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EuroStudium 3w luglio-dicembre 2019 121 A. Casalboni, Nobiltà di frontiera Nobiltà di frontiera nell’Abruzzo angioino tra XIII e XIV secolo. Due casi di studio: de Machilone e de Roio di Andrea Casalboni All’indomani della conquista del Regno da parte di Carlo d’Angiò, le consorterie nobiliari che abitavano nel territorio di frontiera si trovarono costrette ad aggiornare le loro strategie in un contesto decisamente mutato rispetto alla precedente epoca sveva, caratterizzato da nuove politiche di centralizzazione, un aumento della presenza regia attraverso la creazione di nuove capitanìe nella regione e la creazione di nuove universitates demaniali, fondate tra la seconda metà del XIII secolo e la prima metà del secolo successivo, nonché l’introduzione di elementi di origine franco-provenzale nelle strutture feudali 1 . Non sempre la nobiltà locale riuscì ad adattarsi: le vicende dei de Machilone e dei de Roio ci permettono di osservare gli andamenti emblematicamente divergenti delle fortune di due famiglie, che compirono scelte praticamente opposte nell’affrontare la nuova situazione. Le fonti in nostro possesso relativamente a queste consorterie nobiliari sono purtroppo assai limitate, e la ricostruzione delle loro vicende familiari è resa complicata dalla distruzione dell’Archivio della Cancelleria Angioina, avvenuta durante la Seconda guerra mondiale. I Registri della Cancelleria Angioina 2 , unitamente alle fonti e alle cronache aquilane e ai lavori degli eruditi del XVIII secolo (in particolare Anton Ludovico Antinori) costituiscono dunque le basi fondamentali per questo lavoro. 1 B. Pio, “Aspetti dell’evoluzione del possesso feudale in Abruzzo nella prima età angioina”, in B. Figliuolo, R. Di Meglio, A. Ambrosio (a cura di,) Ingenita Curiositas. Studi sull’Italia Medievale per Giovanni Vitolo, Laveglia Carlone, Battipaglia 2018, vol. 3, pp. 1345-1358. 2 I registri della cancelleria angioina ricostruiti da Riccardo Filangieri con la collaborazione degli archivisti napoletani, vol. 1-50, Accademia Pontaniana, Napoli 1950-2010, d’ora in avanti abbreviato in RCA.

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A. Casalboni, Nobiltà di frontiera

Nobiltà di frontiera nell’Abruzzo angioino tra XIII e XIV secolo. Due

casi di studio: de Machilone e de Roio di Andrea Casalboni

All’indomani della conquista del Regno da parte di Carlo d’Angiò, le consorterie

nobiliari che abitavano nel territorio di frontiera si trovarono costrette ad

aggiornare le loro strategie in un contesto decisamente mutato rispetto alla

precedente epoca sveva, caratterizzato da nuove politiche di centralizzazione, un

aumento della presenza regia attraverso la creazione di nuove capitanìe nella

regione e la creazione di nuove universitates demaniali, fondate tra la seconda

metà del XIII secolo e la prima metà del secolo successivo, nonché l’introduzione

di elementi di origine franco-provenzale nelle strutture feudali1. Non sempre la

nobiltà locale riuscì ad adattarsi: le vicende dei de Machilone e dei de Roio ci

permettono di osservare gli andamenti emblematicamente divergenti delle

fortune di due famiglie, che compirono scelte praticamente opposte

nell’affrontare la nuova situazione. Le fonti in nostro possesso relativamente a

queste consorterie nobiliari sono purtroppo assai limitate, e la ricostruzione delle

loro vicende familiari è resa complicata dalla distruzione dell’Archivio della

Cancelleria Angioina, avvenuta durante la Seconda guerra mondiale. I Registri

della Cancelleria Angioina2, unitamente alle fonti e alle cronache aquilane e ai

lavori degli eruditi del XVIII secolo (in particolare Anton Ludovico Antinori)

costituiscono dunque le basi fondamentali per questo lavoro.

1 B. Pio, “Aspetti dell’evoluzione del possesso feudale in Abruzzo nella prima età angioina”, in B.

Figliuolo, R. Di Meglio, A. Ambrosio (a cura di,) Ingenita Curiositas. Studi sull’Italia Medievale per

Giovanni Vitolo, Laveglia Carlone, Battipaglia 2018, vol. 3, pp. 1345-1358. 2 I registri della cancelleria angioina ricostruiti da Riccardo Filangieri con la collaborazione degli

archivisti napoletani, vol. 1-50, Accademia Pontaniana, Napoli 1950-2010, d’ora in avanti

abbreviato in RCA.

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Un quadro più completo può essere tracciato per i de Machilone: una

famiglia antica (risulta infatti menzionata nel Catalogus Baronum), la cui area di

influenza era situata a ridosso del confine, circostanza che ci permette di trovarla

menzionata anche in fonti esterne al Regno: i suoi esponenti entrarono infatti in

contatto con città del dominio pontificio come Rieti e Spoleto. La Cronaca aquilana

di Buccio di Ranallo, poi, ci fornisce ulteriori informazioni attraverso la

narrazione delle vicende relative alla distruzione del loro castello, circostanza che

ha contribuito ad attirare l’attenzione degli studiosi sulla famiglia.

I de Roio svilupparono il loro potere invece in una posizione più arretrata,

nei pressi dell’Aquila, e sono attestati per la prima volta solo in epoca angioina,

cosa che, come già spiegato, limita le informazioni in nostro possesso. Per

ricostruire le loro vicende dobbiamo pertanto affidarci, in aggiunta alle fonti fin

qui elencate, anche ai Repertori angioini, raccolte di appunti di studiosi sei-

settecenteschi che utilizzarono i Registri della Cancelleria Angioina: in

particolare le opere di Sicola, Borrelli, Chiarito e De Lellis, conservate presso

l’Archivio di Stato di Napoli e solo parzialmente pubblicate nei Registri

ricostruiti della Cancelleria Angioina. Questi repertori contengono informazioni

frammentarie e incomplete, ma sufficienti a permetterci di tracciare un quadro

delle vicende della famiglia de Roio a cavallo tra XIII e XIV secolo.

1. de Machilone

La consorteria dei de Machilone è ricordata per la prima volta nelle fonti all’interno

del Catalogus Baronum. La sua struttura familiare unitaria, con un castello

posseduto pro indiviso tra tutti i consorti, induce a sospettare un’origine

longobarda3. La consorteria era suffeudataria di Teodino de Collimento per il

castello di Machilone, del valore di sette militi4. Non era tuttavia posseduto

completamente dai de Machilone, in quanto una frazione dello stesso castello, per

il valore di un milite, era assegnata in suffeudo a Gentile di Berarduccio vassallo

di Berardo da Collimento, cugino di Teodino5. La consorteria disponeva anche,

3 T. Leggio, Il castello di Machilone e la fondazione di Posta. Lineamenti della storia, in 700 anni di Posta

Reale, Atti del Convegno di Studi tenutosi a Posta (RI) il 19 agosto 2000, Amministrazione

Comunale di Posta, Santa Rufina di Cittaducale 2001, pp. 33-44, p. 37. 4 E. Jamison (a cura di), Catalogus Baronum, Istituto Storico Italiano, Roma 1972, p. 237, n° 117.

Secondo le stime dell’erudito settecentesco Anton Ludovico Antinori, questa somma indicava che

il feudo era abitato da circa centosessanta famiglie (A.L. Antinori, Corografia storica degli Abruzzi

e dei luoghi circonvicini, ms. del XVIII sec., L’Aquila, Biblioteca Provinciale Salvatore Tommasi,

vol. 34/1, p. 11), ma la correlazione tra valore del feudo e numero di abitanti non è provata. 5 E. Jamison (a cura di), Catalogus baronum, cit., pp. 238-239, n° 1178. E. Cuozzo, Catalogus Baronum.

Commentario (Fonti per la storia d’Italia, 1012), Istituto Storico Italiano, Roma 1984, p. 349, n° 1178,

lo identifica come “uno dei signori del castello di Machilonis”.

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ma in servitium, ossia come assegnazione revocabile e gravata del pagamento di

una somma annua, di una parte della regione conosciuta come “Terra

Camponesca”6 che, insieme a una non meglio precisata frazione

dell’insediamento di Sculcula, valeva un milite, da fornire separatamente.

All’inizio del XIII secolo i de Machilone erano riusciti a ritagliarsi un nucleo

di potere compatto, che l’Antinori definisce una sorta di “piccolo Stato, un paese

composto di varie Terre sotto un solo Dominio”7, un’enclave autonoma tra il

contado reatino e quello amiternino. Nel 1216 la consorteria strinse una societas

con la città Spoleto per la durata di due anni8, rafforzando così il proprio potere

a livello locale. Tra i primi esponenti della consorteria conosciuti, che risalgono

proprio a quegli anni, troviamo Oddone de Machilone, chierico e tesoriere della

Camera Apostolica nel 1220 e ancora al servizio del pontefice alla fine del

decennio: nel 1229, “corrotto il castellano, recuperò la rocca di Bantra – oggi Rocca

D’Evandro nel Casertano – in nome del papa”9. Quando cominciò il conflitto tra

Federico II e il papato, la consorteria si schierò tuttavia al fianco dell’imperatore,

come testimonia la figura di Rainaldo de Machilone, che tra 1239 e 1240 fu il primo

podestà di Viterbo di nomina sveva e due mesi dopo ricopriva la carica di vicario

e capitano imperiale di Savona, mentre è attestato nel 1245 e nel 1246 come

podestà rispettivamente di Pisa e di Cremona10. La fedeltà sveva è confermata

ancora nel 1266, quando Rieti inviò ambasciatori alle principali famiglie nobiliari

stanziate ai confini del Regno per chiedere la sottomissione a Carlo d’Angiò, e il

5 marzo il “Capitaneo et Consilio Machiloni” rispondono ai messi reatini di non

poter soddisfare la richiesta in quanto “aliqui de Machilonensibus fuerint in

6 “Corrispondente all’attuale alta Valle del Velino e dell’Amatriciano”, secondo T. Leggio, Il

castello di Machilone, cit., p. 35. 7 A.L. Antinori, Corografia, cit., vol. 34/1, p. 8. 8 A. Sansi, Storia del Comune di Spoleto dal secolo XII al secolo XVII, vol. 1, P. Sgariglia, Foligno 1879,

pp. 41-42; T. Leggio, “Farfa, Rieti e Federico II”, in E. Menestò (a cura di), Esculum e Federico II.

L’imperatore e la città: per una rilettura dei percorsi della memoria, Centro italiano di studi sull'alto

Medioevo, Spoleto 1998, pp. 283-306: pp. 294-295. 9 T. Leggio, Il castello di Machilone, cit., p. 36. L’episodio è narrato in C.A. Garufi (a cura di), Ryccardi

de Sancto Germano Chronica, in L. A. Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, 7/2, N. Zanichelli,

Bologna 1938, p. 156. Il nome è annotato per quello stesso anno in A.L. Antinori, Corografia, cit.,

vol. 34/1, p. 4, sia pure con una storpiatura: “Nel 1229 si ha menzione di Oddone di Machibona

[sic]”. Oddone è attestato anche nel 1224 come clerico Albanensis episcopi: vedi Reg. Vat. 12, c. 246.

fol. 151. 10 N. Kamp, Istituzioni comunali di Viterbo nel Medioevo. I. Consoli, podestà, balivi e capitani nei secoli

XII e XIII, Agnesotti, Viterbo 1963, p. 79; M. L. Ceccarelli Lemut, M. Ronzani, “Il reclutamento dei

podestà a Pisa dall’inizio del XIII secolo alla metà del XIV”, in J.-C. Maire Vigueur (a cura di), I

podestà dell’Italia comunale. Parte I. Reclutamento e circolazione degli ufficiali forestieri (fine XII sec. –

metà XIV sec.), Istituto Storico Italiano per il Medio Evo ed Ecole Française de Rome, Roma 2000,

pp. 645-657: p. 649.

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Rengno ad servitium Regis Manfredi”, e devono pertanto attenderli prima di

deliberare11.

Con l’avvento angioino il quadro cambiò rapidamente, con ogni probabilità

in conseguenza di una riduzione del potere della consorteria a causa della sua

fedeltà agli svevi. Nel 1269, all’indomani della sconfitta di Corradino, abbiamo

infatti attestato Giraldus de Massilia, miles, capitaneus Machilonis12, segno forse di

un controllo militare da parte del sovrano13, forse (e le due ipotesi non si

escludono a vicenda) della presenza di una terra demaniale su una parte dei

territori che erano stati della consorteria, presumibilmente espropriati in seguito

alla conquista del Regno di Sicilia. Machilone sarà in ogni caso rapidamente

integrata nella frontiera angioina, il cui sistema di difesa prevedeva che il confine

fosse superabile solo attraverso valichi ben definiti. La riprova di questa

integrazione è che Machilone fornisce tra il 18 e il 23 luglio 1269 ben otto fanti ai

custodi delle strade e dei passi da Machilone a Rieti e da Montereale a Rocca di

Corno e Valle di Narni14 e altri due fanti ai custodi delle strade e dei passi da

Aquila a Machilone e Valle di Corno15, cosa che evidenzia anche come il castello

11 M. Michaeli, Memorie storiche della Città di Rieti e dei paesi circostanti dall’origine all’anno 1560, vol.

3, Tipografia Trinchi, Rieti 1898, pp. 118-122. V. anche M.T. Caciorgna, “Confini e giurisdizioni

tra Stato della Chiesa e Regno”, in E. Hubert (a cura di), Une région frontalière au Moyen Âge. Les

vallées du Turano et du Salto entre Sabine et Abruzzes, École française de Rome, Rome 2000, pp. 317-

318, e Leggio, Il castello di Machilone, cit., p. 37. 12 RCA, vol. 3, p. 14, n° 86; B. Mazzoleni (a cura di), Gli atti perduti della Cancelleria angioina

trasuntati da Carlo de Lellis, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, Roma 1939, vol. 1, p. 288, n.

56. Gerardo di Marsiglia fu nominato in seguito castellano di Corfù a partire dal marzo del 1272:

RCA, vol. 8, p. 120, n° 49; pp. 176-177, n° 445; v. anche C. Minieri Riccio, Cenni storici intorno i

grandi uffizii del Regno di Sicilia durante il regno di Carlo I. d’Angiò, Stabilimento tipografico

Partenopeo, Napoli 1872, p. 51. Nel 1275 è castellano di Nicastro: E. Sthamer, L. Penza, Le liste dei

castellani del Regno di Sicilia nel lascito di Eduard Sthamer, M. Congedo, Galatina 2002, p. 70. Ricoprì

a partire dal 1279 diversi incarichi che lo portarono da provisore delle navi a responsabile della

ristrutturazione e del rafforzamento dei castelli pugliesi, da maestro della marescallia a

viceammiraglio, ed è e tra i milites che firmano l’accordo tra Carlo I e il re d’Aragona nel 1283: v.

S. Morelli, Per conservare la pace: i Giustizieri del regno di Sicilia da Carlo I a Carlo II d’Angiò, Liguori,

Napoli 2012, pp. 216 e 292. 13 T. Leggio, Il castello di Machilone, cit., p. 37, in cui tuttavia la data della nomina di Gerardo di

Marsiglia è spostata al 1272. 14 RCA, vol. 6, p. 259, n° 1400. 15 RCA, vol. 6, p. 260, n° 1402. Con 8 fanti forniti ai custodi delle strade e dei passi da Machilone

a Rieti e 2 fanti forniti a quelli delle strade e dei passi da Aquila a Machilone e Valle di Corno,

Machilone offre in totale ben 10 fanti, risultando il centro che mette a disposizione più soldati,

mentre L’Aquila, che pure è ben più grossa, è seconda con 8.

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si trovasse a fare da collegamento tra il livello più esterno e quello più interno

della strategia angioina di difesa e di controllo del confine16.

Nei primi mesi del 1272 troviamo Pietro de Verberia17 capitaneum et vicarium

terrarum Machilonensium, mentre nel febbraio dello stesso anno la capitanìa è

presentata come composta dalle terre di Machilone e Monticelli18, e al fianco di

Pietro è menzionato anche Guelfo da Lucca, definito iudicatus e assessore.

Nell’agosto 1272 è invece Hennectus de Guerardo, valletto e familiare regio, a essere

detto “capitaneum et vicarium terre dominorum et hominum Machilonis et castri

Montiscollis [Monticelli]”19. La capitanìa, che era stata costituita nel 1269, è

attestata per l’ultima volta nell’ottobre del 127220, quando il Capitaneus Machiloni

et Monticelli riceve l’ordine di chiedere agli uomini di Machilone 12 once d’oro

per risarcire il cavallo perso a Lucera da Iacopo, figlio quondam militis Transerici

de Machilone, uno dei membri della consorteria, che aveva partecipato all’assedio

– non sappiamo tuttavia se da solo o con altri consorti. La presenza di un

esponente dei de Machilone all’assedio di Lucera è probabilmente il sintomo di un

avvicinamento tra la consorteria e i sovrani angioini. Tale eventualità pare

confermata dal sostegno che il 6 ottobre 127221 Carlo d’Angiò accordò ai de

Machilone in occasione della ribellione degli homines casalis Bordonis, loro vassalli

che, banditi dai loro signori, si erano rifugiati a L’Aquila, Amatrice, Arquata e

Montereale, dalle quali il sovrano diede ordine che fossero scacciati.

Nel 1279, Carlo d’Angiò convocò i feudatari abruzzesi a Sulmona perché si

presentassero al Giustiziere d’Abruzzo per dichiarare il valore dei beni in loro

possesso22, e in quell’occasione venne stilato un elenco dei membri della

16 Cfr. T. Leggio, Ad fines regni: Amatrice, la Montagna e le alte valli del Tronto, del Velino e dell’Aterno

dal X al XIII secolo, Edizioni Libreria Colacchi, L’Aquila 2011, p. 230: “Nel 1269-1270 al momento

della sospensione della carica di capitano generale, ripresa poi dal 1284, furono istituite almeno

tre capitanìe – Amatrice, Montereale e Machilone-Monticelli –, scaglionate in profondità lungo le

due principali vie di comunicazione della zona, le alte valli del Velino-Tronto e dell’Aterno,

mentre una quarta, L’Aquila, appena ricostruita dopo la distruzione manfrediana, era

maggiormente arretrata, con lo scopo abbastanza evidente di attuare un controllo più attento, ma

più discreto e di seconda fascia”. 17 RCA, vol. 8, p. 109, n° 99. 18 RCA, vol. 8, p. 141, n° 211. 19 RCA, vol. 8, pp. 109, 141, 157, nn° 99, 211, 335. 20 RCA, vol. 9, pp. 100-101, n° 106. 21 RCA, vol. 9, p. 99, n° 102. 22 Si trattava di un raduno per l’autodichiarazione al fine del calcolo dell’adoa (o adoha), ovvero

la tassa che i baroni potevano pagare anziché prendere parte al servizio militare. A.L. Antinori,

Raccolta di memorie istoriche delle tre province degli Abruzzi, vol. 3, Giuseppe Campo, Napoli 1782,

pp. 154-156, descrive la vicenda in questo modo: i feudatari “che avessero terre o beni feudali in

capite della Corte Regia, muniti d’armi e cavalli e cose opportune, decentemente con tutto il

servizio cui erano tenuti per dette terre e feudi”, erano chiamati a presentarsi davanti al

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consorteria. In tutto ventitré, erano rappresentati da Giovannone di Rainaldo e

Matteo di Tommaso, i quali riferirono che la consorteria possedeva pro indiviso il

castello di Machilone e disponeva di circa duecento vassalli. L’indagine compiuta

dagli ufficiali del sovrano concluse che per le proprie terre la consorteria doveva

al sovrano il servizio di due militi23. È passato oltre un secolo, ma lo scarto tra i

sette militi dovuti all’epoca del Catalogus Baronum e i soli due del 1279 è

abbastanza rilevante da far sospettare una notevole riduzione del potere e dei

beni della consorteria.

Con la morte di Carlo d’Angiò nel 1285 e l’interregno conseguente alla

prigionia di Carlo II, i de Machilone, le cui terre si trovavano al confine del Regno,

si trovarono costretti a pianificare e mettere in atto strategie per salvaguardare la

propria posizione. Il 21 marzo 128624 strinsero pertanto un accordo con il comune

di Rieti, stabilendo che il capitano o rettore della Terra Machilonese, nonché il

giudice e il notaio, potevano essere scelti tra i cittadini reatini, sia pure inserendo

una clausola che garantiva il rispetto dei diritti della Curia angioina25. I de

Machilone erano chiamati anche a inviare ogni anno a Rieti un palio, come segno

di sottomissione, in occasione della festa di S. Maria, che si teneva a settembre26;

la pena in caso di mancato rispetto dei patti era fissata a mille marchi d’argento.

A sottoscrivere l’accordo per conto di Machilone fu il nobilis vir Arcangelo domini

Muntialli, membro della consorteria fino ad allora sconosciuto e assente anche

dall’elenco dei feudatari relativo alla mostra di Sulmona del 127927. Nel

Giustiziere d’Abruzzo così che si potessero registrare “i nomi delle persone e delle terre e la

summa della tassa annuale, o sia del servizio, che erano tenuti a prestare al Re. Perciocché taluni

erano assenti, mandarono i loro Procuratori con cavalli, palafreni, giumenti e armi; e perciocché

di alcune terre erano molti i Signori, talora vennero alla mostra uno, o due di essi, e la fecero nel

proprio nome e in nome de’ loro consorti” – i de Machilone adottarono evidentemente quest’ultima

strategia. Sulla mostra di Sulmona del 1279 vedi anche B. Pio, Il governo delle province nelle scritture

dei giustizieri: considerazioni sul servizio militare di natura feudale nel regno di Carlo I d'Angiò, in «Studi

Medievali», serie 3, vol. 59 (2018), pp. 113-140, pp. 127-137. 23 T. Leggio, Il castello di Machilone, cit., p. 37. V. anche M. Zelli, Narnate: storia di un territorio di

frontiera tra Spoleto e Rieti dall'VIII al XIII secolo, L'Erma di Bretschneider, Roma 1997, p. 101. 24 Archivio di Stato di Rieti, fondo membranaceo, P-9/274. 25 T. Leggio, Ad fines regni, cit., pp. 239-240, nota 1309. Cfr. T. Leggio, Il castello di Machilone, cit., p.

38. 26 T. Leggio, “Il convento di S. Domenico nel paesaggio urbano di Rieti del primo medioevo”, in

AA. VV., La chiesa di San Domenico. Testimonianze d’arte, storia e fede, M. Rinaldi S. R. L., Rieti 1995,

pp. 45-78: p. 63; M.T., Caciorgna, Confini e giurisdizioni, cit., pp. 322-323. 27 I membri della consorteria elencati in quest’occasione sono Giovannone di Rainaldo e Matteo

di Tommaso, che rappresentano “Alebrandino domini Antonii, domino Bartholomeo Philippi,

Oguiczono domini Bartholomei, Odono domini Berardi, Andrea domini Gentilis, Matheo domini

Iohannis, Iacobo domini Ade, Raynono domini Bartholomei, Odone domini Aczulini, Thomasio

domini Berardi, Andrea Iacobi, Nofrio Iacobi, Thomasio Alonerii, Rofono domini Berardi, Petro

domini Gentilis, Francisco Codaldi, Berardo domini Transerici, Petro Pauli, Georgio Pauli,

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A. Casalboni, Nobiltà di frontiera

documento, Machilone è indicata con una terminologia poco chiara, che sembra

voler essere omnicomprensiva: si parla infatti di Civitate castrum universitate seu

conllegium seu conmunitatis. Non abbiamo notizia di cittadini reatini a Machilone

– le fonti sono tuttavia estremamente scarse – e pertanto non sappiamo se questo

trattato fu mai effettivamente applicato; se anche lo fu, certo non durò a lungo,

perché venne meno con il ritorno nel Regno di Carlo II.

L’ultimo scorcio del XIII secolo non ci fornisce molte altre informazioni su

Machilone e la sua consorteria nobiliare: sappiamo però che sul finire del

Duecento sulle terre stesse dei de Machilone cominciò a prendere forma una nuova

universitas chiamata Posta Reale, attestata il 26 marzo 129928 ma probabilmente

risalente almeno all’anno prima. Tale comunità era sorta in seguito alla richiesta

degli abitanti di alcuni insediamenti della regione, che avevano ottenuto

l’assenso di Carlo II d’Angiò, il quale, presumibilmente in perfetto accordo con i

richiedenti, aveva posto la condizione che il nuovo centro fosse parte del

demanio regio e pagasse le tasse direttamente al sovrano29. Pochi mesi dopo la

nascita di Posta Reale, l’esercito dell’Aquila pose sotto assedio il castello di

domino Machilono, domino Paulo consortibus eorum, pro terra Machilionensi” (Archivio di

Stato di Teramo, Fondo Delfico, busta 23, fascicolo 365, f. 1rv). Il documento è trascritto anche in

A.L. Antinori, Raccolta, pp. 154-156 e A.L. Antinori, Annali degli Abruzzi, facsimile del manoscritto

autografo inedito presso la Biblioteca Provinciale “Salvatore Tommasi” dell’Aquila, Forni,

Bologna 1971, vol. 8, pp. 389-390; in quest’ultimo tuttavia il documento è descritto come relativo

al 1213: si tratta però dello stesso testo, palesemente mal datato, come emerge chiaramente dal

confronto dei nomi dei consorti (cfr. T. Leggio, Il castello di Machilone, cit., p. 37 in nota). L’assenza

di Arcangelo domini Muntialli potrebbe spiegarsi con la sua minore età all’epoca della mostra di

Sulmona – risulta quantomeno anomalo, però, che non vi sia traccia di suo padre. Dal momento

che i due eventi distano tra loro solo sette anni, la circostanza si spiega solo con un errore o con

una incompletezza della trascrizione antinoriana. 28 E. Gentile, Le pergamene di Leonessa depositate nel R. Archivio di Stato di Napoli, Soc. Poligrafica F.

Salvati, Foligno 1915, pp. 28-30, n° 17. Il documento regestato dal Gentile è una copia del 3

gennaio 1374 di due diversi atti, datati 26 marzo e 26 aprile 1299. La copia è eseguita su richiesta

di Angeluccio Lozzi di Leonessa, camerario cittadino, con l’autorizzazione del sapiens vir dominus

Antonio Cole de Amelia iudex communis et terre Gonesse, alla presenza di testimoni, tutti leonessani.

All’epoca era in corso una controversia tra Leonessa e Posta circa il possesso del castello di

Santogna, che andava avanti da circa cinquant’anni (almeno a partire dal 1325) con risultati

alterni: è dunque possibile che il documento sia stato manipolato, ma la distruzione delle

pergamene di Leonessa, custodite insieme all’Archivio Angioino, non permette di risolvere il

dubbio. Il notaio che curò l’atto del 1299 era Andrea Magistri Gualterii publicus gonesse auctoritate

Regia notarius, che aveva già rogato un accordo con Cascia del 1289. L’inclusione di Santogna tra

le proprietà leonessane al momento di stabilire i confini tra Leonessa e Posta potrebbe essere

dipesa anche dal trasferimento degli abitanti di Santogna a Leonessa in seguito al terremoto del

1298, ma la notizia, riportata da M. C. Rossini, La Sabina e le città di nuova fondazione: il caso di

Leonessa, in L. Cassanelli (a cura di), Leonessa: storia e cultura di un centro di confine, La nuova Italia

Scientifica, Roma 1991, pp. 39-55: p. 43, non è confermata da altre fonti. 29 A.L. Antinori, Annali, cit., vol. 10, cc. 532-534; A.L. Antinori, Corografia, cit., vol. 37, pp. 374-375.

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Machilone e, a dispetto dell’ordine di Carlo II di ritirarsi30, lo espugnò il 1° agosto

129931, demolendolo poi completamente.

La tradizione storiografica attribuisce la distruzione di Machilone alla

gelosia aquilana, scatenata dall’edificazione di Posta in posizione tale da poter

controllare i traffici settentrionali della città32, che proprio per questa ragione

avrebbe attaccato i maggiori sostenitori dell’iniziativa. Si tratta tuttavia di una

spiegazione poco convincente: perché demolire Machilone e non la neonata

Posta, situata poco distante e certo meno difendibile del castello, che era per di

più sede di una consorteria nobiliare? E perché non attaccare anche Montereale,

centro urbano situato sulla stessa strada che conduce a Posta e ben più grande di

quest’ultima, che avrebbe dunque dovuto costituire una minaccia ben maggiore?

30 Regia Munificentia erga Aquilanam urbem variis privilegiis exornatam, manoscritto, L’Aquila 1639,

pp. 4-5, contiene il perdono regio che il sovrano elargì agli aquilani dopo la distruzione di

Machilone. La formulazione della descrizione degli eventi (“Sane licet diebus istis Universitas

hominum Civitatis Aquilae mandata nostra seu nostrorum Officialium ex parte nostri culminis

eis facta, quod ab obsidione Castri Macchiloni certo modo discenderent, temere inconsulteque

spernentes recedere inde noluerint, quinimo ad combustionem et dirutionem ipsius Castri

propria authoritate processerint”) induce T. Leggio, Il castello di Machilone, cit., p. 38, a supporre

che la spedizione fosse avvenuta per ordine del sovrano e dei suoi ufficiali, e che la decisione di

interrompere l’assedio fosse stata presa in seguito a un accordo tra i rappresentanti del sovrano

e la consorteria. 31 Buccio di Ranallo, Cronica, ed. C. De Matteis, Edizione del Galluzzo per la Fondazione Ezio

Franceschini, Firenze 2008, p. 61, stanze 195-196. 32 A.L. Antinori, Annali, cit., vol. 10/2, pp. 532-534: “Diede quella concessione di gran gelosia

all’Aquila. Benché tutti quei luoghi non fossero compresi nel suo contado, né in esso numerati

dal Re, pur nondimeno credettero pregiudicio quella nuova unione di ville a formare all’esempio

dell’Aquila un nuovo corpo di comunità a confini di suo territorio. Perché ben viddero che la

forza maggiore si faceva da Signori di Machilone, andò il Comune dell’Aquila contro di quel

Castello; avuto dal Re ordine di desistere, alcuni de Cittadini ostinati proseguirono nell’assedio”;

A. Clementi, La formazione del confine settentrionale del Regno di Sicilia al tempo dei primi Angioini, in

W. Capezzali (a cura di), Celestino V e i suoi tempi: realtà spirituale e realtà politica, atti del IV

Convegno storico internazionale, Arti Grafiche Aquilane, L’Aquila 1990, pp. 55-70: pp. 66-67:

“Questa posizione geografica giustifica quindi l’esplosione di gelosia degli Aquilani. Quale

valore avrebbe assunto la presenza di una città demaniale ai confini estremi del regno?

Indubbiamente quello della perdita della situazione privilegiata in cui la città si trovava, anche

in virtù della singolarità della posizione geografica. L’Aquila sarebbe divenuta in un certo senso

più interna al regno e nelle sue mosse (non bisogna dimenticare che fin dall’inizio l’Aquila giocò

le sue carte tra Papi e Svevi) sarebbe stata sempre condizionata dalla politica della nuova città”.

La stessa interpretazione si trova anche in R. Colapietra, Il ruolo di Posta nella storia dell’Aquila, in

700 anni di Posta Reale, cit., pp. 45-54, pp. 46-47; M. R. Berardi, Antrodoco: un castrum di confine tra

età sveva e angioina, Gangemi Editore, Roma 1995, p. 19. Diversamente l’Antinori, in Corografia,

cit., vol. 37, pp. 375: “Circa il 1300. Per l’avvenuta distruzione di Machilone fu edificata

all’Occidente di quello, e di là del fiume Velino, in somma dirimpetto alle Ruine ed al Colle d’esso

Machilone l’Apposta, e si vuole ciò avvenuto circa il detto anno”; ma Posta esiste, come abbiamo

visto, da prima della distruzione di Machilone.

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L’Aquila, per di più, si era impegnata personalmente per favorire l’edificazione

di Posta, facendo da garante presso il sovrano per la somma che i lapostani

avevano promesso di versare alla Curia regia in cambio dell’autorizzazione a

edificare il nuovo insediamento33. Il problema evidentemente non era la presenza

di un’universitas demaniale, bensì la consorteria nobiliare, i cui interessi

dovevano essere in contrasto con la politica aquilana. Non stupisce dunque che

gli abitanti dell’Aquila fossero ben contenti di pagare una salata multa a Carlo II

– più di tremila once d’oro – pur di rimuovere l’ostacolo.

La localizzazione strategica del castello ci è confermata dal fatto che nel 1301

L’Aquila spese altre mille once per acquistare il monte di Machilone dalla

consorteria34 con la clausola che non vi fosse mai più edificato niente, mentre i de

Machilone conservavano i loro diritti e possessi nel territorio circostante. Tale

accordo tra i cittadini aquilani e nobiles Castri Machiloni ottenne anche il

beneplacito regale: Carlo II confermò infatti il trattato il 29 agosto 130135, in

cambio dell’impegno aquilano a versare altre settecento once nelle casse regie36.

Inizialmente la rendita del monte di Machilone fu adoperata per garantire il

mantenimento di alcune donne machilonesi37 che dopo la distruzione del castello

erano state condotte a L’Aquila, dove erano andate ad abitare in un monastero,

istituito per l’occasione e dedicato a S. Tommaso38.

33 A.L. Antinori, Corografia, cit., vol. 37, p. 376: “Nel 1301. Avevano convenuto gli uomini della

Posta di pagare alla Corte per l’edificazione di quella Terra una certa quantità di denaro, della

quale restavano ancora debitori di trecento once d’oro colla cauzione della Città dell’Aquila,

quando essi avessero mancato nel termine stabilito, come avvenne talché la Città pagò ottocento

once, e per la restituzione mancata da quei della Terra in lungo dovette far costringere per via di

ricorso al Re nel detto anno”; A. Clementi, M. R. Berardi (a cura di), Regesto delle fonti archivistiche

degli Annali Antinoriani: vol. 3-17, Deputazione Abruzzese di Storia Patria, L’Aquila 1980, p. 40,

tratto da A.L. Antinori, Annali, cit., vol. 10/2, p. 581: “Il re ordina a Riccardo di Gambatesa,

capitano di Aquila e maestro dei passi d’Abruzzo, di costringere gli uomini della Posta a pagare

le ottocento ottanta once dovute da essi alla città dell’Aquila che le aveva per essi pagate alla

Corte alla quale erano dovute dall’università della Posta per l’edificazione della loro terra”. 34 A.L. Antinori, Annali, cit., vol. 10, p. 578; A.L. Antinori, Corografia, cit., vol. 34/1, p. 9. 35 Regia Munificentia, cit., pp. 5-6. 36 Regia Munificentia, cit., p. 9, del 7 novembre 1301. 37 A.L. Antinori, Annali, cit., vol. 10, p. 580. V. anche Cronaca Aquilana rimata di Buccio di Ranallo di

Popplito di Aquila, ed. V. De Bartholomaeis, in Fonti per la Storia d’Italia, n° 41, Istituto Storico

Italiano, Roma 1907, p. 44. Si trattava di donne di buona famiglia, stando alla descrizione che ne

fa Buccio in due occasioni, affermando che vinnero in povertate no sapendo guadangiare (Buccio di

Ranallo, Cronica, cit., p. 62, stanza 198) e che erano jentili donne, sì como se contone (Buccio di Ranallo,

Cronica, cit., p. 63, stanza 199). 38 Descritto dal Catalogus Pontificum Aquilanorum ab anno 1254 ad 1472 in L. A. Muratori,

Antiquitates Italicae Medii Aevi, ed. anast. Forni, Bologna 1965, vol. 6, coll. 927-975: col. 959 come

situato “retro ecclesiam fratrum minorum alias vocatum Monasterium de Macchilone situm in

civitate Aquile”. L. A. Muratori, Antiquitates Italicae Medii Aevi, cit., vol. 6, p. 570, nota 45, specifica

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Dopo la distruzione del castello e l’acquisto del monte da parte degli

aquilani, alcuni abitanti di Machilone si trasferirono in città39, altri si spostarono

altrove40, e non abbiamo informazioni certe su dove andò a vivere la consorteria.

La presenza di un locale41 machilonese a L’Aquila risulta attestata soltanto negli

anni Cinquanta del XIV secolo42, nel quarto di S. Giovanni ma in prossimità del

locale di S. Vittorino (che afferisce invece al quarto di S. Pietro), quindi nell’area

cittadina più legata all’antica nobiltà amiternina, e in particolare alla consorteria

dei Camponeschi43.

che non si tratta della chiesa di S. Tomaso, Commenda Gerosolimitana, bensì di un’altra chiesa.

Cfr. R. Colapietra, Cultura e società all’Aquila tra angioini e spagnoli, Sicania, Messina 1993, pp. 43-

46, che afferma che il monastero sorgeva nei pressi della Cattedrale. Il monastero ricevette nel

1300 un lascito dal cardinale Tommaso d’Ocre, dove le monache sono denominate “di Machilona,

senza altro aggiunto” (A.L. Antinori, Corografia, cit., vol. 34/1, pp. 8-9). 39 A. Clementi, M. R. Berardi (a cura di), Regesto delle fonti archivistiche, cit., p. 15, attesta una

controversia tra il vescovo e il capitolo della cattedrale, da una parte, e le parrocchie di San

Vittorino e di S. Maria de Civitate, dall’altra: il vescovo e il capitolo richiedevano “che gli uomini

di Machilone diruto, venuti ad abitare in Aquila nei locali delle due chiese, siano parrocchiani

della Cattedrale in quanto forestieri”. V. anche Ivi, p. 239: “Angelica moglie di Jacopuccio di Paolo

di Gerardo di Machilone compera case nel locale di S. Vittorino” con istrumento rogato il 7 ottobre

1314 in Aquila, dal notaio Giovanni di Gentile di don Pietro di S. Vittorino. Non sappiamo invece

dove abitasse Lalle di Filippo di Machilone, che A.L. Antinori, Corografia, cit., vol. 34/1, p. 4,

riporta come nominato in alcuni contratti fin dal 1301. 40 Abbiamo attestazione ad esempio del dompnus Nicola notarius Pacis quondam de Macchilonis tra

i testimoni di una revoca di terre date in beneficio, in feudo o in uso dalla chiesa reatina, rogata a

Rieti il 16 dicembre 1313 (Archivio Diocesano di Rieti, fondo Archivio Capitolare di Rieti,

Armadio IV, fascicolo O, n° 6, pezzo 291) e di una Gentilina di Machilone “che aveva trasferita la

sua residenza in Paterno, e quivi edificato Monistero” (A.L. Antinori, Corografia, cit., vol. 34/1, p.

10), dal quale nel 1327 si spostò presso quello cistercense di S. Maria Maddalena di Chieti. 41 Ovvero di una frazione interna alla città: L’Aquila fin dalla sua ricostruzione si ripartì infatti in

settori corrispondenti agli insediamenti che avevano partecipato alla fondazione della stessa, e

tale pratica fu seguita anche dagli insediamenti annessi in seguito. 42 Un atto di vendita del 27 aprile 1354 annovera tra i testimoni “Iohannes Offreductii de

Machilono de Aquila”, cittadino aquilano (Archivio di Stato dell’Aquila, fondo Famiglia Rivera,

secondo versamento, n° 538/R), mentre A.L. Antinori, Corografia, cit., vol. 34/1, p. 6, riferisce che

nel 1365 “aveva Machilone il suo locale nell’Aquila presso il locale di S. Vittorino; e Buccio di

Paolo di Machilone contrasse per l’ipoteca d’una casa in questo secondo”. 43 I legami tra i Camponeschi e i de Machilone sono poco chiari, e secondo alcuni studiosi i de

Machilone potrebbero essere uno dei rami della consorteria dei Camponeschi. Sono presenti

diversi indizi di un certo interesse: l’esistenza a pochi chilometri da Posta, e quindi da dove si

trovava il castello dei de Machilone, di un luogo chiamato Villa annoverato tra le comunità

fondatrici di Posta, che al giorno d’oggi è denominato “Villa Camponesca”; la scelta dei primi

machilonesi inurbati a L’Aquila di stabilirsi a S. Vittorino, locale indubbiamente legato ai

Camponeschi; la presenza dei “sapientes nobiles et discreti viri Sir Matheucium domini Mathie

et Iandoctum Aduardi de Canponiscis de Aquila” come procuratori delle monache del monastero

di S. Felice di Posta, che si definiscono tutte de Machilonis e che il 5 ottobre 1343 chiedono al

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Nel corso della prima metà del XIV secolo abbiamo notizia di numerosi

problemi tra i de Machilone e i loro ex-vassalli: il 12 aprile 1309 i nobili ottennero

infatti un ordine del sovrano a garanzia di alcuni diritti di passaggio e

plateatico44, contestati dai loro “antichi vassalli”, cui aveva dato ragione una

sentenza arbitrale di Guglielmo Recuperantio dei Visconti di Pisa, Capitano

dell’Aquila; il 24 maggio 1315 invece re Roberto confermò un’esenzione dal

tributo annuo già accordata loro da Carlo II in quanto erano stati “privati dei loro

vassalli e dei loro beni”45, cosa che fa pensare a uno stato di povertà cronica46; il

24 marzo 1319 riuscirono infine a manipolare l’apprezzo, ossia la valutazione dei

beni mobili e immobili degli abitanti di una terra fatta allo scopo di garantire una

ripartizione equa delle imposte, “ai danni dei popolani, […] in modo tale che il

peso quasi totale delle imposte ricadesse sulle spalle dei loro nemici”47.

Evidentemente tra la consorteria e i lapostani non correva buon sangue, e

qualche problema sorse anche tra i machilonesi trasferitisi a L’Aquila e gli

aquilani stessi, se nel 131648 la città si riappropriò della rendita del monte,

vescovo di Rieti la conferma della nomina della badessa (Archivio Diocesano di Rieti, fondo

Archivio Capitolare di Rieti, Armadio VI, fascicolo G, n° 15); il ripetuto passaggio di Lalle

Camponeschi a Posta tra 1338 e 1339 in occasione del conflitto tra lui e il tiranno Bonagiunta

(narrato da Buccio di Ranallo, Cronica, cit., p. 138 stanza 440 e p. 176 stanza 567, in cui Lalle tende

agli uomini di Bonagiunta un’imboscata proprio presso Posta). Zelli riferisce inoltre che “Santa

Croce di Borbona, matrice dell’antico territorio indiviso della consorteria dei Camponeschi […]

rispetta con le sue cappelle l’antica corte di Vallante nei luoghi di Sigillo, Posta, Machilone,

Bacugno, Lama e Albaneto, mentre la chiesa di Santa Rufina di Machilone con le cappelle in

Albaneto, Favischio, Santogna e Petra designa l’antico territorio dei Camponeschi in Narnate in

possesso del ramo dei Machilonensi” (M. Zelli, Narnate, cit., p. 31). 44 R. Caggese, Roberto d’Angiò e i suoi tempi, vol. 1, Bemporad, Firenze 1922, pp. 60-61. V. anche S.

Sicola, Repertorio 15, manoscritto custodito presso l’Archivio di Stato di Napoli, p. 272, che per il

1308 annota: “Machiloni Castri nobilium manutentio in possessionem super plateiis, et passagiis

in Terra de la posta”. 45 R. Caggese, Roberto d’Angiò, cit., vol. 1, p. 242. 46 Eventualità non infrequente in seguito alla nascita di un nuovo centro urbano: per esempio

alcuni feudatari del territorio aquilano (ovvero i signori di Paganica, Assergi, Fagnano, Sinizzo,

Bagno e Camarda) ancora nel 1311, a oltre cinquant’anni dalla ricostruzione della città, chiesero

(forse non per la prima volta) a re Roberto una riduzione del contributo feudale a causa della

perdita di vassalli e redditi in seguito alla fondazione dell’Aquila (A. Rotellini, Aristocrazia e potere

nell’Abruzzo interno medievale, Edizioni Libreria Colacchi, L’Aquila 2015, p. 61; v. anche C. Franchi,

Difesa per la fedelissima città dell’Aquila contro le pretensioni de’ Castelli, Terre e Villaggi che

componevano l’antico contado aquilano. Intorno al peso della buonatenenza, nella stamperia di Giovanni

di Simone, Napoli 1752, pp. 145-146; R. Trifone, I confocolieri dei castelli diruti aquilani con particolare

riguardo a quelli della Genca: parere per la verità nella causa davanti alla corte d'appello di Roma (sez.

spec. usi civici) tra i marchesi Cappelli e il comune di Aquila, Tipomeccanica, Napoli 1939, pp. 27-28). 47 R. Caggese, Roberto d’Angiò, cit., vol. 1, pp. 316-317. Cfr. T. Leggio, Il castello di Machilone, cit., p.

39. 48 A.L. Antinori, Annali, cit., vol. 10, p. 580.

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sottraendola alle donne di Machilone, che, rimaste senza mezzi con cui

sostentarsi, vennero ine biasemo49, così che il vescovo aquilano le cacciò dalla città50.

Tra gli ultimi possibili, non certi, membri della consorteria di cui abbiamo

notizia è fra’ Nicola da Machilone, descritto come uomo di grande cultura, retto

e probo, che Giovanni XXII elesse il 26 maggio 1326 vescovo dell’isola greca di

Scarpanto, all’epoca sotto il dominio veneziano. Fra’ Nicola risulta menzionato

per l’ultima volta ad Avignone nel 133451. Nel 1343 abbiamo invece notizia della

morte senza figli di Ciccarello Petri de Castro Machiloni del distretto aquilano, iure

longobardo vivens: per ordine di Giovanna I i beni feudali que Ciccarellus idem

immediate a regia curia tenuit quoad vixit vennero concessi ai fratelli del defunto,

ovvero Andrea, Massarello, Ciccarello, Lallo e Margherita de Machilono fratribus

et sorore sua, consobrinis52.

È dunque probabile che ancora alla metà del XIV secolo la consorteria

sopravvivesse, ma di certo in condizioni assai più precarie rispetto al secolo

precedente: la conquista angioina e la mancata integrazione nel circuito di potere

della nuova dinastia, unitamente alla crescita aquilana, ne avevano minato le basi

di potere, privandola dei suoi spazi di autonomia e delle sue fonti di

sostentamento.

2. de Roio

Il castello di Roio è uno degli insediamenti che nel 1254 parteciparono alla

fondazione della città dell’Aquila, ma la prima attestazione di una consorteria

nobiliare legata a questo castello risale al 1261, durante il regno di Manfredi di

Svevia, che nel 1259 aveva distrutto la città. Non pare dunque un caso che Tudino

de Rogia risulti, nel 1261, nel campo avverso a Manfredi: era infatti hostiario

49 Buccio di Ranallo, Cronica, cit., p. 63, stanza 199. 50 G. Pansa, Quattro cronache e due diarii inediti: relativi ai fatti dell’Aquila dal sec. XIII al sec.

XVI per la prima volta pubblicati con una dissertazione preliminare sulle fonti edite ed inedite

della storia aquilana con illustrazioni e note, Colaprete, Sulmona 1902, Cronaca di Bernardino da

Fossa, pp. 41-63: p. 46; A.L. Antinori, Annali, cit., vol. 11, p. 125; L. A. Muratori, Antiquitates

Italicae Medii Aevi, cit., vol. 6, coll. 561-564 nota 38. L’ultima notizia non è tuttavia confermata,

in quanto un Monasterio de Machilone, situato dentro L’Aquila, figura tra i destinatari di un

testamento del 28 novembre 1341: L. Rivera, Carte dell’Archivio Rivera, in «Bullettino della

Deputazione Abruzzese di Storia Patria» (d’ora in avanti «BDASP»), a. I, 2-3 (1910), pp. 79-86; a.

II, 3 (1911), pp. 59-86; a. IV, 1-3 (1913), pp. 91-136: a. II, 3, pp. 76-80, n° 14. 51 T. Leggio, Il castello di Machilone, cit., p. 39. Cfr. V. Di Flavio, Fra Nicola da Machilone Vescovo di

Scarpanto, in «Leonessa e il suo santo», a. IX, n° 62 (1974), pp. 119-120. 52 G. Buzzi, Documenti angioini relativi al Comune di Aquila dal 1343 al 1344, in «BDASP», a. III, 1-2

(1912), pp. 7-81: pp. 59-61.

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pontificio, inviato da Urbano IV al vescovo di Rieti perché riferisse un messaggio

“circa ecclesie romane negocia”53.

Dopo le vittorie angioine di Benevento (1266) e di Tagliacozzo (1268) diversi

esponenti della fino ad allora sconosciuta consorteria (assente nel Catalogus

Baronum e più in generale nelle fonti precedenti la metà del XIII secolo)

cominciarono a comparire tra gli ufficiali al servizio di Carlo d’Angiò. Il primo di

cui si ha notizia è il miles Andrea de Rodio, che figura in qualità di custode delle

strade e dei passi da L’Aquila a Machilone e nelle valli di Corno e S. Chirico nel

126954. Nella seconda metà del 1271, Andrea de Roio ricoprì anche brevemente la

carica di capitano di Montereale55, prima di essere nominato custode delle strade

dell’Aquila insieme a Guglielmo de Brenda l’anno seguente56.

Nel 1278 il miles Teodino de Roio risulta tra i membri della commissione

incaricata da Carlo d’Angiò di provvedere alla scelta del luogo in cui fondare

Leonessa57, della quale fu poi capitano regio fino alla morte, avvenuta l’anno

successivo. L’incarico fu allora trasferito al figlio Berardo, che sarebbe rimasto a

Leonessa fino al 1281 inoltrato58. Il fatto che la capitanìa di una città ancora in

corso di edificazione, per di più snodo importante in una regione di confine

caratterizzata fino a quel momento da ribellioni e instabilità diffusa, sia stato

passata dal padre al figlio induce a ipotizzare che i de Roio rappresentassero per

il sovrano una garanzia di stabilità e sicurezza nella zona. La fiducia che il

sovrano nutriva in Berardo de Roio è inoltre attestata il 2 marzo 1281, quando

Carlo d’Angiò gli scrisse lamentando eccessivi rallentamenti nei lavori di

riparazione della rocca di Ripa di Corno, sovrastante Leonessa, e incaricandolo

di adoperarsi perché le operazioni fossero completate al più presto, supportando

53 Archivio Diocesano di Rieti, fondo Archivio Capitolare di Rieti, Armadio I, fascicolo E, n° 4.

Potrebbe trattarsi dello stesso Teodino de Roio che nel 1278 fu capitano di Leonessa per Carlo

d’Angiò. 54 RCA, vol. 6, p. 260, n. 1402. 55 RCA, vol. 7, p. 227, n° 95. 56 RCA, vol. 8, p. 144, n° 235. V. anche T. Leggio, Ad fines regni, cit., pp. 236-237. 57 RCA, vol. 18, pp. 52-54, n° 112. Sulla fondazione di Leonessa v. A. Casalboni, «pro cohercitione

hominum»: Leonessa e le città di fondazione angioina ai confini del Regno di Sicilia tra XIII e XIV secolo,

in «Eurostudium», a. XII, n° 48 (Luglio-Settembre 2018), pp. 59-80. 58 RCA, vol. 21, p. 277, n° 167. Cfr. Dokumente zur Geschichte der Kastellbauten Kaiser Friedrichs

II. und Karls I. von Anjou, auf der grundlage des von Eduard Sthamer gesammelten Materials.

Bd. III, Abruzzen, Kampanien, Kalabrien und Sizilien, bbt. von H. Houben, hg. vom Deutschen

Historischen Institut in Rom, Tübingen 2006, pp. 37-46, nn° 1292-1308 e B. Mazzoleni (a cura di),

Gli atti perduti della Cancelleria Angioina, cit., vol. 1, p. 409; v. anche T. Leggio, Ad fines regni,

cit., p. 249, note 1363-1364. Teodino da Roio era ancora vivo il 16 luglio 1278: Dokumente zur

Geschichte, cit., p. 38, n° 1294. Berardo da Roio è definito “dottor di leggi” in A.L. Antinori,

Annali, cit., vol. 10, p. 636; in A.L. Antinori, Annali, cit., vol. 10/2, 498, 536 si fa menzione di

Berardo di Roio sostenendo che figurava “col titolo di Signore, forse come Dottor di leggi”.

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e controllando i responsabili. L’anno successivo, il 20 marzo 1282, a lavori ormai

conclusi, Berardo risulta poi a L’Aquila, tra i testimoni della fondazione della

chiesa di S. Agostino59. Negli anni seguenti le poche fonti a nostra disposizione

rendono difficile seguirne la vita: sappiamo tuttavia che fu tra i baroni abruzzesi

che prestano servizio nell’esercito regio nel 128860, quando è menzionato in un

elenco di nobili di primaria grandezza, come Carlo de Rayano, Matteo de

Acquaviva, Berardo de Aversa, Matteo de Plexiaco, Gentile e Bernardo de Sangro e

Amelio de Corbario.

La permanenza a L’Aquila dovette tuttavia farsi complicata per i de Roio,

coinvolti nelle faide interne alla città, se il 24 agosto 1292 il capitano regio

cittadino, Guidone de Monastay, accusò Andrea e Berardo di aver cospirato con

Tolomeo de Castellione e Corrado d’Antiochia, fedelissimi svevi e nemici di Carlo

d’Angiò; in quell’occasione il capitano riferì anche che, espulsi da L’Aquila, i due

de Roio avevano provato a rientrarvi, senza tuttavia riuscirvi. Il sovrano ordinò al

de Monastay di indagare sulla vicenda, e nel frattempo continuare a impedire ai

de Roio e ai loro fedeli l’accesso in città61.

La situazione fu probabilmente chiarita in tempi brevi, dal momento che nel

1294 Andrea de Roio ricopriva un importante incarico nell’ufficialità regia della

zona: era infatti capitano di Amatrice, Montereale, Accumoli e Leonessa62, vale a

dire della circoscrizione della Montagna, che includeva tutti i principali centri del

confine abruzzese. Non venne tuttavia meno il coinvolgimento della famiglia

nelle lotte intestine a L’Aquila: la Cronaca aquilana di Buccio di Ranallo menziona

infatti Berardo de Roio tra gli oppositori del capitano regio cittadino Guelfo da

59 G. Sabatini, Documenti aquilani dei secoli XIII, XIV e XV, in «BDASP», a. IX-X, 1 (1918-1919), pp.

187-230: p. 188. 60 G. Borrelli, Repertorium universale familiarum et terrarum existentium in Regestris Realis

Archivi M.R. Curiae Syclae Neapolis, 2 voll., manoscritti conservati presso l’Archivio di Stato di

Napoli, vol. 1, p. 106, lo cita come Berardo de Radi, ma i nomi degli altri baroni e il periodo storico

mi inducono a identificarlo con Berardo de Roio. 61 S. Morelli, Le carte di Léon Cadier alla Bibliothèque Nationale de France: contributo alla

ricostruzione della cancelleria angioina, École française de Rome, Roma 2005, pp. 127-129, n° 141.

V. anche M. Schipa, Un principe napoletano amico di Dante: Carlo Martello d’Angiò, I.T.E.A,

Napoli 1926, p. 170, nota 1: “Un Andrea Berardo da Rodio e un Tommaso Rogerii militi trovo già

esiliati dall’Aquila, per poi rientrarvi, senza regio permesso, a suscitarvi scandali e farvi omicidi,

prima del 3 settembre [12]93; Ref. 60, f. 256”. Si trattava, probabilmente, non di Andrea figlio di

Berardo ma di Andrea e Berardo de Roio. Guidone de Monastay accusa i de Roio anche di aver

cospirato con Nicola dell’Isola, un importante personaggio aquilano, sospettato di voler sobillare

una rivolta contro il sovrano; Buccio di Ranallo, Cronica, cit., stanza 172, p. 54, riferisce al

contrario che la famiglia dei Rojani si era fatta promotrice di una richiesta al Capitano Regio

dell’Aquila per la cattura di Nicola dell’Isola. 62 M. Chiarito, Repertorium et index regesti Caroli II (1294), manoscritto custodito presso l’Archivio

di Stato di Napoli con collocazione Ricostruzione angioina, Armadio 1, scaffale D, 34, pp. 27, 32, 88.

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Lucca sconfitti nel 130763. Il conflitto con il capitano aquilano proseguì, e secondo

Buccio di Ranallo Berardo riuscì a ottenere dal sovrano l’allontanamento di

Guelfo da Lucca, sostituito nell’incarico di Capitano dell’Aquila da Giovanni

Coppola64.

All’inizio del XIV secolo abbiamo notizia anche di altri esponenti della

consorteria, che risultano prevalentemente coinvolti nei circuiti dell’ufficialità

angioina. Si tratta dei figli di Berardo: Garofalo65, capitano ad Anagni nel 130966 e

a Cittaducale nel 131367; Nicola, che nel 1320 guidò la spedizione aquilana contro

Rieti68 e al ritorno in città fu portato in trionfo dalla popolazione; Giovanni,

podestà a Perugia nel 132769, familiare del capitano regio a Ortona l’anno

seguente70, capitano a L’Aquila nel 132971 e infine podestà a Cascia nel 133272.

All’inizio degli anni Venti del Trecento era intanto morto Berardo73, come

attestato in occasione di un atto di vendita del 22 novembre 132374, rogato ante

63 Buccio di Ranallo, Cronica, cit., stanza 200, p. 63. 64 Buccio di Ranallo, Cronica, cit., stanze 227-228, pp. 70-71. 65 M. Chiarito, Repertorium et index regesti Caroli II (1306-1307), manoscritto custodito presso

l’Archivio di Stato di Napoli con collocazione Ricostruzione angioina, Armadio 1, scaffale D, 38, p.

8 a t.: 1306-1307: “Carta dissentiones intra Thomasium da Curcumella et Tarofalum [Garofalo,

probabilmente] de Rodio de Aquila”. 66 M.T. Caciorgna, Ufficiali forestieri nel Lazio, in J.-C. Maire Vigueur (a cura di), I podestà dell’Italia

comunale, cit., vol. I, pp. 815-845: p. 842. La notizia è tratta da C. De Lellis, Notamenta, manoscritto

custodito presso l’Archivio di Stato di Napoli con collocazione Ricostruzione angioina, Armadio 1,

scaffale B, 13, vol. 3, 2, f. 1747. 67 S. Sicola, Repertorio 4 (Roberto), manoscritto custodito presso l’Archivio di Stato di Napoli con

collocazione Ricostruzione angioina, Armadio 1, scaffale C, 4, reg. 1313 A, p. 289. Garofalo morì

intorno al 1341 (Archivio di Stato dell’Aquila, fondo E.C.A., n° 6, è infatti rogato in quell’anno

infra pedem plathea ante domum heredes quondam Gariofoli de Rodio), presumibilmente senza eredi

diretti. 68 Buccio di Ranallo, Cronica, cit., stanza 266, p. 83: “su nel Carro sedea / et tanto triumphale che

Imperator parea”. V. anche M. Michaeli, Memorie storiche, cit., vol. 3, pp. 68-69. 69 Cronaca aquilana rimata, cit., p. 96. 70 S. Sicola, Repertorio 5 (Carlo illustre), manoscritto custodito presso l’Archivio di Stato di Napoli

con collocazione Ricostruzione angioina, Armadio 1, scaffale C, 5, reg. 1327 ex 28 C, p. 277. 71 S. Sicola, Repertorio 4 (Roberto), cit., 1329 D, p. 781. 72 Per la precisione nel secondo semestre, dal momento che è attestato il 22 novembre: v. V.

Giorgetti, A. Serantoni, I podestà di Cascia nel Medioevo. Aspetti e problemi del Comune nei secoli XIII-

XVI, Editrice grafica l'Etruria, Cortona 1989, p. 75. 73 Che, pur se evidentemente anziano, aveva nel 1317 ricoperto l’incarico di sindaco per L’Aquila:

G. Rivera, Catalogo delle scritture appartenenti alla Confraternita di S. Maria della Pietà dell’Aquila, in

«BDASP», a. XIII, 25 (1901), pp. 1-42; a. XIII, 26 (1901), pp. 33-70; a. XIV, 1-3 (1902), pp. 89-100,

179-196, 309-324; a. XV, 4-5 (1903), pp. 61-76, 133-158; a. XVII, 10-11 (1905), pp. 1-32, 177-198; a.

XVIII, 13-15 (1906), pp. 3-20, 113-134, 223-246: a. XIII, 25, p. 30 in nota. 74 L. Rivera, Carte dell’Archivio Rivera, cit., a. IV, 1-3, pp. 102-104, n° 6. L’atto è conservato presso

l’Archivio di Stato dell’Aquila, “Fondo famiglia Rivera, secondo versamento”, n° 638/R.

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domum filiorum quondam domini Verardi de Rodio sitam iuxta Forum, la Piazza del

Mercato a L’Aquila. L’anno successivo, il 9 settembre 1324, un altro atto risulta

rogato in foro publico ante domum Gariofoli de Rodio75, mentre un terzo atto, dell’11

giugno 1324, menziona case di proprietà di Andrea de Roio sulla pubblica piazza

aquilana76: all’epoca la famiglia de Roio doveva dunque possedere più di una casa

nella zona della piazza principale dell’Aquila77, indiscutibile segno di

preminenza sociale.

Il decennio successivo rappresentò tuttavia un periodo problematico per

l’intera città, divisa da lotte intestine tra le diverse fazioni che se ne contendevano

il controllo e spaccata ulteriormente dal tentativo di insignorimento portato

avanti da Bonagiunta Bonihominis, membro dell’antica famiglia dei de Poppleto,

forte dell’incarico di capitano regio. I de Roio si opposero alle manovre di

Bonagiunta, e il conflitto tra questi e Giovanni e Nicola de Roio giunse davanti

alla corte della Vicaria nel 133278 – non sappiamo tuttavia con quale esito. Un’altra

causa contrappose i due fratelli Giovanni e Nicola al nobile aquilano Teodino de

Petraccis e ai suoi figli nel 1334, ma anche qui possediamo ben pochi dettagli79, se

non che la causa terminò con una concordia approvata dalla città dell’Aquila80. A

fianco dei de Roio nell’opposizione a Bonagiunta vi erano i Camponeschi, altra

insigne famiglia aquilana, ed è proprio in compagnia di Lalle Camponeschi che

Nanni de Roio è accusato di aver compiuto scorrerie nel contado della città81.

Nanni era uno dei figli di Nicola, che era stato annalis iudex dell’Aquila nel 133182;

75 Archivio di Stato dell’Aquila, fondo E.C.A., n° 2, del 9 settembre 1324. La casa di Garofalo de

Roio è attestata dal 1304 a oltre il 1341 in M. Ruggiero Petrignani, Egemonia politica e forma urbana.

L’Aquila, città come fabbrica di potere e di consenso nel Medioevo italiano, Dedalo libri, Bari 1980, p. 45. 76 G. Rivera, Catalogo delle scritture, cit., a. XIII, 25, p. 14, n° 19. 77 Né erano questi gli unici beni di famiglia a L’Aquila e dintorni: Nicola de Roio vende infatti nel

1328 la dodicesima parte di una casa e di due mulini situati a Pile a Iacopo di Tommaso, detto

Gaglioffo, di S. Vittorino, uno dei più importanti mercanti aquilani dell’epoca (Ivi, p. 20, n° 31),

per 12 once d’oro: G. Rivera, Catalogo delle scritture, cit., a. XIII, p. 20, n° 31. Lo stesso mercante

quattro anni più tardi acquista, per lo stesso prezzo, anche un prato a Rocca S. Stefano da

Giovanni di Berardo de Roio (Ivi, p. 26, n° 46). 78 S. Sicola, Repertorio 4 (Roberto), cit., reg. 1332-1333, p. 941. V. anche Cronaca Aquilana rimata, cit.,

pp. 89-90 nota 1 e p. 96 nota 1. 79 S. Sicola, Repertorio 4 (Roberto), cit., reg. 1334-1335 C, p. 1077. Teodino de Petraccis di Aquila,

miles, possiede beni feudali in Aquila appartenuti a quondam Dominorum S.ti Vittorini et Preturi:

Ivi, reg. 1334-1335 C, pp. 835-836. Si tratta di un esponente della famiglia dei Pretatti, che negli

anni successivi saranno acerrimi nemici dei Camponeschi. 80 S. Sicola, Repertorio 16 (supplementum Roberti), manoscritto custodito presso l’Archivio di Stato

di Napoli con collocazione Ricostruzione angioina, Armadio 1, scaffale C, 16, p. 10. 81 Buccio di Ranallo, Cronica, cit., stanza 403, p. 125. Si trattava di Nanni figlio di Nicola, e non di

Giovanni figlio di Berardo, come evidente considerando che l’accusa di Buccio è relativa ad eventi

del 1337, quando Giovanni risulta morto nel 1336. 82 G. Rivera, Catalogo delle scritture, cit., a. XIII, 25, p. 30, in nota.

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dell’altro figlio, Gualterone, sappiamo solo che risulta tra i testimoni dell’atto del

9 settembre 1324. Anche Giovanni figlio di Berardo aveva avuto due figli, come

attestato nell’atto con il quale il 19 giugno 1336, in seguito alla morte del padre,

questi – Filippo detto “il Preposito” e Biagio detto “il Medico” –, vendono la casa

paterna presso la piazza del Mercato per l’ingente somma di 127 once d’oro83.

La sconfitta di Bonagiunta aveva intanto aperto la strada all’ascesa di Lalle

Camponeschi, cosa che portò i de Roio a scontrarsi con il loro antico alleato. Fu in

particolare Nanni a portare avanti il conflitto84, senza tuttavia riscuotere

particolari successi: fu infatti costretto a lasciare la città e per rientrarvi strinse nel

1345 una doppia alleanza matrimoniale con i Camponeschi85. Uno dei due

matrimoni si fece, l’altro no, e sulla tenuta della pace le cronache forniscono

resoconti discordi86. Nanni continuò comunque a influenzare la politica aquilana,

ricoprendo al contempo incarichi anche importanti al di fuori del Regno (è

senatore di Roma nel primo semestre del 136687), mentre nel 1371 firma un nuovo

istrumento di pace con i Camponeschi, rappresentati ora da Lalle II88.

Neanche quest’accordo con i Camponeschi si rivelò tuttavia stabile, dal

momento che Paolo figlio di Nanni risulta a capo dei fuoriusciti aquilani che

tentarono di rientrare, nottetempo, in città nel gennaio del 138589. Anzi

l’inimicizia si fece più forte: le cronache dell’epoca ricordano al 20 agosto 1400 la

morte di Paolo de Roio nell’incendio appiccato alla sua casa da Urbano

Camponeschi, mentre uno dei suoi figli, Giovanni, fu ucciso il giorno seguente in

83 G. Rivera, Catalogo delle scritture, cit., a. XIII, 25, p. 29, n° 59. A.L. Antinori, Annali, vol. 10, p. 201,

sostiene che la cifra fosse adeguata a una casa di grandi dimensioni. 84 È tra gli altri a Giovanni e a Cola (presumibilmente suo padre Nicola) de Roio che Buccio di

Ranallo dedica il sonetto IX tra quelli contenuti nella sua Cronica, in cui prega i capi dei fuoriusciti,

rientrati a L’Aquila, di mantenere la promessa di perdonare i nemici (Buccio di Ranallo, Cronica,

cit., sonetto IX, pp. 181-182). 85 Buccio di Ranallo, Cronica, cit., stanze 621-623, pp. 197-198. 86 G. Pansa, Quattro cronache, cit., Cronaca di Bernardino da Fossa, pp. 41-63: p. 53, riferisce che la

pace durò; Buccio di Ranallo, Cronica, stanze 621-629 pp. 197-198 scrive invece che, saltato il

matrimonio, Nanni de Roio fu costretto alla fuga. 87 G. Rivera, Catalogo delle scritture, cit., a. XIII, 25, p. 30, in nota. V. anche L. de Mas-Latrie, Trésor

de chronologie, d'histoire et de géographie pour l'étude et l'emploi des documents du Moyen Âge, Librairie

Victor Palmé, Paris 1889, p. 1730: “Nanni (Jean) de Rodio, d’Aquila, 1er semestre; Bindo des Bardi,

florentin, 2e semestre”. 88 L.A. Muratori, Antiquitates Italicae Medii Aevi, cit., vol. 6, p. 740 nota 37. 89 G. Pansa, Quattro cronache, cit., Cronaca di Bernardino da Fossa, pp. 41-63: p. 60, data l’evento al

2 di gennaio; Niccolò di Borbona, Cronaca di Niccolò di Borbona Aquilano. Delle cose dell'Aquila

dall'anno 1363 all'anno 1424, in L.A. Muratori, Antiquitates Italicae Medii Aevi, cit., vol. 6, coll. 851-

880: col. 858, al 15 dello stesso mese.

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piazza90. La famiglia tuttavia non si estinse, proseguendo con un altro figlio di

Paolo, Salvatore, attestato ancora nel Quattrocento inoltrato.

Conclusioni

Come abbiamo potuto osservare, a partire dalla metà del Duecento e per tutto il

Trecento le vicende delle due famiglie seguirono andamenti opposti. Da un lato

la consorteria dei de Machilone, antica e dotata di un nucleo di potere compatto,

anche abbastanza ricco, nonché di un discreto spazio di autonomia dovuto alla

propria posizione vicina al confine, che la porta ad avere contatti con Rieti e con

Spoleto, e non solo con il Regno. I de Machilone compiono tuttavia, nel 1266, la

scelta di campo sbagliata, schierandosi con Manfredi e per questo perdendo,

presumibilmente, una buona parte dei propri possedimenti. Si ritrova così

relegata in una posizione marginale e costretta a competere con la nuova e

potente realtà aquilana, e finisce per indebolirsi al punto di non poter più pagare

le tasse al sovrano. Dall’altro abbiamo i de Roio, famiglia giovane, da subito

schierata nel campo angioino, che si integra bene nei circuiti guelfi e

nell’ufficialità regia. I suoi possedimenti sono assai prossimi a L’Aquila, dunque

ha un minore spazio di autonomia, eppure riesce a sfruttare questa vicinanza a

proprio vantaggio: alcuni suoi esponenti ricoprono cariche cittadine, come quella

di annalis iudex, o ottengono il comando dell’esercito aquilano contro Rieti. I de

Roio accrescono in questo modo il loro potere familiare, e arrivano perfino a

competere per il controllo della città, per il quale non esitano ad opporsi agli

ufficiali inviati dal sovrano, come Guelfo da Lucca, e si scontrano dapprima con

Bonagiunta, poi con i Camponeschi.

Non pare un caso che la prima famiglia perda potere e rilevanza con il

cambio di paradigma apportato dall’avvento angioino, che stabilizza il confine,

e si ritrovi ad affrontare un inevitabile declino all’inizio del Trecento, e che al

contrario si assista alla crescita inesorabile dei de Roio, senza dubbio legata al

servizio al sovrano, per il quale ricoprirono ripetutamente importanti cariche:

nell’ufficialità regia i de Machilone, che pure vi erano presenti in epoca sveva, sono

adesso completamente assenti.

Ma a causare la decadenza dei de Machilone, oltre alla lontananza dal circuito

guelfo e angioino, fu in primo luogo la chiusura della frontiera operatasi tra Carlo

I e Roberto d’Angiò, quando le fondazioni di L’Aquila, Montereale e soprattutto

Leonessa, Cittaducale e Cittareale, comportarono una definizione del confine –

fino ad allora rimasto un’ampia zona di incertezza politica – limitando i margini

di manovra delle consorterie nobiliari che prima avevano goduto del

90 Niccolò di Borbona, Cronaca di Niccolò di Borbona Aquilano, cit., p. 862.

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“pendolarismo politico”91 che consentiva loro di schierarsi ora tra i nobili del

Regno, ora tra gli alleati delle più importanti città dello Stato della Chiesa92.

Al contrario i de Roio trassero indubbi benefici da questa chiusura, che

poneva un limite alle possibilità di azione dei loro concorrenti e che fu

accompagnata dalla creazione di cariche (come la capitanìa della Montagna) che

riuscirono a ricoprire. Sempre in maniera nettamente divergente rispetto ai de

Machilone, i de Roio seppero anche approfittare della crescita della potenza

aquilana, che fornì loro notevoli possibilità di ascesa politica.

91 Sciommeri, La rocca di Cittareale, p. 21. 92 Un cambiamento simile è riscontrabile nelle politiche di altre famiglie nobiliari, come ad

esempio i de Chiavano.