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380 CAPITOLO 16 IL CONFLITTO INTERPERSONALE IN ADOLESCENZA 1. Introduzione L’importanza del conflitto interpersonale durante l’adolescenza è sottolineata sia dalle teorie psicologiche che dagli stereotipi correnti. La ricerca conferma che i disaccordi sono sempre presenti in tutte le relazioni adolescenziali. Essendo i conflitti un campo ristretto dove si trovano più ampi modelli di interazione sociale, essi vengono gestiti in un modo che riproduce le proprietà salienti della relazione (Laursen, Hartup, Koplas, 1996). Le amicizie sono rapporti volontari e paritari: quando si presenta la necessità di risolvere un conflitto interpersonale, gli amici devono mettere da parte il proprio vantaggio immediato per conservare il beneficio duraturo della relazione amicale. Le relazioni genitore-figlio, invece, sono obbligatorie e gerarchiche: i familiari non sono vincolati da considerazioni di prudenza per il mantenimento della relazione, di modo che è più probabile che in caso di disaccordo ogni attore della situazione conflittuale badi più ai propri vantaggi immediati. I conflitti sono “episodi sociali distribuiti nel tempo” e comprendono varie componenti distinte (Shantz, 1987, p. 285): argomento, inizio, intensità, risoluzione ed esito. Hanno inoltre una struttura sequenziale, per cui una componente (per esempio l’esito) fa seguito ad un’altra (per esempio la risoluzione) secondo una progressione ordinata. Nello schema strutturale del conflitto, tipicamente, ci sono: un protagonista e un antagonista (i partecipanti al conflitto), un tema (l’argomento del disaccordo), una complicazione (l’inizio del conflitto) che mette in moto l’azione, una crisi (la risoluzione) e infine uno scioglimento (l’esito). Per “organizzazione del conflitto” si intende la struttura del dissenso e la maggiore o minore connessione fra le diverse componenti. Per “dinamiche del conflitto” si intendono i comportamenti specifici e la loro maggiore o minore prevedibilità in base a un copione. Le relazioni degli adolescenti con i genitori e con i pari si differenziano in termini di potere e di permanenza. Il rapporto di potere indica in che misura la relazione è segnata dalla dominanza (Piaget, 1965), la permanenza esprime la stabilità della relazione (Murstein, 1970). Le amicizie sono di solito paritarie e simmetriche. Sono relazioni volontarie: il legame che si stabilisce in un campo aperto è caratterizzato dalla competizione fra possibili

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CAPITOLO 16

IL CONFLITTO INTERPERSONALE IN ADOLESCENZA

1. Introduzione

L’importanza del conflitto interpersonale durante l’adolescenza è sottolineata sia dalle

teorie psicologiche che dagli stereotipi correnti. La ricerca conferma che i disaccordi sono

sempre presenti in tutte le relazioni adolescenziali.

Essendo i conflitti un campo ristretto dove si trovano più ampi modelli di interazione

sociale, essi vengono gestiti in un modo che riproduce le proprietà salienti della relazione

(Laursen, Hartup, Koplas, 1996).

Le amicizie sono rapporti volontari e paritari: quando si presenta la necessità di risolvere

un conflitto interpersonale, gli amici devono mettere da parte il proprio vantaggio

immediato per conservare il beneficio duraturo della relazione amicale.

Le relazioni genitore-figlio, invece, sono obbligatorie e gerarchiche: i familiari non sono

vincolati da considerazioni di prudenza per il mantenimento della relazione, di modo che è

più probabile che in caso di disaccordo ogni attore della situazione conflittuale badi più ai

propri vantaggi immediati.

I conflitti sono “episodi sociali distribuiti nel tempo” e comprendono varie componenti

distinte (Shantz, 1987, p. 285): argomento, inizio, intensità, risoluzione ed esito. Hanno

inoltre una struttura sequenziale, per cui una componente (per esempio l’esito) fa seguito

ad un’altra (per esempio la risoluzione) secondo una progressione ordinata.

Nello schema strutturale del conflitto, tipicamente, ci sono: un protagonista e un

antagonista (i partecipanti al conflitto), un tema (l’argomento del disaccordo), una

complicazione (l’inizio del conflitto) che mette in moto l’azione, una crisi (la risoluzione)

e infine uno scioglimento (l’esito). Per “organizzazione del conflitto” si intende la struttura

del dissenso e la maggiore o minore connessione fra le diverse componenti.

Per “dinamiche del conflitto” si intendono i comportamenti specifici e la loro maggiore o

minore prevedibilità in base a un copione.

Le relazioni degli adolescenti con i genitori e con i pari si differenziano in termini di

potere e di permanenza. Il rapporto di potere indica in che misura la relazione è segnata

dalla dominanza (Piaget, 1965), la permanenza esprime la stabilità della relazione

(Murstein, 1970).

Le amicizie sono di solito paritarie e simmetriche. Sono relazioni volontarie: il legame che

si stabilisce in un campo aperto è caratterizzato dalla competizione fra possibili

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alternative. Se per caso gli scambi di una coppia di amici non risultano reciprocamente

vantaggiosi, ciascuno dei due può interrompere la relazione e ricominciarne una nuova con

qualcun altro. La conseguenza è che il conflitto implica un rischio particolare per questo

tipo di rapporti. Gli amici devono tener presente la possibile minaccia che il conflitto porta

al loro legame volontario e riconoscere che quando due persone si dividono il potere è

necessario l’accomodamento.

Viceversa, le relazioni genitore-figlio sono tipicamente asimmetriche e unilaterali.

In termini di potere, si tratta di relazioni verticali, dove il potere non è distribuito alla pari

e i genitori spesso impongono ai figli la propria volontà. Inoltre, la relazione genitore-

figlio è una relazione obbligata: il legame si imposta in un campo chiuso senza alternative.

I processi di gestione del confitto in generale, e la sua risoluzione in particolare, rivestono

un interesse speciale per gli studiosi dello sviluppo, poiché forniscono ai bambini e agli

adolescenti un quadro di riferimento per l’apprendimento dei principi di giustizia (Ross,

1996), per la regolazione dei sentimenti (Fabes ed Eisenberg, 1992) e per la definizione

dell’autonomia personale (Nucci, Killen, Smetana, 1996). Le risoluzioni del conflitto

determinano quei comportamenti specifici che portano a chiudere il disaccordo. Si

possono indicare quattro categorie distinte: negoziato, disimpegno, affermazione di potere,

arbitrato (Laursen e Collins, 1994). I processi di gestione del conflitto rientrano nella più

ampia organizzazione del disaccordo, che comprende le componenti distinte della

risoluzione, dell’esito e del tono affettivo.

Mitigazione, coercizione e ritiro sono tipologie ben note di gestione del conflitto

(Gottman, 1979). La mitigazione implica sentimenti positivi, risoluzioni negoziate e

risultati equi.

La coercizione comporta sentimenti negativi, risoluzioni imposte ed esiti diseguali.

Nel ritiro intervengono sentimenti neutri, soluzioni di disimpegno ed esiti nulli.

La grande maggioranza delle relazioni hanno in repertorio tutti e tre i tipi di copione, ma

c’è grande differenza nella frequenza con cui essi vengono eseguiti. In termini generali, i

copioni che regolano il conflitto dipendono dalle caratteristiche della relazione (Laursen et

al., 1996).

Non avendo il potere di stabilire i termini della risoluzione e consapevoli dei pericoli che il

conflitto implica per un legame volontario, gli amici dovrebbero cercare di ridurre al

minimo l’affermazione di potere e la coercizione, attuando piuttosto il negoziato e la

strategia della mitigazione. Viceversa, la differenza di potere fra genitori e figli

adolescenti è grandissima, mentre il rischio di spezzare la relazione è minimo, cosicché

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affermazione di potere e ricorso alla coercizione dovrebbero essere molto più comuni

rispetto alle strategie morbide e negoziali.

L’adolescenza è un momento particolarmente critico per lo sviluppo delle competenze di

gestione e risoluzione del conflitto. Nel secondo decennio di vita, ad una miglior capacità

negoziale si accompagna la consapevolezza del ruolo notevole che hanno le strategie di

mitigazione nel conservare i legami interpersonali (Selman, 1980). Per la maggior parte

degli adolescenti, ciò cambia le dinamiche del conflitto con gli amici, permettendo la

messa in pratica di un maggior numero di soluzioni reciprocamente soddisfacenti.

Mentre nei rapporti amicali va aumentando la reciprocità, gli adolescenti si sforzano di

provocare un cambiamento simile anche nelle relazioni con i propri genitori (Youniss e

Smollar, 1985): i genitori, da parte loro, spesso oppongono resistenza a queste novità e

questo fa sì che il conflitto cresca, con l’impiego di mezzi coercitivi, mentre si rinegoziano

ruoli e responsabilità dei figli adolescenti (Smetana, 1988). Il risultato finale può essere

una maggiore autonomia dell’adolescente, ma fino a che la relazione rimane obbligata e

verticale, i disaccordi continueranno ad essere contrassegnati dalla coercizione. Di

conseguenza, gli adolescenti devono tollerare, in caso di conflitto con i genitori, un

comportamento che riterrebbero inammissibile da parte degli amici.

Stabilità e rapporti di potere sono elementi che differenziano i rapporti amicali da ogni

altro tipo di relazione (Laursen et al., 1996). Come già fatto notare, affermazione di potere

e coercizione sono soliti fra i genitori e i figli adolescenti perché un comportamento

sgradevole non implica rischi per il mantenimento di queste relazioni, che sono

obbligatorie, e perché la dominanza è sempre un’alternativa possibile quando il potere non

è spartito.

Le condizioni sono diverse nell’amicizia: gli amici sono coscienti della minaccia che il

conflitto può portare ai loro rapporti e sanno di dover evitare la coercizione e

l’affermazione di potere se vogliono che l’amicizia continui. Ogniqualvolta è possibile,

riducono al minimo il ricorso a tattiche di dominio, perché nessuno dei due è in grado di

dettare legge in termini coercitivi, né vuol mettere a repentaglio il rapporto.

Questo non vuol dire che fra gli amici si eviti del tutto la dominanza, ma piuttosto che il

suo uso è sottoposto a speciali limitazioni.

L’argomento discusso occupa la posizione preminente nella strutturazione del conflitto. di

conseguenza può esserci la possibilità che le differenze fra relazioni interpersonali diverse

per gestione e risoluzione degli episodi conflittuali, si confondano con le differenze

riguardanti i temi di contrasto più comuni nei diversi tipi di rapporto.

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La maggior parte degli scontri fra genitori e figli adolescenti riguardano gli attriti intorno

alle routine quotidiane, mentre fra gli amici i problemi più comuni sono quelli relazionali.

Le dinamiche del contrasto con gli amici e i genitori differiscono in un modo che

rispecchia i diversi rapporti di potere e la diversa durata di questi rapporti.

Il fatto di condividere il potere e l’esigenza di salvaguardare il legame sono forti incentivi

per gli amici ad evitare la coercizione e l’affermazione di potere. Viceversa, le strategie

dominanti prevalgono nei conflitti fra genitori e figli adolescenti perché una sola delle

parti detiene il potere e perché il futuro della relazione non dipende dall’equità degli

scambi.

È vero che nei rapporti amicali i temi di conflitto più comuni sono quelli relazionali,

mentre fra genitori e figli dominano gli screzi sulle routine quotidiane, ma le diversità nel

gestire e risolvere il conflitto non dipendono da ciò: indipendentemente dalla questione

affrontata, fra amici si ricorre di più alla strategia della mitigazione, da parte dei genitori,

invece, alla coercizione.

Questo indica che il comportamento degli adolescenti per il conflitto interpersonale è

governato da copioni che sono specifici per ciascun tipo di relazione.

Strategie efficaci per la risoluzione e la gestione del conflitto sono assimilate e

perfezionate negli anni dell’adolescenza, specialmente grazie dell’esperienza di relazioni

intime fra pari.

2. Il conflitto in famiglia

2.1 Introduzione

Durante il periodo dell’adolescenza, come ricorda la letteratura in materia, inizia una fase

di giochi di potere tra genitori e figli: le aspettative dei genitori hanno meno rilevanza per i

figli adolescenti, anche perché uno dei punti di conflitto è proprio il potere all’interno della

famiglia. Il ragazzo adolescente inoltre, grazie al suo sviluppo intellettivo, è in grado ora, a

differenza di quando era bambino, di esprimere ciò che pensa sui genitori. Cresce la sua

capacità di comprensione e il suo peso nella presa delle decisioni. Il modo in cui fa tutte

queste cose influenza i genitori, o meglio, il giudizio che i genitori hanno di lui.

Un tratto caratteristico dell’adolescente è quello di reclamare la propria autonomia e la

propria individualità, ma, nonostante questo, resta comunque ancora profondamente

dipendente dal quadro familiare della sua infanzia (Polmonari, 1997).

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Lo spazio delle relazioni familiari, della struttura familiare, della personalità dei genitori,

si è dimostrato come uno dei fattori determinanti nella crisi adolescenziale.

Come spiega la teoria sistemica, la famiglia può essere considerata come un insieme, un

sistema che non equivale alla somma dei singoli componenti. Di conseguenza, ogni

comportamento di ogni componente della famiglia si riflette sui comportamenti degli altri

membri, soprattutto quando questi sono diversi rispetto a quelli che il resto della famiglia

si aspetta. Quindi, ogni comportamento di un membro della famiglia determina i

successivi comportamenti degli altri individui e di lui stesso, in un continuo susseguirsi di

relazioni legate e dipendenti le une dalle altre.

In ogni famiglia esiste contemporaneamente una tendenza a trasformarsi e una tendenza

omeostatica, cioè rivolta al mantenimento dello stato presente. Queste due tendenze sono

presenti nei momenti di passaggio e di crisi, come è, per esempio, l’adolescenza.

Il compito fondamentale che la famiglia nei confronti dei figli adolescenti è quello di

creare dei processi di individuazione e di autonomia reciproca fra tutti i membri del

gruppo, per poter raggiungere un’interdipendenza matura all’interno delle loro relazioni.

Diana Baumrind, una psicologa sociale nordamericana, ha individuato che ci sono due

dimensioni fondamentali in tutti gli stili parentali:

- l’accettazione, che consiste appunto nell’accettazione, da parte dei genitori, del

figlio/a per quello che è, valorizzandone le qualità senza pretendere di modellarlo a loro

immagine

- il controllo, cioè il guidare il figlio/a, aiutarlo e stimolarlo nelle sue scelte, dettargli

dei ritmi di vita adeguati alle sue caratteristiche. Il controllo si esprime dunque sia sul

piano psicologico, sia su quello del comportamento.

Come già accennato, sussiste un equilibrio precario tra la tendenza al mantenimento di

alcune regole già presenti e le pressanti richieste di mutamenti dentro o all’esterno della

famiglia stessa.

Il conflitto risulta essere tanto più distruttivo quanto più è pervade tutti gli aspetti della

famiglia, tanto più quando tende ad andare oltre il problema in questione per mettere in

discussione i nodi vitali della relazione familiare, quali sono la separazione e l’unità,

l’autonomia e l’eteronomia, l’individuazione e il distacco.

Si possono vedere quali sono i motivi fondamentali che portano al conflitto nella famiglia

con un figlio adolescente. Il primo è chiaramente la condizione di stress che è presente

all’interno della famiglia. Il secondo è la modalità dell’escalation, cioè come la famiglia

riesce ad uscire dalla spirale dei conflitti. La terza modalità è quella che si può chiamare

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triangolazione: il figlio, poiché ha sperimentato delle differenze all’esterno della famiglia,

è il primo a costringere i genitori ad affrontare il problema di come ciascun genitore è

riuscito ad individuarsi, ad essere persona autonoma. Di fatto, egli può, per la prima volta,

valutare e dare dei giudizi sui genitori, sulle loro capacità.

Quando gli adolescenti affrontano questo tipo di problema, cominciano anche ad

intravedere un altro tipo di situazione che è quella della realtà affettiva dei rapporti

all’interno della famiglia, soprattutto all’interno della coppia coniugale. Per la prima volta,

quando si entra in adolescenza, si è capaci di staccarsi dai propri genitori e si riesce a

vederli come coppia.

Un altro tipico conflitto familiare è il problema delle accuse rivolte costantemente agli altri

membri della famiglia.

L’ultimo punto di conflitto è quello che si può chiamare la “simbiosi familiare”, cioè la

difficoltà di rilevare le differenze dei bisogni reciproci. L’adolescente, dal suo punto di

vista, sente la necessità di diventare autonomo, di cercare un modello, di essere differente

dagli altri, di avere una propria identità. Il modello di identificazione possibile è

rappresentato in primo luogo dai genitori. Rispetto a queste due figure e rispetto al gruppo

familiare, l’adolescente si trova però in crisi, perché le accetta, ma fino a un certo punto e

anche loro lo accettano così cambiato, ma solo fino a un certo punto.

Nel periodo dell’adolescenza, alcuni problemi derivano anche dalle modalità con cui la

famiglia si aspetta il distacco del figlio, poiché oltre a questo, viene affrontato anche il

problema del bisogno reciproco, per cui le aspettative che il genitore ha sul figlio si

riflettono sulle aspettative che il figlio ha sul genitore.

L’adolescente rimette in causa la personalità dei suoi genitori: questo è la manifestazione

clinica e comportamentale della riorganizzazione intrapsichica di cui abbiamo parlato in

precedenza, in particolare il rimodellamento delle immagini genitoriali.

L’adolescente deve convincere non solo i suoi genitori, ma in parte anche se stesso, di non

aver più bisogno di loro, del fatto che ormai lui e i suoi genitori sono diversi e che il loro

legame è ora differente da quello che li univa quando era bambino. Nell’evoluzione di

questa relazione intervengono i diversi aspetti del processo adolescenziale: trasformazione

corporea puberale, accesso alla maturità sessuale, risveglio del conflitto edipico ed

esacerbazione di desideri e timori delle relazioni incestuose, rifiuto di aderire

all’immagine di bambino che avevano i genitori, ricerca di identificazione attraverso il

gruppo dei coetanei o l’ammirazione di un estraneo.

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La maggior parte dei genitori sono consapevoli di queste rivendicazioni degli adolescenti e

modificano i loro atteggiamenti e le loro esigenze in funzione dell’evoluzione di questi

ultimi.

Questi naturali conflitti tra genitori ed adolescenti si caratterizzano per la loro estrema

variabilità, per essere spesso centrati sulla figura di un solo genitore e non su tutti e due,

per il fatto che viene mantenuta una relazione soddisfacente in un settore particolare, per la

localizzazione del conflitto sui genitori, mentre sono completamente risparmiati i nonni e i

fratelli.

Quando la contrapposizione fra i due genitori e l’adolescente diviene pesante, totale,

continua, diviene allora un’opposizione generalizzata contro tutti gli adulti, tutta la società,

ecc.

Nel rapporto genitori-adolescenti, è innegabile che lo sforzo di prendere la distanza dai

genitori messo in atto dagli adolescenti sia una probabile causa di conflitto. Perché ci sia

conflitto, tuttavia, ci deve essere, da parte dei genitori nei confronti del figlio, un interesse

reale, fortemente connotato da un punto di vista emotivo; qualora quest’interesse non

sussista, non esiste nemmeno una ragione di conflitto. secondo diversi autori, la mancanza

di conflitto, non viene interpretata dai più giovani come segnale di cura e di vera

comprensione.

In genere, i conflitti fra adolescenti e genitori non riguardano i valori di fondo o le

questioni fondamentali di tipo morale, politico, religioso, ma riguardano soprattutto i

problemi di minor rilievo, come ad esempio il modo di vestirsi, le attività di tempo libero,

l’orario del rientro serale, la disponibilità e l’uso del denaro. In sostanza, molte ragioni di

conflitto sembrano riconducibili alla preoccupazione dei genitori circa le relazioni

sentimentali dei figli, in particolare delle figlie, nella consapevolezza che tali relazioni

comportano ormai, nella maggior parte dei casi, rapporti sessuali completi.

Goodnow (1994) sostiene che sia la mancanza di disaccordo intergenerazionale in

famiglia, durante il periodo adolescenziale, piuttosto che la sua presenza, ad essere

correlata a problematiche attuali o future, poiché un certo livello di disaccordo segnala che

il percorso di autonomia e di differenziazione dalla famiglia di origine è stato avviato

(Kuczynski, Koschanska, 1990). I conflitti familiari, infatti, se affrontati in maniera

efficace, sembrano favorire esiti migliori nel processo di adattamento interpersonale

(Collins, Laursen, 1992) richiesto dai cambiamenti fisici, cognitivi e sociali che si

verificano in adolescenza. Questa trasformazione coinvolge l’intera famiglia che,

attraverso un’impresa evolutiva congiunta (Youniss, 1983; Cigoli, 1985; Youniss e

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Smollar, 1985; Sroufe, 1991) cerca, insieme al figlio adolescente, nuovi pattern di

adattamento. Dalla ricerca di Bastianoni e Briganti (2002), la risoluzione positiva dei

conflitti fra genitori e figli è stata collegata a diversi esiti evolutivi come la formazione

dell’identità, lo sviluppo delle abilità socio-cognitive e lo sviluppo dell’io, mentre le

condizioni che ne riducono ogni funzione positiva sono state identificate nell’intensità,

nella continuità e nell’assenza di intimità e affetto. In questi casi le manifestazioni

conflittuali sono strettamente associate a serie problematiche psicosociali, con un possibile

esordio adolescenziale, ma con prevedibile esordio in età adulta.

Richiamandosi alla tradizionale distinzione operata da Deutsch (1973) tra conflitto

distruttivo e conflitto costruttivo, si può collocare la sua funzione in relazione ai processi

di adattamento o disadattamento implicati. Il conflitto, pertanto, assume connotazioni

funzionali o disfunzionali a seconda del contesto relazionale in cui si manifesta.

Quando si verifica in condizioni intersoggettive di confidenza e intimità, ha una funzione

costruttiva (Cooper, Grotevant, Ayers-Lopez, 1987), viceversa, il conflitto ostile,

incoerente, che scatena sentimenti di rabbia e incomprensione da parte dei figli, accentua

l’isolamento dei figli, riducendo gli spazi di comunicazione intima coi genitori e ogni

forma di contatto interpersonale (Patterson, 1986). Quando, invece, il conflitto viene

affrontato integrando i diversi punti di vista e per mezzo di negoziazioni anziché

imposizioni unilaterali, si verifica un progresso sociocognitivo, e conflitto e coesione

possono coesistere produttivamente.

Come si è visto, le spiegazioni proposte per l’origine del conflitto fra genitori e figli in

adolescenza sono numerose. Alcune fanno riferimento al ruolo di caratteristiche o fattori

interni all’adolescente, come la pubertà e lo sviluppo cognitivo e sociocognitivo; altre a

fattori esterni, come le transizioni normative associate all’età (ad esempio, dalla scuola

media alla scuola superiore) o a caratteristiche dei genitori (come lo stile educativo

adottato); altre ancora sono centrate sulle proprietà della relazione fra adolescenti e

genitori.

2.2 Motivazioni ed attribuzioni di responsabilità nelle situazioni conflittuali

Secondo la ricerca condotta da A.R. Favretto (2001), le motivazioni che i ragazzi

intervistati adducono come causa dei conflitti si riferiscono, innanzitutto, alla conduzione

della vita domestica, ed in particolare alla mancata ottemperanza a due obblighi

fondamentali stabiliti dagli adulti: mantenere in ordine i propri spazi e collaborare alle

faccende domestiche. I conflitti riconducibili a queste due richieste riguardano sia ragazzi

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che ragazze, ma non nella stessa misura e secondo modalità diverse. Le ragazze riportano

più frequentemente tensioni riferite alla collaborazione per il buon andamento dell’intera

vita domestica.

I ragazzi, invece, lamentano soprattutto, anche se non esclusivamente, i rimproveri causati

dalla mancanza di ordine nei propri spazi e alla scarsa disponibilità nell’aiutare le madri

nei piccoli lavori domestici. È interessante notare come ragazzi e ragazze richiamino con

maggiore frequenza l’intervento del padre, e non quello della madre, al momento della non

ottemperanza della norma della collaborazione domestica.

Una seconda fonte conflitto è rappresentata dai controlli agiti sul comportamento dei figli

all’esterno della famiglia. Le uscite troppo frequenti, gli orari di rientro non rispettati, gli

amici non graditi ai genitori, la vita di coppia, l’abbigliamento, rimandano a norme

comportamentali che denotano l’esistenza della richiesta di una maggiore autonomia da

parte degli adolescenti e caratterizzano la resistenza da parte dei genitori a modificare

l’assetto dei rapporti, concedendo maggior potere decisionale ai figli.

C’è, in ogni caso, il riconoscimento di un largo potere decisionale mantenuto dai genitori,

ai quali compete, e questa competenza viene riconosciuta dai ragazzi, il diritto/dovere di

controllare aspetti anche minuti della vita dei figli, assolvendo a compiti di protezione e

educazione. Da diverse interviste quello che emerge non è la contestazione del ruolo di

controllo attribuito ai genitori, ma la contestazione di alcune specifiche forme che esso

assume.

Per quel che riguarda le ragazze, il controllo frequentemente si rivolge sul versante

relazionale.

Un’altra fonte di controllo che genera conflitto tra genitori e figlie è rappresentata dal cibo.

Il conflitto tra genitori e figlie, e più frequentemente tra padri e figlie, scoppia per il

controllo sulla vita affettiva. Per i ragazzi, questo tipo di controllo dei genitori è meno

marcato. Non si fa riferimento all’onorabilità sessuale, quanto all’adeguatezza o meno del

partner. I conflitti si manifestano soprattutto a causa del controllo sulle compagnie

frequentate e, nel caso dei maschi, è agito in misura maggiore dalle madri. Come per le

femmine, per i maschi il conflitto si manifesta quando la frequenza delle uscite è giudicata

eccessiva dai genitori e quando gli orari di rientro non vengono rispettati.

Un altro gruppo di situazioni conflittuali, citato quasi esclusivamente dai maschi, riguarda

l’andamento scolastico e le pratiche di autogestione durante i periodi di occupazione delle

scuole.

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Un’ultima fonte di conflitto, comune ad entrambi i sessi, riguarda l’uso del denaro e la

quantità di denaro ricevuta. Il voler essere più autonomi nel gestire il denaro, oltre a

confermare la rivendicazione di una maggiore indipendenza, mette in discussione le norme

riferite alla buona gestione delle risorse economiche a favore di una gestione rivolta alla

gratificazione immediata dei desideri di consumo.

Emerge, comunque, il riconoscimento e la profonda accettazione del valore della

regolazione dei consumi imposta dai genitori e l’adesione, quantomeno ideale, alle norme

che prevedono il differimento delle gratificazioni.

La presenza di fratelli e/o sorelle, maggiori e minori d’età, aumenta le occasioni di

conflitto con i genitori, impegnati nella parte di mediatori e giudici.

Le motivazioni più spesso presentate riguardano, innanzitutto, l’uso comune degli spazi.

Lo spazio domestico è una risorsa scarsa: per questo si deve regolare l’uso che i fratelli ne

fanno tramite delle norme che derivano da una contrattazione che di solito coinvolge

anche i genitori.

Un secondo motivo di tensione e di conflitto riguarda l’uso degli oggetti e dei capi

d’abbigliamento. Un terzo motivo riguarda la non osservanza della regola generale della

solidarietà e della complicità fra fratelli.

La divisione dei lavori domestici è scarsamente presente come motivo di conflitto.

I ragazzi hanno la tendenza a collocare la tensione creata dalla non osservanza della regola

della collaborazione, da un lato, nel conflitto con gli adulti, piuttosto che con i fratelli,

perché è dai genitori che viene la richiesta d’aiuto; dall’altro nel conflitto con i fratelli per

l’uso ordinato e regolato degli spazi e delle suppellettili comuni.

Per quel che riguarda l’attribuzione della responsabilità relativa ai conflitti, nella

maggioranza dei casi è esterna: i ragazzi individuano, come causa dello scoppiare dei

conflitti, genitori poco comprensivi, troppo possessivi, distratti o nervosi a causa del

lavoro. Oppure colpevoli sono i fratelli, petulanti, delatori, poco rispettosi degli oggetti

altrui, impiccioni, troppo nervosi o prepotenti. Non mancano tuttavia, testimonianze che

collocano il conflitto internamente.

Un’altra recentissima ricerca sulle caratteristiche e sulla diffusione dei conflitti è quella

realizzata da Cicognani e Zani (2003).

Dalle risposte di adolescenti e genitori raccolte dalle due ricercatrici, emerge un basso

livello di conflittualità. Gli scontri, che vengono definiti piuttosto come disaccordi di

opinioni, bisticci o battibecchi, sono di solito causati da questioni banali e di scarsa

rilevanza per la vita quotidiana, come i problemi legati alle regole della casa e al ménage,

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le relazioni all’interno e all’esterno della famiglia, il comportamento dei figli dentro e

fuori casa (per esempio, le faccende domestiche, l’aspetto esteriore, il modo di vestirsi, le

attività di tempo libero, l’orario del rientro serale, la scuola). Inoltre, anche secondo questa

ricerca, genitori e adolescenti non hanno opinioni conflittuali su questioni politiche,

ideologiche, sociali e religiose, sui valori e sulle norme sociali.

Con l’età i conflitti sembrano diminuire in frequenza, ma divenire più accesi, ma non si

capisce bene la direzione che questi assumono nella media e tarda adolescenza.

Comunque, i dati esistenti concordano nell’indicare che il conflitto, valutato per intensità e

frequenza, segue una traiettoria a forma di U rovesciata, raggiungendo il picco massimo

all’inizio dell’adolescenza in coincidenza con la pubertà.

Se si considera, invece, l’andamento del conflitto riguardo ai diversi argomenti, si osserva

come esso si diversifichi a seconda degli ambiti. In particolare, nelle diverse fasi

dell’adolescenza, diventano causa scatenante di conflitto gli argomenti più importanti per

l’autonomia dell’adolescente, argomenti che sono collegati allo sviluppo psicosociale, e

che implicano i temi dell’autorità, delle regole e della responsabilità. Ad esempio, i dati

raccolti su adolescenti italiani di 13 e 15 anni (Bosma et al. 1996) indicano che gli

argomenti più frequentemente citati come argomento di discussioni sono: fare i compiti,

aiutare i genitori nei lavori domestici, le decisioni sulle uscite e sull’orario di rientro

serale, l’ora di coricarsi, l’uso del denaro. Dai 13 ai 15 anni aumentano significativamente

i disaccordi sul tema delle uscite e dei rientri serali. Pochissimi sono gli adolescenti che

riferiscono dissidi su argomenti quali la sessualità, il consumo di alcolici, il fumo, e la

scelta di hobby e sport e la cura del corpo. Una percentuale che oscilla tra il 10 e il 20%

dichiara di avere disaccordi su temi come la privacy, la scelta degli amici, l’andare in

chiesa, l’uso del linguaggio, il look, la scelta dell’abbigliamento, le visite ai parenti. Questi

risultati sono stati confermati anche in una ricerca successiva (Cicognani, 2002).

Dal confronto dei dati delle due ricerche, appare che, dalla prima alla media adolescenza,

ci sia un incremento di conflitto (in particolare sulle uscite e il rientro), seguito da una

diminuzione costante verso la tarda adolescenza.

Rispetto alle differenze di genere, i maschi riportano conflitti più frequenti sulla scuola,

mentre le femmine parlano di più di conflitti sulle visite ai parenti, le relazioni

interpersonali, i lavori di casa, le uscite e l’ora del rientro. Quest’ultimo dato conferma le

maggiori difficoltà delle ragazze a negoziare margini crescenti di autonomia.

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391

La presenza di differenze di genere nel conflitto è confermata anche da altre ricerche, che

hanno indicato che le femmine sperimentano conflitti in misura maggiore dei maschi

(Montemayor, 1986).

Per quanto riguarda gli argomenti di conflitto con i padri e le madri, Youniss e Smollar

(1985) rilevano che gli scontri fra figlio maschio e madre avvengono su temi come le

regole di comportamento, sulle buone maniere, la scelta degli amici, l’abbigliamento; il

conflitto con il padre, invece, riguarda la scuola, il lavoro, i soldi, il tempo libero e le

questioni pratiche.

Molti autori concordano sulla la maggiore conflittualità del rapporto con la madre, dovuta

alla presenza di comunicazioni più frequenti e significative.

Oltre a ciò, diverse ricerche confermano una maggiore conflittualità della relazione madre-

figlia, soprattutto nella fase intermedia dell’adolescenza. In questa fase dello sviluppo,

infatti, le ragazze adolescenti presentano più intense resistenze e opposizioni di fronte alle

richieste di intimità e confidenza delle madri; queste richieste vengono vissute dalle

adolescenti come intrusioni e violazioni della propria privacy. Questo atteggiamento,

denunciato in particolare dalle madri (Bovini, Zani, 1991), sembra poi attenuarsi verso la

fine dell’adolescenza.

Smetana (Smetana, Asquith, 1994) ha individuato gli ambiti comportamentali rilevanti per

il conflitto in adolescenza e li ha suddivisi in categorie: personali, convenzionali, morali,

prudenziali, multiformi, amicizie. Ha trovato, inoltre, che i conflitti più frequenti si

osservano sui temi multiformi, ossia temi che possono essere interpretati sia come relativi

alle convenzioni sociali, sia come personali. Questo risultato suggerisce che il conflitto

nasce principalmente a causa delle divergenze fra i significati che genitori e figli

attribuiscono ai comportamenti.

I conflitti su temi morali, convenzionali e personali diminuiscono con l’età, confermando

che l’inizio dell’adolescenza è il periodo più conflittuale.

2.3 Le situazioni conflittuali: comportamenti e atteggiamenti

Nella famiglia, i soggetti che entrano in conflitto più frequentemente sono i genitori e i

figli.

Vengono riportati da diverse ricerche, casi in cui il disaccordo tra padri e figli assume la

forma di disputa a causa dell’intervento delle madri.

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392

I comportamenti dei familiari adulti durante le situazioni conflittuali fra fratelli, coprono

l’ampia gamma delle manifestazioni possibili. I comportamenti variano in misura

maggiore con l’età, piuttosto che essere sensibili alle differenze di genere.

Si evidenzia una leggera accentuazione dei comportamenti improntati alla diplomazia

consapevole nei ragazzi più adulti, e un’accentuazione di comportamenti remissivi e di

abbandono del conflitto da parte dei ragazzi più giovani.

Secondo Favretto (2001), i comportamenti che si manifestano nelle situazioni di conflitto

sono determinati dal carattere dei genitori e dei figli.

I ragazzi più grandi sembrano aver elaborato una consapevolezza più grande in merito alla

possibilità di un loro intervento per modificare le richieste e le aspettative dei genitori,

secondo le più opportune strategie d’azione. Inoltre, attribuiscono spesso l’origine dei

conflitti a motivi di ordine caratteriale o allo scontro tra differenti richieste e opinioni fra

familiari adulti e figli.

I ragazzi più giovani, viceversa, sembrano essere meno convinti di poter modificare la

volontà degli adulti e frequentemente attribuiscono un senso al conflitto a partire dalle

preoccupazioni educative degli adulti stessi.

Tanto più spiccata è l’autonomia raggiunta, tanto più è intensa la convinzione di poter

modificare l’assetto dei rapporti attraverso la trasformazione delle norme familiari; per di

più, è soltanto a partire dalla contestazione delle norme che possono innescarsi i processi

che conducono all’autonomia stessa e all’elaborazione della convinzione di poter

largamente determinare la propria esistenza.

2.4 Il trattamento dei conflitti ed i comportamenti successivi

Le pratiche di trattamento dei conflitti costituiscono una parte importante nella costruzione

del tessuto normativo degli adolescenti.

Per quanto riguarda la famiglia, si può pensare che molti trai membri più giovani

desiderino continuare a mantenere i rapporti al suo interno ricevendo affetto, protezione e

cura.

I conflitti che avvengono in famiglia sono trattati in misura maggiore attraverso la

sopportazione, la coercizione e la negoziazione (Favretto, 2001).

Una forma blanda di coercizione frequentemente attuata consiste nel tenere il muso, cioè

creare una sospensione temporanea dei rapporti per esercitare una pressione psicologica,

nella speranza di correggere l’andamento del conflitto.

L’evitamento assume generalmente due forme:

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393

- sospendere temporaneamente l’interazione abbandonando fisicamente il luogo del

conflitto

- sospendere temporaneamente l’interazione, abbandonando simbolicamente la

situazione conflittuale, attribuendo alla controparte la ragione oppure manifestando un

comportamento conforme alle sue aspettative pur rimanendo convinti delle proprie

opinioni e del proprio operato.

La negoziazione è presente soprattutto nelle testimonianze di ragazzi più grandi: è logico

pensare che questo avviene perché per attuare questo tipo di risoluzione ci vogliono abilità

relazionali più sviluppate e di quote di potere e di autonomia nelle relazioni più

consistenti, nonché di una più larga esperienza, utile per comprendere che attraverso

questa pratica si ottengono risultati più soddisfacenti.

Con la negoziazione si assume un atteggiamento flessibile, mentre nella coercizione

l’atteggiamento è più rigido e si proporne di aumentare, o di mantenere nel caso dei

genitori, la quota di potere posseduta, per poter gestire a proprio vantaggio la situazione

conflittuale.

Queste pratiche sono utilizzate in modo combinato e senza la predisposizione di una

specifica strategia. Infatti, sono rare le testimonianze che dimostrano un uso consapevole e

strumentale delle forme di trattamento dei conflitti. Al contrario, molte testimonianze

indicano che c’è l’idea dell’obiettivo immediato da raggiungere, ma non vi corrisponde la

predisposizione di specifiche strategie nella scelta delle forme di trattamento.

Questo significa che la scelta delle modalità per far fronte ai conflitti non segue strategie

studiate accuratamente, ma si realizza nel corso del conflitto stesso grazie a vari

comportamenti, che uniscono le previsioni e le aspettative riferite alle reazioni dei

familiari coinvolti nella situazione conflittuale, la valutazione della propria e dell’altrui

quota di potere nella relazione, gli obiettivi che gli adolescenti, di volta in volta, intendono

cogliere.

Fanno parte del modo di organizzare la reazione alla situazione anche elementi di

personali e relazionale, fra cui il continuo monitoraggio del gioco di azioni e di reazioni

presente in ogni interazione.

La mediazione, in ambito familiare, si avvale quasi esclusivamente dell’intervento delle

madri e, in alcuni casi, di quello, non sempre gradito, dei fratelli.

Si può rilevare anche l’intervento indiretto degli amici e dei partner, i quali hanno

dimostrato di essere validi sostegni per la rielaborazione di quanto accaduto in famiglia.

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394

In genere, i ragazzi più giovani consigliano di incrementare il conflitto e spronano le

coetanee ad imporsi per ottenere maggior autonomia; i ragazzi e le ragazze più adulti

consigliano la moderazione e le strategie che prevedono la negoziazione. Infine gli amici

possono rassicurare rispetto all’ansia, all’angoscia e ai sensi di colpa che possono

presentarsi quando si agisce il conflitto.

2.4.1 Lo stile di gestione e gli esiti del conflitto

Il conflitto familiare non è necessariamente negativo, ma in determinate condizioni può

avere funzioni funzionali e costruttive per l’adolescente, facilitando ad esempio lo

sviluppo dell’Io e la maturità psicosociale (Grotevant, Cooper, 1985).

Alcuni autori hanno individuato una serie di strategie di risoluzione del conflitto:

sottomissione, compromesso, intervento di terzi, disimpegno e ritiro. Anche se gli

adolescenti dichiarano di preferire una soluzione al conflitto attraverso il compromesso, le

osservazioni dei comportamenti di adolescenti e genitori in situazioni di interazioni

naturali indicano che i conflitti tendono a essere più spesso risolti tramite la sottomissione

all’autorità del genitore o il disimpegno, invece che attraverso il compromesso

(Montemayor, Hanson, 1985).

Da altre ricerche, si ricava che l’arco di età compreso fra 13 e 15 anni è caratterizzato da

un intensificarsi del conflitto, e questo si esprime con uno stile di conduzione aggressivo

ed esiti di frustrazione ed escalation (cioè quei comportamenti che prolungano e/o

intensificano il conflitto).

È confermata anche l’ipotesi sulla natura più conflittuale del rapporto con la figlia

femmina, anche se soltanto dalle percezioni dei genitori (soprattutto dalle madri, le quali

riconoscono un peggioramento della relazione con le figlie femmine nell’arco di età

considerato.

Gli adolescenti sembrano adottare comportamenti differenti nel corso degli episodi di

disaccordo con i due genitori e mostrano un uso più frequente dello stile aggressivo con il

padre, che dà luogo a esiti di maggiore frustrazione e escalation.

Un ulteriore risultato interessante (Cicognani, Zani, 2003) è che gli adolescenti descrivono

se stessi come meno inclini all’uso del compromesso di quanto lo siano, a loro parere, il

padre e la madre. Tale percezione è confermata anche dai genitori, i quali descrivono

l’adolescente come meno incline al compromesso rispetto a se stessi. Questi risultati

confermano parzialmente le ipotesi derivate dalle prospettive sistemiche, in base alle quali

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gli adolescenti tenderebbero a sottolineare la separatezza e le differenze fra se stessi e i

propri genitori.

Per quel che riguarda la relazione fra lo stile del conflitto e gli esiti, l’uso di uno stile

negativo sembra favorire esiti di frustrazione e l’intensificazione/prolungamento del

conflitto, mentre l’adozione del compromesso ha come esito una soluzione più positiva e

costruttiva.

2.5 Gli effetti del confitto su adolescenti e genitori

Diversi autori hanno evidenziato il ruolo funzionale del conflitto per lo sviluppo

dell’adolescente.

Ad esempio, secondo Laursen e Adams (2000), i processi di gestione del conflitto e la sua

risoluzione presentano un interesse speciale in ambito evolutivo, perché forniscono ai

bambini un quadro di riferimento per l’acquisizione di principi di giustizia, per la

regolazione di sentimenti e la definizione dell’autonomia personale. Altri dati tuttavia

confermano come elevati livelli di conflitto siano associati a problemi di esteriorizzazione

(delinquenza, devianza, comportamenti a rischio) e interiorizzazione (depressione).

È stato fatto notare, però, che dipende dalla qualità della relazione nella quale avviene,

oltre che dagli attributi degli episodi conflittuali, l’eventualità che il conflitto abbia effetti

positivi o negativi: quando il conflitto ha luogo in una relazione positiva, aperta e calorosa,

i suoi effetti non sono negativi.

3. Il conflitto con gli amici

3.1 I gruppi: una definizione

Nella letteratura sui conflitti, il termine “gruppo” viene usato in diversi modi: in senso

generale, esso indica ogni tipo di attore collettivo in un conflitto (Coser, 1956; Deutsch,

1973); nella psicologia sociale è un insieme di persone, le cui relazioni presentano

caratteristiche diverse dalle interazioni interpersonali (R. Fisher, 1990, pp. 59 ss.); infine il

termine può essere impiegato per definire un raggruppamento di individui senza una

struttura interna e senza una finalità collettiva cosciente (Strassoldo, 1979, p. 31), in

contrapposizione quindi alle organizzazioni.

Ogni attore collettivo in un conflitto è composto a sua volta da sottosistemi ed è allo stesso

tempo capace di “nazione unificata” (Deutsch, 1973).

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396

3.2 Conflitto e intergruppo

Gli individui decidono di entrare in un gruppo per soddisfare i propri bisogni materiali,

psicologici e relazionali: i membri di un gruppo definiscono la propria identità in misura

maggiore o minore anche secondo tale appartenenza.

La distinzione tra “noi” e “gli altri” e la disposizione a valutare “gli altri” in maniera

negativa compaiono con il conflitto, oppure possono esserne un fattore facilitante.

Secondo R.J. Fisher (1990), la competizione e il conflitto fra gruppi causano regolarmente

una maggiore coesione interna e favoriscono interazioni distruttive fra gruppi. Perché ciò

avvenga, un certo grado di coesione deve però esistere già prima del conflitto: in caso

contrario, il gruppo correrà il rischio di disgregarsi. A sua volta, un gruppo

sufficientemente coeso tende a mostrare un comportamento particolarmente impegnato nei

conflitti.

Il grado di coinvolgimento dei membri (Coser, 1956, p. 108) e di coesione interna (Shaw,

1981) costituiscono caratteri essenziali della natura di un gruppo.

Per quel che riguarda i conflitti all’interno dei gruppi, Coser (1956) ipotizza che, quando

la personalità dei membri è coinvolta completamente, i conflitti interni subiranno

un’escalazione più rapida, sia perché il coinvolgimento emotivo tende a mettere in gioco

forze diverse rispetto al solo calcolo razionale delle opportunità in un conflitto, sia perché

un conflitto intenso intaccherà più facilmente la base di consenso del gruppo.

3.3 Motivazioni ed attribuzioni di responsabilità nelle situazioni conflittuali

Tra i pari, le regole generali su cui si fonda la vita dei gruppi sembrano essere quelle della

solidarietà e della reciprocità.

Le situazioni di pre-conflitto, di conflitto e di disputa evidenziano l’esistenza di molteplici

norme che riportano nelle singole situazioni le regole generali.

Le testimonianze (A.R. Favretto, 2001) riferite alle relazioni tra pari hanno messo in

rilievo che le situazioni di pre-conflitto sono spesso riferite ad aspettative non rispettate,

come se, con gli amici, a differenza di quanto avviene in famiglia e a scuola, sia legittimo

aver paura che l’espressione evidente dell’inquietudine relazionale, espressa per mezzo del

conflitto, o le dispute conducano alla rottura dei rapporti.

Un ipotesi potrebbe essere quella che esprime come i ragazzi percepiscano i legami di

amicizia più fragili, anche se talvolta più importanti, di altri legami. Si tratta di una

fragilità maggiore rispetto a quella manifestata nei rapporti familiari, poiché questi ultimi,

oltre a essere estremamente istituzionalizzati, hanno in sé anche elementi normativi sui

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397

quali si fondano le relazioni che riguardano l’affetto reciproco e gli atteggiamenti di cura.

E sono anche legami più fragili rispetto a quelli che si hanno in ambito scolastico con i

professori. Anche in questo caso i rapporti sono fortemente istituzionalizzati, mostrano

aspetti normativi riferiti all’insegnamento, all’apprendimento con profitto e al controllo

del comportamento. Non prevedono, però, l’espressione di atteggiamenti affettivi e di cura

che molti ragazzi dichiarano di desiderare, comportamenti, questi, che non rientrano nei

doveri del ruolo degli insegnanti.

Si potrebbe di conseguenza pensare che siano la minore istituzionalizzazione dei legami

d’amicizia e il loro fondarsi sull’empatia, che introducono elementi di grande variabilità, a

rendere tali legami molto sensibili alle conseguenze della manifestazione del conflitto, con

il rischio sempre presente della rottura delle relazioni.

Frequentemente sono state riferite situazioni di malessere relazionale non espresso

interamente, situazioni relative all’aspettativa dell’esclusività dell’amicizia caratterizzate

da una forte intensità di sentimenti, evidenziate soprattutto dalle ragazze, e situazioni

riferite alla condivisione degli avvenimenti considerati importanti per la vita individuale e

del gruppo, evidenziate da entrambi i generi. Una cosa, inoltre, che mette in grande

difficoltà la continuità dei rapporti è il pettegolezzo.

Si può individuare un’attenzione particolare rivolta alla cura delle relazioni diadiche e

triadiche e allo sviluppo di un grande senso di responsabilità verso tutti quegli atti che

potrebbero far ridurre la qualità e l’intensità affettiva di queste relazioni. Sono le ragazze

che danno maggior risalto alla responsabilità individuale e all’impegno personale nella

riuscita delle relazioni.

Su questo tema sono state riportate numerose situazioni in cui i conflitti a carattere

organizzativo – uscite in gruppo, preparazione di feste, gare sportive – si collocavano

generalmente nell’ambito delle relazioni prodotte dal non essere di parola.

La regola generale della reciprocità relativa a temi di ordine affettivo e sessuale ha assunto

caratteristiche differenti secondo il genere. Ad esempio, alcune ragazze, molto attente alla

qualità dei legami di amicizia e, allo stesso tempo, in competizione dichiarata per ottenere

le attenzioni dei ragazzi, hanno riferito di conflitti nati dai giudizi espressi in merito

all’onorabilità sessuale di alcune coetanee. I ragazzi, invece, riportano con minore

frequenza l’esistenza di tensioni e di conflitti a causa dei rapporti affettivi. Ma anche per il

genere maschile, questi conflitti nascono per forme di competizione considerate scorrette e

per la non osservanza della norma che impone che se una ragazza è già “impegnata”

affettivamente con un amico è sleale nei confronti di quello stesso amico farle la corte.

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Infine, un motivo di conflitto è rappresentato dall’uso delle droghe.

Per quanto riguarda l’attribuzione della responsabilità dei conflitti si rileva che le tensioni

nell’ambito amicale prevedono spesso un ripensamento delle motivazioni e delle

dinamiche dei conflitti stessi, ed una disponibilità più alta tra le ragazze a collocare

internamente le responsabilità dei disaccordi. Le ragazze, infatti, indicano come

caratteristiche soggettive che favoriscono i conflitti il “brutto carattere”, l’impulsività,

l’ossessività e il desiderio di esclusività nei rapporti; alcune di queste caratteristiche sono

state rilevate, anche con meno frequenza, anche per i disaccordi presenti in ambito

familiare, dove erano presentate come “naturali”, e quindi scarsamente modificabili.

Viceversa, in ambito amicale sono state descritte come modificabili, e in alcuni casi la loro

modificazione è stata indicata come strumento per porre fine ai conflitti e continuare le

relazioni.

3.4 Le situazioni conflittuali: comportamenti e atteggiamenti

L’espressione del conflitto tra pari copre un’ampia gamma di comportamenti che

sembrano sensibili alla variabile di genere più che ad altre.

Il comportamento più diffuso è la discussione: tranquilla o accesa, prolungata o

velocemente placata, volta in scherzo o trasformata in litigio. Le discussioni accese

possono indicare la grande importanza attribuita alle motivazioni del conflitto.

Un’altra modalità per esprimere il conflitto, soprattutto, anche se non unicamente,

femminile, è mostrarsi per qualche tempo contrariati. Il mostrarsi contrariati può anche

rappresentare un modo per controllare la propria impulsività nel conflitto, per agire forme

di autocontrollo.

Una variante è rappresentata dal non rivolgersi la parola per alcuni giorni, praticata

soprattutto dai ragazzi più giovani.

Alcuni ragazzi hanno sviluppato la consapevolezza che è possibile agire il conflitto anche

attraverso lo scherzo e che per mezzo della “presa in giro” si ottengono alcuni importanti

risultati dal punto di vista relazionale.

Tuttavia è bene ricordare che l’ironia e lo scherzo sono pratiche ambivalenti: si possono

utilizzare per abbassare il livello di conflittualità, ma possono anche essere inserite, e

mascherate, in una cornice relazionale che esprime messaggi aggressivi e conflittuali (G.

Bateson, 1956).

Anche i sentimenti che si provano nel corso dei conflitti rivestono un’ampia gamma: dalla

frustrazione alla rabbia, dalla rivalsa al senso di colpa.

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Anche i gruppi, e non soltanto i singoli, possono non tollerare il conflitto: per questo

esistono anche nel gruppo drastiche prevenzioni, come l’espulsione dal gruppo. In questo

caso la sanzione applicata a chi si manifesta particolarmente conflittuale e non accetta le

regole del gruppo viene decisa con lo scopo di prevenire futuri conflitti che, mettendo in

discussione le regole, rischiano di minare le fondamenta del gruppo.

3.5 Il trattamento dei conflitti ed i comportamenti successivi

Come già ricordato in precedenza, l’appartenenza all’ambito amicale è caratterizzata in

larga misura dalla volontarietà; di conseguenza le previsioni in merito alla continuazione o

alla rottura dei legami dipendono per gran parte dalla volontà e dall’interesse dei singoli.

Si tratta inoltre di legami semplici ed informali che prevedono, almeno all’inizio, uno

scarso differenziale di potere esplicitamente riconosciuto.

Le modalità di trattamento dei conflitti più frequentemente presenti in quest’ambito sono

la coercizione, l’evitamento, la mediazione, l’arbitrato e la negoziazione.

La coercizione è presente in modo più pronunciato tra i ragazzi più giovani, e si esprime

attraverso il litigio e le urla. Questo modo di trattare il conflitto è cruciale, poiché conduce

o alla rottura dei rapporti, oppure ad altre forme di trattamento, più utili per la loro

continuazione. Si tratta, dunque, di situazioni conflittuali estremamente fluide e flessibili,

in grado di trasformarsi nel volgere di breve tempo. La coercizione che conduce alla fine

dei rapporti si esprime spesso con l’isolamento o l’espulsione dal gruppo dei membri non

graditi.

La fluidità risponde all’esigenza di trattare il conflitto in modo diverso, secondo le

differenti situazioni che si succedono durante la stessa interazione conflittuale.

L’evitamento può sopraggiungere quando i soggetti intuiscono che la negoziazione attivata

in precedenza non ha dato i risultati sperati.

Il gruppo di amici è, per eccellenza, l’ambito in cui si apprende, attraverso la pratica

costante, la negoziazione. La negoziazione può attivarsi attraverso molteplici forme: a

partire dalla richiesta di tradimenti, dal presentare le proprie scuse, dall’invito esplicito o

implicito a ragionare con calma, dal dimostrare la propria disponibilità a recedere dalla

propria posizione. Le infinite opportunità offerte dalle interazioni amicali dalla pratica

della negoziazione rendono l’ambito amicale una vera e propria palestra per

l’apprendimento dell’arte della composizione dei conflitti.

L’intervento dei pari assume frequentemente le forme della mediazione e dell’arbitrato.

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Il ricorso all’intervento degli adulti in qualità di mediatori o di arbitri è scarso, e si limita a

quello sollecitato presso gli educatori da parte degli appartenenti a gruppi amicali che si

formano nelle istituzioni come, ad esempio, le società sportive.

In sintesi, il trattamento dei conflitti in ambito amicale ha un andamento fluido, adattabile

allo svolgersi delle singole situazioni, e sembra essere influenzato dalla volontà o meno di

continuare il rapporto di amicizia.

Non sembra che la disparità di potere all’interno dei gruppi sia percepita dai ragazzi come

fattore in grado di determinare l’andamento dei conflitti. I riferimenti costanti alle pratiche

di negoziazione, insieme al ricorso limitato all’intervento degli adulti, indicano quanto sia

valorizzante per la composizione del tessuto normativo degli adolescenti trattare i conflitti

in ambito amicale, ambito nel quale le modalità possono essere scelte più liberamente, sia

in funzione della maggiore autonomia di scelta per la continuazione o la rottura dei

rapporti, sia in funzione di un assetto di potere percepito come maggiormente paritario, e

quindi in grado di garantire possibilità di intervento più pronunciate e proficue per la

modificazione delle situazioni e delle relazioni.

4. Il conflitto a scuola

4.1 Motivazioni ed attribuzioni di responsabilità nelle situazioni conflittuali

Anche per l’ambito scolastico, di solito le situazioni conflittuali sono riconducibili a

questioni di ordine normativo, e si differenziano a seconda che gli attori implicati siano

altri studenti o professori. I conflitti si differenziano anche in base al fatto che siano

provocati dalla disobbedienza alle norme manifestata dagli studenti o dagli insegnanti. Si

nota, perciò, l’esistenza di due livelli relazionali importanti nella vita scolastica:

- il livello delle relazioni con gli adulti, che è più formalizzato

- il livello delle relazioni con i compagni, distinte da una scarsa formalizzazione.

Per quanto riguarda i rapporti con i compagni, secondo A.R. Favretto (2001), le

motivazioni al conflitto si possono riferire ai modelli normativi presenti nei gruppi dei

pari. La mancanza di solidarietà mostrata dai compagni può dare origine a conflitti ripetuti

e protratti nel tempo. Altre volte è la competizione per i voti che introduce la riuscita

individuale come valore di riferimento e il corrispondente comportamento strumentale,

cioè rendersi visibili positivamente agli occhi del docente a discapito dei compagni. Sono

questi, in ogni caso, comportamenti che vanno contro i principi di solidarietà richiesti dal

gruppo.

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401

Per quanto riguarda il rapporto con gli adulti, invece, secondo la ricercatrice, le

motivazioni più frequentemente addotte come causa di conflitti sono riferite,

generalmente, al profitto. Un’altra abituale situazione di crisi che coinvolge allievi e

professori si riferisce alla mancanza di rispetto che alcuni insegnanti hanno nei confronti

degli studenti. Un’ultima fonte di conflitto spesso riportata dai soggetti della ricerca, si

basa sull’inosservanza, da parte dei professori, delle norme che riguardano l’oggettività

del giudizio e l’adozione di criteri di valutazione uniformi.

4.2 Le situazioni conflittuali: comportamenti e atteggiamenti

Secondo A. Favretto, anche nella scuola le modalità di espressione del conflitto sono

sensibili alla variabile dell’età.

Nei rapporti con i docenti, i ragazzi più giovani privilegiano i comportamenti del tipo

“lasciar correre”, anche se sono comunque presenti le espressioni di conflitto.

I ragazzi più grandi, viceversa, preferiscono la discussione e, soprattutto, la diplomazia.

Lo stesso vale per i rapporti con i compagni, dove le modalità di comportamento nelle

situazioni conflittuali variano soprattutto in base all’età.

In caso di contrasto i più giovani hanno la tendenza a litigare in misura maggiore rispetto

ai ragazzi più adulti. I maschi, in particolare, a volte, manifestano comportamenti così

palesemente conflittuali da richiamare l’attenzione e l’intervento dei professori.

Ma anche tra i ragazzi più giovani sono diffusi comportamenti che hanno lo scopo di

evitare il manifestarsi del conflitto. Questi comportamenti si riferiscono di solito allo

stadio pre-conflittuale.

I ragazzi più grandi affrontano in maniera più consapevole le diverse modalità di

espressione del conflitto. In particolare, sono diffusi i comportamenti che si differenziano

a seconda che il disaccordo nasca con gli amici o verso i compagni per i quali non si prova

simpatia: con i primi si discute, con i secondi si tenta di evitare il litigio, oppure si litiga

soltanto in casi particolari.

Esiste anche a scuola una tendenza che si ritrova nel gruppo dei pari, cioè la tendenza a

manifestare il conflitto nelle relazioni con persone con cui si vuole continuare a mantenere

un rapporto; viceversa, si tende a evitare il conflitto, o a portarlo alle estreme conseguenze,

con i ragazzi con i quali non si ha l’intenzione di continuare la relazione, o con quelli con i

quali il legame è già debole.

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402

4.3 Il trattamento dei conflitti ed i comportamenti successivi

Il trattamento delle situazioni conflittuali che vedono coinvolti i ragazzi con i professori, è

solitamente l’evitamento. Sia i ragazzi più giovani che quelli più adulti sanno bene che la

sproporzione di potere è tale da ritenere più prudente non creare situazioni conflittuali,

oppure, nel caso in cui queste siano inevitabili, è meglio uscirne il prima possibile.

Un’altra modalità ricorrente è la sopportazione, che diviene evidente con la repressione

della rabbia e i commenti malevoli nei confronti degli insegnanti.

La negoziazione, invece, è praticata soprattutto dai ragazzi più grandi, ed in particolare

dalle ragazze. Assume una forma che viene chiamata diplomazia: sono sia comportamenti

individuali che di gruppo e, generalmente, serve per raggiungere obiettivi concreti come,

per esempio, un modo diverso per organizzare le interrogazioni.

Per quanto riguarda il comportamento dei professori, la ricerca mostra che questi ricorrono

spesso alla coercizione. Questa è rivelata dall’uso di comportamenti bruschi, di un tono di

voce elevato, talvolta da apprezzamenti poco lusinghieri nei confronti degli allievi.

Tuttavia, anche i ragazzi tendono fare ricorso a questo tipo di comportamento, e anche in

questi casi si ritrovano l’alzare la voce e il dare risposte maleducate. Si tratta di

comportamenti individuali o che comunque coinvolgono un numero ristretto di persone.

Ma è ragionevole pensare che esistano, come in tutti i gruppi di pari, delle forme di

coercizione verso l’esterno che prendono consistenza e importanza a partire dalla forza

relazionale dei gruppi stessi.

Molto frequente è l’intervento dei compagni nelle situazioni conflittuali e quando avviene

assume forme indirette. Solitamente, il consiglio che viene dato più frequentemente dai

compagni è riferito alle pratiche di evitamento, al lasciar perdere. Un consiglio simile

arriva dai genitori.

L’evitamento, dunque, è incoraggiato in base all’idea che un atteggiamento prudente sia il

più adeguato per trattare con i professori.

Soprattutto tra i ragazzi più giovani, quando la coercizione prende la forma di scontro

fisico o verbale troppo acceso, l’intervento mediatore degli insegnanti è decisivo.

Come nelle relazioni con i professori, anche con i compagni sono in particolare i ragazzi

più adulti che manifestano capacità di negoziazione. Nel caso questa non si rivelasse

attuabile, i conflitti si aggraverebbero e sarebbero trattati con l’evitamento o con tentativi

di coercizione.

L’evitamento è messo in atto soprattutto dalle ragazze, in seguito a una negoziazione

fallita: in questi casi, spesso segue la sospensione parziale o totale delle relazioni.

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La scelta della modalità con cui affrontare il conflitto, molto spesso, è connessa alla

prospettiva di continuare o sospendere la relazione, sia per volontà propria, sia per cause

oggettive come la fine del percorso di studi. Questo avviene soprattutto fra i ragazzi più

adulti, che si dimostrano più abili ed esperti nelle situazioni conflittuali.

In ambito scolastico, quindi, la previsione di continuità della relazione e la valutazione

della differenza di potere fra gli attori, emergono come elementi fondamentali nel

fronteggiare le situazioni di conflitto e nel decidere come condurle.

5. Note conclusive

Le situazioni conflittuali sono soggette a stasi e a rapidi mutamenti e sono sensibili sia a

variabili individuali, come il genere e l’età, sia a variabili strutturali, come lo stato delle

relazioni tra i confliggenti.

Per l’espressione ed il trattamento dei conflitti fondamentale è la percezione soggettiva

delle caratteristiche delle relazioni, ad esempio l’obbligatorietà o i gradi di libertà presenti,

e la volontà e l’opportunità se continuarle o troncarle.

Partecipare a una situazione di conflitto non significa solo esprimere la propria

frustrazione, ma significa anche conoscere e controllare in modo sempre più attento ed

efficace i propri e gli altrui comportamenti e reazioni, ed utilizzare in modo appropriato le

forme di manifestazione e di trattamento dei conflitti socialmente condivisi.

Ad un’età meno elevata, corrisponde una maggiore tendenza ad utilizzare, in situazioni di

conflitti, pratiche di trattamento che possono assumere forme semplici e poco raffinate dal

punto di vista relazionale, come l’evitamento e la coercizione. Ad un’età più adulta,

invece, corrisponde una maggiore esperienza, che permette di ampliare il proprio

repertorio aggiungendo pratiche come la negoziazione in situazioni conflittuali che

presentano elevati differenziali di potere, oppure accettare la mediazione e l’arbitrato dei

pari o addirittura proporsi come mediatori o arbitri.

La variabile di genere appare importante, soprattutto per la motivazione ai conflitti.

Le ragazze sono più attente agli aspetti affettivi delle relazioni e agli aspetti di

responsabilità personale e di ruolo; sono quindi più inclini a scatenare conflitti per motivi

di apparenza e di qualità relazionale. Inoltre, si dimostrano più abili e disponibili dei

coetanei maschi a negoziare con gli adulti, soprattutto con i docenti, in modo da ottenere

gli obiettivi prefissati senza rovinare la qualità dei rapporti.

Sperimentare situazioni conflittuali, dunque, permette prima di tutto di conoscere le

richieste normative presenti nel quotidiano e di verificare la loro resistenza e la possibilità

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di una loro trasformazione; permette inoltre di allargare il tessuto normativo individuale

per mezzo della conoscenza e l’utilizzo adeguato delle varie modalità di espressione e di

trattamento dei conflitti. Permette, in altre parole, di compiere con sempre maggiore

consapevolezza ed abilità le proprie scelte normative e relazionali.