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141 CAPITOLO 5 La competizione nell'Economia globale della Conoscenza 5.1 Le esportazioni high-tech I dati relativi alla quota di esportazioni high-tech sul totale delle esportazioni di un Paese forniscono un elemento significativo per valutare la sua capacità di innovazione a confronto con quella di altri Paesi nel contesto competitivo globale. Nel periodo 2007-2015 (Grafico 5.1.1.) l’Italia registra una percentuale che cresce progressivamente dal 6% al 6,9%, comunque molto inferiore a quella degli altri Paesi europei. La Francia, infatti, fa registrare, nel 2015, il 21,6% della quota delle esportazioni, seguita da Regno Unito (16,7%) e Germania (14,8%). Si registrano valori inferiori all’Italia, invece, in Spagna (5,4%) e Portogallo (3,8%). Quasi tutti i Paesi considerati mostrano un aumento costante delle esportazioni high-tech a partire dal 2007 e tale incremento risulta confermato fino al 2015. Gli unici Paesi in calo sono Finlandia (-60%), Portogallo (-44,1%) e Regno Unito (0,6%).

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CAPITOLO 5

La competizione nell'Economia globale della Conoscenza

5.1 Le esportazioni high-tech

I dati relativi alla quota di esportazioni high-tech sul totale delle esportazioni di un Paese

forniscono un elemento significativo per valutare la sua capacità di innovazione a

confronto con quella di altri Paesi nel contesto competitivo globale.

Nel periodo 2007-2015 (Grafico 5.1.1.) l’Italia registra una percentuale che cresce

progressivamente dal 6% al 6,9%, comunque molto inferiore a quella degli altri Paesi

europei. La Francia, infatti, fa registrare, nel 2015, il 21,6% della quota delle esportazioni,

seguita da Regno Unito (16,7%) e Germania (14,8%). Si registrano valori inferiori all’Italia,

invece, in Spagna (5,4%) e Portogallo (3,8%). Quasi tutti i Paesi considerati mostrano un

aumento costante delle esportazioni high-tech a partire dal 2007 e tale incremento risulta

confermato fino al 2015. Gli unici Paesi in calo sono Finlandia (-60%), Portogallo (-44,1%) e

Regno Unito (0,6%).

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Analizzando l'andamento del valore delle esportazioni high-tech (Grafico 5.1.2.) nei

principali Paesi extraeuropei tra 2007 e 2015, si rileva che la Cina registra la crescita più

consistente in valore assoluto, passando da 303 miliardi di dollari nel 2007 a 554 miliardi nel

2015 (+82,8%). Stati Uniti e Giappone (i primi seguono la Cina per valori assoluti con 154

miliardi di dollari) registrano una contrazione a partire dal 2008 rispettivamente pari al -

30,3% e al -23,3%. Si assiste, invece, a una crescita del +25,7% della Corea del Sud, che si

colloca terza in classifica dopo Cina e Stati Uniti, con 127 miliardi di dollari. Tra i Paesi con

un valore di esportazioni inferiore ai 100 miliardi di dollari si registrano le variazioni più

consistenti in termini percentuali: si tratta di Russia (+150%), e Israele (+300%).

Il valore delle esportazioni rapportato al PIL e quello del saldo commerciale per i settori

“Farmaceutica”, “Computer, elettronica e ottica” e “Aerospazio” (Tabella 5.1.1.)

evidenziano come in Italia sono le imprese farmaceutiche a presentare la quota più alta

di esportazioni sul PIL (4,03%), seguite da quelle del settore “Aerospazio” (1,57%); il settore

"Computer, elettronica e ottica" contribuisce, invece, solamente per 0,64% del PIL e

registra un saldo negativo (-13.628,27 milioni di dollari). Il saldo è passivo anche per il

settore farmaceutico (-24.468,81). Germania, Stati Uniti e Regno Unito presentano la quota

  143  

export più alta nel settore “Farmaceutici”, rispettivamente il 14,56%, il 9,84% e il 6,98%,

mentre la Corea del Sud primeggia nel settore "Computer, elettronica e ottica" con il 6%

di quota export e gli Stati Uniti nel settore “Aerospazio” con il 33,46%. I saldi commerciali

nei settori analizzati sono prevalentemente negativi, ad esclusione della Corea del Sud,

che fa registrare un saldo positivo (+63.925,34 milioni di dollari) nel settore "Computer,

elettronica e ottica", di Stati Uniti, Francia, Germania, Regno Unito e Polonia con saldo

positivo per il settore “Aerospazio” e Germania, Francia, Svezia e Regno Unito per il settore

“Farmaceutici”.

Tabella 5.1.1 - Quota di export e saldo commerciale nei settori ad alta tecnologia e conoscenza, 2015. Fonte: OECD, Main Science and Technology Indicators (2017)

Quota export (%) Saldo commerciale (milioni $)

Farmaceutici

Computer, elettronica,

ottica Aerospazio Farmaceutici

Computer, elettronica,

ottica Aerospazio

Canada 1,49 0,59 3,85 -4.697,66 -24.252,53 2.608,33

Finlandia 0,18 0,13 0,16 -1.254,70 -2.141,76 -221,08

Francia 5,88 1,40 16,01 4.665,69 -16.785,97 24.609,74

Germania 14,56 4,63 12,36 28.328,28 -7.660,16 16.376,37

Italia 4,03 0,64 1,57 -2.468,81 -13.628,27 2.713,69

Giappone 0,72 3,63 1,97 -20.167,36 -10.704,52 -2.323,27 Corea del Sud 0,44 6,00 0,53 -2.862,58 63.925,34 -2.463,15

Polonia 0,59 0,74 0,56 -2.231,44 -4.175,20 830,87

Portogallo 0,20 0,09 0,06 -1.570,18 -2.058,67 -226,02

Spagna 2,28 0,26 1,36 -3.342,54 -14.346,36 1.286,46

Svezia 1,61 0,54 0,19 4.478,13 -3.598,50 -187,82 Regno Unito 6,98 1,43 9,24 2.058,98 -31.984,34 7.080,98

Stati Uniti 9,84 8,10 33,46 -37.945,37 -180.202,45 79.083,71

5.2 Il commercio internazionale di knowledge asset

L’OCSE intende per commercio internazionale di knowledge asset il trasferimento di

tecnologia e asset per la Conoscenza (brevetti, marchi, design, R&S industriale e servizi di

R&S). Il bilancio fra incassi e pagamenti relativo al commercio internazionale di

knowledge asset del 2013 (Grafico 5.2.1) è un dato molto significativo per valutare

l’innovazione di un Paese e mostra valori positivi solo per Russia, Polonia e Corea del Sud.

  144  

Fra gli altri Paesi è il Regno Unito a registrare gli incassi più elevati (pari a 1,45% del PIL),

contro una quota di 0,47% del PIL destinata ai pagamenti. La percentuale di incassi

relativa all’Italia risulta la più bassa tra i Paesi europei considerati (0,69%), a fronte dello

0,63% del PIL destinato ai pagamenti.1

5.3 La produttività del lavoro

Osservando l’evoluzione della produttività del lavoro nei principali Paesi europei tra 2005 e

2015 (Tabella 5.3.1), il dato italiano mostra una crescita lieve, ma continua, con un tasso,

dal 2007 al 2015, dello 0,20%. Nel 2015, la produttività del lavoro raggiunge valori superiori

alla media europea (53,6$ contro 51,0$). La produttività del lavoro in Italia resta, tuttavia,

inferiore a quella di Stati Uniti (68,3$), Germania (66,6$), Francia (66,3$), Svizzera (65,6),

Finlandia (56,5$). In Europa, fanno peggio del nostro Paese Polonia, Spagna e Regno

Unito, che registrano valori al di sotto della media UE28, pari a 52,7$.

                                                                                                                         1  I  dati  OECD,  Tecnology  and  Industry  Scoreboard  (2015)  sono  gli  ultimi  disponibili  alla  data  del  31  ottobre  2017.  

  145  

Tabella 5.3.1 - Produttività del lavoro, 2007 - 2015 (PIL per ora di lavoro in $ correnti) Fonte: OECD, Productivity Indicators (2017)

2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015

Tasso di crescita

2007-2015

Canada 43,7 44,7 45,1 46,2 47,8 48,1 50,4 51,9 50,8 0,14

Finlandia 47,0 49,2 48,7 50,3 52,4 52,5 54,4 55,3 56,5 0,17

Francia 52,8 54,2 55,1 57,0 58,9 59,5 63,2 64,6 66,3 0,21

Germania 52,2 53,9 54,1 56,3 59,2 60,6 63,3 65,3 66,6 0,22

Israele 32,3 31,7 31,9 33,2 34,9 36,0 38,7 39,5 41,1 0,22

Italia 43,2 45,5 46,1 47,2 49,0 50,2 52,0 52,8 53,6 0,20 Giappone

37,2 37,9 37,7 39,5 40,4 41,7 43,7 44,0 45,5 0,19

Corea del Sud

25,1 26,6 26,6 28,9 30,8 30,2 31,6 31,4 31,9 0,22

Polonia 20,3 21,4 22,7 25,5 27,5 28,8 29,9 30,4 31,2 0,36

Portogallo 28,2 29,3 30,0 31,4 31,7 32,8 35,3 35,6 36,0 0,22

Spagna 40,6 42,1 43,7 44,3 45,7 47,9 50,2 51,2 51,3 0,21

Svizzera 51,5 54,2 54,2 55,9 58,6 60,6 63,6 65,0 65,6 0,22 Regno Unito

44,0 45,7 44,8 47,1 47,8 48,5 49,9 51,1 52,5 0,17

Stati Uniti 55,9 57,4 59,5 61,9 63,3 64,7 65,8 67,2 68,3 0,19

UE 28 40,9 42,5 43,0 45,0 46,7 48,2 50,4 51,5 52,7 0,23

OCSE 41,5 42,7 43,3 44,8 46,5 47,4 49,2 50,1 51,0 0,19

L’analisi, invece, dei tassi annuali di variazione della produttività multifattore tra 2007 e

2015 (Tabella 5.3.2.) mostra per l'Italia valori positivi nel 2015, pur essendo la performance

italiana la peggiore tra i Paesi esaminati, dopo il Canada (-0,3%). Se si guarda al periodo

2009-2015 si registra tuttavia una crescita, seppure altalenante, che porta il nostro Paese

dal -3,5% del 2009 allo 0,2% del 2015. La migliore performance, nel 2015, rimane quella del

Giappone e del Regno Unito che fanno registrare un +1,2% di crescita della produttività

multifattore.

Tabella 5.3.2 - Crescita annuale della produttività multifattore, 2007 - 2015 (valori percentuali) Fonte: OECD, Productivity Indicators (2015)

2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015

Canada -0,5 -0,8 -0,8 0,9 1,4 -0,4 1,0 1,7 -0,3

Francia -0,3 -1,3 -1,7 1,2 0,9 -0,3 0,8 0,3 0,3

Germania 1,4 -0,2 -3,6 2,6 2,1 0,3 0,5 0,5 0,8

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Italia -0,4 -1,3 -3,5 1,8 0,3 -1,1 0,2 0,3 0,2

Giappone 0,5 -0,8 -2,6 3,5 0,1 1,1 1,9 -0,0 1,2 Corea del Sud 4,3 3,1 0,3 5,5 4,2 -2,6 3,1 -0,8 0,7

Spagna 0,3 -0,9 -0,2 0,7 -0,1 -0,2 -0,2 0,1 ..

Svizzera 1,7 0,0 -2,6 2,1 -0,1 0,0 1,2 0,5 -1,2

Regno Unito 1,1 -0,9 -3,2 1,8 0,1 -0,7 0,1 0,4 1,2

Stati Uniti 0,3 -0,3 1,0 2,3 0,1 0,2 0,1 0,3 0,6

La crescita media annua del Valore Aggiunto per ora di lavoro, nei singoli settori di attività

(Tabella 5.3.3) mostra come l’Italia si ponga sotto la media UE28 in tutti i settori,

registrando, infatti, per il settore “Agricoltura” una crescita pari a 1,9%, a fronte di una

media europea di 3,5%, per il settore “Manifatturiero” una crescita dell’1,4% (media UE

pari a 2,2%) e per il settore “Servizi” una contrazione pari allo 0,1%, contro una crescita

media UE28 pari a 0,6%. Fanno peggio solamente Germania, che ottiene in “Agricoltura”

lo 0,7% di crescita media annua del Valore Aggiunto, in “Manifatturiero” un +1,1% e nei

“Servizi un +0,6% e Regno Unito (rispettivamente: +1,5%, +1%, +0,7%). Le performance

migliori riguardano, invece, Finlandia, che registra un +4,5% in “Agricoltura, un +0,2% nel

“Manifatturiero” ed un + 0,8% nel settore “Servizi” e il Portogallo, con rispettivamente

+4,4%, +2%, +0,8% nei settori considerati.

Tabella 5.3.3 - Crescita media annua del Valore Aggiunto per ora di lavoro per settore di attività, 2007 - 2015 Fonte: OECD, Productivity Indicators (2015)

Agricoltura Manifatturiero Servizi

2007 - 2014 Finlandia 4,5 0,2 0,8 Francia 4,1 1,9 0,5 Germania 0,7 1,1 0,6 Israele -0,7 1,7 2,1 Italia 1,9 1,4 -0,1 Corea del Sud 6,1 4,4 3,7 Polonia 2,1 6,2 2,1 Portogallo 4,4 2,0 0,8 Spagna 2,9 2,6 0,7 Regno Unito 1,5 1,0 0,7 UE28 3,5 2,2 0,6

  147  

Se si analizza il Valore Aggiunto per ora di lavoro nel settore “Manifatturiero” (Tabella

5.3.4), si rileva che, nel 2015, l’Italia registra un aumento del 8,7%, rispetto al 2010, crescita

leggermente al di sotto della media U28 pari a 11,9%. Il Valore aggiunto più alto è quello

della Polonia (120,6), che è anche la nazione che fa registrare la crescita maggiore dal

2010 al 2015: +27%.

Tabella 5.3.4 - Valore Aggiunto per ora di lavoro nel settore Manifatturiero, 2007 - 2015 (2010 = 100) Fonte: OECD, Productivity Indicators (2015)

2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015

Finlandia 105,3 102,5 90,2 100 98,3 88,1 93,3 95,7 96,0

Francia 95,8 93,5 94,8 100 104,0 104,6 106,7 109,1 110,8

Germania 101,1 96,9 86,2 100 104,7 102,2 101,7 105,8 106,4

Israele 87,8 88,1 87,7 100 98,0 97,6 96,5 97,3 98,4

Italia 98,0 96,6 89,7 100 101,9 103,0 104,5 106,5 108,6 Corea del Sud 83,9 91,3 92,7 100 109,4 107,3 114,9 111,4 109,5

Polonia 76,2 80,2 86,5 100 107,4 112,2 110,0 116,0 120,6

Portogallo 92,3 93,6 91,0 100 102,9 103,5 105,7 106,5 105,5

Regno Unito 95,2 96,5 94,6 100 102,1 99,8 98,0 100,9 100,6

UE28 95,2 93,5 89,3 100 103,5 103,6 104,3 107,3 111,3

Gli indicatori di produttività per l’Italia, infine, (Tabella 5.3.5) mostrano un calo per quanto

riguarda i valori del PIL pro-capite a partire dal 2011 fino al 2016 (-3,5%) e della produttività

multifattore (-0,2% dal 2010 al 2015). Leggermente in crescita, invece, i dati relativi a PIL

per ora di lavoro (+0,3%), mentre il salario per ora di lavoro cresce dal 2010 del 4,1%.

Tabella 5.3.5 - Italia, indicatori di produttività, 2007 - 2014 (2010 = 100) Fonte: OECD, Productivity Indicators (2015)

2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016

PIL pro capite, prezzi costanti

107,0 105,1 98,8 100,0 100,2 96,9 94,8 94,6 95,5 96,5

PIL per ora di lavoro, prezzi costanti

100,6 100,0 97,8 100,0 100,5 100,2 101,1 101,3 101,1 100,3

Produttività multifattore 103,2 101,8 98,3 100,0 100,3 99,1 99,3 99,6 99,8 n.d.

Salario per ora di lavoro 92,5 95,1 97,7 100,0 101,0 102,1 103,8 104,0 104,1 104,1

  148  

CAPITOLO 6

L’articolazione regionale del Sistema della Conoscenza e dell’Innovazione

6.1 La spesa in R&S delle regioni italiane

I dati relativi all’andamento della spesa in R&S nelle regioni italiane rapportata al PIL

evidenziano, nel 2014 rispetto al 2013 (Grafico 6.1.1), un complessivo aumento della spesa

media, pari a 1,38%. Nel 2014, è il Piemonte la regione con la più elevata incidenza della

spesa in R&S sul PIL, pari a 2,27%. Al di sopra della media nazionale (1,05%) anche la

Provincia Autonoma di Trento (1,9%), Emilia Romagna (1,75%), Friuli-Venezia Giulia (1,64%),

Lazio (1,62%, anche se in leggero calo rispetto al 2013) e Liguria (1,45%). E' evidente il

divario tra le regioni del Centro-Nord e quelle del Sud Italia, fra le quali la Campania fa

registrare la spesa in R&S più alta (1,32%), ma sempre al di sotto della media nazionale. Tra

le regioni al fondo alla classifica figura Valle d’Aosta (0,44%), Basilicata (0,59%), Molise

(0,64%) e Provincia Autonoma di Bolzano (0,72%).

Confrontando i dati del 2014 con quelli del 2013, emerge che tra le regioni che

presentano valori sopra la media nazionale solamente il Lazio abbia lievemente ridotto la

spesa (-0,03%), mentre tra le regioni con valori sotto la media, tutte abbiamo

incrementato la spesa in R&S in rapporto al PIL tra 2013 e 2014, ad esclusione di Veneto e

Molise.

I dati relativi all’andamento della spesa in R&S realizzata dalle imprese nelle regioni

italiane rapportata al PIL per gli anni 2013-2014 (Grafico 6.1.2) confermano il Piemonte

come la regione che nel 2014 ha il più elevato livello, pari a 1,81% del PIL. Seguono, con

livelli superiori alla media italiana (0,76%) Emilia-Romagna (1,17%), Lombardia (0,93%),

Provincia Autonoma di Trento (0,89%) e Friuli-Venezia Giulia (0,88%); di contro, Sardegna,

Calabria e Basilicata non superano 0,1% del PIL. Cresce, rispetto al 2013, il livello di spesa

delle imprese di tutte le regioni italiane, ad esclusione delle imprese venete e campane (-

0,02%) e molisane (-0,03%), che decrescono, seppur lievemente.

  149  

  150  

  151  

Se si guarda, invece, all’incidenza della spesa in R&S delle imprese sulla spesa totale in

R&S della regione (Grafico 6.1.3.), tale indicatore mette ancora in evidenza il divario tra

Nord e Sud del Paese: in tutte le regioni del Nord, infatti, ad esclusione della Provincia

Autonoma di Trento (47%), tale percentuale supera il 50% (dall’80% per il Piemonte al 52%

per la Liguria, al 47% per la Provincia Autonoma di Trento). In tutte le regioni del Centro-

Sud, ad eccezione delle Marche (55%), invece, essa è inferiore a 50% (dal 53% della

Toscana al 6% di Sardegna e Calabria). Anche l’incidenza della spesa in R&S delle

imprese sul totale della regione cresce o rimane stabile dappertutto dal 2013 al 2014, ad

esclusione di Veneto, Friuli-Venezia Giulia e Campania (-1%), Umbria (-3%) e Sicilia (-6%).

  152  

La spesa in R&S finanziata dalle istituzioni pubbliche nel 2014 (Grafico 6.1.4), presenta

come negli anni precedenti, valori assai superiori nel caso di Lazio rispetto alle altre regioni

(0,64% del PIL regionale);

 

  153  

tale valore è conseguenza del fatto che tutti gli enti pubblici di ricerca hanno sede legale

nel Lazio, anche se le strutture operative di ricerca siano spesso localizzate in altre aree

del territorio nazionale. In questa classifica, il Lazio è seguito da Provincia Autonoma di

Trento (0,5%), Liguria (0,33%), Basilicata (0,28%).

I dati, infine, relativi alla spesa in R&S delle università in percentuale del PIL nelle regioni

italiane (Grafico 6.1.5), vede gli atenei siciliani ed umbri ai primi posti, con un livello di

spesa pari allo 0,65%. Seguono le università sarde e campane (0,57%), pugliesi e della

Provincia Autonoma di Trento, tutte con un livello di spesa in R&S in percentuale del PIL

superiore allo 0,50%. Superano la media nazionale di 0,37%, anche Toscana (0,48%),

Abruzzo (0,47%), Friuli-Venezia Giulia (0,46%) ed Emilia-Romagna (0,43%).

  154  

6.2 Gli addetti alla R&S nelle regioni italiane

Il numero di addetti alla R&S (Grafico 6.2.1.) evidenzia il primato della Lombardia, che

presenta nel 2012 la quota più alta rispetto al totale nazionale: 20,88%. Sommando le

quote delle prime quattro regioni italiane (Lombardia, Lazio, Emilia Romagna e Piemonte)

si ottiene oltre la metà degli addetti alla R&S di tutto il Paese (55,74%). Fanalino di coda

Valle d’Aosta, Molise e Basilicata con meno dello 0,50% della quota di addetti.1

                                                                                                                         1  I  dati  ISTAT,  Ricerca  e  sviluppo  in  Italia  (2014)  sono  gli  ultimi  disponibili  alla  data  del  31  ottobre  2017.  

  155  

La percentuale di addetti alla R&S nelle imprese di una regione sul totale del Paese, nel

2012 (Grafico 6.2.2), evidenzia l’ulteriore primato della Lombardia, che presenta oltre un

quarto del totale degli addetti alla R&S delle imprese italiane (26,7%). Dietro la Lombardia

si collocano Piemonte con il 14,4%, Emilia Romagna (13,66%), Veneto (12,50%) e Lazio

(7,4%). Complessivamente, nelle regioni del Nord e del Centro opera il 91,9% degli addetti

alla R&S delle imprese.2

                                                                                                                         2  I  dati  ISTAT,  Ricerca  e  sviluppo  in  Italia  (2014)  sono  gli  ultimi  disponibili  alla  data  del  31  ottobre  2017.  

  156  

I dati a disposizione evidenziano anche che il 37,56% degli addetti alla R&S nelle istituzioni

pubbliche italiane (Grafico 6.2.3.) sono localizzati in Lazio. La performance del Lazio

determina che la percentuale maggiore di addetti si registri nelle regioni del Centro

(53,87%), in seconda posizione si collocano le regioni del Nord (26,30%), mentre, anche in

questo caso, il Sud fa registrare i valori più bassi (19,85%). 3

Se si considera, infine, la distribuzione degli addetti alla R&S delle università tra le regioni

(Grafico 6.2.4.), i valori più elevati si registrano in Lombardia (16,41%), seguita da Lazio

(10,84%) e Toscana (9,7%). Tra le regioni del Sud, le percentuali più alte sono quelle di

                                                                                                                         3  I  dati  ISTAT,  Ricerca  e  sviluppo  in  Italia  (2014)  sono  gli  ultimi  disponibili  alla  data  del  31  ottobre  2017.  

  157  

Campania (8,31%) e Sicilia (5,82%) che si pongono così rispettivamente al quinto e ottavo

posto, subito dopo l’Emilia-Romagna (9,69%).4

                                                                                                                         4  I  dati  ISTAT,  Ricerca  e  sviluppo  in  Italia  (2014)  sono  gli  ultimi  disponibili  alla  data  del  31  ottobre  2017.  

  158  

6.3 I brevetti delle regioni italiane

Il divario tra Nord e Sud d’Italia risulta ancora più evidente se si considera la produzione di

brevetti nelle regioni italiane. I dati a disposizione (Grafico 6.3.1) evidenziano come le

regioni del Sud Italia, nel 2012, abbiano depositato presso l’European Patent Office solo

51,8 brevetti per milione di abitanti, contro i 927,3 delle regioni del Nord e i 200,3 delle

regioni del Centro. La regione che, nel 2012, presenta il valore più elevato di tale

indicatore è Friuli-Venezia Giulia, con 217,4 brevetti per milione di abitanti, seguita da

Emilia-Romagna (133,4) e Provincia Autonoma di Bolzano (125,0). Veneto, Lombardia,

Piemonte, e Toscana presentano comunque valori superiori alla media nazionale, che si

attesta a 60,2 brevetti e decresce nel 2012, rispetto all’anno precedente di 13,6 brevetti.

Se si analizzano anche le domande di brevetto presso l’EPO per regione e settore di

attività nel 2012 (Tabella 6.3.1.), nel caso del settore delle “Biotecnologie” è la Provincia

Autonoma di Bolzano a registrare i valori più elevati con 7,9 brevetti per milione di abitanti,

seguita dalla Toscana (4,6 brevetti per milione di abitanti) e dall’Emilia-Romagna (2,6). Nel

settore “ICT”, invece, il primato è della Liguria, che presenta la quota più elevata di

brevetti per milione di abitanti: 24,8, seguita da Friuli Venezia Giulia con 14,7 brevetti per

milione di abitanti ed Emilia-Romagna con 14,6. Fanalino di coda, sia nel settore

“Biotecnologie”, sia nel settore “ICT”, la Calabria, che fa registrare rispettivamente 0,3 e

0,7 brevetti per milione di abitanti.

  159  

  160  

Tabella 6.3.1 - Distribuzione delle domande di brevetto presso l'EPO per regione e settore di attività, 2011 - 2012 (per milione di abitanti)

Fonte: EUROSTAT, Science and Technology Database (2017)

Regione Biotecnologie ICT

2011 2012 2011 2012

Piemonte 3,6 2,2 18,8 14,0

Valle d'Aosta n.d n.d 16,7 5,9

Liguria 2,6 1,1 23,9 24,8

Lombardia 2,8 2,6 16,5 13,9

Provincia Autonoma di Bolzano 7,3 7,9 16,6 1,8

Provincia Autonoma di Trento 2,5 n.d 8,6 6,0

Veneto 1,3 1,2 11,7 8,8

Friuli-Venezia Giulia 4,8 2,4 14,3 14,7

Emilia-Romagna 1,3 2,6 16,7 14,6

Toscana 5,2 4,6 14,1 10,5

Umbria 1,1 1,9 2,2 2,5

Marche 1,1 n.d 9,9 5,3

Lazio 2,9 1,7 10,7 7,7

Abruzzo 0,3 2,3 3,6 2,0

Molise 3,2 n.d 3,7 n.d

Campania 0,6 1,7 2,6 2,8

Puglia 0,9 n.d 3,1 1,5

Basilicata 0,6 n.d 0,7 1,9

Calabria n.d 0,3 1,2 0,7

Sicilia 0,2 n.d 2,6 0,6

Sardegna 0,5 n.d 1,7 2,7

Infine, il dato relativo al numero di brevetti presso l'EPO per 1.000 addetti alla R&S nelle

regioni italiane (Grafico 6.3.2) evidenzia il valore più alto per Friuli-Venezia Giulia con 39,6

brevetti per 1.000 addetti alla R&S. Seguono Provincia Autonoma di Bolzano (39,3) e

Veneto (21,7). Le regioni del Nord presentano valori non distanti: Emilia Romagna (21,5),

Valle d’Aosta (19,5) Lombardia (18,1), Piemonte (16,6). Tra le regioni del Centro spiccano,

invece, le Marche con 18,6 brevetti per 1.000 addetti alla R&S e Toscana (14,6), mentre

nel Sud Italia la migliore performance è quella della Calabria con 9,5 brevetti. Ultima in

classifica si colloca il Molise con 2,1 brevetti.

  161  

  162  

6.4 Le specializzazioni settoriali/tematiche/territoriali dei brevetti

L’andamento delle domande di brevetto presentate dall’Italia all’European Patent Office

(EPO) (Grafico 6.4.1), nei diversi settori di attività, tra il 2004 e il 2013, evidenzia un calo per

tutti i settori considerati: -43,4% per il settore “Computer, elettronica ed ottica”, -41% per il

settore “Farmaceutici” e -31,7% per il settore “Minerali non metallici”. L’unico settore che

presenta valori di decrescita limitati dal 2013 rispetto al 2004 è quello di “Materiale

elettrico” (-5,2%%).

Nel 2013, il numero maggiore di domande di brevetto presentate dall’Italia all’European

Patent Office si registra nel settore “Macchinari” (1.025), che registra però un calo rispetto

al 2004, pari a -15%. Il numero minore di brevetti è quello relativo ai “Minerali non metallici”

(69). Anche tra 2012 e 2013 tutti i settori di attività registrano variazioni di segno negativo,

con una riduzione minima di -5,6% per il settore “Automezzi” e una massima di -32,2% per il

settore “Minerali non metallici”.5

                                                                                                                         5  Dato  2013  previsionale.  

  163  

  164  

Per i brevetti PCT pubblicati per l’Italia per settore di attività, tra 2000 e 2016 (Grafico

6.4.2), si registra una prevalenza di quelli del settore “Movimentazioni” (771), seguito da

quello dalla “Tecnologia medicale” (750) e da quello dei “Macchinari speciali” (536). I

  165  

valori più bassi si registrano per i settori “Nanotecnologie” (11), “Processi di

comunicazione” (31) e “Metodologie IT per il management” (91).

Se si confrontano, infine, i dati relativi all’Italia nei settori più innovativi (ICT, Bio e

Nanotecnologie) con quelli dei principali Paesi industrializzati (Tabella 6.4.1.), l’Italia

presenta il numero più basso di brevetti PCT tra il 2011 e 2016, sia per il settore

“Biotecnologie” (337), sia per quello “ICT” (305), sia per le “Nanotecnologie” (25). Il

maggior numero di brevetti si registra negli Stati Uniti che hanno 13.198 brevetti

biotecnologici, 38.063 ICT e 760 del settore “Nanotecnologie”.

Tabella 6.4.1 - Brevetti PCT nei settori Biotecnologie, ICT e Nanotecnologie, 2011- 2016 (valori totali)

Fonte: Elaborazione Fondazione COTEC su dati WIPO, Statistics Database (2015)

Biotech ICT Nanotech Canada 564 1053 46

Cina 1724 12832 118

Francia 1685 2361 127

Germania 2175 2945 190

Giappone 3734 14845 319

Israele 433 943 26

Italia 337 305 25 Regno Unito 1272 1594 60

Spagna 566 310 66

Stati Uniti 13198 38063 760

Il numero dei brevetti per il settore “Green” con registrazione di deposito all’European

Patent Office (EPO) di co-titolari italiani tra il 2006 e il 2015, (Grafico 6.4.3) mostra che è

aumentato complessivamente del 22%, andando così a rappresentare il 10% delle 3.645

domande di brevetto totali registrate nel 2015. Si tratta di oltre 3.500 invenzioni registrate

tra il 2006 e il 2015, che introducono innovazioni a basso impatto ambientale nei processi

o nei prodotti realizzati. SI mantiene pressoché costante e sull’ordine dei mille brevetti

l’anno, il trend delle innovazioni legate alle cosiddette KET (Key Enabling Technology), le

tecnologie abilitanti a più alta intensità di conoscenza associate alla ricerca applicata e

allo sviluppo sperimentale, che richiedono investimenti elevati e lavori altamente

specializzati. Le KET (biotech, fotonica, manifattura avanzata, materiali avanzati,

nano/micro-elettronica e nanotech) rappresentano il 29% circa del totale dei brevetti

italiani pubblicati dall’EPO nel 2015.

  166  

I settori “Medico” e “Imballaggi” restano quelli in cui si esercita maggiormente la

capacità innovativa di imprese, enti e singoli inventori del nostro Paese (Grafico 6.4.4). Essi

continuano, infatti, ad occupare i primi posti della graduatoria per classi tecnologiche

delle invenzioni italiane in Europa.

In crescita, tra il 2006 e il 2015, il numero di brevetti per il settore “Arredo”, che recupera

ben tre posizioni, rubando il podio ai “Veicoli” in costante calo (-60%). Invece, il numero di

brevetti legati a una parte delle tecnologie della “Digital economy e communication”,

sprofonda in ultima posizione nel 2015.

  167  

Grafico 6.4.4 - Brevetti con registrazione di deposito all'EPO di co-titolari italiani per classi di IPC più numerose, 2006-2015 (valori percentuali)

Fonte: Elaborazioni Unioncamere-DINTEC su dati EPO (2017)

Le regioni del Nord-Ovest, motore dell’innovazione italiana, pur confermando la loro

leadership rispetto alle altre aree del Paese, hanno avuto però anche un ruolo chiave nel

calo generalizzato della brevettazione italiana in Europa (-23% in 10 anni) (Grafico 6.4.5).

Le regioni del Nord-Ovest fanno registrare, tra i 2006 e il 2015, 26.000 brevetti europei

registrati, contro 19.000 circa del Nord Est, 9.000 del Centro e poco più di 2.000 del

Mezzogiorno. La regione con più brevetti nel 2015 è la Lombardia (1.456), seguita da

Emilia-Romagna (591), Veneto (516) e Piemonte (373). Ultime in classifica il Molise con 2

brevetti, Valle d’Aosta e Basilicata con 3 brevetti.

A livello provinciale, confrontando il numero dei brevetti pubblicati nel 2006 con quelli del

2015 (Tabella 6.4.2) la provincia più innovativa è quella di Treviso con 140 brevetti nel

2015, 41 in più rispetto al 2006, seguita da quelle di Firenze (+37) e di Parma (+30). Sul

fronte opposto, a risentire maggiormente della congiuntura economica negativa del

decennio, si posizionano quelle di Monza Brianza, i cui brevetti pubblicati all’EPO nel 2015

sono stati 53, contro i 247 del 2006, Milano (-126) e Torino (-88).

  168  

  169  

Tabella 6.4.2 - Le 15 province con la migliore performance dei brevetti registrati all’EPO, 2006-2015 Fonte: Elaborazioni Unioncamere-DINTEC su dati EPO (2017)   Provincia   2006   2015   Differenza   Variazione  %  1   TV   99   140   41   42%  2   FI   63   100   37   59%  3   PR   56   85   30   53%  4   BZ   22   43   22   101%  5   AR   7   24   17   236%  6   AN   56   72   16   29%  7   RA   17   33   16   91%  8   CO   41   54   14   33%  9   TN   11   24   14   129%  10   AL   33   44   11   35%  11   NA   7   18   11   154%  12   VE   13   24   11   85%  13   UD   44   54   10   23%  14   CR   18   27   9   47%  14   CR   18   27   9   47%  15   NO   31   39   8   26%  

11

Il Tema dell’anno:L’Economia Circolareper la Competizione globalee la Sostenibilità

  171  

INTRODUZIONE

Il Rinascimento dell’industria europea, in particolare di quella manifatturiera, assunto della

Unione Europeo a fondamento della sua politica economica, può essere realizzato

promuovendo la evoluzione dell’industria secondo modelli diversi, non necessariamente

mutuamente esclusivi, ma anzi largamente coordinabili e integrabili.

Si tratta, in primo luogo, di Industria 4.0, che si prefigura come obiettivo una estesa e

profonda introduzione di tecnologie digitali nei sistemi aziendali nella loro complessa

articolazione, dalla Ricerca & Innovazione alla produzione fino alla commercializzazione e

alla cooperazione interaziendale.

Questo modello di struttura dell’industria e dell’impresa può trovare concreta attuazione e

diffusione anche nel breve-medio termine, sia per la ampia disponibilità di tecnologie

digitali agevolmente trasferibili in applicazioni sia per l’esistenza di contesti organizzativo-

gestionali spesso, perlomeno a livello di imprese medie e grandi, già attrezzati all’utilizzo di

tali tecnologie, anche se non sono irrilevanti i problemi da affrontare a livello culturale e

tecnico per realizzare in modo organico e sistemico la digitalizzazione di una piccola o

micro impresa o di una filiera industriale.

Altri modelli di strategia di impresa si stanno introducendo e diffondendo, anche se per

nicchie di prodotti e clienti- consumatori, quali Cottage Industry, Peripheral Industry,

Maker Economy. Peraltro molti di questi modelli di impresa sono largamente basati

sull’utilizzo di tecnologie ICT.

Recentemente la Commissione Europea ha assunto come una delle direttrici strategiche

del processo di Rinascimento dell’industria europea, la sua evoluzione verso il modello

della Economia Circolare.

L’assunto di fondo di questo modello è l’organizzazione e la gestione di ogni filiera

produttiva con modalità e soluzioni tecnologiche tali da minimizzare gli scarti destinati allo

smaltimento e quindi l’impiego di risorse materiali e da massimizzare l’efficienza dei

processi aziendali e interaziendali nell’utilizzo di risorse non rinnovabili.

Le finalità generali sottese all’introduzione del modello Circolare per la riconfigurazione

dell’industria europea sono molteplici: in primo luogo, l’innalzamento della qualità dei

prodotti delle imprese e della loro efficienza nell’utilizzo delle risorse materiali e quindi della

loro capacità competitiva nel contesto globale, nonché la conservazione e la possibilità

  172  

di riuso del contenuto “immateriale” dei prodotti (intermedi e finali) in termini di

conoscenze che hanno portato al loro sviluppo e produzione.

Al di là delle possibili declinazioni del modello di Economia Circolare sia sul piano

strategico sia su quello operativo, proposte da studiosi e organizzazioni di ricerca, fra i

quali assai noto e citato è quello della Ellen Mac Arthur Fondation, è evidente che esso

implica una profonda trasformazione dei sistemi tecnologici-organizzativi-gestionali delle

imprese e delle filiere produttive, da un lato, e dei comportamenti e delle decisioni dei

consumatori, dall’altro.

Si tratta infatti, in un caso, di riconfigurare i prodotti e i processi aziendali di produzione e

commercializzazione, in particolare quelli di distribuzione, in modo da ridurre il consumo di

materiali e di consentirne il riuso, eventualmente come input per altre imprese di altri

settori produttivi, nell’altro caso, di trasformare i clienti, soprattutto quelli finali, da

“consumatori” a “conservatori”.

Si tratta di problematiche complesse, non agevolmente risolubili nel breve termine in

quanto richiedono profondi mutamenti nei comportamenti di imprenditori e dirigenti

aziendali e di clienti e la disponibilità di adeguate soluzioni tecnologiche risultanti da una

avanzata attività di R&S.

A queste tematiche è stato dedicato l’XI Simposio COTEC Europa, tenutosi a Madrid nel

febbraio 2017.

Le relazioni tecniche di base al Simposio, predisposte dalle COTEC di Italia, Portogallo,

Spagna, hanno fornito una analisi di come i sistemi produttivi di questi Paesi si stanno

trasformando verso il modello di Economia Circolare e di quali azioni vengono attivate

dagli organi di governo pubblico alle diverse scale territoriali (nazionale e regionale in

primo luogo) per promuovere e sostenere tale trasformazione.

Emerge chiaramente che l’approccio strategico alla introduzione e alla diffusione del

modello di “Produzione-Consumo” Circolare tende a superare la limitatezza del solo

trattamento dei rifiuti e a intervenire su tutto il ciclo, dalla progettazione al consumo e al

riciclo-riuso-rigenerazione.

Inoltre si evidenzia che si tratta di un processo complesso, che coinvolge una molteplicità

di attori diversi, pubblici e privati, che possono svolgere un ruolo rilevante in specifiche fasi

del ciclo.

  173  

Pertanto le azioni promozionali devono tener conto e focalizzarsi sui possibili interessi,

esigenze e comportamenti diversificati di tali attori.

A conclusione delle relazioni tecniche sono state elaborate linee di proposte di azione per

promuovere l’implementazione del modello di Economia Circolare, largamente comuni e

coerenti con la struttura dei sistemi produttivi di Italia, Portogallo, Spagna.

 

  174  

ECONOMIA CIRCOLARE E INNOVAZIONE

1. Definizione di Economia Circolare

• Il dibattito a livello di policy marker, di operatori economici e di studiosi che si sta

ampiamente sviluppando a scala internazionale, ed anche italiana, evidenzia

l’esistenza di diversificate concezioni di come si configuri teoricamente e

praticamente il modello di Economia Circolare. Peraltro si sta affermando una

concezione dell’Economia Circolare, che supera la focalizzazione sull’utilizzo ottimale

delle risorse naturali e degli artefatti che ne derivano attraverso la tecnologia e quindi

sulla minimizzazione dell’utilizzo di energia e di materiali, verso una visione sistemica

del processo Circolare “Produzione - Consumo – Riuso”, posto in un contesto

strategico di riconcettualizzazione delle tradizionali fasi segmentate (produzione, uso,

recupero, smaltimento), finalizzato alla salvaguardia dell’Ecosistema globale e di

attivazione e di soddisfacimento delle esigenze del singolo in termini di benessere

culturale e fisico, lavoro, qualità della vita, oltre che efficienza economica e utilizzo

ottimale delle risorse.

• L’attuazione del modello sistemico di Economia Circolare si configura così come un

processo complesso, multidimensionale e a molti livelli e con un orizzonte temporale di

medio-lungo termine.

Essa coinvolge una molteplicità di soggetti pubblici e privati, quali imprese industriali e

di servizi, banche e operatori finanziari, università ed enti di ricerca, amministrazioni

pubbliche, cittadini nella loro funzione di consumatori e utilizzatori di prodotti/servizi,

ma anche portatori di esigenze di qualità della vita.

• Ciascuno di tali soggetti è in grado di intervenire operativamente su una o più

specifiche fasi del processo che porta alla implementazione del modello di Economia

Circolare, mentre in alcuni casi un singolo soggetto può governare strategicamente

la fase su cui opera.

Peraltro solo con la ricognizione, la messa in coerenza, l’integrazione e la sinergia di

tutte tali attività si può arrivare alla effettiva realizzazione di una Economia Circolare,

operazione complessa e di non agevole attuazione, stante la molteplicità e la

differenziazione di obiettivi e comportamenti dei diversi soggetti coinvolti, non

necessariamente orientati a priori verso lo stesso modello e concetto di Economia

 

  175  

Circolare, oltre ad essere differenziati nella lettura del rilievo dei singoli benefici

conseguibili.

Queste considerazioni generali possono essere efficacemente rappresentate da

schemi, che evidenziano per l’intero ciclo “chiuso” (Produzione-Consumo-

Rigenerazione) postulato dal modello di Economia Circolare, l’apporto dei molteplici

attori coinvolti nelle diverse fasi di tale ciclo. Si noti che in ultima istanza i modelli

“circolari” sono nient’altro che il collegamento tra la testa e la coda di modelli lineari

e che le tecnologie su cui si basano sono in buona parte mature o prossime alla

maturità.

La rappresentazione più nota e citata della complessità sistemica della Economia

Circolare è fornita dal seguente schema, elaborato dalla Fondazione Ellen Mac Arthur

(Fig. 1), basato sulla assunzione dell’obiettivo Zero Waste.

Fig. 1

 

  176  

La complessità della figura deriva anche dalla esplicitazione di singoli comparti che

contribuiscono al raggiungimento dell’obiettivo Zero Waste e ricadono in due grandi

categorie: Biochimica e Processi meccanici e fisici.

Va evidenziato come lo schema non fa riferimento né ai costi associati ai vari processi

né ai tempi di loro implementazione.

Riguardo gli aspetti economici, critici per la effettiva realizzazione del modello,

occorre considerare che l’attuazione dei processi può avere conseguenze negative

per il mercato e il ruolo di alcune tipologie di operatori economici.

Uno schema più sintetico, quale quello riportato qui di seguito (Fig. 2) evidenzia le

molteplici e diverse aree di fattori che influenzano positivamente o negativamente,

ossia come stimolo (driver) o come ostacolo, l’evoluzione dell’attuale modello lineare

“Produzione-Consumo-Smaltimento” verso quello Circolare.

Riguardo ai tempi occorre considerare con l’implementazione del modello tende a

considerano gli effetti negativi dei cambiamenti climatici in corso, per cui è urgente

intervenire su tali fenomeni, anche se significativi risultati si potranno conseguire solo

nel medio-lungo termine.

Fig. 2

• Va altresì considerato che il modello di Economia Circolare è stato assunto dalla

Commissione Europea come leva strategica per attuare la Reindustrializzazione

dell’Europa, basata sulla Innovazione, sula Conoscenza, sulla Sostenibilità e sulla

Inclusione, per ridare competitività e sviluppo alla industria EU nel quadro

internazionale.

Scienza  &  Tecnologia  

Economia  Circolare  

Struttura  industriale  

Regolamenti/Normative  

Valori  individuali  /  Modelli  di  consumo  

Geopolitica  

Finanza  

 

  177  

2. Le condizioni per l’implementazione dell’Economia Circolare

• Il modello di Economia Circolare può estrinsecarsi in diversificati assetti strutturali del

sistema di produzione (manifatturiera), in primo luogo il modello Industrie 4.0: un

appropriato, intenso ed esteso sviluppo delle applicazioni di tecnologie digitali lungo

tutta la catena del valore di una filiera produttiva, può rendere fattibile

l’implementazione di alcune caratteristiche dell’Economia Circolare, quali

l’ottimizzazione delle risorse, l’interazione fra gli operatori industriali e di servizi, il

collegamento sinergico fra “Produzione-Consumo-Rigenerazione”.

Anche altri modelli di produzione, quali Cottage/Urban Industry, Peripheral Industry,

Maker Economy possono, se strategicamente orientati, contribuire ad implementare il

modello di Economia Circolare.

È fondamentale a questo fine che tale modello venga fatto proprio culturalmente,

strategicamente ed operativamente da tutti gli attori che entrano in gioco nel ciclo

“Produzione-Consumo-Rigenerazione”.

A questo fine occorre ribadire l’esigenza fondamentale che tutti gli attori

percepiscano e si attendano effettivi benefici dalla implementazione del modello di

Economia Circolare, peraltro con diversificati e non necessariamente coerenti e

sinergiche motivazioni e aspettative.

Così per le imprese dei diversi settori, fornitrici di materiali, beni intermedi, beni finali,

od operanti nella fase end of use la opzione della Economia Circolare si configura

come una modalità per consolidare/ampliare gli spazi di mercato, produrre beni a

più elevato valore aggiunto e redditività, incrementare la competitività

internazionale. Peraltro, come si è già menzionato, per alcuni operatori economici la

Economia Circolare significa una riduzione del loro ruolo e una contrazione e perfino

la scomparsa del proprio mercato, con rilevanti impatti negativi sul loro

atteggiamento verso l’Economia Circolare.

Per i cittadini/consumatori, aldilà del miglioramento delle condizioni dell’Ecosistema,

localmente e globalmente, e della qualità della vita connesse ad una evoluzione dei

valori individuati e sociali e dei modelli di consumo, l’aspettativa maggiore è per una

elevata efficienza economica nell’utilizzo delle risorse, con la riduzione dei prezzi dei

beni finali, e la creazione di nuovi posti di lavoro.

 

  178  

Peraltro la perdurante crisi economica e occupazionale dei Paesi industrialmente

avanzati, con una riduzione del reddito disponibile alle famiglie e quindi della loro

capacità di spesa, rende molti consumatori poco propensi a pagare prezzi più elevati

per beni ambientalmente sostenibili.

Va infine evidenziato il fatto che la diffusione del modello di Economia Circolare non

può avere successo se limitata ad un solo Paese, data la globalizzazione dei processi

e dei sistemi di produzione, commercializzazione e distribuzione, che sempre più

ampiamente coinvolgono agenti di diversi Paesi in catene del valore estese a scala

globale.

In questo senso si muove la già ricordata decisione strategica dell’Unione Europea di

puntare sulla Economia Circolare per effettuare la Reindustrializzazione dell’Europa,

basata sulla Innovazione, sulla Conoscenza, sulla Sostenibilità, sulla Inclusione.

La implementazione del modello di Economia Circolare a scala internazionale può

consentire più efficaci e collaborativi rapporti fra i Paesi della Unione Europea e i Paesi

in via di sviluppo, in particolare del Mediterraneo e del Medio Oriente. Infatti, la

realizzazione di catene produttive estese a tali Paesi può portare a un nuovo modello

di Trasferimento Tecnologico del know how e della capacità industriale fra Europa e

tali Paesi, che, mentre è coerente con il livello tecnologico e le competenze tecnico-

scientifiche e produttive di questi ultimi, ne favorisce la crescita all’interno di un

processo cooperativo e sinergico.

3. I contributi dei diversi attori

• È possibile formulare alcune ipotesi riguardo i contributi che gli attori rilevanti del

sistema scientifico, produttivo, istituzionale, sociale, possono apportare, operando

all’interno delle fasi del ciclo (Produzione-Consumo-Rigenerazione), per la

implementazione del modello di Economia Circolare, come riportato nella seguente

Tabella 1.

Tab. 1

Fase Attore R&I Produzione

Commercializzazione/Distribuzione Utilizzo/Consumo

Rigenerazione/Riuso/Riciclo

Università/Enti di Ricerca X X

 

  179  

Imprese X X X X X

Organi pubblici di governo X X X X X

Banche/Operatori Finanziari X X X X

Cittadini/Consumatori X X

Organizzazioni e Associazioni

sociali, culturali, economiche X X

Nel seguito vengono delineati i contributi potenzialmente apportabili dai diversi attori

in corrispondenza con ciascuno degli incroci Attore/Fase, ritenuti rilevanti.

• Per quanto riguarda la fase di R&I, finalizzata a generare le tecnologie innovative

funzionali all’attuazione del modello di Economia Circolare, essa richiede l’intervento

coordinato e sinergico di università/enti di ricerca e di imprese, in quanto soggetti

esecutori fondamentali di tali attività, da un lato, e di organi pubblici di governo, che

devono indirizzare le attività innovative e rendere disponibili adeguati incentivi per la

loro implementazione, dall’altro lato. Anche banche/operatori finanziari possono

intervenire con la fornitura di adeguate risorse finanziarie a progetti di innovazione

tecnologica concepiti dalle imprese e finalizzati alla Economia Circolare.

Per quanto riguarda poi le tematiche di R&I, se molte soluzioni tecnologiche sono già

disponibili a livello di risultati di ricerca applicata, esiste anche in questo caso il ben

noto problema del trasferimento di tali risultati in applicazioni industriali

economicamente sostenibili.

Inoltre, nonostante la disponibilità di “tecnologie potenziali” che intervengono su

specifiche fasi della catena produttiva, il fatto che tali fasi siano gestite da autonomi

agenti economici, ripropone il problema della loro integrazione e coordinamento, per

cui sono necessarie adeguate azioni di tipo sistemico che coinvolgano

sinergicamente università/enti di ricerca e imprese.

Peraltro solo gli sviluppi scientifici nei campi Nano-Bio-ICT e la convergenza e

integrazione delle tecnologie risultanti possono portare alle radicali innovazioni dei

materiali, dei sistemi di produzione e di gestione della fase End-of-Use, necessarie per

attuare un avanzato modello di Economia Circolare, anche per la conservazione del

crescente contenuto immateriale incorporato nei prodotti caratterizzanti la rivoluzione

 

  180  

industriale in corso. Ne segue che devono essere intensificati gli sforzi per la

realizzazione di progetti scientifici e tecnologici da parte di università, enti pubblici di

ricerca e imprese technology provider, sia per lo sviluppo di nuove conoscenze sia

per la traduzione dei risultati della ricerca in processi/prodotti/servizi validi nel

mercato.

• Per quanto riguarda la fase di Produzione il compito e il contributo più rilevanti e critici

vengono dalle imprese di tutti i settori, operanti nelle varie sotto-fasi del ciclo

“Acquisto-Produzione-Distribuzione-End of Use”. A loro si richiedono anche rilevanti

modifiche dei sistemi tecnologici e organizzativo-gestionali aziendali.

Tale riconfigurazione dei sistemi aziendali e interaziendali richiede investimenti per cui

occorre che, da un lato, siano disponibili tali nuovi sistemi e, dall’altro, soprattutto

esistano adeguate risorse finanziarie. Da qui emerge ancora l’esigenza che

banche/operatori finanziari forniscano adeguate e finalizzate risorse finanziarie e che

organi pubblici di governo, soprattutto a scala nazionale e locale, introducano

opportuni strumenti di promozione e di incentivazione di progetti aziendali di

investimento verso l’Economia Circolare.

La corretta implementazione di questa fase richiede la possibilità di realizzare flussi di

materiali fra aziende, che rendono disponibili materiali come output del proprio ciclo

produttivo, e imprese, che possono utilizzare tali materiali come input del proprio

processo produttivo. Tali flussi, per essere produttivi ed economicamente sostenibili,

richiedono l’esistenza di adeguati regolamenti. Attualmente sono state introdotte

regolamentazioni che rendono possibili tali flussi, purché i materiali non debbano

subire trattamenti. La dichiarazione della natura e fruibilità dei materiali è lasciata al

produttore, senza alcuna verifica e certificazione da parte di soggetti terzi.

Questa situazione consente l’intervento di operatori pubblici, quali forze di polizia e

controllo del traffico, che non riscontrando alcuna certificazione di terzi, al di lò della

dichiarazione del produttore, potrebbero bloccare il trasporto dei materiali.

È quindi necessario introdurre una opportuna regolamentazione delle “materie

seconde”, che consenta la creazione di un effettivo mercato.

Problematiche aperte sono la semplificazione e la riformulazione delle norme e dei

regolamenti riguardo la fase end-of-waste e il Regolamento REACH sulla concezione

dello stato di rifiuto.

 

  181  

Critico di questo ambito è anche il ruolo della estensione della Responsabilità dei

Produttori.

Riguardo il processo di riconfigurazione dei sistemi aziendali e interaziendali va

evidenziato che esso incontra notevoli difficoltà dovute alla struttura del sistema

produttivo nazionale, caratterizzato dalla presenza di un grandissimo numero di

imprese, piccole e micro, spesso focalizzate su una specifica e ristretta fase del ciclo

produttivo, con limitata capacità di integrazione e coordinamento con altre imprese

di una stessa filiera produttiva. Inoltre non sono molte le aziende finali di grandi

dimensioni, che possono svolgere efficacemente il ruolo di organizzatore e

coordinatore sistemico dell’intera filiera produttiva secondo il modello dell’Economia

Circolare.

Esistono nondimeno diversi soggetti a rete che possono operare come promotori e

attuatori di azioni di coordinamento e di integrazione delle MPMI per

l’implementazione del modello di Economia Circolare. Si tratta della rete delle

Camere di Commercio, dei Distretti Industriali variamente distribuiti sul territorio

nazionale, dei Distretti Tecnologici che operano a scala nazionale, delle strutture

associative imprenditoriali, settoriali o di secondo livello.

Va altresì tenuta presente l’esistenza di operatori per lo smaltimento e il recupero di

materiali end-of-use, quali, ad esempio, il Consorzio Materie Plastiche, il Consorzio Olii

usati, il Consorzio Batterie, che hanno dimostrato di svolgere con efficacia ed

efficienza la propria missione. Questa però deve essere riorientata e focalizzata verso

la rigenerazione-riuso di materiali secondo il modello della Circolarità.

• Per quanto riguarda la fase di Utilizzo/Consumo, va evidenziato che per le imprese

operanti all’interno di una filiera produttiva/distributiva, valgono le precedenti

considerazioni.

Per quanto riguarda poi i cittadini/consumatori da loro dipende la propensione

all’acquisto di beni configurati secondo le “regole” della Circolarità, e quindi con una

rilevante componente di materiali da riciclo/riuso/rigenerazione. In questo senso i

cittadini debbono evolvere da “consumatori” a “conservatori”.

Tale propensione è condizionata, da un lato, dalla crescente e diffusa sensibilità alle

problematiche della salvaguardia dell’Ecosistema in cui i cittadini/consumatori vivono

e, più in generale, del pianeta e, dall’altro, dalla economicità dei beni acquistabili,

 

  182  

soprattutto nel quadro di un miglioramento delle loro prestazioni funzionali e di un

mantenimento dei livelli di prezzo.

Infatti, data la prolungata crisi economica e occupazionale in Italia con la

conseguente riduzione della disponibilità di reddito e della capacità di acquisto di

molte componenti della società italiana, è da attendersi che ancora per un non

trascurabile periodo di tempo sarà limitata la propensione all’acquisto di beni

ambientalmente sostenibili e “circolari”, a meno che essi non vengano offerti a prezzi

concorrenziali con quello dei beni “non circolari”.

Uno stimolo all’utilizzo di beni “circolari” può venire dal diffondersi del modello di

Sharing Economy, che con lo spostamento del comportamento dei cittadini dal

possesso di beni verso il loro semplice utilizzo, senza possesso, può incrementare,

tramite l’accresciuto tasso di utilizzo dei beni durevoli, la loro economicità in una

prospettiva di Circolarità.

Un ruolo fondamentale per promuovere e stimolare tale evoluzione dei modelli di

acquisto di imprese viene dagli organi pubblici di governo attraverso le emanazioni di

regolamenti, standard e normative tecnico-prestazionali-funzionali progettati nella

prospettiva della Circolarità.

L’azione degli organi pubblici di governo può estrinsecarsi, anche con impatti positivi

rilevanti, in interventi sui piani della formazione, dell’informazione e della

comunicazione per la diffusione della cultura della Circolarità fra cittadini e imprese.

Ma anche organizzazioni non governative che operano in campo culturale e sociale

possono svolgere una efficace azione di promozione fra i cittadini di una cultura della

innovazione orientata alla Circolarità. Simile azione possono svolgere le Associazioni

imprenditoriali e professionali nei confronti dei propri associati.

4. Le azioni delle Regioni

In relazione al ruolo degli organi di governo nella evoluzione del sistema produttivo

verso la Circolarità si riportano i risultati di una indagine condotta da Fondazione

COTEC sulle strategie e sugli strumenti adottati da alcune Regioni Italiane (Piemonte,

Lombardia, Emilia-Romagna, Puglia) per l’implementazione del modello di Economia

Circolare.

 

  183  

Analizzando le azioni regionali in termini di fase del ciclo di vita dei prodotti sui quali

intervengono, di strumenti utilizzati e di tematiche affrontate, si è registrato il numero di

casi riscontati, come riportato nelle seguenti Tabelle 2-3-4.

Tab. 2 Fase del ciclo di vita

R&S XXX

Produzione XX

Commercializzazione/distribuzione X

End-of-use XXXX

Tab. 3 Tipologia di strumento

Politiche - Piani XXX

Regolamenti/Normative XXX

Incentivi alla innovazione XXX

Progetti dimostrativi X

Comunicazione/Piattaforme informative

XXX

Tab. 4 Tematica

Rifiuti XXX

Emissioni XXX

Materie seconde XXX

Energia XXX

Acqua XX

Risorse Naturali XX

Prodotti (Intermedi/Finali) XXX

Cultura degli imprenditori/ Management

XX

• Per quanto riguarda la fase “Rigenerazione/Riuso/Riciclo” valgono per i cittadini e le

imprese le considerazioni svolte in precedenza, alle quali si aggiunge il ruolo di

 

  184  

università/centri di ricerca per lo sviluppo e il trasferimento di tecnologie innovative a

sostegno del conseguimento ottimale di tali obiettivi.

Ovviamente, come già indicato, un impulso rilevante alla attuazione del modello di

Economia Circolare può venire da regolamenti, normative tecniche e standard,

opportunamente progettati e implementati soprattutto per quanto riguarda la

realizzazione di un oggettivo ed efficace mercato delle “materie seconde”,

consentendo lo scambio di materiali end-of-use per alcune imprese ad altre imprese

che le possono utilizzare come input dei propri processi produttivi. Peraltro l’attuale

situazione si presenta non favorevole a questa evoluzione, stante l’interazione

negativa fra normative sui rifiuti e Regolamento REACH, il che rende assai onerosa

l’innovazione dei materiali attraverso il riuso o la rigenerazione di materiali end-of-use

e quindi l’attuazione del end of waste.

5. I livelli di azione

Ripercorrendo le considerazioni svolte in precedenza riguardo i comportamenti e le azioni

che dovrebbero essere assunti ed attuati dai diversi soggetti coinvolti nell’attuazione del

modello di Economia Circolare, è possibile caratterizzarli in base al livello di azione

richiesta ai diversi soggetti al fine di elaborare adeguate policies e iniziative articolate

secondo lo schema generale di Fig. 2.

Si tratta dei seguenti livelli:

1. Macro

2. Meso

3. Micro

1. A livello “Macro”, occorre che a dimensione Paese venga elaborata una strategia

di medio-lungo termine per l’attuazione del modello di Economia Circolare, peraltro

in un contesto europeo e internazionale sempre più condizionante sia per lo stato di

avanzamento dell’integrazione europea, sia per i processi di globalizzazione in atto

(tanto più in fase di sottoscrizione di trattati sulle regole del commercio

internazionale, quali il CETA, TPP, TTIP), la cui evoluzione sembra però indirizzarsi in

senso contrario al modello di Economia Circolare.

Alla base di tale strategia deve essere una Visione condivisa da tutti gli stakeholder

rilevanti del sistema socio-economico e istituzionale del Paese, riguardo il futuro del

 

  185  

sistema produttivo nazionale, che nelle sue diverse articolazioni settoriali e territoriali

abbia come riferimento strategico la Circolarità.

La Visione per avere concrete possibilità di attuazione attraverso adeguate policies

e strumenti, deve essere elaborata attraverso un processo partecipativo che

coinvolga tutti gli stakeholder rilevanti, con lo scambio di informazioni, la

condivisione di esigenze e aspettative dalla Circolarità in modo da conseguire un

ampio consenso sugli obiettivi strategici e porre le basi e il presupposto per azioni

coordinate e integrate con approccio sistemico fra i vari stakeholder.

2. A livello “Meso” debbono essere elaborate policies e progettati strumenti di

intervento che consentano di delineare e seguire una road-map che porti alla

implementazione della visione del modello di Economia Circolare.

Tale policies e strumenti devono intervenire sui fattori rilevanti individuati nella Fig. 2,

che condizionano come driver o vincoli l’evoluzione dell’economia italiana verso la

Circolarità.

Si tratta in particolare di azioni richieste agli organi pubblici di governo a scala

nazionale e regionale/locale, nei campi di Regolamenti/Normative, Scienza &

Tecnologia, Finanza, Struttura produttiva, Cultura della Circolarità, nel contesto

Geopolitico internazionale.

Anche altri attori sono chiamati a porre in essere opportune azioni di supporto e

affiancamento delle politiche pubbliche. Si tratta in particolare di banche/operatori

finanziari che possono svolgere una efficace azione di sistema, e di Associazioni

imprenditoriali (settoriali e territoriali), che possono contribuire alla elaborazione di

appropriate iniziative a favore dei propri associati. Di rilievo a questo livello sono

anche i potenziali “incroci” (relativi a obiettivi specifici e relative risorse) con

strumenti di policy nazionali su altri fronti (esempi in tal senso sono il già citato

programma Industrie 4.0, la Strategia Energetica Nazionale recentemente varata, il

documento strategico su Ambiente e Clima recentemente nesso in consultazione

dal Ministero dell’Ambiente).

3. A livello “Micro” si collocano le specifiche azioni progettuali dei diversi soggetti

(imprese, università/centri di ricerca, banche, ecc) per l’attuazione delle policies e

l’utilizzo degli strumenti di intervento. Un fattore significativo è la precisazione dei

criteri di convenienza relativa tra scelte mirate al recupero di materiali, o di

componenti o di sottosistemi (in passato scelte affrettate di recupero dei materiali

hanno portato a disperdere la quota di valore associata alla combinazione di parti -

 

  186  

o semplicemente di parti - ancora funzionati e potenziale oggetto di

“rigenerazione”).

6. Alcune proposte Fondazione COTEC di linee di azione

• Le precedenti considerazioni possono essere sintetizzate in alcune indicazioni circa

le linee di azione con le quali perseguire la implementazione in modo estensivo del

modello di Economia Circolare:

− Adottare un approccio sistemico alla innovazione, che intervenga su tutti i

molteplici e diversificati fattori, in particolare quelli tecnologici, che

condizionano l’implementazione del modello; in questo senso va evitato il

rischio di frammentazione di un’azione articolata per singoli segmenti, ciascuno

con una propria e autonoma visione strategica, quali R&S, Industria,

Innovazione, Ambiente, Agricoltura.

Le linee esposte nel citato documento della Commissione Europea sulla

Economia Circolare debbono essere completate con l’indicazione delle misure

necessarie per evitare che le azioni UE mirate all’Economia Circolare

costituiscano un ulteriore segmento distinto, invece che un’occasione di

coordinamento.

− Tenuto conto della diversità ed autonomia degli agenti che controllano e

governano tali fattori, sviluppare una incisiva azione di integrazione e di

coordinamento delle attività di tali agenti.

− Gli organi di governo alle diverse scale territoriali possono promuovere e

attivare queste azioni di integrazione e di coordinamento, avendo alla base e

come prerequisito la condivisione di una visione del futuro del sistema

produttivo nazionale che, pur nelle sue diverse articolazioni territoriali e

settoriali, abbia come riferimento strategico la Circolarità, e venga elaborata

con le modalità prima delineate.

− Il modello di Economia Circolare, pur avendo una impostazione concettuale

comune, deve essere attuato in modo da tener conto delle specifiche

caratteristiche dei processi e degli agenti coinvolti e quindi da rispondere in

modo dedicato alle loro diversificate esigenze ed aspettative.

• A supporto di queste possibili linee di azione vengono i risultati elaborati da

Fondazione COTEC nell’ambito del progetto di ricerca Futuring European Industry,

 

  187  

finanziato dalla Commissione Europea, DG Ricerca & Innovazione. Essi forniscono

una Visione della Industria Europea all’anno 2030 sotto forma di Scenari alternativi,

focalizzata sulla possibile evoluzione secondo il modello della Economia Circolare.

• Come primo passo, ancora di approfondimento delle conoscenze, si propone di:

− Effettuare uno studio prospettico con la metodologia del Foresight per

individuare per alcune filiere produttive le possibili evoluzioni della loro struttura

verso il modello della Economia Circolare, evidenziando i fattori critici, in

particolare le tecnologie innovative, che condizionano tale evoluzione.

Le filiere da analizzare possono essere individuate in base ai seguenti criteri:

− essere costituite da insiemi di MPMI senza che esistano grandi aziende

sistemiche “capo di filiera”, con focalizzazione su beni di consumo (ad

esempio, prodotti di arredamento) oppure su beni strumentali (ad esempio,

sistemi di produzione manifatturiera); oppure

− avere grandi aziende “capo di filiera”, che integrano una molteplicità di sotto

sistemi/componenti/materiali forniti da produttori indipendenti (ad esempio,

automotive, un comparto di cui va sottolineato il ruolo prototipale di contenuti

dell’Economia Circolare svolto in applicazione di apposite norme europee); in

ogni caso

− avere prodotti caratterizzati da un elevato potenziale di rigenerazione/riuso (ad

esempio, costruzioni edili e agroindustria).

L’output di questo studio si configura come una visione della possibilità di

evoluzione dei settori considerati verso il modello di Economia Circolare in una

prospettiva di medio termine, insieme alla relativa road-map, con l’indicazione dei

fattori critici e delle azioni richieste ai diversi stakeholder per il conseguimento di

tale visione.

 

 

 188  

SITUACIÓN Y EVOLUCIÓN DE LA ECONOMÍA CIRCULAR EN ESPAÑA1

La Economía Circular representa una gran oportunidad para nuestro país y para Europa.

Mejora el uso de los recursos y aporta valor agregado a los negocios, englobando, al mismo

tiempo, sostenibilidad ambiental, lucha contra el cambio climático y bienestar

socioeconómico para las generaciones presentes y futuras.

La Economía Circular ha empezado a introducirse en la actual política económica y

ambiental de la Comisión Europea, particularmente a través del Plan de Acción de la UE

para la Economía Circular presentado por la Comisión Europea al Parlamento Europeo en

diciembre de 2015. El plan define un mandato basado en la integración de un cambio de

paradigma económico en la UE que incluya la colaboración y el compromiso

gubernamental a escala nacional, regional y local, con la contribución de todas las partes

interesadas.

La transición hacia una Economía Circular es una ventaja para la UE, en el sentido de que

incrementa su propia competitividad y sostenibilidad, construyendo un sistema económico

más resiliente y adaptable a la escasez de materias primas y recursos energéticos, así como

previendo la volatilidad financiera y propulsando la innovación y eficiencia empresarial,

hechos que cambiarán, de manera radical, los patrones de producción y consumo.

Esta transición puede crear un número sustancial de puestos de trabajo, favorecer el

crecimiento socioeconómico a escala local y fortalecer la cohesión social y la integración.

Al mismo tiempo, el nuevo modelo de producción y consumo circular limitará y/o evitará el

impacto ambiental y los daños irreversibles en el clima y la biodiversidad, reduciendo las

emisiones de gases invernadero.

Según las estimaciones de la Comisión Europea, si se aplica toda la normativa vigente en

materia de residuos se crearían más de 400.000 empleos en la Unión Europea, de los cuales

52.000 se localizarían en España. Al fin de impulsar la transición hacia la Economía Circular

es necesario crear una red de indicadores que facilite un sistema de toma de decisiones

integrado, que permita evaluar y determinar la situación y el progreso de un cambio de

paradigma económico, especialmente en sus fases de producción y consumo.

En la actualidad no se dispone de una metodología específica suficientemente elaborada

y consensuada para el seguimiento y evaluación de los procesos de Economía Circular. Es

                                                                                                                         1  http://cotec.es/media/informe-­‐CotecISBN-­‐1.pdf

 

 189  

indudable que, además de los indicadores ya consolidados del análisis de eficiencia y flujos

materiales, durante los próximos años se realizará el desarrollo integral de los sistemas de

evaluación e indicadores con metodologías específicas más avanzadas en todas las fases

del ciclo productivo y de consumo.

En el proceso de construcción de los nuevos sistemas de indicadores de Economía Circular

hay que tener en cuenta que una parte 2considerable de éstos aún no están totalmente

desarrollados, especialmente los relativos a la prevención del uso excesivo de materias

primas, el ecodiseño y la eco innovación. En cambio, se ha avanzado notablemente en el

uso eficiente de materiales y la gestión de residuos, aunque se reconoce de antemano que

son necesarios mayores esfuerzos para dar una visión más completa y detallada de los

progresos de la Economía Circular hacia el desarrollo sostenible.

España, como Estado miembro, se compromete con los esfuerzos de la UE para desarrollar

una economía eficiente en el uso de recursos, competitiva, sostenible y baja en emisiones

de dióxido de carbono. A estos efectos, la Comisión Europea aprobó en 2015 el Plan de

Acción de la UE para una Economía Circular, con el establecimiento de un programa de

medidas legislativas que cubre todo el ciclo de producción y consumo.

El avance hacia una Economía Circular mediante procesos ecoeficientes y sostenibles

requiere el desacoplamiento entre la actividad económica y la degradación ambiental, lo

cual exige un cambio de modelo productivo más eficaz, que atienda las necesidades

reales de la sociedad de acuerdo con las capacidades ambientales.

Además de los considerables efectos de la crisis socioeconómica, en el ámbito de la

producción y el consumo se mantienen determinadas rigideces estructurales de la

economía española que dificultan la consolidación de procesos basados en la

ecoeficiencia y en la racionalización del consumo. El cambio de modelo, en todo caso,

debe fundamentarse en el desacoplamiento del crecimiento económico respecto de las

presiones ambientales derivadas del consumo de recursos y la generación de residuos.

En este sentido, las tendencias que siguen las variables de Economía Circular analizadas en

este trabajo parecen adivinar que la mejora en los niveles de productividad material de la

economía española coincide con el “pinchazo” de la burbuja inmobiliaria. Esto,

inmediatamente, provoca un descenso en la intensidad del consumo material de la

                                                                                                                             

 

 190  

economía española, y de sus necesidades materiales. Y todo ello repercute en los niveles de

extracción material nacional y de requerimientos totales de materiales que, de superar

holgadamente los niveles medios del resto de países miembros de la Unión Europea, pasan

a reducirse notablemente para estabilizarse en niveles bajos respecto de la media de los

países de la Unión.

En el caso de España, las iniciativas sobre Economía Circular son incipientes y hasta ahora

las medidas adoptadas han estado centradas, sobre todo, en las políticas ambientales de

la fase final del ciclo económico, tal como es la gestión de los residuos, donde se cuenta

con un Plan Estatal Marco de Gestión de Residuos 2016–2022 a medio plazo. Por otro lado,

también se abren nuevas perspectivas para los bioprocesos con la Estrategia Española de

Bioeconomía Horizonte 2030.

La situación y evolución de la economía material en España es coherente con la tendencia

europea. En el conjunto de la UE, la productividad de los recursos ha mejorado de manera

constante desde 1,52 EUR/kg en 2002, hasta 1,95 EUR/kg en 2014, aunque hay que tener en

cuenta que el progreso de los distintos Estados Miembros no es uniforme, ya que depende

de muchos factores nacionales particulares. Este aumento fue mayor que la tasa de

crecimiento del Producto Interior Bruto (PIB) durante el mismo período.

 

 191  

Esto marca una tendencia hacia un desacoplamiento del uso de los recursos respecto de la

producción económica y también sugiere que la actividad económica “circular” puede

estar empezando a desarrollarse.

La situación en España está condicionada por la recesión económica que ha provocado

ciertos cambios en los procesos productivos y consuntivos que podrían aprovecharse para

iniciar la transición hacia una economía más sostenible.

Hasta el 2007 el PIB crecía a un ritmo constante y no se podía hablar de ganancia de

ecoeficiencia en casi ninguno de los sectores de la economía, a excepción de los residuos,

el agua suministrada a los sectores económicos y las viviendas iniciadas, que comenzaron a

dar muestras de desacoplamiento, desde el 2005 en adelante. Sin embargo, a partir del

2007 cambia por completo el panorama, el PIB inicia un notable descenso y con él la

actividad económica en los distintos sectores.

La situación española referida al consumo de recursos y la evolución y tendencias de los

principales sectores económicos que tienen una incidencia relevante en los procesos de

Economía Circular se puede resumir con los siguientes datos:

• El consumo nacional de materiales en España se ha reducido casi un 50% entre 2008

y 2012. La productividad del CNM ha crecido un 85%, mientras que la intensidad por

PIB (relación entre el consumo de productos, expresado en toneladas y el PIB en

euros) ha descendido un 46% y por habitante también casi un 50%.

• La intensidad energética de la economía es inferior al promedio de la UE-28 y en 2013

fue el séptimo país europeo con menor intensidad. En el periodo 2000–2013, la

intensidad energética de la economía en España se redujo casi un 20%.

• En el sector de la industria, la crisis económica ha quebrado la tendencia positiva del

período 2005-2008 sobre la inversión ambiental de la industria, produciéndose una

caída de la inversión en protección del medioambiente del 60% durante los últimos

años. Esto no indica una posición favorable para reducir el impacto ecológico del

sector. La demanda de energía final por parte del sector industrial ha disminuido

durante el período de crisis económica.

• La generación de residuos municipales mantiene una tendencia generalizada de

descenso en los últimos años. En el período 2000-2013, esta reducción en la

generación de residuos municipales por habitante ha llegado al 31,8%. En cambio,

en la UE-27 ha descendido en menor medida, tan solo un 8,0%, debido a que la

situación de partida ya presentaba una generación más reducida.

 

 192  

Uno de los subsectores más dinámicos es el de la Industria Ecológica o Eco-industria, siendo

una de las claves de la mejora de la sostenibilidad y de la Economía Circular, con

capacidad, además de generar nuevas fuentes de empleo sostenible. Para facilitar la

transición hacia la Economía Circular en España se necesitan nuevas iniciativas políticas,

empresariales y sociales centradas en el objetivo general de fomentar las capacidades

endógenas para favorecer la transición hacia la Economía Circular, en línea con lo

marcado por la Comunidad Europea. Esto fomentaría la consolidación de una economía

 

 193  

diversificada, sostenible, hipocarbónica y ecoeficiente que favorezca las opciones de

empresas innovadoras, eficientes y competitivas a nivel internacional.

Tales iniciativas irán aflorando y marcando determinadas pautas en el futuro, aunque para

poder ser verdaderamente efectivas deben encuadrarse en una hoja de ruta nacional

para la Economía Circular y que cuente con adecuados mecanismos de coordinación y

participación transversal para cumplir con los planteamientos estratégicos de la UE.

Del mapa de las conexiones entre provincias de España y sectores de producción se

aprecia una cierta concentración de empresas que trabajan bajo los principios de una

Economía Circular. Entre los sectores donde se han identificado distintos nexos se encuentra

principalmente el de reciclaje y el textil, compartido con Madrid, Cataluña, Navarra y País

Vasco, seguido del sector alimentario, entre País Vasco, Cataluña y Andalucía. La

investigación y el desarrollo también es un sector en el que se crean nexos, como por

ejemplo el que existe entre Navarra y Cataluña.

Aunque en España no exista una estrategia de Economía Circular, y lo más próximo a ello

sea el nuevo Plan Estatal Marco de Gestión de Residuo y la Estrategia española de

Bioeconomía Horizonte 2030, existen planes a nivel autonómico, como los que encontramos

en Andalucía, Cataluña o País Vasco. La Estratègia d’impulsa l’economia verda i a

l’Economia Circular aprobada por el ACORD GOV/73/2015, de 26 de mayo, el IV Plan

Ambiental del País Vasco y la Estrategia Andaluza de Bioeconomía son solo algunos de los

ejemplos del cambio en el paradigma económico que empieza a nacer en el seno de

nuestro país.

El marco estratégico ofrecido por la UE debería ser el referente fundamental para España

en cuanto a las opciones estratégicas de cambio. Hasta el momento, la política ambiental

de nuestro país no favorece algunos de los cambios legislativos ya implantados en la UE, a

diferencia de otros países, donde ya se aplican estos cambios en sus estrategias

ambientales.

Con el fin de aprovechar de manera sistémica las ventajas de la Economía Circular, que

implica un cambio radical del sistema de producción y consumo, es necesario definir una

hoja de ruta clara, que comprenda objetivos y estrategias de largo plazo, así como

medidas y acciones de corto plazo, y que integre los esfuerzos a diferentes niveles: estatal,

autonómico y local, incluyendo también el rol de las ciudades y de sectores industriales

específicos.

 

 194  

Para realizar una hoja de ruta ambiciosa es necesario utilizar un proceso participativo que

involucre a todos los actores que ya están liderando la transición, y pueda extenderse

también a otros actores estratégicos a varios niveles, con el fin de poder definir estrategias y

acciones ambiciosas y concertadas que puedan ser implementadas de manera más eficaz.

La hoja de ruta tendrá que enfrentar los retos principales, incluyendo, sobre todo:

- Políticas. Desarrollo y armonización de legislaciones. Normativas a nivel nacional y regional

en consonancia con las líneas estratégicas europeas, que puedan incluir temas claves

como, por ejemplo, las compras verdes.

- Fiscalidad. Reforma y definición de impuestos e incentivos combinados para la reducción

de insumos materiales y energéticos, incentivando también patrones de eficiencia y

sostenibilidad en la fase de producción y de consumo, considerando también la

administración pública, así como el potencial de creación de empleo.

- Formación. Definir estrategias a largo plazo. La introducción de elementos educativos de

consumo responsable desde el inicio de la escolarización podría ser una clave en el

avance. La formación profesional continua tendrá que otorgar el soporte a la creación de

nuevos modelos de negocios, al desarrollo y al uso de nuevas tecnologías.

 

 195  

La hoja de ruta tendrá que enfrentar una cuestión clave transversal como la del desarrollo

de un sistema de evaluación integrado por la Economía Circular, soportado por un sistema

de recogida de datos y elaboración estadística, a nivel regional y nacional en línea con el

europeo. Este sistema de evaluación integrado, como se subraya en este informe, tiene un

valor estratégico y serviría para apoyar la toma de decisiones. Ofrecería una comparación

exhaustiva de diferentes políticas, estrategias y medidas específicas para trabajar en una

base legislativa sólida.

Los usos del suelo y la gestión del recurso hídrico integral son cuestiones de gran importancia

para la sociedad actual. La transición a una Economía Circular debe prever la forma de

enfocar la distribución de estos recursos limitados para que no se sobreexploten,

fortaleciendo así un ciclo sostenible que permita su reúso y el equilibrio medioambiental.

Otra cuestión de importancia, con fuertes implicaciones a nivel local y urbano, es el

desarrollo del potencial de la industria para poder iniciar una transición hacia la Economía

Circular, sobre todo en relación con dinámicas de simbiosis industrial que incluyan el uso

eficiente y compartido de recursos y materiales, fomentando la eficiencia energética de los

procesos y fortaleciendo el conocimiento.

Las iniciativas ciudadanas informales y autogestionadas son cruciales para dar impulso a la

Hoja de Ruta hacia una Economía Circular. Estas actividades promueven la responsabilidad

medioambiental, la reducción del consumo y la concienciación en temas como la

separación y el reciclaje integral de residuos para su correcto tratamiento. Estas iniciativas,

con el apoyo institucional necesario, facilitan el fortalecimiento de una idea de

sostenibilidad y su replicación con un impacto directo a medio y largo plazo en nuestra

sociedad actual.

En conclusión, la transición hacia una Economía Circular en España representa una gran

oportunidad para el crecimiento económico y para la creación de puestos de trabajo

desacoplados del consumo de recursos no renovables y de la producción de

externalidades negativas, que puede tener impactos realmente positivos en los planos

socioeconómico y medioambiental. Para poder dar impulso a este potencial innovador es

necesario armonizar esfuerzos y definir estrategias claras a largo plazo. La definición de las

acciones inmediatas a través de la creación de una hoja de ruta sería la forma de implicar

activamente a todos los actores involucrados.