dei cassetti!A: Ultima domanda. Ci è giunta voce che salta la coda alle macchinette e commissiona acquisti di merendine agli studenti: sa che è illegale?Z: No, se gli studenti sono adeguatamente forniti di provvigione come accade regolarmente a loro insaputa. Quindi loro hanno delle provvigioni sui voti che li compensano del servigio prestato alla macchinetta.A: Le è piaciuta l’intervista?Z: Moltissimo. Uno staff giornalistico di prim’ordine.(*) per una migliore comprensione del testo invitiamo il lettore a leggere le risposte con accento bolognese.

A cura diMartina Astrid Rodda III C e

Arianna Piazzalunga II C

INTERVISTA AL PROF. ZAPPOLI

È vero che l’idea del popolo del Manzoni deriva dal fatto che

l’ha sentita dire “popolo bue”?

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giugno 2012 6Sarpi

Nella Guida Galattica per Autostoppisti (che, per chi non lo sapesse, è una “trilogia in cinque parti” comico-fantascientifica di Douglas Adams, nonché una lettura molto soddisfacente), si racconta la vicenda di un popolo alieno dalla tecnologia avanzatissima che decide un giorno di costruire un supercomputer che sia in grado di rispondere alla “domanda fondamentale sulla vita, l’universo e tutto quanto”. Passano anni prima che la macchina venga costruita, e svariati secoli perché la risposta venga elaborata. Quando, infine, i discendenti dei discendenti dei costruttori della macchina ricevono la risposta, scoprono che questa non è altro che un criptico “Quarantadue”. Alle loro proteste, il computer risponde, molto semplicemente: “Questa è la risposta. Ma voi sapete quale sia la domanda?”Quando sono entrata in questa scuola avevo, non dico tutte, ma diverse risposte. Sapevo perché avevo scelto il liceo classico, sapevo cosa avrei voluto fare “da grande”, sapevo cosa mi piacesse fare e quale genere di persone mi interessasse conoscere. Al terzo giorno di quarta ginnasio, il mio professore di latino e greco se ne saltò fuori con una frase del tipo: “Vi avranno chiesto già molte volte a cosa serve studiare le lingue morte. Si dice che non serva a niente. Ecco, questo ve lo posso dire subito: non serve a niente. Nel senso che non è utile, non si può

usare e non è servo di nessuno”. Probabilmente in quel momento una versione di me più piccola, più insicura e con gli occhiali rotondi iniziò a rendersi conto di avere a che fare con qualcosa di inaspettato. Con gli anni (ah, la voce dell’esperienza!), una cosa credo di averla capita: che le mie risposte non erano e non sono sbagliate, ma non corrispondono alle domande. O meglio, che le domande trascinano con sé un contesto immenso e imprevedibile che non è una semplice cornice, ma piuttosto costituisce il senso della domanda stessa. “Perché studi greco e latino?” “Per capire meglio la mia lingua, la mia cultura e il mondo che mi circonda.” Certo: ma non sapevo cosa significasse studiare greco e latino. A fronte di quello che conosco ora, la risposta è tremendamente inadeguata, come penso che chi legge potrà capire per esperienza. “Cosa vuoi fare nella vita?” O piuttosto, “cosa vuoi essere?” Non avrò mai abbastanza risposte, e soprattutto, non ne avrò mai una definitiva. Ogni domanda mi chiede di definire un contesto, di entrare in relazione con la realtà che mi circonda, per capirla e per decidere perché come e cosa fare di lei. E la mia definizione non sarà mai abbastanza, perché magari esiste una risposta definitiva sulla vita, l’universo e tutto quanto, ma una domanda definitiva no.In fondo, quello che ho capito è che preferisco avere domande

piuttosto che risposte. Perché, come direbbe Vitangelo Moscarda, “la vita non conclude. E non sa di nomi, la vita.” Definire quello che mi circonda, capirlo, filtrarlo attraverso il mio linguaggio e il mio pensiero (che mi appartengono e non possono appartenere a nessun altro) è mio compito necessario e autoimposto. Fare sì che questa definizione sia definitiva no, anzi. Sarebbe impossibile e deformante. Perché le cose non si limitano mai alla percezione che io ne ho, e se voglio arrivare ad avvicinarmi sempre di più alla domanda giusta dovrò continuare a pormene sempre di nuove.Lo stesso vale per le persone. Ogni persona che mi circonda pone una, tante domande. Qualcuna è più pressante, qualcuna mi si impone, qualcuna mi interessa e altre rinuncio ad ascoltarle per mancanza di tempo, di energie, di volontà. A nessuna di queste tocca a me dare una risposta. Le risposte sono gabbie, definizioni, sono qualcosa che con le persone non può avere a che fare. Tutto ciò che posso fare è continuare ad ascoltare le domande – talvolta, se mi è concesso, a formularne di nuove. E sperare che le persone che ho intorno non smettano mai di farmene, di comunicare con me. Perché, per chi non l’avesse capito, la domanda qui è segno di una comunicazione, di uno scambio.

So long, and thanks for all the fish

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7 giugno 2012 Sarpi

E poi capita di conoscere persone le cui domande sono più importanti di qualunque altra, più importanti anche delle mie, almeno quando mi ricordo di esistere al di fuori di me stessa. Allora, la possibilità di esistere al di fuori di me stessa diventa tutto ciò che desidero. Capisco che come dichiarazione d’affetto questa suoni particolarmente assurda, ma la possibilità di entrare in comunicazione con il resto del mondo è ciò che cerco sempre, ed è il motivo per cui ho scelto questa scuola e sceglierò di proseguire i miei studi e la mia vita lavorativa come progetto di fare. L’importante, come ho sentito dire qualche mese fa, è quello che si vuole essere. Tutto ciò che voglio essere è qualcosa che si mette in relazione col mondo. Qualcuno le cui domande abbiano un significato, e per cui abbiano un significato le domande degli altri.Alla fine, se questa è la risposta a “cosa ho ricavato da questi anni di scuola?”, allora posso dirmi soddisfatta. Posto che avrò naturalmente sbagliato a formulare la domanda.Lo ammetto, non ho parole poetiche o riflessioni commoventi per congedarmi da nessuno, tanto meno da questa scuola. Mi limiterò a ripetere: addio, e grazie per tutto il pesce.

Martina Astrid Rodda, III C

L’ultimo numero di Cassandra vuol dire solo una cosa: FINE. È finito un altro anno: per alcuni il primo, per altri l’ultimo. Per me, soltanto “un altro anno”. È finito l’ennesimo anno di ore sui libri e di settimane piene di verifiche; di corse pazze per acchiappare l’unoAcittàalta, di mattine grigie che si svegliano dai camini della città; di dita di rosa che sorgono all’alba e che ti ricordano che i tuoi problemi e le tue manie sono un nulla in confronto al respiro dell’universo; di silenziosi momenti passati ad occhi chiusi a pensare dove ti sta portando la tua vita, dove sta la tua felicità. È finito un anno dove la formula magica è stata “passerà” e quando la sentivi o la pensavi, non ci credevi. Che cosa passa? La tristezza, lo stress, l’insoddisfazione, la rabbia, la fatica? No. Passiamo noi, e la prima liceo è l’anno che più te lo fa capire. Dopo aver passato un anno a riempirti il cervello con pagine e pagine e a domandarti la differenza fra “nozione” e “formazione”; dopo aver maledetto più e più volte la tua stanchezza e la tua debolezza; dopo aver ripetuto per notti intere pantα reι, puoi dire di aver cominciato a prendere la vita come un flusso che è meglio farsi scorrere addosso piuttosto che dover ancora fare in salita. Ma qual è la cosa peggiore? È che mentre pedali non vuoi

sapere cosa c’è alla fine della salita: vuoi solo arrivare in cima, guardarti indietro e dire “è finita”. Ma ora che è finita per davvero, cosa resta? È inevitabile un esame di coscienza, una resa dei conti con sé stessi. Resta soltanto malinconia: nostalgia dell’infinito. La sensazione di stare davanti ad un oceano e non credere all’immensità; la consapevolezza di non saper più vivere con curiosità e di aver perso un po’ di passione per strada. Ma che cosa c’è che non va in questa scuola? C’è che uno studente vuole solo vedere la fine di quello che fa, perché farlo pesa troppo. C’è che una volta un professore mi ha detto “sono gli anni più belli che avete” e un altro ancora mi ha detto “rimpiangerai il liceo” ed io ho pensato “ma con che coraggio!!??”. C’è questo, in questa scuola, che non funziona: che, per quanto si possa odiare, è l’unica realtà della tua giovinezza, quindi non puoi fare a meno di amarla. Odiare questa scuola che assorbe ogni tuo istante, sarebbe come odiare la tua vita. Allora resta da fare solo una cosa: ammettere che è possibile essere felici anche qui. Qui, prova ad ammettere qui ed ora che puoi essere felice e che dopotutto superare una difficoltà dopo l’altra non significa invecchiare, ma crescere. Qui ed ora, anagε epι

Un gran finale

§

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giugno 2012 8Sarpi

seautoν kaι idε. Qui ed ora, ex te quaere utrum in macello an in castris vivere velis. Qui ed ora, immagina di essere adulto, o vecchio, e di camminare tra queste colonne, di vedere giovani che corrono e che sono uguali a come eri tu; immaginati quando dirai “lo rimpiango”. Ed ora che hai visualizzato il tuo futuro rammarico per non essere stato felice quando avevi tutte le possibilità di esserlo, sii felice e soddisfatto della tua vita, e termina quest’altro anno con un sorriso, forse l’unico dopo lunghi mesi: un gran finale.

Giulia Testa, I B

“Ammiro Diogene...” sentendo queste parole tutti noi ragazzi di terza pensiamo la stessa cosa: simulazione di seconda prova. Alcuni, molti, pensano “Maledetto sia Plutarco!!”. Come avviene ogni ultimo anno, le classi terze liceo si trovano ad affrontare una versione che figura come “simulazione di seconda prova d’esame”. Quest’anno, per chi non lo avesse già sentito o per chi non sapesse che Plutarco scriveva in lingua greca, alla maturità noi liceali dovremmo tradurre dal greco. Dopo la versione ho subito fatto il giro tra amici e conoscenti per sentire i pareri: “Impossibile.” “L’ho sbagliata tutta!!” “Non ci ho capito nulla”...vi risparmio le imprecazioni, sono facilmente intuibili. Dopodiché le voci e le leggende si sono diffuse a macchia d’olio tra le terze: “In 3D il professore ha sciolto e ricostruito una frase intera, la più difficile!!” “E’ colpa del tal professore che l’ha scelta, ecco perché era così difficile” “A noi hanno aggiunto una virgola, alla tal classe ne hanno aggiunte tre!!”. Dopo un po’ di tempo, a quanto mi risulta, i professori di greco si sono riuniti per stabilire i criteri di valutazione e stabilire una griglia uguale per tutti. A questo sono seguiti i risultati. Nella mia classe è stata una vera e propria ecatombe: tantissime insufficienze (di cui molte gravi) e le consuete eccellenze che hanno preso solo 6. Mi è subito nata la curiosità di sapere

come era andata nelle altre classi e così ho contattato i vari rappresentanti per farmi dare il numero delle sufficienze. Ecco a voi i dati: 3A (7 su 20, 35%), 3B (13 su 21, 62%), 3C (8 su 28, 28,5 %), 3D (16 su 22, 73%), 3F (10 su 21, 48%), 3I (9 su 25, 36%) I risultati sono molto disparati. Per alcuni è stata una semplice simulazione, per altri una vera ecatombe. È così, perché il voto conseguito nella prova figura anche sul registro. Forse, una vera e propria simulazione deve rimanere tale, starsene alla larga dal registro e soprattutto essere per il docente, e per gli studenti, non solo una prova di come sta svolgendo il proprio dovere, ma anche un imput per il piano di lavoro in vista della maturità. Molti docenti hanno detto:“alla maturità non sarà così difficile, sarà sicuramente più facile.”. Lo studente in un primo momento esala un sospiro di sollievo, ma poi pensa che il suo 4 stampato sul registro rimane comunque. Io non sono un docente, ma penso che una simulazione ha senso se è veramente tale, non se è un’ennesima espressione della compulsiva esagerazione didattica tipica della nostra scuola. Lorenzo Gaspani, III A

Seconda Prova, simulazione o ecatombe?

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9 giugno 2012 attualità

Sottotitolo: elogio della controproducenza.Se qualcuno di voi legge l’indice (ma cosa sto dicendo? L’indice si trova nella pagina diametralmente opposta agli Ipse Dixit, chi lo legge? Ricominciamo.)

Se qualcuno di voi avrà voglia di farci caso, noterà che gli articoli di attualità di questo mese non sono di attualità ma di metattualità. E voi direte: “bon, e io li leggo ancora meno, non mi sono mai piaciuti i neologismi.” Eh, ma insomma, che puristi che siete. Leggetevi il bollettino dell’Accademia della Crusca allora, scommetto che il Sarpi è abbonato e ha in archivio tutti i numeri.

Fondamentalmente: la commissione ha deciso che in conclusione avrebbe voluto riflettere su cosa, quando, come, chi e perché l’Attualità. Le 5 W del giornalismo applicate al giornalismo. Lo scoop sullo scoop, l’articolo sull’articolo, e, peggio del peggio, la presente introduzione: un articolo che parla di articoli che parlano di scrivere articoli. Meraviglioso.

Io dico che a questo punto, se non vi siete già fiondati a leggere gli articoli, o siete davvero degli sfaticati o avete paura degli specchi e della loro capacità di andare a fondo delle cose riflettendole all’infinito, allontanandole sempre di più in un gioco sconcertante di riverberi.

E se la verità fosse lì? Non ve lo siete mai chiesti?

Fate bene a non chiedervelo. E in effetti questa domanda funambolica altro senso non aveva se non consentirmi di scrivere almeno una volta in vita mia l’espressione “domanda funambolica” in un articolo di Cassandra.

Buona lettura, la vostra affezionatissima Dori

(Sara Moioli IIA, 18/11/1994, via Adelasio 22 24020 Ranica BG: dimenticavo che siete dei puristi, e ripudiate i nickname e gli inglesismi.)

DUE RIGHE CHE SAREBBERO FINALIZZATE A INDURVI A LEGGERE GLI ARTICOLI DELLA COMMISSIONE ATTUALITÀ DI QUESTO MESE, MA CHE INVECE VI INDURRANNO A SALTARLI APIEPPARI PIÙ DI QUANTO GIÀ LO FACCIATE

§

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giugno 2012 10Attualità

Che cos’è l’attualità. Una domanda che certo non si sbriga in poche righe. Meglio partire con ordine e con una fidata e sempre opportuna definizione del dizionario. “Attualità: qualità di ciò che è attuale”. In effetti è abbastanza logico fin qui. Ma la curiosità ci spinge a cercare anche la definizione di attuale. “Attuale: del tempo presente”. Verrebbe da dire “niente di nuovo sul fronte occidentale”. Se, però, la curiosità non ci ha già abbandonati e l’immenso sforzo di aprire il tomo di 1500 pagine non ha prosciugato le nostre energie quotidiane, possiamo notare nella riga successiva un secondo significato: “che ha valore ancora oggi”. Ecco, un nuovo punto di vista. Non più qui e ora, ma attraverso e sempre. Una semplice definizione di cinque parole ci permette di collegare e sovrapporre fatti, culture, correnti di pensiero, situazioni politiche, sociali ed economiche, guerre e tradizioni del passato con il presente. Per fare un esempio altamente stupido, proprio grazie al procedimento dell’attualizzazione possiamo chiamare troglodita quello che sta rumorosamente ingurgitando accanto a noi un hamburger del McDonald. Il piacere di attualizzare, infatti, trova la sua massima espressione in due delle maggiori aree tematiche che interessano il genere umano: la politica e la cultura. Andando, però, a confrontare elementi appartenenti a temi così

importanti e difficili, dobbiamo sempre tenere presente che attualizzare presuppone una dettagliata conoscenza delle categorie dei due termini di paragone: questo per evitare un insensato miscuglio di accostamenti improbabili e spiazzanti. Pur tuttavia, non dimenticando le dovute differenze tra i vari periodi che si vanno a confrontare, l’attualizzazione costituisce un arricchimento per il presente, che viene così guardato da più punti di vista e meglio approfondito in tutte le sue sfumature. Arriviamo, dunque, al nocciolo della questione: l’attualità è la parte attiva della cultura, perché, seguendo i telegiornali e informandoci su quello che ci circonda, costruiamo la nostra opinione e siamo così in grado di dare il nostro contributo culturale alla società. Giunti a questo punto, possiamo dire di aver risposto più o meno analiticamente alla domanda “che cos’è l’attualità”. Ma adesso ne sorge spontanea un’altra: “al Sarpi c’è attualità?”. I giornali girano poco, ce ne sono alcuni in sede, ma è raro avere tempo per leggerli, mentre in succursale ci sono solo le copie di Carla e Dianella; lasciamo stare i telegiornali perché non c’entrano molto; l’unico computer che possiamo usare è in biblioteca e a volte fa quello che vuole. Sostanzialmente il Sarpi è come una bolla. Si parla di attualità solo tra di noi, nemmeno con tutti e sempre in modo

soggettivo e parziale. Un utile strumento sarpino per sapere qualcosa di attualità sarebbe Cassandra, che però viene letto un po’ poco. Probabilmente anche questo nostro articolo passerà inosservato da molti. Ed è un male, perché vorremmo che qualcuno scrivesse e dicesse “non è vero, io leggo Cassandra!”. Infatti è a questo che dovrebbe servire, a dialogare. Noi di qua scriviamo le nostre opinioni e voi di là ci dite le vostre. Questo è fare cultura, questo è fare attualità, questo è far sì che il Sarpi non sia passivo.

Alice Montanini, II A e Micaela Brembilla, I C

Ah, manca ancora una cosa! Vi ricordate la definizione di “attuale” del buon vecchio dizionario? Ebbene, questa definizione è accompagnata da un esempio: “i classici sono attuali”. Alla luce di una tale affermazione siete tutti autorizzati a pensare che ne avreste benissimo fatto a meno. Sappiate che vi diamo ragione, dal momento che dopo cinque anni di greco e latino i classici più che “attuali” diventano noiosi e soprattutto fonti di immensi dispiaceri. Ciononostante pensiamo che talvolta sia incoraggiante sapere che quello che stiamo studiando non è così fuori dal mondo... E poi siamo sinceri: le battute dei sarpini possono capirle solo loro!

Cosa?

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11 giugno 2012 attualità

“Cosa mettiamo oggi in pri-ma pagina?” “Ma sì, un po’ di bambini stuprati, è un periodo che funzionano...” “I giornalisti, che vergogna!” Ecco riassunta, in poche, attualissime battute di Gaber, l’opinione di molti riguar-do al mestiere del giornalista, in particolar modo del giornalista di attualità, colui che dovreb-be, tramite sintetici articoli, raccontarci la realtà, dirci cosa succede ogni giorno nel mondo e nel Paese, immune da assurda spettacolarizzazione dei fatti avvenuti e memore del suo ruolo di “informatore” integerrimo. In-vece, purtroppo, siamo costretti ad assistere al degrado, sempre più evidente, della stampa. Un paradosso quello di Gaber, s’in-tende, perché oggi i volti dei mi-nori vengono schermati e i nomi celati, ma comunque figlia della “legge” non scritta del giornali-smo anglosassone (Tre S: sesso, sangue e soldi) che tanti proseliti ha fatto anche da noi.L’attualità che oggi conosciamo è, infatti, la descrizione accu-ratissima e macabra dell’ulti-mo fatto di sangue, una nuova ricostruzione farneticante di un delitto di vent’anni fa e il reso-conto sovraeccitato dell’ultimo scandalo politico. Questa è, dunque, attualità? L’attualità viene oggigiorno rappresentata dai mass-media, ovvero dai mezzi di comunica-zione di massa, che in quanto tali raggiungono ampi strati della popolazione. I media sono suddivisi in quelli tradiziona-li e in quelli nuovi. Nel primo

gruppo possiamo classificare la stampa, la radio, la televisione, il cinema; nel secondo internet ed i blog in particolare, come Facebook, Twitter e altri. Il mondo dell’informazione si basa su un sistema ramificato a livello globale di agenzie di stampa che presidiano i punti strategici del pianeta, ma escludono i paesi marginali che non risultano rappresentati. A livello locale, invece, i giornali, o meglio, i quotidiani utilizzano una più o meno sperimentata rete di corrispondenti che forniscono e sviluppano per le redazioni le notizie di prima mano. I poteri e i governi tentano di influenzare, se non di controllare la circola-zione delle notizie fermandole sul nascere oppure manipolando quelle più sgradite. Per questo il potere cerca di mantenere una certa influenza sulla stam-pa. Specializzati nell’arte della censura e della manipolazione sono i ben noti regimi dittatoria-li. Ma spesso volentieri non sono neppure immuni da questo feno-meno i leader democratici. Negli ultimi decenni, l’improvviso e prorompente sviluppo della rete ha cambiato -e sta cambiando- i tradizionali equilibri dell’infor-mazione. Nei focolai delle rivolte il passaparola dei blogger ha portato alla diffusione di notizie che altrimenti non sarebbero circolate. Il cinguettio dei Twit-ter ha messo a disposizione del pianeta la materia prima degli accadimenti, consentendo ai me-dia tradizionali di pescare diret-tamente in rete le informazioni e gli sviluppi dei fatti. E’ opinione

comune che i blogger abbiano giocato un ruolo decisivo nella primavera araba (dalla rivolta d’Egitto a quella libica passando per la Tunisia). Insomma pare che oggi l’attualità si riduca ad un piccolo schermo. Tuttavia non dobbiamo dimenticare che dietro alle notizie ci sono perso-ne che lavorano notte e giorno. Sono quindi loro che decidono come fare, cosa e come informa-re. Infatti scelgono quali notizie pubblicare e, diciamolo, anche quali nascondere. Questo in-fluenza enormemente l’opinione pubblica, che ne risulta appunto manipolata. Ad esempio. I mass-media assumono toni eclatanti per quanto riguarda i fatti di cronaca come i disastri ecolo-gici, i delitti … certo è giusto preoccuparsi per qualcosa che commuove la nostra sensibilità, se non fosse per lo scopo, appo-sitamente pensato, di distogliere l’attenzione dalla politica o dall’ economia o semplicemente per attirare la gente e le vendite. La logica del guadagno, insomma. Invece, ben diverso è il modo di fare attualità all’interno di que-sto giornalino scolastico. Noi, piccoli scrivani in erba, possia-mo esercitarci a scrivere (quasi) tutto quello che più ci piace.

Chiara Donadoni

e Sara Zanchi, IV D

Come?

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giugno 2012 12Attualità

Penso che per uno il quale, come il sottoscritto, pretende di scri-vere di Attualità, sia un dovere interrogarsi alla meno peggio sui motivi che lo spingono, ma-gari involontariamente, a farlo. Perché raccontare, commentare ed elaborare fatti e avvenimenti della realtà, vicina o lontana che sia? Cosa ci spinge a scriverne, condividendo con il pubblico (nel nostro caso i compagni di scuola) la nostra opinione o semplicemente informandoli di un dato reale?

Ebbene: scrivere è giudicare. Il pensiero scritto è di sua natura più elaborato ed implica ineso-rabilmente un approfondimento sul reale. Anche solo il semplice descrivere un dato è una presa di coscienza su quello che ci circonda. È un approfondimen-to, ovvero scavare nella realtà per comprenderne il significato e intravederne la natura più profonda. Chiunque scrive di attualità, anche limitandosi alla sua superficie, va incontro a un processo del genere: analizza e descrive un elemento “attuale”, ovvero riguardante la vita con-temporanea della società.

Perché, dunque, sentiamo il bisogno di fare questo “studio” sulla realtà? Perché quest’ultima ci provoca. La realtà stessa è in grado di provocare l’osservatore, di far intravedere una traccia di quella natura profonda e spesso misteriosa che la costitu-isce. Per questo anche i fatti, gli avvenimenti, gli eventi attuali ci

parlano, ci mettono in moto. A noi sta il compito di non restare indifferenti a questa provocazio-ne. Per questo scriviamo, perché scrivere è sintomo di vita. Perché raccontare vuol dire ascoltare, aprire la mente al reale e alla sua maestosa provocazione.

Credo che tutto ciò di impor-tante che c’è da dire sul “perché” sia qui. Ricordiamocene e non banalizziamo mai nulla. Perché banalizzare vuol dire abortire la provocazione.

Talora ci si aspetta di scoprire uno sbaglio di Natura, il punto morto del mondo, l'anello che non tiene, il filo da disbrogliare che final-mente ci metta nel mezzo di una verità.- Eugenio Montale “I limoni”

Pietro Raimondi, V F

Perché?

§

1972: “Se i critici vogliono un concept album, daremo loro la madre di tutti i concept album!” Con queste paro-le Ian Anderson, leader dei Jethro Tull, preannunciava “Thick As A Brick”, album composto da un’unica monumen-tale canzone (43 mi-nuti e 53 secondi), per parodiare il pro-gressive rock, con le sue lunghe, intermi-nabili suite; l’album tuttavia divenne una delle bandiere di quel genere. Il testo, sferzante, caustico e implacabile nella sua critica alla società inglese del tempo, fu attribuito a Gerald Bostock, bambino prodigio inventato per rendere ancora più gustosa la farsa.2012: “Hai sentito che Anderson ha fatto il seguito di TAAB?” A questa notizia, da droga-to di Jethro Tull e, più in generale, di progressive, ho avu-to un sobbalzo. Ci sono poche cose che ritengo intoccabili e TAAB è una di que-ste. “Anderson si è venduto a iTunes…” penso, leggendo che il nuovo album è stato diviso in 13 tracce per renderlo maggiormente frui-bile all’utente medio,

Anni

’70:

sec

onda

pun

tata

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13 giugno 2012CULTURA

rinunciando al blocco massiccio di musica (che questa volta dura 53 minuti), per quanto si tenti di mantenere il tutto il più unitario possibile. Sfiduciato, cerco in rete se è possibile trovare alme-no un assaggio e la comunità di YouTube non mi delude: già tre canali hanno caricato interamen-te il disco, ovviamente separa-to, come da scaletta. Prima di ascoltare, però, cerco una breve introduzione per darmi un’idea di cosa sia TAAB2. Anderson ha deciso di raccontare la vita di Gerald, sviluppan-do cinque possibili vie che egli avrebbe potuto percorrere in questi 40 anni, por-tandole tutte quante ad una conclusione comune: la solitudine. Anderson immagina che il proprio alter ego diventi un ban-chiere caduto in mise-ria con la crisi, o un senzatetto omoses-suale, un corista con complessi di superio-rità, un reduce della guerra in Afghanistan oppure “a most ordinary man”, un bottegaio che finisce a colle-zionare francobolli e a praticare “trainspotting” (l’hobby tanto preso in giro dai Monty Python). Comincio a interessarmi, il lato di critica sociale del disco sembra rimanere fondamentale. Rimango colpito dall’assenza di Martin Barre, chitarrista storico dei Jethro. L’interesse torna a calare.Ora sono pronto e l’ascolto può iniziare. Per 53 minuti collezio-no richiami continui ai temi mu-sicali del primo TAAB, ma anche atmosfere che mi ricollegano al

resto della produzione dei Tull. Insomma, l’idea musicale di base è quella di immergerci in un’at-mosfera anni 70. Arrivato alla fine non resisto all’ovvia tenta-zione di ascoltarmi il predeces-sore di questo album, che mi ha lasciato sollevato, è stato meno terribile di quanto mi aspettassi. Dopo quasi due ore di musi-ca arrivo alla conclusione che sarebbe meglio cambiare titolo al nuovo disco, perché lo carica di aspettative che non è in grado di assecondare e soprattutto spinge

l’ascoltatore a paragonare i due lavori. TAAB2 è ben scritto e ben suonato, anzi, TROPPO ben scritto e ben suonato. Sarà colpa di Steven Wilson, il puntigliosis-simo leader dei Porcupine Tree, che ha collaborato alla lavora-zione, o sarà colpa della matura-zione di Anderson, ma la qualità generale del disco è troppo alta! Quello che ritengo essere il pre-gio del primo TAAB è il suo es-sere sporco, esagerato, con temi ripetuti all’ossessione (per il puro scopo di arrivare a 44 minuti di musica!), testi volutamente crip-tici e a tratti insensati, il tutto

in linea con l’intento di sfottò verso il progressive. TAAB2 è totalmente diverso: le canzoni sono scritte con attenzione, i temi sono ripetuti quanto basta, forse per accattivarsi l’orecchio dell’ascoltatore medio, non più abituato ai barocchismi del prog. Il risultato finale è quello di un buon disco, con musiche ben suonate da musicisti capaci, con testi di critica diretti e chiari (per questo forse meno sferzanti, ma siamo nell’era del politically cor-

rect). In sottofondo rimane una sorta di strana nostalgia per gli anni ‘70, che forse ha spinto Anderson, su pressione di vari amici dei tempi che furono (Derek Shul-man, ex Gentle Giant, su tutti), a rielaborare Thick As A Brick. Questa nostalgia forse non è neanche consapevole, ma a mio parere è più che evidente, creando una versione fittizia e

“plastificata” di quelle atmosfere. E certamente non bastano i versi conclusivi dell’ultimo brano, identici a quelli conclusivi della vecchia suite, a rendere vera-mente sorelle queste due opere:

So you ride yourselves over the fieldsAnd you make all your animal dealsAnd your wise men don't know how it feels to be thick as a brick… (two)

Glauco Barboglio, II C

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giugno 2012 14cultura

“The iron lady” è un film inglese prodotto nel 2011 basato sulla biografia di Margaret Thatcher, il più famoso primo ministro donna del Regno Unito nel XX secolo. Il film comincia nel 2008 con un’anziana lady Thatcher che compra del latte in un negozio di Londra. Quella donna che nel secolo scorso venne definita “la lady di ferro” ora sembra quasi esule da un’altra era e combatte contro la demenza senile che l’ha attaccata con l’avanzare dell’età; non bisogna stupirsi dunque se Margaret parla con il marito Denis morto nel 2003. Ma un flashback ci porta indietro, nella sua giovinezza, al tempo in cui Margaret lavorava nel negozio di famiglia e ascoltava i discorsi politici del padre e al tempo in cui Denis le chiese di sposarla. Successivamente vengono presi in esame gli eventi storici e il mare della politica in cui la Thatcher si trovò a combattere e a lavorare: la vittoria alle isole Falkland, l’amicizia con Ronald Reagan, il boom economico, la linea politica conservatrice che le valse il suo soprannome. La struttura del film si presenta insomma confusa, ma ciò è stato deliberatamente cercato e voluto, perché l’intento è dimostrare come gli eventi passati rappresentino ancora una vivida memoria nel presente di Lady Thatcher. Forse organizzare la trama di un film sulla base del declino mentale di una persona può sembrare crudele, ma io invece penso che la parte migliore di questo film sia proprio la minuziosa cura e il profondo interesse dimostrati nel tentativo di descrivere la trama psicologica di un personaggio

storico. Necessariamente, nello spettatore vengono suscitate forti emozioni. Nonostante questo merito, tuttavia, il film ha ricevuto diverse critiche, innanzitutto da parte dei due figli Mark e Carol che lo hanno definito una “left-wing fantasy”. Un ‘altra critica è stata mossa contro la scelta di Meryl Streep, attrice americana, per il ruolo di una cittadina inglese. Per fortuna però sono state espresse anche critiche positive, che individuano tutta la portata emotiva del film e che riconoscono alla Streep la capacità di essersi adattata all’essenza personale del primo ministro.

La critica ha inoltre sostenuto che “The Iron Lady” è un film molto più politico di quanto ci si potesse aspettare dalle anticipazioni. Certamente non è politico nel senso che approva o condanna un partito o una ricetta di politica economica, anzi, in questi termini il giudizio è sospeso. E’ fortemente politico nel senso che narra di una leadership fondata sui principi contrapposti alle convenienze come bussola dell’azione politica. E’ un ritratto del thatcherismo di cui vengono presentati in modo obiettivo punti di forza e di debolezza, mescolando sapientemente lato pubblico e privato del leader. Un modello di leadership i cui pilastri sono moralità, fiducia

nell’individuo, e soprattutto fermezza sui principi. «We will stand on principle, or we will not stand at all» è forse la frase più emblematica del film e, aldilà della opinabilità della massima in sé, suona come un monito da adottare in ogni campo, in ogni tempo.

Eileen Power

“Staremo in piedi sui principi o

non staremo in piedi

affatto!”

THE IRON LADY

§

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15 giugno 2012CULTURA

3 aprile 1920. Dopo otto settima-ne di interrogatori e pestaggi, l’a-narchico italiano Andrea Salsedo precipita dal quattordicesimo piano del Park Row Building, a New York, dove si trovavano gli uffici dell’FBI. Il 5 maggio ven-gono arrestati altri due anarchici italiani: il calzolaio Nicola Sacco e il pesciven-dolo Bartolo-meo Vanzetti. I due sono sottoposti a tre giorni d’inter-rogatori e alla fine il procu-ratore Gunn Katzman li accusa di una rapina avve-nuta a South Baintree, un sobborgo di Boston, il 15 aprile, in cui erano stati assassinati due uomini, il cassiere della ditta e una guardia giurata. I due sono processati e, nonostante l’assenza di prove e la presenza di testimo-nianze a loro favorevoli, condan-nati a morte. In tutto il mondo nasce un movimento per liberare “Nick and Bart”, e un detenuto portoricano di nome Celestino Madeiros confessa il furto. No-nostante ciò, il 23 agosto 1927, a sette minuti di distanza l’uno dall’altro (prima Sacco e poi Vanzetti), i due vengono uccisi sulla sedia elettrica. Questa vi-cenda è raccontata nell’omonimo film del 1971, diretto da Giulia-no Montaldo con Gian Maria Volontè nei panni di Bartolomeo Vanzetti e Riccardo Cucciola in

quelli di Nicola Sacco. Il film sot-tolinea gli aspetti politici, sociali e umani della vicenda, attraverso una ricostruzione puntigliosa e coinvolgente dell’ambiente e del contesto storico in cui si sviluppa la vicenda, mostrando le motivazioni politiche della condanna e dando rilievo alla

vastità del movimento di libera-zione dei due anarchici. Il film procede alternando il tono del genere giudiziario a quello dell’o-pera di denuncia, e passando dal registro retorico a quello dram-matico. Ma il pubblico viene toccato nell’animo soprattutto dalle interpretazioni dei due attori protagonisti: un ottimo Volontè, che pronuncia i discorsi di Vanzetti mostrando la convin-zione nell’Ideale e la speranza in un futuro migliore che animano il pescivendolo piemontese, e un eccellente Cucciola, che illustra con commozione lo strazio vis-suto dal pugliese Sacco e colpisce lo spettatore allo stomaco con i suoi profondi silenzi (e per que-sta sua magistrale interpretazio-ne vinse il premio per la miglior interpretazione maschile a Can-

nes). Tra le innumerevoli scene toccanti presenti nel film, ne cito tre che, secondo la mia opinio-ne, catturano di più l’attenzione dello spettatore: l’incipit, in bianco e nero, in cui si alternano la defenestrazione di Salsedo (storia che assomiglia molto a quella nostrana del ferroviere Pi-

nelli Giuseppe, Milano 1969) e la retata della polizia contro un gruppo di italiani legati ai movimenti radicali di sinistra (la tragicità della sequenza è sottolineata dalla canzone The Ballad

of Sacco and Vanzetti di En-nio Morricone e Joan Baez); il discorso che Vanzetti rivolge ai giudici alla lettura della senten-za (sto soffrendo e pagando per colpe che ho effettivamente com-messo. Sto soffrendo e pagando perché sono anarchico, e io son anarchico; perché sono italiano, e io sono italiano), in cui viene raggiunto l’apice della denuncia; infine, l’esecuzione dei due anar-chici (ancora in bianco e nero) commentata fuori campo dalla lettera finale scritta da Sacco al figlio Dante, testamento spiritua-le per le giovani generazioni (...possono bruciare i nostri cor-pi, non possono distruggere le nostre idee. Esse rimangono per i giovani del futuro, per i giovani come te. Ricorda, figlio mio, la felicità dei giochi... non tenerla

SACCO E VANZETTI

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giugno 2012 o giù di lì 16sport

tutta per te... Cerca di compren-dere con umiltà il prossimo, aiuta il debole, aiuta quelli che piangono, aiuta il perseguita-to, l'oppresso: loro sono i tuoi migliori amici). Ovviamente non mancano alcune debolezze: per esempio, il film indugia un po’ troppo sul processo ca-dendo in qualche ripetizione; viene dato troppo poco spazio, a mio avviso, alle famiglie dei due protagonisti; inoltre il tono tende pericolosamente al me-lodrammatico. Ma questi sono difetti di scarsa importanza, e non danneggiano minimamente la bellezza dell’opera. Termino spiegando il motivo principale per cui consiglio vivamente la visione di questo film: lo con-siglio perché fa conoscere al pubblico due persone che hanno lottato e creduto in una Libertà autentica, una Libertà che non si limita ad essere uno spazio libero ma, anzi, implica una partecipazione attiva, parafra-sando Gaber, un mettersi in gioco, un vivere appieno la Vita, una Libertà che non può esistere in assenza di Eguaglianza tra gli individui. E questa Libertà altro non è se non la Natura Intima, lo stato originario dell’Essere Umano. Buona visione e buona riflessione.

Here's to you, Nicola and Bart Rest forever here in our hearts The last and final moment is yours That agony is your triumph (‘Here’s to you’ di Joan Baez)

Aronne Togni, II I

Siamo alla chiusura del sipario, per quanto mi riguarda.

Ho pensato a mille modi per concludere la mia biennale “carriera”, e ci sarebbero vari argomenti da trattare: la Juven-tus tornata campione d’Italia a pieno merito, il Napoli che le ha “rubato” con altrettanto merito la Coppa Italia e forse diventerà finalmente grande, il Chelsea di Di Matteo campione d’Euro-pa dopo una finale incredibile, emozionante, e il dramma spor-tivo di un’icona come Schwein-steiger che ha mandato sul palo (bravo Cech) il quinto rigore; ma alla fine più logico mi è parso trattare dell’evento, quello degli Europei di Polonia e Ucraina, che può e deve segnare l’ufficiale rinascita del calcio italiano nel panorama europeo e mondiale. Forse anche per un fattore sim-bolico, perché in questi due anni mi hanno attribuito varie “fedi” e pochi hanno capito che sono mi-lanista, forse perché a parlare di Juve rosico troppo; sicuramente perché il tifo nella Nazionale, in ogni sport, non si discute, e allora questo numero può essere rivolto a tutti, senza pretese di essere da tutti apprezzato.

Nella lista dei 30 preconvoca-ti dal C.T. Prandelli spiccano esclusioni pesanti in attacco, dove giocatori importanti come Matri, Pazzini e Osvaldo sono stati esclusi per dare spazio ai più freschi Borini e Destro; man-ca Marchetti tra i portieri, lui che era stato designato nel 2010 come vice Buffon; mancano, tra gli altri, giocatori come Aquilani, Cassani, Santon, giocatori cioè

che hanno alle spalle varie con-vocazioni già nell’era Prandelli. Per una volta, sono stati selezio-nati i giocatori più in forma e apparsi come migliori nel corso della stagione, senza guardare al nome o alla carriera dei singoli giocatori: ed ecco quindi spunta-re giocatori mai convocati come Marco Verratti, 19 anni, stella del Pescara in serie B, o giocatori con pochissime presenze, quali Cigarini e Schelotto, Giaccherini e Borini; ecco, soprattutto in at-tacco, che gli spenti Matri e Paz-zini lasciano spazio al già citato Borini e alla sorpresa Destro, at-taccante di fisico e qualità che ha mostrato grandi cose nel torneo appena concluso.

E nella lista dei 30, dai quali usciranno i 23 convocati ufficiali, elemento di novità caratteristi-co della gestione Prandelli è la presenza di molti giocatori di qualità e tecnica, da Giovinco e Balotelli a Di Natale e Diamanti: facile dunque attendersi un’Italia dal possesso palla e dall’alto tas-so qualitativo. Ma quali sono le nostre effettive speranze?

Prima di tutto, la nostra Sele-zione si costituirà sicuramente partendo da un nucleo solido, rodato e dalla buona esperienza, composto dagli juventini Buffon, Chiellini, Marchisio e Pirlo ma anche da giocatori sempre pre-senti nel progetto di Prandelli quali De Rossi e Maggio: da qui in poi, gli altri innesti saran-no sicuramente di alta qualità, dal momento che in attacco gli Azzurri può affidarsi a diverse

L’ultimo articolo della mia “carriera”

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17 giugno 2012 sportsoluzioni (tridente o trequarti-sta più due punte, sfruttando le caratteristiche dei vari Cassano, Balotelli, Di Natale, Giovinco e, perché no, Borini e Destro. Im-portante sarà trovare il finalizza-tore (facile pensare che sarà Di Natale), ma soprattutto quell’e-quilibrio tanto difficile da tro-vare quando si possiedono tante stelle, e quasi tutte con caratteri-stiche simili; e fondamentale sarà la solidità difensiva: è probabile che alla linea “bianconera” (Buf-fon, Chiellini, Bonucci e/o Bar-zagli) si aggiungano i terzini di spinta tanto apprezzati dal C.T., che saranno Abate o Maggio da una parte e Balzaretti o Criscito dall’altra, e speriamo che il muro eretto durante l’intera stagione regga ancora per questo mese. E nel centrocampo di qualità, è ne-cessario un sacrificio anche per recuperare i palloni: per questo compito giocatori come Thiago Motta, De Rossi e Marchisio sono ottimali, in aggiunta a loro Nocerino reduce dalla migliore stagione della carriera.

Esistono però due incognite non di poco conto: la prima riguarda la capacità di imporsi anche con-tro squadre abituate a fare la par-tita, e il debutto con la Spagna sarà importantissimo nell’ottica dell’intero Europeo soprattutto dal punto di vista psicologico; la seconda, invece, dipende dalla capacità dei singoli di affrontare questo torneo nel modo giusto: ricordiamo infatti i flop di Mon-tolivo (che non può più sbaglia-re, se riprenderà dall’infortunio e verrà confermato) e di molti dei giocatori convocati da Lippi due anni fa, e possiamo solo sperare che non si ripetano per giocatori come Giovinco e Balotelli.

Nel complesso però le basi per

un torneo importante ci sono, senza troppi voli pindarici è giu-sto che l’obiettivo, non espresso, sia il massimo (la finale), ma ciò che conta in effetti è risollevarsi dopo un quinquennio di disfatte che ha seguito il culmine della vittoria di Berlino nell’ormai lontanissimo 2006: speriamo di divertirci e di giocarcela alla pari con tutte (Spagna Olanda e Ger-mania, le tre favorite in ordine, prima di tutte), e quello che ver-rà sarà tutto guadagnato.

Mi permetto ancora un paio i righe per prender congedo da tutti voi che leggete, ma anche da tutti voi che avete partecipato alla creazione di Cassandra in ogni mese nei due anni in cui ci sono stato anche io e ovviamente anche prima. So che molti non leggono davvero Cassandra, ma io sono uno di quelli che a questo giornalino si è affeziona-to davvero, e credo che sia uno degli aspetti migliori della nostra scuola. Ringrazio dunque chi ha avuto la forza d’animo per leg-gere i miei articoli - e mi scuso per aver sempre parlato solo di calcio, ma è ciò di cui so parlare meno peggio- e ringrazio chi mi ha “permesso” di scrivere, il grande Rocche, Benedetta, il mitologico Pietro e tutti gli altri colleghi.

Cassandra mi mancherà, e le au-guro di conquistare finalmente la dignità che i suoi redattori han-no e mettono in gioco in ogni numero.

Buona Cassandra a tutti, sempre.

Luca Parimbelli, III I

P.S.: Pensa che figura di merda, se l’anno prossimo sarò ancora qui.

Me ne sono andata sbat-tendo la porta. Sapevo che sarebbe finita così. Neanche tre settimane dal funerale di papà, e già ho iniziato a litigare con mio fratello. Tren-totto anni passati a fare io da sorella maggiore, e ne ho quattro meno di lui. Salendo in mac-china, improvvisamente mi sono ricordata che non è la prima volta che vivevo questa scena. Quando avevo diciasset-te anni la migliore ami-ca se n’è andata, sbatten-do lei la porta. Il nostro primo litigio serio; il motivo, un ragazzo conteso, il suo ragazzo di cui mi ero malaugu-ratamente innamorata. Alla fine, sono terminati prima il mio litigio con lei, poi la mia storia con lui. In cinque anni di liceo me n’erano capitate tante, e sì che non avevo tanto tempo libero, con tutto quello che aveva-mo da studiare. Dove andare ora? Non avevo voglia di tornare a casa. Oltre a fiumi di verifi-che, litigio con l’amica del cuore risoltosi con una chiacchierata in ter-razza e primo bacio con il compagno di scuola di cui sopra, ho un altro flash adesso: la felicità con cui sono andata a scuola il giorno dopo aver preso la patente, morendo dalla voglia di dirlo a tutti. La salita non era mai stata così facile. Mi sono decisa, e ho svoltato verso Città

RITORNO A

LLE

ORIGIN

I

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giugno 2012 18narrativa

Alta. Dopo aver percorso in auto la strada fatta migliaia di volte in pullman, e aver constatato che non c’è nessun posto per parcheggiare, ho lasciato l’auto in divieto e mi sono cimentata, dopo anni, con la celeberrima salita. “Se non altro c’è una cosa che non mi manca per niente”, ho pensato lasciandomi cadere accanto alle colonne. Non c’e-ra nessuno. All’improvviso lo sguardo mi è caduto sulla mia borsa; sapevo che dentro c’era il mio bloc-notes che ormai mi portavo dentro ovunque, pro-babilmente per deformazione professionale. E mi sono ricor-data dell’ultima cosa. Mi sono ricordata che è stato al liceo che mi sono accorta che forse l’u-nica cosa che sapevo fare bene, e di sicuro l’unica che volevo fare, era scrivere. Che non avrei voluto fare l’attrice neanche se fossi stata dieci volte più bella, che non avrei voluto fare il fisico nucleare neanche se fossi stata dieci volte più intelligente. Che sentivo di essere nata per questo, e soprattutto sentivo che se non avessi fatto questo avrei convis-suto con il rimpianto per il resto della mia vita. Dal momento che poi ce l’avevo fatta, in quel momento ho sentito di avere un debito mai saldato con la mia scuola. Non che volessi fingere di amare l’essermi alzata alle sei di mattina per cinque anni, però… Però ho aperto la borsa, ho preso il bloc-notes e la biro. E ho incominciato a scrivere.

Marianna Tentori, V B

§Ci ritroviamo ancora noi due a lottare con un grande esercito di piumini che festeggiano la primavera di questo maggio in terrazza.

Ormai sono le 16.30. Gli altri Sarpini fanno altro altrove. So-stenevi di avere un comitato o similia (spesso dimentico la tua appartenenza all’èlite politica) e invece, adesso, mi rendo conto del tuo espediente e delle tue re-ali intenzioni. Io,tu e lo sbiadito arredamento esterno.

Mi racconti del tuo sogno di dare disposizione ultima alle panchine e di avvitarle al pa-vimento fino alla polvere. Po-sacenere, urgono posacenere. Contesto il fatto che usare sot-tovasi allo scopo sia davvero strabohémien, per quanto Rim-baud avesse ansie igieniste. Non è vero, provare (Verlaine) per credere.

E’ comunque molto bello parla-re di cose che modifichiamo al momento mentre tra i piumini si annidano –franchi tiratori- filtri ultra-slim. Mi folgori sempre più con la paranoia che tutto è suc-cesso, già, visto già. Anche noi due siamo accaduti da un’altra parte, nessuna richiesta di umil-tà né di originalità.

Conieremo catacresi* su misura e nomignoli in greco di ambiguo gusto. Allora scatto a parlarti che –scusa- a dirti che ieri mi sono esibita durante il tg di La7

nella lettura in lingua dei titoli dei quotidiani greci che parlano della crisi post-elettorale. Mi dici compiaciuto che proprio ieri hai visto un assurdo docu su NatGeo, una oscura popolazione amazzonica alle prese con un rogo autoestinto di “Pravda”**, dovuto essenzialmente alla loro poco sviluppata area del linguag-gio, tale per cui la scrittura è in-concepibile.

Mi confidi la tua spontanea feli-cità al pensiero che gli amazzoni siano non solo all’oscuro della crisi, ma anche della parola, che poi in fondo il concetto di crisi presuppone un precedente periodo positivo attestato stori-camente con una testimonianza certo più significativa dell’uomo di Cromagnon che disegna sui muri le tigri dai denti a sciabola cacciate la stagione precedente.

Concludi che anche noi, il no-stro incontro, la nostra storia, tutte le volte che mi hai suggeri-to all’orecchio andiamo di là in palestra, che preferisco e poi ci siamo baciati tutto ciò non è sto-ricamente attestato.

Mi fai dono delle tue allucina-zioni mentre estrai dall’Eastpak e sventoli la moleskine bleu con tua dedica in prima pagina su cui ho scritto di noi e di come questa scuola mi strappa davve-ro a fondo.

CAMPIONAMENTI NON STATISTICI

DI COLLOQUI IN TERRAZZA

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19 gnomo 2012 terza pagina

Estrai il tuo bic nero sovra-dimensionato e getti il mio quadernetto in fiamme in uno spiazzo tra le panche e al vento che spazza i piumini si oppone il fumo della carta extrafine e quel-lo che è stato perde le sue parole e si leva alto in alto in Città Alta.

-Quando mi baci non sei così cinico

- …

Note agli asterischi

• La catacresi indica la cristal-lizzazione di una figura retorica nel linguaggio comune. “Coniare catacresi” è a sua volta esempio di “coniare nomignoli”, entrambe catacresi.

• Pravda in Russo significa veri-tà.

Davide “Accio” Gritti, II A

§Sapessi il fresco pungente

che la primavera riserva

ai naufraghi dei temporali.

Sapessi la città nitida,

vivida di colori nuovi,

dettagli inattesi o riscoperti.

Sapessi le forze lievi

che muovono i rami,

il planar fragilissimi.

Sapessi i riflessi infiniti

che anelano in coro agli occhi,

che riempion di luce la luce.

Sapessi le ombre nel verde,

le voci dei cipressi lontani

e le estati passate insepolte

Ma non sai,

giacché non ti lasci sorprendere,

giacché hai curato la Vita

- un mese fa.

Per il più grave fardello,

lo stupore della gioia.

Pietro Raimondi, V F[www.unluogocomune.it]

Contraccezione

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giugno 2012 20terza pagina

Sul nobil esempio dell'insigne scuola anglosassonde di Harvard assumiamo l'ardito ed oneroso compito di insignire d'onorificenze gli illustrissimi Exempla Meritorum di cui siamo attorniati nel circolo sociale del Sarpi.

-Assegnamo il Pallone D'Oro a Cederico Fattaneo senza fornire ulteriori e superflue giustificazioni.

-In secondo luogo per ubicazione ma non quanto a valore tribuito è l'egualmente illustre Ignobel per La Letteratura E La Poesia che deponiamo ai pie-di dell'onnipotenza e della celeberrima delicatezza espressiva del professor Campanelli.Certamente ci rendiamo conto dell'audacia che si esplica nell'attribuire questo riconoscimento ad un letterato che nella visione corrente non vie-ne accettato come propriamente tale giacchè non scrive. Ma noi riteniamo anzi che la grandezza del suo verbo stia proprio nel rieccheggiare con immane potenza nell'eternità anche senza l'ausilio della scrittura.Lo eleggiamo dunque sommo aedo rapsodale dei nostri tempi dandogli senza indugio questo riconoscimento

-In primo luogo è doveroso tributare l'Ignobel Per La Comunicazione all'apparato di Segreteria per la comprovata celerità ed efficienza con cui elargisce generosamente le circolari tra gli studenti.

#Paulo minora canamus ,layouto quoque,ora in questa seconda sezione, giacchè ci accingiamo ad uno “Sparar clus” affrontando l’attribuzione di riconoscimenti la parva fama dei cui titolari li rende meno fruibili al vasto pubblico e di cui, per inciso non se ne fotte nessuno.#

-Al Glauchino gli diamo il nobel per l’ecologia. Egli ha infatti lottato per la salvaguardia della biodiversi-tà facendo delle frondose chiome del proprio capo la maggiore riserva italiana entomofila.

-A una siddetta Sara Latorre e una altrettanto insignificante sua collega dobbiamo sine ullo dubbio tributare l’Ignobel per la Pace a causa dell’impegno che hanno profuso nel sanare le ancestrali discrimi-nazioni e i conflitti tra Liceo e Ginnasio scrivendo un trattatello nella Cassandra passata per istruire i ginnasiali alla lotta per l’emancipazione sociale.

Filippo Alessandro Boukas, II C

sarpIGNOBEL 2012And The winner is....

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21 gnomo 2012 terza pagina

Sono ormai molti anni che vivo in stretta simbiosi con questo edificio classicheggiante dalla facciata a pronao tetrastilo avorio sotto il cielo azzurro di aria tersa e fredda appena scendo dall’Atb 1A Città Alta che per poco non ho perso perché era pieno di gente puzzona e asmatica che attendeva l’apertura delle porte come l’apertura dei blocchi di partenza di una corsa ippica o come i cancelli davanti al leone nell’arena o come le porte del negozio della Apple il giorno delle prevendite di un IPhone che poi romperanno scivolando lungo la balaustra delle scale perché così ha fatto mio cugino mentre scendeva veloce a comprare il sale così riusciva a tornare e vedere il secondo tempo della partita che poi è anche finita male che i fumogeni proprio non ti lasciavano vedere più niente che sembrava di essere in piena Pianura Padana in quelle giornate in cui non riesci nemmeno a metterti i calzini uguali perché tutto è grigio come in un film vecchio uno di quelli in cui l’eroe di turno con impermeabile e cappello bacia l’eroina di turno appena fuori da un night club con le luci al neon che tremolano

peggio di quelle lampade per uccidere gli insetti specialmente le zanzare che proprio le odio d’estate quando passo tutta la notte a grattare fino a togliermi la pelle a squame che neanche fossi un serpente della foresta amazzonica nel periodo della muta che lascia dietro tutta quella roba trasparente che sembra la Vinavil quando alle elementari e a volte ancora adesso me la mettevo sul dito per prendere l’impronta digitale e giocare agli investigatori come fanno vedere alla tele che la signora Fletcher prende sempre l’assassino e che poi alla fine salta fuori che quello era invece la vittima ma alla fine è sempre la stessa solfa con quei telefilm lì però la musichetta è davvero accattivante di quelle che poi anche sotto la doccia continui e non te la togli dalla testa che dopotutto io faccio il bagno non la doccia e poi cosa sto parlando a fare che sono ancora in seconda e mi manca ancora almeno un anno di Sarpi.

Letizia Capelli, II A

Lettera di ringraziamenti alla scuola

Volantariamente La commissione volontariato ringrazia tutti gli studenti che hanno contribuito alla raccolta fondi per i due progetti sostenuti quest'anno (Tuiye Mu Rwanda e la Fabbrica dei sogni). Un grazie, in particolare, ai membri della commissione Cassandra per averci donato una parte del ricavato dalla vendita delle sue magliette. I soldi raccolti (per un totale di ...) verranno devoluti all'associazione "Fabbrica dei sogni onlus", con sede nell'oratorio di San Giorgio in centro a Bergamo; da anni questo gruppo, che si occupa di bambini e adolescenti in condizioni di difficoltà, organizza attività di doposcuola, corsi di alfabetizza-zione, animazione di strada, laboratori di vario genere e sostegno psicologico alle famiglie interessate. Vi salutiamo e vi auguriamo buone vacanze, all'anno prossimo!

La commissione volontariato

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giugno 2012 22terza pagina

IPSE DIXIT VBElzi: profe devo dire una cosa sui segmenti.Pusi: silenzio Elzi! O ti ficco un segmento in un occhio!

Pusi: Galante!! Ma cosa fai in giro per la classe?? Il chierico vagante?!

Cola: profe, io ho fatto così.Pusi: è perché sei pazzo, Galante.

Pusi (parlando della verifica): ovviamente Elzi dovrai dotarti di…Galante: bastone?Pusi: no, quello io.

(Bailo scrive sul banco) Pusi: Bailo, deturpiamo gli arredi?

(Divi lancia un aereoplanino di carta)Pusi: Allora, Di Vita, lo vuoi mangiare? Tu tieni la bocca ap-erta e io te lo lancio.

Cola: prof ha visto che bravo oggi Galante? Non ha proferito verbo… Pusi: ma un sacco di sostantivi.

(Pizzi parla) Pusi: Pizzighini ti caccio a calci se non la smetti!

Colleoni: ma siete delle fogne.

Colleoni: ma non è che voi ne uccidete uno mentre dorme, altrimenti io aspetto che dorma mia suocera e poi… (si sfrega le mani)

*durante la lezione di religione* Colleoni: ma perché dovete cam-biare di posto?Ravi: perché siamo tutti fratelli!

IPSE DIXIT IIBManna legge un testo di Galileo durante la lezione di fisica.Manna: …due pietre, una più grave dell’altra, lasciate nel me-desimo istate cader da un’altezza

v.g. di 100 braccia… vi gi?Gian: Vostra Grazia!Manna: Ah certo… no cosa?!

Pusi: D’Alessandro, alla lavagna!Gian: no profe, no! Io non vengo più alla lavagna… io… glielo giuro!Pusi: Giuri?!

Gian applaude e continuando ad applaudire: Profe! Sa cos’è questo?Pusi: …Gian: Batman! *ride*Classe: …

Pusi: Manna, ti infilzo con un vettore!

Bonazzi: Qual è il soggetto?Mati: mhm… impia elementa?Bonazzi: Ah. Gli impia elementa hanno messo le gambe.Classe: …?Bonazzi: Era una battuta!

Allievi: Possiamo definire l’Enna un vulcano mancato.

IPSE DIXIT

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23 gnomo 2012 terza paginaBroggi: Chissà come si sente…Liuba: Sarà frustrato…Martinelli: Poverino, si tiene tutto dentro!

Miz: Profe, posso uccidere Manna?Pusi, preoccupata: No dai, non durante la mia ora!

Manna, rivolto alla Pusi: Dopo il consiglio di classe siamo arri-vati alla conclusione che lei non ci insegnerà più matematica e fisica, ma zoologia.Pusi: Zoologia? Ma non è la materia adatta a me, io odio gli animali!Broggi: Ecco perché ti odia, Manna!

Pusi: ...e per calcoare questo [Martinelli sta disturbando] usiamo una mannaia per Mar-tinelli…Broggi: … e una martinelliana per Manna.

Allievi: Gian! Un po’ di lena a cancellare quella lavagna!Gian: Scusi, ho bisogno di un po’ di tempo per attivarmi come lei profe, io vado a dieselAllievi: Però non hai il pilota automatico come meSilvy: Deve ancora farselo instal-lareGian: Giusto! Che programma usa lei, profe?Allievi: -.-‘

IPSE DIXIT IIA Omar: Adesso che mi sono tagliato i capelli sono un homus novus!Classe: HOMUS????Omar: Ah, già… sono ancora quello di prima.

Panuccio: (interrogando) Sai parlarmi delle Trachinie?Carlessi: No, non mi sono pi-aciute tanto…

Rossi: Prof, quanti animali ha ucciso per quella pelliccia?Pusi: E chissenefrega, sono morti!!! MUAHAHAH

Pusi: se uno non riesce a fare l’esercizio non è colpa sua, è solo tonto.

Cape: Doneresti un rene per avere un credito?Rossi: Perché? Si può?

Pusi: Bonfanti, stai facendo l’esercizio? No? Vuoi che ti ap-penda come una rana scorticata?

Gritti: Aristarco di Samotracia?Pusi: …o Aristarco di SamoBonfanti: … o Aristarco di Tracia

Carlessi: Smettiamola di sco-modare gli abitanti di Domodos-sola!!!Moioli: Ma domodossola è un animale!!!

Pusi: Va bene, Cosolì Moretti?

Pusi: Il primo quesito da porsi di fronte a un logaritmo è: perché Gritti non sta zitto?

Pusi: Avete capito?Schola: No, la prenderò come verità rivelata.

Pusi: Ricordo quando passammo dagli amanuensi al ciclostile…

Pusi: Purtroppo gli scritti di Aristarco sono andati perduti, così non ho potuto farvi le foto-copie

Bonfa: I cavi dell’elettricità elettrica

Bonfa: Gritti andato in bagno??? Ma era dall’86 che non ci an-dava!!!

Schola: (frugando di nascosto nella catella della Cape) Ma cos’hai nella cartella??? Io voglio prendere un Tic Tac, non una malattia infettiva!!!

(Ezzine legge la metrica)Panuc-cio: Ma cos’è questa roba???Ezzine: Mi sembrava abbastanza cantilenante

Carlessi: Questo segue la conse-cutio temporumPanuccio: No, non lo segueCarlessi: No, infatti, non lo segue…

Milesi: Caravaggio usava una specie di teatrino con… pipotti-ni non è il termine scientifico…

Moioli: Ma a cosa mi servirà mai saper calcolare il periodo di un pendolo???Schola: Se ti troverai rinchiusa in una stanza dove c’è solo un pen-dolo saprai cosa fare per passare il tempoCape: Sì, IMPICCARTI!

Rossi: non avevano tanto un grillo in testa, quanto un pachi-derma

(Bonfanti suona la chitarra durante la lezione) Pusi: Togni, non devi portare in classe una chitarra, sono oggetti pericolosi per Bonfanti!Carlessi: Potrebbe ingoiarla!!!

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La RedazioneDirettore Responsabile:Davide Rocchetti, III A

Impaginatore-Grafico:Pietro Raimondi, V F

Caporedattori:Arianna Piazzalunga, II C Sara Moioli, II AGlauco Barboglio, II CPietro Valsecchi, III FLuca Parimbelli, III ILetizia Capelli, II A

Commissione Togni:(copertine)Stefano Togni, II A (illustrazioni)Camilla Balbis, I I Chiara Piantanida, IV F

Vicedirettrice:Martina Astrid Rodda, III C

Segretaria:Benedetta Montanini, II A

SarpiAttualitàCulturaNarrativaSportTerza Pagina

Vignette(Joseph The Bunny):Michele Paludetti, V CFederico Lionetti, V C

Davide Gritti - II AAlice Montanini - II A

Benedetta Montanini - II A Sebastiano Rossi – II A

Benedetta Campoleoni - II BElena de Leo - II B

Stefano Martinelli - II BFilippo Alessandro Boukas -II C

Lorenzo Teli - II CIsabella Manenti – II C Alessandro Biella – II I

Andrea Calini - II I Lucia Cappelluzzo – II I

Sara Colombo – II IPaolo Sottocasa – I A

Giulia Testa – I BMicaela Brembilla - I CFederico Ghislotti – I C

Patrizia Locatelli – I CLaura Rigoni- I C Marta Cagnin - I DMarianna Tentori – V B Andrea Sabetta - V CLeopoldo Biffi – V CNuria Ghilardi – V CFederico Lionetti – V C Federica Sala - V E Pietro Raimondi - V FChiara Ceresoli – IV CChiara Donadoni – IV DGiulia Vitale – IV DSara Zanchi - IV DFederica Zonca - IV DElena Moreschi - IV FElena Occhino - IV F

Redattori

24 Giugno 2012