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Casorati, Autoritratto LORENZO BARBERIS "Tra Europa e Americhe": così recita il titolo della bella mostra della Fondazione Ferrero dedicata, quest'anno, a Felice Casorati, nome di primo piano dell'arte piemontese del '900, mostra che presenta una ampia selezione dell'artista, 65 opere illustrate dettagliatamente da un interessante video introduttivo e da raffinate schede dettagliate da ogni opere, a cura della critica Giorgina Bertolino che di Casorati è una delle massime curatrici. Una mostra che si fregia, quindi, del titolo legittimamente ambizioso di "mostra-museo", per la sua pretesa di esaustività in effetti quasi soddisfatta. Il vero slogan della mostra potrebbe però essere "Autoritratto di Casorati": un elemento su cui l'esposizione gioca molto, a partire dal risalto dato nel filmato, è il fatto che Casorati non abbia mai fatto un proprio autoritratto, affermazione che egli stesso riporta nell'intervista televisiva di fine anni '50 con un giovanissimo Emilio Fede. Affermazione che si presta perfettamente all'idea del grande artista italiano del ritratto modernista, per il paradosso che implica: lui che ritrasse magistralmente la borghesia del primo '900, non usò mai la sua arte su sé stesso. E così, la mostra, tramite i suoi stessi quadri, diviene un perfetto auto- ritratto dell'artista, e così via: un refrain ripreso anche dalla stampa nazionale. Sarebbe però interessante capire, però, perché a una semplice ancorché maliziosa google-search si rinvenga facilmente la citazione di diversi autoritratti dell'artista, a partire da quello di copertina del post, evidentemente giovanile per lo stile e l'aspetto (da qui). Ovviamente, nulla vieta che si tratti di

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Casorati, Autoritratto

LORENZO BARBERIS "Tra Europa e Americhe": così recita il titolo della bella mostra della Fondazione Ferrero dedicata, quest'anno, a Felice Casorati, nome di primo piano dell'arte piemontese del '900, mostra che presenta una ampia selezione dell'artista, 65 opere illustrate dettagliatamente da un interessante video introduttivo e da raffinate schede dettagliate da ogni opere, a cura della critica Giorgina Bertolino che di Casorati è una delle massime curatrici. Una mostra che si fregia, quindi, del titolo legittimamente ambizioso di "mostra-museo", per la sua pretesa di esaustività in effetti quasi soddisfatta. Il vero slogan della mostra potrebbe però essere "Autoritratto di Casorati": un elemento su cui l'esposizione gioca molto, a partire dal risalto dato nel filmato, è il fatto che Casorati non abbia mai fatto un proprio autoritratto, affermazione che egli stesso riporta nell'intervista televisiva di fine anni '50 con un giovanissimo Emilio Fede. Affermazione che si presta perfettamente all'idea del grande artista italiano del ritratto modernista, per il paradosso che implica: lui che ritrasse magistralmente la borghesia del primo '900, non usò mai la sua arte su sé stesso. E così, la mostra, tramite i suoi stessi quadri, diviene un perfetto auto-ritratto dell'artista, e così via: un refrain ripreso anche dalla stampa nazionale. Sarebbe però interessante capire, però, perché a una semplice ancorché maliziosa google-search si rinvenga facilmente la citazione di diversi autoritratti dell'artista, a partire da quello di copertina del post, evidentemente giovanile per lo stile e l'aspetto (da qui). Ovviamente, nulla vieta che si tratti di

fake creati online magari proprio per giocare su questo paradosso dell'artista; però non si può escludere nemmeno un vezzo di Casorati nel modificare la sua autobiografia estemporanea, per renderla più interessante. Non sarebbe il primo artista a farlo, naturalmente.

Ma vediamo dunque di ricostruire, comunque, questa affascinante figura che giganteggia nel '900 Italiano e piemontese. Nato nel 1883 a Novara, Casorati veniva di una famiglia di scienziati e matematici: un elemento, quello dell'esattezza geometrica dell'arte, che sarà poi insistito nella sua produzione. Il padre, pittore dilettante, è militare di carriera, e seguendolo con la famiglia nei vari spostamenti il giovane Felice, appena maggiorenne, inizia a dipingere nel 1902, giungendo nell'arco di soli cinque anni ai pregevoli risultati illustrati sopra. Il primo pezzo ammesso alla Biennale di Venezia del 1907 è il ritratto della sorella Elvira. L'autore nel filmato introduttivo ricorda con ironia che nemmeno lui riuscì ad ammirare il suo stesso dipinto, stipato com'era nella terza fila, la più alta, in una grande camerata di esordienti, e per giunta in posizione di angolo. Nonostante l'anonimato di questo esordio, l'opera si denota subito invece per la sua pregevolezza, come possiamo cogliere noi che, più di un secolo dopo, la possiamo ammirare in condizioni un po' meno disagevoli. Gobetti, che di Casorati ("O lo amavi o lo odiavi: io lo ho amato." dice di Gobetti l'artista) fu amico e primo recensore, ne sottolinea la pregevolezza delle velature, e quasi la

programmaticità di questo "ritratto velato".

Nel 1908 il trasferimento a Napoli è l'occasione per apprezzare Bruegel nella collezione museale della città, un riferimento che tornerà utile in seguito, nelle evoluzioni sempre più sintetiche della sua pittura. Per intanto, a Napoli nel 1910 ritrae queste vecchie donne popolane, in questo stile ancora ottocentesco ma che rivela già una padronanza dell'arte di altissimo livello.

Tornato a Verona nel 1911, qui realizzerà questo ritratto di fanciulla circondata da buone cose di pessimo gusto quasi gozzaniane (1912), altra opera presente in mostra.

Con l'inizio della guerra (1914) è reclutato, e durante il periodo bellico non dipinge nulla, eccetto "Giocattoli" (1915, non presente in mostra), pezzo che pare quasi risentire di un certo influsso dei metafisici (fra questi, era Savinio soprattutto a usare coloratissimi giocattoli nelle sue surreali composizioni). Le figurine di soldati insistentemente presenti nella scena paiono un riferimento alla situazione bellica, e la condizione di giocattoli nelle mani del destino pare una variazione sul tema del "si sta come d'autunno sugl'alberi le foglie", come diceva un altro grande italiano nello stesso periodo.

Giunto a Torino nel 1917, riprende la sua produzione artistica dopo un silenzio di quattro anni con questo Tirassegno (1919; questo invece di nuovo in mostra) che di nuovo fa mostra di una certa atmosfera metafisica (notiamo che in una piccola garritta verde aperta appaiono di nuovo dei soldatini, anch'essi oggetti del recente tiro-a-segno della grande guerra mondiale...).

Il salto di queste due opere è notevole. Poi, però, Casorati ritorna a forme più consuete rispetto a questo "salto in avanti", ma comunque ormai segnate dall'inquietudine del modernismo. "Le due sorelle" (1921) è una prima opera paradigmatica dove appare il tema del doppio, tramite la duplicazione in questo caso della figura femminile vestita e nuda, ma anche del libro aperto e chiuso, che è una delle varianti del titolo dell'opera. Non si tratta di un nudo seducente, ma di uno studio sul corpo e sul simbolo, e infatti le sue figure femminee saranno accusate dai detrattori di essere sgraziate, con piedi e mani troppo grossi, volti e corpi brutti, o comunque non adeguati a un canone di bellezza standardizzato dell'epoca. Nel 1921 Casorati apre anche una scuola di pittura per giovani pittori, antiaccademica, esperienza che sfocerà a fine della decade in una mostra. L'autore è ormai un riferimento della scena torinese del primo dopoguerra, e diverrà una delle voci più importanti del modernismo italiano, indebolito negli anni successivo dallo scarso apprezzamento da parte della retorica fascista, che preferirà la modernità più roboante di un futurismo addomesticato.

Nel 1922 aderisce alla Rivoluzione Liberale di Gobetti, che come detto scrive di lui nel 1923; il ritratto immaginario dell'inesistente "Silvana Cenni" (1922) è un po' il manifesto della sua riscoperta della perfezione geometrica di Piero della Francesca e della pittura matematica dei rinascimentali.

Altra opera-cardine è "Meriggio" (1923), che tramite il nudo richiama l'indolenza del primissimo pomeriggio, con la luce canicolare che addormenta i corpi, come anche nella coeva poesia di Montale (altro nome caro a Gobetti) "Meriggiare pallido e assorto". I corpi femminili sono di nuovo strumento per una perfezione geometrica, e non a caso la fanciulla di destra è disposta a ricordare, con ardimento quasi provocatorio, il Cristo del Mantegna, come avverrà di altri nudi femminili in questa disposizione iper-prospettica. Nel 1923, dopo l'arresto da parte dei fascisti di Gobetti (l'aggressione subita lo porterà alla morte), anche Casorati è arrestato e interrogato dalle milizie, ma senza conseguenze particolari. Deciderà così di distaccarsi dalla vita politica allontanandosi dagli ambienti antifascisti, e sarà così risparmiato da ulteriori persecuzioni.

"Concerto" (1924), invece, oggi alla sede RAI di Torino, rimanda ad un altro diffuso tema rinascimentale del concerto campestre, trattato da Sebastiano del Piombo ed altri. Il 1924 è l'anno della svolta non sotto il profilo del già avvenuto compimento artistico, ma sotto quello del riconoscimento: l'autorevole critico Lionello Venturi presenta la personale di Casorati alla Biennale di Venezia, che lo consacra definitivamente un riferimento del Modernismo.

Nel 1925 fonda con altri la Società di Belle Arti "Fontanesi" di Torino e collabora col collezionista Riccardo Gualino, che ritrae (lui e la famiglia) e per cui collabora alla realizzazione del teatrino privato della sua villa. Nel 1926 (mentre il fascismo approva le Leggi Fascistissime, che instaurano definitivamente il regime) Margherita Sarfatti include Casorati nella sua mostra sul Novecento Italiano, collegandolo alla fortunata definizione di "realismo magico" che verrà poi estesa, nel secondo dopoguerra, alla letteratura sudamericana. Un realismo che non si limita però alla traduzione pedestre del reale, ma che lo trasfigura in una lettura simbolica e, appunto, "magica".

Nel 1928 appare "Beethoven", il dipinto usato anche per identificare questa mostra albese. Torna, tramite lo specchio, il tema del doppio, mentre il riferimento a Beethoven può rimandare alla matematicità della musica classica e, quindi, all'armonia delle sfere che deve governare anche l'ars pittorica, testimoniata anche dal rigoroso intrico di piani.

Ancor più programmatica è questa lezione di matematica, sempre del 1928, in cui gli scolari ascoltano con aria devota la spiegazione di un ipotetico docente che li osserva dal punto di vista dello spettatore (e del pittore). I simboli geometrici delle sezioni del cerchio nel libro aperto, che ritornano anche sulla lavagna (immagine cara ai metafisici, ad esempio De Chirico ne "Il Veggente", del 1914), rimandano alla forma geometrica della realtà naturale, richiamata dal mappamondo.

Una corrispondenza perfetta, come quella evocata in era rinascimentale da un simile e più complesso simbolismo nel dipinto dei Due Ambasciatori (1533) di Holbein: il broccato che fa da sfondo alla scena è il medesimo, in pratica, del tavolo della lezione.

Tuttavia Casorati sembra contraddirsi, in quanto la Sphaera del mondo non è, nel suo caso, perfetta: i due continenti delle Americhe non appaiono uniti, ma divisi. Sembra quasi che l'autore voglia dirci che è il pittore/filosofo che costringe il mondo alla geometricità dei suoi quadri, non che la geometricità è di per sé struttura cosmica. Notiamo anche l'ambiguità della bacchetta posata sul tavolo, che è certo strumento di misurazione e di calcolo geometrico, ma anche strumento autoritario di punizione (e, non a caso, un bambino stende la mano, mentre una bambina la ritrae, e tutti i fanciulli appaiono piuttosto intimoriti dal pittore-filosofo-maestro).

Maestro, comunque, Casorati lo è ormai indiscutibilmente. Nel 1929 la mostra di "Casorati e i suoi allievi", a Torino, ne conferma tale ruolo, e vede formarsi il primo nucleo dei "Sei di Torino" (sei, come i bambini del quadro del '28 che abbiamo esaminato), che ne continueranno e diffonderanno le ricerche. Lo stesso anno pubblica questo suo "Susanna", una delle tante variazioni sul tema del pittore e della modella, spesso trattato col titolo di "Conversazione platonica" anche se sono i nudi che hanno

l'aspetto meno platonico fra tutti, ma gli unici in cui traspare un certo spirito malizioso, pur dietro il rigore delle geometrie.

Nel 1930 Casorati inoltre sposa una di queste sue allieve, Daphne Maugham, che studia con lui dal '26. L'influsso della sua arte su quello della consorte è evidente, come vediamo ad esempio in questo quadro di lei (non in mostra, ovviamente). Anche il figlio Francesco sarà apprezzato autore sulla scena torinese, distaccandosi però maggiormente dalla pittura paterna.

Gli anni '30 vedono il suo procedere verso l'astrazione, che spesso passa, come in Cezanne, tramite i rigorosi studi di nature morte. Spesso sono Limoni di sapore montaliano (gli Ossi di Seppia, gobettiani, erano usciti nel 1925), a volte uova care a Piero della Francesca, ma potenti sono anche queste Mele verdi (1932) che squillano in verde acido sullo sfondo rosa shocking.

Ma il tema prevalente continua ad essere quello del ritratto, soprattutto femminile, soprattutto nudo, a volte con concessioni più erotiche (forse anche per ragioni commerciali) rispetto ai nudi più algidi degli esordi. "Venere Bionda" (1933) è ancora molto classica, e viene avvicinata infatti da molti a certi nudi di Renoir, autore molto amato da Casorati, pur nelle differenti scelte stilistiche, che nell'ultima fase della sua carriera si era abbandonato a questi nudi botticelliani.

Di norma, però, nei ritratti femminili, nudi e vestiti, di questi anni '30 appare sempre più un piattismo astrattizzante che prepara gradualmente lo stile contornato che si imporrà nel secondo dopoguerra.

Daphne a Pavarolo (1934)

Ragazza di Pavarolo (1937)

Nudo con chitarra (1938)

Non è in mostra, invece, "Vocazione" (1939), un nudo che sarebbe stato interessante perché è uno dei pochi, di molti, in cui sembra trasparire un vago tema dissacrante, molto comune nel nudo ottocentesco, che si ammantava così di pruriginoso, elemento presente nel Casorati di alcuni nudi prospettici "alla Mantegna", come evidenziato invece correttamente nel dettagliatissimo apparato critico dell'esposizione. Si potrebbero fare ipotesi maliziose sulla prudenza di non esporre tale opera, ma forse è solo di difficile reperimento per altre ragioni.

Ci sono invece queste ragazze al mare del 1941; poi il salto al periodo postbellico è un po' brusco nelle opere, e si esaurisce subito con i lavori di inizio anni '50, mentre l'artista continuò ad operare fino alla morte nel 1963.

Il numero forzatamente limitato dei pezzi non evidenzia forse benissimo il passaggio dalle campiture piatte al contornato, che coincide col passaggio al secondo dopoguerra. Questa donna che legge del 1943 sembra già avere un accenno di delineamento in nero, ma si può ancora ritenere un accentuato effetto d'ombra.

Queste "Due donne" del 1944, nel tradizionale tema del doppio femmineo, presentano infatti tinte piatte ma ancora scontornate. In questo "Nudo Giallo" (1945) vediamo invece affermarsi molto chiaramente la linea di contorno, con effetto, grazie anche agli sgargianti colori primari, di tipo quasi fumettistico. Anche il naso, più che retaggio cubista, pare quasi fumettoso, fumetto franco-belga ci verrebbe da ipotizzare. Il tema è il solito rapporto pittore-modella, ampiamente indagato dall'autore.

In mostra c'è invece questa "Maternità" del 1947, in cui vediamo il perdurare della linea contornata su un tema, comunque, già ampiamente trattato dall'autore.

"Eclissi di Luna" (1949) è indubbiamente, di nuovo, un dipinto cardinale, in cui emerge la scelta verso il "piattismo contornato", associata al tema dell'astrolabio, del planisfero, che abbiamo già trovato negli Scolari del 1928, ampiamente analizzato.

Da qui in poi la documentazione della mostra si fa meno serrata; e se certo non si potevano avere tutti i dipinti, non sarebbe forse stato male qualche pannello di raccordo, a precisare meglio l'ultima fase dell'avventura casoratiana, che sembra quasi finire con la personale del 1952 alla Biennale di Venezia, col premio da parte della Presidenza della Repubblica.

La svolta verso l'astrazione procede con forza in dipinti successivi come Radiosera (1953-54), ad esempio, dedicato all'omonima trasmissione giornalistica, vista come fogli che si librano nell'etere stellato quali forme pure.

Un pezzo di storia è poi la Pubblicità per la FIAT 600 del 1956, che celebra l'Italia del Boom e, sullo sfondo, la città di Torino, che è colta nella nuova astrazione anche in un altro dipinto del periodo, per citare solo dipinti di indubbio interesse: prosegue anche infatti la produzione delle precedenti ricerche, con gran rilievo in specie della grafica.

Di grande interesse è, invece, nel 1959-1960, questo autoritratto (attestato qui). Siamo dopo, probabilmente, l'intervista con Emilio Fede, e forse proprio aver detto di non aver mai fatto un proprio autoritratto spinse Casorati a violare le sue stesse regole. Oppure, raffinatamente, l'autore non interpreta questo come autoritratto per la mise en abime che vede Casorati presente solo in un "quadro dentro il quadro", quindi in forma di natura morta, tra un florilegio di scartafacci. Resta il mistero del potenziale autoritratto giovanile, su cui sarebbe a questo punto interessante sapere di più.

Nel 1961, col centenario dell'Unità d'Italia, Casorati realizzerebbe un pannello celebrativo che esalta i corridori morti "per il progresso dell'automobilismo", con un ardore futuristico non privo di un certo retrogusto macabro (da qui).

E ancora nel 1962 troviamo le sue ragazze, ormai fortemente astrattizzate e grafiche, a un anno dalla scomparsa nel 1963, a ormai ottant'anni di età. Insomma, non sappiamo se davvero questa esposizione possa definirsi l'autoritratto di Casorati: perlomeno finché non saranno chiariti questi dubbi sulla sua reale o meno esistenza. Ma, indubbiamente, di Casorati è "lauto-ritratto", ovvero una succosa e preziosissima documentazione. Consigliamo vivamente a tutti, dunque, di andare a vederla, e dal canto nostro ci ripromettiamo di approfondire, se possibile, il problema, per capire se davvero il selfportrait casoratiano non esiste, o se, per una volta, anche Casorati, nell'intervista, "tira (a) caso". * FELICE CASORATI Collezioni e mostre tra Europa e Americhe Alba, Fondazione Piera, Pietro e Giovanni Ferrero 25 ottobre 2014 - 1 febbraio 2015 Mostra a cura di Giorgina Bertolino