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A. Casalboni, Nobiltà di frontiera
Nobiltà di frontiera nell’Abruzzo angioino tra XIII e XIV secolo. Due
casi di studio: de Machilone e de Roio di Andrea Casalboni
All’indomani della conquista del Regno da parte di Carlo d’Angiò, le consorterie
nobiliari che abitavano nel territorio di frontiera si trovarono costrette ad
aggiornare le loro strategie in un contesto decisamente mutato rispetto alla
precedente epoca sveva, caratterizzato da nuove politiche di centralizzazione, un
aumento della presenza regia attraverso la creazione di nuove capitanìe nella
regione e la creazione di nuove universitates demaniali, fondate tra la seconda
metà del XIII secolo e la prima metà del secolo successivo, nonché l’introduzione
di elementi di origine franco-provenzale nelle strutture feudali1. Non sempre la
nobiltà locale riuscì ad adattarsi: le vicende dei de Machilone e dei de Roio ci
permettono di osservare gli andamenti emblematicamente divergenti delle
fortune di due famiglie, che compirono scelte praticamente opposte
nell’affrontare la nuova situazione. Le fonti in nostro possesso relativamente a
queste consorterie nobiliari sono purtroppo assai limitate, e la ricostruzione delle
loro vicende familiari è resa complicata dalla distruzione dell’Archivio della
Cancelleria Angioina, avvenuta durante la Seconda guerra mondiale. I Registri
della Cancelleria Angioina2, unitamente alle fonti e alle cronache aquilane e ai
lavori degli eruditi del XVIII secolo (in particolare Anton Ludovico Antinori)
costituiscono dunque le basi fondamentali per questo lavoro.
1 B. Pio, “Aspetti dell’evoluzione del possesso feudale in Abruzzo nella prima età angioina”, in B.
Figliuolo, R. Di Meglio, A. Ambrosio (a cura di,) Ingenita Curiositas. Studi sull’Italia Medievale per
Giovanni Vitolo, Laveglia Carlone, Battipaglia 2018, vol. 3, pp. 1345-1358. 2 I registri della cancelleria angioina ricostruiti da Riccardo Filangieri con la collaborazione degli
archivisti napoletani, vol. 1-50, Accademia Pontaniana, Napoli 1950-2010, d’ora in avanti
abbreviato in RCA.
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Un quadro più completo può essere tracciato per i de Machilone: una
famiglia antica (risulta infatti menzionata nel Catalogus Baronum), la cui area di
influenza era situata a ridosso del confine, circostanza che ci permette di trovarla
menzionata anche in fonti esterne al Regno: i suoi esponenti entrarono infatti in
contatto con città del dominio pontificio come Rieti e Spoleto. La Cronaca aquilana
di Buccio di Ranallo, poi, ci fornisce ulteriori informazioni attraverso la
narrazione delle vicende relative alla distruzione del loro castello, circostanza che
ha contribuito ad attirare l’attenzione degli studiosi sulla famiglia.
I de Roio svilupparono il loro potere invece in una posizione più arretrata,
nei pressi dell’Aquila, e sono attestati per la prima volta solo in epoca angioina,
cosa che, come già spiegato, limita le informazioni in nostro possesso. Per
ricostruire le loro vicende dobbiamo pertanto affidarci, in aggiunta alle fonti fin
qui elencate, anche ai Repertori angioini, raccolte di appunti di studiosi sei-
settecenteschi che utilizzarono i Registri della Cancelleria Angioina: in
particolare le opere di Sicola, Borrelli, Chiarito e De Lellis, conservate presso
l’Archivio di Stato di Napoli e solo parzialmente pubblicate nei Registri
ricostruiti della Cancelleria Angioina. Questi repertori contengono informazioni
frammentarie e incomplete, ma sufficienti a permetterci di tracciare un quadro
delle vicende della famiglia de Roio a cavallo tra XIII e XIV secolo.
1. de Machilone
La consorteria dei de Machilone è ricordata per la prima volta nelle fonti all’interno
del Catalogus Baronum. La sua struttura familiare unitaria, con un castello
posseduto pro indiviso tra tutti i consorti, induce a sospettare un’origine
longobarda3. La consorteria era suffeudataria di Teodino de Collimento per il
castello di Machilone, del valore di sette militi4. Non era tuttavia posseduto
completamente dai de Machilone, in quanto una frazione dello stesso castello, per
il valore di un milite, era assegnata in suffeudo a Gentile di Berarduccio vassallo
di Berardo da Collimento, cugino di Teodino5. La consorteria disponeva anche,
3 T. Leggio, Il castello di Machilone e la fondazione di Posta. Lineamenti della storia, in 700 anni di Posta
Reale, Atti del Convegno di Studi tenutosi a Posta (RI) il 19 agosto 2000, Amministrazione
Comunale di Posta, Santa Rufina di Cittaducale 2001, pp. 33-44, p. 37. 4 E. Jamison (a cura di), Catalogus Baronum, Istituto Storico Italiano, Roma 1972, p. 237, n° 117.
Secondo le stime dell’erudito settecentesco Anton Ludovico Antinori, questa somma indicava che
il feudo era abitato da circa centosessanta famiglie (A.L. Antinori, Corografia storica degli Abruzzi
e dei luoghi circonvicini, ms. del XVIII sec., L’Aquila, Biblioteca Provinciale Salvatore Tommasi,
vol. 34/1, p. 11), ma la correlazione tra valore del feudo e numero di abitanti non è provata. 5 E. Jamison (a cura di), Catalogus baronum, cit., pp. 238-239, n° 1178. E. Cuozzo, Catalogus Baronum.
Commentario (Fonti per la storia d’Italia, 1012), Istituto Storico Italiano, Roma 1984, p. 349, n° 1178,
lo identifica come “uno dei signori del castello di Machilonis”.
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ma in servitium, ossia come assegnazione revocabile e gravata del pagamento di
una somma annua, di una parte della regione conosciuta come “Terra
Camponesca”6 che, insieme a una non meglio precisata frazione
dell’insediamento di Sculcula, valeva un milite, da fornire separatamente.
All’inizio del XIII secolo i de Machilone erano riusciti a ritagliarsi un nucleo
di potere compatto, che l’Antinori definisce una sorta di “piccolo Stato, un paese
composto di varie Terre sotto un solo Dominio”7, un’enclave autonoma tra il
contado reatino e quello amiternino. Nel 1216 la consorteria strinse una societas
con la città Spoleto per la durata di due anni8, rafforzando così il proprio potere
a livello locale. Tra i primi esponenti della consorteria conosciuti, che risalgono
proprio a quegli anni, troviamo Oddone de Machilone, chierico e tesoriere della
Camera Apostolica nel 1220 e ancora al servizio del pontefice alla fine del
decennio: nel 1229, “corrotto il castellano, recuperò la rocca di Bantra – oggi Rocca
D’Evandro nel Casertano – in nome del papa”9. Quando cominciò il conflitto tra
Federico II e il papato, la consorteria si schierò tuttavia al fianco dell’imperatore,
come testimonia la figura di Rainaldo de Machilone, che tra 1239 e 1240 fu il primo
podestà di Viterbo di nomina sveva e due mesi dopo ricopriva la carica di vicario
e capitano imperiale di Savona, mentre è attestato nel 1245 e nel 1246 come
podestà rispettivamente di Pisa e di Cremona10. La fedeltà sveva è confermata
ancora nel 1266, quando Rieti inviò ambasciatori alle principali famiglie nobiliari
stanziate ai confini del Regno per chiedere la sottomissione a Carlo d’Angiò, e il
5 marzo il “Capitaneo et Consilio Machiloni” rispondono ai messi reatini di non
poter soddisfare la richiesta in quanto “aliqui de Machilonensibus fuerint in
6 “Corrispondente all’attuale alta Valle del Velino e dell’Amatriciano”, secondo T. Leggio, Il
castello di Machilone, cit., p. 35. 7 A.L. Antinori, Corografia, cit., vol. 34/1, p. 8. 8 A. Sansi, Storia del Comune di Spoleto dal secolo XII al secolo XVII, vol. 1, P. Sgariglia, Foligno 1879,
pp. 41-42; T. Leggio, “Farfa, Rieti e Federico II”, in E. Menestò (a cura di), Esculum e Federico II.
L’imperatore e la città: per una rilettura dei percorsi della memoria, Centro italiano di studi sull'alto
Medioevo, Spoleto 1998, pp. 283-306: pp. 294-295. 9 T. Leggio, Il castello di Machilone, cit., p. 36. L’episodio è narrato in C.A. Garufi (a cura di), Ryccardi
de Sancto Germano Chronica, in L. A. Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, 7/2, N. Zanichelli,
Bologna 1938, p. 156. Il nome è annotato per quello stesso anno in A.L. Antinori, Corografia, cit.,
vol. 34/1, p. 4, sia pure con una storpiatura: “Nel 1229 si ha menzione di Oddone di Machibona
[sic]”. Oddone è attestato anche nel 1224 come clerico Albanensis episcopi: vedi Reg. Vat. 12, c. 246.
fol. 151. 10 N. Kamp, Istituzioni comunali di Viterbo nel Medioevo. I. Consoli, podestà, balivi e capitani nei secoli
XII e XIII, Agnesotti, Viterbo 1963, p. 79; M. L. Ceccarelli Lemut, M. Ronzani, “Il reclutamento dei
podestà a Pisa dall’inizio del XIII secolo alla metà del XIV”, in J.-C. Maire Vigueur (a cura di), I
podestà dell’Italia comunale. Parte I. Reclutamento e circolazione degli ufficiali forestieri (fine XII sec. –
metà XIV sec.), Istituto Storico Italiano per il Medio Evo ed Ecole Française de Rome, Roma 2000,
pp. 645-657: p. 649.
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Rengno ad servitium Regis Manfredi”, e devono pertanto attenderli prima di
deliberare11.
Con l’avvento angioino il quadro cambiò rapidamente, con ogni probabilità
in conseguenza di una riduzione del potere della consorteria a causa della sua
fedeltà agli svevi. Nel 1269, all’indomani della sconfitta di Corradino, abbiamo
infatti attestato Giraldus de Massilia, miles, capitaneus Machilonis12, segno forse di
un controllo militare da parte del sovrano13, forse (e le due ipotesi non si
escludono a vicenda) della presenza di una terra demaniale su una parte dei
territori che erano stati della consorteria, presumibilmente espropriati in seguito
alla conquista del Regno di Sicilia. Machilone sarà in ogni caso rapidamente
integrata nella frontiera angioina, il cui sistema di difesa prevedeva che il confine
fosse superabile solo attraverso valichi ben definiti. La riprova di questa
integrazione è che Machilone fornisce tra il 18 e il 23 luglio 1269 ben otto fanti ai
custodi delle strade e dei passi da Machilone a Rieti e da Montereale a Rocca di
Corno e Valle di Narni14 e altri due fanti ai custodi delle strade e dei passi da
Aquila a Machilone e Valle di Corno15, cosa che evidenzia anche come il castello
11 M. Michaeli, Memorie storiche della Città di Rieti e dei paesi circostanti dall’origine all’anno 1560, vol.
3, Tipografia Trinchi, Rieti 1898, pp. 118-122. V. anche M.T. Caciorgna, “Confini e giurisdizioni
tra Stato della Chiesa e Regno”, in E. Hubert (a cura di), Une région frontalière au Moyen Âge. Les
vallées du Turano et du Salto entre Sabine et Abruzzes, École française de Rome, Rome 2000, pp. 317-
318, e Leggio, Il castello di Machilone, cit., p. 37. 12 RCA, vol. 3, p. 14, n° 86; B. Mazzoleni (a cura di), Gli atti perduti della Cancelleria angioina
trasuntati da Carlo de Lellis, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, Roma 1939, vol. 1, p. 288, n.
56. Gerardo di Marsiglia fu nominato in seguito castellano di Corfù a partire dal marzo del 1272:
RCA, vol. 8, p. 120, n° 49; pp. 176-177, n° 445; v. anche C. Minieri Riccio, Cenni storici intorno i
grandi uffizii del Regno di Sicilia durante il regno di Carlo I. d’Angiò, Stabilimento tipografico
Partenopeo, Napoli 1872, p. 51. Nel 1275 è castellano di Nicastro: E. Sthamer, L. Penza, Le liste dei
castellani del Regno di Sicilia nel lascito di Eduard Sthamer, M. Congedo, Galatina 2002, p. 70. Ricoprì
a partire dal 1279 diversi incarichi che lo portarono da provisore delle navi a responsabile della
ristrutturazione e del rafforzamento dei castelli pugliesi, da maestro della marescallia a
viceammiraglio, ed è e tra i milites che firmano l’accordo tra Carlo I e il re d’Aragona nel 1283: v.
S. Morelli, Per conservare la pace: i Giustizieri del regno di Sicilia da Carlo I a Carlo II d’Angiò, Liguori,
Napoli 2012, pp. 216 e 292. 13 T. Leggio, Il castello di Machilone, cit., p. 37, in cui tuttavia la data della nomina di Gerardo di
Marsiglia è spostata al 1272. 14 RCA, vol. 6, p. 259, n° 1400. 15 RCA, vol. 6, p. 260, n° 1402. Con 8 fanti forniti ai custodi delle strade e dei passi da Machilone
a Rieti e 2 fanti forniti a quelli delle strade e dei passi da Aquila a Machilone e Valle di Corno,
Machilone offre in totale ben 10 fanti, risultando il centro che mette a disposizione più soldati,
mentre L’Aquila, che pure è ben più grossa, è seconda con 8.
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si trovasse a fare da collegamento tra il livello più esterno e quello più interno
della strategia angioina di difesa e di controllo del confine16.
Nei primi mesi del 1272 troviamo Pietro de Verberia17 capitaneum et vicarium
terrarum Machilonensium, mentre nel febbraio dello stesso anno la capitanìa è
presentata come composta dalle terre di Machilone e Monticelli18, e al fianco di
Pietro è menzionato anche Guelfo da Lucca, definito iudicatus e assessore.
Nell’agosto 1272 è invece Hennectus de Guerardo, valletto e familiare regio, a essere
detto “capitaneum et vicarium terre dominorum et hominum Machilonis et castri
Montiscollis [Monticelli]”19. La capitanìa, che era stata costituita nel 1269, è
attestata per l’ultima volta nell’ottobre del 127220, quando il Capitaneus Machiloni
et Monticelli riceve l’ordine di chiedere agli uomini di Machilone 12 once d’oro
per risarcire il cavallo perso a Lucera da Iacopo, figlio quondam militis Transerici
de Machilone, uno dei membri della consorteria, che aveva partecipato all’assedio
– non sappiamo tuttavia se da solo o con altri consorti. La presenza di un
esponente dei de Machilone all’assedio di Lucera è probabilmente il sintomo di un
avvicinamento tra la consorteria e i sovrani angioini. Tale eventualità pare
confermata dal sostegno che il 6 ottobre 127221 Carlo d’Angiò accordò ai de
Machilone in occasione della ribellione degli homines casalis Bordonis, loro vassalli
che, banditi dai loro signori, si erano rifugiati a L’Aquila, Amatrice, Arquata e
Montereale, dalle quali il sovrano diede ordine che fossero scacciati.
Nel 1279, Carlo d’Angiò convocò i feudatari abruzzesi a Sulmona perché si
presentassero al Giustiziere d’Abruzzo per dichiarare il valore dei beni in loro
possesso22, e in quell’occasione venne stilato un elenco dei membri della
16 Cfr. T. Leggio, Ad fines regni: Amatrice, la Montagna e le alte valli del Tronto, del Velino e dell’Aterno
dal X al XIII secolo, Edizioni Libreria Colacchi, L’Aquila 2011, p. 230: “Nel 1269-1270 al momento
della sospensione della carica di capitano generale, ripresa poi dal 1284, furono istituite almeno
tre capitanìe – Amatrice, Montereale e Machilone-Monticelli –, scaglionate in profondità lungo le
due principali vie di comunicazione della zona, le alte valli del Velino-Tronto e dell’Aterno,
mentre una quarta, L’Aquila, appena ricostruita dopo la distruzione manfrediana, era
maggiormente arretrata, con lo scopo abbastanza evidente di attuare un controllo più attento, ma
più discreto e di seconda fascia”. 17 RCA, vol. 8, p. 109, n° 99. 18 RCA, vol. 8, p. 141, n° 211. 19 RCA, vol. 8, pp. 109, 141, 157, nn° 99, 211, 335. 20 RCA, vol. 9, pp. 100-101, n° 106. 21 RCA, vol. 9, p. 99, n° 102. 22 Si trattava di un raduno per l’autodichiarazione al fine del calcolo dell’adoa (o adoha), ovvero
la tassa che i baroni potevano pagare anziché prendere parte al servizio militare. A.L. Antinori,
Raccolta di memorie istoriche delle tre province degli Abruzzi, vol. 3, Giuseppe Campo, Napoli 1782,
pp. 154-156, descrive la vicenda in questo modo: i feudatari “che avessero terre o beni feudali in
capite della Corte Regia, muniti d’armi e cavalli e cose opportune, decentemente con tutto il
servizio cui erano tenuti per dette terre e feudi”, erano chiamati a presentarsi davanti al
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consorteria. In tutto ventitré, erano rappresentati da Giovannone di Rainaldo e
Matteo di Tommaso, i quali riferirono che la consorteria possedeva pro indiviso il
castello di Machilone e disponeva di circa duecento vassalli. L’indagine compiuta
dagli ufficiali del sovrano concluse che per le proprie terre la consorteria doveva
al sovrano il servizio di due militi23. È passato oltre un secolo, ma lo scarto tra i
sette militi dovuti all’epoca del Catalogus Baronum e i soli due del 1279 è
abbastanza rilevante da far sospettare una notevole riduzione del potere e dei
beni della consorteria.
Con la morte di Carlo d’Angiò nel 1285 e l’interregno conseguente alla
prigionia di Carlo II, i de Machilone, le cui terre si trovavano al confine del Regno,
si trovarono costretti a pianificare e mettere in atto strategie per salvaguardare la
propria posizione. Il 21 marzo 128624 strinsero pertanto un accordo con il comune
di Rieti, stabilendo che il capitano o rettore della Terra Machilonese, nonché il
giudice e il notaio, potevano essere scelti tra i cittadini reatini, sia pure inserendo
una clausola che garantiva il rispetto dei diritti della Curia angioina25. I de
Machilone erano chiamati anche a inviare ogni anno a Rieti un palio, come segno
di sottomissione, in occasione della festa di S. Maria, che si teneva a settembre26;
la pena in caso di mancato rispetto dei patti era fissata a mille marchi d’argento.
A sottoscrivere l’accordo per conto di Machilone fu il nobilis vir Arcangelo domini
Muntialli, membro della consorteria fino ad allora sconosciuto e assente anche
dall’elenco dei feudatari relativo alla mostra di Sulmona del 127927. Nel
Giustiziere d’Abruzzo così che si potessero registrare “i nomi delle persone e delle terre e la
summa della tassa annuale, o sia del servizio, che erano tenuti a prestare al Re. Perciocché taluni
erano assenti, mandarono i loro Procuratori con cavalli, palafreni, giumenti e armi; e perciocché
di alcune terre erano molti i Signori, talora vennero alla mostra uno, o due di essi, e la fecero nel
proprio nome e in nome de’ loro consorti” – i de Machilone adottarono evidentemente quest’ultima
strategia. Sulla mostra di Sulmona del 1279 vedi anche B. Pio, Il governo delle province nelle scritture
dei giustizieri: considerazioni sul servizio militare di natura feudale nel regno di Carlo I d'Angiò, in «Studi
Medievali», serie 3, vol. 59 (2018), pp. 113-140, pp. 127-137. 23 T. Leggio, Il castello di Machilone, cit., p. 37. V. anche M. Zelli, Narnate: storia di un territorio di
frontiera tra Spoleto e Rieti dall'VIII al XIII secolo, L'Erma di Bretschneider, Roma 1997, p. 101. 24 Archivio di Stato di Rieti, fondo membranaceo, P-9/274. 25 T. Leggio, Ad fines regni, cit., pp. 239-240, nota 1309. Cfr. T. Leggio, Il castello di Machilone, cit., p.
38. 26 T. Leggio, “Il convento di S. Domenico nel paesaggio urbano di Rieti del primo medioevo”, in
AA. VV., La chiesa di San Domenico. Testimonianze d’arte, storia e fede, M. Rinaldi S. R. L., Rieti 1995,
pp. 45-78: p. 63; M.T., Caciorgna, Confini e giurisdizioni, cit., pp. 322-323. 27 I membri della consorteria elencati in quest’occasione sono Giovannone di Rainaldo e Matteo
di Tommaso, che rappresentano “Alebrandino domini Antonii, domino Bartholomeo Philippi,
Oguiczono domini Bartholomei, Odono domini Berardi, Andrea domini Gentilis, Matheo domini
Iohannis, Iacobo domini Ade, Raynono domini Bartholomei, Odone domini Aczulini, Thomasio
domini Berardi, Andrea Iacobi, Nofrio Iacobi, Thomasio Alonerii, Rofono domini Berardi, Petro
domini Gentilis, Francisco Codaldi, Berardo domini Transerici, Petro Pauli, Georgio Pauli,
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documento, Machilone è indicata con una terminologia poco chiara, che sembra
voler essere omnicomprensiva: si parla infatti di Civitate castrum universitate seu
conllegium seu conmunitatis. Non abbiamo notizia di cittadini reatini a Machilone
– le fonti sono tuttavia estremamente scarse – e pertanto non sappiamo se questo
trattato fu mai effettivamente applicato; se anche lo fu, certo non durò a lungo,
perché venne meno con il ritorno nel Regno di Carlo II.
L’ultimo scorcio del XIII secolo non ci fornisce molte altre informazioni su
Machilone e la sua consorteria nobiliare: sappiamo però che sul finire del
Duecento sulle terre stesse dei de Machilone cominciò a prendere forma una nuova
universitas chiamata Posta Reale, attestata il 26 marzo 129928 ma probabilmente
risalente almeno all’anno prima. Tale comunità era sorta in seguito alla richiesta
degli abitanti di alcuni insediamenti della regione, che avevano ottenuto
l’assenso di Carlo II d’Angiò, il quale, presumibilmente in perfetto accordo con i
richiedenti, aveva posto la condizione che il nuovo centro fosse parte del
demanio regio e pagasse le tasse direttamente al sovrano29. Pochi mesi dopo la
nascita di Posta Reale, l’esercito dell’Aquila pose sotto assedio il castello di
domino Machilono, domino Paulo consortibus eorum, pro terra Machilionensi” (Archivio di
Stato di Teramo, Fondo Delfico, busta 23, fascicolo 365, f. 1rv). Il documento è trascritto anche in
A.L. Antinori, Raccolta, pp. 154-156 e A.L. Antinori, Annali degli Abruzzi, facsimile del manoscritto
autografo inedito presso la Biblioteca Provinciale “Salvatore Tommasi” dell’Aquila, Forni,
Bologna 1971, vol. 8, pp. 389-390; in quest’ultimo tuttavia il documento è descritto come relativo
al 1213: si tratta però dello stesso testo, palesemente mal datato, come emerge chiaramente dal
confronto dei nomi dei consorti (cfr. T. Leggio, Il castello di Machilone, cit., p. 37 in nota). L’assenza
di Arcangelo domini Muntialli potrebbe spiegarsi con la sua minore età all’epoca della mostra di
Sulmona – risulta quantomeno anomalo, però, che non vi sia traccia di suo padre. Dal momento
che i due eventi distano tra loro solo sette anni, la circostanza si spiega solo con un errore o con
una incompletezza della trascrizione antinoriana. 28 E. Gentile, Le pergamene di Leonessa depositate nel R. Archivio di Stato di Napoli, Soc. Poligrafica F.
Salvati, Foligno 1915, pp. 28-30, n° 17. Il documento regestato dal Gentile è una copia del 3
gennaio 1374 di due diversi atti, datati 26 marzo e 26 aprile 1299. La copia è eseguita su richiesta
di Angeluccio Lozzi di Leonessa, camerario cittadino, con l’autorizzazione del sapiens vir dominus
Antonio Cole de Amelia iudex communis et terre Gonesse, alla presenza di testimoni, tutti leonessani.
All’epoca era in corso una controversia tra Leonessa e Posta circa il possesso del castello di
Santogna, che andava avanti da circa cinquant’anni (almeno a partire dal 1325) con risultati
alterni: è dunque possibile che il documento sia stato manipolato, ma la distruzione delle
pergamene di Leonessa, custodite insieme all’Archivio Angioino, non permette di risolvere il
dubbio. Il notaio che curò l’atto del 1299 era Andrea Magistri Gualterii publicus gonesse auctoritate
Regia notarius, che aveva già rogato un accordo con Cascia del 1289. L’inclusione di Santogna tra
le proprietà leonessane al momento di stabilire i confini tra Leonessa e Posta potrebbe essere
dipesa anche dal trasferimento degli abitanti di Santogna a Leonessa in seguito al terremoto del
1298, ma la notizia, riportata da M. C. Rossini, La Sabina e le città di nuova fondazione: il caso di
Leonessa, in L. Cassanelli (a cura di), Leonessa: storia e cultura di un centro di confine, La nuova Italia
Scientifica, Roma 1991, pp. 39-55: p. 43, non è confermata da altre fonti. 29 A.L. Antinori, Annali, cit., vol. 10, cc. 532-534; A.L. Antinori, Corografia, cit., vol. 37, pp. 374-375.
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Machilone e, a dispetto dell’ordine di Carlo II di ritirarsi30, lo espugnò il 1° agosto
129931, demolendolo poi completamente.
La tradizione storiografica attribuisce la distruzione di Machilone alla
gelosia aquilana, scatenata dall’edificazione di Posta in posizione tale da poter
controllare i traffici settentrionali della città32, che proprio per questa ragione
avrebbe attaccato i maggiori sostenitori dell’iniziativa. Si tratta tuttavia di una
spiegazione poco convincente: perché demolire Machilone e non la neonata
Posta, situata poco distante e certo meno difendibile del castello, che era per di
più sede di una consorteria nobiliare? E perché non attaccare anche Montereale,
centro urbano situato sulla stessa strada che conduce a Posta e ben più grande di
quest’ultima, che avrebbe dunque dovuto costituire una minaccia ben maggiore?
30 Regia Munificentia erga Aquilanam urbem variis privilegiis exornatam, manoscritto, L’Aquila 1639,
pp. 4-5, contiene il perdono regio che il sovrano elargì agli aquilani dopo la distruzione di
Machilone. La formulazione della descrizione degli eventi (“Sane licet diebus istis Universitas
hominum Civitatis Aquilae mandata nostra seu nostrorum Officialium ex parte nostri culminis
eis facta, quod ab obsidione Castri Macchiloni certo modo discenderent, temere inconsulteque
spernentes recedere inde noluerint, quinimo ad combustionem et dirutionem ipsius Castri
propria authoritate processerint”) induce T. Leggio, Il castello di Machilone, cit., p. 38, a supporre
che la spedizione fosse avvenuta per ordine del sovrano e dei suoi ufficiali, e che la decisione di
interrompere l’assedio fosse stata presa in seguito a un accordo tra i rappresentanti del sovrano
e la consorteria. 31 Buccio di Ranallo, Cronica, ed. C. De Matteis, Edizione del Galluzzo per la Fondazione Ezio
Franceschini, Firenze 2008, p. 61, stanze 195-196. 32 A.L. Antinori, Annali, cit., vol. 10/2, pp. 532-534: “Diede quella concessione di gran gelosia
all’Aquila. Benché tutti quei luoghi non fossero compresi nel suo contado, né in esso numerati
dal Re, pur nondimeno credettero pregiudicio quella nuova unione di ville a formare all’esempio
dell’Aquila un nuovo corpo di comunità a confini di suo territorio. Perché ben viddero che la
forza maggiore si faceva da Signori di Machilone, andò il Comune dell’Aquila contro di quel
Castello; avuto dal Re ordine di desistere, alcuni de Cittadini ostinati proseguirono nell’assedio”;
A. Clementi, La formazione del confine settentrionale del Regno di Sicilia al tempo dei primi Angioini, in
W. Capezzali (a cura di), Celestino V e i suoi tempi: realtà spirituale e realtà politica, atti del IV
Convegno storico internazionale, Arti Grafiche Aquilane, L’Aquila 1990, pp. 55-70: pp. 66-67:
“Questa posizione geografica giustifica quindi l’esplosione di gelosia degli Aquilani. Quale
valore avrebbe assunto la presenza di una città demaniale ai confini estremi del regno?
Indubbiamente quello della perdita della situazione privilegiata in cui la città si trovava, anche
in virtù della singolarità della posizione geografica. L’Aquila sarebbe divenuta in un certo senso
più interna al regno e nelle sue mosse (non bisogna dimenticare che fin dall’inizio l’Aquila giocò
le sue carte tra Papi e Svevi) sarebbe stata sempre condizionata dalla politica della nuova città”.
La stessa interpretazione si trova anche in R. Colapietra, Il ruolo di Posta nella storia dell’Aquila, in
700 anni di Posta Reale, cit., pp. 45-54, pp. 46-47; M. R. Berardi, Antrodoco: un castrum di confine tra
età sveva e angioina, Gangemi Editore, Roma 1995, p. 19. Diversamente l’Antinori, in Corografia,
cit., vol. 37, pp. 375: “Circa il 1300. Per l’avvenuta distruzione di Machilone fu edificata
all’Occidente di quello, e di là del fiume Velino, in somma dirimpetto alle Ruine ed al Colle d’esso
Machilone l’Apposta, e si vuole ciò avvenuto circa il detto anno”; ma Posta esiste, come abbiamo
visto, da prima della distruzione di Machilone.
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L’Aquila, per di più, si era impegnata personalmente per favorire l’edificazione
di Posta, facendo da garante presso il sovrano per la somma che i lapostani
avevano promesso di versare alla Curia regia in cambio dell’autorizzazione a
edificare il nuovo insediamento33. Il problema evidentemente non era la presenza
di un’universitas demaniale, bensì la consorteria nobiliare, i cui interessi
dovevano essere in contrasto con la politica aquilana. Non stupisce dunque che
gli abitanti dell’Aquila fossero ben contenti di pagare una salata multa a Carlo II
– più di tremila once d’oro – pur di rimuovere l’ostacolo.
La localizzazione strategica del castello ci è confermata dal fatto che nel 1301
L’Aquila spese altre mille once per acquistare il monte di Machilone dalla
consorteria34 con la clausola che non vi fosse mai più edificato niente, mentre i de
Machilone conservavano i loro diritti e possessi nel territorio circostante. Tale
accordo tra i cittadini aquilani e nobiles Castri Machiloni ottenne anche il
beneplacito regale: Carlo II confermò infatti il trattato il 29 agosto 130135, in
cambio dell’impegno aquilano a versare altre settecento once nelle casse regie36.
Inizialmente la rendita del monte di Machilone fu adoperata per garantire il
mantenimento di alcune donne machilonesi37 che dopo la distruzione del castello
erano state condotte a L’Aquila, dove erano andate ad abitare in un monastero,
istituito per l’occasione e dedicato a S. Tommaso38.
33 A.L. Antinori, Corografia, cit., vol. 37, p. 376: “Nel 1301. Avevano convenuto gli uomini della
Posta di pagare alla Corte per l’edificazione di quella Terra una certa quantità di denaro, della
quale restavano ancora debitori di trecento once d’oro colla cauzione della Città dell’Aquila,
quando essi avessero mancato nel termine stabilito, come avvenne talché la Città pagò ottocento
once, e per la restituzione mancata da quei della Terra in lungo dovette far costringere per via di
ricorso al Re nel detto anno”; A. Clementi, M. R. Berardi (a cura di), Regesto delle fonti archivistiche
degli Annali Antinoriani: vol. 3-17, Deputazione Abruzzese di Storia Patria, L’Aquila 1980, p. 40,
tratto da A.L. Antinori, Annali, cit., vol. 10/2, p. 581: “Il re ordina a Riccardo di Gambatesa,
capitano di Aquila e maestro dei passi d’Abruzzo, di costringere gli uomini della Posta a pagare
le ottocento ottanta once dovute da essi alla città dell’Aquila che le aveva per essi pagate alla
Corte alla quale erano dovute dall’università della Posta per l’edificazione della loro terra”. 34 A.L. Antinori, Annali, cit., vol. 10, p. 578; A.L. Antinori, Corografia, cit., vol. 34/1, p. 9. 35 Regia Munificentia, cit., pp. 5-6. 36 Regia Munificentia, cit., p. 9, del 7 novembre 1301. 37 A.L. Antinori, Annali, cit., vol. 10, p. 580. V. anche Cronaca Aquilana rimata di Buccio di Ranallo di
Popplito di Aquila, ed. V. De Bartholomaeis, in Fonti per la Storia d’Italia, n° 41, Istituto Storico
Italiano, Roma 1907, p. 44. Si trattava di donne di buona famiglia, stando alla descrizione che ne
fa Buccio in due occasioni, affermando che vinnero in povertate no sapendo guadangiare (Buccio di
Ranallo, Cronica, cit., p. 62, stanza 198) e che erano jentili donne, sì como se contone (Buccio di Ranallo,
Cronica, cit., p. 63, stanza 199). 38 Descritto dal Catalogus Pontificum Aquilanorum ab anno 1254 ad 1472 in L. A. Muratori,
Antiquitates Italicae Medii Aevi, ed. anast. Forni, Bologna 1965, vol. 6, coll. 927-975: col. 959 come
situato “retro ecclesiam fratrum minorum alias vocatum Monasterium de Macchilone situm in
civitate Aquile”. L. A. Muratori, Antiquitates Italicae Medii Aevi, cit., vol. 6, p. 570, nota 45, specifica
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Dopo la distruzione del castello e l’acquisto del monte da parte degli
aquilani, alcuni abitanti di Machilone si trasferirono in città39, altri si spostarono
altrove40, e non abbiamo informazioni certe su dove andò a vivere la consorteria.
La presenza di un locale41 machilonese a L’Aquila risulta attestata soltanto negli
anni Cinquanta del XIV secolo42, nel quarto di S. Giovanni ma in prossimità del
locale di S. Vittorino (che afferisce invece al quarto di S. Pietro), quindi nell’area
cittadina più legata all’antica nobiltà amiternina, e in particolare alla consorteria
dei Camponeschi43.
che non si tratta della chiesa di S. Tomaso, Commenda Gerosolimitana, bensì di un’altra chiesa.
Cfr. R. Colapietra, Cultura e società all’Aquila tra angioini e spagnoli, Sicania, Messina 1993, pp. 43-
46, che afferma che il monastero sorgeva nei pressi della Cattedrale. Il monastero ricevette nel
1300 un lascito dal cardinale Tommaso d’Ocre, dove le monache sono denominate “di Machilona,
senza altro aggiunto” (A.L. Antinori, Corografia, cit., vol. 34/1, pp. 8-9). 39 A. Clementi, M. R. Berardi (a cura di), Regesto delle fonti archivistiche, cit., p. 15, attesta una
controversia tra il vescovo e il capitolo della cattedrale, da una parte, e le parrocchie di San
Vittorino e di S. Maria de Civitate, dall’altra: il vescovo e il capitolo richiedevano “che gli uomini
di Machilone diruto, venuti ad abitare in Aquila nei locali delle due chiese, siano parrocchiani
della Cattedrale in quanto forestieri”. V. anche Ivi, p. 239: “Angelica moglie di Jacopuccio di Paolo
di Gerardo di Machilone compera case nel locale di S. Vittorino” con istrumento rogato il 7 ottobre
1314 in Aquila, dal notaio Giovanni di Gentile di don Pietro di S. Vittorino. Non sappiamo invece
dove abitasse Lalle di Filippo di Machilone, che A.L. Antinori, Corografia, cit., vol. 34/1, p. 4,
riporta come nominato in alcuni contratti fin dal 1301. 40 Abbiamo attestazione ad esempio del dompnus Nicola notarius Pacis quondam de Macchilonis tra
i testimoni di una revoca di terre date in beneficio, in feudo o in uso dalla chiesa reatina, rogata a
Rieti il 16 dicembre 1313 (Archivio Diocesano di Rieti, fondo Archivio Capitolare di Rieti,
Armadio IV, fascicolo O, n° 6, pezzo 291) e di una Gentilina di Machilone “che aveva trasferita la
sua residenza in Paterno, e quivi edificato Monistero” (A.L. Antinori, Corografia, cit., vol. 34/1, p.
10), dal quale nel 1327 si spostò presso quello cistercense di S. Maria Maddalena di Chieti. 41 Ovvero di una frazione interna alla città: L’Aquila fin dalla sua ricostruzione si ripartì infatti in
settori corrispondenti agli insediamenti che avevano partecipato alla fondazione della stessa, e
tale pratica fu seguita anche dagli insediamenti annessi in seguito. 42 Un atto di vendita del 27 aprile 1354 annovera tra i testimoni “Iohannes Offreductii de
Machilono de Aquila”, cittadino aquilano (Archivio di Stato dell’Aquila, fondo Famiglia Rivera,
secondo versamento, n° 538/R), mentre A.L. Antinori, Corografia, cit., vol. 34/1, p. 6, riferisce che
nel 1365 “aveva Machilone il suo locale nell’Aquila presso il locale di S. Vittorino; e Buccio di
Paolo di Machilone contrasse per l’ipoteca d’una casa in questo secondo”. 43 I legami tra i Camponeschi e i de Machilone sono poco chiari, e secondo alcuni studiosi i de
Machilone potrebbero essere uno dei rami della consorteria dei Camponeschi. Sono presenti
diversi indizi di un certo interesse: l’esistenza a pochi chilometri da Posta, e quindi da dove si
trovava il castello dei de Machilone, di un luogo chiamato Villa annoverato tra le comunità
fondatrici di Posta, che al giorno d’oggi è denominato “Villa Camponesca”; la scelta dei primi
machilonesi inurbati a L’Aquila di stabilirsi a S. Vittorino, locale indubbiamente legato ai
Camponeschi; la presenza dei “sapientes nobiles et discreti viri Sir Matheucium domini Mathie
et Iandoctum Aduardi de Canponiscis de Aquila” come procuratori delle monache del monastero
di S. Felice di Posta, che si definiscono tutte de Machilonis e che il 5 ottobre 1343 chiedono al
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Nel corso della prima metà del XIV secolo abbiamo notizia di numerosi
problemi tra i de Machilone e i loro ex-vassalli: il 12 aprile 1309 i nobili ottennero
infatti un ordine del sovrano a garanzia di alcuni diritti di passaggio e
plateatico44, contestati dai loro “antichi vassalli”, cui aveva dato ragione una
sentenza arbitrale di Guglielmo Recuperantio dei Visconti di Pisa, Capitano
dell’Aquila; il 24 maggio 1315 invece re Roberto confermò un’esenzione dal
tributo annuo già accordata loro da Carlo II in quanto erano stati “privati dei loro
vassalli e dei loro beni”45, cosa che fa pensare a uno stato di povertà cronica46; il
24 marzo 1319 riuscirono infine a manipolare l’apprezzo, ossia la valutazione dei
beni mobili e immobili degli abitanti di una terra fatta allo scopo di garantire una
ripartizione equa delle imposte, “ai danni dei popolani, […] in modo tale che il
peso quasi totale delle imposte ricadesse sulle spalle dei loro nemici”47.
Evidentemente tra la consorteria e i lapostani non correva buon sangue, e
qualche problema sorse anche tra i machilonesi trasferitisi a L’Aquila e gli
aquilani stessi, se nel 131648 la città si riappropriò della rendita del monte,
vescovo di Rieti la conferma della nomina della badessa (Archivio Diocesano di Rieti, fondo
Archivio Capitolare di Rieti, Armadio VI, fascicolo G, n° 15); il ripetuto passaggio di Lalle
Camponeschi a Posta tra 1338 e 1339 in occasione del conflitto tra lui e il tiranno Bonagiunta
(narrato da Buccio di Ranallo, Cronica, cit., p. 138 stanza 440 e p. 176 stanza 567, in cui Lalle tende
agli uomini di Bonagiunta un’imboscata proprio presso Posta). Zelli riferisce inoltre che “Santa
Croce di Borbona, matrice dell’antico territorio indiviso della consorteria dei Camponeschi […]
rispetta con le sue cappelle l’antica corte di Vallante nei luoghi di Sigillo, Posta, Machilone,
Bacugno, Lama e Albaneto, mentre la chiesa di Santa Rufina di Machilone con le cappelle in
Albaneto, Favischio, Santogna e Petra designa l’antico territorio dei Camponeschi in Narnate in
possesso del ramo dei Machilonensi” (M. Zelli, Narnate, cit., p. 31). 44 R. Caggese, Roberto d’Angiò e i suoi tempi, vol. 1, Bemporad, Firenze 1922, pp. 60-61. V. anche S.
Sicola, Repertorio 15, manoscritto custodito presso l’Archivio di Stato di Napoli, p. 272, che per il
1308 annota: “Machiloni Castri nobilium manutentio in possessionem super plateiis, et passagiis
in Terra de la posta”. 45 R. Caggese, Roberto d’Angiò, cit., vol. 1, p. 242. 46 Eventualità non infrequente in seguito alla nascita di un nuovo centro urbano: per esempio
alcuni feudatari del territorio aquilano (ovvero i signori di Paganica, Assergi, Fagnano, Sinizzo,
Bagno e Camarda) ancora nel 1311, a oltre cinquant’anni dalla ricostruzione della città, chiesero
(forse non per la prima volta) a re Roberto una riduzione del contributo feudale a causa della
perdita di vassalli e redditi in seguito alla fondazione dell’Aquila (A. Rotellini, Aristocrazia e potere
nell’Abruzzo interno medievale, Edizioni Libreria Colacchi, L’Aquila 2015, p. 61; v. anche C. Franchi,
Difesa per la fedelissima città dell’Aquila contro le pretensioni de’ Castelli, Terre e Villaggi che
componevano l’antico contado aquilano. Intorno al peso della buonatenenza, nella stamperia di Giovanni
di Simone, Napoli 1752, pp. 145-146; R. Trifone, I confocolieri dei castelli diruti aquilani con particolare
riguardo a quelli della Genca: parere per la verità nella causa davanti alla corte d'appello di Roma (sez.
spec. usi civici) tra i marchesi Cappelli e il comune di Aquila, Tipomeccanica, Napoli 1939, pp. 27-28). 47 R. Caggese, Roberto d’Angiò, cit., vol. 1, pp. 316-317. Cfr. T. Leggio, Il castello di Machilone, cit., p.
39. 48 A.L. Antinori, Annali, cit., vol. 10, p. 580.
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sottraendola alle donne di Machilone, che, rimaste senza mezzi con cui
sostentarsi, vennero ine biasemo49, così che il vescovo aquilano le cacciò dalla città50.
Tra gli ultimi possibili, non certi, membri della consorteria di cui abbiamo
notizia è fra’ Nicola da Machilone, descritto come uomo di grande cultura, retto
e probo, che Giovanni XXII elesse il 26 maggio 1326 vescovo dell’isola greca di
Scarpanto, all’epoca sotto il dominio veneziano. Fra’ Nicola risulta menzionato
per l’ultima volta ad Avignone nel 133451. Nel 1343 abbiamo invece notizia della
morte senza figli di Ciccarello Petri de Castro Machiloni del distretto aquilano, iure
longobardo vivens: per ordine di Giovanna I i beni feudali que Ciccarellus idem
immediate a regia curia tenuit quoad vixit vennero concessi ai fratelli del defunto,
ovvero Andrea, Massarello, Ciccarello, Lallo e Margherita de Machilono fratribus
et sorore sua, consobrinis52.
È dunque probabile che ancora alla metà del XIV secolo la consorteria
sopravvivesse, ma di certo in condizioni assai più precarie rispetto al secolo
precedente: la conquista angioina e la mancata integrazione nel circuito di potere
della nuova dinastia, unitamente alla crescita aquilana, ne avevano minato le basi
di potere, privandola dei suoi spazi di autonomia e delle sue fonti di
sostentamento.
2. de Roio
Il castello di Roio è uno degli insediamenti che nel 1254 parteciparono alla
fondazione della città dell’Aquila, ma la prima attestazione di una consorteria
nobiliare legata a questo castello risale al 1261, durante il regno di Manfredi di
Svevia, che nel 1259 aveva distrutto la città. Non pare dunque un caso che Tudino
de Rogia risulti, nel 1261, nel campo avverso a Manfredi: era infatti hostiario
49 Buccio di Ranallo, Cronica, cit., p. 63, stanza 199. 50 G. Pansa, Quattro cronache e due diarii inediti: relativi ai fatti dell’Aquila dal sec. XIII al sec.
XVI per la prima volta pubblicati con una dissertazione preliminare sulle fonti edite ed inedite
della storia aquilana con illustrazioni e note, Colaprete, Sulmona 1902, Cronaca di Bernardino da
Fossa, pp. 41-63: p. 46; A.L. Antinori, Annali, cit., vol. 11, p. 125; L. A. Muratori, Antiquitates
Italicae Medii Aevi, cit., vol. 6, coll. 561-564 nota 38. L’ultima notizia non è tuttavia confermata,
in quanto un Monasterio de Machilone, situato dentro L’Aquila, figura tra i destinatari di un
testamento del 28 novembre 1341: L. Rivera, Carte dell’Archivio Rivera, in «Bullettino della
Deputazione Abruzzese di Storia Patria» (d’ora in avanti «BDASP»), a. I, 2-3 (1910), pp. 79-86; a.
II, 3 (1911), pp. 59-86; a. IV, 1-3 (1913), pp. 91-136: a. II, 3, pp. 76-80, n° 14. 51 T. Leggio, Il castello di Machilone, cit., p. 39. Cfr. V. Di Flavio, Fra Nicola da Machilone Vescovo di
Scarpanto, in «Leonessa e il suo santo», a. IX, n° 62 (1974), pp. 119-120. 52 G. Buzzi, Documenti angioini relativi al Comune di Aquila dal 1343 al 1344, in «BDASP», a. III, 1-2
(1912), pp. 7-81: pp. 59-61.
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pontificio, inviato da Urbano IV al vescovo di Rieti perché riferisse un messaggio
“circa ecclesie romane negocia”53.
Dopo le vittorie angioine di Benevento (1266) e di Tagliacozzo (1268) diversi
esponenti della fino ad allora sconosciuta consorteria (assente nel Catalogus
Baronum e più in generale nelle fonti precedenti la metà del XIII secolo)
cominciarono a comparire tra gli ufficiali al servizio di Carlo d’Angiò. Il primo di
cui si ha notizia è il miles Andrea de Rodio, che figura in qualità di custode delle
strade e dei passi da L’Aquila a Machilone e nelle valli di Corno e S. Chirico nel
126954. Nella seconda metà del 1271, Andrea de Roio ricoprì anche brevemente la
carica di capitano di Montereale55, prima di essere nominato custode delle strade
dell’Aquila insieme a Guglielmo de Brenda l’anno seguente56.
Nel 1278 il miles Teodino de Roio risulta tra i membri della commissione
incaricata da Carlo d’Angiò di provvedere alla scelta del luogo in cui fondare
Leonessa57, della quale fu poi capitano regio fino alla morte, avvenuta l’anno
successivo. L’incarico fu allora trasferito al figlio Berardo, che sarebbe rimasto a
Leonessa fino al 1281 inoltrato58. Il fatto che la capitanìa di una città ancora in
corso di edificazione, per di più snodo importante in una regione di confine
caratterizzata fino a quel momento da ribellioni e instabilità diffusa, sia stato
passata dal padre al figlio induce a ipotizzare che i de Roio rappresentassero per
il sovrano una garanzia di stabilità e sicurezza nella zona. La fiducia che il
sovrano nutriva in Berardo de Roio è inoltre attestata il 2 marzo 1281, quando
Carlo d’Angiò gli scrisse lamentando eccessivi rallentamenti nei lavori di
riparazione della rocca di Ripa di Corno, sovrastante Leonessa, e incaricandolo
di adoperarsi perché le operazioni fossero completate al più presto, supportando
53 Archivio Diocesano di Rieti, fondo Archivio Capitolare di Rieti, Armadio I, fascicolo E, n° 4.
Potrebbe trattarsi dello stesso Teodino de Roio che nel 1278 fu capitano di Leonessa per Carlo
d’Angiò. 54 RCA, vol. 6, p. 260, n. 1402. 55 RCA, vol. 7, p. 227, n° 95. 56 RCA, vol. 8, p. 144, n° 235. V. anche T. Leggio, Ad fines regni, cit., pp. 236-237. 57 RCA, vol. 18, pp. 52-54, n° 112. Sulla fondazione di Leonessa v. A. Casalboni, «pro cohercitione
hominum»: Leonessa e le città di fondazione angioina ai confini del Regno di Sicilia tra XIII e XIV secolo,
in «Eurostudium», a. XII, n° 48 (Luglio-Settembre 2018), pp. 59-80. 58 RCA, vol. 21, p. 277, n° 167. Cfr. Dokumente zur Geschichte der Kastellbauten Kaiser Friedrichs
II. und Karls I. von Anjou, auf der grundlage des von Eduard Sthamer gesammelten Materials.
Bd. III, Abruzzen, Kampanien, Kalabrien und Sizilien, bbt. von H. Houben, hg. vom Deutschen
Historischen Institut in Rom, Tübingen 2006, pp. 37-46, nn° 1292-1308 e B. Mazzoleni (a cura di),
Gli atti perduti della Cancelleria Angioina, cit., vol. 1, p. 409; v. anche T. Leggio, Ad fines regni,
cit., p. 249, note 1363-1364. Teodino da Roio era ancora vivo il 16 luglio 1278: Dokumente zur
Geschichte, cit., p. 38, n° 1294. Berardo da Roio è definito “dottor di leggi” in A.L. Antinori,
Annali, cit., vol. 10, p. 636; in A.L. Antinori, Annali, cit., vol. 10/2, 498, 536 si fa menzione di
Berardo di Roio sostenendo che figurava “col titolo di Signore, forse come Dottor di leggi”.
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e controllando i responsabili. L’anno successivo, il 20 marzo 1282, a lavori ormai
conclusi, Berardo risulta poi a L’Aquila, tra i testimoni della fondazione della
chiesa di S. Agostino59. Negli anni seguenti le poche fonti a nostra disposizione
rendono difficile seguirne la vita: sappiamo tuttavia che fu tra i baroni abruzzesi
che prestano servizio nell’esercito regio nel 128860, quando è menzionato in un
elenco di nobili di primaria grandezza, come Carlo de Rayano, Matteo de
Acquaviva, Berardo de Aversa, Matteo de Plexiaco, Gentile e Bernardo de Sangro e
Amelio de Corbario.
La permanenza a L’Aquila dovette tuttavia farsi complicata per i de Roio,
coinvolti nelle faide interne alla città, se il 24 agosto 1292 il capitano regio
cittadino, Guidone de Monastay, accusò Andrea e Berardo di aver cospirato con
Tolomeo de Castellione e Corrado d’Antiochia, fedelissimi svevi e nemici di Carlo
d’Angiò; in quell’occasione il capitano riferì anche che, espulsi da L’Aquila, i due
de Roio avevano provato a rientrarvi, senza tuttavia riuscirvi. Il sovrano ordinò al
de Monastay di indagare sulla vicenda, e nel frattempo continuare a impedire ai
de Roio e ai loro fedeli l’accesso in città61.
La situazione fu probabilmente chiarita in tempi brevi, dal momento che nel
1294 Andrea de Roio ricopriva un importante incarico nell’ufficialità regia della
zona: era infatti capitano di Amatrice, Montereale, Accumoli e Leonessa62, vale a
dire della circoscrizione della Montagna, che includeva tutti i principali centri del
confine abruzzese. Non venne tuttavia meno il coinvolgimento della famiglia
nelle lotte intestine a L’Aquila: la Cronaca aquilana di Buccio di Ranallo menziona
infatti Berardo de Roio tra gli oppositori del capitano regio cittadino Guelfo da
59 G. Sabatini, Documenti aquilani dei secoli XIII, XIV e XV, in «BDASP», a. IX-X, 1 (1918-1919), pp.
187-230: p. 188. 60 G. Borrelli, Repertorium universale familiarum et terrarum existentium in Regestris Realis
Archivi M.R. Curiae Syclae Neapolis, 2 voll., manoscritti conservati presso l’Archivio di Stato di
Napoli, vol. 1, p. 106, lo cita come Berardo de Radi, ma i nomi degli altri baroni e il periodo storico
mi inducono a identificarlo con Berardo de Roio. 61 S. Morelli, Le carte di Léon Cadier alla Bibliothèque Nationale de France: contributo alla
ricostruzione della cancelleria angioina, École française de Rome, Roma 2005, pp. 127-129, n° 141.
V. anche M. Schipa, Un principe napoletano amico di Dante: Carlo Martello d’Angiò, I.T.E.A,
Napoli 1926, p. 170, nota 1: “Un Andrea Berardo da Rodio e un Tommaso Rogerii militi trovo già
esiliati dall’Aquila, per poi rientrarvi, senza regio permesso, a suscitarvi scandali e farvi omicidi,
prima del 3 settembre [12]93; Ref. 60, f. 256”. Si trattava, probabilmente, non di Andrea figlio di
Berardo ma di Andrea e Berardo de Roio. Guidone de Monastay accusa i de Roio anche di aver
cospirato con Nicola dell’Isola, un importante personaggio aquilano, sospettato di voler sobillare
una rivolta contro il sovrano; Buccio di Ranallo, Cronica, cit., stanza 172, p. 54, riferisce al
contrario che la famiglia dei Rojani si era fatta promotrice di una richiesta al Capitano Regio
dell’Aquila per la cattura di Nicola dell’Isola. 62 M. Chiarito, Repertorium et index regesti Caroli II (1294), manoscritto custodito presso l’Archivio
di Stato di Napoli con collocazione Ricostruzione angioina, Armadio 1, scaffale D, 34, pp. 27, 32, 88.
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A. Casalboni, Nobiltà di frontiera
Lucca sconfitti nel 130763. Il conflitto con il capitano aquilano proseguì, e secondo
Buccio di Ranallo Berardo riuscì a ottenere dal sovrano l’allontanamento di
Guelfo da Lucca, sostituito nell’incarico di Capitano dell’Aquila da Giovanni
Coppola64.
All’inizio del XIV secolo abbiamo notizia anche di altri esponenti della
consorteria, che risultano prevalentemente coinvolti nei circuiti dell’ufficialità
angioina. Si tratta dei figli di Berardo: Garofalo65, capitano ad Anagni nel 130966 e
a Cittaducale nel 131367; Nicola, che nel 1320 guidò la spedizione aquilana contro
Rieti68 e al ritorno in città fu portato in trionfo dalla popolazione; Giovanni,
podestà a Perugia nel 132769, familiare del capitano regio a Ortona l’anno
seguente70, capitano a L’Aquila nel 132971 e infine podestà a Cascia nel 133272.
All’inizio degli anni Venti del Trecento era intanto morto Berardo73, come
attestato in occasione di un atto di vendita del 22 novembre 132374, rogato ante
63 Buccio di Ranallo, Cronica, cit., stanza 200, p. 63. 64 Buccio di Ranallo, Cronica, cit., stanze 227-228, pp. 70-71. 65 M. Chiarito, Repertorium et index regesti Caroli II (1306-1307), manoscritto custodito presso
l’Archivio di Stato di Napoli con collocazione Ricostruzione angioina, Armadio 1, scaffale D, 38, p.
8 a t.: 1306-1307: “Carta dissentiones intra Thomasium da Curcumella et Tarofalum [Garofalo,
probabilmente] de Rodio de Aquila”. 66 M.T. Caciorgna, Ufficiali forestieri nel Lazio, in J.-C. Maire Vigueur (a cura di), I podestà dell’Italia
comunale, cit., vol. I, pp. 815-845: p. 842. La notizia è tratta da C. De Lellis, Notamenta, manoscritto
custodito presso l’Archivio di Stato di Napoli con collocazione Ricostruzione angioina, Armadio 1,
scaffale B, 13, vol. 3, 2, f. 1747. 67 S. Sicola, Repertorio 4 (Roberto), manoscritto custodito presso l’Archivio di Stato di Napoli con
collocazione Ricostruzione angioina, Armadio 1, scaffale C, 4, reg. 1313 A, p. 289. Garofalo morì
intorno al 1341 (Archivio di Stato dell’Aquila, fondo E.C.A., n° 6, è infatti rogato in quell’anno
infra pedem plathea ante domum heredes quondam Gariofoli de Rodio), presumibilmente senza eredi
diretti. 68 Buccio di Ranallo, Cronica, cit., stanza 266, p. 83: “su nel Carro sedea / et tanto triumphale che
Imperator parea”. V. anche M. Michaeli, Memorie storiche, cit., vol. 3, pp. 68-69. 69 Cronaca aquilana rimata, cit., p. 96. 70 S. Sicola, Repertorio 5 (Carlo illustre), manoscritto custodito presso l’Archivio di Stato di Napoli
con collocazione Ricostruzione angioina, Armadio 1, scaffale C, 5, reg. 1327 ex 28 C, p. 277. 71 S. Sicola, Repertorio 4 (Roberto), cit., 1329 D, p. 781. 72 Per la precisione nel secondo semestre, dal momento che è attestato il 22 novembre: v. V.
Giorgetti, A. Serantoni, I podestà di Cascia nel Medioevo. Aspetti e problemi del Comune nei secoli XIII-
XVI, Editrice grafica l'Etruria, Cortona 1989, p. 75. 73 Che, pur se evidentemente anziano, aveva nel 1317 ricoperto l’incarico di sindaco per L’Aquila:
G. Rivera, Catalogo delle scritture appartenenti alla Confraternita di S. Maria della Pietà dell’Aquila, in
«BDASP», a. XIII, 25 (1901), pp. 1-42; a. XIII, 26 (1901), pp. 33-70; a. XIV, 1-3 (1902), pp. 89-100,
179-196, 309-324; a. XV, 4-5 (1903), pp. 61-76, 133-158; a. XVII, 10-11 (1905), pp. 1-32, 177-198; a.
XVIII, 13-15 (1906), pp. 3-20, 113-134, 223-246: a. XIII, 25, p. 30 in nota. 74 L. Rivera, Carte dell’Archivio Rivera, cit., a. IV, 1-3, pp. 102-104, n° 6. L’atto è conservato presso
l’Archivio di Stato dell’Aquila, “Fondo famiglia Rivera, secondo versamento”, n° 638/R.
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domum filiorum quondam domini Verardi de Rodio sitam iuxta Forum, la Piazza del
Mercato a L’Aquila. L’anno successivo, il 9 settembre 1324, un altro atto risulta
rogato in foro publico ante domum Gariofoli de Rodio75, mentre un terzo atto, dell’11
giugno 1324, menziona case di proprietà di Andrea de Roio sulla pubblica piazza
aquilana76: all’epoca la famiglia de Roio doveva dunque possedere più di una casa
nella zona della piazza principale dell’Aquila77, indiscutibile segno di
preminenza sociale.
Il decennio successivo rappresentò tuttavia un periodo problematico per
l’intera città, divisa da lotte intestine tra le diverse fazioni che se ne contendevano
il controllo e spaccata ulteriormente dal tentativo di insignorimento portato
avanti da Bonagiunta Bonihominis, membro dell’antica famiglia dei de Poppleto,
forte dell’incarico di capitano regio. I de Roio si opposero alle manovre di
Bonagiunta, e il conflitto tra questi e Giovanni e Nicola de Roio giunse davanti
alla corte della Vicaria nel 133278 – non sappiamo tuttavia con quale esito. Un’altra
causa contrappose i due fratelli Giovanni e Nicola al nobile aquilano Teodino de
Petraccis e ai suoi figli nel 1334, ma anche qui possediamo ben pochi dettagli79, se
non che la causa terminò con una concordia approvata dalla città dell’Aquila80. A
fianco dei de Roio nell’opposizione a Bonagiunta vi erano i Camponeschi, altra
insigne famiglia aquilana, ed è proprio in compagnia di Lalle Camponeschi che
Nanni de Roio è accusato di aver compiuto scorrerie nel contado della città81.
Nanni era uno dei figli di Nicola, che era stato annalis iudex dell’Aquila nel 133182;
75 Archivio di Stato dell’Aquila, fondo E.C.A., n° 2, del 9 settembre 1324. La casa di Garofalo de
Roio è attestata dal 1304 a oltre il 1341 in M. Ruggiero Petrignani, Egemonia politica e forma urbana.
L’Aquila, città come fabbrica di potere e di consenso nel Medioevo italiano, Dedalo libri, Bari 1980, p. 45. 76 G. Rivera, Catalogo delle scritture, cit., a. XIII, 25, p. 14, n° 19. 77 Né erano questi gli unici beni di famiglia a L’Aquila e dintorni: Nicola de Roio vende infatti nel
1328 la dodicesima parte di una casa e di due mulini situati a Pile a Iacopo di Tommaso, detto
Gaglioffo, di S. Vittorino, uno dei più importanti mercanti aquilani dell’epoca (Ivi, p. 20, n° 31),
per 12 once d’oro: G. Rivera, Catalogo delle scritture, cit., a. XIII, p. 20, n° 31. Lo stesso mercante
quattro anni più tardi acquista, per lo stesso prezzo, anche un prato a Rocca S. Stefano da
Giovanni di Berardo de Roio (Ivi, p. 26, n° 46). 78 S. Sicola, Repertorio 4 (Roberto), cit., reg. 1332-1333, p. 941. V. anche Cronaca Aquilana rimata, cit.,
pp. 89-90 nota 1 e p. 96 nota 1. 79 S. Sicola, Repertorio 4 (Roberto), cit., reg. 1334-1335 C, p. 1077. Teodino de Petraccis di Aquila,
miles, possiede beni feudali in Aquila appartenuti a quondam Dominorum S.ti Vittorini et Preturi:
Ivi, reg. 1334-1335 C, pp. 835-836. Si tratta di un esponente della famiglia dei Pretatti, che negli
anni successivi saranno acerrimi nemici dei Camponeschi. 80 S. Sicola, Repertorio 16 (supplementum Roberti), manoscritto custodito presso l’Archivio di Stato
di Napoli con collocazione Ricostruzione angioina, Armadio 1, scaffale C, 16, p. 10. 81 Buccio di Ranallo, Cronica, cit., stanza 403, p. 125. Si trattava di Nanni figlio di Nicola, e non di
Giovanni figlio di Berardo, come evidente considerando che l’accusa di Buccio è relativa ad eventi
del 1337, quando Giovanni risulta morto nel 1336. 82 G. Rivera, Catalogo delle scritture, cit., a. XIII, 25, p. 30, in nota.
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dell’altro figlio, Gualterone, sappiamo solo che risulta tra i testimoni dell’atto del
9 settembre 1324. Anche Giovanni figlio di Berardo aveva avuto due figli, come
attestato nell’atto con il quale il 19 giugno 1336, in seguito alla morte del padre,
questi – Filippo detto “il Preposito” e Biagio detto “il Medico” –, vendono la casa
paterna presso la piazza del Mercato per l’ingente somma di 127 once d’oro83.
La sconfitta di Bonagiunta aveva intanto aperto la strada all’ascesa di Lalle
Camponeschi, cosa che portò i de Roio a scontrarsi con il loro antico alleato. Fu in
particolare Nanni a portare avanti il conflitto84, senza tuttavia riscuotere
particolari successi: fu infatti costretto a lasciare la città e per rientrarvi strinse nel
1345 una doppia alleanza matrimoniale con i Camponeschi85. Uno dei due
matrimoni si fece, l’altro no, e sulla tenuta della pace le cronache forniscono
resoconti discordi86. Nanni continuò comunque a influenzare la politica aquilana,
ricoprendo al contempo incarichi anche importanti al di fuori del Regno (è
senatore di Roma nel primo semestre del 136687), mentre nel 1371 firma un nuovo
istrumento di pace con i Camponeschi, rappresentati ora da Lalle II88.
Neanche quest’accordo con i Camponeschi si rivelò tuttavia stabile, dal
momento che Paolo figlio di Nanni risulta a capo dei fuoriusciti aquilani che
tentarono di rientrare, nottetempo, in città nel gennaio del 138589. Anzi
l’inimicizia si fece più forte: le cronache dell’epoca ricordano al 20 agosto 1400 la
morte di Paolo de Roio nell’incendio appiccato alla sua casa da Urbano
Camponeschi, mentre uno dei suoi figli, Giovanni, fu ucciso il giorno seguente in
83 G. Rivera, Catalogo delle scritture, cit., a. XIII, 25, p. 29, n° 59. A.L. Antinori, Annali, vol. 10, p. 201,
sostiene che la cifra fosse adeguata a una casa di grandi dimensioni. 84 È tra gli altri a Giovanni e a Cola (presumibilmente suo padre Nicola) de Roio che Buccio di
Ranallo dedica il sonetto IX tra quelli contenuti nella sua Cronica, in cui prega i capi dei fuoriusciti,
rientrati a L’Aquila, di mantenere la promessa di perdonare i nemici (Buccio di Ranallo, Cronica,
cit., sonetto IX, pp. 181-182). 85 Buccio di Ranallo, Cronica, cit., stanze 621-623, pp. 197-198. 86 G. Pansa, Quattro cronache, cit., Cronaca di Bernardino da Fossa, pp. 41-63: p. 53, riferisce che la
pace durò; Buccio di Ranallo, Cronica, stanze 621-629 pp. 197-198 scrive invece che, saltato il
matrimonio, Nanni de Roio fu costretto alla fuga. 87 G. Rivera, Catalogo delle scritture, cit., a. XIII, 25, p. 30, in nota. V. anche L. de Mas-Latrie, Trésor
de chronologie, d'histoire et de géographie pour l'étude et l'emploi des documents du Moyen Âge, Librairie
Victor Palmé, Paris 1889, p. 1730: “Nanni (Jean) de Rodio, d’Aquila, 1er semestre; Bindo des Bardi,
florentin, 2e semestre”. 88 L.A. Muratori, Antiquitates Italicae Medii Aevi, cit., vol. 6, p. 740 nota 37. 89 G. Pansa, Quattro cronache, cit., Cronaca di Bernardino da Fossa, pp. 41-63: p. 60, data l’evento al
2 di gennaio; Niccolò di Borbona, Cronaca di Niccolò di Borbona Aquilano. Delle cose dell'Aquila
dall'anno 1363 all'anno 1424, in L.A. Muratori, Antiquitates Italicae Medii Aevi, cit., vol. 6, coll. 851-
880: col. 858, al 15 dello stesso mese.
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piazza90. La famiglia tuttavia non si estinse, proseguendo con un altro figlio di
Paolo, Salvatore, attestato ancora nel Quattrocento inoltrato.
Conclusioni
Come abbiamo potuto osservare, a partire dalla metà del Duecento e per tutto il
Trecento le vicende delle due famiglie seguirono andamenti opposti. Da un lato
la consorteria dei de Machilone, antica e dotata di un nucleo di potere compatto,
anche abbastanza ricco, nonché di un discreto spazio di autonomia dovuto alla
propria posizione vicina al confine, che la porta ad avere contatti con Rieti e con
Spoleto, e non solo con il Regno. I de Machilone compiono tuttavia, nel 1266, la
scelta di campo sbagliata, schierandosi con Manfredi e per questo perdendo,
presumibilmente, una buona parte dei propri possedimenti. Si ritrova così
relegata in una posizione marginale e costretta a competere con la nuova e
potente realtà aquilana, e finisce per indebolirsi al punto di non poter più pagare
le tasse al sovrano. Dall’altro abbiamo i de Roio, famiglia giovane, da subito
schierata nel campo angioino, che si integra bene nei circuiti guelfi e
nell’ufficialità regia. I suoi possedimenti sono assai prossimi a L’Aquila, dunque
ha un minore spazio di autonomia, eppure riesce a sfruttare questa vicinanza a
proprio vantaggio: alcuni suoi esponenti ricoprono cariche cittadine, come quella
di annalis iudex, o ottengono il comando dell’esercito aquilano contro Rieti. I de
Roio accrescono in questo modo il loro potere familiare, e arrivano perfino a
competere per il controllo della città, per il quale non esitano ad opporsi agli
ufficiali inviati dal sovrano, come Guelfo da Lucca, e si scontrano dapprima con
Bonagiunta, poi con i Camponeschi.
Non pare un caso che la prima famiglia perda potere e rilevanza con il
cambio di paradigma apportato dall’avvento angioino, che stabilizza il confine,
e si ritrovi ad affrontare un inevitabile declino all’inizio del Trecento, e che al
contrario si assista alla crescita inesorabile dei de Roio, senza dubbio legata al
servizio al sovrano, per il quale ricoprirono ripetutamente importanti cariche:
nell’ufficialità regia i de Machilone, che pure vi erano presenti in epoca sveva, sono
adesso completamente assenti.
Ma a causare la decadenza dei de Machilone, oltre alla lontananza dal circuito
guelfo e angioino, fu in primo luogo la chiusura della frontiera operatasi tra Carlo
I e Roberto d’Angiò, quando le fondazioni di L’Aquila, Montereale e soprattutto
Leonessa, Cittaducale e Cittareale, comportarono una definizione del confine –
fino ad allora rimasto un’ampia zona di incertezza politica – limitando i margini
di manovra delle consorterie nobiliari che prima avevano goduto del
90 Niccolò di Borbona, Cronaca di Niccolò di Borbona Aquilano, cit., p. 862.
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“pendolarismo politico”91 che consentiva loro di schierarsi ora tra i nobili del
Regno, ora tra gli alleati delle più importanti città dello Stato della Chiesa92.
Al contrario i de Roio trassero indubbi benefici da questa chiusura, che
poneva un limite alle possibilità di azione dei loro concorrenti e che fu
accompagnata dalla creazione di cariche (come la capitanìa della Montagna) che
riuscirono a ricoprire. Sempre in maniera nettamente divergente rispetto ai de
Machilone, i de Roio seppero anche approfittare della crescita della potenza
aquilana, che fornì loro notevoli possibilità di ascesa politica.
91 Sciommeri, La rocca di Cittareale, p. 21. 92 Un cambiamento simile è riscontrabile nelle politiche di altre famiglie nobiliari, come ad
esempio i de Chiavano.