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CAPITOLO 7 TRASFORMAZIONI NON ENERGETICHE DELLE ONDE MONOCROMATICHE Prove su modello del Porto Industriale di Cagliari. Imboccatura del Porto interessata da un attacco ondoso da S-E (altezza d’onda del prototipo: H = 3.8 m; scala del modello 1:150)

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CAPITOLO 7

TRASFORMAZIONI NON ENERGETICHE DELLE ONDE MONOCROMATICHE

Prove su modello del Porto Industriale di Cagliari. Imboccatura del Porto interessata da un attacco ondoso da S-E (altezza d’onda del prototipo: H = 3.8 m; scala del modello 1:150)

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Capitolo 7 204

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Trasformazioni non energetiche delle onde monocromatiche 205

Anche le onde di gravità, come tutte le onde, quando attraversano mezzi diversi o in-contrano ostacoli subiscono delle trasformazioni che possono essere di rifrazione, di diffrazione oppure di riflessione. In particolare, la rifrazione è legata alla variazione del-la velocità di propagazione dell’onda che dipende dalla conformazione del fondale. Ad esempio, nel caso dell’onda luminosa la rifrazione si verifica quando la luce attraversa mezzi di diversa natura fisica come aria-vetro, ove la velocità della luce è differente. Nel caso delle onde di gravità di cui si tratta, la rifrazione interviene invece anche quando l’onda si propaga su corpi idrici a profondità variabile in quanto, questa sempli-ce variazione, produce una modifica della celerità dell’onda. La pura rifrazione non comporta variazione del contenuto energetico dell’onda, ma solo una deviazione della propagazione, cui si accompagna una ridistribuzione del contenuto energetico specifico.

A differenza della rifrazione, la diffrazione produce, oltre che una deviazione dalla originaria direzione di propagazione dell’onda, anche una distribuzione, o meglio, una dispersione dell’energia, ma non dissipazione, su una estensione più ampia del corpo i-drico. Essa si verifica quando l’onda, nella sua propagazione, incontra un ostacolo. Co-me nell’ottica geometrica, la linea tracciata al limite dell’ostacolo, nella direzione di propagazione dell’onda, prende il nome di linea d’ombra e si dice che l’onda supera l’ostacolo aggirandolo per diffrazione e quindi interessando la zona d’ombra.

La parte dell’onda che non supera l’ostacolo viene da questo riflessa. Gli ostacoli, a seconda delle loro scabrezze e permeabilità e a seconda delle caratteristiche dell’onda stessa, possono produrre onde riflesse più o meno prossime alle onde incidenti. La ri-flessione perfetta si verifica quando l’onda riflessa conserva le stesse caratteristiche dell’onda incidente dalla quale trae origine, a parte la direzione di propagazione. Anche per le onde di gravità vale la legge dell’ottica geometrica tra onda incidente e onda ri-flessa: l’angolo di incidenza è uguale all’angolo di riflessione.

Come per tutte le onde, anche per le onde di gravità le suddette tre trasformazioni non sono nettamente distinte nei diversi processi, anzi esse sono sempre presenti con-temporaneamente, anche se una può essere prevalente rispetto alle altre. Per cui, la sem-plificazione di trattarle come fenomeni separati, non sempre conduce a risultati suffi-cientemente approssimati. Per ottenere risultati maggiormente aderenti alla realtà e per evitare grossolani errori occorre, talvolta, mettere in conto contemporaneamente la ri-frazione e la diffrazione.

Comunque, nei paragrafi che seguono le tre trasformazioni delle onde monocromati-che verranno esaminate separatamente. Tuttavia, mentre per la rifrazione e la diffrazio-ne l’ipotesi di liquido perfetto semplifica solo la soluzione dei problemi senza però ren-dere inaccettabili i risultati, nello studio della riflessione non si può prescindere dall’aspetto dissipativo della riflessione non perfetta. In questi termini verrà quindi e-saminata la riflessione, anche se ciò contraddice il titolo del capitolo.

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Capitolo 7 206

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Trasformazioni non energetiche delle onde monocromatiche 207

7.1 CELERITÀ DELL’ONDA NELLE ZONE DI TRASFORMAZIONE

Nel Capitolo 5 si è visto che la celerità dell’onda nelle acque di trasformazione ( )2/Ld20/L ≤≤ , è data dall’espressione

( )cgk

th kd= . (5.40)

Come mostra l’eq. (5.40), nel caso di acque di trasformazione la celerità dipende dal-la lunghezza dell’onda e dalla profondità. Tuttavia l’eq. (5.40) è valida nell’ipotesi di profondità costante, mentre a questo punto occorre analizzare cosa accade quando la profondità è variabile. Se la profondità è maggiore di 2/L , il fatto che essa sia variabi-le non comporta, all’atto pratico, variazioni della celerità. Le variazioni di profondità modificano la celerità e le altre caratteristiche delle onde solo quando 2/Ld < , e le acque sovrastanti tali profondità appartengono, proprio per questo, alla zona di trasfor-mazione delle onde.

Diversi autori hanno affrontato il problema della determinazione della celerità c dell’onda che si propaga su un fondale a profondità variabile. Miche (1944) ha studiato il caso di un fondale piano inclinato rispetto all’orizzontale ed ha trovato che la celerità è ancora data dall’eq. (5.40), purché la pendenza sia piccola. Tuttavia la condizione di inclinazione costante è ideale poiché, nella realtà, la profondità non varia linearmente. Biesel (1951) ha mostrato che, nel caso di un fondale di forma qualunque, se la penden-za è dolce (<10%), se la curvatura è piccola e le derivate successive alla seconda sono trascurabili, vale ancora l’eq. (5.40). Si ammetterà quindi che siano rispettate queste i-potesi e si assumerà come espressione della celerità l’eq. (5.40).

Nel caso delle onde monocromatiche, in condizioni stazionarie, il periodo T è l’unico parametro dell’onda che non varia al variare della profondità, purché l’onda non franga. Infatti, se così non fosse, evidentemente, fissate due sezioni verticali parallele alle creste dell’onda, nella zona compresa fra tali sezioni dovrebbe aversi un aumento od una di-minuzione del numero delle creste al trascorrere del tempo, ma ciò è contrario all’ipotesi di stazionarietà del moto. Pertanto, ricordando la definizione di celerità dell’onda

cLT

= , (5.34)

nella zona di trasformazione la lunghezza dell’onda varia proporzionalmente alla celeri-tà al variare della profondità. Per 2/Ld ≥ , in condizioni di stazionarietà del moto, la celerità, la lunghezza e l’altezza dell’onda sono costanti. Per questo, in acque profonde, le caratteristiche dell’onda vengono solitamente contraddistinte con il pedice 0, così che la lunghezza d’onda, la celerità e l’altezza vengono indicate rispettivamente con L0 , c0 , H0 . Si indicano invece con L , c , H le corrispondenti grandezze in acque di trasfor-mazione e basse, mentre il periodo T è sempre lo stesso e si indica senza pedice.

Nella zona di trasformazione, dato il periodo T, la lunghezza dell’onda si determina mediante l’eq. (5.40) che può essere scritta nella forma

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛=

Ld2th

2gL

TL

2

2 ππ

,

dalla quale, semplificando e ricordando le eq.(5.42) e (5.34), si ricava

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Capitolo 7 208

L L thL

d= ⎛⎝⎜

⎞⎠⎟0

2π. (7.1)

Mediante l’eq. (7.1), una volta assegnate la profondità d e la lunghezza dell’onda al largo L0 , è facile determinare la lunghezza d’onda che compete a tale profondità. Un metodo iterativo semplice, anche se non molto efficiente, per calcolare la lunghezza dell’onda L consiste nel porre nell’eq. (7.1) al posto di L , che compare nell’argomento della tangente iperbolica, prima il valore L0 da cui si ricava il valore di primo tentativo

L L thL

d1 00

2=

⎛⎝⎜

⎞⎠⎟

π.

Questo valore, introdotto nell’argomento della tangente iperbolica, permette di ottenere il valore di L2 di secondo tentativo

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛= d

L2thLL

102

π

e così via fino all’n-esimo tentativo

L L thL

dnn

=⎛⎝⎜

⎞⎠⎟

−0

1

2π.

L’iterazione si arresta quando l’errore relativo

n

1nn

LLL −−

risulta inferiore ad un prefissato valore. Sono anche disponibili tabelle che, assegnato 0L/d , consentono di determinare L/d ; nota quindi 0L è immediato determinare la lunghezza d’onda L che compete ad

una assegnata profondità d . Poiché la tangente iperbolica è sempre una quantità minore di 1, dall’eq. (7.1) segue che la lunghezza d’onda L in zona di trasformazione è sempre minore della lunghezza d’onda al largo L0 : quanto più si riduce la profondità tanto più diminuisce il valore della lunghezza d’onda L . Un identico discorso si può fare per la celerità. In particolare, dividendo per T il primo ed il secondo membro dell’eq. (7.1) si ottiene

thkdcc0= . (7.2)

7.2 RIFRAZIONE DELL’ONDA MONOCROMATICA

Si consideri un fondale piano leggermente inclinato rispetto all’orizzontale e lo si assi-mili ad una gradinata con alzate infinitesime. Nella rappresentazione planimetrica della Fig. 7. 1 le tracce delle pedate della gradinata sono riportate con linee rette tratteggiate le quali coincidono anche con le linee di livello che, nel caso dei fondali marini, vengo-no dette isobate. Tra due di queste linee, nel caso della gradinata, la profondità è costan-

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Trasformazioni non energetiche delle onde monocromatiche 209

te. A monte del primo gradino la profondità sia d1. In questa zona le creste delle onde, in un dato istante, sono rappresentabili come rette parallele equidistanti L1 tra loro

1

101 L

d2thLL

π= .

Parimenti, al trascorrere del tempo, una cresta si sposta restando parallela a se stessa fino a quando insiste sul dominio a profondità costante d=d1. Quando l’onda supera il gradino 1 (vedi Fig. 7. 1) e passa nella zona a profondità d2 < d1, la cresta rallenta pas-sando dalla celerità c1 alla celerità c2<c1. Pertanto i punti della cresta, come ad esempio i punti A0 e B0 che nell’istante t0 ricadono nella zona a profondità d0, nel successivo i-stante t1=t0+Δt si troveranno rispettivamente nelle posizioni A1 e B1, ove la profondità è d1. Con l’ausilio della Fig. 7. 1, considerazioni geometriche consentono di scrivere

0

10

1

10

cosBB

cosAA

αα= ,

da cui, essendo

tcAA Δ110 = ; tcBB 010 Δ= ,

si ottiene

1

0

1

0

αα

coscos

cc

= . (7.3)

Fig. 7. 1. Propagazione dell’onda regolare monocromatica su un piano acclive.

A0

A2

A1

B0

B2

B1 1

2

3

α0

α1

d3

d2

d1

d0

Cresta dell’onda

Raggio d’onda

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Capitolo 7 210

L’eq. (7.3) è nota come legge di Snellius, dal nome dell’autore che la ha scoperta per l’ottica, ma che, come si vede, è valida anche per il moto ondoso. Essa consente, nota la celerità su due differenti profondità e l’angolo di incidenza α0, di calcolare l’angolo di rifrazione α1. La trasformazione dell’onda di gravità è dunque assimilabile a quello che si osserva quando un raggio di luce monocromatica passa da un mezzo in cui la sua ve-locità vale C0 ad un mezzo in cui essa vale C1. Il raggio luminoso, nel passare da un mezzo all’altro, subisce infatti una rifrazione deviando nella sua direzione di propaga-zione dall’angolo di incidenza, formato rispetto alla superficie di separazione dei due mezzi, all’angolo di rifrazione, formato, sempre rispetto alla stessa superficie, dal rag-gio che attraversa il secondo mezzo. Nel moto ondoso i raggi luminosi corrispondono alle linee normali alle creste che, per questo, vengono chiamate raggi d’onda. Nella Fig. 7. 1 i raggi d’onda sono rappresentati dai segmenti A0A1A2 e B0B1B2. Come mostra la fi-gura, nella propagazione su un fondo piano inclinato acclive i raggi si allontanano. Semplici considerazioni geometriche fatte ancora sulla Fig. 7. 1, portano a scrivere

1

0

11

00

sinsin

BABA

αα

= . (7.4)

L’eq. (7.4), essendo α0<α1 , indica che deve essere 1100 BABA < . Analogamente all’eq. (7.3), nel passaggio dell’onda dalla profondità d1 alla profondi-

tà d2, si può scrivere

2

1

2

1

αα

coscos

cc

= (7.5)

e, in generale

n

1n

n

1ncos

cosc

cαα −− = . (7.6)

Fattorizzando membro a membro le eq. (7.3), (7.5), ... , (7.6), dopo le semplificazio-ni, si ottiene

n

0

n

0

coscos

cc

αα

= . (7.7)

L’eq. (7.7), assegnate la celerità dell’onda in due generici punti 1 ed n e la direzione di propagazione in uno dei due punti, consente di determinare la deviazione dell’onda nel secondo punto. Analogamente si può determinare la distanza tra due raggi d’onda in corrispondenza di una data profondità dn se sono noti la distanza tra gli stessi raggi nel punto di profondità d1 e gli angoli che tali raggi formano con le linee isobate. Vale in-fatti la relazione

n

0

nn

00

sinsin

BABA

αα

= . (7.8)

Nell’ottica geometrica il rapporto tra i coseni degli angoli dell’eq. (7.3) viene detto indice di rifrazione, mentre nelle trasformazioni del moto ondoso, per le ragioni che si vedranno più avanti, assume maggiore importanza il rapporto tra le distanze di due rag-gi d’onda. La radice quadrata del rapporto tra tali distanze viene detta coefficiente di ri-frazione. Nel caso del fondo piano il coefficiente di rifrazione risulta quindi dall’eq. (7.8)

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Trasformazioni non energetiche delle onde monocromatiche 211

n

0

nn

00R sin

sinBABAK

αα

== . (7.8, a)

Dato l’angolo di incidenza al largo, ossia l’angolo formato dal raggio d’onda con la normale alle isobate, il grafico della Fig. 7. 2 permette di determinare, per ogni valore della profondità relativa, il coefficiente di rifrazione dell’onda che si propaga su un fon-dale piano acclive.

0.00

0.20

0.40

0.60

0.80

1.00

1.20

0.00 0.01 0.10 1.00

d/L0

Kr

incidenza = 20°incidenza = 30°incidenza = 40°incidenza = 50°incidenza = 60°

Fig. 7. 2. Coefficiente di rifrazione di un’onda che si propaga su un fondo piano acclive in fun-zione della profondità relativa.

Analogamente, la Fig. 7. 3, noto l’angolo di incidenza al largo, permette di ricavare il valore dell’angolo di incidenza locale per ogni valore della profondità relativa.

0

1 0

2 0

3 0

4 0

5 0

6 0

7 0

0 .0 0 1 0 .0 1 0 0 .1 0 0 1 .0 0 0

d /L 0

Ang

olo

ragg

io -

norm

ale

batim

etric

he (°

) in c id e n za = 2 0 °in c id e n za = 3 0 °in c id e n za = 4 0 °in c id e n za = 5 0 °in c id e n za = 6 0 °

Fig. 7. 3 Variazione dell’angolo che il raggio d’onda forma rispetto alla normale alle linee ba-timetriche per un’onda che si propaga su fondo piano acclive.

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Capitolo 7 212

A parte la complicazione analitica, la rifrazione delle onde che si propagano su un fondale di forma qualsiasi segue le stesse regole viste sopra, con la differenza che men-tre sul fondale piano acclive il coefficiente di rifrazione è sempre minore di uno e dimi-nuisce al diminuire della profondità, nel caso generale, il coefficiente di rifrazione può essere maggiore di uno e può aumentare al diminuire del fondale. Nella Fig. 7. 4 sono riportati due esempi di rifrazione delle onde sui fondali di una baia e di un promontorio.

Le rappresentazioni planimetriche delle creste delle onde e dei relativi raggi sono no-te con il nome di piani di rifrazione. La Fig. 7. 4 a) mostra il piano di rifrazione dell’onda in una baia ove i raggi d’onda tendono a distribuirsi a ventaglio e il coeffi-ciente di rifrazione ad assumere valori minori dell’unità, riducendosi a mano a mano che l’onda si avvicina alla costa. La Fig. 7. 4 b) mostra, invece, la trasformazione dell’onda in un promontorio ove i raggi d’onda tendono a concentrarsi, il coefficiente di rifrazione ad assumere valori maggiori dell’unità e a crescere man mano che l’onda si avvicina alla costa.

Della rifrazione dell’onda ci si occuperà nel corso delle esercitazioni eseguendo il calcolo automatico della trasformazione delle onde che si propagano su un fondale rea-le.

7.3 TRASFORMAZIONE DELL’ENERGIA SPECIFICA

Si consideri l’energia che nell’unità di tempo attraversa la sezione trasversale compresa tra due raggi d’onda la cui distanza in acque profonde sia l0

0G000 cElP = , (7.9)

ove cG0 rappresenta la celerità di gruppo che coincide con la velocità con la quale si sposta l’energia specifica dell’onda e che, in acque profonde, si può scrivere con buona approssimazione

Fig. 7. 4. Rifrazione delle onde, a) su un fondale a baia e b) su un fondale a promontorio.

(b)

ln

l0

(a) Cresta dell’onda

Isobata

Raggio d’onda

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Trasformazioni non energetiche delle onde monocromatiche 213

2cc 0

0G = . (5.69)

Le modificazioni subite per rifrazione dall’onda che si propaga in zona di trasforma-zione possono essere di allontanamento dei raggi d’onda, come nel caso del fondo piano acclive e nel caso del fondale di una baia (Fig. 7. 1 e Fig. 7. 4, a), oppure di avvicina-mento, come nel caso del fondale di un promontorio (Fig. 7. 4, b). In ogni caso gli stessi raggi d’onda in zona di trasformazione, in corrispondenza di una generica profondità d, si troveranno ad una distanza l e l’energia del moto ondoso che attraversa la sezione tra-sversale compresa tra i due raggi nell’unità di tempo vale

GlEcP = . (7.10)

Nella zona di trasformazione delle onde, alla profondità d, la celerità di gruppo è da-ta dalla relazione

⎥⎥⎦

⎢⎢⎣

⎡+=

kd2sh

kd21

2

ccG . (5.68)

Ferma restando l’ipotesi di liquido perfetto e considerato che la rifrazione pura com-porta solo una deviazione, senza perdite, dell’energia trasmessa, si possono uguagliare i secondi membri delle eq. (7.9) e (7.10)

G0G00 lEccEl = . (7.11)

Dall’eq. (7.11), dopo avervi sostituito le espressioni delle celerità di gruppo [eq. (5.69); (5.68)], si ottiene

kd2shkd21

1cc

ll

EE 00

0 += . (7.12)

Infine, introducendo nel primo membro dell’eq. (7.12) l’eq. (5.62) dell’energia speci-fica, nelle due forme valide per le acque di trasformazione e per quelle profonde, e nel secondo membro il rapporto tra le celerità con l’eq. (7.2), si ottiene

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ +

=

kd2shkd21thkd

1

ll

HH 0

0. (7.13)

Si riconosce subito che il primo fattore dell’eq. (7.13) rappresenta il coefficiente di rifrazione Kr, mentre il secondo fattore rappresenta il coefficiente di profondità Ks, detto anche coefficiente di shoaling, vale a dire

llK 0

r = (7.14)

e

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ +

=

kd2shkd21thkd

1Ks . (7.15)

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Capitolo 7 214

Introducendo questi simboli nell’eq. (7.13) ed esplicitando rispetto ad H, si ottiene la relazione

sr0 KKHH = . (7.16)

Come si è visto nel precedente paragrafo, il coefficiente di rifrazione Kr dipende dal-la conformazione del fondale e dalla sua profondità, mentre il coefficiente Ks, noto co-me coefficiente di shoaling dipende esclusivamente dalla profondità e per questo lo si può chiamare coefficiente di profondità. Nelle trattazioni, per svincolare l’evoluzione dell’onda dalla conformazione del fondale, è invalso l’uso di scrivere l’eq. (7.16) nella forma

s0 K'HH = , (7.17)

intendendosi con

0r0 HK'H = (7.18)

rappresentare la così detta altezza dell’onda equivalente non rifratta. In questa maniera si ottiene formalmente la scissione degli effetti della profondità, che sono sempre gli stessi, da quelli della rifrazione che sono legati alla particolare conformazione del fon-dale. Infatti, il primo membro dell’eq. (7.18) coincide con l’altezza dell’onda al largo in assenza di rifrazione ( 1Kr = ). In considerazione del fatto che spesso assieme alla rifra-zione è presente anche la diffrazione, anch’essa dipendente dalle particolari condizioni locali, anziché l’eq. (7.18) si trova la forma

0Dr0 HKK'H = , (7.19)

essendo KD il coefficiente di diffrazione. Il primo membro dell’eq. (7.19) rappresenta quindi l’altezza dell’onda equivalente non rifratta e non diffratta.

Si ribadisce che le eq. (7.18) e (7.19) hanno esclusivamente la funzione di svincolare la trattazione generale della trasformazione delle onde dai casi particolari a cui la as-soggettano la rifrazione oppure la rifrazione e la diffrazione insieme.

7.4 COEFFICIENTE DI PROFONDITÀ E FRANGIMENTO

Il coefficiente di profondità, espresso dall’eq. (7.15), permette di determinare la tra-sformazione che l’onda subisce per effetto della sola variazione puntuale del fondale. Utilizzando l’eq. (7.1), esso può essere espresso in funzione della profondità relativa al-la lunghezza dell’onda al largo, infatti l’eq. (7.1) può scriversi sotto la forma

L

d2th

Ld

Ld0

π= , (7.20)

che mostra la relazione funzionale tra la profondità relativa alla lunghezza d’onda al lar-go e quella relativa alla lunghezza d’onda alla profondità d. La variazione del coeffi-ciente di profondità in funzione della profondità ( d L0 ) è illustrata nella Fig. 7. 5. Per d L0 = 0.5 si ha 1K s ≅ ; infatti per questo valore delle profondità ci si trova in acque profonde e quindi risulta

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Trasformazioni non energetiche delle onde monocromatiche 215

1HH

'HH

00

≅≅ .

Al diminuire del rapporto d L0 il coefficiente di profondità 'H/HK 0s = prima diminuisce, fino a raggiungere il valore minimo 0.92 in corrispondenza dell’ascissa

16.0L/d 0 = , poi inizia a crescere e assume di nuovo il valore 1 in corrispondenza dell’ascissa 056.0L/d 0 = (punto isometrico). Al tendere di d L0 a zero, il coefficien-te di profondità tende all’infinito. Quindi, se si prescinde dalla rifrazione, ossia suppo-nendo 1Kr = , risulta che, quando l’onda abbandona le acque profonde e si avvicina al-la riva, la sua altezza prima diminuisce leggermente (circa del 10%) e poi cresce indefi-nitamente. Tuttavia, il fatto che l’onda possa aumentare in altezza indefinitamente è pu-ramente teorico. Si è visto infatti che nel caso di acque profonde esiste il limite alla ri-pidità

141.0b0 =δ . (6.28)

Anche nella zona di trasformazione esiste un limite alla crescita della ripidità dell’onda che, nella sua forma più semplice, è data dall’espressione

( )kdthb0b δδ =

Fig. 7. 5. Trasformazione dell’altezza dell’onda in funzione della profondità (elaborazione su fonte: Lacombe, 1965).

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Capitolo 7 216

Oltre tale limite il coefficiente di profondità perde di significato dal punto di vista fi-sico. Moltiplicando entrambi i membri dell’eq. (7.17), per L/L0 e introducendo l’espressione di Kr, tenuto conto dell’eq. (7.1) e della definizione di ripidità dell’onda, dopo alcuni passaggi si ottiene la relazione

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ +

=

kd2shkd21thkd

1thkd

'0δδ , (7.21)

ove si è posto 000 'L/'H δ= . L’eq. (7.21) esprime la variazione della ripidità dell’onda al variare della profondità: assegnata la ripidità dell’onda non rifratta 0'δ , la ripidità cresce al diminuire della profondità. La crescita è però limitata dal valore massimo della ripidità che, come si è detto, in zona di trasformazione dell’onda non può superare il va-lore ( )kdthb0b δδ = . Di fatto anche l’eq. (7.21) è funzione di 0L/d per cui, riportando in ascisse questo valore della profondità relativa in scala opportuna ed in ordinate la ri-pidità δ , per ogni valore del parametro 0'δ , si ottiene un fascio di curve parametriche crescenti al diminuire della profondità.

Fig. 7. 6. Ripidità dell’onda nella zona di trasformazione in funzione della profondità relativa (elaborazione su fonte: Lacombe, 1965).

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Trasformazioni non energetiche delle onde monocromatiche 217

La crescita è limitata dalla curva thkdb0b δδ = (Fig. 7. 6) il cui valore massimo si raggiunge per 5.0L/d 0 = , per il quale si ha 14.0b0b == δδ . Pertanto, un’onda che esce dalla zona di acque profonde con la ripidità 14.0' b00 == δδ raggiunge il frangi-mento appena entra in zona di trasformazione, mentre un’onda che esce dalla zona di acque profonde con un valore piccolo della ripidità penetra nella zona di trasformazione fino alle basse profondità.

7.5 DIFFRAZIONE

Il problema della diffrazione è stato affrontato dapprima nell’ottica, allorquando si con-statò che l’ottica geometrica non era in grado di spiegare il moto della luce differente dalla propagazione rettilinea, fenomeno questo che si osserva quando la luce nell’attraversare un foro praticato in uno schermo devia dalla propagazione rettilinea e si distribuisce a raggiera dal foro. A differenza di quanto accade nella rifrazione, in cui la deviazione dalla propagazione rettilinea avviene con l’intera conservazione dell’intensità, nella diffrazione la deviazione avviene proprio con una distribuzione ra-diale dell’intensità luminosa. Nella maggior parte dei trattati di ottica la diffrazione è studiata facendo ricorso al principio di Huygens. Questo principio stabilisce che la luce, nell’attraversare un foro praticato in uno schermo, si comporta come un insieme di sor-genti luminose elementari, distribuite sulla superficie del foro, che irradiano in tutte le direzioni; l’ampiezza dell’onda irraggiata varia in proporzione inversa alla distanza r, mentre la fase è ritardata dell’angolo λπ /r2 , essendo λ la lunghezza d’onda.

Le trattazioni della diffrazione dell’ottica e quelle dell’acustica sono state prese a ri-ferimento per lo studio della diffrazione del moto ondoso, anche se, bisogna dire, ci so-no delle differenze sostanziali: nell’ottica l’ampiezza del foro è dell’ordine di 108 volte la lunghezza d’onda, mentre nei porti la bocca è dello stesso ordine di grandezza; la de-viazione dall’originaria direzione di propagazione nell’ottica è molto limitata, mentre le onde del mare sono in grado di deviare notevolmente dall’originaria direzione; l’ampiezza dell’onda luminosa, come si è detto, varia con l’inverso della distanza r dal-la sorgente puntiforme, mentre per il moto ondoso tale variazione avviene con l’inverso di r . Nonostante queste differenze, lo scarto tra l’ampiezza dell’onda luminosa e quella dell’onda di gravità è minore di quanto ci si possa aspettare.

7.5.1 MOLO RETTILINEO INDEFINITO La soluzione del problema della diffrazione di un’onda sonora piana ostacolata da uno schermo indefinito è dovuta a Sommerfeld (1895). La soluzione di questo problema per le onde di gravità dirette perpendicolarmente ad un ostacolo, è dovuta a Lamb (1932). Successivamente, Putnam e Arthur (1948) hanno fornito la soluzione del caso generale di incidenza qualunque su uno schermo perfettamente riflettente.

Nel seguito, la soluzione del problema della diffrazione prodotta da un molo indefi-nito, nell’ipotesi di molo perfettamente assorbente, è ottenuta seguendo la trattazione di Putnam e Arthur e, nel caso di molo perfettamente riflettente, come sovrapposizione degli effetti dei due sistemi di onde incidente e riflessa.

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Capitolo 7 218

7.5.1.1 Molo Rettilineo Indefinito Perfettamente Assorbente. Si consideri, dunque, un’onda irrotazionale di piccola ampiezza che si propaghi su un fondale piano orizzontale e che ad un certo punto della sua propagazione incontri un molo rettilineo. Il molo sia indefinito ad una estremità e perfettamente assorbente, nel senso che le onde incidenti sul suo paramento non vengono riflesse (coefficiente di ri-flessione χ = 0). Nella Fig. 7. 7 è riportata la rappresentazione planimetrica (piano di diffrazione) delle creste delle onde nella zona prossima all’estremità finita del molo (te-stata).

Come mostra la figura, si ipotizza che nella zona d’ombra, per effetto della diffrazio-ne, le creste assumano una forma circolare con centro sulla testata del molo. Ci si pro-pone di studiare come si trasforma, in prossimità della testata del molo, l’altezza dell’onda in arrivo (onda incidente). Il potenziale di velocità da cercare ha la forma

( )t;z,y,xφφ = .

Si assuma come sistema si riferimento quello riportato nella Fig. 7. 7, con l’asse x coincidente con il raggio d’onda passante per la testata, l’asse y sul prolungamento della cresta che intercetta la testata, l’asse z rivolto verso l’alto e l’origine sulla testata.

Per la continuità deve essere

0zyx 2

2

2

2

2

2

=∂∂

+∂∂

+∂∂ φφφ . (7.22)

Fig. 7. 7. Piano di diffrazione di un’onda monocromatica presso la testata di un molo rettilineo indefinito.

v<0, KD<0.5

cresta dell’onda incidente

cresta dell’onda diffratta v>0, KD>0.5

linea d’ombra ( KD=0.5)

molo perfettamente assorbente

0

x

y

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Trasformazioni non energetiche delle onde monocromatiche 219

Assunta per φ un’espressione del tipo:

( ) ( ) tiey,xQzP σφ = , (7.23)

dall’eq. (7.22) si ha (Larras, 1942):

2

2

2

2

2

2

zP

P1

yQ

xQ

Q1

∂∂−=⎟⎟

⎞⎜⎜⎝

∂∂+

∂∂ . (7.24)

L’eq. (7.24) indica che entrambi i suoi membri devono essere uguali ad una costante, la quale deve essere negativa affinché il moto sia periodico. Indicata con –k2 tale co-stante, si ha:

0QkyQ

xQ 2

2

2

2

2=+

∂∂+

∂∂ , (7.25)

0PkzP 22

2=−

∂∂ . (7.26)

7.5.1.2 Determinazione del Potenziale di Velocità. L’eq. (7.26) è formalmente identica alla seconda delle eq. (5.25) la cui soluzione su un fondale orizzontale profondo d, come si è visto, porta al risultato

( )chkd

dzchkgaP +=σ

. (7.27)

L’eq. (7.25) è, fra l’altro, l’equazione delle onde sonore piane che ammette la se-guente soluzione

∫∞−

−−=v

2iikx de

21eQ

2

ττπ

, (7.28)

ove v è la così detta coordinata parabolica che soddisfa la condizione

( )xyxL

2v 222 −+=π , (7.29)

che per v costante è, appunto, l’equazione di una parabola avente per asse di simmetria l’asse x, il fuoco nell’origine degli assi e la concavità rivolta nel verso delle x crescenti. Il prodotto delle eq. (7.27) e (7.28) e del fattore tie σ fornisce l’espressione della funzio-ne potenziale cercata

( ) ( ) ∫∞−

−−−+=

v2

itkxi de2

1echkd

dzchkga 2

τσ

φτπσ . (7.30)

7.5.1.3 Forma dell’Onda e Coefficiente di Diffrazione. Noto il potenziale di velocità, è noto il moto. Si può quindi determinare la forma della superficie libera, di cui, in particolare, interessa l’ampiezza dell’onda. Come si è visto nel Cap. 5, la forma dell’onda di piccola ampiezza è legata alla funzione potenziale dal-la relazione

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Capitolo 7 220

0ztg

1=

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛∂∂= φη . (5.18)

Derivando quindi l’eq. (7.30) rispetto al tempo e sostituendola nell’eq. (5.18), per z = 0, si ha

( )∫∞−

−−−=v

2itkxi de

21eai

2

τητπ

σ . (7.31)

Fissata l’attenzione sulla parte reale dell’esponenziale al secondo membro dell’eq. (7.31), si vede che essa è una sinusoide di periodo temporale σπ /T 2= e periodo spa-ziale k/L π2= . L’ampiezza della sinusoide è data dall’espressione

∫∞−

−=

v i

D deaa ττ

π 2

2

2. (7.32)

nell’eq. (7.32) aD è l’ampiezza dell’onda diffratta, mentre a è l’ampiezza dell’onda inci-dente, quindi , per definizione di coefficiente di diffrazione, si ha

∫∞−

−==

v2

iDD de

21

aaK

2

ττπ

. (7.33)

L’integrale dell’eq. (7.33), scisso nelle sue parti reale e immaginaria assume rispetti-vamente le forme

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛+== ∫ ∫∫

∞−∞−

0 *v

0

22*v

2 dcosdcos1dcos1R ζζζζπ

ζζπ

, (7.34)

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛+−=−= ∫ ∫∫

∞−∞−

0 *v

0

22*v

2 dsindsin1dsin1I ζζζζπ

ζζπ

, (7.35)

ove si è posto 2/πτζ = e 2/vv* π= . Nelle eq. (7.34) e (7.35) i primi addendi tra le parentesi tonde sono gli integrale di Fresnel che valgono entrambi 8π . Sostituito nelle eq. (7.34) e (7.35) questo valore dell’integrale si ha

∫+=*v

0

2dcos122

1R ζζπ

, (7.36)

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛+−= ∫

*v

0

2dsin122

1I ζζπ

, (7.37)

ove gli integrali rappresentano le equazioni parametriche di un luogo geometrico, noto con il nome di clotoide di Cesàro (detto anche spirale di Cornu). Assegnato un punto di coordinate generiche x, y nel sistema di riferimento della Fig. 7. 7, ove siano note le

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Trasformazioni non energetiche delle onde monocromatiche 221

Tab. 7. I Coefficienti di diffrazione in funzione della coordinata parabolica

v v* KD v v* KD -8,500 -10,653 0,027 0,000 0,000 0,500 -8,000 -10,027 0,028 0,500 0,627 0,807 -7,500 -9,400 0,030 1,000 1,253 1,123 -7,000 -8,773 0,032 1,500 1,880 1,079 -6,500 -8,147 0,035 2,000 2,507 0,918 -6,000 -7,520 0,038 2,500 3,133 1,041 -5,500 -6,893 0,041 3,000 3,760 1,028 -5,000 -6,267 0,045 3,500 4,387 0,976 -4,500 -5,640 0,050 4,000 5,013 0,960 -4,000 -5,013 0,056 4,500 5,640 0,981 -3,500 -4,387 0,064 5,000 6,267 1,032 -3,000 -3,760 0,075 5,500 6,893 1,017 -2,500 -3,133 0,089 6,000 7,520 0,974 -2,000 -2,507 0,111 6,500 8,147 1,014 -1,500 -1,880 0,145 7,000 8,773 1,023 -1,000 -1,253 0,203 7,500 9,400 0,989 -0,500 -0,627 0,308 8,000 10,027 0,980 0,000 0,000 0,500 8,500 10,653 0,990

caratteristiche dell’onda incidente, l’eq. (7.29) consente di calcolare la coordinata para-bolica v da cui si può calcolare v* che introdotta nelle eq. (7.36) e (7.37), consente di determinare R ed I, da cui si ricava il valore dell’integrale dell’eq. (7.33)

22 IRK D += . (7.38)

Per y=0 l’eq. (7.29) fornisce il valore v=0; in questo caso la parabola degenera nella retta coincidente con l’asse delle ascisse x. Essendo anche v*=0, le eq. (7.36) e (7.37)

0,0

0,10,2

0,3

0,4

0,50,6

0,7

0,80,9

1,0

1,1

1,2

-10 -8 -6 -4 -2 0 2 4 6 8 10

Coordinata parabolica

coef

ficie

nte

di d

iffra

zion

e

Fig. 7. 8. Coefficiente di diffrazione in funzione della coordinata parabolica v.

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Capitolo 7 222

valgono entrambe 221IR == e quindi l’eq. (7.38) fornisce 5.0KD = che è il valo-re del coefficiente di diffrazione lungo la linea d’ombra.

Poiché l’eq. (7.29) non permette di stabilire il segno della coordinata parabolica v, occorre ricordare di assegnarle il segno – se il punto ricade nella zona d’ombra ed il se-gno + nella zona esposta. Nella Tab. 7. I sono riportati i risultati dei calcoli del co-efficiente di diffrazione in funzione di v e v*. Nella è riportato il grafico del coefficien-te di diffrazione in funzione della coordinata parabolica. Tale grafico mostra chiaramen-te che al tendere a ∞− della coordinata parabolica il coefficiente di diffrazione tende a zero asintoticamente, mentre al tendere a ∞+ di tale coordinata il coefficiente tende all’unità.

7.5.1.4 Molo Perfettamente Riflettente. La soluzione proposta da Putnam e Arthur contiene due ordini di onde diffratte: una do-vuta all’onda incidente e una all’onda riflessa. Le due onde diffratte sono sfasate tra lo-ro di un angolo pari a ( )'rrk −=ϕΔ , (7.39)

essendo r ed r’ le distanze dalla testata percorse rispettivamente dalle onde incidente e riflessa. Il coefficiente di diffrazione dell’onda risultante è data dalla relazione

ϕΔcos'KK'KKK DDDDDr 222 ++= . (7.40)

Nell’ipotesi che le onde diffratte abbiano cresta circolare con centro nella testata, nella zona d’ombra (y > 0) le due distanze r ed r’ sono uguali e quindi, per l’eq. (7.39), lo

Fig. 7. 9. Piano di diffrazione di un’onda monocromatica presso la testata di un molo rettilineo indefinito perfettamente riflettente.

linea d’ombra onda riflessa (K’D=0.5)

cresta dell’onda riflessa

molo perfettamente riflettente

cresta dell’onda incidente

v<0; v’<0; KD<0.5

cresta dell’onda diffratta (incidente e riflessa)

cresta diffratta onda riflessa

linea d’ombra onda incidente (KD=0.5)

v’<0; K’D<0.5 v<0; KD<0.5

v’<0; K’D<0.5v>0; KD>0.5

v’<0; K’D<0.5 v>0; KD>0.5

v’>0; K’D>0.5

y’

x'

y

x

0

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Trasformazioni non energetiche delle onde monocromatiche 223

sfasamento è nullo. Conseguentemente l’onda diffratta risultante è data dalla somma delle due onde diffratte. Parimenti, il coefficiente di diffrazione risultante, per l’eq. (7.40), è dato dalla radice quadrata della somma dei quadrati dei due coefficienti di dif-frazione.

Nella Fig. 7. 9 è riportato il piano di diffrazione dell’onda incidente e dell’onda ri-flessa con i relativi sistemi di riferimento ai quali ricorrere per il calcolo indipendente dei due sistemi di coordinate paraboliche e dei relativi coefficienti di diffrazione. Come per il caso del molo assorbente, le coordinate paraboliche devono essere assunte positi-ve nella zona esposta all’azione diretta delle onde incidenti e riflesse e negative nelle zone d’ombra.

I risultati ottenibili con il metodo sopra descritto per il caso del molo perfettamente riflettente sono meno cautelativi di quelli forniti da Wiegel (1962) rispetto ai quali, nel-la zona d’ombra, si hanno valori di circa 5% inferiori in media, ma lo sono comunque abbastanza rispetto alle situazioni reali ove non si incontra mai un molo perfettamente riflettente.

Se il molo è solo parzialmente riflettente, l’onda riflessa è una frazione dell’onda in-cidente e, conseguentemente, anche la relativa diffrazione è affetta da tale riduzione. Il coefficiente di diffrazione dell’onda risultante è quindi

( ) ϕΔχχ cos'KK'KKK DDDDDr 222 ++= . (7.41)

7.5.2 MOLO RETTILINEO DI LUNGHEZZA FINITA Il caso del molo rettilineo finito, che ha interesse ingegneristico nel caso delle opere di difesa dei porti parallele alla costa (antemurali), e nelle difese di spiaggia, può essere ottenuto come sovrapposizione degli effetti prodotti da due testate appartenenti a due moli indefiniti allineati (Harms, 1979). La soluzione è approssimata ed è valida nella zona d’ombra ad una distanza superiore a circa due lunghezze d’onda dal frangiflutti.

Fig. 7. 10. Piano di diffrazione prodotto da un molo rettilineo di lunghezza finita.

Linea d’ombra

Cresta incidente

Cresta diffratta

Zona d’ombra

Linea d’ombra

Linea isofase

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Capitolo 7 224

Se il frangiflutti è perfettamente assorbente, attorno alle due testate si trova un’area soggetta alla diffrazione il cui calcolo può essere eseguito come suggerito in 7.5.1.1. Se invece il frangiflutti è perfettamente riflettente si può adottare il calcolo della diffrazio-ne alle due testate, come suggerito in 7.5.1.4, oppure i diagrammi dello SPM ’84, tratti da Wiegel (1962) che hanno il solo, ma modesto, inconveniente di essere adatti per an-goli di incidenza multipli di 15°.

Una volta calcolato il coefficiente di diffrazione prodotto dalle due testate, il coeffi-ciente risultante si calcola applicando l’eq. (7.40), adottando per il calcolo dello sfasa-mento l’eq. (7.39). Nella Fig. 7. 10 è riportato il piano della diffrazione prodotta da un molo rettilineo finito ove sono riportate anche le linee isofase, lungo le quali il coeffi-ciente di diffrazione risultante è dato dalla somma dei due coefficienti.

7.5.3 VARCO IN UN MOLO RETTILINEO Se il varco è più ampio di cinque lunghezze d’onda la diffrazione può essere calcolata supponendo di avere a che fare con due moli indefiniti, estendendo le aree di influenza del calcolo dalle testate fino a 2.5L nella zona del varco, fino a 3L nella direzione oppo-sta e fino a 5L nella direzione normale al varco, il tutto come illustrato nella Fig. 7. 11.

La diffrazione dei varchi inferiori a 5L non è più assimilabile a quella di due moli in-definiti a causa dell’interferenza tra le due testate. La soluzione esatta della diffrazione in un varco mette in conto i prodotti di diverse equazioni di Mathieu (1873) il cui calco-lo è complesso. Nella pratica si adotta la soluzione di Carr e Stelziriede (1952) che in-troducono un coefficiente detto fattore di intensità

Lr

HH

II

D2

2

= , (7.42)

ove r è la distanza del punto nel quale l’altezza dell’onda è HD dal centro del varco. Il fattore di intensità è dato in diagrammi a foglia per diversi valori del varco e per diversi angoli di incidenza dell’onda. Noto I, dall’eq. (7.42) si determina il coefficiente di dif-frazione

Fig. 7. 11. Diffrazione prodotta da un varco più largo di 5L.

molo di sinistra molo di destra

Area d’influenza del molo di destra

Area d’influenza delmolo di sinistra

5L

2.5L3L

B>5L

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Trasformazioni non energetiche delle onde monocromatiche 225

Fig. 7. 12. Diagrammi “a foglia” per il calcolo del fattore di intensità dell’onda trasmessa per diffrazione attraverso un assegnato varco (elaborazione su fonte: Johnson, 1952).

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Capitolo 7 226

rLI

HHK

I

DD == . (7.43)

Nella Fig. 7. 12 sono riportati i diagrammi a foglia per alcune aperture dei varchi e per diversi angoli di incidenza dell’onda.

Osservando questi diagrammi si può notare che nella direzione dell’onda incidente, il fattore di intensità cresce con la larghezza del varco e che l’energia rimane tanto più concentrata, attorno alla direzione di propagazione dell’onda, quanto più il varco è am-pio: varco ampio, foglia lunga e stretta; varco stretto, foglia corta e larga. Prove su mo-dello in scala ridotta hanno mostrato che il fattore di intensità calcolato è in soddisfa-cente accordo con i risultati sperimentali.

Lo SPM ’84, per il caso di incidenza normale dell’onda, fornisce i risultati, ottenuti da Johnson (1952), della distribuzione planimetrica dei coefficienti della diffrazione prodotta da varchi di diversa ampiezza. Per gli angoli di incidenza diversi dalla norma-le, Jonhson suggerisce di far ricorso al varco immaginario ottenuto proiettando il varco reale sulla normale alla direzione dell’onda. Lo SPM ’84 fornisce anche i risultati otte-nuti da Johnson per angoli di incidenza diversi dalla normale al varco e per diversi valo-ri dell’apertura.

Il piano di diffrazione, rappresentante la distribuzione planimetrica delle creste delle onde diffratte, può essere tracciato approssimativamente con archi di cerchio centrati sulle testate nelle zone d’ombra e con un arco di cerchio con centro sul punto interme-dio del varco nella parte centrale. Dall’ottava onda in poi la cresta può essere rappresen-tata da un solo arco di cerchio con centro nel punto intermedio del varco.

Prove su modello, effettuate su bocche di porto a moli convergenti, hanno mostrato che la diffrazione da essi prodotta, su un’onda incidente normalmente alla bocca, è in buon accordo con risultati dei calcoli ottenuti sui varchi, purché l’angolo formato dal prolungamento dei moli non sia inferiore a 90°. Per angoli inferiori a 90° il massimo dell’agitazione lungo l’asse di incidenza è ridotto rispetto al varco e l’energia risulta di-stribuita su una superficie più ampia.

7.6 RIFRAZIONE E DIFFRAZIONE COMBINATE

Come si è detto al principio del presente capitolo, la rifrazione e la diffrazione sono spesso presenti contemporaneamente nelle trasformazioni che subiscono le onde. In questo paragrafo si vuole però considerare la situazione in una zona ove, a causa della variazione del fondale, si verifica una trasformazione per rifrazione, per effetto di un o-stacolo interposto, a cui segue una trasformazione per diffrazione. In tale circostanza, ci si chiede quale sia il criterio da adottare per determinare la trasformazione dell’onda. Un modo di procedere può essere il seguente:

• si costruisce il piano di rifrazione, normalmente, fino all’ostacolo, costituito ad esempio da un frangiflutti, e si determina quindi il coefficiente di rifrazione nell’intorno della testata;

• nella zona intorno alla testata e nella zona d’ombra si calcola il coefficiente di diffrazione e si traccia il piano di diffrazione per tre - quattro lunghezze d’onda;

• oltre la terza - quarta lunghezza d’onda si riprende il piano di rifrazione, tenendo conto della deviazione della cresta avvenuta per effetto della diffrazione, e si pro-cede fino al frangente.

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Trasformazioni non energetiche delle onde monocromatiche 227

Il metodo suggerito sopra è adatto per onde di periodo medio (Mobarek, 1962), ma per onde di lungo periodo deve essere messo in conto anche l’effetto dell’acclività. Una tipica trasformazione per rifrazione e diffrazione è riportata nella Fig. 7. 13 ove è anche indicato il criterio per il calcolo del coefficiente di rifrazione-diffrazione combinate.

7.7 RIFLESSIONE DELLE ONDE

Nei paragrafi 5.5 e 5.6 si è trattato il problema della riflessione dell’onda di piccola am-piezza bidimensionale che investe normalmente una parete verticale e si è introdotto il coefficiente di riflessione χ come rapporto tra l’altezza dell’onda riflessa HR e l’altezza dell’onda incidente HI

I

RHH

=χ . (7.44)

La riflessione perfetta si ottiene quando l’altezza dell’onda riflessa è uguale all’altezza dell’onda incidente (χ =1); la composizione delle due onde produce allora l’onda stazionaria di cui nel § 5.5 si è vista la forma e nel § 5.8 si è studiata la cinemati-ca delle particelle liquide. Se la parete riflettente non è sufficientemente liscia il coeffi-ciente di riflessione è minore di uno. In questo caso, per l’onda di piccola ampiezza,

Fig. 7. 13. Rifrazione e diffrazione combinate per la presenza di un frangiflutti indefinito (ela-borazione su fonte: Shore Protection Manual, 1984).

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Capitolo 7 228

come è stato mostrato nel paragrafo 5.6, la combinazione delle due onde incidente e ri-flessa è riconducibile ad un’onda stazionaria di altezza pari a 2 HR e un’onda progressi-va di altezza pari alla differenza HI – HR , propagantesi nel senso dell’onda incidente. Sembra definitivamente accertato che la variazione del coefficiente di riflessione di una parete verticale impermeabile non dipenda dalla ripidità dell’onda incidente e che tale presunta dipendenza sia da attribuire alla tecnica sperimentale adottata e non alla ripidi-tà dell’onda. Per la misura di χ , infatti, si utilizzava la teoria dell’onda di piccola am-piezza, secondo il criterio riportato nel § 5.6, che, a rigore, non può più applicarsi se l’onda ha una ripidità finita. Attualmente si ritiene quindi che le pareti verticali, suffi-cientemente lisce ed impermeabili, abbiano un coefficiente di riflessione molto prossi-mo all’unità.

Posto che una parete verticale adeguatamente liscia sia in grado di produrre una ri-flessione perfetta, resta da esaminare come varia il coefficiente di riflessione al variare dell’inclinazione della parete rispetto alla verticale, al variare della sua scabrezza, della sua permeabilità e della ripidità dell’onda incidente. Un parametro da cui il coefficiente di riflessione dipende, che tiene conto contemporaneamente della pendenza della super-ficie riflettente e della ripidità dell’onda, è stato proposto da Battjes (1974)

0LH

tg

II

θξ = , (7.45)

ove θ è l’angolo che la superficie riflettente forma con l’orizzontale ed L0 la lunghezza d’onda al largo. A questo coefficiente è stato attribuito il nome di parametro di surf si-milarity. Sulla base di misure sperimentali sono state ricostruite (Seeling e Ahrens, 1981) le curve della Fig. 7. 14, ove in ascisse è riportato il parametro di surf similarity e in ordinate il coefficiente di riflessione. Le tre curve, distinte con le lettere A, B e C so-no riferite rispettivamente a superfici piane lisce, a spiagge ed a frangiflutti. Esse mo-strano che al crescere del parametro di surf similarity, ossia all’aumentare della penden-za e al diminuire della ripidità, il coefficiente di riflessione cresce. La curva C della fi-gura deve essere considerata un limite superiore del coefficiente di riflessione. Per i frangiflutti, infatti, la scabrezza della superficie riflettente del paramento varia conside-revolmente con la dimensione e con la forma dei massi, mentre la permeabilità varia an-che con il numero degli strati.

Per il calcolo più approssimato del coefficiente di riflessione di una scogliera frangi-flutti, nota la sua pendenza e la ripidità dell’onda incidente, si determina in primo luogo il coefficiente di riflessione della parete liscia di uguale pendenza utilizzando la curva A della Fig. 7. 14. Il coefficiente di riflessione così trovato si moltiplica per i fattori ridut-tivi α1 e α2.

Il primo di questi fattori tiene conto della scabrezza del paramento avvalendosi del diametro dei massi DN della mantellata, della sua pendenza e del rapporto bI HH tra le altezze dell’onda incidente e dell’onda frangente al piede della struttura.

Nella Fig. 7. 15 il fattore α1 è dato come famiglia di curve nel piano θcotLDN ,

bI HH . Si può notare come il massimo effetto riduttivo della scabrezza si abbia per

grandi valori del parametro adimensionale θcotLDN : al tendere all’unità di questo parametro, α1 tende ad assumere il valore minimo (α1=0.2) quasi indipendente dal rap-porto bI HH , mentre per valori piccoli del parametro θcotLDN , α1 tende a diven-tare indipendente da questo e a dipendere esclusivamente da bI HH .

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Trasformazioni non energetiche delle onde monocromatiche 229

Fig. 7. 14. Coefficienti di riflessione per pareti piane lisce, spiagge e mantellate di frangiflutti (elaborazione su fonte: Shore Protection Manual, 1984).

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Capitolo 7 230

Il secondo fattore riduttivo α2 dipende dalla permeabilità della mantellata attraverso il numero degli strati di cui essa è composta e attraverso il diametro dei massi relativo all’altezza dell’onda incidente IN HD : più è grande questo rapporto, più la struttura è permeabile e quindi più è piccolo α2; parimenti, più è grande il numero degli strati dei massi omogenei costituenti la mantellata, più è piccolo il fattore riduttivo α2. Nella Tab. 7. II sono riportati alcuni valori del fattore α2 derivati da dati sperimentali con cotϑ = 2.5, 15.0dD sN = ; ( ) 3.0gTd004.0 2

s << , in cui dS è la profondità al piede della struttura.

Fig. 7. 15. Fattore riduttivo α1 dovuto alla scabrezza del paramento della struttura (Fonte: Shore Protection Manual).

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Trasformazioni non energetiche delle onde monocromatiche 231

Tab. 7. II. Fattore riduttivo α2 per diversi numeri di strati e per diversi valori della dimensione dei massi della mantellata di un frangiflutti (prove eseguite su modelli aventi:

52.cot =θ ; 15.0dD sN = ; ( ) 3.0gTd004.0 2s << ).

Numero degli strati DN /HI 1 2 3 4 <0.75 1.00 0.93 0.88 0.78

0.75÷2.0 1.00 0.71 0.70 0.69 >2.0 1.00 0.58 0.52 0.49

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Capitolo 7 232