c - per un mondo migliore - … · testimoniare, pur tentando l'impresa, l'inadeguatezza...

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CERCHIO FIRENZE 77 PER UN MONDO MIGLIORE Un insegnamento per l'umanità di oggi e di domani Presentazione Comporre un preludio a tanto Testo, se non derivasse da un mio generoso destino sarebbe prova di arroganza intellettuale. In verità, ero l'ultimo a poterlo anche solo immaginare, appena ieri; e sono oggi il primo a testimoniare, pur tentando l'impresa, l'inadeguatezza di un qualunque preambolo ai dettati, come quelli che andrete a leggere e ad « ascoltare », di così oracolare e sconvolgente, rivoluzionario e dolcissimo Libro di Sapienza. « Beati gli occhi vostri, perché vedono, e le vostre orecchie, perché odono », è il messaggio senza tempo, detto dal Cristo ai Discepoli, e l'augurio che non invecchia, per tutti. Disse ancora il Maestro dei Maestri, all'inizio dell'èra che declina: « Perché io vi dico in verità che molti profeti e giusti hanno desiderato di veder le cose che voi vedete, e non le han vedute; e di udire le cose che voi udite, e non le hanno udite »: davvero questo è un tempo, chi può l'intenda e non si lasci distrarre, aperto alle buone novelle, ai grandi ritorni. Assicurano qui i Maestri, dietro l'ultima velatura enigmatica: « La fine dei tempi, che può interpretarsi come un evento di catastrofiche Proporzioni, ha invece un valore individuale. Muta non è Più la Sfinge. Prometeo non è piú in Catene. Parlano finalmente chiaro i miracoli. Beate le orecchie che sapranno accogliere le Voci », testimoni del Cristo che torna, nell'intimo di ognuno, nell'invisibile delle coscienze. Valga dunque, insieme all'augurio per ciascuno, l'invito a compiere in letizia l'ultimo passo dall'esilio al Regno. Perché questo è il senso, lo stimolo, l'invito ineludibile di ognuna di queste pagine, rivolto a chi, accingendosi docile all'ascolto, dimostra di essere pronto e, secondo la Parabola, già seminato. Ieri si definirono e furono chiamati Spiriti, nel cui nome tenebroso si reagí, come è noto, con morbosità o con timore; di poi Entità, con filosofica indeterminatezza, e col nuovo termine si è gradualmente giunti fino alla confidenza, o almeno alla rispettosa attenzione; ora, che i tempi sono piú attenti e maturi, li possiamo chiamare (sono essi stessi a proporlo) e invocare quali Maestri, Istruttori, Guide invisibili dell'umanità, Anziani fatali. Questo è un loro libro, dettato e poi ordinato e corretto da loro stessi, al quale il cenacolo ricevente già ben noto come Cerchio Firenze 77 ha aggiunto, dai miracolati decenni detta sua ,dedizione, l'impegno che non è mai lieve della definizione editoriale. Le Voci si dichiarano, e male sarebbe intenderne solo la modestia, appena « uno dei moltissimi mezzi che la legge di evoluzione dà all'uomo per farlo riflettere e progredire »; il mezzo, oso aggiungere, invero piú immediato e incantante, che agisce con calcolata potenza sulle necessità e sulle attese già disposte, da un' immemoriale evoluzione, a lasciarsi investire, sconvolgere quanto occorre, e suadere, donarsi, « iniziare ». Perché in verità si tratta dì questo: « iniziarsi », senza per ciò dover uscire dal mondo, come poté ancora ieri servire, senza piú bisogno di misteriose affiliazioni ed esotici rituali. L'Occulto può, deve diventare palese. E' diciamo, la Via occidentale di sublime: meglio ancora, poiché Oriente ed Occidente sono stati limiti, separatività, termini contrapposti di una dualità da superare, qui è la Via planetaria al Regno, dischiusa e agevole per chiunque si carichi, in vista del viaggio guidato, di una sola bisaccia: la buona volontà. Iniziarsi significa, come impone l'antico e mai scaduto conosci te stesso, significa distruggere, superandola nell'intimo, ogni consolante o sconsolata visione del mondo in funzione della separatività, dell'azione illusoria, del desiderio inconsulto e sempre deluso, dell'egoismo espansionista e crudele, dell'io autodeificato e, per ciò, indemoniato nel vuoto. « Per questo, come novelli iconoclasti, produrremo qua e là delle lacerazioni nel tessuto delle vostre convinzioni, dei vostri sogni », avvertono le Guide mitissime e imperiose ai lettori del presente vademecum Per un mondo migliore, terzo e coronamento di una serie tematica che già comprende, esigendo l'attenzione e l'assimilazione integrale, Dai mondi invisibili e Oltre l'illusione. t un libro solo in tre tomi inscindibili, ovvero tre cerchi espansivi da un solo sasso provvidamente caduto sull'acqua immobile del tempo. Di questo si tratta, quale « inizio »: disporsi come i Maestri indicano a « morire a se stessi », al tempo, ai luoghi, al luccichio delle cose, alle azioni orizzontali, alle ideologie, religioni e scienze che dividono, alle

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CERCHIO FIRENZE 77

PER UN MONDO

MIGLIORE

Un insegnamento per l'umanità

di oggi e di domani

Presentazione Comporre un preludio a tanto Testo, se non derivasse da un mio generoso destino sarebbe prova di arroganza

intellettuale. In verità, ero l'ultimo a poterlo anche solo immaginare, appena ieri; e sono oggi il primo a

testimoniare, pur tentando l'impresa, l'inadeguatezza di un qualunque preambolo ai dettati, come quelli che

andrete a leggere e ad « ascoltare », di così oracolare e sconvolgente, rivoluzionario e dolcissimo Libro di

Sapienza.

« Beati gli occhi vostri, perché vedono, e le vostre orecchie, perché odono », è il messaggio senza tempo, detto

dal Cristo ai Discepoli, e l'augurio che non invecchia, per tutti. Disse ancora il Maestro dei Maestri, all'inizio

dell'èra che declina: « Perché io vi dico in verità che molti profeti e giusti hanno desiderato di veder le cose

che voi vedete, e non le han vedute; e di udire le cose che voi udite, e non le hanno udite »: davvero questo è un

tempo, chi può l'intenda e non si lasci distrarre, aperto alle buone novelle, ai grandi ritorni.

Assicurano qui i Maestri, dietro l'ultima velatura enigmatica: « La fine dei tempi, che può interpretarsi come

un evento di catastrofiche Proporzioni, ha invece un valore individuale. Muta non è Più la Sfinge. Prometeo

non è piú in Catene. Parlano finalmente chiaro i miracoli. Beate le orecchie che sapranno accogliere le Voci »,

testimoni del Cristo che torna, nell'intimo di ognuno, nell'invisibile delle coscienze.

Valga dunque, insieme all'augurio per ciascuno, l'invito a compiere in letizia l'ultimo passo dall'esilio al

Regno. Perché questo è il senso, lo stimolo, l'invito ineludibile di ognuna di queste pagine, rivolto a chi,

accingendosi docile all'ascolto, dimostra di essere pronto e, secondo la Parabola, già seminato.

Ieri si definirono e furono chiamati Spiriti, nel cui nome tenebroso si reagí, come è noto, con morbosità o con

timore; di poi Entità, con filosofica indeterminatezza, e col nuovo termine si è gradualmente giunti fino alla

confidenza, o almeno alla rispettosa attenzione; ora, che i tempi sono piú attenti e maturi, li possiamo chiamare

(sono essi stessi a proporlo) e invocare quali Maestri, Istruttori, Guide invisibili dell'umanità, Anziani fatali.

Questo è un loro libro, dettato e poi ordinato e corretto da loro stessi, al quale il cenacolo ricevente già ben

noto come Cerchio Firenze 77 ha aggiunto, dai miracolati decenni detta sua ,dedizione, l'impegno che non è

mai lieve della definizione editoriale.

Le Voci si dichiarano, e male sarebbe intenderne solo la modestia, appena « uno dei moltissimi mezzi che la

legge di evoluzione dà all'uomo per farlo riflettere e progredire »; il mezzo, oso aggiungere, invero piú

immediato e incantante, che agisce con calcolata potenza sulle necessità e sulle attese già disposte, da un'

immemoriale evoluzione, a lasciarsi investire, sconvolgere quanto occorre, e suadere, donarsi, « iniziare ».

Perché in verità si tratta dì questo: « iniziarsi », senza per ciò dover uscire dal mondo, come poté ancora ieri

servire, senza piú bisogno di misteriose affiliazioni ed esotici rituali. L'Occulto può, deve diventare palese. E'

diciamo, la Via occidentale di sublime: meglio ancora, poiché Oriente ed Occidente sono stati limiti,

separatività, termini contrapposti di una dualità da superare, qui è la Via planetaria al Regno, dischiusa e

agevole per chiunque si carichi, in vista del viaggio guidato, di una sola bisaccia: la buona volontà.

Iniziarsi significa, come impone l'antico e mai scaduto conosci te stesso, significa distruggere, superandola

nell'intimo, ogni consolante o sconsolata visione del mondo in funzione della separatività, dell'azione illusoria,

del desiderio inconsulto e sempre deluso, dell'egoismo espansionista e crudele, dell'io autodeificato e, per ciò,

indemoniato nel vuoto. « Per questo, come novelli iconoclasti, produrremo qua e là delle lacerazioni nel tessuto

delle vostre convinzioni, dei vostri sogni », avvertono le Guide mitissime e imperiose ai lettori del presente

vademecum Per un mondo migliore, terzo e coronamento di una serie tematica che già comprende, esigendo

l'attenzione e l'assimilazione integrale, Dai mondi invisibili e Oltre l'illusione. t un libro solo in tre tomi

inscindibili, ovvero tre cerchi espansivi da un solo sasso provvidamente caduto sull'acqua immobile del tempo.

Di questo si tratta, quale « inizio »: disporsi come i Maestri indicano a « morire a se stessi », al tempo, ai

luoghi, al luccichio delle cose, alle azioni orizzontali, alle ideologie, religioni e scienze che dividono, alle

trascoloranti illusioni di un vivere umano troppo umano, per mirare, oltre le nebbie di una materiatità

finalmente disamorata e scoperta, al naturale traguardo e finale misura dell'uomo: il superuomo. Ossia colui

che ha detto sì ed è fiorito, il disaffiliato da ogni richiamo all'indietro nel mondo di sogno, colui che ha scienza

e coscienza intera di sé, del Sé vero, della sola Realtà, Dio.

Di questo in verità si tratta, nel trinum di quest'Opera di cui Per un mondo migliore è il perfectum

beneaugurante, ma aperto a nuovi cerchi espansivi: si tratta solo di Dio, Tema Assoluto Onnipresente Uno

Eterno Infinito, sola Realtà, Essere Totale. Invero Dio è l'assillo incalzante come della dominante tematica, in

questa Scienza insieme mistica e matematica, Scienza dunque globale, donata a tutti e a nessuno di questa

generazione da Maestri che « parlano », con fioriti linguaggi, per la bocca paziente di un solo medium, di

fatalità, di prodigio.

Dio è l'assedio teoretico e l'incalzare esemplificativo, ora con ozonici mantra e rinnovate preghiere, ora con

vertiginose progressioni filosofiche e sferzate morali, ora persino con tabelle, formule e diagrammi di un'ultima

Scienza rivelata alla scienza, affinché non un lettore possa esimersi e dire a se stesso « noti ho capito ».

Come una fresca sorgente, questo Testo sgorga e si porge a ciascuno che vi giunga, da sempre atteso, secondo

la sua sete, secondo il viaggio evolutivo già fatto e quello ancora, più o meno lungo, da fare.

Come una Cattedra, da cui si avvicendano i Maestri più alti e pazienti (« i massimi servano i minimi »), questo

Testo si presta e si adegua ai bisogni, alle capacità di ogni discente, da qualunque livello sia giunto della

conoscenza umana, purché sappia « leggere » anche quello che non può essere scritto e « udire » anche col

terzo orecchio della buona volontà. E ciascuno si accorgerà di nulla sapere, in verità, prima di essere ammesso

a questa Scuola; e di essere improvvisamente dotato di uno strumento di conoscenza e di coscienza atto a

condurlo, come i Maestri dicono, « fuori dal labirinto dell'apparenza e dell'illusione »; e cosí di partecipare ad

una « rivoluzione silenziosa » che, essendo i tempi maturi, prepara l'avvento di un mondo migliore. Ognuno già

lo ha in sé, pronto.

Di questo infatti si tratta: il « mondo in cui nulla è veramente come appare » è maturo per una rivoluzione

spirituale, ma intima e individuale, finchè tutto veramente appaia come è, da Dio in Dio, e l'uomo riscopra il

suo vero destino, il suo vero ruolo, vero volto.

Ad accogliere tale « Scienza divina », secondo i Maestri, « è poco sostegno la logica, tenue guida la fede, ma

solo la maturazione spirituale è sicura conduttrice » e quindi dotazione primaria. Questa maturazione soltanto

attiva sia la logica che la fede, sia la mente che il cuore, altrimenti inerti strumenti dell'illusione. E chi può

sapere di essere, o non essere, maturo spiritualmente, fino a che non si sia incontrato e scontrato con questi

Testi?

E' in essi, davvero, l'inciampo e la soglia, la rifondazione e il superamento, lo scandalo e l'esame delle

maturità. E non basta: ciascuno è inevitabilmente promosso; stanno a lui sia le domande che le risposte; sta a

lui solo promuoversi, « iniziare ». Nessuno può farlo per lui. I Maestri battezzano sempre, non giudicano mai.

Suggeriscono la chiave di volta: « Siate soli e semplici ». Consigliano, sospingono, pregano, guidano, svelano:

ma l'opera, e dunque il merito, toccano intimamente a ciascuno.

« Dovete liberarvi dall'io. Quando avrete raggiunto una tale liberazione sarete aperti alla Realtà,

comprenderete la bellezza del Tutto », dicono. « Quando avrete raggiunto una tale liberazione, non avrete piú

paura. Sereni sarete, di una serenità che non conosce incertezze di fronte ai mutamenti della vita, perché non

sarete piú assillati dall'esaminare i vantaggi e gli svantaggi dell'io. Darete per quello che avrete avuto e per

quello che non avrete avuto, ma soprattutto senza intenzione né scopo alcuno; e la fede corrisponderà

veramente all'espressione piú alta della coscienza individuale nell'atto di essere coscienza cosmica ».

Ricordano: « Prima di allora non può esservi evoluzione senza dolore ». Avvertono: « Nessun miracolo

sarebbe capace di cambiare il mondo, solo il singolo individuo, cambiando, rinnovando se stesso ». Infine: «

Vede la Realtà chi è assolutamente libero ». La Realtà che è Dio.

Dio, Soggetto e Oggetto di questa Scienza trascinante e, appena data, incancellabile, è l'origine e il fine di tutto

l'insegnamento; è I'Indicibile, l'Inconcepibile instancabilmente tentato, aggirato e, nel possibile del linguaggio,

svelato. Di questo, in estremo, si tratta: che venga alla coscienza risvegliata il cristico Regno, il sempre remoto e

sempre imminente, il cui annuncio è la sola parola di verità e di vita, che è l'originaria e naturale ragion

d'essere dell'individuo e la sua sola, non illusoria dimora. Che venga qui, dove E'

Ed ecco la piú sottile rivelazione: « Tutto è intorno a voi », dicono i Maestri, qui, ora e sempre, nell'intimo di

ognuno che si ponga, fuori dall'illusione del divenire e dell'io, « in quello stato di tensione interiore propizio al

fluire del suo profondo sentire ».

I lettori dei precedenti Dai mondi invisibili e Oltre l'illusione già conoscono la dottrina centrale, che Per un mondo migliore riafferma e conclude: vivere è sentire, essere è sentire, tutto è sentire, dalla potenza all'atto,

nella sequenza dell'evoluzione, dal relativo all'assoluto sentire, che è Dio - che è qui, ora, nell'intimo, alla

radice del sentire, dell'essere individuale. Ogni cosa è illusione, soggettività, sogno breve, abbaglio, tranne

questo: il sentire. Non sono che illusione e abbaglio il tempo, lo spazio, l'io e il non io, la morte, le morti, il

mondo, il cosmo e le sue leggi. Non ci sono inferni né paradisi oggettivi né vuoti od opposizioni a Dio, che è

plenitudine e assoluto. E' un solo itinerario della coscienza individuale, libero e già segnato, da Dio in Dio,

dall'origine al fine, sbocciando fiore su fiore, sentire su sentire, fino all'ultimo appuntamento, immancabile,

d'Amore. Perché tutto è Vita, nella forma universale, ed è Amore, nell'unica sostanza.

Tutto è Uno, Uno è Tutto, e più: la Scienza divina delle Voci parte e si dipana e torna a tale inflessibile assioma

a tale semplice Realtà: per le vie apparenti dell'azione o dello studio o della preghiera l'individualità e giunge

all'unico Traguardo, che non annega ma esalta, che non esaurisce ma esaudisce e trionfa. Là donde mai, in

verità, si mosse.

Nulla si crea e nulla si distrugge di quel che vale; e tutto quel che vale è qui, ora e sempre, dietro un fragile

velo, per chiunque compia l'uscita dal suo labirinto, nella luce. Sono illusori investimenti della speranza, sono

pavidi rinvii della coscienza, sono cimiteri della paura ogni sapere, ogni ideologia, ogni religione, ogni gara e

possesso, ogni dio a immagine dell'io cupidi inganni dell'uomo. E ideologie, religioni, saperi, modi della

separatività e del ritardo, qui scadono inesorabilmente, caduti nella prescrizione dell'irrealtà e del passato.

Non fosse davvero per altro, questi Testi per un mondo ed un uomo migliore invitano subito, guidano a liberare

la mente e il cuore, a scollare le abitudini morte, a sciogliere le dipendenze coatte, a svelare e vanificare i

pregiudizi, le convenzioni, le ipocrisie, le cristallizzazioni, le miserie del comportamento individuale - i nidi

dell'io Affinché il divino sentire fluisca. Ecco, di questo si tratta: di una «rivoluzione del sentire », che così un

Maestro sintetizza: «Siate nuovi ogni giorno: ecco perché siamo qua ». Individui nuovi, pericolosamente ma

gioiosamente nuovi; liberi da miraggi e ossequi all'esistente malato che fabbrica, con la morte e col sopruso, le

sue geografie e le sue storie; guariti dal soffio dell'Eterno che qui, in questi Testi, fluisce e profuma; individui

rinnovati, testimoni viventi e fraterni di una legge, una morale, un'esistenza rinnovate, oltre l'irrealtà e il

dolore.

« La vita è l'Eterno Presente ».

Si tratta dunque dell'uomo, questo sconosciuto: la sua origine, missione, destino. L'uomo che, già disse un

pensatore fiammeggiante, è qualcosa che deve essere superato, come incompleto e infelice nel soggettivo

divenire quanto libero e perfetto nell'essere oggettivo, in cui è radicato ed eterno. Essere o non essere è ancora

il problema, la prova, il nodo da sciogliere in terra. E qui si scioglie, per chi intende, chi « ascolta ».

Ad ogni orecchio parlano queste Voci, venute per ognuno di noi con diverse lezioni e linguaggi a distrarlo dalle

distrazioni, a sottrarlo alle sottrazioni cui , per debolezza e per ritardo, l'uomo cede e così si rinvia. Ma l'uomo

ha un destino piú grande. Queste Voci sono inietti di forza, di grandezza, di nobiltà, di miracolo, di una

ribellione ma interiore, limpida, che ha compreso l'irrealtà e l'ínsignificanza del mondo e la sola Realtà cui

aderire, gioiosa e feconda, intima e profonda.

In Dio, sola Realtà, tutto si placa: l'io vano scoppia, la paura cede alla fiducia, la solitudine alla beatitudine, la

miseria del vivere all'abbondanza dei doni, l'esilio al regno. Chi ha orecchi per intendere non avrà piú paura

né solitudine né miseria né colpa. E chi ancora non ha orecchi, il fiore non ancora fiorito, anche a lui è

promesso tutto questo, e piú ancora. Perché tutto è dono, come tutto è Dio.

Il vecchio dio, anzi i vecchi dèi qui sono morti. Nei loro luoghi bui si celebrano sacrifici irreali, nei loro decreti

e rappresentanti si agitano e vaneggiano ombre remote, crudeli. Pace a loro. Perché Dio è Uno, e Pace. Quello

che fu doveva essere. Quello che E' non dimentica ma non ricorda, non perdona ma non condanna.

Piú che una prefazione discreta, mi accorgo, questa è la soggettiva rimeditazione (ma tutto è soggettivo) sui

Testi felicemente sconvolgenti editi dal Cerchio Firenze 77, dai Mondi ínvisibilí a questo Per un mondo migliore. Ma cosí, mi conforto, doveva essere.

Mi pare quasi superfluo aggiungere, a questo punto, che parapsicologia spiritismo o spiritualismo e quanto

altro, della varia fenomenologia paranormale oggi in voga, tanto seducono i « lettori del mistero », poco o

nulla significano e servono, è mio parere, al cospetto di questi Testi dettati, diciamo così, dai « Maestri

fiorentini ».

Persino i miracoli delle materializzazioni, profumazioni e levitazioni che accadono durante le riunioni del

Cerchio, a parte l'alta testimonianza, oso dire che poco o nulla aggiungono al valore in sé, oltre i luoghi e i

tempi, delle Lezioni a voce registrate, raccolte, ordinate in libri, messe infine a disposizione di tutti, secondo le

precise indicazioni delle stesse Voci dettanti. Alle quali una sola prospettiva repugna e vi insistono: che intorno

e a motivo di queste Rivelazioni si formino organizzazioni, conventicole, chiese - nidi antichi dell'io, della

separatività, del sopruso. Ciò significa che questi Testi, queste Voci si rivolgono serenamente a chiunque e a

tutti, oltre il recinto e il dubbio privilegio dei cultori di misteri & spiriti & affini; anche dunque i non affiliati e

gli increduli e i diffidenti di ogni meta, para, ultra, esp, psi e cosí via; anche i non inclini e non vocati a

medianità, magie e sperimentazioni variamente trascendentali. Tutti sono invece chiamati, a parità di attesa e

di amore, su questi Testi, a questa libera Scuola di conoscenza e di vita. Questo solo, infine, conta e vale: il

Libro e la lunga meditazione cui, secondo l'attenzione e l'evoluzione, esso si presta.

Lo stesso prefatore qui scrivente, intellettuale alla luce del giorno, non appartiene e non consente

gregariamente, oltre la piú fraterna disponibilità, a nessuna confessione misteriosofica spiritistica

parapsichistica - lieviti ma anche panie, talvolta, eccitanti ma anche addormitivi e devianti.

Infine: Per un mondo migliore, come l'intera Trilogia sapienziale che concorre a formare, se non può

certamente negarsi a nessun lettore, quali che siano la sua intenzione e la sua provenienza, direi che

soprattutto sollecita e urgentemente s'indirizza a quei lettori neutri o diffidenti d'ogni « letteratura misteriosa »

e fantastica, cercatori « laici » isolati e non chiusi alle ultime possibilità della Parola, del Segno, che vengano

dalle prime o dalle seconde linee della cultura moderna, della ragione moderna, dell'ansia moderna di sapere,

di capire, di rinnovare, di rifondarsi, di « iniziare », dopo l'onnidelusione storica di cui tanti soffrono, qui ora, in silenzio o no. Per essi, ma invero per tutti, è stato dettato questo Corso Completo di istruzione, dalla basica

all'universitaria per cosí dire, su tutto quanto si possa e si debba sapere oltre l'illusione e' per un mondo

migliore; un corso tenuto da personalissime Voci non importa come materializzate, in cui si riassume e rinnova

dalle fondamenta il sapere sull'uomo, questo sconosciuto alla scienza. Perché i tempi sono maturi.

Se di miracolo si tratta, a Firenze, ed io ne sono il piú grato testimone, è un miracolo della speranza - antico

dono degli dei.

Ecco, le Voci sono qui, fedelmente registrate.

In epoche remote, all'origine storica della Sapienza, le Voci parlanti col prestito delle ugole di intermediari

estatici furono ritenute demoni, dei, potenze; e oracoli sia i modi che i luoghi di tali eccezionali comunicazioni;

mania ossia follia quella possessione parlante, o divinazione, ritenuta fonte d'ogni grandezza tanto che, dice

Platone, « i piú grandi fra i beni giungono a noi attraverso la mania, che è concessa per un dono divino, e

procura alla Grecia molte e belle cose, sia agli individui che alla comunità ».

« Divinatore è il sacerdote, e costui dà il responso quando è posseduto dal dio », dice ancora Platone.

l'Iniziato. La cultura e la scienza occidentale si fondarono, dunque, su Voci, Oracoli, Prodigi, Miracoli.

L'ultimo filosofo, recentemente scomparso a Firenze, ha scritto a proposito che « la manìa la follia è la matrice

della sapienza ». E Voci, sempre da Firenze, sono la matrice di una Nuova Sapienza, dicono un avvento e una

liberazione per ciascuno di buona volontà. Chi ha orecchi intenda.

Ecco qui, a miracol mostrare, le Voci dei « Maestri fiorentini », nell'ampia gamma di un prodigio divinatorio di

cui è umile sacerdote un uomo, ora si dice medium, fatale.

PIETRO CIMATTI

Introduzione Osservando la civiltà nella quale viviamo non possiamo fare a meno di notare che al progresso scientifico, che

si è tradotto in un miglioramento delle condizioni di vita di alcuni popoli, non è corrisposta la formazione di

società logicamente ordinate e funzionali che costituivano e costituiscono l'ideale dei politici e dei sociologi.

Le proposte che vengono formulate perché gli uomini possano realizzare queste società ideali vertono tutte su

sistemi sociali ispirati a diverse ideologie politiche, ma tutte pare che raggiungano il solo effetto di dividere gli

uomini alimentando il razzismo che è in ognuno di noi. Già, perché ogni volta che pensiamo ai nostri simili,

dice il Maestro Claudio, in termini di separatività distinguendoli preconcettualmente per la loro ideologia, o

per la loro istruzione, o per altro, è come se li discriminassimo per il colore della loro pelle.

Certo non si può dire che l'insuccesso dipenda dal fatto che le proposte non siano state sufficientemente

sperimentate: da molti anni i modelli di società ispirati alle differenti ideologie costituiscono il piano di lavoro

dei diversi statisti, con un risultato pratico alquanto scoraggiante. Infatti l'utilità dei bei programmi quasi

sempre si esaurisce con l'effetto che producono alla presentazione, dopodiché possono tranquillamente andare

ad accrescere il novero delle buone intenzioni destinate a rimanere tali.

Se l'analisi di questo fenomeno viene spinta in profondità si può osservare che la mancanza di volontà di

rinnovare non è dei sistemi, ma nei sistemi. Fino a quando non ci renderemo conto di ciò, le nuove strutture si

mescoleranno alle vecchie istituzioni con un effetto di reciproco annullamento, dando al singolo confusione di

idee e la convinzione che arraffare quanto piú è possibile a proprio vantaggio sia non solo legittimo ma

costituisca il preciso dovere di ognuno.

L'osservare la sussistenza di tale sconfortante situazione, mal comprensibile in tempi di progresso e di

intelligenza, rinnova la domanda: « Se Dio esiste, come si può spiegare in modo razionale, e perciò accettabile,

che i migliori programmi, le migliori aspirazioni degli uomini e quindi delle civiltà, naufraghino nella

decadenza e nell'autodistruzione? E se tutto ha origine divina, e perciò discendente dalla perfezione, come può

l'uomo e il suo mondo essere cosí imperfetto? ».

A queste domande, alle domande di chi vive in tempi di progresso e di intelligenza, esistono risposte

convincenti che spiegano razionalmente i molti interrogativi a cui non rispondono religione, filosofia e scienza.

Il nostro lettore potrà trovare queste risposte nelle raccolte precedenti (Dai mondi invisibili e Oltre l'illusione, Edizioni Mediterranee). La presente, che le prosegue, risponde ad un'altra domanda: « Cosa occorre per migliorare la società e

portarla a quel livello ideale che da tanto si cerca di raggiungere? », Può sembrare oltremodo ambizioso che

questo volumetto possa dare quelle indicazioni che schiere di sociologi e politici, fallendo, in definitiva, non

hanno saputo dare, che spieghi le ragioni di quei fallimenti e additi la strada che ognuno deve percorrere per

un mondo migliore. Tuttavia, conoscendo la fonte da cui provengono questi concetti e notando la logica

convincente non si può non rimanere colpiti da quanto è scritto e non farne oggetto di meditazione.

Poche e semplici indicazioni, in definitiva, per un'opera immensa. Ciò che subito conforta è il fatto che di

questa opera ne tocca una parte ad ognuno ed ognuno quella, e quella sola, può e deve fare. Nessuno può

arrogarsi il diritto di farla per noi, né imporci di farla per lui. Non è poco.

Coraggio, dunque!

Indice di questa pagina

L'io e i suoi processi di espansione - Conosci te stesso - Come intendere l'insegnamento del conoscere se stessi -

PARTE PRIMA

L'INSEGNAMENTO ETICO

E' meglio che tu sbagli sapendo di sbagliare, piuttosto che tu lo ignori. E' meglio che tu viva passionalmente,

che tu desideri egoisticamente, piuttosto che tu sia un tepido. E' meglio che tu sia un ateo che va incontro agli

uomini e li comprende, piuttosto che tu sia un credente senza pietà, Leggi queste pagine e comprenderai la

ragione.

DALI

L'io e i suoi processi d'espansione

Se avete assistito a una vendita di bestiame avrete certamente notato come il compratore, con occhio esperto, determini il valore della bestia cercando di stabilirne, nel modo piú esatto possibile. l'età, il peso, lo stato di salute, la razza alla quale appartiene.

Fino a qualche anno fa l'uomo era valutato dai suoi simili con lo stesso concetto per il quale si riesce a concludere un buon affare alle mostre e ai mercati. Le madri dicevano di un aspirante marito, alle figlie: « E’ un buon partito, sano, giovane, di buona famiglia ». Per restare obiettivi, dobbiamo riconoscere che gli uomini

potevano avere una qualità che le bestie non avevano. Non mi fraintendete, non sto parlando di una qualche virtù. Potevano essere danarosi, qualità questa sufficiente ad escludere tutte le altre.

L'intimo dell'uomo solo da qualche tempo a questa parte ha un certo valore; ma il conosci te stesso dell'antica Grecia è ancora lontano migliaia di anni, benché l'auto-conoscenza sarebbe una cosa utilissima alla umanità.

Certo con il concetto che avete della vita, questa comprensione è difficile; pur tuttavia è fattibile. Escludendo le cose assurde, l'umano può concepire progetti la cui realizzazione nel tempo contingente può essere impossibile. Ma non tutti questi progetti di impossibile realizzazione resterebbero tali se le forze di tutti gli uomini e la scienza di tutti gli studiosi fossero unite.

La cosa della quale vi parleremo questa sera non può essere alleggerita di una sola difficoltà da una coalizione d'intenti; pur tuttavia è fattibile; vi sono stati uomini che da soli e senza grave sforzo sono riusciti a compierla.

Dalla esaltazione della vita umana che conduce l'uomo al connubio con la deità del paganesimo, all'annientamento di ogni motivo umano chiamato cristianesimo; dalle aberrazioni della fantasia scatenata da ogni logicità, come fu conosciuta nell'oscurantismo, al trionfo incondizionato della ragione nell'illuminismo; dall'immateriale romanticismo al brutale realismo di recente adozione, è la storia dell'uomo che non trovando in una concezione di vita ciò che la sua stessa natura gli la ricercare, sì volge alla concezione opposta.

In questo ciclico ripetersi e rinnovarsi, l'uomo è al tempo stesso soggetto ed oggetto, modifica ed è modificato dall'ambiente nel quale vive, sicché si può dire che la fatica sia duplice: l'una di imposizione, l'altra di assoggettamento.

Tanti secoli di vita umana hanno visto fiorire una grande opera: il mondo dell'uomo, il quale, pur mutando forma di generazione in generazione, resta sempre il prodotto fra le esperienze avute ed il bisogno dell'uomo di ricercare il suo vero destino. Ma il valore di quello che è stato costruito non è in ciò che è stato edificato, bensí in quanto è stato appreso.

Basterebbe questa semplice riflessione a capovolgere il concetto della vita, ad invitare a meditare sulle esperienze altrui, a risparmiare tanta fatica. Le esperienze che nascono nelle lacrime e nel sangue potrebbero essere facile retaggio di una fattiva meditazione.

L'uomo trascura il suo intime: la sua società non lo spinge ad una vita di meditazione, anzi lo distoglie da questa. Egli diviene sempre piú superficiale, amante di ciò che si può seguire senza impegnare oltremodo l'intelletto, seguace della cronaca, dell'esteriore, di ciò che appare. L'intimo viene trascurato, con il risultato di una assenza di originalità di pensiero e di una completa ignoranza di se stessi; mentre l'intimo ha una grande importanza: solo coltivando la propria vita interiore l'uomo può impedire alla sua società di divenire un ingranaggio crudele e privo di qualsiasi sentimento.

Voi stessi che ci ascoltate rifuggite da una vita di meditazione; incolpate la vostra vita quotidiana di non lasciare tempo per una introspezione; e non possiamo farvene una colpa; ma è necessario scrutare il proprio intimo. In questo intimo e da questo intimo partono le cause dei futuri dolori umani.

Per scrutare il proprio intimo occorrono serenità e coraggio, un raro tipo di coraggio. Infatti, chi può liberamente ammettere di essere la causa dei propri errori, senza cercare per lo meno delle attenuanti? Un essere anormale. Tutti coloro che sono andati oltre lo spirito della loro epoca, oltre le consuetudini sociali, sono stati considerati dai contemporanei dei pazzi. Noi saremmo quindi quei pazzi che invitano a ricercare in se stessi le cause delle proprie sofferenze. Ma chi vorrà ascoltarci? Chi vorrà darci credito? Chi vorrà sentire le nostre lamentele, quando l'umanità crede alla sfortuna ed è affetta da mania di persecuzione, pur di non ammettere la propria incapacità? E' un pazzo colui che non parla in questo senso agli uomini e crede di essere ascoltato! E se a questo pazzo non interessasse far dei proseliti e se parlasse unicamente per amore della Verità? Sarebbe una cosa inconsueta. In genere la verità è accaparrata e remunerata a fior di bigliettoni dai rotocalchi a grande tiratura. Ma questa della quale io vi parlo è una Verità che non interessa gli uomini. Eppure riguarda ogni uomo da vicino, essendo la Verità dell'intimo suo. Per comprendere questa Verità non occorre l'analogia, in quanto non esula dal vostro modo di pensare. L'analogia è l'ultima parola della ragione e la prima della fede, ed è necessaria alla comprensione di quelle Verità che sono al di sopra dei luoghi comuni del pensiero, delle vostre consuetudini. Ma per comprendere, se stessi bastano: attenzione, buona volontà, sincerità. Dedichiamo un po' del nostro prezioso tempo, armati di

queste qualità, a sollevare quel pudico velo con il quale ognuno nasconde il proprio intimo anche ai suoi stessi occhi, Tanti secoli di vita comprendono innumerevoli azioni: alcune scaturite d'impulso altre determinate da riflessioni. Ogni azione in sé può essere stata compiuta per innumerevoli motivi; erra quindi colui che crede di poter giudicare gli uomini dalle loro azioni; eppure tutti questi innumerevoli atti hanno una radice comune: l'io di ognuno. Ogni uomo esplica una sua attività, ha una sua vita. Noi potremmo scegliere anche fra le numerose vite un individuo qualsiasi, sicuri di trovare anche in lui la spinta che è comune a tutti: l'io. Diverso è solo il campo nel quale l'individuo si muove, ma la spinta ha una identica radice. Tutta la vostra società si muove sull'impulso dell'io. Infatti questo « signor io » ha la cattiva abitudine di volersi espandere; è l'io che trascina l'individuo nella corsa della propria espansione; è l'io Che lavora al progresso per conquistarsi delle posizioni di favore; è ugualmente l'io che si oppone al rinnovamento sociale per non perdere i propri privilegi Il bene e il male si avvicendano a capriccio dell'io. Ecco ciò che ha edificato le meraviglie del mondo o operato lo sterminio degli schiavi. Muove le nazioni, incita a svelare i segreti della natura, a palesare il bello e a nascondere il brutto. t tutta una lotta, un continuo conflitto fra io e io, perché l'individuo fa tutto in funzione di se stesso; lavora per trarre un guadagno che gli permetta di circondarsi di oggetti che, secondo lui, lo valorizzano; ama ciò che gli dà soddisfazione, trova soddisfazione solo in ciò che può assecondare l'espansione del suo io; sopporta sacrifici e rinunzie pur di accrescere se stesso in questa o in altra vita. Nel valorizzare se stesso trova l'entusiasmo per intraprendere e la costanza per continuare. Tutta la vostra società si muove per la spinta dell'io L'io che deve affermarsi è il concetto base della vostra società. Se, per assurda ipotesi, la spinta dell'io cessasse improvvisamente, l'uomo ripiegherebbe su se stesso in una venefica apatia e la società cadrebbe nel piú triste abbandono. Sarebbe dunque un nemico del genere umano chi predicasse il superamento dell'attività dell'io? Proviamo a guardarlo piú da vicino questo « io », grande protagonista e sconosciuto. Guardiamo ove può manifestare la sua attività senza rispetti umani, senza la preoccupazione di salvare la faccia. Ove conta i suoi eserciti per dare battaglia, ove (assecondate le lusinghe dei sensi) volle nascondere la sua debolezza inventando

Satana, ove cerca di convincersi di essere migliore di quanto in effetti non sia. Guardiamolo dove ha il suo regno: nell'intimo dell'uomo. L'ambizione è il nutrimento dell'io ed il suo appetito; la prepotenza vorrebbe essere la dittatura dell'io; la superbia, la presunzione, la vanagloria e simili sono la sua convinzione di essere superiore. L'ira è l'accesa intolleranza dell'io; la paura ne è l'istinto di conservazione; la crudeltà è la sua completa cecità nei riguardi delle altre creature; la gelosia è il suo timore di perdere un affetto di cui vorrebbe avere l'esclusiva; l'invidia è il suo rammarico per non avere ciò che altri hanno; la lusinga è la sua arma per ottenere ciò che non può con altri mezzi; l'ipocrisia è un suo ingannevole travestimento; la menzogna è la sua difesa, e chi piú ne ha piú ne metta. Ma sarà bene non andare oltre in questo triste elenco giacché nulla è piú di cattivo gusto, per l'io, che veder poste in risalto le proprie debolezze. Per dirla in poche parole: se ai vizi inerenti ai sensi (quali la gola, la lussuria, l'alcoolismo e via dicendo) si aggiungono tutte le qualità negative che fanno capo all'io, come quelle ora rammentate, si ha il quadro completo degli errori e delle debolezze umane. L'abbiamo smascherato, questo io! Chi potrebbe avere una peggiore reputazione? Dopo l'esposizione dei fatti, sentita l'accusa, la parola spetta alla difesa e, alla maniera dei vostri avvocati, cerchiamo le attenuanti della colpa. L'io nasce dal senso di separatività che l'individuo prova nei confronti del mondo che lo circonda. Questo sentirsi una entità distinta dal resto non è acquisito o dovuto all'educazione, ma esiste ben spiccato nell'uomo prima che sia assoggettato alle consuetudini sociali. Che l'individuo sia unità è un fatto indiscutibile, che quindi si senta individuo separato, distinto, non può essere dovuto ad un errore. « Allora? », direte voi. Esiste una differenza fra senso di separatività e senso di individualità. Quest'ultimo è suggerito dalla natura all'individuo, in quanto solo avendo consapevolezza della propria individualità si può avere coscienza dei propri doveri, solo sentendosi una unità integrante nel Tutto si può avere coscienza dei propri compiti. Siete individui:

e come può sorgere la vostra coscienza se voi non comprendete? L'individuo è solo di fronte alla Verità. Quando vi diciamo che nessuno può comprendere per voi, vogliamo rafforzare il vostro senso di individualità.

Uno scienziato che scopra la legge che regola un fenomeno, ne ha facilitata la comprensione agli altri: ma per chi non studia le esperienze dello scienziato, il fenomeno rimane misterioso come prima della scoperta. Generalmente si è consci del peso della propria persona quando si hanno dei diritti da accampare, mentre i doveri da adempiere si lascerebbero volentieri agli altri. Ciò è dovuto al senso di separatività, che è un intimo errore di interpretazione del senso di individualità suggerito dalla natura. Quando l'individuo non fa attenzione all'errore nel quale cade, prende corpo l'io, con l'insito bisogno di espandersi: nasce l'egoismo. Si deve invece avere coscienza della propria individualità, per sentire il peso della propria responsabilità ed essere uniti con tutti per non creare il culto di se stessi. Riconducendosi a questa esatta visione del sé nel Tutto, si può porre fine all'io e ai suoi processi di espansione. Concludendo: superare l'attività espansionistica dell'io non significa cessare di operare, cadere in un immobilismo; significa continuare a vivere altruisticamente. Non è quindi un nemico del genere umano chi predica il superamento dell'attività dell'io. Non è né un ambizioso né un cattivo consigliere chi parla unicamente per amore della Verità. Quando Voltaire, con tanta apparente sicurezza, coniava i suoi sarcasmi sulle Sacre Scritture, segretamente temeva in un doppio significato delle mistiche tradizioni. Se qualcuno gli avesse mostrato la logica del senso

nascosto, la sua ragione di « illuminista » ne sarebbe stata appagata e Voltaire sarebbe stato l'uomo più convinto dei suoi tempi. Se invece avesse posto grande attenzione ai processi espansionistici dell'ío, nessun timore di un doppio senso l'avrebbe limitato, e frasi come: « Iddio fece l'uomo a Sua immagine e somiglianza », sarebbero state la chiave con la quale avrebbe dimostrato all'umanità che la fede è solo l'ambizioso sogno dell'uomo d'essere un Dio. Le religioni, e il misticismo in genere, si fondano su tre postulati: l'esistenza di un Ente Supremo, la sopravvivenza dell'anima alla morte del corpo, l'influenza della condotta tenuta nella vita umana sulla vita dopo la morte. Senza pudori e preconcetti, guardiamo in faccia la Realtà. Dio è una invenzione dell'uomo per poter vantare una natura divina; è un illusorio paravento creato dall'io per mascherare la propria ignoranza e l'incapacità di spiegare la vita. E il problema della sopravvivenza? In tempi lontanissimi viveva un principe, abbondantemente beneficato dalla natura per eccellere in ogni arte. Alla morte dei padre divenne re e non vi fu sovrano piú saggio, potente e bello. Ma col passare del tempo, man mano che in lui si ritraeva la linfa vitale, un pensiero angoscioso prese a tormentarlo in modo sempre piú incalzante: « Morirò, la mia grandezza finirà e gli uomini mi dimenticheranno ». Rifletteva e cercava un mezzo per poter sopravvivere in qualche modo. « Costruirò un gran sepolcro che resista ai secoli e che dica, agli uomini di tutte le generazioni, della mia grandezza ». E cosi fece. Ma il pensiero tornò piú incalzante di prima. « Sta bene che gli uomini mi ricordino, ma io morrò, cadrò nel nulla, non esisterò piú ». E stava per perdete la ragione dal terrore, quando la sua fervida fantasia lo salvò. « E' il tuo corpo che invecchia, ma il tuo spirito è sempre vigoroso. Il tuo corpo perirà, ma il tuo spirito resterà in eterno ». Che cos'è l'idea della sopravvivenza? Una menzogna dell'io, un rimedio che l'io inventa per fugare l'incubo della propria morte. Chi può fare a meno di credere, o per lo meno sperare di sopravvivere, o non ama la vita, o è un gran coraggioso, o vive del presente. Guardiamo in faccia la Realtà. Quanti credono solo perché la fede è di conforto alle delusioni della vita! Quando un uomo soffre, la fede in una vita di felicità e di pienezza, oltre la morte, è un consolante rifugio. La sofferenza, anziché denunciare gli errori commessi, è vista come un mezzo di elevazione con il quale Iddio mostra la Sua predilezione per certe creature. Quando l'uomo soffre si volge sempre a qualcuno che valorizzi la sua sofferenza. Dirgli: « Tu hai errato e questa è la conseguenza del tuo errore », significa inasprirlo. Dirgli invece: « La tua sofferenza è voluta da Dio acciocché tu sia grande nel Regno dei Cieli », significa confortare l'individuo, accarezzare la sua ambizione, alimentare il :suo io. Ma credere per essere confortati è espandere il proprio io. Guardate quel pio eremita dalla folta barba, vestito di sacco, battersi il petto, cospargersi di cenere, flagellarsi e piangere amaramente. Convinciamolo che nulla esiste dopo la morte e lo sentiremo imprecare per il tempo perso. Se si spargesse la voce che la salvezza eterna è un sogno dell'io, i conventi, i monasteri e i seminari resterebbero piú disabitati di quanto già non lo siano. Questo è il misticismo fratelli.

Abbiamo già detto che la società incoraggia il culto di se stessi, ma non è la sola; anche la religione insegna a valorizzarsi. E se la società si limita, nel valorizzare l'individuo dopo la sua morte, dando unicamente la possibilità di costruirsi dei bei sepolcri, la religione si spinge assai piú lontano: essa quasi promette una eterna grandezza. Anche la vostra religione non disdegna questo - diciamolo pure -inganno, benché il Cristo non abbia mai insegnato l'amore al prossimo come mezzo per assecondare un piú grande amore: quello di se stessi. Ma la comodità è troppo grande, la tentazione troppo forte; con pochi soldi si può comprare la speranza, se non la promessa, d'essere salvi in eterno. La fede è un mezzo per evadere la Realtà, la fede è un mezzo per far sogni di grandezza. Non mi credete? Eppure è cosí. Volete fondare una religione che faccia presa sugli uomini? Promettete piú di quanto promettono le altre, predicate che chi crede in voi, dopo la morte, non solo sopravviverà in eterno ma diventerà onnipossente. Che cosa importa se ciò non è vero? Gli uomini prima prendono posizione secondo un personale tornaconto, poi cercano di interpretare la vita per dimostrare che sono nel giusto. Ma non abbiate paura, non siamo qua per turbare la vostra mentalità di buoni borghesi. I tre postulati sui quali

si fondano le religioni sono tre Verità. Ma l'uomo li accetta perché bene si adattano agli ambiziosi sogni dell'io. Questo vogliamo significare. Nessuna Verità è mai stata rivelata da Dio all'uomo. Chi crede questo vanta un privilegio in realtà inesistente, e chiunque si àncora ad un privilegio asseconda l'espansione del suo io. Vive nella Realtà solo chi ha dimenticato l'io ed i suoi processi espansionistici. Si può conoscere e credere la Verità, ma se è l'io che l'ha accettata, non si è diversi dagli atei e si vive nell'illusione. Cosí la fede o il misticismo che si fondano sulla ricerca di conforto, o che comunque sono adottati dall'io per la propria espansione, sono illusori. Le religioni sono depositarie della moralità dei popoli, ma la vera morale è inconciliabile con gli interessi

personali. La legge umana vieta e punisce certe azioni, né si potrebbe pretendere di piú, non potrebbe fare il processo alle intenzioni. Ma noi proprio questo dobbiamo fare. « Vi è stato detto: non commettere adulterio; ma io vi dico che chiunque guarda una donna per appetirla ha già

commesso in cuor suo adulterio ». (Vangelo secondo Matteo). L'uomo si conosce dalle intenzioni; se l'intenzione è egoistica, l'individuo è egoista, anche se è intento a compiere un'opera altamente umanitaria. L'espansione dell'io è un processo cosí sottile che l'individuo spesse volte non ha consapevolezza di seguirlo. L'uomo sceglie un campo di azione e lí si applica per soddisfare la propria vanità egoistica. In due direzioni può mirare ad espandersi il suo io: essere grande in terra o in cielo. Insomma, dovunque sia, l'uomo cerca sempre di valorizzare se stesso, con qualunque mezzo, in qualunque momento. Se potesse costruire un mondo, ne sarebbe il sovrano. Il suo io è sempre presente, influisce su lui continuamente, è sempre pronto ad espandersi. Date un minimo di autorità ad un uomo e lo vedrete diventare un piccolo tiranno, inviso agli altri. Ponetelo di fronte ai suoi errori ed egli li considererà tali solo se l'avranno danneggiato in un guadagno. Mettetelo di fronte alla Verità ed egli la riconoscerà solo se sarà a suo vantaggio. Chi è mai tanto sciocco nel mondo, da optare per qualcosa che torni a suo discapito? L'uomo è limitato nella comprensione della Verità dall'incidenza del personale tornaconto; se ad esempio l'astrologia gli fornisse un oroscopo invidiabile, nessuno sarebbe piú di lui convinto dell'attendibilità di questa scienza. Voi stessi che qua siete intervenuti probabilmente avrete interpretato a vostro favore le nostre parole, o sperate nel nostro aiuto, altrimenti non sareste piú tornati. Se qualcuno non condivide quello che voi credete, vi sentite offesi e provate per lui dell'acredine: è il vostro io che soffre. Assomigliate in ciò ai cosiddetti « credenti » che sarebbero capaci di torturare e di uccidere un ateo pur di farlo ricredere. Per loro l'ateo non è una persona: è il dubbio, il nulla, l'offesa. Ma colui che crede realmente convinto, non ha bisogno di essere né ascoltato né approvato. Colui che crede realmente convinto, non teme l'altrui critica. Sentirsi offesi quando la propria fede o le proprie convinzioni non sono condivise, significa averle accettate per un qualche disegno dell'io. Si crede che la fede possa valorizzare e tanta affezione si mette nelle proprie convinzioni! Chi mirasse a distruggere le altrui personali convinzioni sarebbe mal visto come chi cercasse di rubare dei beni materiali. La Verità non ha bisogno di fautori. Uccidersi per la Verità significa negarla, dimostrare di non averla compresa. Le Crociate sarebbero state un oltraggio a Cristo, se Cristo si potesse in qualche modo offendere.

Che cos'è l'offesa? Ferire l'io. Solo chi vive per essere bello allo sguardo altrui o di se stesso può sentirsi offeso; solo chi vive per gli ambiziosi sogni dell'io salvaguarda la propria reputazione e teme di perderla. La Verità è quella che è ed il vociferare degli uomini non ha certo il potere di mutarla. Si è talmente impregnati di io che non v'è manifestazione che ne sia scevra: se da due polemizzanti vi farete raccontare quello che si sono detti, ciascuno di loro vi riferirà di se stesso le frasi di maggiore effetto, per dimostrare che ha avuto la meglio. L'io è abituato ad esaminare tutto ciò con cui viene in contatto e a scartarlo se non presenta un interesse egoistico, Tutto ciò che l'individuo fa senza approvazione del suo io, costa enorme fatica. L'io è un incentivo prodigioso. Chi è che fa vincere una gara? L l'imperioso « voglio » dell'io. E' l'antagonismo creato dall'io che ha spinto negli spazi siderali un involucro metallico e lo ha trasformato in un minuscolo pianeta. Se non fosse l'io che con la scienza si abbellisce, chi vorrebbe faticare nelle ricerche e in queste spendere tutta la vita? Attenti però a non fare come gli alchimisti, a non sognare con un anticipo di qualche secolo. Ogni individuo, nella società, ha delle aspirazioni; e ogni aspirazione è mossa dall'io. V'è chi aspira a guadagnare, chi a far carriera e via dicendo: ognuno lotta faticosamente per essere considerato « un arrivato ». Ma dove arrivato? A possedere oggetti che brillano, come pietruzze colorate per selvaggi. Ad essere ricoperti di gloria e nudi di virtú. A fare ribrezzo a se stessi per gli inganni, gli intrighi, la disonestà, pur di destare ammirazione negli altri. Illusione! Un tal valore non può appartenere, perisce con la carne. Quando l'io si spinge troppo avanti nell'ambizioso sogno di conquista, illude doppiamente l'individuo, ed ecco i falliti, i relitti della società. Ma non crediate che abbiano dimenticato l'io: si sentono vittime dell'avversa fortuna e pure per loro c'è ancora una speranza: dedicarsi alla carriera spirituale. Le nostre parole vi demoralizzano, perché ancora siete mossi dall'io. Il vostro io vorrebbe conoscere la via per il miglioramento e continuare cosí nell'espansione. Ma ogni cammino che l'io prenda in esame per poter dire « sono nel vero », è vicolo cieco. La Realtà è irraggiungibile dall'io. L'io è separatività, la Realtà è comunione. <![endif]> Le nostre parole non hanno il potere di cancellare l'insistenza dell'io; ascoltandole suscitano l'interrogativo: « Che cosa debbo fare? ». « Niente », è la risposta. « Conosci te stesso », dice Claudio . Abituarsi a riconoscere la lunga mano dell'io, deporre l'intenzione di accrescersi. Può darsi che un giorno, pur restando attivo l'individuo, si abbia una passività dell'io. Quel giorno cesseranno le lotte ed i conflitti: la fede non sarà piú un sogno, ma la Realtà dell'individuo, la Verità del Tutto.

KEMPIS

Vi è stato detto che quando l'individuo non trova in una concezione di vita ciò che possa appagarlo durevolmente, si volge alla concezione opposta. Avete udito che l'io - che è frutto di una limitazione - non può comprendere ciò che è illimitato. L'io non può raggiungere la Realtà. Siete convinti che la Realtà possa porre termine al vostro dolore; per questo vorreste raggiungerla, e sentendo che l'io è di impedimento vorreste metterlo da parte ed agire secondo il « non io ». Ma tutto ciò è una illusione: il « non-io » è ugualmente un divenire, e non un essere. Che cosa importa se l'individuo, anziché essere impegnato nell'arrivismo, cede il passo e conserva l'intenzione segreta di accrescersi in qualche modo? Il « non-io » è cosa voluta e non sentita. E « non-io » è una condotta tenuta con uno scopo, e non uno spontaneo essere passivi a qualsiasi immediato e remoto fine egoistico. Vi sono tanti che credono, ritirandosi dal mondo, di poter ottenere la sublimazione di loro stessi. Ciò è illusorio. I conventi ed i monasteri non sono fuori dal dominio dell'io. Ogni sforzo che l'individuo compie in senso positivo o negativo per accrescersi, è in antitesi con la Realtà. Occorre andare oltre l'apparenza e scoprire

l'intenzione. L'io può concepire un programma alla propria espansione che apparentemente può essere in contrasto con la comune ambizione, e tuttavia svolgerlo con l'intento di accrescersi. Questo programma può chiamarsi rinuncia a Satana e alle sue lusinghe, romitaggio, apostolato, cristianesimo o brahmanesimo, antroposofia o teosofia, e

servire ad apportare ordine nella società, a migliorare le relazioni individuali, ma essere incapace di estirpare l'egoismo dell'individuo. Le leggi umane, gli usi e le consuetudini stabiliscono l'ordine della società; un tale ordine ha bisogno di tutori. Le religioni mirano a fare dell'individuo un tutore di se stesso; e ciò è lodevole; ma non è quello che intendiamo noi. Noi parliamo di un ordine sentito, di una coscienza formata, per i quali i tutori sono superflui. Ogni organizzazione ha una gerarchia, essendo la gerarchia la forza stessa della organizzazione. Ma la gerarchia attizza ed alimenta l'espansione dell'io. Dovete invece liberarvi dall'io. Quando avrete raggiunto una tale liberazione, sarete aperti alla Realtà, comprenderete la bellezza del Tutto. Quando avrete raggiunto una tale liberazione, non avrete piú paura. Sereni sarete, di una serenità che non conosce incertezze di fronte ai mutamenti della vita, perché non sarete piú assillati dall'esaminare i vantaggi e gli svantaggi dell'io. Darete per quello che avrete avuto e per quello che non avrete avute: ma soprattutto senza intenzione né scopo alcuno, e la fede corrisponderà veramente alla espressione piú alta della coscienza individuale, nell'atto di essere coscienza cosmica.

CLAUDIO Questa sera siete tornati a parlare dell'io E poche cose possiamo e dobbiamo aggiungere a quelle che Kempis vi ha detto. Egli ha sottolineato la parte predominante dell'io in tutte le azioni, i pensieri, i desideri dell'uomo. Dobbiamo dire che egli ha parlato in tono generale; ma ogni creatura è diversa dall'altra ed ogni creatura è ad uno stadio

di evoluzione diverso da un'altra creatura. Tranne che in creature poco evolute, nelle altre piú evolute vi sono azioni che non sono mosse dall'io. Ma a voi questo non deve interessare; voi non dovete ricercare quali sono le azioni che avete fatto spinti da uno spirito altruistico, perché cosí facendo alimentereste il vostro io. Voi dovete studiare voi stessi, ricercare che cosa è che vi spinge ad agire, vedere fino a che segno l'io muove la vostra mano. Voi avete detto che certe azioni fatte come istintivamente, non sono mosse dall'io. In alcuni casi sí, altre volte è proprio vero il contrario. Ad esempio: creature che si impongono una vita altruistica, che dedicano la loro vita ad una missione, come dicono loro a « salvare le anime », possono tradirsi con una minima azione: non so, percuotere una bestia, od ucciderla. E questa azione possono compierla istintivamente. Quindi non è esatto dire che tutte le azioni che l'uomo compie come mosso dall'istinto non siano dettate dall'io; a volte è proprio vero il contrario. Anzi, proprio le azioni non ragionate, non pensate, non frutto di una riflessione, ma venute cosi d'impulso, possono invece dimostrare che l'io muove quelle creature. « E quindi? », direte voi. E quindi ripeto che voi dovete studiare voi stessi, conoscere voi stessi, come ben chiaramente dice e ha sempre detto Claudio, e constatare fino a che punto l'io vi spinge ad agire. Questo continuo riflettere, questo continuo riconoscere l'io, i vostri limiti, porterà ad una liberazione, ma unicamente per essere consapevoli di voi stessi. Voi dite che questo è difficile. Piú che difficile dovremmo dire « inconsueto », « nuovo », perché forse pochi, prima di voi, hanno pensato a questo genere di meditazione. Come è stato detto altre volte, voi siete abituati a fare qualcosa in vista di un fine. Invece questa volta si tratta di fare qualcosa senza pensare al fine. E' difficile perché inconsueto, ma quando voi avrete preso quella dimestichezza, quando avrete provato, allora vedrete che non sarà difficile e che sarà invece molto costruttivo per voi. Qualcuno di voi ha delle domande? Domanda - Vorrei sapere se un'azione che dà una gioia intima può essere espressione dell'io, oppure no. Risposta - Bisogna come sempre distinguere. E cioè questo può dirlo solo colui che è estremamente sincero con se stesso. Perché una stessa azione può essere compiuta con diversissimi scopi da diverse creature. Ad esempio: a volte vi sono delle creature le quali provano gioia a mettere in ordine le loro cose, e provano un senso di intima soddisfazione quando hanno riordinato tutti gli oggetti di loro proprietà. Questo apparentemente non sembrerebbe avere origine dall'io, ma in taluni casi sí. In taluni casi è vero invece che ciò corrisponde ad un bisogno della creatura in quanto la creatura, cosí facendo, dimostra a se stessa di essere ordinata. E questo può essere un'ambizione dell'io. Ma bisognerebbe, ripeto, anzi bisogna che ciascuno

sappia da sé, arrivi a comprendere da sé; perché noi, parlando cosí per caso, faremmo una regola generale, cosa assolutamente inesatta. Domanda - Non potresti darci un esempio di una azione fatta senza espansione? Risposta - Un esempio di una azione fatta senza espansione è facilissimo a farsi; però è una lama a doppio taglio perché gli esempi - ripeto - in questo campo non contano e non dimostrano niente. Può essere un'azione non egoistica il salvare la vita ad una creatura, come invece può essere un'azione completamente egoistica. In genere voi siete abituati a considerare degli altruisti coloro che, nel campo di battaglia, si gettano di fronte ai compagni per salvare loro la vita. Eppure, in certi casi, non sono azioni mosse da un istinto o da un impulso altruistico. Può darsi che, in quell'attimo, il soldato mosso dalla tensione nervosa, pensi di salvare la vita al compagno per essere un eroe, E quindi non serve fare degli esempi in questa ricerca. Ciascuno ripeto, deve guardare l'intimo suo e lí cercare la risposta. Per questo diciamo: « Conosci te stesso », E per questo diciamo che non c'è un mezzo per conoscere se stessi che possa essere insegnato. Io non posso insegnarvi il metodo di conoscere voi stessi, perché ciò che è stato utile a me in questa scoperta, a voi può essere di nessuna utilità. Domanda - Vi è mai stato un essere illuminato, un Maestro (scusa la sciocchezza), lo stesso Cristo, che in una frazione di secondo della Sua vita sia stato dominato dall'io? Risposta - Colui che veramente corrisponde alla vostra definizione di Maestro non conosce piú l'io; per Lui è cosa trascesa, superata; e quindi neanche in quelle azioni che sembrano dettate dall'istinto, o che vengono d'impulso, può esservi una minima cosa che possa essere attribuita a quello che noi chiamiamo io. Se veramente è Maestro. Domanda – E’, la nostra mente che cataloga certe azioni che possono essere suggerite dall'io oppure no ... ? Risposta - Appunto. Ripeto è necessario che ciascuno sia sincero con se stesso e cerchi nell'intimo suo la risposta. lo non potrò mai sapere se un'azione che tu fai sia, o non sia, dettata dall'io. Domanda - Ma, per esempio, il « dubbio maligno dell'illuminato » di cui parlava Kempis... lo posso trovare in questo dubbio, ammesso che riesca a trovarlo, una spinta dell'io... Risposta - Colui che ha trasceso l'io, non ritrova piú l'io. Questo è sicuro, questo possiamo dirlo con sicurezza. Il suo dubbio può essere di altra natura, non è detto che sia sempre l'io. Il suo dubbio, per esempio, può essere: se aiutare una creatura in un modo piuttosto che in un altro... Domanda - Insomma mi sembra che vi siano piú tipi, piú sfumature di egoismo, di io. Risposta - Certamente, come prima ho detto. Non solo, ma una azione commessa da te può avere uno scopo, e la stessa azione commessa da un'altra creatura un altro scopo. Domanda - Quindi si dovrebbe dedurre che non si può parlare dell'io in generale, ma di noi stessi e basta. Risposta - -esattamente quello che prima ho detto. Domanda - Abbiamo parlato di altruismo come impulso, quindi come un bisogno. Un bisogno di chi? Dell'ío? Risposta - No, non è un « bisogno » veramente. Ripeto, cosí parlando in generale, una azione che in genere si definisce altruistica può anche essere invece egoistica... Domanda - Scusa, se fosse altruistica, però, non sarebbe frutto dell'espansione dell'io... Risposta - Non sarebbe frutto dell'espansione, esattamente. Ma bisogna che sia veramente altruistica. Noi vediamo una creatura la quale soccorre un'altra creatura e diciamo: « Questa creatura è spinta dall'amore al prossimo, quindi dall'altruismo », Cosí pare, cosí sembra, ma la verità la conosce solo quella creatura che agisce. E l'altruismo non è un « bisogno »: è una cosa « connaturale ». Cosí come, in genere, l'uomo agisce egoisticamente, quando avrà trasceso l'egoismo agirà altruisticamente. In modo semplice e naturale; di getto, si potrebbe dire. Domanda - Si può verificare il caso che l'egoismo sia... fattivo per una creatura? L'io, diciamo...

Risposta - La spinta dell'io, come ha detto Kempis, è quella che ha costruito il vostro mondo, e quindi in un certo senso è fattiva. Era necessaria fino a un certo tempo della vostra evoluzione. Adesso l'uomo deve sostituire, alla spinta dell'io, la spinta dell'amore per i suoi simili e rimanere egualmente attivo. Questo è quello che voleva significare Kempis. Voi dovete continuare ad agire conoscendo voi stessi e quindi sostituendo alla spinta dell'io la spinta dell'amore al -prossimo, il lavoro per il lavoro, come avete detto giustamente.

DALI Avete mai meditato sulle vostre aspirazioni segrete inconsce? Questa meditazione vi porterà a determinare che agite conformemente ad esse. Nelle vostre azioni è sempre presente l'io che contamina la bellezza delle manifestazioni affettive rendendovi egoisti, che accende l'arrivismo e l'ambizione della vostra attività rendendovi crudeli. Colui che dice di amare esige d'essere riamato, ma l'amore è donazione e non esigenza. L'operaio mira a divenire capo officina, poi, divenuto tale, direttore, adoperando ogni mezzo. Tutto ciò è frutto dell'io, il quale tende ad espandersi per avere soddisfazione. Dovete superare questo sottile e complesso problema. Senza tale superamento lo spiritualismo non ha valore. Potete essere. sacerdoti, ma se non avete trasceso l'espansione dell'io umano, lo farete unicamente per divenire vescovo o per guadagnarvi un premio eterno. L stato detto: « L'io può scegliere uno scopo nobile ed utilizzarlo come mezzo della propria espansione ». Potete imporvi la missione di migliorare gli uomini, ma se provaste pena quando la vostra missione non fosse coronata da successo, agireste unicamente per divenire celebri, cioè per assecondare la complessa e sottile attività dell'io. Voi l'avete accettata, avete ridotto lo scopo della vita a questa egoistica attività, credete di dovere emergere, primeggiare in questo e in quel campo. Se non riuscirete a conquistarvi una condizione sociale individuale, vi chiamerete fallito della vita e vi conforterete in un ideale spirituale. L'uomo per proteggere e valorizzare l'attività del proprio io, ha creato le divisioni sociali e religiose che tutti conoscete. Ma tali divisioni, essendo causa di gelosia e lotta, hanno sempre creato confusione e miseria nel mondo. L'impiegato ha sempre sperato d'essere un giorno direttore, il soldato ha sempre ambito a divenire generale, il prete vescovo; colui che non sa ha sempre imitato colui che sa e se un giorno tutti questi sogni si sono avverati, i nuovi vittoriosi hanno sempre disprezzato coloro che stavano in basso ed hanno sempre mostrato orgoglio di sé. Non può essere saggio colui che pensa al proprio simile assegnandogli una posizione nella suddivisione artificiosa della società umana. Dovete distruggere tutti questi limiti che avete creato. Dovete essere completamente soli e semplici e liberi, perché la coscienza sorge nella libertà, perché la Realtà si manifesta quando non siete piú impegnati nell'attività dell'io. Potete con la violenza distruggere ogni suddivisione sociale ma, se non sarà piú palese, tuttavia sussisterà sempre. La divisione sociale non è che un effetto esteriore dell'espansione dell'io. Se veramente volete abolire ogni divisione, dovete operare alla radice del problema, cioè nell'intimo di ogni uomo. Dovete cioè operare una trasformazione dell'esser vostro, che non sia risultato di violenza, ma di comprensione dell'io. Solo mediante questa comprensione cesseranno la gelosia e la lotta nel mondo, causa di dolore e miseria. Il processo di espansione dell'io, che spinge l'individuo all'azione, al tempo stesso lo limita. Per questa attività l'individuo si illude prima e resta deluso poi, trova un'effimera gioia seguita da un piú lungo dolore. Una grande forza prorompe da questo io, ma è una forza che trascina l'individuo nel dolore, se egli non si sottrae ad essa. Superare l'attività espansionistica dell'io significa morire a se stessi, lavorare per amore al lavoro, svelare i segreti della natura per il bene delle creature e non per accrescere se stessi. Significa cessare di illudersi, cancellare il dolore dalla faccia della Terra, vivere, muoversi liberamente per la bellezza di una causa in sé e per sé, senza il miraggio di un guadagno personale. Significa considerare la vita da un punto di vista completamente diverso da quello secondo il quale gli uomini vivono, agiscono, e pur tuttavia continuare ad agire, a progredire.

Significa essere tanto forti ed amare tanto la vita da vivere anche senza l'incentivo dell'io.

Questa nuova concezione, pura, scevra da qualunque egoismo, non può essere accettata, o sostituirsi a quella consueta, con la stessa facilità con la quale si può imparare ad esprimersi in un'altra lingua. Esiste un conflitto nell'individuo; tale conflitto è sottile e complesso; la sua impostazione può variare da individuo a individuo; a volte è il sentire che non è consono al pensiero; altre volte, l'azione è agli antipodi del desiderio, e cosí via. In poche parole, il conflitto sussiste quando tutti questi sono atteggiamenti dell'essere.

Comunque sia, il conflitto indica che l'individuo è intento ad accrescere se stesso. Morire a se stessi, o superare l'attività espansionistica dell'io, non vuol dire cambiare un atteggiamento, ma tutto il proprio essere; significa vivere senza opporre alcuna resistenza al fluire in noi dell'Unica Vita. Ed ecco che a queste parole sorge in voi istintiva la richiesta della formula per ottenere ciò. Quando siete nel dormiveglia vi appariscono delle fuggevoli immagini; nel momento che di proposito volete osservarle attentamente, queste scompaiono e vi destate. Cosí è della Realtà, Quando la si vuol perseguire con uno scopo, diventa irraggiungibile. Ciò nondimeno, se l'individuo non pone attenzione all'attività espansionistica del suo io, continua a soffrire. Bisogna che si renda consapevole di ciò che lo muove per poter sostituire, alla spinta dell'io, la fede o l'intima convinzione nella comunione di tutto il Creato. Ma come far comprendere agli uomini di fare qualcosa per niente? L'umanità vive in termini di scambio, sempre supposto vantaggioso. Si dà per ricevere, si fa per avere. Questa nuova concezione di vita non può essere accettata, e chi l'accetta lo fa perché segretamente pensa di poter cessare di illudersi; ma accettandola per questo, continua nell'illusione, l'egoismo continua e preclude la via all'auto-liberazione. Eppure tutti gli uomini ammirano chi ha compiuto azioni che si credono ispirate dall'altruismo; esprimono la loro approvazione a chi credono abbia dimenticato se stesso per il bene di un fratello. In questa approvazione è racchiuso il flebile consenso della coscienza, la segreta certezza che quello è quanto tutti debbono fare. L'intima approvazione all'altrui olocausto è un rimedio che la natura suggerisce alla crudeltà che la società insegna. Ma prima che gli altri, noi dobbiamo imparare a vivere senza secondare l'espansione dell'io. Rendiamoci dunque consapevoli che quanto piú si asseconda l'io, tanto piú crudeli si diventa; che il continuo assillo dell'io ci toglie tanta libertà e pace. Avviciniamoci a questo ideale di vita, liberando il sentimento dall'egoismo che lo soffoca, imperciocché quanto piú imperiosa è la voce dell'io, tanto piú impercettibile è il sentimento, quel sentimento che è il primo segno di amore al prossimo. Volgendo la nostra attenzione al mondo nel quale viviamo, osserviamo che tutte quelle cose delle quali amiamo circondarci sono state create, prima ancora che dalla mano, dalla mente dell'uomo. Cosí dagli oggetti di uso piú generale, comune, antico, a quelli nati dagli ultimi progressi, è la mente umana in costante lavoro, in continuo movimento. Gli oggetti che a voi danno comodità, ad altri hanno dato guadagno, per altri ancora sono stati invece fonte di successo, di notorietà. In sostanza la mente-desiderio si serve degli oggetti, li plasma o se ne impossessa per una sottile e complessa attività. Tale attività, benché come ho detto prima abbia molti aspetti, in ultima analisi ha solo un nome: espansione, valorizzazione dell'io. Questo processo di espansione è un tarlo che risiede nell'intimo di ogni uomo e si manifesta in ogni campo ove l'uomo esplichi la propria attività. Esso è la causa prima di ogni dolore, di ogni conflitto, di ogni amarezza che turbano sia l'uomo che l'umanità tutta. Tale processo toglie all'individuo ogni pace, ogni silenzio interiore, privandolo cosí della sperimentazione del Reale. Sovente l'accompagna per tutta la vita, da quando desidera un lavoro per vivere a quando, avutolo, comincia a cercare il decoro per se stesso e per la propria famiglia; da quando ama circondarsi di comodità e quindi di eleganza, a quando lotta per la propria posizione, a quando prega per assicurarsi in un futuro incognito alcune condizioni favorevoli: è sempre l'attività espansionistica dell'io la causa motrice. Il conflitto conseguente a tale processo e privante la sperimentazione del Reale, esiste indipendentemente dal realizzarsi o meno delle predette aspirazioni. Infatti, anche quando l'uomo ha raggiunto una certa posizione di privilegio, qualora fosse di suo gradimento, e non lo è mai, inizierebbe subito la paura per lui di perderla, la preoccupazione di mantenerla. Ciò vale per gli oggetti, per le persone, per gli affetti vostri. L'io, dunque, è il centro del microcosmo attorno al quale gravitano delusioni, amarezze, conflitti, affanni. Se volete far cessare tanta confusione e lotta in voi, dovete risalire alla radice, all'io: comprendere voi stessi. La mente è strumento dell'io; essa è il risultato del passato; quanto piú la mente rimane legata al passato, tanto piú insufficiente è a comprendere il presente. Essa mente dalle esperienze di ieri ha spremuto l'insegnamento, l'essenza trasformatrice, ma non deve mantenere in vita le larve di un mondo ormai trascorso; essa accumula

ricordi, immagini di cose morte, fra cui l'uomo si muove come un fantasma. La mente è mezzo per appagare l'avidità dell'io; essa funziona, direttamente o indirettamente, in modo subordinato all'io ed ha dei limiti: i limiti dell'io. Comprendere i propri limiti significa superarli, significa conoscere se stessi. Ma se voi desiderate mutarvi ed attendere i risultati di questa intima trasformazione, voi non avete compreso; avete solo variato il processo, il piano di espansione dell'io. Comprendere se stessi significa comprendere i propri limiti, significa rendersi ampiamente consapevoli del proprio egoismo, senza sforzarsi per non voler piú apparire egoisti. Se la vita per voi significa delusione, conflitto, lotta, terrore e solitudine, se la fede apporta. solo conforto e non liberazione, ricercate in voi stessi i motivi, rendetevi consapevoli. La ragione, la causa ha un solo nome: espansione, valorizzazione dell'io. Per comprendere e superare tale processo non occorre sforzo alcuno. Immaginate di scrivere in un diario i vostri pensieri, riflettenti le vostre opinioni su vari argomenti; rileggendo a d;.stanza di tempo, troverete che le vostre opinioni sono mutate o che riuscite a vedere altri aspetti di ogni problema o che li vedete da un altro punto di vista. Un successivo esame porterebbe a nuove modifiche e cosí via. Tale correzione, tale rivedere-correggere avverrebbero senza sforzo alcuno, senza che l'individuo faccia un atto di coercizione, bensí spontaneamente, quale indice di una nuova posizione acquisita. Allo stesso modo, rendendosi consapevoli dei propri limiti si può vivere al di fuori di essi, si può sperimentare ciò che è illimitato. Ma attenti, attenti, perché è facile fraintendere, è facile credere di aver compreso; l'io ha una sua attività espansionistica molto sottile: non si tratta di nuovo pensare, desiderare o agire solamente: si tratta di un nuovo sentire. Cosí come la natura perpetua se stessa in nuove forme (poiché il compito suo è quello di evolvere la forma e non la sostanza), voi, che siete questa sostanza, eguagliate la natura identificandovi in un nuovo sentire. Stimolato dalle sue sofferenze, l'uomo ne ricerca la causa, prima fuori di sé, attribuendole alla collera di qualche deità; poi, quando si è convinto di come una simile spiegazione sia puerile, scavando nell'intimo suo. Crede allora che la sua infelicità dipenda dal non possedere abbastanza, dal non essere abbastanza amato o stimato, dal non poter soddisfare tutti i suoi desideri; lo si vede perciò affannarsi a ricercare ciò che può dargli una tale possibilità: per esempio il denaro o addirittura un agente magico. 1 fattori che concorrono a conchiudere questa fase dell'esistenza umana, sono tanto la saturazione - cioè constatare con l'esperienza che la felicità non dipende dall'appagamento dei propri desideri - quanto la privazione a cui finisce per seguire una sorta di abbandono, di rassegnazione nella quale l'uomo scopre che, pur non importandogli piú di possedere ciò che desiderava. ugualmente non è felice. Nella fase dell'esistenza che l'attende, l'uomo sposta la ricerca delle cause per cui non si sente realizzato e felice, ancora piú profondamente nell'intimo suo, convincendosi in modo errato che la felicità possa nascere e sussistere solo nell'assenza di desiderio, di qualunque stimolo, il quale immancabilmente turba Ia quiete dell'intimo suo come i venti la superficie di un immobile specchio d'acqua. Egli cerca allora di dominarsi, di reprimere i propri istinti, di diventare padrone di se stesso. Come abbiamo detto tante volte, una simile auto-disciplina è encomiabile quando ha l'intento di migliorare i rapporti fra gli uomini, l'esistenza dei quali rapporti rende necessarie le leggi sociali e ne giustifica l'imperio, anche se non fino al punto di farlo diventare piú importante dell'uomo, tale imperio, come invece talvolta accade nell'esercizio della giustizia umana. Purtroppo, l'auto-disciplina che l'uomo si impone in questa fase della sua esistenza non ha l'intenzione altruistica di migliorare i rapporti umani, ma l'intento egoistico di raggiungere un ideale di superuomo, intangibile dalla corruzione dei sensi e perciò felice, pago della sua superiorità. Alcune discipline a carattere mistico o filosofico incentivano una tale sublimazione dell'io umano: secondo certe concezioni - o l'interpretazione che ne danno gli uomini - lo stato di pienezza e di realizzazione è raggiungibile rendendosi insensibili al piacere e al dolore, sia fisici che morali, ossia stornando l'effetto senza rimuovere la causa. Si riconosce dunque che la ragione di tutte le sofferenze è l'io egoistico ed umano, ma non si cerca di superarlo, anzi lo si vuole sublimare rendendolo divino. Ciò che si mira a raggiungere è disinteressare l'io dalle meschinità della Terra per interessarlo alle sublimità del Cielo. Una tale concezione è facilmente accettabile da parte dell'uomo, o verso di essa facilmente l'uomo propende, perché è lusinghiera per l'io umano: prospetta il raggiungimento di una posizione di preminenza. Per una tale prospettiva l'uomo è capace di compiere grandi sacrifici: rinunzia spontaneamente a ciò che gli altri cercano e bramano, ma la ragione che lo spinge a tale rinuncia è la stessa che spinge altri ad accumulare. Nell'uno e nell'altro atteggiamento, ciò che si mira a raggiungere è affermare il proprio io in questo o nell'altro mondo.

L'io è estremamente prezioso per l'uomo, nulla spaventa l'umano piú del Pensiero che il suo io possa annullarsi, perché ciò gli suona come un annullamento del suo essere. Noi invece affermiamo che l'« essere » - la cui coscienza va ben oltre la momentanea consapevolezza dell'uomo - trascende l'io; perciò l'io - più che la personalità cosciente dovrebbe definirsi la personalità auto--consapevole, abbracciando la coscienza l'intera estensione dell'« essere », conscio ed inconscio. Per noi, « coscienza » è evoluzione raggiunta. Una tale personalità è assai piú composita di quello che la Psicologia presume: è qualcosa di posticcio rispetto all'« essere », è una sussistenza virtuale, un'immagine caleidoscopica, è la risultante della presenza di piú fattori che tuttavia non sono componenti strutturali dell'« essere » ma sue errate deduzioni, errate deduzioni della mente umana. L'identificazione che l'uomo fa di se stesso con il proprio momentaneo e contingente nucleo auto-consapevole, l'istintivo riguardare in termini di separazione ciò che non ricade sensibilmente in tale consapevolezza, dall'uomo ritenuto non sé per un errore di interpretazione della Realtà, creano l'io in senso spaziale. L' io in senso temporale nasce dalla memoria. Il ricordo, anche se incompleto, di avvenimenti passati crea l'idea della continuità dell'io nel tempo ed è all'origine della speranza o della fede che continuerà oltre la morte. Se la natura limitata della consapevolezza e la possibilità di ritenere la dinamica degli avvenimenti creano l'io, il pensiero precipuo, le personali propensioni, il proprio punto di vista, l'indole rappresentano la personalità, ossia la caratterizzazione dell'io, la colorazione della concezione dualistica di base. Ma come la consapevolezza d'esistere non viene meno col mutare -anche se radicale - della personalità, o con la perdita - anche se totale - della memoria, cosí non viene meno allorché vengono superati tutti i fattori che creano l'io, perché l'io non è un supporto essenziale all'esistenza dell'essere, ma solo una errata interpretazione, una « limitazione » dell'essere. L'esistenza dell'io non è necessariamente l'esistenza dell'essere. La consapevolezza d'esistere non è conseguenza di una realtà necessariamente strutturata in soggetti ed oggetti, mentre lo è l'io. Chi ha una tale concezione della realtà, identifica il proprio essere nel e col proprio io ed ha un eccessivo amore di sé. Non è quindi un errore usare il termine io come sinonimo di egoismo, dal momento che il soverchio amore di sé è una caratteristica di chi ha una tale concezione dualistica della realtà. Quando parliamo dì superamento dell'io, intendiamo superamento della concezione della realtà come strutturata in soggetti ed oggetti. Intendiamo rendersi consapevoli delle proprie reali intenzioni, delle ragioni che determinano i propri atteggiamenti. Intendiamo « conoscenza di sé » che non significa conoscenza teorica di com'è strutturato il proprio essere, ma significa conoscere quelli che sono i veri pensieri, i veri desideri, i reali sentimenti. Significa smascherare l'io e quindi superarlo senza che per questo venga meno la consapevolezza d'esistere. Sarebbe un errore credere che la consapevolezza d'esistere fosse un prodotto della realtà necessariamente strutturata in soggetti ed oggetti. La Coscienza Assoluta - DIO - non è un io, non è un soggetto; e non potrebbe esserlo dal momento che in tale « stato d'essere » null'altro esiste se non DIO. In una simile Realtà, è assurdo il concetto di mio o di parte di me, come lo è il non-io, il non-me, il non parte di me. Dio non è auto-conoscenza o auto-consapevolezza assoluta; il concetto di auto-consapevolezza è proprio del mondo della limitazione. Può darsi che tutto questo risulti piuttosto confuso, ma può anche darsi che le vostre idee sull'io, sulla Realtà e sull'essere non corrispondano a ciò che E', e dì ciò che E' noi vi parliamo. Se invece le nostre parole vi convincono, allora vi proponete di superare l'io, ricadendo automaticamente nella concezione di un io illimitato. Ma è una contraddizione in termini: l'io è prodotto della limitazione. Come non si può affermare dì avere superato l'io essendosi resi insensibili al piacere e al dolore; come non si può affermare di essersi resi forti ad ogni istinto, ad ogni tentazione, allorché si è fuori dal pericolo di essere tentati; di avere raggiunto il dominio di sé nell'assenza di limitazione, di avere rimosso la causa avendo stornato l'effetto; cosí l'io non cessa di esistere finché v'è distinzione fra soggetto ed oggetto, finché l'uomo non si identifica anche con il suo mondo, finché non comprende che l'essere è ben oltre la momentanea auto-consapevolezza, è oltre ogni limitazione, oltre ogni separazione.

CLAUDIO

2. Conosci te stesso In tutti i tempi si è fatto un gran parlare di storie di fantasmi, suscitando irrazionalmente incredulità o paura. Ma i veri fantasmi che si debbono temere non son quelli che frequentano antichi manieri, plaghe solitarie o salotti di spiritisti. Son quelli che nascono e dimorano nella mente degli uomini. Son quelli che torturano i mistici; che tentano i casti; che, alimentati dalla gelosia, ammorbano le unioni piú felici. Cavalcando il dubbio disperdono gli slanci della fede; minando la fiducia di sé affossano nella mediocrità l'uomo piú dotato. Assalgono con l'incertezza, paralizzano con l'esitazione, partoriscono l'ambiguità e l'ombrosità, fanno regnare l'indeterminatezza e la perplessità. Sanno qual è il lato debole di ognuno e da li si insinuano: rodono, corrodono, svaniscono e ritornano. Evocando la paura son piú forti degli uomini forti; fanno di chi si lascia dominare un burattino, lo manovrano a capriccio e, alla fine, lo lasciano senz'anima in un mare di guai. Subdoli e velenosi, portano la palma dei mali consiglieri; son peggiori dei vampiri perché ti tolgono la felicità, ti distraggono dalla vita concreta con inutili, vuote, formali, assurde convenzioni. Allora, il sogno diventa più importante della realtà. La legge dell'uomo è l'aria fritta dei fatti concreti. Il dolore che i fantasmi della mente posson provocare e di piú e piú grande della sofferenza fisica. Ebbene, non vi pare sia giunto il momento, anziché di subirli, di imparare a esorcizzarli, scoprendo come nascono e perché vi posseggono? Esorcizzare i fantasmi creati dalla mente è una tappa che ogni uomo, volente o nolente, deve toccare e che nessuno può conquistare per lui, al posto suo. Perciò, coraggio, decidetevi, e se lo farete queste sono preziose e adatte indicazioni. Se invece non vi sembra essenziale, noi restiamo qui ad attendere che la vita con le sue esperienze vi convinca e qui vi riconduca, certi che non mancherete all'appuntamento. KEMPIS Altre volte abbiamo analizzato assieme i processi dell'io. Abbiamo visto come l'io riesca a celarsi dietro a sentimenti nobili quali, ad esempio, l'altruismo; come un modo di vita ligio alla morale sia tenuto unicamente per imporre il proprio io di fronte alla condotta altrui, per riceverne lode; in parole povere, come si faccia del bene unicamente per farsi lodare. Dovreste aver fatto caso, specie in questo tempo, come ciascuno si muova, lavori, fatichi unicamente per ambizione, per se stesso; si può dire che ciascuno si dedichi al culto dell'io. La causa di tutto questo è nell'individuo stesso, è insita nella radice dell'uomo. Vi abbiamo anche insegnato che non esistono schemi di pensieri, o sistemi che possono modificare tale natura; ma che solo l'esperienza, nel senso di ciò che insegna e fa evolvere, può modificare radicalmente tale natura. Non essendoci dunque un sistema, come l'individuo addiviene a questa liberazione dai processi dell'io? Attraverso l'auto-conoscenza. Solo nell'ampia conoscenza di se stesso l'individuo raggiunge prima una chiarezza interiore, che svela a se stesso la vera natura dell'essere suo (tutti i processi egoistici), quindi l'individuo supera tutto ciò. Il segreto della vita, la Verità ultima, la Realtà che i Maestri hanno cercato di rendere comprensibile all'uomo al fine di evolverlo, sta vicino a lui. C'è qualcosa dunque che vi impedisce di vedere, di comprendere. I Maestri, gli Istruttori, Noi stessi possiamo indicarvi la via o svelarvi la Verità ultima, ma la liberazione dell'essere vostro dal mondo irreale nel quale vive è compito vostro. Nell'intimo dell'individuo è la sorgente di ogni conoscenza, è la realtà della vita. Tutto è a disposizione dell'individuo ma niente può portare all'intimo suo, che questo intimo non assimili. Nel disconoscervi sta l'errore iniziale nel quale si è impossibilitati alla comprensione, alla liberazione dell'essere vostro dal mondo irreale. Senza la comprensione di se stessi, tutto quanto si pensa o si conosce non è vero; senza l'intima convinzione, nessun orizzonte si apre ai vostri occhi; senza la completa partecipazione di tutto

l'essere vostro a quello che vi è comunicato, nessuna evoluzione spirituale può essere conseguita. Voi dunque che cercate il perché, tenete presenti queste verità. Il presente è di alta importanza, ma la maggior parte degli uomini non riconosce questa essenziale verità. Eppure voi, considerate l'attuale come un punto di partenza verso il futuro, un mezzo per raggiungere una meta. Non è cosí che potete sperimentare ciò che è senza tempo. Infatti la bramosia del divenire disegna e valorizza lo schema del tempo nel quale vi muovete dolorosamente. Sperimentare l'eterno, cioè superare questa teoria del tempo, significa porsi al di fuori di ogni essere o non essere, avere o non avere; raggiungere, in una parola, la fusione del pensiero col sentimento; pensare secondo ciò che sentite e non secondo ciò che vorreste sentire. Purtroppo si è impegnati, invece, nel processo del divenire e per uscirne occorre essere piú coraggiosi degli eroi, affrontare il presente e comprenderlo. Comprendere il presente significa comprendere voi stessi. Esso è tragico e cruento, è conflitto e dolore, con qualche occasionale barlume di gioia. L'affrontarlo può essere penoso, pure è la sola via verso la Realtà. Dovete accettarlo come è, e ricercarne le cause, perché non è certo col giustificarlo o col negarlo che lo potete comprendere. Solo attraverso ad una ampia consapevolezza del presente proverete il cessare del tempo; come nei momenti di grande estasi, sarà spento in voi ogni processo del divenire. Pensate dunque solo al presente, e non al passato o al futuro, perché esso è l'eterno, ciò che è senza tempo. Di grande utilità sarà l'esaminarvi nella continua ricerca di soddisfazione. Questo processo estende le sue radici nell'intimo vostro e, poiché non conoscete voi stessi, si svolge al di fuori della vostra consapevolezza, Pure esiste ed impera in voi. Tale ricerca di soddisfazioni vi occupa tanto da farvi ritenere non interessante e spregevole tutto ciò che non alimenta il vostro io, Un'amicizia per voi è bella e duratura solo se può darvi soddisfazioni; quando non ne potete piú avere si risolve in qualcosa dì scialbo e compassionevole. Non dovete amare o ricercare solo ciò che può darvi un'utilità immediata. In modo convenzionale si possono considerare tre stadi nell'evoluzione dell'individuo: al primo stadio appartiene colui che è occupato a soddisfare le esigenze fisico-animali; al secondo stadio colui che ricerca soddisfazioni; al terzo stadio colui che ha superato il modo di vivere egoistico e conseguentemente ha destato il suo io divino, Il primo dei tre soffre delle privazioni che può avere ma, sentendo in modo ristretto, poco chiede e sarà piú facilmente accontentato; il secondo si aspetta egoisticamente molto dalla vita, è incessantemente occupato nella ricerca di soddisfazioni; ma piú cerca e più è insoddisfatto; diviene allora pessimista, sfiduciato, ribelle. La vita non va vissuta in modo egoistico, non dovete interessarvi di ricercare ciò che possa alimentare il vostro io e soddisfarvi; cosí facendo, voi restate sempre amareggiati. Non trascorrete la vostra vita in una continua attesa, illudendovi che il domani possa darvi piena soddisfazione. La vita è l'Eterno Presente. Solo quando sarete penetrati in questo concetto non sentirete più la necessità di accumulare, di ricercare soddisfazione, non vi illuderete piú; ma, vivendo giorno per giorno, troverete che è in questa « passività » la realtà della vita. Troverete che siete voi a sciupare le fugaci gioie di ciascun giorno perché, nella continua attesa che il domani possa darvi piena soddisfazione, non le vivete profondamente, non le assaporate. Troverete anche che è in voi stessi la vita, non nelle situazioni esteriori ma nell'intimo vostro, in questo profondo abisso inesplorato. Se veramente poteste superare la vostra mentalità, assimilare il concetto che la vita è l'Eterno Presente, che essa vita si svolge in voi, trovarne cioè la Realtà, allora potreste constatare che vale la pena di viverla, non per le soddisfazioni che potete avere, ma per l'ultimo, il vero fine che ad ogni istante potete scoprire. Avreste superato l'irrealtà e con essa ogni pessimismo, ogni scoramento, ed avreste trovato l'estatica felicità, non fine a se stessa ma attributo dell'uomo purificato, divenuto perfetto. « Conoscere se stessi » significa avere una costante consapevolezza del proprio essere; significa applicare costantemente tale consapevolezza nella ricerca della verità del proprio essere interiore. Questo insegnamento è oltremodo significativo per voi e per coloro che, come voi, intendono togliere dal mondo quelle sperequazioni e quelle ingiustizie che affliggono gli uomini, ma che sono convinti che le sperequazioni e le ingiustizie non possono essere tolte - come fino ad oggi si è creduto - affrontando il problema

dall'esterno. Infatti occorre risalire alle cause, occorre agire nel profondo, nell'intimo di ogni uomo, giacché l'umanità é fatta di individui ed è quindi necessario, per modificare l'umanità, modificare il singolo. Chi è convinto che occorra portare nel mondo la giustizia e la fraternità, ed è ugualmente convinto che questo possa avvenire unicamente dall'intimo dell'individuo, costui conosca se stesso; poiché il primo problema che deve affrontare è quello a lui piú vicino: è migliorare se stesso, è porre l'essere suo al di fuori dell'ingiustizia e della illusione. Voi che invocate la giustizia, voi che invocate l'amore fraterno fra gli uomini, ed intendete allontanare dall'umanità le brutture che la opprimono, fate ciò che potete e quindi dovete fare: noi siate semi di ingiustizia e di sfruttamento. Per questo - ripeto - bisogna conoscere se stessi. Che cosa significa conoscere se stessi? Significa conoscere i propri limiti e, per questo, superarli. Voi avete detto: « Ciascuno di noi sa di avere dei difetti e ciascuno di noi vorrebbe non averli piú ». Poi, interpretando le nostre parole, avete ridotto il problema ad una sorta di esame di coscienza, cioè dopo che avete commesso le azioni, dopo che avete vissuto la vostra giornata, credete ch ' e tutto quello che resti da fare sia esaminare cosa è che avete fatto e che non va secondo l'ideale che vi siete prefissi. Non è cosí semplice il problema. Non si tratta di fare un esame di coscienza; si tratta, esaminando le azioni e riconoscendo i propri difetti, di penetrare alla radice fino a scoprirne le cause; e scoprendone le cause superare quei difetti, superare quelle limitazioni e liberarsi di ciò che condiziona il vostro essere. Questo è ciò che dovete fare. Per conoscere se stessi occorre quindi una costante consapevolezza. E voi dite: « Ma nella vita di ogni giorno che ci assilla non possiamo essere costantemente consapevoli e costantemente rivolgere la nostra attenzione a questo problema ». Ed allora io vi rispondo: fate pure quell'esame di coscienza che avete invocato questa sera, ma non già per esaminare le azioni alla luce di un moto superficiale, onde scoprire se furono buone o non buone, ma esaminate le azioni. per discernere le cause che vi hanno fatto agire, per comprendere queste cause, per andare in fondo alla radice del problema. Non è sufficiente riconoscere i propri vizi: occorre penetrare oltre e comprendere la ragione per la quale questi vizi ancora sono in noi. Nel fare questo esame occorre sincerità e soprattutto non essere animati da alcuna ambizione; occorre non lasciarsi trascinare dall'ambizione in qualunque forma essa si presenti. Quel dispiacere che voi provate o potete provare nel constatare l'egoismo che ancora vi avvolge, è un ostacolo alla vostra liberazione poiché questo dispiacere è la manifestazione di una ambizione, di un orgoglio ferito, di una constatazione che voi siete... peggiori di quello che credete di essere. Non dovete credervi migliori di quello che siete; dovete conoscervi nella realtà dell'intimo vostro. Fino ad oggi vi è stato detto: amate i vostri fratelli, aiutateli perché cosí facendo guadagnerete la gloria eterna. Questo, piú o meno, hanno detto le religioni. E le nuove filosofie hanno cercato di appagare la logica degli uomini facendo conoscere i piani di esistenza, la legge di reincarnazione, la legge di evoluzione; ma tutte queste conoscenze non sono riuscite a modificare l'uomo. E le organizzazioni che sono state fondate da queste filosofie sono altrettante gabbie, né piú né meno, come le religioni, perché la via dello spirito, o come la volete chiamare, non si può calcare con l'ambizione. Ecco perché vi è portato l'insegnamento del conoscere voi stessi, ed ecco perché vi diciamo che qualunque sforzo voi facciate per non seguire i vostri desideri personali ed egoistici, non serve. In questo senso va inteso il non violentare se stessi. Voi potete benissimo, se avete un qualche difetto che possa danneggiarvi, ed a maggior ragione danneggiare gli altri, fare forza su di voi acciocché non siate piú trascinati da questo difetto; ma in questo auto-controllo siate perfettamente convinti che ciò non vi migliorerà affatto nello spirito. Siate convinti, contrariamente a quanto fino ad oggi vi è stato detto, che questo auto-controllo, questa auto-disciplina non possa farvi grandi in cielo piú di quanto non lo siate in terra. Questo è essenziale. Conoscere se stessi significa quindi comprendere i propri limiti e superarli; comprendere i propri vizi, le proprie passioni - se cosí volete chiamarle - e non lasciarsi trascinare da esse, ma essere oltremodo convinti che nessuno può, con sforzo, giungere alla liberazione di se stesso; potrà migliorare la propria condotta nei riguardi dei suoi fratelli, potrà migliorare il proprio comportamento esteriore, potrà non cadere nei richiami dei desideri, ma essi desideri con la violenza non possono essere superati, né possono essere superati con la volontà. Saranno controllati, saranno repressi, ma rimarranno, sempre. Essi desideri saranno superati nella conoscenza di voi stessi, nel comprenderli, nello scoprirne le ragioni attraverso alla costante consapevolezza di tutta la vostra esistenza quotidiana, di tutta la vostra vita. Questo costante esame - poiché siete voi stessi con la vostra mente e con la vostra capacità ad esaminarvi - non

potrà rivelare subito la realtà dell'essere vostro, ciò nondimeno nella costante introspezione giungerete alla

scoperta dì voi stessi; e questa scoperta segnerà la liberazione dai vostri limiti che sarete, finalmente, riusciti a vedere. Esistere significa essere in relazione; ma per essere in relazione occorre veramente aprirsi ai nostri simili. Che cosa può significare « aprirsi »? Occorre essere estremamente duttili, comprensivi. Ma come comprendere? L'uomo è incessantemente impegnato a criticare coloro con i quali viene a contatto, a valutarli, ed intesse relazioni solo con persone che possono essergli favorevoli, che possono dargli un interesse, un tornaconto. Essere duttili significa superare questo esame di ricerca di tornaconto, di ricerca di persone che possano in qualche modo aiutare. Essere duttili e comprensivi significa abbandonare le proprie idee e le proprie convinzioni per comprendere quelle dei propri fratelli Ma che significa: « Comprendere quelle dei propri fratelli »? Significa aprirsi a loro non per condannarli. non per rimproverarli, ma per capire le ragioni che li hanno spinti ad agire e consigliarli per il meglio. Tutto ciò implica una grande consapevolezza da parte dell'individuo tutto ciò implica un discernimento non comune che solo chi ha profondamente studiato ed analizzato se stesso può raggiungere. Solo chi può fare a meno dell'aiuto umano è veramente in grado di aiutare i suoi simili. Ed allora, essendo la collettività fatta di singoli, è opportuno che ciascuno di voi raggiunga questa forza interiore, questa forza intima senza cui ben poco aiuto potete dare ai vostri simili. Noi vi diciamo: comprendete voi stessi, siate costantemente consapevoli di ciò che vi spinge ad agire. E voi trovate che è difficile mettere in pratica queste parole. Voi trovate che è difficile comprendere e superare i vostri difetti, le vostre passioni. Altre volte invece vi sembra troppo facile e troppo comodo il nostro dire, e vi sembra che esso non comporti un grande sacrificio da parte vostra, per cui, essendo cosí facile e semplice, voi trascurate di metterlo in atto perché credete che la via dello spirito che intendete calcare sia cosa assai più complessa. Le nostre parole non sono né semplici né complesse; sono parole che intendono significare qualche cosa, che intendono condurvi alla convinzione di porre attenzione al mondo interiore che è nell'intimo vostro. Esso mondo, come dice la parola stessa, è vasto ed il problema di affrontarlo può essere complesso. Ma se non sarà affrontato non potrà mai essere risolto, ed occorre affrontarlo con semplicità. Cosí come i problemi che voi incontrate nella vita e che vi possono sembrare estremamente complessi e difficili, debbono essere affrontati con semplicità, se volete risolverli; se vi lasciate intimorire da quella che vi sembra essere la mole del problema e non cominciate ad affrontarlo da una parte, il problema non potrà mai essere risolto e veramente diventerà insormontabile e piú grande di voi. Allo stesso modo è dell'intimo di ciascuno: il problema di comprendere questo mondo intimo che si agita può sembrare alquanto complesso, ma noi vi diciamo: cominciate da poco e da vicino. Ed ecco che voi subito dite: « Ma ciò che voi insegnate è cosa di poco conto ed è molto comodo e molto facile ». Bene, allora cominciate dal comodo e dal facile perché quello che voi dovete fare è proprio la costante vigilanza di tutto ciò che si agita nell'intimo vostro, costante consapevolezza di ciò che vi spinge ad agire. E voi dite: « Ma l'io, come tu ci insegni, ha molte scappatoie, il suo processo è sottilissimo e si maschera ai nostri occhi ». Ma l'io siete voi stessi, non è l'io di altre creature. E se voi comprendete questi processi, voi avete compreso l'io. E se voi estirpate questo io nessun altra sua attività - per quanto grossolana o sottile, appariscente o piú occulta - sarà in voi. Che cosa significa comprendere se stessi? Significa comprendere questi processi espansionistici dell'io e conseguentemente superarli. Comprendere i propri limiti, di questi essere consapevoli. Ed ecco un'altra obiezione: « Ma siamo noi, con la nostra mente, con la nostra limitata capacità di applicare questa costante consapevolezza, noi a giudicare noi stessi; ed essendo noi limitati nel nostro giudizio, ciò che noi crediamo di capire non sarà mai vero, ma sarà sempre colorito dall'io stesso che cercherà di scusare il suo operato ». Ed io vi rispondo: cercate di essere quanto piú potete sinceri con voi stessi, cercate di raggiungere questa sincerità. La vita poi vi dimostrerà se ciò che avete scoperto sarà o non sarà la verità di voi stessi. Importante è che voi cominciate a comprendere il mondo intimo che si agita in voi, comprenderlo anche in modo sbagliato, all'inizio, è logico ed è naturale. Ma importante è comprendere. Non crediate di soffermarvi su quelle che possono essere le risultanze di un primo sommario esame dell'intimo vostro. Siate estremamente duttili anche con voi stessi. « Questa », dovete dire, « credo sia stata la ragione che mi ha spinto o mi spinge ad agire ». Ma non crediate di fissarvi in schemi rigidi, posti frettolosamente da un primo esame. Voi potete credere di essere delle creature calme, per niente irose, e se vi convincete che ciò corrisponde a verità non fate che porre altri limiti a quelli che voi non conoscete. Mentre ciascuno di voi sia convinto che, molte volte, non è in un determinato modo solo perché non è posto nelle condizioni di esserlo. Intendo significare che non dovete cristallizzarvi in una prima sommaria immagine di voi stessi, del vostro essere interiore.

Occorre ogni giorno porre nuovamente in discussione il proprio intimo. Ricercare per conoscere se stessi è ciò che ciascuno deve fare. C'è chi crede che questa ricerca sia facilitata dal sapere chi fummo nelle precedenti incarnazioni; ma, se cosí fosse, perché esisterebbe la legge dell'oblio anche per chi si propone di ricercare se stesso? Il sapere chi fummo non è di alcun vantaggio nella ricerca di se stessi. Vi è stato detto piú di una volta che voi siete il presente ed è questo presente che dovete conoscere, non il passato. Se tuttavia credete che questa conoscenza sia facilitata dal sapere chi foste, non siete nel giusto. Infatti, a che cosa può giovarvi il sapere, ad esempio, che nella precedente incarnazione siete stato una suora? Supponete che non abbiate avuto l'animo di suora, cioè non abbiate avuto la vocazione... Solo quando avrete compreso il presente, potrete intuire il passato, intravedere il futuro. Solo quando vi sarete resi consapevoli dell'attuale vostro egoismo, comprenderete quanto egoisti foste in tempi passati, quanto meno egoisti sarete in avvenire. « Tutto qui? lo so di essere egoista », direte. Già, voi sapete di essere tali ma non ne siete consapevoli, cioè non sapete fino a che punto l'egoismo vi spinga ad agire, quali delle vostre azioni sono mosse dall'egoismo: non sapendo questo, non sapete niente di voi. Ciascuno di voi è ora un individuo che non è lo stesso di dieci anni fa, non è lo stesso di due ore fa: per questo, nella ricerca di se stessi, non vale sapere chi siete stati. Voi direte allora: « A che cosa vale la memoria? ». La memoria serve per la relazione fra simili ed è molto utile. Però ha anch'essa un difetto: tende ad accumulare conoscenze su conoscenze, costituendo una mentalità della quale si è poi schiavi. Ciò che evolve l'individuo non sono le conoscenze, tenute presenti dalla memoria come un vademecum che indichi in che maniera comportarsi nei vari casi, ma sono le esperienze che determinano una trasformazione dell'individuo. Supponiamo che un tale sia ateo e che divenga credente: non importa che egli abbia un memorandum che gli ricordi di pensare come un credente, perché, se veramente è divenuto tale, penserà in modo adeguato, in quanto l'esperienza avrà trasformato il suo essere. Superando l'aspetto negativo della memoria, avrete mosso il primo passo per la ricerca di voi stessi. Piú volte abbiamo ripetuto che conoscere se stessi significa volgere la propria attenzione ai propri pensieri, ai desideri, alle azioni per scoprire le vere motivazioni che ispirano l'attività in senso lato di ognuno. Tale conoscenza deve essere ispirata alla massima sincerità e deve essere finalizzata alla semplice e sola comprensione di se stessi; cioè non deve avere altro scopo se non quello di rivelare la verità del proprio intimo essere. Taluno di voi ha erroneamente interpretato le nostre parole nel senso che quando ci si accinge a introspezionarsi, l'introspezione debba essere fatta, e sia produttiva, solo nel caso che di volta in volta riveli la verità del proprio intimo essere Ma, se così fosse, ciò significherebbe che già ci si conosce, mentre la conoscenza di sé deve essere lo scopo della introspezione e non la condizione. Perciò quando voi vi accingete a scoprire le vere azioni, i veri pensieri, i veri desideri che indirizzano la vostra attività nel mondo umano, voi dovete farlo con la massima sincerità, ma ben sapendo che quello che credete di scoprire può non essere l'ultima verità di voi stessi. Un altro errore che comunemente fate, è quello di credere che ciascuno debba date un giudizio riepilogativo di se stesso. Mi spiego meglio: se, per esempio, analizzando un vostro comportamento, scoprite che quello che credevate essere uno slancio di altruismo in effetti nascondeva un impulso egoistico, voi darete un giudizio di voi meno lusinghiero di quello che davate ad un esame superficiale. In un'altra occasione, invece, supponiamo che scopriate che quella che credevate una spinta egoistica, in effetti non nascondeva alcun interesse personale. A questo punto, quindi, vi chiedete: « Ma chi sono io? Sono egoista o sono altruista? ». La risposta che date ad una simile domanda, è che voi siete la media di queste due qualità. Ciò fa sorridere, ma in effetti accade. Ciascuno è quello che è nel momento in cui si prende in considerazione. Ve lo immaginate che cosa succederebbe e si sarebbe se ciascuno di noi fosse la media di ciò che è e che è stato? Perché, infatti, fermarvi solo all'attuale incarnazione? Ne risulterebbe che quella che noi chiamiamo « individualità » e che vi insegniamo a pensare come una serie di sentire, dal più semplice al piú complesso - risulterebbe essere un « sentire » di grado dato dalla media di quelli posseduti. Ripeto: ciascuno è quello che è nel presente. Se voi ponete attenzione a questa affermazione, scoprirete che cosí, in un primo momento, può sembrare che essa annulli il valore della introspezione fatta a posteriori; se infatti si è quello che si è nel presente, che

significato e che valore può avere il cercare di scoprire le vere ragioni che hanno spinto ad agire in un certo senso, a compiere una certa azione, se teoricamente, nel momento in cui voi fate questa riflessione potete essere diversi da quello che eravate quando avete agito? Ma il valore della introspezione fatta a posteriori emerge, invece, tenendo presente che se non si superano, nel presente, le limitazioní che determinano l'intimo essere di ognuno, tali si è e tali si rimane. Ecco perché è importante il presente: ciascuno è quello che è nel presente. Se voi avete fame, non vi sfamate pensando a quello che avete mangiato nel passato o a quello che mangerete. Tutti i problemi sono del presente e nel presente debbono essere affrontati, se si vogliono risolvere. Quando l'uomo è tepido si circoscrive, crea un suo mondo chiuso, entro il quale non giunge la vita. Egli allora è inconsapevole di se stesso e di quanto lo circonda, isolato. I tepidi soffrono nella loro solitudine, nella loro aridità, finché si muovono e si uniscono a coloro che cercano conforto e credono per sperare, cercano una soluzione alle loro sofferenze nella logica o nella fede. Ma accettare non è comprendere: è dare e non concedere. Comprendere è superare ed essi non cercano di distruggere la sofferenza, ma vogliono farla sopravvivere, vogliono valorizzarla. Solo chi comprende libera se stesso. Essi intuiscono che la Verità è liberatrice e ricercano la Verità non per amore ad essa, ma perché vogliono essere liberati dalle loro sofferenze. Per loro la Verità si chiama guadagno, rimedio; e non scoprono la Verità, e continuano a soffrire. Ognuno deve comprendere se stesso. Questo è il solo mezzo per liberarsi. Ma come può l'individuo comprendere se stesso se non mette a nudo l'essere suo, se non esegue una profonda analisi che possa aprirlo, che possa svelare a se stesso la vera causa del suo comportamento, le vere ragioni del suo agire e pensare? Perché dare un grande nome come « altruismo » ad un processo egoistico? Ditemi, perché voi siete qua riuniti questa sera? Forse per cercare la Verità? Ma ditemi, perché cercate la Verità? Forse perché sperate che essa possa far cessare in voi ogni dolore, ogni affanno, ogni senso di vuoto? Allora voi non cercate la Verità; voi cercate il benessere, la sicurezza. Queste riunioni sono dunque solo un'evasione. Ditemi, se vi fosse detto che la Verità procura atroci sofferenze, la cerchereste voi ancora? Probabilmente no. Ed allora il vostro altruismo è un'illusione se vi permette di tollerare, di ignorare le sofferenze altrui. Ascoltando queste mie parole voi cercate di scoprire in esse un modo, una via, una regola da seguire: probabilmente vi sforzate per aiutare i vostri fratelli, ma io vi dico che nessun modo, nessuna regola v'è per giungere alla Realtà. Comprendere se stessi, abbandonare ogni posizione non realmente sentita, ogni falsità Via ogni pregiudizio, ogni vostro timore! Solo comprendendo se stesso l'uomo può liberare l'essere suo dalla sofferenza, dal dolore. Ma per comprendere se stessi non v'è una regola, non v'è un esercizio da seguire, lo ripeto. Ognuno deve essere consapevole dei propri limiti, comprenderli; e comprendendoli li supererà. Il problema del mondo è un problema di relazioni. Esaminatevi nelle relazioni che sussistono fra voi e il mondo: vi accorgerete che esiste un processo di isolamento il quale interpone barriere fra voi ed ogni individuo. La vostra vita è fondata sull'ignoranza: ignorare chi soffre chi ha bisogno, e cosí via. Solo ignorando credete di risparmiarvi sofferenza ed inutili preoccupazioni; isolandovi, vi proteggete dall'esterno. Pure credete di essere in relazione, ma in realtà non fate che guardare oltre le barriere che vi separano e rimanervi sempre imprigionati. La relazione non deve essere motivo di isolamento ma di comunione. Per giungervi è necessaria un'ampia comprensione, una tolleranza senza limiti. Il mondo è fatto di opinioni piú o meno aderenti alla Realtà piú o meno false, piú o meno falsate. Chi stabilisce un nuovo convenzionalismo vuole imporlo agli altri. Entra cosí in relazione con persone allo scopo di ottenere un'affermazione del proprio io. Ma tale sorta di relazione, come ogni altra la quale non sia che ricerca di piacere, non può condurre alla comunione con le creature, bensí ad un ulteriore isolamento. Non siate violenti nelle vostre relazioni, ovvero non avvicinate gli altri con preciso scopo; cosí facendo aumentate la sofferenza e in voi e negli altri, divenendo crudeli e paurosi. Solo chi non possiede non teme di perdere. Non voler acquistare significa essere sereni nelle proprie relazioni, nella propria esistenza. Abbandonare tutto ciò che avete, rinunciare a tutto ciò che vorreste avere, è una grande conquista: la conquista della libertà. Tale libertà non è indipendenza, la quale è solamente isolamento, ma è libertà di mente nata da una comprensione misericordiosa. Essa non è il risultato di una lotta, giunge silenziosamente quando la mente si concentra sui propri limiti con umile comprensione. Solo chi l'ha raggiunta non conosce ostacoli nelle proprie relazioni, solo chi la possiede esiste veramente.

Come ogni macchina lavora perché è stata costruita secondo i principi che regolano la fenomenologia del piano fisico, così l'Universo esiste perché si fonda su precise leggi. Queste leggi hanno la loro radice nel grande Piano Divino, poiché qui è la loro ragione di esistenza, ma si manifestano e vigono su ciascun piano, regolandone la vita. La conoscenza di tali leggi è visione del Reale: ignorarle non vuol dire che esse non esistano o che non abbiano i loro effetti. Si ignorano troppe cose, per questo si soffre. Ignorare significa non sapere; ma si può non sapere proprio per non voler sapere, oltre che per non poter sapere. Si corre il rischio di fare come quel fanciullo che voleva essere capace di risolvere un complesso problema algebrico senza prima risolverne uno aritmetico adatto a lui. Nei momenti di slancio si vorrebbe portare la pace nel mondo, ma prima di questo si guardi se si è in pace con i propri vicini; da qui si deve cominciare. Non ci si pentirà certo delle grandi cose che non si sono fatte, perché non si potevano fare, ma delle piccole che si sono tralasciate. Si comincia dalle piccole cose per arrivare alle grandi, sì comprendono le piccole cose per comprendere le grandi. Ma le piccole cose, se esistono, credete voi che non siano degne di attenzione? In verità una cosa diviene piccola nel momento che la si supera o si comprende. In ciò che vi dico sta la causa del vostro soffrire: vorreste conoscerla per eliminarla, ma per questa liberazione dovete conoscere voi stessi. Essa può risiedere nel veicolo fisico, nell'astrale, nel mentale o nella piú alta espressione del Sé. Sí, anche quando sembra provenire dal fato, in realtà non è che l'eco di un vostro agire di allora, che torna e vi atterrisce. Tutto quanto si ha si deve pagare. Nessuno può essere sfruttato perché non esiste il privilegio. Voi definite privilegiato chi, per certi diritti dei quali può valersi, ha una potestà maggiore della vostra. Ma nella Realtà il privilegiato non è tale, poiché egli non si sente alcun diritto, bensí solo il dovere di beneficare Chi ama non ha diritti, ha solo doveri, e solo chi comprende ama, e solo chi ama può sapere, e solo chi sa ha una potestà: tale potestà è tanto piú grande quanto piú si ama, quanto piú si è altruisti. Desiderare è un po' come soffrire. Il desiderio è vita, spinge la creatura, la chiama; cosí la sofferenza la muove dalle cristallizzazioni e dagli intorpidimenti. Desiderare, dal punto di vista della vita universale, non è avere un desiderio che crea l'illusione prima e la delusione poi: è camminare di pari passo con la legge dell'evoluzione. Conoscere se stessi è comprendere le cause della propria sofferenza e superarle, cessare di cristallizzarsi, cessare di soffrire. La sofferenza ha sempre qualcosa da insegnare perché è un effetto di qualcosa che è stato fatto senza comprendere. Cosí, accettate la sofferenza, perché essa insegna comprensione ed affetto. Ricordatevi che vi sono delle leggi le quali, pur limitandovi per non schiacciarvi, vi mettono di fronte alle vostre attività, di fronte alle vostre responsabilità. Chi conosce queste leggi può agire in armonia con esse, non essendone cosí limitato né, tanto meno, schiacciato avendole osservate. In ciò che vi ho detto è la causa della sofferenza umana, ma benché vi sia stato spiegato voi continuate a soffrire, perché non sono le parole che possono cambiarvi ma è la comprensione vostra di queste parole. CLAUDIO

Già da molto tempo noi cerchiamo di spostare la vostra attenzione all'intimo vostro, e, come giustamente qualcuno di voi ha detto, di questo mondo intimo voi conoscete già le strutture, lo schema del suo funzionamento, del suo trasformarsi, del suo evolvere. Conoscete le attività dell'intimo vostro, ove hanno sede. Ma oltre che avere queste notizie, per dire di conoscere l'intimo vostro occorre sperimentarlo. La conoscenza che ne avete può dirsi teorica: cioè voi sapete per sommi capi come è costituito l'uomo, ma non sapete come siete voi. Dunque la teoria deve essere ritrovata nella pratica, dunque ciò che si sa deve essere compreso; ciò di cui si ha notizia deve essere verificato, sperimentato, assimilato. Ma è proprio necessario sperimentare tutto di noi stessi? Perché e come avviene la « liberazione » che tante volte vi abbiamo ricordata? Che cosa significa « conoscere se stessi »? L'uomo sa di essere egoista, ma lo sa solamente, non ne è convinto; tanto è vero che è sempre pronto a giustificarsi, a trovare delle attenuanti quando, dalla evidenza dei fatti, è costretto a riconoscere di essersi comportato in modo egoistico: se non addirittura disconosce il suo operato e anzi dice di avere agito in modo opposto, in modo altruistico. L'uomo sa di essere egoista, ma non ne è convinto. E come può convincersi? Come può, veramente, scoprire la realtà del suo essere? Perché « conoscere se stessi » significa conoscere la realtà del nostro essere, non solo trovare l'egoismo che è in noi. « Trovare l'egoismo » non è tutto. Nell'introspezione non dovete cercare e trovare una immagine di voi stessi prima di averla veramente scoperta. Conoscere se stessi significa esaminarsi in tutta sincerità, senza cercare attenuanti od aggravanti. Significa in tutta sincerità, esaminare ciò che è in noi: le nostre intenzioni, ciò che ci spinge ad agire, a parlare, a pensare, e trarne delle conclusioni. Dire: io penso cosí, agisco così, perché sono cosí. Questa constatazione può non essere esatta, ma ciò, come sapete, non ha importanza; una vigile e costante consapevolezza dell'essere vostro metterà a fuoco la realtà del vostro essere. Per « vigile e costante » non deve intendersi una sorta di fissazione, deprecabile come ogni eccesso. Per « vigile e costante attenzione » si intende essere costantemente consapevoli di ciò che si fa, si pensa, si sente, si desidera. L'introspezione può essere fatta anche un'ora al giorno, o un tempo non definito; ma importante è che nulla sfugga all'esame di se stessi. Questo significa costante e vigile consapevolezza. Voi direte: « t sufficiente questa costante e vigile consapevolezza per scoprire la realtà del nostro essere? ». E' sufficiente. « Quando avviene questa scoperta? ». Non possiamo dirlo, non possiamo precisarlo: dipende da come e se viene fatto questo esame. Il superamento di certe attività egoistiche dell'uomo, quindi il superamento dell'egoismo, avviene quando quest'uomo, divenuto consapevole, ha compreso se stesso. Una volta che l'egoismo è superato, l'uomo non ha piú bisogno di ricercarlo in altre sottili manifestazioni, perché - essendo superato - non si manifesterà in alcuna attività. Costante e vigile consapevolezza di sé non significa prendere in esame situazioni, fatti, che voi non state vivendo nel momento. Ecco perché vi diciamo: « La liberazione può avvenire anche ora ». Infatti non è condizionata all'esame di certe reazioni a fatti che potranno accadervi. Se l'uomo, tale qual è ora, e con le sue azioni del momento, si rendesse conto attraverso a queste azioni, veramente, del suo egoismo, egli lo supererebbe. La conoscenza di se stessi è condizionata unicamente alla possibilità di riuscire a scoprire la realtà del proprio intimo.

DALI

3. Come intendere l'insegnamento del conoscere se stessi Domanda - Hai parlato della consapevolezza. Ora, capita piú o meno a tutti di avere una conoscenza del nostro intimo, sappiamo di essere in una data maniera. Ma credo che consapevolezza sia qualcosa di piú. Non con un processo puramente mentale uno si accorge di essere egoista o ghiotto, ambizioso o quello che è, ma la consapevolezza dovrebbe essere anche una sapienza dell'intimo capace di portare alla liberazione. Risposta (Chi risponde è Claudio) – E’, la stessa differenza che esiste fra conoscere e comprendere.

Voi dite di sapere, di conoscere certi aspetti dell’intimo vostro; ammettiamo pure che ciò corrisponda alla realtà, ma conoscere non significa comprendere e voi dovete comprendere voi stessi. Come avviene questa comprensione? Domanda - E' quello che volevamo domandare. Avviene solo attraverso all'introspezione? Risposta - Voi sempre cercate di sdrucciolare verso la vostra maniera di pensare, verso il vostro modo di intendere; voi cercate un modo per giungere a qualcosa. Cosí e per questa ragione, non comprendete esattamente quello che noi diciamo. Voi piú o meno immaginate quale è la mèta ed allora volete conoscere la via per giungere alla mèta. Ma questa via non può essere realizzata a mezzo di una conoscenza, si deve giungere ad una comprensione. Chi può comprendere per voi? Nessuno: voi stessi. Quello che noi diciamo lo diciamo in tono generale, perché se lo dicessimo in particolare, se scendessimo a parlare delle vostre cose personali, voi direste che le nostre parole non sono vere, perché non volete comprendere. Se voi voleste comprendere comprendereste da soli. Quindi dovete comprendere l'intimo vostro. Ma come? Questa domanda ritorna sempre. « Come comprendere l'intimo nostro? ». Rendendovi consapevoli, il

che è molto diverso dal conoscere o sapere, come tu hai detto. Ad esempio, in un amore non corrisposto si alternano gelosie, timori, violenze nel volersi imporre all'altro. Che cosa si fa allora in questa circostanza? Si cercano delle scuse. Si dice: « E' un carattere freddo, perciò non ha tanto slancio, però a modo suo mi vuol bene ». E in tutti questi pensieri si placano gelosie, timori, violenze e cosí via. Ma questo non significa comprendere il dolore, superare la passione a cui date nome amore. Se volete liberarvi da questa schiavitù dovete rendervi consapevoli, dovete essere estremamente sinceri con voi stessi, sapere esattamente senza reticenze, senza false giustificazioni, che non siete desiderati. Ciò sarà come toccare una piaga, vi sentirete offesi, menomati nell'orgoglio, nell'io, ma se avrete coraggio, se riuscirete a considerare la questione non piú nei termini dell'io, allora voi avrete compreso, avrete superato quella passione, l'avrete annullata alle sue stesse origini. Tale genere di passione nasce da un primo desiderio non appagato e comunque ineluttabile; questo « io voglio » produce un'autosuggestione, una montatura che vi trascina, togliendovi serenità ed equilibrio. Se voi dunque, lo ripeto ancora, vi rendete consapevoli che alla base di questa vostra passione sta l'io col suo desiderio di possedere, e vi rendete costantemente consapevoli di ciò, voi comprenderete la passione e la supererete, ripeto, l'annullerete alle sue stesse origini, non ne sarete trascinati Dunque comprendere se stessi significa rendersi esattamente consapevoli di tutto ciò che vi spinge ad agire, a parlare; rendersi consapevoli che, anche quando pensate, voi seguite canoni di pensiero, siete influenzati dalle altrui verità e non pensate mai secondo ciò che sentite. Questo significa rendersi consapevoli. Molte volte voi sapete di essere egoisti, e con questo? Dite: « lo so di essere egoista, però non cambia l'intimo mio ». Attenti! Generalmente- vi sono certe creature le quali anelano a liberare il proprio essere dall'illusione. Udendo quello che noi diciamo, queste creature pensano: « Bene! lo mediante una introspezione esaminerò ogni mio impulso, mi renderò consapevole che questo impulso nasce dall'io che desidera essere soddisfatto, che desidera espandersi; una volta che io avrò ben fissato questo, non farò altro che non agire ». E’, qui lo sbaglio. Questa liberazione avviene non quando voi costringete il vostro essere a fare ciò che non sentite, ma quando voi agite senza sforzo, quando siete veramente voi stessi. Mi spiego. Quando vi portate a conoscenza, ad esempio, dell'egoismo che è in voi, dite: « Non sono cambiato; perché? lo dovevo cambiare ». Non dovete attendere il cambiamento perché quello chiaramente dice che voi non cercate altro che un divenire, non un essere. Cercherò di spiegarmi meglio: quando, ad esempio, voi dite che le nostre parole non sono vere, noi non soffriamo, perché da parte nostra non vi è sfruttamento; ma se le fate esaminare da un qualsiasi esponente delle vostre organizzazioni filosofiche o religiose o di altro genere con le quali esse parole sono in contrasto per il loro significato, vedrete che questi dirigenti vi diranno che non sono vere, che noi siamo Entità basse, e che tutto ciò è una illusione. Che cosa significa questo? Significa che quelle creature vogliono sfruttarvi, vogliono tenervi legate a sé, perché dalla vostra fede esse traggono profitto, che non è sempre un profitto finanziario, ma può essere utile al desiderio di espansione del loro io. Mi sono spiegato? Colui che soffre se non è creduto e seguito, vi vuole sfruttare e poiché lo sfruttamento avviene solo nell'ignoranza, quegli non vuole la vostra comprensione. Domanda - Abbiamo parlato di introspezione. Questo è un mezzo per arrivare alla consapevolezza di quello che siamo?

Risposta - Non cerchiamo ancora i ristagni del pensiero, non cerchiamo i metodi. Dobbiamo renderci

consapevoli. Domanda - Rendersi consapevoli è molto difficile in quanto ci accorgiamo di un nostro atteggiamento, di un nostro modi di fare, di un nostro modo di agire, ma questo è un processo puramente mentale, non di coscienza. Per conseguenza si arriva alla sapienza e non alla consapevolezza. Risposta - Non devi preoccuparti di come ciò avviene. Altra volta lo spiegai, se voi prendeste l'abitudine di scrivere i vostri pensieri, fare una specie di diario, che dopo un certo periodo di tempo potreste rileggere, vi accorgereste che avete cambiato il vostro modo di pensare. Allo stesso modo avviene la consapevolezza. Voi dovete rendervi consapevoli ed allora, nella costante consapevolezza, giungerà la comprensione e la liberazione. Tutto quanto vi avviene, avviene per la vostra comprensione. Questo ricordatelo. Domanda - Allora, Claudio, la prima volta che uno si rende conto di essere egoista e dice: « Sí, guarda, un'altra volta non voglio essere egoista », tu dici che questo non è sufficiente. Basta dire: « Sí, sono egoista e quando non lo sarò piú... ». Insomma mi sembra che invece questo debba richiedere uno sforzo da parte nostra... Risposta - No, nessuno sforzo. Quando tu dici: « Sí, io sono egoista », nel momento che tu dici ancora: « Voglio non essere píú egoista » tu cerchi un divenire, tu cerchi di fare qualcosa che non viene spontaneamente, ma qualcosa che è forzato. Domanda -Ma allora, che cosa dobbiamo fare? Risposta -Rendervi consapevoli. Domanda -E cioè non mentire a noi stessi? Risposta - E basta, punto. Ripeto: nella costante consapevolezza giunge la comprensione e la liberazione. Domanda -E la volontà non entra neanche in minima parte, allora? Risposta - La volontà entra in questa costante consapevolezza e basta. Non dovete con la volontà fare violenza a voi stessi. Con la volontà dovete cercare di rendervi costantemente consapevoli. Domanda - Molte volte le creature non possono costantemente introspezionarsi in quanto la vita, con le sue esigenze materiali e fisiche... Risposta - Io non ho mai detto che dovete ritirarvi dal mondo per giungere alla comprensione. Voi potete rimanere soli anche in mezzo al mondo. Se avete delle occupazioni, voi potete benissimo esplicare tutte le vostre attività, però rendendovi consapevoli. Domanda - La cosí detta « vittoria su se stessi » secondo i moralisti, filosofi, etc., come dovrebbe essere interpretata? Risposta - Io non cerco di interpretare, io cerco di farvi comprendere. Per me non esiste moralità. La moralità per l'uomo liberato non esiste. Esistono le leggi e le costrizioni per coloro che non sono giunti a questa liberazione. Domanda -Allora, « morire a se stessi » per comprendere? Risposta -Morire a se stessi significa appunto essere staccati da tutto, avere dimenticato il proprio io. Domanda -Quindi staccati anche dalla vita? Risposta Non è questo. Ripeto: voi potete essere nel mondo ed essere staccati, voi potete possedere grandissime ricchezze ma non essere schiavi di queste ricchezze, essere staccati da esse, servirvene per aiutare i vostri fratelli.

Domanda -La « Rinascita » dei Vangeli cosa significa? Risposta -Tu intendi, per quella rinascita, la resurrezione del corpo? Domanda - No. Gesú disse: « Se non rinascete », e gli Ebrei domandarono: « Come può l'uomo ritornare in grembo a sua madre? ». Risposta - Esattamente, deve rinascere ogni giorno. Questo è il giusto significato. Domanda -Comprensione, quindi, sarebbe questo rinascere di nuovo? Risposta - Sìperché voi dovete trasformare completamente il vostro essere: questa è la rinascita. Domanda - La comprensione dovrebbe essere la somma dei nostri errori, delle nostre fatiche, delle nostre delusioni? Risposta - No. La comprensione è il fiore che sboccia nel fango. 1 vostri errori, i vostri dolori debbono portarvi (e vi porteranno) comprensione. Questo è il giusto significato. Mi sono spiegato? Domanda - C'èun solo modo di intendere, diciamo cosí, l'insegnamento del dolore? Risposta - Non c'è nessun modo. Dovete comprendere. Alla base di ogni sofferenza è l'io con il proprio desiderio di espandersi (sofferenza fisica e morale). Generalmente l'uomo cerca conforto a questo dolore ed allora, ripeto, non comprende. Domanda - Quando io avessi compreso una certa cosa o tutte di me stesso ad un certo momento devo fare qualcosa per andare oltre? Risposta -No. Domanda - -Allora vuol dire che tutto questo cambiamento avviene a mia insaputa? Risposta - Sì, esattamente. Non avviene con,sforzo, ma naturalmente. La ricerca di sicurezza conduce all'affanno, alla delusione, al dolore. Nel dolore la ricerca di conforto conduce alla schiavitú, al reciproco sfruttamento. Voi non dovete essere qui per cercare conforto al vostro dolore, bensí per scoprirne e comprenderne le cause. Tutto quanto non vi fa comprendere vi illude. Ogni qualvolta voi accettate e non comprendete, vi illudete. Domanda - Allora, quando proviamo soddisfazione, quando con la volontà crediamo di aver superata una passione, quel senso di soddisfazione non è che una manifestazione di orgoglio che non si è riusciti a superare? Risposta - E' il tuo io che trionfa. Ricordati questo: « Giunge alla liberazione non chi resiste alla tentazione, ma colui che non ha alcuna tentazione »; « Cade non chi è stato tentato, ma chi non ha compreso ». Domanda - Questa comprensione e consapevolezza presuppone che noi non possiamo ingannarci, cioè credere di capire e invece non capire? Risposta - Appunto, presuppone un'immensa schiettezza da parte vostra, una enorme sincerità con voi stessi. Domanda -E quando c'è questa sincerità non ci sbagliamo? Risposta -Non vi sbagliate, purché non vogliate sbagliarvi. Domanda -Io penso, dopo tutto quello che ho sentito, che la miglior cosa sia quella di abbandonarsi completamente. Risposta - No!

Domanda - Abbandonarsi perché se ad ogni sforzo che io faccio per comprendere un qualche cosa, devo sentire l'espansione dell'io, la gioia del mio io, allora non ho mai nessun merito. Risposta - Voi siete abituati ad agire e da questa azione ad aspettarvi una ricompensa. Ecco l'errore. Voi non dovete avere delle ricompense; non siete qua per avere dei meriti o dei demeriti; siete qua per comprendere, e questa comprensione avviene quando agite senza sforzo. Però questo non significa votarsi a un cieco fatalismo, non significa questo, assolutamente no! Significa essere voi stessi, estremamente sinceri: questo significa. Cosí come vi abbiamo detto, nell'aiutare non dovete aiutare per aspettarvi una ricompensa. Ma nel momento che vi rendete consapevoli che voi portate aiuto alle creature per far godere il vostro io; non dovete in questo pensiero cessare di portare aiuto. Cosí tu non devi dire: cesso, mi riposo, ripiego su me stesso. Questo è un errore. Devi renderti vigile, costantemente consapevole, senza attenderti da questo ricompensa alcuna, senza fare questo per una ricompensa. La comprensione giunge quando voi, ripeto ancora, realizzate questa costante consapevolezza a vostra insaputa. Domanda - Tu hai parlato di amore, prima. In che ha origine, da che cosa parte questo sentimento? E' un movimento dell'io? Risposta - No! Il vero amore è insito nella stessa natura dell'uomo: è vita. Ma questo amore non fluisce, come non fluisce la vita liberata, se non liberate l'essere vostro da tutto ciò che installa, che regge il vostro io. Il vero amore non sa pensare nei termini dell'io. Mi spiego? Quando voi proverete questo amore, voi sarete fusi con tutto il resto dell'Universo con consapevolezza. Quando voi proverete questo amore non riconoscerete piú la distinzione fra mio e tuo, fra io e te, ma vi sentirete uno col Tutto. In queste parole c'è l'augurio che questo giorno per voi venga presto. Per tutti voi non esiste una condizione di tempo e di evoluzione. La liberazione può avvenire anche in questo

momento purché lo vogliate, purché abbiate sincerità con voi stessi, per poter realizzare quella costante consapevolezza che è liberazione. Domanda - Con « essere fuori da ogni ingiustizia, da ogni sfruttamento », che cosa intendevi? Risposta - L'uomo può essere oggetto di ingiustizia, può subire delle ingiustizie dai propri simili e non può sempre, in queste contingenze, chiedere che gli sia fatta giustizia. Porsi al di fuori di ogni ingiustizia, dì ogni forma di sfruttamento e di illusione, significa non essere tramite di ingiustizia, non operare l'ingiustizia né sfruttare in alcun modo i nostri simili. E' di voi stessi che io vi parlo. E' cercare di non illudersi. Non significa fare in modo che gli altri non ci sfruttino, fare in modo che gli altri non ci usino ingiustizia, ma significa appunto non sfruttare ed essere giusti verso i nostri simili. Significa abbandonare, nell'intimo nostro, quell'atteggiamento che oggi esiste di sfruttare i nostri fratelli, di approfittare dei piú buoni e dei piú servizievoli per alleggerire il peso che quotidianamente dobbiamo portare. Domanda - Fra quello che hai detto poco fa, « cominciate dal semplice e dal comodo », e quello che hai detto adesso.- « cercate dì essere giusti e di non sfruttare... » mi è sembrato che ci fosse un gradino molto alto di differenza, nel senso che se mi si dice di cominciare dal semplice e dal comodo, la cosa può non richiedere una grande evoluzione, una grande spiritualità; è una cosa che tutti, o quasi, possono fare. Ma quello di essere giusti ed altruisti con gli altri mi pare che richieda un certo grado di evoluzione, con tutto quello che questa evoluzione comporta... Risposta - Noi non parliamo qua di evoluzione; non ci interessiamo di quello che è il modo di vivere e di sentire e di operare del Maestro. Io parlo a ciascuno di voi quale è attualmente, e ciascuno di voi quale è attualmente deve cercare di essere piú giusto e non sfruttare i suoi simili, per quanto egli concepisce e riesce a vedere. Domanda - -Anche sbagliando? Risposta - Non sarà la tua giustizia la Giustizia Assoluta, perché solo chi è giunto nell'Assoluto può intendere ed operare la Giustizia dell'Assoluto. La vostra sarà certamente una giustizia relativa a voi stessi, ma è importante che l'individuo trovi questa intima intenzione di essere giusto e di non sfruttare i propri simili. Questo è importante: la purità di intenti, Se poi, per difetto di concepire in forma ancora piú pura la giustizia verso i propri simili, egli non riesce a mettere in pratica in forma più pura e piú completa questa giustizia, ciò non ha importanza. Importante è che nell'intimo suo esista la volontà di essere giusto e di non sfruttare i suoi simili.

Conoscere se stessi per comprendere che in se stessi vi è questo desiderio di sfruttare e non vi è giustizia verso i propri simili. Una volta che si è conosciuto tutto ciò, viene automaticamente sentita la necessità di essere giusti e di amare i propri fratelli. E come, forse, inizialmente non si vede in modo chiaro fino a che punto non si è giusti e fino a che punto si sfruttano i propri simili, cosí può darsi che dopo, quando si ha l'intenzione di essere giusti e di non sfruttare, ciò non corrisponda alla realtà e che in effetti si sfrutti e si sia ancora ingiusti; tutto ciò può avvenire, ma questo non ha importanza perché l'uomo è un essere perfettibile nei confronti della massima evoluzione, giacché di evoluzione voi volete parlare. t importante che in lui vi sia questa intima convinzione di essere giusto e di non sfruttare, anche se poi, all'atto pratico, in un primo tempo egli continua in qualche forma sottile a sfruttare ed è ancora, in qualche forma sottile, ingiusto. Domanda - Tu hai precisato che per noi non è questione di tempo e che la liberazione potrebbe giungere anche all'improvviso, anche dopo breve tempo. Ora questo, almeno a me, dà un certo turbamento, un certo dubbio. perché molte volte di fronte alle difficoltà che indubbiamente esistono in questo esame di noi stessi, in questa disciplina, per arrivare alla « pura intenzione », mi pare che possa occorrere anche molto tempo, delle vite intendo dire. Risposta - Noi abbiamo detto che non è questione di tempo e non amiamo parlare di evoluzione perché l'uomo cerca con ogni mezzo di non affrontare il problema; cerca, appigliandosi dove può, di aggirare l'ostacolo e non di superarlo. Cosí non vogliamo parlare di evoluzione perché immancabilmente ciascuno di voi si sentirà autorizzato a dire: « Se questa evoluzione avviene anche automaticamente, è inutile che io mi applichi, è inutile che eserciti la costante consapevolezza ». In verità vi dico che se voi non esercitate la costante consapevolezza, l'evoluzione non avviene. Non vi diciamo che è questione di tempo perché voi direste: « Se mi occorre tanto tempo, è inutile che mi affretti ». Fate sempre una cosa in vista dello scopo che volete raggiungere; ed io vi dico: conoscete voi stessi per

conoscere voi stessi, senza attendervi nessuna liberazione, senza attendervi nessun raggiungimento spirituale, senza attendervi nessun miglioramento. Conoscete voi stessi perché è ciò che potete e dovete fare; esercitate la costante consapevolezza dell'intimo vostro perché dovete essere costantemente responsabili dei vostri atti, di ciò che fate in quanto convinti che nel mondo occorre portare la responsabilità, occorre portare la giustizia, occorre portare la bontà. Solo operando nell'intimo vostro potete contribuire a quest'opera. Ma non attendetevi alcun merito spirituale; non crediate dì giungere presto a una mèta altamente morale. Tutto questo sarebbe inutile, non sarebbe altro che ulteriore illusione. Per tali ragioni noi non amiamo parlarvi di evoluzione, né parlarvi della possibilità che A problema si risolva nel tempo. Vi è stato parlato di evoluzione, vi è stato parlato di karma, vi è stato parlato dei piani di esistenza e di tutti gli altri insegnamenti onde prospettarvi un quadro generale di quello che è il Creato, di quello che è il Cosmo, onde voi poteste comprendere come le cose stanno in effetti e come non vi sia ingiustizia, ma come tutto avvenga, preciso e soppesato, nel rispetto della libertà di ciascuno e con la finalità del bene di ognuno. Ciò vi è detto per tranquillità vostra, per comprendere i problemi della vita, per comprendere le tragedie del mondo e le angosce che angustiano gli uomini. Ma ciò che dovete fare non è predisporre questi piani divini, o attuare ciò che di per sé si attua, ma operare in voi stessi. Questo e questo solo è ciò che dovete fare per aiutare a portare la bontà e la pace in un mondo migliore. CLAUDIO Abbiamo udito questa annosa conversazione. Quando Claudio parla di qualcosa, dà sempre motivo a discussioni del genere di questa sera. Sono ormai anni, del vostro tempo, da che Claudio ha cominciato a portare il suo insegnamento fra voi: un insegnamento del tutto nuovo, un insegnamento proprio adatto alla necessità dell'individuo di oggi e di domani. Un insegnamento che a questa umanità, la quale vedrà compiersi il proprio ciclo evolutivo dopo il periodo dello Spirito Santo, non era mai stato dato. Vi abbiamo parlato di molte cose: vi abbiamo parlato della costituzione dell'individuo nei vari piani di esistenza; vi abbiamo parlato persino dell'Assoluto; ma forse l'insegnamento di Claudio, benché sia tutto imperniato su una logica stretta, è stato quello meno compreso da voi. Da tempo, dicevo, egli ha cominciato a parlarvi di queste verità strettamente attinenti all'individuo all'attuale punto di evoluzione. Eppure niente è cambiato in voi né fuori di voi. Che cosa vuol dire questo? Vuol dire, forse, che ciò che Claudio dice è inattuabile? Che cosa vuol dire « inattuabile »? Vuol dire che non si può mettere in atto. Esiste però una differenza tra inattuabile, impossibile e possibile. Se voi esaminate il mondo che

vi circonda e le creature che in esso mondo sono, voi vedete che niente può essere fatto con il tocco di una bacchetta magica. Se esaminate le opere che l'uomo costruisce, voi vedete che esse sono il risultato di un paziente lavoro, preceduto da un paziente studio. Se voi esaminate ciò che la natura crea con il suo movimento, voi vedete che è un susseguirsi lento e costante di piccole opere; che un'opera stessa della natura è il risultato di un insieme di fattori, di un formarsi lento, costante, ma sicuro. Tutto questo per dirvi che l'insegnamento di Claudio, benché non lasci a sperare in una soluzione dell'avvenire, benché sproni l'individuo ad applicarsi immediatamente, non può avere quel risultato immediato che voi immaginate. Che cosa vuol dire Claudio? Vuole insegnarvi a donare alle creature unicamente per il dono in sé; vuole insegnarvi a comprendere le creature unicamente per la comprensione in sé; ad amare queste creature unicamente per amore puro, al di fuori di ogni interesse. Vuole insegnarvi a cambiare voi stessi unicamente per un mondo nuovo, non per una ricompensa, per un vantaggio che voi stessi possiate avere. Vuole insegnarvi a comprendere voi stessi unicamente per la vostra auto-comprensione; perché in questa auto-comprensione sorge la vostra liberazione, e non con il miraggio di una ricompensa avvenire, in questa o in altra vita Cosí, Claudio vi dice: « Iniziate subito e da vicino, da coloro che vi circondano, da voi stessi: cominciate a comprendere le creature ». Voi allora, armati di buona volontà, cercate di mettere in atto questo insegnamento. Alla prima occasione, quando la collera vi suggerirebbe di rispondere in malo modo al vostro fratello, ricordandovi il suggerimento di Claudio frenate la vostra collera e con un sorriso un poco sforzato cercate di rispondere in modo gentile. E questa è una volta. A questa prima volta possono succederne altre, ma dopo qualche volta vi stancate e dite: « Io sono sempre spinto dalla stessa collera, nessun cambiamento è avvenuto ed allora quello che dice Claudio non è attuabile, o più ancora, è impossibile ». Ma se noi penetriamo in profondità quello che Claudio ha detto, noi vediamo che non dobbiamo aspettarci alcun cambiamento. Fino a che aspettiamo un cambiamento non facciamo altro che perdere il nostro tempo. E' difficile (dite) fare qualcosa senza pensare a una mèta, senza pensare ad un effetto, ad un risultato; perché fino ad oggi la vostra vita è sempre stata imperniata sull'attesa di un frutto, avete mosso delle cause nell'attesa di un effetto. Ebbene, se fino ad oggi avete fatto questo, e fino ad oggi voi siete stati insoddisfatti, provate a cambiare questo vostro atteggiamento interiore, provate il suggerimento di Claudio. Donate comprensione alle creature anche se questo, all'inizio, o alla fine, sempre, o qualche rara volta, vi costa sacrificio. Ma non cessate di fare questo piccolo sforzo dopo poco. Il cambiare voi stessi è come voler perforare una dura roccia con una goccia d'acqua, abbiamo detto altra volta. Poche gocce non perforano certo la roccia, ma tantissime e tantissime gocce possono molto; e cosí voi dovete essere continuamente consapevoli di voi stessi; ecco che cosa vuol dire Claudio. Continuamente consapevoli ed impegnati in questo autocontrollo. Voi direte: « Claudio ci ha sempre detto che non dobbiamo fare le cose con sforzo » ed anche qua non è stato compreso. Non dovete fare le cose con sforzo quando queste cose, fatte appunto con sforzo, vi procurerebbero un tale squilibrio da sconvolgervi profondamente: allora e solo allora. Ma prima di arrivare a questo momento quante cose si possono fare con sacrificio? Andate incontro, quindi, alle creature che vi circondano, anche se il loro diverso carattere spesso suscita in voi una reazione tutt'altro che tranquilla. Cercate di contenere questa vostra reazione e continuate a comprendere le creature che sono vicino a voi. E tutto questo senza aspettare un cambiamento né da parte vostra, né da parte delle creature. Lo ripeto: questo cambiamento vi sarà, ma lo diciamo unicamente a titolo di cronaca. Vi sarà, ma quando vi sarà non possiamo dirlo. In taluno può essere dopo breve tempo, in talaltro dopo tanti e tantissimi anni. Ma sia in colui in cui questo cambiamento sarà a breve scadenza, sia in colui in cui questo cambiamento sarà a lunga scadenza, questo cambiamento vi sarà. Però se voi non seguite l'insegnamento che Claudio vi ha portato, questo cambiamento non vi sarà né in questa né in molte altre vite ancora. Parlando di ognuno di voi Claudio parla a tutta l'umanità, perché l'uomo ha bisogno di questa nuova verità, di questa nuova parola. Fino ad oggi all'uomo è stato detto: « Ama il tuo fratello ed avrai felicità in un'altra vita, dopo questa fisica », perché l'uomo non avrebbe compreso altre parole. Ma oggi all'uomo possiamo dire: « Ama ed aiuta il tuo fratello senza sperare che quello che tu fai possa darti un vantaggio, senza sperare che da quello che fai tu abbia un bene nell'altra vita ». L'abbiamo detto tante volte: dare per il dare in sé, senza miraggio di ricompensa. Non è difficile; diventa difficile nel momento che l'individuo comincia ad attendere una ricompensa, aspettare un cambiamento; allora si scoraggia. Se volete costruire una casa, non potete sperare di vedere costruita questa casa dopo aver poste poche pietre, è vero? Occorre un lungo lavoro di pazienza e voi dovete mettere queste pietre senza aspettarvi di vedere finita la casa; mettere queste pietre unicamente per il lavoro in sé. Quando voi avete preso questa abitudine (perché,

strano a dirsi, è quasi una abitudine) non sarà piú difficile: avrete cambiato voi stessi. Questo aiutare i vostri fratelli per l'aiuto in sé sarà entrato a far parte di voi stessi ed allora verrà il cambiamento. Ho detto poco fa che Claudio parla ad ognuno di voi e che l'umanità ha bisogno di queste nuove parole. Guardiamola un poco questa umanità. Voi vedete che l'individuo di oggi cerca di attuare i propri desideri attraverso il denaro; non è tranquillo né felice, ormai tutti lo sappiamo. E perché? Se lavora, desidera di non piú lavorare; eppure noi vi diciamo che se non avesse alcuna occupazione, l'uomo perirebbe. Per essere sereni occorre saper trovare l'equilibrio, il giusto equilibrio fra l'occupazione, o lavoro come lo chiamate, e ciò che invece può darvi un riposo psichico. Fra ciò che voi fate per guadagnarvi la vita, come dite, o da vivere, e ciò che voi fate per aspirazione. Se sapete stabilire questo equilibrio, voi avete trovato la serenità e la pace, L'uomo d'oggi è molto occupato dal proprio lavoro; in questo impegna sovente tutta la propria mente, e dopo il lavoro cerca di riposarsi o cerca di evadere o cerca un diversivo in qualche cosa che possa costituire un momentaneo passatempo senza impegnare oltremodo la mente. Ma verrà un tempo, o figli, in cui l'uomo cercherà invece qualcosa che possa avere un valore piú profondo e piú vero. Ed allora quegli insegnamenti che voi avete sentito, che voi avete udito da tempo, saranno per quest'uomo la salvezza (sia pure in forma diversa e con nuove parole), saranno il ristoro, il diversivo, tutto insomma ciò che potrà dargli forza. Se voi siete qua vuol dire che, in un certo senso, precorrete il tempo di questa umanità. E per voi le nostre

parole possono essere la forza, possono essere il diversivo, possono essere tutto ciò che può farvi trovare nella

vita un lato buono, sereno. Occorre, lo ripeto, cominciare da poco e da molto vicino Senza, ancora una volta lo diciamo, aspettarvi un cambiamento: iniziare una nuova vita interiore per questa nuova vita interiore, per questo. Con l'augurio che possiate comprendere quello che noi vogliamo significare, vi saluto e vi benedico. DALI

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La politica - Le religioni - la scienza - Le scuole iniziatiche e le organizzazioni filosofiche -

Le organizzazioni filantropiche - la verità non ha bisogno di crociati - Rimanete soli e semplici (Tappe dell'evoluzione di un individuo)-

4. Le organizzazioni ai fini dell'evoluzione spirituale

La politica Difficilmente in uno stesso paese e quasi nel medesimo tempo, sono nati tanti uomini, poi divenuti illustri, come nell'antica Grecia. Terra meravigliosa che ha dato i suoi natali ad uomini che si sono espressi incisivamente in ogni campo del pensiero umano. Di che cosa non è stata culla l'antica Grecia? Si dice perfino della politica. Cosa c'è? Perché storcete il naso? Preferireste che io non parlassi di politica? Oppure non la ritenete tanto degna d'aver avuto i suoi natali nell'antica Grecia? Eppure la si dice figlia di Platone e di Aristotele, perché di questi due grandi sono le prime opere scritte che di politica trattino. Ma di questa paternità ho i miei dubbi, perché se è vero che la politica è la « scienza del governare », non c'è dubbio che essa abbia origini assai piú antiche. D'altra parte non mi sembra neppure certo che le piú antiche opere scritte, che di politica trattano, siano da attribuirsi a quei due grandi autori che adesso rammentavo. Una cosa è certa: in ogni tempo, fare della politica ha significato usare l'arte dell'inganno. Anche quando la politica fondava i suoi principi sulla morale, in pratica, poi, era tutt'altra cosa. Per convincersene basta guardare le belle prodezze che furono compiute proprio nel periodo in cui il potere politico era, prevalentemente, nelle mani del potere religioso e quindi la politica avrebbe dovuto essere l'espressione della massima moralità. Ma dei resto era giusto che fosse cosí, perché in pratica si trattava di garantire la sopravvivenza fisica a uomini che non

erano certo disposti a lasciarsi uccidere pur di non essere costretti ad uccidere, e quindi dannoso sarebbe stato applicare principi morali tanto lontani dalla comune portata. La bella intelligenza di San Tommaso comprese la necessità dì distinguere il potere politico da quello religioso, proprio per poter giustificare le pessime azioni nonostante la proclamazione dei migliori propositi, e inconsciamente si può dire che inventò il principio di; « quella è un'altra cosa ». Principio meraviglioso! Che è rimasto in auge fino ai vostri tempi. Quante volte un comportamento diverso, in identiche circostanze, per persone diverse, è giustificato dicendo: « Ma quella è un'altra cosa! ». « Video meliora proboque, deteriora

sequor » (Vedo il meglio e lo approvo, ma seguo il peggio). Anche il sommo Dante riconobbe la necessità di distinguere il potere politico da quello religioso: ovviamente per ragioni diverse da quelle che avevano mosso San Tommaso. Il successivo passo nella storia non poteva che essere innovatore su due fronti: da una parte Marsilio da Padova ardisce affermare la superiorità dell'Imperatore sul Papa e dall'altra il buon Machiavelli asserisce che la politica deve correre su binari diversi da quelli della morale: un atto di onestà encomiabile contro il dilagare dell'ipocrisia della Chiesa, che fu massima proprio nel periodo in cui essa deteneva il potere politico. Un atto di onestà encomiabile, anche se poi, in pratica, si ridusse in un togliere ogni remora alla spregiudicata azione dei politici, e a fare della politica un faccendare ancor piú privo di scrupoli. Personalmente io trovo aderente la definizione secondo la quale la politica è la « scelta del possibile », ma non solo nella res publica, in ogni campo, anche nella sfera personale. Si spiega cosí perché certi politici si sentano autorizzati e nella legalità quando agiscono spregiudicatamente nella vita privata: applicano la « scienza della politica » nella sfera personale, perciò non deve destare meraviglia che il loro agire sia svincolato dalla morale, Del resto, applicare la propria scienza alla propria vita non è mai stato un reato. Ve la sentireste voi di condannare un chirurgo, per esempio, perché a tavola anziché il coltello usasse il bisturi? Grazie ai suoi sacerdoti, la politica è sempre stata sinonimo di attività ingannevole e furbesca - è vero? - con la quale si cerca di ottenere quello che si vuole e spesso si trasformano in gonzi quelli che, in buona fede, ancora credono alla buona fede altrui. Io non vorrei dare l'impressione di condannare la politica senza possibilità di appello, ma d'altra parte non vorrei apparire pragmatista affermando ch'essa si salva solo per quell'aspetto concreto, per le realizzazioni pratiche, tanto piú che - guarda caso - quell'aspetto potrebbe benissimo chiamarsi « sociologia ». Odo un coro di proteste: indubbiamente non sono un buon politico. Svalorizzare cosí una attività del pensiero dell'uomo, alla quale tutti possono dedicarsi con profitto, purché sappiano parlare senza dire e improvvisare! Mi si obietterà che la politica non è solo questo, c'è anche l'ideologia. t vero, c'è l'ideologia che il politico vuol far salva ad ogni costo, anche quando ormai le azioni sono esattamente all'opposto dell'idea professata. Si illude di salvarla magari applicandola alle sole ricette di culinaria.

Mi permettano una domanda, i funamboli del politicare: Quando parlando fate dell'alchimia politica, credete a quello che dite? Perché, se vi credete, io mi taccio; ma se non vi credete, perché parlate? Qual è la vostra intenzione? E' essa degna della dignità di un uomo?

Non entrerò certo nel merito di ogni singola ideologia; inutile e noioso sarebbe il farlo; mi limiterò a sottolineare un errore comune a tutte: gli aderenti ad una ideologia politica formano un raggruppamento, un partito. Nei sistemi dittatoriali, chi non condivide l'ideologia di Stato è considerato un pericolo pubblico, un nemico della patria. Nel vostro sistema democratico, chi non riesce a identificare il proprio pensiero in una delle ideologie che animano i partiti, chi giudica le cose non dall'etichetta di chi le ha realizzate, ma semplicemente da quello che esse rappresentano in se stesse, è bollato col grave epiteto di « qualunquista ». E' il sistema con cui i partiti si difendono; un sistema vecchio come la strategia militare: « difendersi attaccando ». Ebbene, io vi invito - o nemici della patria, o qualunquisti - a rilanciare, ad affermare - dando ampia facoltà di prova ai vostri accusatori - che nessuna delle categorie filosofiche del presente o del passato, nessuna scienza, nessuna religione, nessuna ideologia, nessun partito politico, possono ambiziosamente rivendicare la propria universalità, possono affermare di contenere nel loro sistema la totalità dell'uomo. Una volta, fare della politica significava creare o modificare avvenimenti a vantaggio di uno Stato. Ma, dal XVII secolo in poi, cominciarono ad abbondare i creatori di sistemi. Intanto si divise il mondo in due parti, cosí come si spacca una mela: da una parte i conservatori, dall'altra i radicali; o - per usare un'espressione del Comte - la parte dell'ordine e quella del progresso. E poi si cercò di stabilire qual era la parte che migliorava il mondo, come se non lo fossero entrambe; come se non fosse l'esperienza acquisita, unita alla volontà di rinnovamento, a creare le migliori condizioni per il progresso dei popoli.

Sostengo che di volta in volta ciò che è ricusato dall'idealismo o dal materialismo, dall'individualismo o dal collettivismo, dal naturalismo o dall'esistenzialismo, può essere essenziale a creare quelle magiche condizioni nelle quali il progresso dei popoli compie un enorme balzo in avanti. Quella nazione che troppo rigidamente vuole uniformare i propri ordinamenti ad una sola ideologia è votata alla disgregazione e alla catastrofe. Paradossalmente può salvarsi solo per la inefficienza delle sue istituzioni, per la pigrizia della sua burocrazia, per la corruzione, per l'azione dei suoi cittadini che a quel sistema non vogliono uniformarsi. Ma se questo non accade, inevitabilmente succede la catastrofe, perché non si può imprigionare la vita di un uomo, e quindi di un popolo, in un solo sistema, perché nessuno di essi rende giustizia alla intera condizione umana. Come saggiamente pensò Aristotele, nessun governo, nessuna politica possono ispirarsi ad una sola ideologia. Quando il capitalismo - che già ha salvato dalla letargía feudale -soffoca l'uomo in obbedienza al cieco principio del profitto economico, la salvezza viene dalle idee socialiste; ma quando lo Stato e le sue istituzioni fossilizzano e la troppo diffusa ricchezza produce sperpero, un ritorno al rigore economico del capitalismo si impone Una società armoniosa ed equilibrata non può che fondarsi su una completezza di sistemi, tale da rendere giustizia ad ogni circostanza, in cui vi sia spazio per l'eresia e per l'ortodossia; per la ribellione come per il conformismo. Ogni partito, ogni ideologia, mirano a esaltare e moltiplicare gli stimoli che l'ambiente ha sull'individuo e tengono invece in nessun conto gli impulsi interiori dell'uomo, l'autocontrollo. Ogni partito, ogni ideologia promettono beni materiali, istituzioni sociali, una vita piú facile e piú giusta; ma quale partito, quale ideologia lavora per un uomo intimamente nuovo? Tutti promettono qualche cosa che si fonda sul valore dei sensi, tutti parlano di una diversa organizzazione della società, mentre quella che occorre è una nuova coscienza individuale. Può, questa, venire dalla politica? Se è vero che un solo sistema non sarà mai sufficiente a contenere tutte le occasioni diverse e contraddittorie della vita di un popolo, né due, né cento sistemi potranno mai dare quello che l'individuo, il singolo deve trovare personalmente: la coscienza individuale e quindi la coscienza sociale. La politica può solo indurre i cittadini ad una simile conquista: indurre, non di piú. Intimamente lo sapete, ma fate finta di ignorarlo perché sperate di gettare il peso della vostra stessa rigenerazione sulle spalle di un salvatore, di un dittatore o di un governo: legalità corrotte o corruzione legalizzata. E se il dovere di ogni buon governo, in fatto di politica interna, è quello di indurre i cittadini a migliorarsi, ad arricchirsi interiormente oltre che a creare migliori condizioni di vita, ad impedire ingiustizie e sperequazioni - la politica estera non può essere volta ad ottenere tutto questo soffocando altri popoli ed altre nazioni. Checché ne dica il buon Machiavelli, il futuro della politica corre su binari che riconoscono e rispettano i diritti di ogni uomo e quindi di ogni popolo. Se questo si chiami « moralità », non lo so, né mi interessa il saperlo. So solo che diversamente da cosí non sarebbe giusto agire da nessun punto di vista, neppure dal semplice punto di vista della sopravvivenza dell'umanità. Come è giusto che, in una società giusta, ad ogni individuo vengano riconosciuti gli stessi diritti, indipendentemente dal suo nascere in una famiglia o l'altra, dal suo ricoprire una carica o l'altra, una posizione o l'altra, e ciascuno abbia la possibilità di realizzarsi, assistito dalle istituzioni sociali; cosí non sarebbe giusto, e non è giusto, che esistano popoli e nazioni sottosviluppati o, peggio ancora, che paghino con la loro miseria il benessere di altri. E se vi sono degli uomini in buona fede che credono che questi ideali possano essere raggiunti dalla politica, e vivono dimenticando se stessi, protesi a questi loro ideali, essi sono i veri politici, degni del massimo rispetto e della piú grande ammirazione. Volentieri io bacio la terra da loro calpestata. Ma non posso non rivolgermi a quelli che in buona fede non sono, ai falsi politici, per dire loro: « Voi che avete ricevuto un mandato dalla collettività e di esso vi servite per il vostro tornaconto; voi che usate il potere per fini egoistici, che profumatamente fate pagare quello che gratuitamente avete ricevuto; che caricate di peso gli altri senza portare neppure una piccola parte di quel peso; che facilmente e generosamente promettete - perché è facile promettere quando non ci si fa carico di mantenere -; voi siete in tutto simili a chi opera la magia nera. Voi che favorite chi può favorirvi, che adulate chi può danneggiarvi, che nella propaganda dei giusti principi celate la vostra corruzione, la faziosità, la parzialità; voi siete in tutto simili ai falsi profeti operatori di iniquità. E voi che, nascostamente agli occhi degli uomini, manovrate la violenza nel mondo, non vi illudete di rimanere sconosciuti a Chi sa quanti sono i capelli sul vostro capo e ha contato le cellule del vostro corpo e conosce perfino i vostri pensieri piú riposti! Udendo queste mie parole, voi certo sorriderete. Una cosa è sicura: fra venti, trent'anni, voi come uomini sarete cenere, ma i vostri crimini rimarranno ad accusarvi. E mi rivolgo anche a voi, giovani popoli; simili a voi, giovani militanti politici in buona fede, mandati allo sbaraglio come carne da prima linea per spedizioni punitive; siete sicuri di non essere ingannati da chi vi aizza? Siete certi di seguire, di servire il vostro ideale? Perché, quando si tratta di aiutare il prossimo non è lecito chiedersi nulla, ma si ha il dovere di domandarsi tutto quando lo si può danneggiare.

E infine voi, poveri cristi, ai quali è stato carpito il voto con la promessa di far cessare la vostra condizione di subordinazione e di bisogno; che avete dato fiducia e siete stati traditi, non abbiate rancore per chi vi ha ingannato, per chi cerca nella vostra debolezza, nel vostro stato di necessità la propria forza, la propria affermazione. Considerate costoro per quello che sono. In verità vi dico ch'essi sono assai peggiori di chi ruba le cose sacre. Ma neppure voi siete alieni da responsabilità, perciò non compiangetevi. Perché aspettare la rivoluzione per tendere piú semplice la vostra vita? 0 il razionamento, per liberare il vostro vivere del superfluo? Perché attendere il peggio per ispirare il vostro agire alla solidarietà? 0 altre guerre, per capire che una società, un popolo, una civiltà che si fonda sulla corsa al potere, al guadagno, ad ogni forma di vantaggio materiale, è un tradimento dell'umanità?

Questi interrogativi pesano sulle vostre coscienze: ignorarli significa rendere inevitabile il peggio. Chi ha orecchi, intenda.

KEMPIS

Ogni uomo, in cuor suo, auspica l'avvento di un mondo migliore. Perché questa aspirazione non si trasformi in una utopia, è necessario che ognuno si domandi che cosa fa per realizzare questo suo ideale e farlo diventare realtà operante. La risposta che viene data ad un simile interrogativo è essenzialmente elusiva: generalmente si dice, si crede, che rendere migliore il mondo sia compito dei governanti, di chi guidi le sorti dei popoli. Mai come in questo periodo è stato chiaro che ogni popolo ha lo Stato che si merita e che -ognuno è il protagonista della storia che vi attende; ognuno quindi è responsabile della situazione mondiale. Se non solo accettate la corruzione che gli scandali rendono di pubblica ragione, ma la interpretate come una sorta di autorizzazione ad essere corrotti; se trovate calzante per la vostra persona una società basata sul valore dei sensi, sul nazionalismo, sulla destra e sulla sinistra; se trovate logica l'esistenza di religioni diverse; se perdete ogni sentimento di umanità e la responsabilità che al massimo riuscite a sentire è verso la parte politica in cui vi riconoscete, è inutile che speriate in un mondo migliore. Se scusate e coprite gli errori degli appartenenti al vostro partito, alla vostra consorteria; se giustificate l'esistenza dell'oppressione, del rancore, della crudeltà; se considerate necessaria la tortura e la brutalità; se pensate ai vostri simili in termini di discriminazione, voi non lavorate per un mondo migliore. Anzi, siete responsabili di tutto quello che simili premesse non possono che far ricadere sulla umanità, e vana rimane la vostra speranza. CLAUDIO Vedete, figli, noi non vogliamo recarvi conforto, né dipingere a fosche tinte il vostro avvenire. Vogliamo richiamarvi alle vostre responsabilità, ad una critica costruttiva, non depressiva e fine a se stessa. Gli eventi della storia che state vivendo lavorano nella nostra stessa direzione e vogliono indurvi a meditare, a comprendere che non basta creare organizzazioni che si prefiggono la fratellanza dei popoli, la soluzione pacifica delle controversie fra le nazioni, l'eguaglianza degli uomini, se poi, nei singoli, manca quel prezioso fermento interiore che, in questi termini, fa loro sentire la realtà.

Non basta creare istituzioni per difendere i diritti degli oppressi, se poi gli uomini si servono di queste istituzioni per non fare neppure piú i loro doveri elementari. Non basta propagandare principi umanitari se mancano nell'intimo di ognuno; perché se manca nell'intimo di ogni uomo ciò che si vuol raggiungere esteriormente, vana rimane la speranza.

Abolite pure il concetto di nazione, i confini, le lingue, le razze, le religioni e tutto quanto possa servire di appiglio per considerare un uomo diverso dall'altro, per originare affermazioni di principio circa la superiorità dell'uno sull'altro; e cento altri appigli si creeranno per dividere, classificare, diversificare. L'appartenenza ad un partito, il grado di istruzione, non sono forse nuovi appigli, nuovi pretesti di suddivisione che vanno a sostituire quelli che faticosamente, in parte, si è riusciti a cancellare? Tuttavia, se il retto comportamento di ognuno non può ridursi ad un fatto esteriore, ma deve fondarsi sull'intimo convincimento che nessuno ha diritto di costruire la propria felicità sul dolore dei propri simili,

questo non significa che quando manchi questo intimo convincimento, all'esterno non vi sia nulla che in

qualche modo non supplisca, non colmi un tal vuoto interiore. Certo che la mancanza di sentire la realtà in termini altruistici può minare e financo vanificare ciò che le istituzioni filantropiche si propongono; ma sarebbe un errore sostituire ciò che non è perfetto con il vuoto. Noi abbiamo sempre proclamato la nostra avversione ad ogni forma di organizzazione, soprattutto perché gli uomini prendono a pretesto l'organizzazione per non fare piú quello che è loro dovere personale; per scusare - di fronte a se stessi - la loro mancanza di anelito verso i propri simili, la loro mancanza di senso di aiuto ai propri simili, rimandandola, trasferendola alla organizzazione. Le nostre parole hanno un senso nel richiamarvi - come ho detto - alle vostre responsabilità; nel farvi comprendere che la giustizia, l'efficienza, la rettitudine, possono essere realizzate nella società se prima di ogni altro, e prima di ogni altra cosa, voi siete retti, efficienti e giusti; perché a nessun altro, se non a voi stessi, spetta portare questi valori nel mondo; nessun altro, se non voi stessi, può efficacemente farlo.

DALI

Le religioni

Parlare di religione in un tempo in cui questo termine ha assunto un significato che oserei definire contrario al progresso e all'emancipazione dell'uomo, può sembrare vano, se non addirittura dannoso. Tuttavia, anche restando in una simile severità di giudizio, non si può disconoscere che le religioni hanno costituito un tessuto sociale di grande valore. Naturalmente mi riferisco piú alle religioni che predicano le buone relazioni fra gli uomini, che a quelle che si limitano a cercare un rapporto fra l'uomo e la divinità. Le religioni primitive, per esempio, con una serie di riti e di prescrizioni cercano di instaurare un rapporto fra gli individui e gli Dei; ed anche questo, in una certa misura, costituisce un supporto sociale; ma non cosí importante come quello costituito dalle religioni che fanno dell'amore al prossimo, dell'aiuto reciproco, della solidarietà, un comandamento primario. Ciò non significa che le religioni, in senso assoluto, conoscano una graduatoria d'importanza, che certe siano piú importanti di altre. Ciascuna ha un suo contenuto che è valido per gli individui che la seguono. Ciascuna serve ad impostare in determinato modo le esperienze dei propri fedeli. Se si confrontano le varie religioni, si scoprono grandi punti di contatto, ma anche sensibili differenze di principio. Sul piano personale, ciascuna può piacere piú o meno, ma è certo che ognuna di esse ha un particolare contenuto, ed è quello che imposta in una certa maniera le esperienze dei propri fedeli, esperienze valide per la evoluzione spirituale. Il punto centrale del mio discorso è che se gli uomini pratici, positivi, razionali, vogliono considerare le religioni fra le cose ormai superate, in un tempo in cui tutto deve essere sostenuto dalla logica e giustificato dall'utilità pratica, non c'è dubbio che quella parte di quelle religioni che predica l'amore al prossimo, la solidarietà, lo scambievole aiuto, conserva valore ancora oggi; è ancora attuale rispetto ad altre parti che si limitano ad affermare principi di fede. Per esempio: l'assunzione al cielo della madre di Cristo: un cattolico vi crede, anzi, deve credervi, ma questo non ha un riflesso diretto nella costruzione della società, a meno che il cattolico non imbracci il fucile per difendere la sua fede. Se invece parliamo di principi, a cui ora ho accennato, di solidarietà fra gli uomini, di aiuto reciproco, parliamo di principi che conservano una utilità pratica ancora nella vita d'oggi. Perciò le religioni che quei principi predicano come di primaria importanza, debbono essere rivalutate e, con esse, noi che degli stessi

principi vi parliamo. Ma il nostro è forse un dire e ripetere le cose già ripetute da centinaia e centinaia d'anni? L'insieme di principi etici, imposti in nome di una autorità spirituale e con la minaccia di un castigo - cioè senza farne comprendere la ragion d'essere per il singolo e per la collettività - ha determinate tutte le alienazioni di cui è piena la storia. Il « non fornicare » di Mosè, imposto senza comprenderne la ragione ed i limiti, ha determinato le nevrosi sessuali che secondo Freud - sono la causa unica dell'umana crudeltà e ferocia. Ma l'uomo ha il dovere di farsi delle domande logiche, anche in una materia irrazionale come quella religiosa, e di chiedersi se veramente tutto il problema religioso, per l'individuo, può risiedere in una scelta individuale. Perché - vedete - finché si tratta di fare o non fare qualcosa, allora la volontà individuale può essere determinante; ma quando si tratta del desiderio - come il non desiderare la roba d'altri, non desiderare la donna d'altri - la volontà può servire solo a non tradurre in pratica il desiderio; ma il desiderio rimane. Eppure noi affermiamo che l'uomo può superare i propri desideri egoistici. Diversamente da cosí, i grandi destini spirituali a cui è chiamato l'uomo dovrebbero identificarsi in un atteggiamento esteriore, in un altruismo costruito, artefatto, e l'uomo rimanere invece, nel suo intimo, un pozzo di egoismo. Ma l'amore al prossimo del Cristo non può essere inteso come un mostrarsi agnelli e rimanere, nell'intimo, lupi feroci. Si è altruisti quando si « sente » in termini di altruismo, non quando ci si comporta come tali. Il comportarsi e non essere crea tutte quelle nevrosi che affliggono il singolo e la società. Ebbene, noi vogliamo aiutarvi ad

« essere ». Oggi, specialmente, voi che ci ascoltate e ci accettate, non è piú sufficiente che abbiate un « comportamento » altruistico; è necessario che trasformiate il vostro intimo tanto da « essere » altruisti. Le leggi e le imposizioni dall'esterno non servono piú a imbrigliare l'egoismo dell'uomo; perciò è indispensabile che ognuno modifichi se stesso, se non vuole che la società diventi un triste spettacolo di indifferenza, crudeltà, insensibilità. Ma soprattutto è importante che questa trasformazione avvenga in un modo del tutto semplice e non alienante. Allora, se utile è seguire il comandamento che affratella gli uomini, ancora piú utile sarà seguirlo serenamente, nell'armonia interiore, liberi da ogni violenza a se stessi. Lo scopo per il quale veniamo fra voi non è quello di ripetere i fin troppo ripetuti « ideali morali », ma quello di portarvi una parola nuova, semplice, efficace e, soprattutto, che si realizzi per ognuno quello che, per secoli, è stato conquista di pochi. Vogliamo illustrarvi a grandi linee e citando brani di libri sacri, come si ritrovino nelle religioni dei popoli che ebbero una civiltà notevole quelle verità che noi vi abbiamo piú volte insegnato. Queste religioni furono la base di ogni elevato pensiero filosofico-religioso dei grandi Maestri, sul quale poi l'ignoranza dell'uomo ha intessuto fantasiose aggiunte. Riassumiamo questi principi, queste verità che, con lievi differenze, riaffiorano in tutte le religioni: - una unica esistenza eterna, infinita, incommensurabile, dalla quale è proceduto tutto il creato; - la triplice manifestazione di questa esistenza detta anche Trinità; - la legge di causa ed effetto, vigente nel mondo emanato, in conseguenza della prima causa-effetto della creazione: la volontà creatrice è la causa - l'immediata emanazione dell'universo è l'effetto; - la legge di evoluzione; - la trasmigrazione delle individualità in piú corpi, intesa come mezzo di evoluzione.

Gli Atlantidi ebbero rapporti con molti popoli abitanti di terre limitrofe e lontane. Prima che questa civiltà terminasse il suo ciclo evolutivo non pochi avevano attinto alla saggezza di quella razza. I Turani furono fra questi e su ciò che presero da Atlantide sorse e si fondò la vasta civiltà cinese. Il Ching-Chang-Ching, o Classico di purezza, che come ogni testo sacro di remota data è attribuito non concordemente allo stesso autore, conserva brani antichissimi ed autentici rispetto alla sua prima stesura del tempo di Atlantide. Leggiamo alcuni passi per vedere quale idea se ne rispecchia della Divinità: « Il vero Tao non ha forma né corpo, ma produce e sostiene ogni forma ed ogni corpo. Il vero Tao non ha nome, ma conserva e nutre tutti i nomi (ovverossia tutte le cose); passa e passando diventa remoto, e, diventando remoto, ritorna. Il Tao si manifesta come puro e torbido, ed ha moto e riposo. Tao produsse uno, uno produsse due, due produsse tre, tre produsse le cose; tutte le cose si avanzano ad abbracciare la luce dalla quale sono emerse. Il Tao pervade ogni cosa e può essere riconosciuto nelle cose piú piccole come nelle piú grandi ». Per quanto concerne l'evoluzione è detto: « Colui il quale libera l'essere suo dal desiderio egoistico, ottiene l'unione consapevole con l'Uno; colui che ha l'assoluta purezza entra nel vero Tao ». Il concetto di reincarnazione non si trova così chiaramente espresso benché, se non si pensasse che la reincarnazione e la legge di causa ed effetto sono sottintese, nessun nesso logico si troverebbe nei testi sacri di questa religione. Lo troviamo piú chiaramente espresso in una saggia storia dove si domanda ad un moribondo: « Che cosa farà di te ora il Creatore? Sarai topo o insetto? ». Questo per mostrarvi che reincarnazione e karma (karma = legge di causa ed effetto) sono sottintese in tutto l'insegnamento di questa religione, in quanto la condizione della nuova vita viene determinata dopo la morte secondo le esperienze della vita trascorsa. Molte aggiunte, mutilazioni ed errate interpretazioni contano i testi sacri di questa religione; per esempio sappiamo che, per la legge di evoluzione, chi è giunto all'incarnazione umana non potrà mai reincarnarsi in

una forma animale; pure, all'attento studioso ancora oggi si mostrano in modo inequivocabile le basi dell'antica Sapienza. La religione Brahamanica, la piú grande delle Ariane, ha in sé chiaramente espresso il concetto di Dio inteso come unica esistenza eterna; similmente la Trinità (Trimurti). La legge di evoluzione e quella di reincarnazione ne fanno parte integrante e sono espresse ed insegnate exotericamente come in nessun'altra religione. Non v'è bisogno quindi di citare i testi sacri se non per riconoscerne la bellezza e la dovizia morale, né v'è bisogno di mostrare l'identicità dei principi di questa religione con il nostro insegnamento. Leggiamo insieme alcuni brani del Mundaka-Upanishad ed assieme ne converremo: « L'intelletto purificato dalla conoscenza conosce e contempla Brahama. Chi conosce Brahama diviene Brahama ». E a proposito di Brabama, o Altissimo: « Presente ogni dove, grande dimora entro la quale si rilassa tutto ciò che vive; piú sottile di ciò che è sottile; entro il quale sono i mondi con i loro abitatori. Egli è l'imperituro Brahama ». E in altro testo: « Oltre gli universi, Brahama l'eterno, l'indivisibile, l'immutabile, nascosto a tutti gli esseri inversamente alla loro evoluzione, il Signore conoscendo il quale si diviene immortali, l'unico respiro di tutti i mondi, l'eterno giovane, l'anziano degli anziani, l'anima dei mondi, che è chiamato non nato, che è chiamato eterno ».

Notando la cristallina chiarezza e veridicità di questi testi viene fatto di pensare che gli appartenenti a questa religione siano fra i piú illuminati ed evoluti. Ma se il popolo non ha compreso questa cristallina bellezza ed ha travisato la verità tanto da trasformarla in superstizione e da divenire fanatico, non dobbiamo meravigliarci. Questo avviene anche in Occidente; anzi, mentre i santoni Indú cercano di illuminare le menti dei fedeli, non altrettanto si può dire di certe altre autorità religiose. La chiara esposizione della Verità non è determinante per l'individuo se non al fine di farlo capire, comprendere ed assimilare, ovverosia « evolvere ». Nella Grecia, terra dove videro la luce saggi uomini, variamente fu espresso il pensiero filosofico-religioso; ma se diversi furono i modi di esprimersi, non cosí le basi sulle quali ogni grande mente imperniò la sua filosofia. Anche secondo la teologia di Orfeo, tutte le cose hanno origine da un immenso principio divino al quale noi, per nostra ignoranza, diamo un nome considerandolo come una personalità extracosmica. t pure riconosciuta l'esistenza della Trinità intesa come Spirito universale, Anima o Coscienza universale, Mente universale. Gli Orfici credono nella reincarnazione e nella legge di evoluzione in quanto l'uomo, avendo in sé potenzialmente la somma e la sostanza di tutto, attraverso la trasmigrazione mette in atto ciò che ha in potenza. Pitagora insegnava la reincarnazione assieme al moto solare concentrico. Noi vi abbiamo spiegato altre volte la matematica mistica di questo Grande; vi abbiamo svelato cosa Egli intendesse per unità, trialità e via dicendo. E per fare altri nomi, Platone, Ammonio Sacca con i neoplatonici e analogisti. Empedocle insegnava dottrine di trasmigrazione ed evoluzione. Plotino predicava una dottrina identica a quella dei Vedantini, cioè che l'anima, emanata da un unico principio divino, sarà, dopo il pellegrinaggio sulla terra, ricongiunta a questo. Porfirio, oltre che aver raccolto gli scritti del suo maestro Plotino, fu lui stesso autore condividendone la fede e il pensiero. Molti altri ancora potremmo citare, se questi nomi non bastassero. CLAUDIO La religione Buddhista è divisa in molte sette, perché è molto difficile conservare l'essenza delle antiche credenze. Se non esistesse questa difficoltà il Maestro Buddha non sarebbe disceso fra noi. Egli era un Indú e non venne per fondare una nuova religione, ma accettando tutti gli insegnamenti fondamentali del Brahamanesimo lo purificò, scartò ignoranti aggiunte in modo che l'antica sapienza rifulgesse della sua vera luce. Benché molte siano le sette Buddhiste, tutte però concepiscono Dio come Assoluto. Nella religione Buddhista è ritenuto importante che alle creature, ai discepoli, sia ben insegnato. Infatti Buddha dice: « Quelle creature alle quali sia stata bene insegnata la legge, e da esse sia stata bene assimilata, possono raggiungere l'altra riva dell'esteso mare delle nascite e delle morti, tanto difficile da attraversare ». La Trinità non è insegnata cosí unanimemente, ma questo dipende da una degenerazione e non dall'insegnamento di Buddha. Invece, reincarnazione, evoluzione, legge di causa ed effetto - legge karmica, sono la base fondamentale di tutto il Buddhismo. Per illustrare ciò basterà citare pochi passi di un testo sacro:

« Un Brabama è un illuminato che ha posto termine alla ruota delle nascite e delle morti. L'individuo saggio, con l'amore, la virtú, la purezza, si rende immune da ogni attacco. Coloro che serbano rancore contro quelli che serbano rancore, non possono essere puri. Invece colui che non serba rancore placa quelli che odiano, e siccome l'odio porta alle piú grandi miserie del mondo, il saggio, vero dispensiere di ricchezza, non può odiare. Vincere la falsità con la schiettezza ». E' sottinteso che quel « vincere » della citazione non sta per « reprimere », ma per fare cessare d'esistere, avere dominio in te Buddha, come gli altri Maestri, ha portato la Verità e gli uomini l'hanno travisata. Vuoi sapere, fratello caro, chi insegna la Verità? Va' per esclusione; comincia a scartare colui che crede di essere il solo a professarla, perché chi conosce la Realtà sa che essa non ha bisogno né di difensori né di imbonitori. Quando un tuo fratello è pronto a riceverla, puoi anche celare la Verità, ma egli la troverà e la riconoscerà sicuramente. Orn Mani Padme Hum. FRATELLO ORIENTALE Volgiamo lo sguardo all'Antico Egitto per trovarvi un'altra Civiltà. Anche dalla non copiosa letteratura sacra di quella civiltà che ci è rimasta, possiamo comprendere il pensiero religioso di quel popolo. Dai documenti di piú remota data sappiamo che gli Egiziani credevano nella Trinità: Rha, Osiride-Iside, Oro. Ricordando l'inno a Rha noi comprendiamo quale idea avevano del Divino: « O Tu, produttore degli esseri, noi adoriamo l'anima che Tu emani: Tu ci generi, o Inconoscibile; Te salutiamo, adorando lo spirito che discende da Te e vive in noi ». Dal frammento del Libro dei morti sappiamo che gli egiziani credevano nella reincarnazione secondo una legge di evoluzione, cioè sino al congiungimento dell'anima umana con il centro del Tutto, attraverso la peregrinazione sulla Terra. Tutto questo è lapalissiano ed è inutile illustrare ciò che di per se stesso è già chiaro. Dallo splendore dell'antico Egitto alla sua decadenza, alle dieci piaghe, attraverso la liberazione dalla schiavitú, fino ai prodromi della nuova civiltà: quella Ebraica. Interessiamoci del pensiero religioso di questo popolo secondo il particolare punto di vista che ci permette questo incontro. Nei libri exoterici, dalle scritture exoteriche della religione ebraica non si trovano chiaramente espresse queste Verità; le troviamo invece nella Kabbala, o libro esoterico, lo studio della quale non è oggi ritenuto vantaggioso. Al contrario, diciamo noi, poiché in essa è insegnata la dottrina dell'Uno, della Trinità. « L'Anziano degli Anziani, l'Anziano dei giorni - è detto - non ha forma, ma ha anche forma: ha forma in quanto l'Universo è sostenuto a mezzo di essa; non ha forma in quanto non può essere contenuto ». Ed infatti ciò che è infinito non ha forma. « In nome dell'Uno che nei cieli generatori prende l'Universo stesso come sua forma », diciamo noi, e continuando: « ... quando all'inizio dei tempi prese forma (ovverosia iniziò questo ciclo di manifestazione universale) partirono da Lui dieci luci (le tre della Trinità e le sette del Settenario) le quali tutte insieme formano i dieci sephiroth o attributi divini ».

Nello Zohar si dice che tutte le anime sono soggette a rivoluzione o metempsicosi: « Gli uomini non sanno come furono giudicati quando lasciarono il mondo e prima che venissero ». Tutto l'insegnamento esoterico di questa religione si basa su quei princípi insegnati da ogni grande Spirito. Sulle parole dei Maestri gli uomini hanno fondato le loro Chiese, cosí come se su una vera opera d'arte architettonica fosse stato edificato un pessimo barocco. Ma l'attento studioso saprà riconoscere ciò che è buono da ciò che è inutile, dimostrando ancora una volta l'immortalità e l'indistruttibilità del Reale. L'intuizione è una forma di conoscenza che non rivela delle astrazioni, ma una realtà, o, addirittura, la Realtà. L'intuizione è una forma di conoscenza per identificazione. Questo discorso però non deve farvi credere erroneamente che la conoscenza di Dio sia riservata ai soli temperamenti mistici, perché il misticismo - come affermava Hegel - è un atteggiamento irrazionalistico che antepone l'intuizione al procedimento discorsivo. L'intuizione è una forma di conoscenza che è a disposizione di ogni essere. Un altro errore diffuso è quello di credere che l'intuizione avvenga senza alcuna partecipazione del soggetto, mentre è anch'essa un effetto che si produce ogni qualvolta il soggetto consapevolmente o no, piú sovente inconsapevolmente - si pone nelle condizioni atte a riceverla; cioè muove la causa che la provoca. Il primo atto di questo processo si chiama porre attenzione, come per ogni forma di conoscenza. La conoscenza intuitiva che ci rivela « le cose che sono sopra di noi », per usare l'espressione di Plotino, è piú ricorrente nel misticismo che non nei temperamenti razionali, perché il mistico cerca un rapporto diretto ed individuale con la divinità. libero dai condizionamenti della ragione, e in questo modo mette in moto quel processo che si conclude con l'intuizione: nel suo caso, con l'estasi. Il temperamento razionale, invece, raramente si rivolge a Dio in termini di conoscenza, perciò le sue intuizioni riguardano altre realtà; ciò non toglie che anche i temperamenti razionali possano avere delle estasi. E se l'esperienza estatica non è esclusiva del misticismo, allo stesso modo il misticismo non necessariamente è legato alla religiosità. L'uno e l'altro sono atteggiamenti diversi. Il misticismo e la religiosità sono invece confusi, nella comune considerazione, perché tanto nell'uno che nell'altra si cerca un rapporto con la divinità; ma mentre il mistico può non essere legato ad alcuna particolare credenza religiosa, nel religioso v'è un attaccamento al complesso di credenze e di atti di culto che costituiscono una religione. Inoltre, nel religioso, può non esservi alcun vero afflato mistico. Non va tuttavia dimenticato che i fondatori e i riformatori delle grandi religioni erano essenzialmente dei mistici che hanno cercato di tradurre nel linguaggio e nei concetti le loro estasi; e siccome queste sono intraducibili in un simile linguaggio, ne sono risultate delle espressioni incompiute e inadeguate. L'essere come tale non è caratterizzabile: l'Assoluto non è riportabile nel mondo relativo. Su queste espressioni incomplete e inadeguate, gli uomini hanno costruito le loro religioni dimenticando anche, fra l'altro, che chi ha cercato di tradurre in parole la propria, o le proprie, estasi, inevitabilmente lo ha fatto servendosi dei mezzi che la sua cultura gli metteva a disposizione. Ecco perché le dottrine religiose sono traduzioni in parole e perciò in simboli - di un'estasi. t chiaro che una coscienza estatica, estrinsecata anche nel migliore dei modi, perde il suo carattere autentico; e l'autenticità di una siffatta operazione può risiedere solo nel tentativo di comunicare - e perciò di tramandare - la Verità rivestendola di parole e di simboli per chi non sia in grado di comprenderla da sé. Chi si accosta ad una religione, per quanto illuminata possa essere ritenuta, deve tenere presente questa impostazione iniziale, per evitare di confondere il carattere simbolico della tradizione con la Realtà.

Le tradizioni religiose sono favole, che consolano, infondono coraggio a chi non ha coscienza di riscattarsi dalla schiavitú del mutabile e del contingente. Con questo non intendo dire che niente di valido e di vero vi sia nelle religioni. Oltre all'utilità, alla quale adesso ho accennato, non c'è dubbio che ciascuna contiene un frammento di Verità, adombrato con differenti formulazioni, perché differenti sono gli ambienti culturali nei quali le religioni si sono sviluppate. Se chi si accosta ad una religione tenesse presente tutto questo, molto probabilmente le religioni cesserebbero di essere causa di incomprensione e di divisione fra gli uomini. Ogni religioso deve tenere presente che la religione non è nata per l'odio fra gli uomini, ma per il loro amore. E deve tenerlo presente per evitare che all'aspetto negativo derivante dal carattere incompleto delle dottrine religiose, si aggiunga il danno di fautori fanatici di esse. Certo non intendo parlare degli errori dei religiosi laici ed ecclesiastici, l'atteggiamento dei quali religiosi è essenzialmente di due tipi: nel primo tipo la religione è considerata come qualcosa da tenere presente in una piccola parte della giornata, o addirittura della settimana; il secondo atteggiamento, invece, deriva dal fatto che siccome le dottrine religiose non si interessano dell'aspetto pratico della vita - ed è giusto che sia cosí, perché per questo vi sono particolari scienze e discipline - ciò è interpretato da certi religiosi come se l'uomo fosse chiamato ad odiare il mondo. Vorrei ricordare - particolarmente ai religiosi - che l'uomo non deve amare piú le proprie opinioni della Verità; e, ai non religiosi, che lo scopo della vita non è quello di godere il mondo, ma quello di istruire, educare l'individuo. Se la religione deve avere un posto ed un significato, nel mondo di oggi, deve insegnare l'unione dell'uomo con la natura, con i suoi simili e con l'Unico Essere. Deve far capire che ciò che può unire gli uomini, piú che una comune origine, è una comune mèta. Deve farsi piú intima e piú universale, sbarazzandosi del superfluo e riportandosi alle Verità fondamentali della fede. Deve affermare il primato dello spirito sulle forme esteriori e sulla adesione dogmatica ad una formula. Deve accogliere tutti gli uomini, perché il vero spirito religioso non imprigiona, non divide, ma, anzi, sviluppa un più significativo atteggiamento nei confronti dei propri simili e della vita, che libera dalla schiavitú della dipendenza e dell'ignoranza. Deve cessare di vantare l'esclusività della propria verità. La violenza con cui certe dottrine e certe fazioni religiose si vogliono imporre nella storia costituisce fonte di grandissime calamità. Ma le dispute religiose cesserebbero se gli uomini comprendessero che alla base di tutte le religioni c'è una stessa Verità, come alla radice di tutti gli « esseri » sta una medesima identità. Ed è importante che le dispute religiose cessino, perché ciò starà a significare che l'uomo ha trovato dentro di sé la guida al cammino che deve compiere, vanificando cosí tutte le organizzazioni religiose. KEMPIS

La scienza Per non correre il rischio di essere noioso sarò paradossale, ma quanto lo sarò, in effetti, lo giudicherete poi voi. Signori, in piedi. Squillino le trombe, rullino i tamburi! Entra Sua Maestà la Scienza! Verbo magico, onnipotente! Salvacondotto reale che apre ogni porta, imprimatur senza il quale la verità non è vera e la falsità non è falsa. Che cosa non è consentito fare in nome della scienza? L'illecito per essa non esiste; miracolosamente tutto ciò che tocca, come Mida, lo trasforma in oro. No! Non vi sforzate di trovare motivazione alla sua tracotanza: essa stessa è la ragione, perché è ragione di sé medesima. Che cosa aspettate a tirare giú dagli altari le immagini delle vostre consunte divinità e a sostituirle con la scienza? Chi potrà donarvi la tranquillità, la serenità, risolvendo tutti i vostri problemi e risparmiandovi ogni fatica, se non la scienza? Pensate voi che meraviglia! Tramite le sue applicazioni vi avanzerà tanto tempo libero che, se non vi soccorrerà la vostra vita interiore vi annoierete a morte! Su chi poggiate le vostre speranze in un avvenire migliore, se non nella scienza? E’ un'utopia sperare nella bontà degli uomini, nella fratellanza dei popoli, nell'onestà dei governanti. Chi crede piú a queste favole? Solo nella scienza è posta ogni speranza, dimenticando che ogni sua scoperta può essere usata per il bene e per un piú grande male. Ma che cos'è questo Nume tanto invocato? Un complesso o il complesso - delle cognizioni su un determinato ordine di fenomeni; un sapere organico - secondo Aristotele - fondato sulla esperienza e costruito con la ragione. Mio nonno, che faceva il cuoco, era un grande scienziato. Perché ridete? La culinaria è una scienza piú che un'arte. D'accordo, ho capito: volete cominciare con i « distinguo », volete essere piú realisti del re? Volete porre nel regno delle scienze solo quelle che studiano certi ordini di fenomeni sí da restare fedeli al vecchio criterio dell'oggettività secondo il quale si cominciò a distinguere la scienza dalla filosofia. Bene! Ma se proprio vogliamo attenerci al criterio dell'oggettività, poche sono le scienze che si salvano, che possono arrogarsi il diritto di chiamarsi tali: la chimica, forse la matematica, con molti « forse » la fisica - specie la nuova fisica che, per timore di diventare anti-scientifica, ha rinunciato a dare un'immagine della realtà e, volutamente, si limita a registrare i dati dei fenomeni di cui si interessa, senza accorgersi che corre il rischio di diventare - o di ridursi - ad una branca della statistica. Ma il criterio di occuparsi del « come » e non piú del « perché » dei fenomeni, non è adottato solo dalla fisica; in essa è tassativo per il timore di perdere, come ho detto, il carattere scientifico. Tutte le altre scienze lo hanno adottato allorché si sono rese conto che i « perché », ossia le ragioni, son ben difficili da indagare senza la possibilità di una visione globale di quella che si crede la Realtà. Questo criterio forse sarà scientifico, ma non so quanto sia utile. Un'analisi, senza una sintesi dei dati emersi, è utile? A me sembra che corrisponda ad esaminare le cose privandole dei contenuti. Può essere una scelta, sí, certo, ma non so quanto giusta. Si può scegliere di prendere in considerazione, ad esempio, solo gli uomini con gli occhi chiari, ma questa scelta deve essere dettata da un fine che si vuole raggiungere. Ora, se il fine è « la conoscenza pura » e se si prende, o comunque accade, che il criterio adottato diventi la misura di una civiltà, occorre stare attenti a ciò che si esclude, perché fra il dire: « Non ce ne occupiamo, non è provato », e « Non è vero », « Non ha valore », il passo è breve.

Vi immaginate se fossero trascurati, cioè da non prendere in considerazione, « i contenuti », « i significati »? Privata del suo significato la « Divina Commedia » non esiste; essa si riduce ad un insieme di suoni - se recitata - o di fogli di carta su cui sono impressi dei segni grafici - se memorizzata in un libro. Tuttavia nell'uno e nell'altro caso è incomprensibile. Una croce, in geometria, può essere definita come l'intersecazione di due segmenti di retta perpendicolari fra loro, e nulla di piú. Mentre col « significato », fra l'altro, è un simbolo religioso in forza del quale gli uomini si sono amati, odiati, uccisi, sacrificati, hanno scritto fiumi di parole e consumato la loro vita. Il David di Michelangelo, dal punto di vista della chimica, è una quantità di minerale costituita quasi totalmente da carbonato di calcio; ma io vi domando se solo in questo aspetto esso può essere valutato. Biologicamente parlando i corpi fisici di Hitler e di Schweitzer sono identici; eppure che diversa qualità di uomini! Il « sancta sanctorum » della scienza, che nulla ha a che vedere con le applicazioni pratiche, è costituito dalle scienze pure. Ma se solo queste avessero valore, l'uomo, al massimo, sarebbe ridotto ad un animale perché - non me ne vogliano gli psicologi - la psicologia, ammesso che sia in grado di spiegare l'enigma « uomo », non è certo scientifica nel senso stretto del concetto e non lo diventa per il solo fatto che la si insegna nelle Università. La scienza, componente della cultura dell'uomo, limiti pure la sua indagine ai fenomeni e coi metodi che crede, per raggiungere il suo intento di darci una rappresentazione della Realtà senza delle immagini soggettive che invece ne dà il resto della cultura. Ma nessuno - nessuno dico - le attribuisca il diritto di sentenziare ciò che è vero, e, meno ancora, ciò che è valido, perché cosí non è. Ma se anche lo fosse, riflettete e ditemi quale misera realtà sarebbe in grado di offrirci e quale enorme parte ne escluderebbe. Di piú: se il metodo scientifico di « conoscere » è quello oggettivo dell'osservazione diretta per mezzo dei sensi - includendo in questo metodo anche gli strumenti atti ad ampliare la portata dei sensi umani -, permettetemi di sorridere, perché nulla vi è di meno attendibile di essi. Certo non voglio qui ripetere tutto quanto abbiamo detto sulla soggettività delle percezioni sensorie e sul fatto che l'analogia o anche l'identità di percezione da parte di tutti gli uomini non dimostra l'esistenza oggettiva di ciò che è percepito. Infatti quantunque gli osservatori possano essere miliardi, il punto di osservazione è lo stesso: l'uomo con i suoi cinque sensi. Non parliamo quindi dell'attendibilità dei sensi che è un fatto assolutamente anti-scientifico. D'altra parte tagliar fuori il soggetto della conoscenza l'uomo - per cercare di raggiungere la massima oggettività dell'informazione, significa costruire un mondo materiale in cui l'uomo è soltanto uno spettatore, in cui gli avvenimenti sono riconducibili, in larga misura, ad una intepretazione energetica diretta. Ciò che è paradossale, nello spirito scientifico, è che esso accetta come reale solo ciò che è conoscibile attraverso la percezione dei sensi; non di meno l'immagine che la conoscenza scientifica, volente o nolente, dà del mondo, esclude ogni valore anche solo sensorio, percettivo, emozionale. Una concezione scientifica del mondo non contiene in sé alcun valore etico. Eppure non c'è bisogno che vi inviti a riflettere quale parte predominante nella realtà dell'uomo questi valori hanno e debbono avere! Se anche la scienza fosse in grado di descrivere dettagliatamente come le lacrime solcano il viso degli uomini, resterebbe il fatto che nulla essa ci dice del dolore e dell'emozione, dei pensieri e dei sentimenti, che sono i veri valori umani.

Credere che solo la scienza sia in grado di rendere il mondo un paradiso equivale a credere all'assurdo che la scienza, in sé, sia buona. La bellezza e la bontà non sono materie scientifiche, eppure non c'è dubbio che esse sono potenzialmente benefiche come la scienza. Fidare nella scienza, in effetti, significa fidare nel buon uso di essa da parte dell'uomo. Credere che la scienza possa risolvere tutti o parte dei problemi umani è un atteggiamento irrazionale. Assai di piú lo può un miglioramento delle qualità degli uomini. Se la ricerca scientifica, giustamente, esige un impiego di mezzi e se ciò è fatto nella speranza di un miglioramento delle condizioni di vita dell'uomo, non meno dovrebbe essere fatto per migliorare l'uomo. La conclusione di questi pensieri oziosi sulla scienza, è che l'uomo deve ricordare che l'equilibrio è sempre il risultato di piú forze uguali e contrarie, e che laddove una sia predominante rispetto alle altre, il sistema non è piú in equilibrio. Nego che una qualsiasi delle componenti della cultura umana debba essere considerata piú nobile delle altre. Affinché la scienza non diventi un soliloquio, è necessario che essa mantenga un rapporto dialettico, non solo col inondo inorganico e con quello organico, ma anche con la realtà umana. Perciò è necessario che essa modifichi i suoi princípi informatori; certo è che, con gli attuali, non giungerà mai a cogliere l'unità del tutto, ossia Dio; cosí come non coglie la realtà umana riducendo l'uomo ad un meccanismo. Ma ciò che essa non coglie non significa che non esista. L'esistenza di Dio può apparire solo da una visione globale di una scienza che include la totalità delle discipline e che non limiti la sua speculazione agli eventi colti dalle percezioni sensorie, ma la estenda - per lo meno - anche al regno della ragione pura. Una volta, uno scienziato ricercatore, famoso per il rigore con cui conduceva i suoi esperimenti e per la riluttanza ad ammettere la realtà di un fenomeno anche quando ne aveva osservato il prodursi piú e piú volte, tornatosene a casa, se ne stava assorto ripensando di ripetere ancora certi esperimenti per trarre una maggiore credibilità scientifica. Il suo stato assorto, causato dal suo lodevole scrupolo di ricercatore, richiamò l'attenzione di sua madre che, facendoglisi incontro, cosí lo interrogò accarezzandogli i capelli: « Figlio mio, c'è qualcosa che ti preoccupa? ». Rispose: « Nulla. Pensavo al mio lavoro, mamma ». m Mamma ». E un dubbio maligno, causato da una sorta di deformazione professionale, si impossessò della sua mente e cominciò ad assillarlo con grande tormento. « Mamma, ho detto. Che prova esiste che questa donna sia mia madre? Ch'io sia veramente quel figlio uscito dalle sue viscere? Ma avrà poi avuto un figlio? E quel figlio sarò io, oppure sarò stato sostituito per un errore o un'altra causa al vero figlio di questa donna? Qual è la certezza ch'essa sia mia madre? La levatrice? Chi mi dice che non sia stata d'accordo per la sostituzione? Mio padre? Non era presente alla mia nascita. No, no, no, le testimonianze non servono. Bisogna ripetere l'esperienza ». Ma, rendendosi conto che ripetere la sua nascita non era possibile, si convinse che ogni uomo è figlio di madre scientificamente ignota. A tacere poi della paternità. « Absit injuria verbi » (Sia detto senza offesa). KEMPIS Le scuole iniziatiche e le organizzazioni filosofiche Quando la scienza era depositata nelle antiche scuole iniziatiche, molti di coloro che sentivano come voi il richiamo della Verità bussavano alle porte di questo consesso di individui uniti da un superiore livello evolutivo. Patrimonio di queste scuole erano verità che oggi sono di comune cognizione, per voi; verità che allora erano esoteriche, oggi sono divulgate, insegnate nelle normali scuole che voi avete.

La vita non aveva un ritmo accelerato com'è oggi e gli uomini passavano anni nello studio delle Verità, perché tutto allora era rallentato. Vi dicemmo che l'evoluzione è simile ad una valanga che dall'alto di una montagna scenda a valle; man mano che la valanga scende ingrossa e, man mano che ingrossa, aumenta di velocità. Cosí è l'evoluzione nel tempo. Quando vi diciamo che i tempi sono vicini, vogliamo dire che la vostra evoluzione nel ritmo naturale - badate bene è accelerata e che gli uomini non debbono camminare contro corrente, ma debbono camminare, per lo meno, di pari passo con questo ritmo naturale. Ma allora, rispetto ad oggi, il ritmo era piú lento per la generalità degli uomini ed anche chi sentiva il richiamo della scienza mistica doveva trascorrere decine di anni nello studio e nella ricerca della Verità; di quella stessa Verità che con tanta facilità a voi oggi è dichiarata. Le antiche scuole di iniziazione erano importanti per i tempi che ne videro il fiorire e l'espandersi, perché allora rappresentavano le uniche sorgenti di Scienza, di Verità e di Saggezza che gli uomini potevano avere. Ma oggi molte sono le fonti e piú diffuse. Quando un uomo sente il desiderio di sapere e di conoscere, tante cose ha a sua disposizione per sapere e conoscere. L'imbarazzo sta solo nella scelta e nel saper discernere l'oro dall'orpello. Ma quando ben pochi libri esistevano, quando non tutti coloro che sentivano la sete di sapere sapevano leggere, le scuole di iniziazione, con la loro tradizione orale, erano preziosissime. E se anche queste scuole di iniziazione, come ogni organizzazione, avevano i loro aspetti negativi, questi erano trascurabili rispetto al contributo positivo che potevano dare ai loro seguaci. Quale aspetto negativo - direte - può avere una scuola di iniziazione? In se stessa una scuola non ha né un aspetto negativo, né uno positivo; è pur sempre l'individuo il quale reagisce positivamente o negativamente. Quando l'individuo è pronto, è maturo, non coglie della scuola che l'aspetto positivo. Ma se l'individuo non è maturo evolutivamente, non fiorirà in lui che il moto ambizioso del suo io. Nelle scuole di iniziazione esistevano delle gerarchie e quando, come sempre accade nei periodi di decadenza, il posto nella gerarchia si raggiunge non per merito o capacità, né per evoluzione, ma per anzianità, allora chi conserva un posto acquistato in tal modo non permette che un neofito - pure a lui superiore in evoluzione - possa in breve tempo sapere ed essere piú di lui. Noi siamo contrari alle gerarchie non perché la gerarchia in se stessa non abbia luogo di esistere, ma perché una sola gerarchia esiste ed è quella che l'evoluzione impone. E poiché è tanto importante e tanto essenziale, quella e quella sola gerarchia deve esistere. Quando al posto di questa gerarchia se ne instaura un'altra, l'altra è illusoria, è una creazione dell'io e del movimento di espansione dell'io. Cosí, lasciate ai tempi andati le scuole di iniziazione, perché allora e solo allora erano necessarie nella forma che voi conoscete, o che vi viene narrata. Oggi, essendo mutato l'uomo, mutata è la forma di iniziazione, mutata è la scuola di iniziazione. Non piú le scuole iniziatiche, ma il prodotto di quello che si viene a conoscere dalla scienza, con quello che la coscienza fa ritenere di questa verità scientifica, matura l'uomo. Egli è posto di fronte a innumerevoli Verità; Verità che non vede e non sente perché è impegnato nel seguire la sua via, la via del suo egoismo. Queste Verità che l'uomo non vede e non sente non debbono essere a lui imposte, perché non produrrebbero alcun risultato in lui. Non sarebbero capaci di « far sbocciare il fiore di loto dal fango ». L'uomo deve prendere le Verità che ì suoi orecchi gli fanno udire, perché quelle e quelle sole gli sono necessarie. La coscienza dell'uomo gli suggerisce degli ideali morali, ideali che l'uomo non sempre riesce a seguire. Ma pure l'uomo deve essere volto a questi ideali; non per seguirli con sforzo e violentando se stesso, !ma essere a questi volto; cercare di uniformarsi a questi senza sforzo, e senza pentimento o rimorso quando non riesca in questo suo intento.

Il pentimento e il rimorso sono un processo dell'io, sono un pianto dell'io che si vede sconfitto e gettato nella polvere. Cosí, siate volti agli ideali che la vostra coscienza vi suggerisce. Siate consapevoli delle vostre debolezze e dei vostri limiti. E quando non riuscite a perseguire questi ideali, non abbiate rimpianti o rimorsi, ma Fortificatevi, comprendete; sappiate, da queste esperienze, acquisire maggior forza per superare le vostre debolezze. Questa e questa sola è, attualmente, la vostra scuola di iniziazione. CLAUDIO Avete espresso il desiderio di sapere se certe organizzazioni filosofiche hanno un loro messaggio di Verità, e quanta Verità vi è in ciò che esse dicono. L'insegnare che esiste la legge della reincarnazione, la legge della evoluzione e via dicendo, corrisponde all'insegnare delle Verità; e tutte quelle organizzazioni o religioni che portano queste notizie portano alla Verità. Queste Verità sono valide fino al punto in cui riescono a dare delle idee chiare di quanto accade nel mondo, a comprendere che non vi è ingiustizia, che tutto è preciso e regolato nell'Assoluto. Ma solo fino a lí, perché la Verità piú importante è quella di costruire la coscienza individuale. « E come? » direte voi. Vivendo in modo consono alle Verità che avete sapute, conoscendo voi stessi, amando i vostri simili in modo descritto e ripetuto tante e tante volte dalle voci che anche questa sera vi parlano. Dunque, una religione che insegna la reincarnazione come una delle tante religioni o sette dell'India, insegna una Verità; eppure non vi sono mai state tante creature come nell'India che abbiano inteso male una religione che contiene molte Verità. Una organizzazione come la Società Teosofica, che insegna la reincarnazione, l'evoluzione, il susseguirsi delle razze, l'evoluzione nel Sistema Solare, nei vari pianeti e via dicendo, contiene delle Verità; eppure moltissime creature che seguono questa Società, questa organizzazione, non seguono la Verità che dovrebbero seguire. Quando si afferma che un giorno, lontano, l'umanità si riprodurrà da una parte del corpo diversa da quella dalla quale oggi abitualmente avviene la naturale riproduzione, vuol dire che non si è capito nulla. Sarebbe come se nell'ottocento, quando gli uomini facevano chilometri per vedere le caviglie delle signore, vi fosse stato un moralista che avesse affermato che in un futuro le donne sarebbero nate senza caviglie. Il marxismo afferma che gli uomini sono tutti eguali e che non debbono esistere dei privilegi. In modo analogo predicò Cristo. Eppure tra i due mondi esiste un gran passo. Ebbene, figli, la vostra Verità è quella che vi farà colmare questo passo.

La Verità non ha bisogno di Crociate: questa è la vostra Verità e vi farà comprendere che l'uomo, il singolo, deve amare i suoi fratelli, trovare l'eguaglianza con loro, annullare ogni e qualunque differenza sociale. Ogni e qualunque privilegio che si possa avere in questo amore si annulla, giacché « i massimi debbono servire i minimi ». Cosí, sappiate trovare la vostra Verità e vivendo giorno per giorno formate la vostra coscienza individuale.

Se voi ci amate od avete stima di noi, vi ringraziamo, ma non è questo che dovete fare. Se qualcuno di voi ama pensarci simili a lui, noi egualmente lo ringraziamo perché in effetti cosí è: noi tutti siamo fratelli nel vero senso della parola! Se questo può aiutarlo a meglio intendere il significato di quanto avviene qua, il significato di queste comunicazioni, non possiamo che confermargli questa sua convinzione, non possiamo che dar valore a questo suo modo di pensare o credere. Soprattutto è importante intendere l'insegnamento.

Una organizzazione che abbia dette tante belle cose, tante Verità, ma che presa dalla enunciazione di queste Verità si sia distaccata dal problema principale dell'individuo, la formazione della sua coscienza, è una organizzazione che è fallita nell'intento. Tutte le conoscenze sono necessarie e sono - direi - indispensabili per farvi intendere che tutto avviene in modo regolato e preciso, che non esistono ingiustizie, che esiste una perfezione nel Tutto, ma occorre soprattutto costruire la propria coscienza individuale, figli. Questo è importante. Gli ulteriori particolari che possiamo aggiungere al quadro generale hanno lo stesso significato: debbono aprirvi, aiutarvi ad indagare ancora di piú nell'intimo vostro, a fare ancora piú chiarezza entro voi stessi perché se non vi è chiarezza nell'intimo vostro, se non vi è purezza in voi, le passioni e i conflitti esisteranno sempre. Tante sono le religioni, le filosofie che insegnano la Verità, e tante sono le Verità che le religioni, le filosofie possono insegnare. Ma pure possono disconoscerne una di estrema importanza che andrebbe a toccare l'intimo vostro, la vostra coscienza. E chi non comprende ciò, non comprende il vero senso del nostro insegnamento. DALI Da quello che vi è stato detto appare importante mettere a fuoco un concetto essenziale per l'insegnamento che si fonda sulla formazione della coscienza individuale. Le organizzazioni religiose, filosofiche e simili, possono dire od insegnare delle Verità, ma non essere nella Verità. Allo stesso modo è dell'uomo che, ripetendo l'enunciazione di realtà. può essere ben lungi dalle Verità che esprime o predica. PE quindi essenziale capire la distinzione: « dire una Verità » e « dire la Verità ». Nella prima affermazione troviamo tutti coloro che ripetono concetti filosofici, religiosi e mistici, ma che non li vivono realmente. Nella seconda sono coloro che, se anche non conoscono l'enuncíazione di una Verità, la vivono perché fa parte della loro stessa natura. E’, una questione di assimilazione. Un'opera d'arte, analizzata dal punto di vista dottrinale, è un insieme di regole rispettate o no; ma quale risultato è riuscito a produrre l'artista seguendo ed animando dei freddi canoni scolastici! Cosí, molte sono le religioni, le filosofie che insegnano delle verità, ma poche sono nella Verità. KEMPIS Le organizzazioni filantropiche La licenziosità di molti, il disordine, la confusione, l'insicurezza, la mancanza di un approdo certo a cui fare riferimento, gli scandali, avvenimenti tutti promossi e divulgati per fini politici, inducono i benpensanti a guardare con simpatia all'avvento di un uomo forte che ristabilisca l'ordine ed il rispetto dei sani principi. Intanto ci sarebbe da meditare se il rispetto dei sani principi e dell'ordine non sia da raggiungere attraverso ad un intimo convincimento piuttosto che ad una imposizione esterna. E poi vi sarebbe da domandarsi se i «

benpensanti » siano tali per intima convinzione o semplicemente per il timore delle conseguenze che un comportamento spregiudicato potrebbe avere; e se l'impunita spregiudicatezza sia condannata dai benpensanti solo perché, restando senza castigo, di fatto punisce chi si è mantenuto benpensante con sacrificio. Meditazioni, queste, che se fossero fatte basterebbero a riscattare l'attuale caos. Voglio dire che, se la situazione quale voi la conoscete e la vivete, inducesse l'uomo a meditare su se stesso, ciò basterebbe a ripagarla. Vi sarebbe anche da riflettere sulla convinzione che ogni uomo ha che i propri problemi siano risolti da qualcuno, per lui, e dal passare del tempo. Non v'è bisogno ch'io ripeta tutto quello che vi abbiamo detto sulla necessità che il singolo si convinca che se non cambia lui stesso non può cambiare il mondo nel qua le vive. E che se non comincia subito, ora, nel presente, è inutile che speri nel futuro. Voi, invece, che cosa fate? Vi appellate ai valori affermati nel passato: le « celebrazioni » diventano un mezzo con cui, attraverso ad un vuoto alibi di parole, nascondete le vere intenzioni. Oppure pregate per la bontà, per la pace, per la salvezza degli uomini. Ma quanto sarebbe piú utile - anziché appellarvi ai valori del passato - che agiste nel presente; anziché pregare Dio perché voglia salvare il genere umano, foste voi stessi ad agire. Non è certo Dio che deve essere convinto, o dal quale può venire il pericolo; non è Lui che dovete temere. La propensione che ha ogni uomo di delegare ad altri la propria salvezza non esiste solo per i problemi della società: c'è la stessa propensione per i travagli che dilaniano il singolo. E la forma piú lieve d'essa propensione si configura nella ricerca del giudizio di chi - dall'esterno e freddamente - può dare un parere sui propri problemi. Ma anche in ciò si manifesta la natura di contraddizione dell'uomo, perché molto spesso quello che si cerca, consapevolmente o no, è solo la conferma di un modo di agire che si è già deciso di tenere, e nulla piú. Del resto, che valore volete abbia il parere di chi non conosce la verità di voi stessi? Siete voi, invece, che dovete conoscere la vostra verità. Riconosco che non è una ricerca, una analisi agevole, perché le vere motivazioni degli stati d'animo e delle azioni, molto spesso, giacciono nei profondi strati dell'io; ma quello che conta è che voi facciate questa ricerca e la facciate semplicemente e serenamente, senza poi voler abbellire o addolcire l'immagine che scoprirete di voi stessi; semplicemente per rendervi conto delle vostre intenzioni. Voi non costituite una eccezione alla diffusa tendenza che ha l'uomo a cercare un Salvatore, un Maestro, a cui delegare la fatica e l'incomodo di risolvere tutti i propri problemi e su cui scaricare tutte le proprie responsabilità. Noi rappresentiamo per voi questo Messia. Nella vostra speranza, abbiamo tutte le carte in regola per esserlo; ma vederci sotto questa luce significa strumentalizzarci, usare le nostre parole per le vostre intenzioni. Significa tradire il senso, il significato del nostro venire tra voi, che è quello, invece, di mettervi di fronte alle vostre responsabilità. Sia ben chiaro che noi non stiamo dolendoci di questo fatto: se fossimo soggetti a dispiacerci, in ogni caso lo saremmo per voi e non per noi. Ora, una nostra defezione non sarebbe risolutiva, perché non è certo con l'evitare le occasioni di errare che si sradicano le cause dell'errore. L'errore non nasce da fatti, circostanze del mondo esterno che possono essere corrette, ma nasce da un intimo modo di interpretare la Realtà. Noi stessi, nella vostra interpretazione, rappresentiamo un errore. Infatti voi siete convinti che semplicemente stando ad ascoltarci potrete realizzare la vostra Verità. L'importanza che voi date agli ultimi messaggi, come se fossero quelli risolutivi, dimostra che pensate alla vostra liberazione in termini di acquisizione, come se si trattasse di un processo di accumulazione di notizie, di un fatto culturale. Mentre lo scopo del nostro dire è quello di stimolarvi all'azione costante, alla scoperta di voi stessi, alla liberazione, che è del presente.

Un altro errore è costituito dal fatto che voi ci considerate fonte di conforto e di sicurezza per poter permanere nella vostra indolenza e nelle vostre cristallizzazioni. Mentre noi non vogliamo costituire, per voi, una spiegazione-giustificazione che vi dia rassegnazione circa le vostre limitazioni. Se cosí facessimo vi allontaneremmo dalla comprensione. Mentre vi invitiamo a superare le limitazioni ora, nel presente; non a lasciare a noi e al tempo di fare quello che voi soli potete fare. Non vogliamo fare di voi delle creature che siano da noi dipendenti, perché se cosí facessimo vi plageremmo; noi vi invitiamo, anzi, ad essere degli individualisti per quanto concerne la scoperta di voi stessi ed ispirarvi al collettivismo solo per le istituzioni sociali. Sarebbe perciò un errore se voi ci consideraste una sorta di religione o di organizzazione. E' giusto organizzarsi per i compiti che la società deve svolgere, ma non ha senso il farlo per quanto ognuno è chiamato a fare nei confronti di se stesso quale essere interiore. Al pari, noi non vogliamo convincervi, fare di voi degli accoliti, perché non vogliamo aggredirvi. Voi siete già abbastanza aggrediti dalla società che, suggestionandovi, vi impone che gusti avere, cosa pensare, in chi sperare e che cosa credere. Non c'è movimento di pensiero che non si costituisca in organizzazione e non cerchi di catturarvi per inquadrarvi. Noi non abbiamo bisogno di propaganda, non siamo persuasori occulti. Le stesse esperienze che l'uomo consuma lo conducono a quella Verità della quale vi parliamo. Tuttavia non possiamo far altro che disporvi alla Verità, cioè non possiamo darvi quel « sentire » che alberga nel profondo del vostro cuore e che voi soli potete far fluire, liberare. Nel cammino verso la liberazione non si procede di un sol passo con la costrizione, senza la convinzione. Non è certo lo sforzo che può rendervi intimamente liberi; solo rendendovi conto delle vostre limitazioni non ne sarete piú costretti; solo comprendendo le ragioni della vostra sofferenza, della paura, della delusione -ragioni che risiedono nel processo di espansione dell'io - nasce un nuovo « essere ». Solo l'intimo convincimento può liberarvi dalla concupiscenza, dal desiderio, dalla gelosia, dal rancore, dalla brama di possesso e di potere. Allora, aiutare gli altri diventa semplice e naturale come per la luce rischiarare le tenebre. Ma se non ponete attenzione a voi stessi non potrete mai trovare l'intimo convincimento. Non usate la, vostra mente per escogitare espedienti atti a conciliare il vostro egoismo con ì giusti diritti degli altri. Se amaste veramente, non avreste bisogno di tollerare. Non contenti di sostituire la tolleranza all'amore, ne fate poi un ideale irraggiungibile. Quello che in sé è quanto di meno deve fare chi vive in una società, cioè tollerare, diventa programma di organizzazioni filantropiche. Non serve organizzarsi per tollerare, per essere fraterni. Gran parte degli uomini non liberano se stessi perché non lo desiderano, non essendo convinti di una simile necessità. Se voi domandate a chi soffre perché desidera avere molte avventure galanti e non le ha, se per far cessare la sua sofferenza sarebbe disposto a rinunciare all'appetito sessuale, vi sentirete rispondere di no, ed è giusto che sia cosí. Quello che io voglio dire, è che l'uomo soffre perché non vuole uscir fuori dalle proprie limitazioni;Io vuole quando si è convinto di esse, ed allora il superarle non è poi tanto difficile come può sembrare e, soprattutto, non costa sforzo. Ora, se voi non ponete attenzione a voi stessi, non saprete mai quanto siete limitati, avidi, possessivi; non saprete mai se soffrite perché volete uscir fuori dalle vostre limitazioni, o semplicemente perché non potete avere ciò che desiderate. Chi soffre perché non vince al gioco d'azzardo, per non soffrire cerca di vincere, mentre dovrebbe ricercare dentro di sé le ragioni che lo spingono a giocare. Invero voi attribuite le cause della vostra sofferenza a ciò che non potete avere; l'affetto di una persona, la stima dei vostri simili, il possesso di beni e via dicendo, e non comprendete che le cause della vostra sofferenza giacciono nell'intimo vostro. Non è certo ciò che desiderate che può appagarvi. Se vi sentite insicuri, non è la sicurezza che può colmare la vostra insicurezza, La sicurezza è l'effetto d'avere scoperto e

superato le cause dell'insicurezza. Non serve cercare fuori di sé, ravvisandolo nelle cose e nelle persone, ciò che giace ed è radicato nell'intimo vostro, e che può essere trovato solo scavando dentro di voi. Che cosa si agita, generalmente, nell'intimo di ognuno? Le innumerevoli brame, soddisfacendo le quali credete di trovare la felicità e non comprendete che, invece, ben altre sono le cause del vostro soffrire. Ma nella partita dovete fare i conti con le leggi morali che servono a frenare i desideri egoistici degli uomini. Ora, ciò che dovete fare, non è tanto convincervi che le leggi morali sono giuste, quanto cercare le cause dei vostri desideri egoistici e superarli. Questa è la cosa giusta da fare, perché vi conduce ad essere voi stessi la

legge morale.

CLAUDIO La verità non ha bisogno di crociati Da tempo sono state fondate delle organizzazioni aventi un carattere moraleggiante le cui filosofie tendono a conciliare la Scienza con la Fede attraverso una logica valida ed efficace. Tali organizzazioni hanno svolto e svolgono un'opera indiscutibilmente fattiva rafforzando negli uomini il senso mistico attraverso il ragionamento positivo. Per il mondo occidentale la fede ha sempre escluso la logica e non ha mai poggiato sulle conquiste della scienza, anzi spesso se ne è schierata contro. Eppure entrambe, sebbene per vie diverse, volgono ad una stessa mèta: l'ultima grande comprensione. Ma i tempi mutano e con ì tempi il linguaggio degli uomini, cosí se per il passato era sufficiente che la religione dogmatizzasse perché i fedeli credessero ciecamente e contro la scienza, in futuro ciò non sarà piú e la fede non temerà l'analisi della ragione poiché si fonderà sulla logica e sarà confermata dalla scienza. Ben venga, quindi, una filosofia capace di questa conciliazione; ma soprattutto vengano gli uomini che con il loro amore la rendano viva ed operante, giacché qualunque sistema di pensiero se non è vissuto con amore rimane arido e infruttuoso. Oggi una voce si leva e parla. Ai mistici dice: « Se la vostra religione vi insegna a distinguere gli uomini secondo che siano "fedeli" o "infedeli" non crediate che sia la vera: la Realtà trascende ogni opinione ed è universale, "è come il sole che splende sui giusti e sugli ingiusti" e solo il tempo può renderle ragione lasciandola intatta ed attuale. Dividersi dai propri simili per difenderla è contro lo spirito stesso della Realtà. Solo l'irrealtà può essere in contrasto con se stessa. Se non vedete nella scienza le basi della vostra fede, voi credete nell'irreale ». Chi è ancorato ad un acceso positivismo cosí la voce ammonisce: « Disconoscere una medesima finalità nel movimento del Tutto è come credere che l'effetto esista senza la causa, è credere ad un Tutto smembrato in cui non potrebbe esservi ordine ed equilibrio. Negare ciò che ancora resta da conoscere è tradire lo spirito stesso della scienza, è precluderle il campo, Se tentate di fare di essa uno strumento con cui combattere ciò che la fede essenzialmente asserisce, siete votati al fallimento, perché se è vero che il vostro compito è quello di scoprire ed accertare la Verità, non potete che giungere alla conclusione che accomuna tutte le religioni l'esistenza di Dio ». Agli uni ed agli altri, la voce ricorda: « La Realtà non può essere negata né con la Fede né con la Scienza ». Ma soprattutto la voce parla a chi, conosciuta la filosofia che concilia la Scienza con la Fede, crede di possedere la Verità ultima, ed a questi dice: « Non restate legati alle parole: la Realtà è quella che è, la

Verità ne è l'enunciazione e come tale può mutare con il linguaggio degli uomini. Una verità è tanto piú esatta quanto piú dura nel tempo, ma solo la Realtà è eterna. Chi si ferma alle parole che mutano con i tempi e con i popoli, e non penetra nello spirito medesimo della Verità, rinchiude se stesso in una gabbia e si nega alla comprensione. Se ciò che voi credete permette o causa l'inimicizia con i vostri simili, siete nell'errore. Se ciò che voi conoscete non vi dischiude alla comprensione ed all'amore, alimentate una pianta sterile destinata a diventare cenere ». A tutti la voce ricorda: « Nessuno è piú nell'illusione di chi, scoperta una Verità, crede di essere superiore agli altri. Gli ambiziosi sogni dell'egoismo sono una palese dimostrazione della distanza che separa l'uomo dalla Realtà. L'uomo è quello che è, il suo valore sta in ciò che fa, non in ciò che crede. State quindi lontani dalle organizzazioni che mirano a diffondere una idea con lo scopo di sfruttare la vostra adesione per conservare dei privilegi. Chi soffre se non è creduto e seguito, non comprende la Verità ma se ne serve per soddisfare in qualche modo la propria ambizione. La Verità non ha bisogno di crociati, e chi si organizza per diffonderla dimostra di non averla capita. A chi ha bisogno di una parola nuova, non per essere confortato, ma per comprendere, date questa parola direttamente, da vero amico ad amico, senza avere la pretesa di essere creduti, non turbandovi se non siete ascoltati, non illudendovi se lo siete. Il prestigio che vi è accordato dai vostri simili non migliora neppure minimamente quello che in realtà voi siete. Occorre stabilire individualmente questi colloqui in cui il desiderio di primeggiare sull'interlocutore sia avulso, nei quali esista unicamente il desiderio di portare chiarezza, senza cadere nell'errore di sentirsi i precursori, gli strumenti, gli eletti dell'Amore Divino, perché nessuno ha l'esclusiva della Verità. Essa può indifferentemente giungere dal filosofo, dal mistico, dallo scienziato od anche da quello che si ritiene il peggiore degli individui, giacché non conosce distinzione di sorta ed è destinata ad essere di dominio universale, purché la si cerchi con purezza di intenti ». KEMPIS Rimanete soli e semplici Analizzate voi stessi: comprenderete il perché della situazione mondiale. Siete cambiati in conseguenza delle passate catastrofi? Non siete forse ancora avidi di potere, ricchezza, prestigio? Per questo vi chiamate ancora italiano, russo, americano e cosí via, perché il forte sfrutti il debole. Osservate con quanta facilità vi catalogate, cioè racchiudete l'umanità in tanti compartimenti stagni una parte i buoni, i giusti, dall'altra i malvagi, gli oppressori. t questo riconoscervi sostanzialmente diversi l'uno dall'altro che :soffoca il sentimento e vi fa divenire crudeli. Ciascuno è soggetto a cambiamenti; tutti sappiamo, per esperienza, quanto si navighi fra ciò che crediamo bene e ciò che crediamo male. Per questo nessuna creatura è identificabile nella ristretta posizione determinata dal dualismo: buona o cattiva. Il vostro spiritualismo è pura illusione se vi permette di tollerare una soppressione di creature per la protezione dì ideologie, interessi, o per il bene del proprio paese. Il vostro interesse è quello dell'umanità, e credete che l'umanità non avrebbe certo un vantaggio da una guerra. Voi direte che di questo ne siete convinti e che nessuno vuole la guerra, ma nondimento la guerra c'è. Il

vostro parteggiare per una parte o l'altra non fa che aumentare l'attrito. Rimanete completamente soli, ed allora, se due non nutrono reciproci sentimenti di amicizia, che si picchino fra loro, ma che non coinvolgano tutta l'umanità. Il vostro paese non è forse l'umanità? Solo quando avrete fatta vostra questa coscienza universale cesseranno le lotte, conseguenza di un odio spesso alimentato dall'ambizione. Solo riconoscendo la fratellanza universale cesserà ogni distinzione, ogni arrivismo a danno degli uomini. La fratellanza non si realizza appartenendo tutti ad una stessa categoria, bensí non perdendosi in organizzazioni, rimanendo completamente semplici e soli. Liberate il cuore e la mente vostri da ogni incomprensione e cesseranno le guerre; purificateli e si manifesterà quella sapienza ispiratrice di un retto vivere, unico e solo capace di apportare pace ed ordine. La vostra delusione è la delusione dell'umanità tutta. Ecco perché vi abbiamo detto che parlare dei vostri problemi o di quelli dell'umanità è parlare degli stessi problemi. Voi siete qua intervenuti similmente a tanti altri fratelli - raccolti di fronte ad una immagine, inginocchiati ad un altare, attenti a un capo, un Maestro; qui venuti speranti un conforto. Voi cercate un rimedio che possa darvi la felicità e la pienezza interiore; lo cercate perché siete stanchi della vita, annoiati e delusi, dolenti per qualche motivo, Questo tanto invocato e ricercato rimedio si chiama Realtà, ma proprio perché è Realtà non può essere comunicata. L'uomo è solo di fronte alla Verità; nessuno può capire, comprendere per lui. Se ascoltate le nostre parole per il rumore che esse fanno e non per comprendere, e non per aprirvi piuttosto a quello che esse vogliono significare e suscitare in voi stessi (e lo possono solo attraverso voi stessi), la vostra vita rimane un correre affannoso or qua or là, capace solo di deludervi. t di grande conforto per l'uomo e di grande aiuto vedere che le proprie idee sono condivise dai propri fratelli, come se un generale consenso fosse l'unica valida riprova della verità del suo pensiero. Ma l'uomo scorda che molte nuove verità proclamate hanno avuto ben pochi assertori. Si riunisce cosí in gruppi dove conferisce la propria fiducia a un esponente, divenendo responsabile degli errori che questi commette. Scorda cosí l'uomo, di nuovo, che ogni imposizione ha un'unica finalità: l'altrui sfruttamento. In questi gruppi egli impara a odia re al plurale, a combattere una creatura se non appartiene al suo gruppo, unicamente perché è di un'altra bandiera. Ma se stolto è odiare al plurale, uguale irragionevolezza è dare la propria fiducia agli altri, credere a quello che una creatura dice unicamente perché si ha fiducia in lei. L'uomo deve ragionare con la propria mente e non con la fiducia negli altri; né deve, però, ricercare l'altrui fiducia perché cosí facendo egli vuole accarezzare la propria ambizione; sempre, in ultima analisi, sfruttare. Ecco che cosa significa essere soli e semplici: significa vivere la propria vita da soli, senza coalizzarsi in gruppi, senza alirnentare l'attrito che esiste inevitabilmente fra le fazioni; significa mantenere puro il proprio cuore; significa ricercare in se stessi il libero slancio che è dato da quel qualche cosa che nessuna organizzazione può avere: il sentimento.

Imperciocché la vita, che è l'azione, è modificata dalla mente; la mente, che è separatività, è liberata dal sentimento, quel sentimento che è amore, principio e fine della vita. « Come amare la vita? », si domanda l'uomo. Guerre, catastrofi, immani conflitti ricadono sulla povera umanità, come per dimostrare che una maledizione divina gravi su di lei. Come amare la vita quando porta dolore, amarezza? Non è la vita causa di tutto ciò, ma voi stessi. Voi con la vostra condotta scrivete pagine di storia; voi stessi, fratelli. il conflitto che si accende or qua or là, ma che fomenta in ogni terra, altro non è che il risultato del conflitto interiore che vi agita. La crisi mondiale è una crisi individuale. Fino a che non comprenderete voi stessi non potrete amare la vita; essa sarà l'esatta riproduzione del disordine che è in voi. Iniziate col rimanere soli, sottraetevi all'influenza di altri; cosí facendo non accrescerete l'antagonismo. Ma soprattutto rendetevi consapevoli di tutti quei come e perché che determinano la vostra condotta. Operate una introspezione continua e liberate l'essere vostro da ogni falsità. Allora, quando ognuno di voi sarà

liberato da tutti i ristagni del pensiero, potrà far fluire la vita nella scoperta del Reale; allora nell'equilibrio e nella serenità di ognuno, amerete la vita. Cesseranno le lotte e le miserie e vi renderete consapevoli che essa vita è una immensa benedizione. L'uomo è timoroso, osserva gli avvenimenti del mondo e ne trae delle conclusioni. Il suo timore lo spinge a riversare tutta la responsabilità dell'attuale situazione su coloro che sono a capo dei governi e delle nazioni; il suo timore lo spinge a pregare Dio affinché questi capi siano illuminati. Non considera, cosí, l'uomo, che un mondo nuovo non può nascere solamente con la sostituzione dei capi che rappresentano le nazioni, ma che il conflitto che agita il mondo non è altro che il risultato del conflitto che agita il singolo. Di fronte alle continue violenze, di fronte ai gruppi che si coalizzano, di fronte a questi gruppi che riescono, coalizzati, a dare una linea di azione ad una nazione, noi vi diciamo: « Rimanete soli e semplici, non accrescete l'attrito che esiste tra le fazioni ». Quando noi vi diciamo « rimanete soli e semplici », non intendiamo dirvi: rimanete chiusi in voi stessi, oppure, rimanete abulici. Sempre vi abbiamo raccomandato di non essere dei tepidi; sempre vi abbiamo dette e ricordate le parole del Grande Iniziatore: « Oh! se tu fossi stato freddo o caldo, ma poiché sei stato tiepido, comincerò col vomitarti dalla mia bocca ». Rimanere soli e semplici in questo caso significa non partecipare all'attrito, non dare la propria approvazione né morale né materiale a questi gruppi, a queste coalizioni che si formano con lo scopo di scontrarsi, con lo scopo di continuare, perpetuare nel inondo la violenza. Quando vi riunite, quando vi organizzate, voi non fate che gettare il seme della violenza del domani, perché ogni organizzazione deve fondarsi su dei postulati, deve avere una propria dottrina e delle proprie affermazioni da difendere, e tutti coloro che sono contro quello che l'organizzazione afferma sono nemici della organizzazione e quindi, come tali, devono essere combattuti. Noi vi diciamo « rimanete soli e semplici » perché aderendo alle organizzazioni voi contribuite a mantenere nel mondo la violenza, perché aderendo alle organizzazioni voi contribuite al vostro stesso sfruttamento e all'altrui sfruttamento. Ma quando vi diciamo « rimanete soli e semplici », non vogliamo significare che ciascuno di voi sia un tepido, che ciascuno di voi sia un inetto, che ciascuno di voi rimanga chiuso in se stesso e, per la paura delle responsabilità, non osi vivere, non osi agire. Quando vi diciamo « rimanete soli e semplici », vi diciamo: cercate di non crearvi dei limiti, cercate di non creare delle barriere alla vostra comprensione, cercate appunto di essere liberi, comprensivi, duttili, aperti a tutti. Abbiate tanta comprensione e tanto amore da comprendere tutte le creature. Colui che è nella vita deve vivere, ma esiste una enorme differenza: la stessa azione può essere il peccato ed il rimorso terrificante di una creatura, ed essere invece il trionfo e il gaudio supremo di un'altra, perché ciò che importa non è tanto l'azione, quanto l'intenzione.

Colui che vive solo e semplice non vuol dire che sia un inetto. Colui che vive solo e semplice non vuol dire che sia appartato e che non partecipi alla sua stessa vita. Voi dovete partecipare attivamente alla vostra vita, voi dovete vivere, dovete essere giustamente in tensione e giustamente attivi. Colui che è tepido, colui che non partecipa, non vive. Ma esiste una enorme differenza, la stessa che vi dicemmo parlando a proposito dell'espansione dell'io. Il mondo quale è oggi, dal punto di vista del progresso è veramente una cosa notevole e piena di meraviglie; eppure questo progresso è stato creato per la spinta dell'io. Predicando presso di voi il superamento di ogni

ambizione egoistica, potrebbe sembrare che noi fossimo degli attentatori dell'attuale civiltà. Ciò non è esatto. Noi vi abbiamo detto che dovete sostituire alla spinta egoistica dell'io una spinta be altruistica, ed allora questi risultati della tecnica, i risultati attuali della impostazione sociale, impallidiranno di fronte a quelli che si avranno con questa sostituzione. Ecco perché noi vi diciamo che non è possibile cambiare il mondo cambiando i capi, ma che per tale cambiamento è indispensabile che l'intimo dell'uomo sia mutato. Colui che lavora per ambizione, sarà tutto volto a mostrare agli altri e ai propri superiori la sua bravura, forse anche a discapito del lavoro purché il suo mettersi in evidenza rimanga; mentre colui che lavora per amore del lavoro, non considerando che questo può accrescerlo agli occhi degli altri, produrrà molto di piú, darà un lavoro veramente produttivo non essendo impedito dai limiti creati dall'espansione dell'io. Cosí è: rimanendo soli e semplici dovete comprendere tutti, non dovete accrescere l'attrito che esiste fra le varie fazioni. Voi dovete invece comprendere le ragioni di questo attrito, voi dovete superare in voi stessi l'imperiosa voce dell'io. Superando la quale veramente sarete « soli e semplici », di quella solitudine e di quella semplicità che vi renderà in comunione con tutti gli esseri del Creato.

CLAUDIO

Bisognerebbe che ciascuno avesse il coraggio di guardare dentro di sé, di esaminare l'intimo suo. Allora vedrebbe che il mondo, con tutte le miserie, è lí, dentro di sé. Non meravigliatevi quindi di ciò che accade: siete voi, tutti voi che lo volete. Vi sentite legati, imprigionati dalla società? Chi ha creato le barriere che tanto vi opprimono? L'attività che svolgete vi occupa tanto da assorbire tutta la vostra giornata? Chi ha stabilito la giornata lavorativa? In sostanza si può dire che Dio ha creato il mondo e l'uomo l'ha formato. Credetelo, amici, l'ambiente nel quale vivete o credete di vivere è il costrutto del vostro egoismo, del vostro sfruttare, della vostra avidità, di voi stessi. Nessun miracolo sarebbe capace di cambiare il mondo ma solo il singolo individuo, cambiando, rinnovando se stesso. Capite quello che io dico, ma solo lentamente ne diverrete consapevoli, vi uniformerete a questa verità. Allora la vita acquisterà un'altra luce, un altro significato, un altro valore, perché la conoscerete nel suo aspetto reale. Ma sino a che vivete egoisticamente darete un valore illusorio alla vostra esistenza; i vostri ideali, anche se perseguiti, non calmeranno la vostra sete e comprenderete che non valeva la pena di lottare per essi quanto avete lottato, e sarete nel numero dei disillusi immersi nella piú cupa disperazione. Avrete allora il coraggio di riconoscere che la colpa è solo vostra, di chi si è creato delle illusioni? Ma che cosa volete nella vita. Denaro? Successo? Soddisfazioni? Felicità? Non sperate. L'uomo non è nato per avere questo, è nato per qualcosa di piú importante, che cerca lontano ma che ha vicino a sé, qualcosa che non disillude. Questo qualcosa è ciò che, cambiando l'individuo, cambia la società. I capi sono cambiati, ma la storia è sempre la stessa. Siete voi, tutti voi che dovete essere cambiati. Non lasciatevi influenzare, rinnovate la vostra coscienza, abbandonate il desiderio di sfruttare per accumulare, dell'accumulare per accrescere il proprio io. Questa è la catena della schiavitú che dovete spezzare, che vi rende doppiamente infelici. La felicità è in questa liberazione, in essa è la pace del mondo.

PAOLO

E' inutile che cerchiate un capo, un Maestro, un insegnante che possa indicarvi la strada per giungere alla vostra evoluzione spirituale: voi soli nella vita, figli e fratelli, dovete trovare in voi stessi quella maturità che sperate altri vi diano. Taluni sogliono predicare che i tempi sono vicini e che occorre divulgare, coalizzarsi, serrarsi in organizzazioni per istruire l'umanità Ma questo non è sufficiente, i tempi che vivete ne danno la prova. E’ vero che il tempo è vicino e che non sono piú ammesse titubanze, poiché il ritmo naturale dell'evoluzione è aumentato di molto rispetto al passato, ma la predicazione che vorreste, con tanta soddisfazione, fare agli altri, deve essere fatta a voi stessi. Questo è importante. Voi assistete ad un fenomeno che per i puritani è estremamente demoralizzante, avvilente, che ha quasi un colore drammatico: voi assistete al fenomeno della caduta di ogni limitazione, di ogni rispetto umano, di ogni ritegno. In effetti la corruzione dilaga, ma anche questo - caso strano - è stato previsto. No, non è che l'umanità sia retrocessa, o oppositori della legge di evoluzione! E' venuto fuori quello che era dentro e che per tanti secoli è stato soffocato e trattenuto nell'intimo dell'uomo. Ora che i tempi sono maturi, questa intima tensione si sta scaricando, ed ecco che voi assistete al dilagare della corruzione. Ma state attenti: la corruzione, prima che nell'uomo, impera nelle organizzazioni. Ed allora, se non voi direttamente, i vostri figli assisteranno ad un altro fenomeno: l'umanità, dopo un periodo di sbalordimento, di indecisione, si orienterà definitivamente e realmente verso chi le darà la prova di una incorruttibilità, di una dirittura morale reale. E poiché questa non è possibile nelle organizzazioni, ciascun uomo riconoscerà che potrà fare appello unicamente a se stesso, alla propria unità ed integrità morale. Quel giorno beato segnerà l'avvicinarsi della iniziazione generale.

Cosí, voi che siete convinti che i tempi sono vicini, siate precursori di questa umanità di cui ora vi parlavo. Siate convinti che non potete fare appello altro che alla vostra dirittura, e non a quella degli altri; che questa dovete cercare di raggiungere, questa dovete instaurare, la dirittura in voi stessi; e non cercarla negli altri. Ciò che potete fare è parlare delle verità che conoscete, parlarne quando trovate la giusta maturità, quando quelle che voi illustrate sono diventate vostre conquiste, vostre acquisizioni. Questo dovete fare: dare lo spunto agli altri di cercare e trovare in loro stessi questa integrità morale, questo retto agire, che sono essenziali per un mondo nuovo, per una evoluzione spirituale.

KEMPIS

Esaminiamo a grandi tratti le linee dell'evoluzione spirituale dell'individuo. Inizialmente l'individuo non ha coscienza di se stesso ed è un centro di sensibilità ed espressione. Fino a che l'individuo non si incarna come uomo, lo scopo della sua esistenza nel piano fisico è quello di costituire i propri veicoli, gli strumenti atti a dargli la possibilità di manifestare se stesso, in altre parole portarlo a quel livello di sviluppo che possa servire all'ulteriore fase dell'evoluzione individuale. Allorché questo livello è raggiunto, l'individuo ha coscienza di se stesso ed è diventato un centro di coscienza e di espressione. Mentre prima era solo un centro di sensibilità, percepiva e rivelava quanto l'ambiente circostante gli faceva percepire: freddo, caldo, sete e via dicendo. Successivamente vi è una individualizzazione ed infatti l'uomo dice: io ho freddo, io ho caldo, e cosí via. A questo punto è facile capire che per l'individuo si schiude un mondo nuovo: il mondo dell'io, il mondo che il senso di separatività gli suggerisce. Cosí l'individuo conosce profondamente e profondamente percepisce

l'egoismo, l'avidità, la bramosia di possesso; stimoli che nascono appunto dall'io, dal sentirsi separati da quanto circonda. Questo egoismo inizialmente è violento e si manifesta in forme violente: il furto, l'omicidio, la violenza, perché l'individuo, che non si discosta molto dall'animale, cerca la via piú breve per venire in possesso di quanto è oggetto del suo desiderio. Ed ecco che allora occorrono dei fattori che possano limitare questo richiamo violento dell'individuo in modo che non vi siano dei gravi danni verso altri individui che a lui sono vicini. Voi sapete che vi è una inibizione naturale rappresentata dalla limitazione della libertà di arbitrio dell'individuo quando questi non sia molto evoluto; ma, come sempre, ogni forza è doppia e a questa che risiede nell'intimo dell'individuo, nel suo essere, ne è accoppiata un'altra, la quale invece sta al di fuori dell'individuo, nell'organizzazione sociale in cui l'individuo vive. Abbiamo allora i tabú, le leggi che non si possono violare, i comandamenti morali o religiosi i quali, sotto la minaccia di un castigo o l'inibizione della paura, vietano di compiere certi atti violenti che l'individuo vorrebbe compiere. Gli individui si costituiscono in società e le società hanno le loro regole, le loro leggi che devono essere osservate per il rispetto reciproco degli individui. Noi vediamo quindi, a questo grado dell'evoluzione, che le istituzioni sociali sono necessarie in modo simile alla limitazione di libertà di arbitrio che risiede nell'intimo dell'individuo. Successivamente, quando l'evoluzione o la maturazione spirituale dell'individuo è tale per cui egli non compirebbe piú atti di violenza per assecondare il proprio egoismo, anche se non vi fossero proibizioni formali, le organizzazioni perdono il loro significato e il loro scopo. Le organizzazioni vanno molto bene per le conquiste umane, per quello che l'uomo non riesce ad ottenere singolarmente in fatto di riconoscimento, in fatto di mete sociali, ma sono contrarie allo spirito stesso della verità e dell'insegnamento quando siano costituite e fondate con l'intenzione di fare evolvere l'individuo. Chi si accosta ad una organizzazione spirituale con lo scopo di evolvere se stesso, di raggiungere una meta, in effetti non fa che assecondare il processo di espansione dell'io. Cosí voi non dovete parlare ai vostri simili per insegnare loro, non dovete sentirvi degli istruttori, ma ciascuno di voi, quando se ne presenta l'occasione, addivenga ad un colloquio con il suo simile per amore verso questo, per seguire quel prezioso impulso che sente di aiutarlo, senza preoccuparsi se il suo simile lo segue, se il suo simile lo giudica evoluto o intellettualmente quadrato, erudito e via dicendo: ma, ripeto, con il solo scopo di dare chiarezza al proprio fratello. Occorre stabilire individualmente questi colloqui, queste intime comunioni, nelle quali il desiderio di primeggiare non esiste, nelle quali esiste unicamente il desiderio di veder tornare il sorriso sul volto del proprio interlocutore, nelle quali non si esige che il proprio interlocutore abbia capito e divenga un neofito, perché in questo caso sarebbe una palese dimostrazione che il presunto altruismo è un moto ambizioso ed egoistico. Non è importante che il colloquio si ripeta. Se il vostro interlocutore avrà bisogno ancora delle vostre parole, sarà egli stesso a chiederlo, non voi ad imporglielo; se il vostro interlocutore sarà beneficato da quello che gli avete detto, sarà lui che vi chiederà di parlare ancora con voi. Ma voi non dovete sentirvi lusingati da questa richiesta, imperdocché se cosí fosse sarebbe una chiara, lampante, inequivocabile manifestazione che vi è ancora dell'ambizione che vi muove a parlare. E se anche cosí è, non vi diciamo « tacete », no, continuate pure a parlare perché il vostro interlocutore in ogni modo beneficierà delle vostre parole, sia che siano mosse dall'egoismo che dall'altruismo. Però se è l'ambizione che vi muove, siatene consapevoli ed allora vedrete che non vi sentirete piú dei novelli predicatori, dei discepoli prediletti che sono mandati fra gli uomini per catechizzare le masse, ma delle creature che ricercano, come la maggior parte delle altre, un mezzo per avere soddisfazione egoistica. L'individuo è quello che è. Né le organizzazioni, né il prestigio che i suoi simili gli possono accordare, lo accrescono spiritualmente. In effetti, se l'uomo gode presso i suoi simili di una certa rispettabilità, la sua

persona ha un peso nei confronti degli altri, una responsabilità nei confronti di chi gli accorda questo prestigio; ma in se stesso l'individuo è quello che è, e se, di peso, noi lo prendiamo dal centro piú o meno ristretto di coloro che gli accordano un privilegio e lo trasportiamo in un altro cerchio di individui dove nessuno lo conosce, l'individuo torna ad essere quello che è, rimane nudo di fronte agli altri, ricco solo della sua ricchezza interiore. Se presso i vostri simili voi godete di una fama, di una notorietà, di un prestigio, siate consapevoli della fiducia che godete, sappiate bene usarla perché è un « talento » che avete e che deve essere speso nella maniera giusta. Chi è ascoltato dagli altri perché, a torto o ragione, è ritenuto in grado di poter dire qualcosa, sia consapevole di questa sua possibilità, di questo suo potere e sappia spendere questo « talento » che ha in piú rispetto agli altri, questo ascendente che ha sulle altre creature, in modo altruistico e a loro beneficio. Se da altri ha ricevuto questa cambiale firmata in bianco, sappia contraccambiare usandola per il loro bene e non per il proprio interesse.

DALI

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Le ragioni del dolore - La speranza - Non giudicare -

5. La ragione del dolore Affanno afflizione amarezza angustia ansietà angoscia, corruccio crepacuore, dispiacere duolo disperazione, inquietudine, malinconia macerazione mestizia, oppressione, patèma patimento pena pianto, rammarico rodimento, sofferenza spina squarcio schianto spasimo strazio supplizio, tristezza tribolazione travaglio tortura tormento: dolore. Chi è quell'essere felice che può domandarsi: « Cos'è il dolore? ». No!, non è acqua quella che sostanzia gli oceani, i poli, e rende fertile la terra: sono lacrime versate dal dolore. Vi guardo, creature d'ogni specie, razza, ceto ed età: siete tutte segnate e dominate dal dolore. Vi guardo cercare affannosamente il piacere ed affannosamente trovare la sofferenza. Il dolore non è come il sole, che splende in egual misura sui giusti e sugli ingiusti; sembra accanirsi con i buoni, gli inermi, lasciando perciò -in grande perplessità chi soffre e chi è spettatore della sofferenza, che in ciò vedono una ingiustizia. Infatti il dolore - che sia sensazione fisica o sentimento appare assolutamente dannoso e tanto negativo che l'uomo ne fa la maledizione di Dio. L'esistenza del dolore è, al tempo stesso, lacerante esperienza e, per gli esseri dotati di raziocinio, paurosa minaccia nonché causa di angosciosi interrogativi.

Generalmente l'uomo accetta piú l'esistenza della morte che quella del dolore. Ed è giusto. Perché mai temere la morte tanto da sognare l'immortalità? Che sciocchezza! L'uomo che fosse immortale sarebbe il piú disgraziato degli esseri. La morte è la piú grande benedizione: libera l'umanità dalla tirannia dei potenti, dalla noia dei sapienti, dal peso dei notabili. Pensate un attimo a che cosa sarebbe l'umanità se nessun uomo del passato fosse morto, specialmente ì potenti. Tutti vorrebbero continuare a pesare sulla storia. Ve la immaginate che Babilonia? E quanto è comodo, invece, poterli mettere in disparte, obliarli, seppellirli nel silenzio. Tu che temi la morte, non ti rendi conto quanto le devi? Vorresti continuare a vivere? Ebbene, se anche tu fermassi il decadere del tuo corpo, sei soddisfatto di te stesso come sei? 0 forse vorresti continuare a vivere migliorandoti via via, trasformandoti? Ma trasformarsi è morire, morire a quello che si è. E la morte è solo trasformazione. Fortunatamente si muore di continuo. E se la morte è la regina della terra - in quanto nessun essere vivente ad essa sfugge - il dolore ne è il re. Vivere è avere un retaggio di dolore. Non è pessimismo il mio, è constatazione di un fatto estremamente naturale. Riconoscerlo noti è soffocare la speranza. P, assurdo, per non dire mostruoso, sperare di cambiare l'ordine naturale senza tener conto delle ragioni che lo determinano. Questo è il punto: la ragione del dolore.

Perché mai tanto dolore affligge ogni essere vivente? E fa dubitare i raziocinanti che la vita sia un dono; e fa pensare piuttosto che introduca in un luogo di pena dove, per qualche oscura ragione, ognuno debba soffrire. E se fosse - come nella catena alimentare della natura ogni creatura si ciba ed è cibo di altre - che le sensazioni, le emozioni, il dolore degli esseri viventi costituissero alimento per invisibili entità ultraumane? E se il dolore - che è tormento di ogni essere carnale - fosse il piacere di entità cosmiche immateriali, che si adoperassero in ogni modo per far soffrire i viventi e così trovare, esse, piú godimento? In tal modo gli esseri viventi tutti - e piú d'ogni altro l'uomo - sarebbero come animali da allevamento, fatti vivere e soffrire per il piacere di invisibili, potenti, sovrastanti, crudeli parassiti. Questi ed altri sono i dubbi che la dilaniante crudeltà del dolore fa sorgere in chi cerca una ragione di esso. Il credente, di fronte allo spettacolo del dolore, conosce il dubbio. Chi soffre perde la fede. Nei momenti di grande dolore anche la piú ferrea delle convinzioni spirituali, vacilla. « Padre, perché mi hai abbandonato? » si chiese lo stesso Cristo all'acne della sofferenza. Il dubbio che il dolore suscita nel credente si chiama « timore di aver offeso la Maestà divina » ed è intendere il dolore quale castigo. Ma non in tutti i credenti il dolore evoca sensi di colpa; a molti fa pensare d'essere vittime di ingiustizia ed allora, spesso, diventa ribellione. « Guai a ribellarsi nel dolore! » dicono i padri spirituali. lo, senza avere la pretesa d'esservi guida, vi dico: ribellatevi pure! Il dolore non è una cosa piacevole. R ufficio di ogni uomo essere forte, ed è ufficio dell'uomo forte resistere al dolore. Ma non sentitevi in colpa se vi manca la rassegnazione, se non sapete accettarlo come se fosse un piacere. No!, non tento di mettere d'accordo Dio e il dolore dicendovi che è l'uomo l'artefice della propria sofferenza.

E’ un Dio di crudeltà quello che toglie il figlio alla madre, che lungamente lascia le Sue creature nei tormenti tanto da far loro invocare la morte? R un Dio spietato quello che fa arrancare i Suoi figli, trascinare fra mille patimenti, e rimane muto alle loro invocazioni disperate? Il peggiore degli uomini talvolta sarebbe piú pietoso.

E' un Dio impotente quello che, invocato, implorato, non dà le poche ore di sollievo che una semplice, insensibile pillola può dare? Perché Dio, nella Sua incommensurabile perfezione, ha creato il dolore? E se non lo ha voluto o lo vuole Lui, perché lo permette?

« Perché mi è successo questo? Perché devo soffrire? », si domanda il sofferente. Tutti vorrebbero conoscere il perché del loro dolore. Esistono tante risposte quanti sono quelli che patiscono. E ne esiste una che le riassume tutte: l'uomo soffre perché deve superare l'io personale ed egoistico.

Questa è la risposta. Il resto è dettaglio con poca importanza. Non è tanto un tipo di azione che determina l'effetto, quanto l'intenzione. Quindi non serve conoscere il dettaglio: conoscete voi stessi, le vostre intenzioni, e saprete il perché della vostra sofferenza. Quante volte abbiamo ripetuto che non si tratta di sapere, ma di « essere ». Non sempre e non necessariamente chi compie eccessi dettati dal suo orgoglio, rinasce cieco. Quando si soffre - cioè si subisce l'effetto karmico - si sta seguendo la « via dell'azione ». E' tardi per riflettere; a quel punto non c'è che il fatto che fa soffrire, vissuto, a poter dare una data maturazione che manca e mancava all'atto in cui si è determinato il karma di sofferenza. Serve riflettere prima, nella vita di tutti i giorni; porre attenzione ai vostri rapporti con gli altri; vivere con la vostra sensibilità e la vostra considerazione una vita in cui gli altri non siano relegati al solo ruolo di comparsa, in cui vi avviate a superare l'io personale ed egoistico. Questo è il solo modo di risparmiarvi sofferenza. Certo è che per il fatto stesso che il dolore esista, è da Dio voluto, ricade su di Lui. Ma sarebbe un Dio estremamente crudele quello che condannasse al dolore altri restandosene ben al di fuori, nella beatitudine del Suo Olimpo, a guardare chi soffre. Tutto quanto esiste - per esistere - deve essere « sentito », ed il modo in cui ciascun essere lo « sente » è il modo attraverso al quale lo « sente » Dio; perciò è il modo attraverso al quale esiste. Attenti a quello che ho detto. Il dolore fa parte di una dualità della quale - saremmo tentati di dire se non temessimo di essere retorici - Dio stesso ne soffre e ne gioisce. Certo è che nulla di ciò che esiste, in senso lato, anche soggettivo - a cominciare dalle sensazioni per finire al sentire divino -, esisterebbe se non fosse in Dio, pur essendo Dio tutt'altro dal particolare. Ma una domanda ricorre in chi riflette sul dolore e cioè se Dio avrebbe potuto evitare di creare la sofferenza, per dirla in termini di creazione. Una tale domanda rientra nel quesito piú ampio e generale, cioè: se le cose tutte avrebbero potuto essere diverse da come sono congegnate. Ed io rispondo di no. Vi rispondo con una asserzione che può essere accettata solo per fede. D'altra parte sarebbe impossibile constatare la spiegazione con la sola mente umana. A voi che non potete tanto, quando soffrite dico: « Non ringraziate Dio per la sofferenza, né maleditelo. Quando soffrite pensate che non è tanto Dio a mandarvi quelle pene, quanto Dio a trasformare quel dolore in un balsamo per il vostro essere, il vostro esistere. Dio che non condanna né si vendica, Dio che con quel

mezzo, senza alternative, vi riscatta da una vita senza coscienza, vi richiama a partecipare alla Sua vera natura. Nel momento che richiamate su di voi il dolore e poi soffrite, sappiate che altro mezzo non v'era per condurvi innanzi d'un passo ». Forse il dolore perde il suo sapore di maledizione ed appare meno crudele se visto in una luce diversa che libera chi soffre dall'idea di patire una punizione divina, che non lo fa sentire in colpa se non riesce ad accettare la sofferenza e che, soprattutto, fa del dolore uno strumento dell'amore divino, un mezzo per farci partecipi dell'esistenza di Dio. Sono consapevole che quanto dico può essere recepito piú da chi è spettatore della sofferenza che da chi soffre. Chi patisce non intende ragioni, se non quella che può dare termine al suo soffrire. Ed è giusto che sia cosí. Ma nell'ora della disperazione, quando senti di non farcela con le tue sole forze e ti volgi attorno, forse senza speranza, quanta gioia e sollievo ti dà la mano di chi ti aiuta! Ebbene, se ti sembra bello e giusto avere trovato soccorso, perché tu pure non soccorri? E se non soffri, ma il dolore per te rappresenta una paurosa minaccia che ti paralizza e speri di non trovarlo, ti dico: « Vana è la tua speranza, prima o poi ti toccherà di patire ». Perciò non sprecare le tue energie a sperare che non ti tocchi, ma impiegale a capire chi soffre. Se poi puoi capire, senza averle provate, quanto gravose e dolorose siano le vicissitudini dei piú, perché non ti adoperi per alleviare anche in minima parte il peso di quelle? Se puoi capire che sia giusto e bello che ogni uomo non viva solo per se stesso, ma concepisca e viva la sua vita nella solidarietà con i propri simili, pronto a sostenere la parte piú umile nella scala sociale, pronto a dare anche se non ha ricevuto, come facente parte di una sola, grande famiglia, allora perché pensi solo a te stesso e aspiri a posizioni di preminenza e prima di dare - se dai - fai il bilancio di cosa hai avuto e frapponi mille condizioni al tuo dare, finanche esigere che chi ha bisogno risponda al tuo ideale di bisognoso o addirittura ti sia simpatico? Se puoi capire che sia giusto e bello che la società non sia un meccanismo senza calore umano in cui le istituzioni hanno perduto di vista il fine, lo scopo per cui sono state create - che é quello di aiutare gli uomini -, perché nulla fai di ciò che tu puoi fare per riscaldare i rapporti con i tuoi simili, anche semplicemente cercandoli, intrattenendoti con loro senza un tuo scopo egoistico? Perché invece fuggi chi non ti è in qualche modo utile e fai di tutto per liberarti della sua compagnia come se fosse una calamità? Certo l'ideale sarebbe che fossi tu ad avere l'iniziativa, tu ad operare una siffatta società! Ma già tanto sarebbe che tu considerassi chi ti avvicina cosí come vorresti essere considerato. Questo è quello che il dolore ti indirizza a farti comprendere, ad insegnarti; ma non già come un fatto di conoscenza, un patrimonio della mente, bensí come un'intima trasformazione: un essere nuovo che in tal modo sente e perciò opera, ancorché perdesse o perda il ricordo dell'esperienza avuta. Oh dolore, primo alimento della paura! Che cosa non si fa per sottrarsi al tuo abbraccio! Sei tu che rendi sgradite certe esperienze, tu che muovi gli esseri viventi per un verso anziché per l'altro. Sarebbe forse temuta la fame se non fosse dolorosa? E chi intraprenderebbe l'odissea che comporta lo sfamarsi se il digiuno fosse piacevole? Dunque tu, dolore, condizioni le esperienze degli esseri viventi e al tempo stesso li muovi da un venefico, mortale ristagno. Ebbene, se nelle cose che posso spiegare, tu, dolore, mi appari utile, la stessa utilità deve esserci laddove non arrivo ad afferrare la ragione della tua esistenza. In effetti tu sei il termine di una primordiale dualità, senza la quale nulla vi sarebbe di ciò che è; tu, per la tua stessa natura inviso e rifuggito da coloro che non esisterebbero e cesserebbero di esistere se non ti avessero conosciuto e non continuassero a conoscerti; tu, motore primo del divenire!

Ma dunque, se allora il tuo esistere è vitale, rifuggirti, ribellarsi alla tua opprimente presenza è un errore? Se quale termine di una dualità che dà vita ed evoluzione, tu, dolore, sei provvidenziale, perché mai ribellarsi al tuo straziante dominio? Giusto parrebbe invece supinamente subirti. Sí, è vero: il dolore è una macerazione insostituibile, ma la sua funzione è anche quella di far reagire, imprecare, rompere le situazioni spiritualmente cristallizzate, indurre a ricercare, a chiedersi: « Perché? », a diventare strumenti di speranza e

di gioia!

L'esistenza del dolore poggia su precise ragioni, quanto meno su quella di spingere gli uomini a serrarsi, a colláborare, a lavorare uniti per cancellarlo dalla tetra. Realizzandosi ciò, l'importante tappa raggiunta non sarebbe tanto l'assenza di dolore, quanto l'unione fraterna degli esseri. Guai a chi passivamente subisse il dolore! Lo svuoterebbe di gran parte del suo significato. Perciò, fratelli che soffrite, imprecate, maledite, cercate, chiedetevi perché. Cosí facendo fate quello che il dolore deve farvi fare! Ma non identificatevi con il vostro dolore. Voi siete molto di piú. Non lasciate che il dolore occupi tutti voi stessi e la vostra vita, divenga l'unico scopo di essa e vi paralizzi. Pensate che non vi è mandato per mettervi alla prova o che so io, ma che voi stessi l'avete richiamato, anche se al momento non ricordate e non capite perché. Forse, se pensate che voi stessi siete la ragione del vostro soffrire, vi sarà piú facile reagire, ritrovare la serenità. Ma soprattutto ricordate che al di fuori della dualità basilare di cui il dolore .è un elemento, ciò che sembra crudeltà è supremo, reale Amore che attraverso alle lezioni della vita cosí ci parla: « Figlio mio, non ostinarti a cercare la felicità dove non l'ho posta. Essa non è nel possesso dei beni

materiali, nell'appagamento dei sensi, nell'esaltazione del tuo io o nella condiscendenza che tu puoi avere

da parte dei tuoi simili. Io solo sono la vera beatitudine.

Il mondo dei fenomeni in cui ti muovi ed agisci non deve essere lo scopo della tua vita, ma solo un mezzo

che ti conduce a me, perché io solo sono la tua vera esistenza, la tua vera essenza.

Per quanto tu sia debole, insufficiente e misero, per quanto abbietto tu sia giudicato o tu sia, ricordati: io ti

amo, perché io solo sono il vero amore.

Cercami e non sarai deluso. Trovami e non conoscerai mai piú il dolore ».

KEMPIS 6. La speranza Nella storia della civiltà vi sono alcune scoperte e invenzioni la cui utilità è stata veramente fondamentale ed universale; ad esempio il fuoco, la ruota, la leva e via e via. Cosí nell'odissea dell'homo sapiens - questo essere che dalla prima forma di individualizzazione evolve fino a dimenticare la propria individualità per accendersi del piú puro altruismo - c'è qualcosa di altrettanto fondamentale e universale. Certo non si tratta di un bene materiale, non si tratta di una dote naturale di cui piú o meno tutti siano provvisti. Si tratta di qualcosa di inafferrabile, non di rado infondato e assurdo, ma che dà, a chi lo possiede, talvolta, piú di un aiuto materiale, di un bene prezioso. Parlo della facoltà di sperare: della speranza. Oh, speranza, cara amica dell'uomo, quanto gli dai in cambio di nulla, perché non costa sperare! Tu addolcisci ogni angoscia, ogni dolore; tu aiuti a sopportare, ad accettare; tu apri uno spiraglio di luce a chi è immerso nell'oscurità anche piú greve. Ed è per quello spiraglio che non è sopraffatto, che non soccombe. Anche nelle situazioni disperate - cioè senza speranza - tu non ti rassegni e in altra forma, con altra

promessa, soccorri l'infelice. Chi è che aiuta a tener duro, a resistere nella tempesta delle avversità? La speranza che tutto finisca. Chi è che oppone resistenza alla malattia e ne impedisce il dilagare piú di ogni medicamento? La speranza di guarire. Chi fa sopportare duri sacrifici, talvolta con forza sovrumana? La speranza di riuscire, di raggiungere la mèta. Se non vi fosse la speranza di raggiungere l'oggetto del proprio volere, la volontà mancherebbe e lo sforzo, la fatica, sarebbero decuplicati e, quel che piú importa, infruttuosi. Ma ditemi: chi intraprenderebbe un'impresa se non sperasse di riuscire nel suo intento? Per rendersi conto di quanta forza, coraggio e conforto rechi la speranza, basta pensare al suo contrario: la disperazione. E quanto soffrano coloro a cui la speranza non arride piú, lo si capisce chiedendosi: chi può fare a meno di sperare? Chi è tanto forte da accettare una condanna della vita, senza illudersi che qualcosa, all'ultimo momento, lo salvi? Chi rinuncerebbe a una promessa di aiuto nel bisogno? Fra coloro che la speranza non soccorre vi sono i pessimisti. Poveretti! Sono da compiangere. Si, è vero, possono aver ragione, ragione a non confidare; ma possono anche aver torto e allora perché rinunziare in partenza a quell'afflato che la speranza sa donare? Per non rischiare la delusione? Bene, io vi dico invece: rischiate. Quel teorico cinquanta per cento di delusione che potreste avere è piú conveniente di un cento per cento senza speranza. E poi, perché non sperare? Perché darsi per vinti, perché mettere limiti alla potenza di Dio? Fra i casi giudicati senza speranza, ce n'è sempre almeno uno che, invece, si è risolto diversamente. E perché il vostro non potrebbe essere il secondo? Però sappiate che tutti i casi che si sono risolti felicemente, nessuno escluso, erano vissuti nella speranza. Ma se certe speranze vengono deluse e si dimostrano poi, nella realtà, vane, allora che cos'è la speranza? Assegnamento o chimera, conforto o illusione? Miraggio o promessa? Prospettiva o sogno? La speranza è tutto questo: è sogno, miraggio, illusione, chimera quando non si realizza, ma anche quando è così, la delusione non cancella ciò che la speranza, prima, ha donato. Credetemi, il Creatore dando all'uomo la possibilità di sperare gli ha fatto un dono meraviglioso. Saggiamente il cattolicesimo fa della speranza una virtú teologale, cioè una di quelle virtú infuse da Dio nell'uomo per la sua beatitudine soprannaturale. Sapete che cosa vi dico? Se la Verità del Tutto, se la conoscenza del vero significato di tutto quanto accade, se la Realtà dell'esistente non fosse essa stessa di per sé speranza, vi direi che è piú importante infondere speranza che far conoscere la Verità; e se dovessi scegliere fra l'essere Maestro di qualcuno o, invece, rappresentare per lui la speranza, vi assicuro che con immensa gioia sceglierei d'essere la sua speranza, perché non ci può essere niente di piú bello e gratificante che essere la speme di una creatura. Ma, badate bene, io non vi parlo di quella speranza dell'abulico, del rassegnato; io vi parlo di quella speranza, anche irrazionale, ma che dà fiducia, stimola ad agire, a non darsi per vinti. Non vi parlo di quella speranza che è evasione dalla realtà. Vi parlo di quella speranza che, pur nella piena consapevolezza della situazione presente, non abbandona. Anzi, piú sembra assurda e piú dà accanimento a credere in un domani migliore, raggiungibile attraverso l'opera nell'oggi. Questo è il punto! Non la speranza che, inerme, vi fa attendere che la soluzione piova dal cielo, ma quella che la combattere perché dà la fiducia che la lotta, in qualche modo, possa essere vinta. E quand'anche ciò non fosse, la vera speranza non si spegne, ma dà la fiducia che niente è mai veramente perduto e che alla privazione segue, per una legge naturale e divina, una dotazione piú grande. La vera speranza rende fidenti che chi si ama veramente, per una legge naturale e divina, non viene mai definitivamente diviso e che, a una momentanea separazione, segue un'unione piú bella, piú viva, piú consapevole, piú sentita, piú desiderata e mai più interrotta.

Se avete una minima fiducia in me - e lo credo, perché altrimenti non stareste ad ascoltarmi, nemmeno per curiosità allora, vi prego, credetemi. lo vi dico che tutto accade per il vostro vero bene e che nel mondo invisibile che sperate esista non avete degli esseri ostili che fanno di tutto per farvi soffrire, ma creature che vi amano e che fanno di tutto per farvi crescere, maturare, rendere piú coscienti, piú liberi e felici.

Si, fratelli, se ancora non l'avete capito, il mio non è un invito alla disperazione: è un invito a sperare! « In che cosa? » sento che vi chiedete. E vi vedo girare attorno lo sguardo, mentre un'espressione di sgomento si rivela sul vostro volto. Sí, certo, le stragi fini a se stesse mietono vittime innocenti, stroncano la vita di inermi passanti. Ma io vi dico: sperate! I fatti obbrobriosi sono subito dimenticati e finiscono col passare quasi inosservati nell'indifferenza generale. Ma io vi dico: sperate!

Pare che l'onestà sia un antico ricordo; un'usanza di tempi ormai superati che non ha piú senso, ma io vi dico: sperate! Nessuno sembra piú disposto a lavorare, a faticare, a sacrificarsi, a fare il proprio dovere che costa, ma io vi dico: sperate! Nessuno piú vorrebbe rivestire il ruolo di essere anonimo che svolge i servizi piú umili, in silenzio, ma io vi dico: sperate! Ognuno pretende, con prepotenza esige e non vuole essere secondo a nessuno, ma io vi dico: sperate! I buoni sono irrisi, sembra che siano premiati i peggiori e che i disonesti la facciano franca, ma io vi dico: sperate! « Sperare in che cosa? », voi vi domandate. Non' c'è nessuno in cui sperare; nessuno che sembri lavorare, industriarsi, agire non per se stesso; non c'è qualcuno che possa essere levato a simbolo, additato ad esempio. Allora vi dico: c'è una schiera di creature anonime, silenziose, che non fanno cronaca, che non conoscono la lusinga del successo, la tentazione del potere, la sete di possedere; che si accontentano di quello che hanno, non perché non potrebbero avere altro, ma perché hanno capito, che sono pronte a donare; che non si sentono umiliate a rivestire ruoli umili, a mandare innanzi altri, solo che ne vedano il valore; che sono pronte a sacrificarsi, solo che si convincano che ne vale la pena. Son loro che mi autorizzano a dirvi: sperate! Sperate in un domani migliore, nell'uomo migliore, nella virtú trionfante, nel buon senso che prevale, nella coscienza che si desta, nella volontà di creare un mondo piú bello, nella speranza che ritorna: perché sperare è carezzare, è concepire il bene, è cullare, è infondere fiducia, è nutrire, è pascere, è rinverdire, è dare forza. Sperare è creare! Che la speranza sia con voi!

KEMPIS

7. Non giudicare DALI - Se voi fate attenzione, potete rendervi conto che certi principi fondamentali, che fanno parte della morale e delle religioni piú evolute, fanno parte anche della legislazione di tutte le civiltà. Invero certi principi, come « non uccidere », « non rubare », eccetera, hanno una ragion d'essere che si fonda tanto su motivi etico-religiosi quanto su l'indispensabile reciproco rispetto che deve essere alla base dei rapporti fra i membri delle società che vogliono sopravvivere.

Infatti, come un organismo pluricellulare vive solo se le cellule che lo costituiscono vivono in stretta armonia e cooperazione - cioè non in antagonistica lotta -, allo stesso modo una nazione, una civiltà, si costituiscono tali ed evitano la disgregazione solo se fra i cittadini esiste almeno una civile convivenza basata sul reciproco rispetto. Questo deve farci riflettere e comprendere che i fondamentali principi morali non sono astratte imposizioni volte solo a creare problemi al singolo uomo, a misurare la sua capacità di resistenza e di sopportazione, per poi meritarsi o no il paradiso; ma poggiano su una logica che anche un ateo non può che ritenere giusta e condividere. Questo discorso, però, non vuol dare alla morale un valore assoluto. Preciseremo poi in che termini è valida l'etica. Certo, non è assoluta: è tanto piú universale quanto piú si rivolge a individui di analoga evoluzione. In senso personale, la morale è tanto piú valida quanto piú rafforza i doveri verso gli altri quanto píú fa comprendere che il giudizio nei loro confronti - specie quel giudizio che poi preclude ogni slancio di aiuto e di comprensione - non ha ragione di sussistere, anche perché non si fonda sulla completa conoscenza dell'altrui verità. Ciò che sappiamo degli altri è solo quello che appare all'esterno, mentre la realtà di ognuno è quella che scaturisce dalle intime intenzioni. Una stessa azione fatta da due uomini può avere intenzioni diametralmente opposte. Ma non è tutto: chi giudica il comportamento ispirato al materialismo, per esempio, come riprovevole, non sa che, molto spesso, tale comportamento è solo la reazione ad una precedente vita forzatamente e sterilmente impostata e improntata al misticismo. Chi, per timore di un castigo nell'aldilà, tiene una condotta irreprensibile dal punto di vista religioso, ma solo nella forma e non nella sostanza, cioè senza uno slancio di apertura verso gli altri , certamente rinasce, per reazione, ateo. Ma come ateo sarà, verso gli altri, piú generoso e migliore di quanto lo fu come religioso. Viceversa, chi ha tenuta una vita assolutamente sensuale sarà, nella successiva, per reazione, tutto volto al misticismo e desideroso di migliorarsi. Un tale mistico, dall'esterno e nell'ignoranza di ciò che fu, può essere giudicato un essere avanti nell'evoluzione, mentre il suo slancio religioso è solo l'altro estremo di quella dualità, di quell'alternarsi dei contrari a cui sono soggetti e soggiacciono coloro che ancora non hanno trovato l'intimo equilibrio. Quando non c'è apertura verso gli altri, quando non c'è altruistica disponibilità, si può spargersi la cenere sul capo quanto si vuole, ma si è solo lupi in vesti di agnelli. Di contro, un ateo che trovi nelle dottrine materialistiche l'incentivo a difendere e a proteggere i deboli e gli sfruttati, ha una vita, piú che morale, altamente spirituale.

L'alternarsi da un estremo all'altro della dualità fa parte della legge di azione e di reazione; un aspetto della quale è la legge di causa e di effetto. Azione e reazione che ha lo scopo di ricondurre ad un equilibrio in qualche modo alterato, ma soprattutto ha lo scopo di far raggiungere la coscienza del proprio posto e della propria funzione, nei rapporti coi propri simili.

In effetti tutto è perfetto e tutto conduce alla realizzazione di una ’sí tale coscienza. FRANCOIS - A mano a mano che si riesce a comprendere che tutto è in Dio; che il mondo fisico non è una terra di frontiera a sé stante, dove l'uomo deve dimostrarsi degno di essere accolto nel mondo divino; si acquista la convinzione che tutto è perfetto e, nello stesso tempo, perfettibile. In altre parole, tale perfezione non va intesa fine a se stessa, ché, altrimenti, non lo sarebbe; è una perfezione finalistica che ha uno scopo ed è proprio tenendo presente lo scopo, l'ordine, che la disposizione di ciò che è diventa perfetta. Per esempio: gli istinti che dominano tutti gli animali rendono possibile la manifestazione

dei primi sentire; perciò fanno parte della perfezione del Tutto; tuttavia non hanno valore assoluto, perché è proprio dal sottrarsi all'imperio di quegli istinti che l'uomo realizza in sé sentire piú ampi. Allo stesso modo gli errori degli uomini, le crudeltà, il dolore .e tutto ciò che l'uomo addebita a Dio - se non altro per il fatto che Dio non ne impedisce l'accadere- accade proprio per far trovare a ciascuno il senso della responsabilità, la coscienza delle proprie azioni; per far comprendere ad ognuno che non si sfugge ai propri doveri, che nessuno può vivere solo per se stesso. KEMPIS - Affermare che tutto è perfetto - al di là del valore relativo che ogni evento ed esperienza hanno nei riguardi di ciascuno - può sembrare negare ogni valore alla morale. Se infatti tutto è perfetto, in ultima analisi, che senso ha rifuggire il male e tendere al bene? Perché il male, in fondo, fa parte della perfezione del Tutto. Qui occorre stare bene attenti a non confondere il piano della relatività individuale con l'Assoluto. Sul piano relativo non c'è dubbio che esistono « bene » e « male ». Si tratterà di mettersi d'accordo su quali sono le cose da considerare tali; anche da ciò, appunto, la relatività dei concetti. Questo sempre sul piano della relatività. Ma sul piano assoluto (qui mi dispiace ma sono costretto a fare un discorso filosofico) non possono esistere bene e male assoluti, perché, essendo termini di una contrapposizione, vicendevolmente annullerebbero il reciproco carattere assoluto. Infatti, sul piano assoluto conserva la propria assolutezza solo ciò che non ha il suo contrario. Per esempio: l'Essere Assoluto, la Coscienza assoluta, l'Esistenza assoluta. I contrari - non essere assoluto, incoscienza assoluta, inesistenza assoluta - non possono esistere, come ho spiegato altre volte. Richiamo solo la vostra attenzione sul fatto che l'essere relativo, la coscienza relativa, l'esistenza relativa esistono; ma non sono contrapposti all'Assoluto, tant'è vero che sono nel Suo seno. Ora, siccome il sentirsi

d'essere di ognuno, passando in successione a stati di coscienza sempre piú ampi, riconoscerà nella Coscienza assoluta la propria vera identità, essendo questa Coscienza assoluta - o Dio - la Realtà finale di ognuno - quella vera -, essa può essere considerata il sommo bene di ciascuno. Fatta questa considerazione, si sarebbe tentati di affermare che una morale generale potrebbe scaturire dal principio che è bene tutto ciò che volge direttamente all'unione divina, e perciò alla comunione degli esseri, ed è male ciò che divide. Ma se, come noi affermiamo, comunque l'uomo indirizzi la propria vita. inevitabilmente il fine di unione è raggiunto, altrimenti se anche un solo essere fosse staccato da Dio, Dio sarebbe incompleto, allora anche questo male è relativo e limitato. Tuttavia, ripeto, questa affermazione non significa altrettanto implicitamente che sul piano individuale il male non abbia peso.

Un termine di comprensione si può trovare nella evoluzione biologica. Infatti, proprio come l'evoluzione biologica procede per tentativi e talvolta per vie indirette, correggendosi naturalmente nello scontrarsi con la realtà ambientale, cosí il cammino spirituale dell'uomo può segnare deviazioni e percorsi indiretti Ora, certe deviazioni, certe esperienze in senso immediatamente opposto al fine spirituale per cui ciascuno vive, possono considerarsi male relativo, anche se solo per questa collocazione apparentemente opposto alla mèta finale. Solo in questo senso, cioè in un senso del tutto particolare - oltre che relativo - e solo in questa forma esiste il male. In ogni caso, il male, l'errore, non sono mai fine a se stessi. In ultima analisi si risolvono e significano capire qualcosa attraverso al suo contrario, il che è una via dolorosa e da evitare. Diversamente da cosí, esisterebbe Dio e il male, ma si tratterebbe di un Dio relativo.

Del resto, non siamo certo noi i primi a negare il carattere assoluto del male. Già nella filosofia greca - vedasi principalmente Plotino - è contestata la concezione del male come principio assoluto. Perfino nel cristianesimo - che con il suo Lucifero sembra assai vicino a posizioni manicheistiche di una realtà duale

vista come una terra di scontro fra bene e male - perfino nel cristianesimo, dicevo, Sant'Agostino nega la sostanzialità del male. Cosí pure nel pensiero moderno, specialmente con Leibniz e Hegel, il male è concepito come un momento talvolta necessario al realizzarsi del bene. Ora, molti incorrono però nell'errore di credere che un valore relativo sia un « non valore ». Badate bene, incorrere in questo errore è travisare completamente la questione. CLAUDIO - La relatività di ciò che è male e quindi, per il principio « contraria acta », la relatività di ciò che è bene, sul piano personale insegna soprattutto a vivere secondo la propria natura, a comprendere gli altri e a usare l'auto-controllo allorché le proprie azioni rechino danno ai propri simili. Queste conclusioni scaturiscono dalla considerazione che il modo di vivere di chi avesse raggiunto il vertice della moralità sarebbe prima di tutto una questione di intimo essere, di natura e poi di condotta e di azioni ispirate da un sentire in quei termini, e non imposte dalla volontà soffocatrice di un diverso sentire. Inoltre una tale natura, un simile sentire, si rivela per gradi e per ognuno attraverso ad esperienze, forse analoghe, ma diverse. Quindi, anche dando una definizione píú generale possibile di ciò che è bene e della morale - ossia identificando il bene nella mèta a cui conduce il cammino dello spirito, e definendo comportamenti morali quelli ispirati da un interesse che non riguarda la propria persona -, è chiaro che ciascuno, circa la moralità di comportamenti, può solo dire di se stesso, dato che la morale individuale scaturisce dal personale sviluppo del sentire, e quindi ognuno - in definitiva - ha una morale valida solo per se stesso. KEMPIS - Infatti un uomo in cui ancora non si è affermata la coscienza individuale vive unicamente per se stesso, per il proprio predominio sugli altri, per il proprio piacere; insomma nei confronti dei propri simili non ha una condotta certo ispirata ad aiutarli. Sarebbe assurdo pretendere da lui un comportamento che comprendesse uno slancio di altruismo. Mentre sarebbe già indice di un primo affermarsi della coscienza un'azione da lui fatta al di fuori della ricerca del proprio piacere e dei propri interessi. Le valutazioni di un uomo simile, quindi, non potrebbero prescindere dal grado di evoluzione in cui egli si trovasse, perché un raffronto di ciò che quell'uomo è, con il vertice morale rappresentato dall'abnegazione di se stessi, non avrebbe senso. Per dirla in termini etico-religiosi, non potrebbe essere posto a suo carico il suo mancare una occasione di manifestare altruismo. L impossibile perciò giudicare se un uomo è volontariamente volto al suo bene morale o meno, non conoscendosi il suo grado di evoluzione. Né si può giudicarlo dalle azioni, che possono nascondere intenzioni diametralmente opposte a quelle che appaiono. Si può solo giudicarlo raffrontando le sue azioni con la morale comune, con la legge sociale, ma ciò significa ben poco, se si escludono le necessarie implicazioni sociali atte a contenere le sopraffazioni dei prepotenti. CLAUDIO - La Verità dell'intimo si rivela nell'intenzione ed è una rivelazione che, anche quando ciascuno voglia conoscere la propria, rimane riservata, personale. Gli altri non potranno mai conoscerla con certezza. Tuttavia, se il vero essere di ogni uomo sfugge al giudizio dei suoi simili, non cosí è, né deve es. serlo necessariamente per ciascuno il proprio. Diversamente ciascuno sarebbe autorizzato a comportarsi nella completa ignoranza di se stesso e secondo il suo capriccio; mentre ognuno deve conoscersi, sapere il vero scopo che lo muove ad agire. La conoscenza del proprio intimo essere può sorprendere, può diventare la condanna di chi ha tenuto una vita retta e l'assoluzione di chi, disinvoltamente, ha infranto regole della morale comune. Il motivo per cui ognuno deve conoscere se stesso, risiede nel fatto che. la manifestazione di un sentire sempre piú ampio di quello in atto, ha luogo quando le limitazioni che racchiudono quel sentire cadono, e cadono a seguito di intime riflessioni, di una attenta analisi, appunto, nella quale si comprende che la propria responsabilità, la propria esistenza, deve essere piú sentita, deve essere piú volta agli altri. Quindi un duplice rendersi consapevoli e dei propri limiti e della possibilità di essere diversi.

KEMPIS - La manifestazione del mondo del sentire cosmico si rivela, nel mondo umano, progressivamente, come sentire altruistico, e segue una scala in cui ad un estremo c'è un uomo che vive solo per se stesso, per la propria affermazione, per il suo predominio sugli altri, che vorrebbe tutti asserviti a sé; all'altro estremo c'è il prototipo dell'uomo che sente l'altruismo fino alla abnegazione di se stesso. Fra questi due estremi si svolge l'evoluzione spirituale dell'uomo, attraverso ad una quantità di punti di passaggio che seguono un progressivo smorzarsi dell'egoismo per un graduale rivelarsi del sentire altruistico. Infatti fare qualcosa che non sia volta al proprio piacere, a una qualche utilità per se stessi, per esempio fare il cosí detto proprio dovere rivela già un egoismo meno totale che l'agire unicamente per il proprio piacere, per il predominio di sé, con l'intenzione di schiacciare e nuocere a tutti in modo che nessuno sia superiore o eguale. Non solo, ma anche nel fare il proprio dovere, vi sono differenziazioni nelle ragioni per cui si è portati a farlo che si rivelano essere gradi diversi di egoismo, anche in comportamenti apparentemente eguali. Si può fare il proprio dovere per paura delle conseguenze che possono ricadere sui trasgressori; oppure per guadagnarsi il paradiso o la stima altrui, ed è già qualcosa. Ma non è tanto quanto fare il proprio dovere per amore ad esso e basta! Analoga differenziazione si può fare nel rispetto verso gli altri. Il comportamento rispettoso può essere motivato dalla paura, dal proprio desiderio di ottenere favori e vantaggi, ma tuttavia rappresenta un egoismo meno brutale di quello che anima un uomo che vive solo per il proprio piacere, piú gretto, piú greve, piú sensuale. D'altra parte invece può esservi - nel rispetto verso il superiore - una reale deferenza, un dimenticare se stessi per qualcuno. E cosí, in un progressivo destarsi, accendersi, prima di giungere al radioso sentire

altruistico che ispira l'olocausto di sé per il bene altrui, si passa per il desiderio di non nuocere, di non pesare sugli altri, di essere utili e via e via! CLAUDIO - Da questa prospettiva, il giudizio circa la moralità dei comportamenti si modifica. P chiaro infatti da tale prospettiva che allorquando si dimentica se stessi, protesi verso il raggiungimento di un ideale, si è sempre nel giusto, anche se l'ideale è errato. Di contro, se si trascorre l'intera vita in preghiera con l'intento egoistico di salvare la propria anima, si è sempre in errore. FRATELLO ORIENTALE - Vedi, fratello caro, quando vivi per la tua famiglia e aiuti i tuoi familiari, ma non per evitare difficoltà a te stesso evitandole a loro, bensí per il loro bene anche a costo del tuo sacrificio, tu sei piú nel giusto di chi conduce una vita caritatevole con l'intento di guadagnarsi il Paradiso. Ma bada! Se constatando che sei nel giusto tu ne godi, sappi da ciò che non lo sei. Quando ciò che fai è dettato dal tuo sentire, ti è inavvertito, non ti pesa anche se ti è, in effetti, di grande fatica. Anzi, tu desideri farlo, è per te del tutto naturale il farlo, ne soffriresti se te lo impedissero, perché quel sentire è parte del tuo intimo e piú vero essere.

DALI - Il termine sentire da noi usato come sostantivo, sta a designare una natura interiore dell'uomo poco conosciuta. Ognuno sa che cosa sono le azioni, le sensazioni, le emozioni, i desideri, i pensieri, i sentimenti nel senso comunemente inteso. Tutti questi, chiamiamoli moti dell'anima, possono essere gradevoli o sgradevoli, nobili o grossolani, giusti o errati, secondo il giudizio relativo dell'uomo. Perfino il sentimento - che pure secondo taluni costituisce la vita morale - non sfugge a questa classificazione. Mentre quello che noi intendiamo per sentire non può essere errato, non può essere spiacevole, sfugge, alla legge dei contrari perché non appartiene al mondo della percezione, anche se il mondo della percezione è quello che lo fa nascere.

Sentire e coscienza, nel nostro linguaggio, si identificano. Ma la coscienza individuale può essere errata, secondo taluni; la coscienza che noi intendiamo, no! La coscienza, come il sentire, può essere insufficiente, mai errata. L'errore nasce proprio dalla carenza di sentire, da una limitazione della coscienza. L'egoismo, considerato dall'uomo un sentimento, non è un sentire: nasce dalla mancanza di sentire, come conseguenza di una coscienza embrionale. A mano a mano che la coscienza si costituisce, l'egoismo si riduce, il sentire si

amplia, perché una coscienza costituita è altruismo spinto all'abnegazione piú totale di se stessi. KEMPIS - Ma la coscienza-sentire non è solo altruismo. L'altruismo è una conseguenza di uno stato d'essere di viva partecipazione al Tutto, al di là di ogni limitazione personale, di ogni visione di parte. t superare il dolore alla sua stessa radice, la propria incompletezza, ed esistere nella beatitudine che nasce dall'avere raggiunto uno stato d'essere che abbraccia realtà sempre piú universali. CLAUDIO - La realtà del tuo essere, la Verità di te stesso, sta dietro a ciò che fai, ciò che dici, ciò che pensi. E può essere del tutto difforme dalle tue azioni, parole, desideri, pensieri. Essa giace in te ed attende di essere liberata. FRATELLO ORIENTALE - Tu che sei volto ad accumulare beni materiali e di essi ne fai il tuo tesoro, sappi che non è quella la tua vera ricchezza. KEMPIS - Tu che hai raggiunto posizioni di preminenza, di potere, di notorietà, sappi che non in quello sta la tua vera ricchezza. DALI - Tu che accudisci alla bellezza del tuo corpo come ad un bene prezioso che ti appartenga, sappi che non è quella la tua vera ricchezza. CLAUDIO - Tu che apprezzi il sapere, l'abilità, la cultura e la perizia, sappi che non sono ancora quelli la tua vera ricchezza. DALI - La tua vera ricchezza è un bene che ti appartiene durevolmente, come e piú che l'umidità all'acqua, il calore al fuoco, tu a te stesso. Essa giace nel profondo del tuo essere, e si chiama sentire.

Indice di questa pagina

La realtà del sentire - Realtà oggettiva e soggettiva -

Ragione della soggettività della vita individuale e motivo per cui al soggetto debba sembrare reale -

La molteplicità, dimensione comune dei Cosmi e la molteplicità nel mondo del sentire -

Aspetto granulare del molteplice. Aspetto unitario del sentire - Il soggetto nella realtà "essere" -

Rapporti fra mondi della percezione e del "sentire". Disposizione del "sentire" -

PARTE SECONDA

L'INSEGNAMENTO FILOSOFICO-ESOTERICO

In verità vi dico che non v' è cosa piú insensata che tapparsi le orecchie per non dimenticare ciò che si è

udito. 0 chiudere gli occhi e non voler piú vedere perché si è convinti che non vi sia nulla di piú bello di ciò

che si è visto. 0 credere importante ritrovare nell'oceano la lacrima che un lontano giorno, scendendo lungo

il volto, cadde nel fiume.

DALI 8. La realtà del "sentire" (Tutte le comunicazioni su questo argomento sono dell'entità che si è fatta chiamare Kempis.)

Finché si dice che l'uomo ha una parte immortale, cioè che sopravvive alla morte del suo corpo, non vi sono problemi di comprensione: al massimo uno non ci crede, ma capisce che cosa non crede. Invece, quando si parla di che cosa è questa parte immortale, come nasce, eccetera, la questione si fa assai più complessa. Intanto - se non la si inquadra in un disegno generale che spieghi, sia pur per sommi capi, la struttura della Realtà si può dire quello che si vuole come la mitologia (senso occulto a parte) insegna. E in effetti, quando si è cercato di spiegare chi è l'uomo, da dove viene e quale è il suo destino, lo si è fatto disinteressandosi di quella che è la Realtà - cioè il complesso di come le cose sono in sé, della vera condizione e qualità di tutto ciò che esiste. Mentre un'ipotesi, una teoria, una spiegazione è tanto piú plausibile quanto piú abbraccia e si inserisce armoniosamente nel complesso generale delle cose. Allorché non si armonizza col resto - lo capite da voi - non regge. Ora, io sono stufo di sentire discorsi che vogliono spiegare che cos'è l'uomo, qual è la sua origine e il fine verso il quale cammina, Semplicemente fornendo delle pseudo spiegazioni che non fanno altro che spostare il problema. In altre parole: quelli che sono interrogativi circa l'uomo, diventano interrogativi circa lo spirito, ossia la parte immortale dell'uomo o come la volete chiamare. Siccome si comincia col dire che lo Spirito non muore mai, non evolve, eccetera, se anche la spiegazione non si capisce perché non spiega nulla, il difetto è di chi sta a sentire e non di chi la fornisce. Questo perché l'uomo che ascolta non ha dimestichezza con la realtà spirituale nella quale - si dice - lo spirito sa tutto, ma in effetti percorre un cammino da cui ricava qualcosa; nella quale - sempre si dice - lo spirito dovrebbe stare in una realtà di essere, ma in effetti, invece, diviene. Tutto questo non lo dico io, badate bene; lo dicono certe spiegazioni. Leggetele con animo critico e ve ne renderete conto. Allora, come sta la questione? Lo spirito evolve o no? Intanto vi ricordo che non abbiamo mai usato il termine « spirito » per indicare la parte piú alta dell'uomo; se mai abbiamo usato il termine « scintilla divina », per indicare che nell'uomo esiste la presenza della Divinità, E ciò che evolve, per noi, è semmai la coscienza, intesa come senso di quale deve essere la propria funzione in una Realtà in cui tutto è Uno, e la vera natura di ciascuno è un medesimo essere. Ora, vedete, in una realtà di essere la quale, sola, badate bene sola, permette l'esistenza di un Dio Assoluto, non può esservi nulla che divenga realmente. Perciò se si intende l'evoluzione come divenire, non può esistere evoluzione. Piú volte vi abbiamo ripetuto e precisato che Tutto E' e che quelle che sembrano fasi di una trasformazione, la quale ha consumato ciò che era e non ha raggiunto ciò che sarà in effetti, sono tanti stati d'essere che non trascorrono, ma sono e restano al di là del tempo, cioè nel non tempo, cioè nell'eternità. Ma non voglio entrare nel difficile per ripararmi dietro certe difficoltà di comprensione per mascherare cosí le mie lacune, nello stesso modo come, generalmente, viene fatto. Voglio fare un discorso il piú semplice ed il piú piano possibile.

Non esiste uno spirito creato potenzialmente perfetto che debba divenire perfetto in atto; uno spirito che nasca in qualche modo ignorante e che debba acquisire qualcosa attraversando la materia. Questo non lo dico io, badate bene, lo enuncio semplicemente come un fatto di cronaca. Ripeto: o si crede in un Dio Assoluto, e in tal caso non può esistere alcun divenire reale, oppure Dio non esiste e tutto è frutto del caso, ammesso che possa esserlo. Qual è allora, in poche e spicce parole, la spiegazione della Realtà che noi vi proponiamo? E’ questa. Dio non può che essere il Tutto, altrimenti sarebbe incompleto. Non può che essere Assoluto poiché, se fosse relativo, non sarebbe al di sopra di tutto, sarebbe un termine della molteplicità. Per questa ragione Dio non è contrapposto ad alcunché. Infatti solo ciò che è limitato può contrapporsi, ma Dio deve essere illimitato altrimenti sarebbe, appunto, incompleto. Invero quei caratteri assoluti che Dio deve avere - come eternità, infinitezza, eccetera - non travisano il concetto assoluto di Dio ma ne fanno parte; sono insiti nel concetto di Dio assoluto ma lo puntualizzano esattamente solo se si intende che non Lo contrappongono ad alcunché. Dio è il Tutto-Uno-Assoluto, cioè non ha certe qualità e manca di certe altre: è Colui che ha tutte le qualità ma al tempo stesso non ne ha nessuna in particolare. Pure essendo il Tutto, trascende la sommatoria di tutto quanto esiste; e siccome tutto è in Lui - e non potrebbe non esserlo - Egli è immanente e trascendente al tempo stesso. Questa immanenza fa sí che Dio è in tutto; questa trascendenza fa sí che le qualità relative del mondo degli esseri relativi non incidono nella natura divina ed assoluta. Mi spiego con un esempio pedestre. Il numero 2 è il risultato della somma di due unità: contiene due unità. Tuttavia il numero 2 ha un valore diverso dall'unità, pur contenendola. Quindi, per esempio, quello che nel mondo relativo è male, esistendo, è in Dio. Ma Dio è Dio e il male è il male. Perciò Dio non è amore nel senso umano, piú di quanto non sia odio. Dio è Essere Assoluto, al quale non si può contrapporre il non essere. Il non essere assoluto non può esistere, poiché sarebbe una contraddizione intrinseca. Nel momento che il non essere esistesse, cioè fosse, non sarebbe píú non essere. Perciò il non essere assoluto può solo non esistere. Sul piano relativo il discorso è diverso: si può non essere qualcosa perché si è qualcos'altro. Ora, l'Essere Assoluto, colui che deve sentirsi d'essere, non può che avere questa coscienza, altrimenti sarebbe incosciente; ma se fosse incosciente, dal momento che sul piano assoluto non esiste che Lui, la sua esistenza non sarebbe rivelata in alcun modo, perciò non esisterebbe. Infatti, filosoficamente, qualunque cosa, per esistere, o ha una sua sia pur larvata coscienza d'essere oppure, se non ce l'ha, deve esservi qualcuno cosciente che la percepisce; altrimenti - ripeto - non esiste. Ora, se Dio è coscienza d'essere, e non potrebbe essere diversamente, lo è in senso assoluto. Ma il sentirsi

d'essere assoluto, o sentire assoluto, deve comprendere in sé i possibili gradi di sentire, cioè non può essere monolitico, altrimenti sarebbe un solo elementare sentire. Per essere assoluto deve essere poliedrico. Ma il sentire assoluto non può essere una poliedricità di sentire assoluti; non può esistere piú di un Assoluto, allo stesso modo di come non può esistere piú di un Dio, perché l'uno limiterebbe l'altro. Perciò la poliedricità del sentire assoluto poggia sulla molteplicità di sentire relativi.

E' chiaro che il sentire assoluto rappresenta la completezza del sentire; cioè deve contenere in sé tutti i possibili sentire, ripeto, pur essendo in sé diverso da ciascun singolo sentire e dalla totalità di essi, cosí come la fusione di due diverse immagini bidimensionali oculari dà una immagine tridimensionale che è qualcosa di diverso e di piú delle due immagini piatte che ne sono alla base.

1 sentire relativi costituiscono il mondo della relatività, della molteplicità. Sono gli esseri, siamo noi, voi tutti. Ma questa molteplicità non è smembrata; costituisce un solo tutto inscindibile; e questa unità di un solo Essere - che pure è l'Essere divino - è realizzata attraverso alla continuità del sentire. In altre parole, ciascun sentire che esiste nella e per la eternità del non tempo, ma che si rivela, vibra in una sola volta in successione dal piú semplice al piú complesso, fa parte di una serie di sentire aggregati per analogia. Cosicchè si realizza nella successione dei sentire quella continuità di sentirsi d'essere che rimane da un sentire all'altro della stessa serie e che costituisce l'idea di un essere che sente e che si trasforma, pur conservando una stessa identità in un supposto divenire. Questi virtuali esseri che sentono, virtuali rispetto alla Realtà ultima, che è quella di un Solo Essere Divino, siamo noi, voi, noi tutti, con una coscienza in espansione. Ma in effetti - ripeto - la coscienza che si espande, o il sentire che si modifica, o l'individuo che diviene con la Realtà, è una illusione perché, in effetti, tutto è nella Eternità del Non Tempo. L'illusione del divenire nasce dal fatto che ciascun sentire, essendo relativo, non può che essere limitato; perciò non può che rivelarsi, sentirsi finito come proveniente da e tendente a; come momento di una successione senza soluzione di continuità. Mentre, in effetti, si tratta di tanti sentire che esistono senza fine,

nella eternità del non tempo.

Nulla e nessuno, quindi, è stato creato o emanato in un momento particolare della Realtà divina, ma tutto esiste e fa parte integrante di quella Realtà. Tutto esiste e ne fa parte da sempre e per sempre, ammesso che queste espressioni si possano usare per ciò che è, non solo senza tempo, ma senza qualunque successione in un Eterno Presente. Niente quindi spiriti che sono creati e che evolvono, o acquistano coscienza o esperienza; ma completezza di coscienza divina che comprende ogni sentire.

L'idea stessa degli « esseri », o spiriti, che evolvono o prendono coscienza, è un'illusione; come lo è la molteplicità intesa come realtà vera, perché tutto, in effetti, è una sola Realtà, un solo Essere: Dio. "E Dio è quello stato di coscienza che in un solo abbraccio fonde l'illusoria molteplicità e nel quale ognuno di quegli esseri illusori è destinato a riconoscersi; a riconoscere la propria vera identità, il proprio vero

essere, la propria vera esistenza. Amen. 9. Realtà soggettiva e oggettiva KEMPIS - Affermando che Dio è Assoluto, ne discende che Egli è l'unica Realtà oggettiva. Ogni altra realtà, che necessariamente deve essere in Lui, è una realtà relativa, cioè dipendente da qualcosa. In sostanza Dio è come è perché dipende unicamente da Se stesso: cioè è indipendente, cioè è Assoluto. Ogni altra realtà è come è perché dipende da qualcosa. La stessa coscienza cosmica, che è la massima espressione del sentire

del Cosmo, la massima spiritualità cosmica, per intenderci, è tuttavia una realtà relativa che è come è in dipendenza di qualcosa, non foss'altro del virtuale frazionamento dell'Assoluto. ALAN - Domando se la realtà è anche soggettiva. KEMPIS - Dicesi soggettivo ciò che dipende dal modo di pensare di un soggetto. Allora la domanda potrebbe suonare anche cosí: la realtà che si percepisce esiste indipendentemente dalla percezione, cioè è una realtà oggettiva se pure relativa? Oppure esiste unicamente nella percezione, cioè è una realtà soggettiva?

Con questa domanda siamo di fronte al problema della conoscenza, vecchio quanto l'uomo. Nel pensiero degli antichi voi sapete che la conoscenza si identifica con la Realtà, grosso modo, fatta eccezione per gli scettici i quali negavano questa corrispondenza; ossia gli scettici negavano all'uomo la possibilità di confrontare la realtà conosciuta con la Realtà esistente. Nelle filosofie medievali si pose in discussione se certe idee universali ed astratte concepite dall'intelletto potessero trovare riscontro nella Realtà. Successivamente si passò ad esaminare i limiti e le possibilità della conoscenza, ponendo anche in dubbio l'esistenza di una realtà oggettiva. Nel pensiero moderno si esaminano le funzioni della conoscenza, l'efficacia, senza confrontarla con la realtà oggettiva. Tutto questo a volo d'uccello, come si suol dire, senza prendere in considerazione la possibilità che ha la scienza dell'uomo di porsi ad incrementare la conoscenza; senza interessarsi, cioè, della filosofia della scienza perché il nostro scopo non è quello di esaminare le varie tappe del pensiero umano su questo argomento, ma unicamente quello di ricordare come questa meditazione sia sempre stata presente nel pensiero degli uomini, e soprattutto esporvi il nostro punto di vista, che è il seguente: noi ci rendiamo conto della Realtà attraverso alla percezione che è appunto l'atto della consapevolezza con cui si coglie l'esistenza di una realtà esterna per mezzo della mediazione dei sensi. Per taluno la percezione è un fenomeno di sensazioni, per altri un fenomeno della mente. Per noi è l'una e l'altra cosa. Infatti, se l'uomo anziché cinque sensi ne avesse due soltanto, ovviamente la sua percezione sarebbe diversa ed egli immaginerebbe una realtà esterna a lui come avente le sole caratteristiche da lui colte; mentre se avesse dieci sensi probabilmente coglierebbe altri aspetti del mondo in cui vive ed ipotizzerebbe una realtà in modo diverso, od una realtà diversa. Questa considerazione dunque ci lascia supporre che la realtà esista indipendentemente dalla percezione e noi da sempre vi abbiamo detto che esiste un ente percepiente e qualcosa che viene percepito. t vero? Allora la risposta alla domanda che ci siamo posti, e cioè se la realtà esiste al di là della percezione, potrebbe essere che, sí, la realtà esiste al di là della percezione. ALAN - Ma questa realtà è oggettiva? KEMPIS - Se per oggettivo intendiamo il contrario di soggettivo, la risposta è sí. Ma voi potreste a questo punto dire: « Questo signor Kempis viene qua a dire male di Garibaldi! Lo sappiamo benissimo che esiste una realtà oggettiva della quale abbiamo una visione soggettiva ». Eh già! ma il problema non è cosí semplice: infatti dobbiamo subito precisare che la realtà che si percepisce, come si percepisce, esiste unicamente nella percezione. Si dice che i raggi del sole sono caldi. Supponiamo che questa affermazione derivi semplicemente dal fatto che tutti gli uomini hanno una temperatura corporea di circa 37° e che i raggi del sole hanno una temperatura superiore, o comunque superiore alla temperatura della pelle del corpo degli uomini. Allora l'affermazione che i raggi del sole sono caldi, è una affermazione relativa, soggettiva; l'apparente oggettività deriva unicamente dal fatto che tutti gli uomini percepiscono come caldi i raggi del sole i quali in sé, invece, non sono né freddi né caldi, ma lo diventano solo per chi li percepisce o comunque in relazione ad un termine di paragone. Affermando che il Cosmo è il comune denominatore di tutte le percezioni soggettive, noi non solo vogliamo dire che i raggi del sole, in sé, non sono né freddi né caldi, ma anche, e soprattutto, che il sole in sé non esiste. Questa precisazione non ha lo scopo di scandalizzare i validi rappresentanti della scienza umana che ci seguono, ai quali tuttavia debbo ricordare che l'atteggiamento dello scienziato nei confronti della ricerca è mutato ormai da tempo. Da una primitiva osservazione dei fenomeni, a cui faceva seguito la formulazione di ipotesi esplicative e la ricerca di fatti confermativi, si è passati ad una riluttanza nell'avanzare ipotesi che spieghino i fatti.

In particolare i fisici del vostro tempo hanno dichiarato impossibile la ricerca di ciò che sta al di là del fenomeno ed hanno rinunciato a dare una spiegazione di esso e ad illustrarne la genesi. In sostanza la fisica d'oggi ha rinunciato a dare una immagine della realtà e concentra la sua attenzione sulla osservazione dei fenomeni e la registrazione dei fatti e delle modalità ad essi inerenti. Questo diverso atteggiamento deriva essenzialmente dal fatto che la Realtà si intuisce cosí diversa da come appare che darne una immagine significherebbe fare perdere alla fisica il suo carattere scientifico, cioè reale. Se questa posizione è comprensibile e giustificabile nei rapporti ufficiali, non lo è nell'intimo del proprio pensiero, dove la reputazione non è messa a repentaglio e dove ognuno ha il dovere di esaminare tutte le ipotesi possibili Allora, qual è la portata della preoccupante precisazione che ora ho fatto? Significa essa che non esistono altro che i soggetti, i quali sognano una realtà in se stessa inesistente? Vedete, un sogno è una storia della fantasia, costruita con elementi del mondo della percezione. Voi potete sognare, che so? che vostra sorella ha i baffi, ma questa insolita storia è costruita con una sorella e con dei baffi, cioè con immagini che voi avete attinto al mondo della vostra percezione. Se non vi fosse la percezione, non vi sarebbero immagini e non vi sarebbero sogni. Ora noi affermiamo che il Cosmo è il comune denominatore di tutte le percezioni soggettive; se parliamo di percezione, implicitamente ammettiamo l'esistenza di un ente percepiente e di qualcosa che viene percepito, perciò non possiamo voler dire che esistono solo i soggetti, perché se cosí fosse non vi sarebbe percezione e quindi non vi sarebbe l'elemento comune delle percezioni. Difatti quelli di voi che hanno buona memoria ricordano che da sempre noi abbiamo affermato che esiste un « quid » (qualcosa non meglio identificabile, perché oggettivamente non distinguibile da Dio, cioè oggettivamente inesistente, che Potremmo chiamare parte di Dio, se Dio non fosse indivisibile), un « quid » che percepito si rivela come elemento comune di tutte le percezioni. Questo elemento comune nell'apparenza è formato da vari elementi ed è con questi elementi che ciascun soggetto costruisce immagini soggettive di un mondo già in se stesso soggettivo. Il « quid » che, percepito, si rivela come mondo fisico, mondo astrale, mondo mentale, in se stesso è la divina sostanza « spirito » che non viene minimamente toccata dal fatto che nella percezione assuma un aspetto o l'altro. Una macchia di umidità su un muro non è interessata al fatto che nella fantasia dell'osservatore assuma l'aspetto di una figura nota o di un'altra. Questo appunto significa che il divenire dei mondi non incide nella Realtà di Dio. In effetti esiste qualcosa che, percepito, dà la divisione della realtà che ci è nota, perciò la realtà che noi percepiamo esiste unicamente nella nostra percezione. La realtà che noi conosciamo assume l'aspetto che ci è noto in funzione delle nostre possibilità di percezione. Ora, siccome tutto quanto esiste è in Dio e fa parte di Dio, è chiaro che osservando il mondo nel quale viviamo, osserviamo una parte di Dio; tanto è vero che se, senza distogliere la nostra attenzione dal mondo in cui siamo immersi, crescessero le nostre possibilità di percezione, badate bene, è un'ipotesi assurda quella che sto facendo, fino al limite necessario, noi giungeremmo a percepire Dio senza avere distolto la nostra attenzione da uno stesso oggetto. Dunque ciò che noi percepiamo è una parte di Dio, in Dio, ma non esiste quale noi la percepiamo, non esiste oggettivamente. Dio, infatti, è indivisibile e credere di poter circoscrivere una parte Sua e capire come è fatto Dio, è una vera illusione. L'insieme è tutt'altra cosa che la somma delle parti e Dio è tutt'altra cosa che l'insieme. Il Cosmo, pur essendo in Dio, non è oggettivamente in Lui delimitato; la delimitazione del mondo che noi conosciamo non è oggettiva, scaturisce unicamente dalle nostre possibilità di percezione. Il piano fisico non è distinto da quello astrale se non dal fatto che cosí lo si percepisce. La Realtà non ha questi confini cosí rigorosi come generalmente si crede. Dio infatti, lo ripeto, è indivisibile. Ogni parte non esiste oggettivamente in sé, non è una realtà oggettiva. Esiste un'Unica Realtà oggettiva, la Realtà assoluta o Dio. Ogni altra realtà è una realtà relativa che scaturisce da una delimitazione, non

oggettiva, di questa Realtà Unica. A sua volta la delimitazione scaturisce dalla percezione di un ente percepiente. A livello umano esiste un ente percepiente, l'uomo, e qualcosa che viene percepito, la Realtà Unica. La visione che ha l'uomo di questa Realtà Unica è una realtà relativa che ha un colore, una forma, un sapore, una consistenza, ma che non ha niente a che vedere con la Realtà Unica, essendo la Realtà Unica incolore, informe, inconsistente, omogenea, indeterminata, infinita, indivisibile, immutabile, eccetera. Perciò la realtà relativa esistendo unicamente nella percezione individuale ed, in forza di questa, è sempre soggettiva. Ripeto: l'unica Realtà oggettiva è la Realtà assoluta o Dio. Spero di avere chiarito a sufficienza che cosa intendiamo con « soggettivo » ed « oggettivo » e che parlare di percezione significa parlare di un mondo che comprende un ente percepiente e qualcosa che viene percepito, ma significa anche parlare di un mondo che non ha alcun elemento oggettivo nel vero senso del significato e del concetto. Spero che risulti chiaro che quanto ho detto è riferito unicamente al mondo della percezione e che non corrisponde piú in un'altra dimensione d'esistenza dove esistono solo i soggetti, perché non vi è piú bisogno di percezione, non essendovi piú bisogno di immagini: esiste solo il « sentire » il quale è come retaggio del mondo della percezione. Se la questione è chiarita, diventa pacifica. Siccome io sono uno spirito maligno che ha in odio la pace interiore ed esteriore, mi voglio soffermare roprio sul concetto di interiore ed esteriore nel mondo della percezione. Che cosa significa esteriore? Che è fuori di sé. Ma ciò che è fuori di sé lo è realmente o cosí appare? Bene, direte: « La risposta a questa domanda è fin troppo semplice, ormai anche i muri di questa stanza sanno che la Realtà è diversa dall'apparenza ». D'accordo. Ma io vi invito a meditare su quanto vi dirò. Ho affermato che la percezione comprende un ente percepiente e qualcosa che viene percepito. Se l'ente percepiente è il soggetto con il suo mondo interiore, il percepito, l'oggetto, è ritenuto quasi totalmente esterno al soggetto. Ma dove finisce l'interno e comincia l'esterno? Secondo la psicologia, la percezione è quel processo mentale che organizza le semplici sensazioni in categorie superiori capaci di modificare l'azione dell'uomo. Soffermiamoci sulle sensazioni che secondo questa definizione, e in fondo secondo tutte le altre, sono all'origine della percezione e domandiamoci che cosa sono le sensazioni. Si definiscono cosí le modificazioni della propria auto-consapevolezza in seguito ad uno stimolo interno o esterno che colpisce i sensi. Molte cose potremmo dire circa le sensazioni: le nostre affermazioni potrebbero non essere condivise, per esempio, dai materialisti, i quali considerano le sensazioni di natura prettamente materiale, fisiologica. In ogni caso nessuno potrà mai negare l'estrema soggettività delle sensazioni. E pensate che il mondo di ciascuno è costituito con questi mattoni che sono le sensazioni. Ora, né il fisico né il fisiologo vi sapranno mai dire che cosa siano, per esempio, quelle sensazioni chiamate colori. Il fisico vi dirà che la luce di una certa frequenza, cioè di una certa lunghezza d'onda compresa in una certa gamma che colpisca un occhio, è vista di un certo colore; il fisiologo vi spiegherà che le onde luminose che colpiscono la retina di un occhio sano, attraverso al nervo ottico eccitano una certa zona del cervello.e si rivelano nella sensazione di un certo colore. Ma il colore, quale lo conoscete, non esiste nel mondo esterno, è una creazione del cervello; e cosí è di tutte le sensazioni. Questo non lo dico io, lo dice la vostra scienza. Dunque tutto il mondo esterno può ridursi a qualcosa che suscita delle sensazioni. Il corpo umano è un po' come un registratore magnetico che traduce un nastro magnetizzato in un concerto. Il mondo esterno a voi, in fondo - rifletteteci bene - in che senso è esterno? Esterno a che cosa? Se è vero che il vero Sé è al di là dei corpi dell'uomo, allora anche i pensieri sono esterni al Sé. Ma è giusta questa concezione? Occorre stabilire i confini dell'essere. Se vi fosse un apparecchio, tecnicamente perfetto, che facesse vibrare i vostri timpani come vibrano quando vibrano le corde di un pianoforte, voi udreste il suono di un pianoforte senza la presenza dello strumento

musicale. E se un altro apparecchio facesse vibrare la vostra corteccia cerebrale come vibra attraverso agli organi dell'udito quando sono percosse le corde di un pianoforte, ancora udreste il suono di questo strumento fantasma. Come ho detto, allora è vero che tutto il mondo esterno può ridursi a qualcosa che suscita delle sensazioni le quali stimolano dei pensieri. Ora questo « qualcosa » abbiamo visto che non è oggettivo, perché non v'è bisogno che lo sia; non è reale perché non v'è bisogno che lo sia. Vi domando: è necessario che sia esterno? Oppure esterno ed interno, il soggetto e l'oggetto sono distinzioni irreali perché l'uomo e il suo mondo sono una stessa cosa già nella dimensione della cosí detta molteplicità? ALAN - Ma tu fino ad ora hai sempre parlato di un ente percepiente e di una realtà che viene percepita. Ora noi sappiamo che l'individuo ha una fase della sua esistenza in cui non ha piú percezione intesa come atto della mente e dei sensi, in cui è unicamente un « sentire ». Allora, in quella fase di esistenza, di che natura è la realtà che l'individuo rappresenta? KEMPIS - Mi pare di aver detto chiaramente che, per esempio, non esiste oggettivamente un mondo fisico, ma che esiste la Realtà Unica che, percepita con certe limitazioni, dà la visione del mondo fisico che ci è nota. Ma al di là di quelle immagini che noi abbiamo chiamato piano fisico, piano astrale, piano mentale, ove non v'è piú percezione e quindi mondi da percepire, l'individuo è un insieme di « sentire », ossia di realtà relative sempre piú estese. Ora, siccome « sentire » è « esistere », è « coscienza d'essere », l'individuo è un insieme di « coscienza d'essere » sempre piú ampia. ... Per parlare un po' della vita del piano del « sentire », o piano akasico, e rispondere cosí ai vostri interrogativi, dobbiamo riferirci ad una fase del « sentire » molto avanzata, alla condizione d'esistenza che noi abbiamo definito « abbandono della ruota delle nascite e delle morti ». Perciò tutto quello che lo dirò sul piano del « sentire » va riferito a quella condizione d'esistenza. Poiché i « sentire » analoghi vibrano simultaneamente, questa condizione d'esistenza del superuomo è raggiunta contemporaneamente per tutti gli esseri della Manifestazione, in qualunque tempo o spazio abbiano ottenuto la loro evoluzione. Quella condizione d'esistenza è del tutto diversa dalla vostra attuale. Allora il « sentire » fluisce spontaneamente, senza necessità di stimoli dei piani grossolani. L'individuo non ha piú niente di umano, non ha piú sensazioni, non pensa piú, per quanto il « sentire » nel suo succedersi sia piú simile ai pensieri che alle sensazioni. Queste ultime, infatti, sorgono in voi quando sono stimolate non fosse altro dalla vita fisiologica del corpo fisico. I pensieri, invece, si susseguono autonomamente. In modo analogo il « sentire » fluisce spontaneamente e niente può frenarlo o soffocarlo. Allora, in quella condizione di esistenza, non esiste piú l'io egoistico con il suo bisogno di accumulare, crescere, che reca la maggior parte del dolore all'uomo, come dice Claudio. Evidentemente esiste ancora il senso della individualità e l'illusione del succedersi del « sentire », di un « sentire » che sente di crescere sempre piú di intensità, ma è cosa diversa dal senso di separatività che percepite voi nella vostra attuale condizione di esistenza. Perciò il vedere se stessi proiettati in quella dimensione come degli esseri, degli uomini, ingigantiti e sublimati, è una di quelle immagini che dovete distruggere. Una particolarità che colpisce chi raffronta la « vita del sentire » del piano akasico con quella degli altri piani piú grossolani, è la mancanza assoluta di Maestri, Istruttori, Guide spirituali. Nel vostro mondo potete incontrare figure di Santi che vi portano parole di illuminazione, esseri del vostro tempo che non sono vostri contemporanei nel “sentire”. Nel piano akasico, dove non esiste piú l'illusione di una contemporaneità di « sentire », in effetti non esistente, non appaiono piú queste immagini. Invero non appare nessuna immagine.

Intendo dire che nei piani grossolani si percepiscono le immagini di oggetti e corpi estranei all'individuo, che appartengono al mondo esteriore; nel « piano del sentire » esiste unicamente il « sentire », e il contatto fra i « sentire » è un contatto di « comunione ». Se, al livello di esistenza umana, il contatto è mediato dai sensi e giunge difficilmente a farvi cogliere la Realtà delle cose, e piuttosto ne fa cogliere l'apparenza, cosí non è nel piano del « sentire ». Qui la fusione di un « sentire » con una Realtà avviene dall'interno dell'« essere », senza necessità di intermediari, gradualmente. Voi avete bisogno di afferrare delle immagini del mondo che vi circonda; se volete conoscere di piú, dovete esplorare quanto piú possibile attorno a voi. Nel piano del « sentire » non esiste visione del mondo esterno; ripeto: esiste fusione con una Verità. L'abitudine che avete al vostro mondo forse vi fa chiedere se è possibile accelerare o deliberatamente provocare una « comunione ». Ebbene, niente di tutto questo. La « comunione » fra il sentire che implica il raggiungimento di un « nuovo sentire » avviene automaticamente, per reciproca attrazione fra « sentire » simili e complementari ad un tempo, seguendo un ritmo naturale che deriva dalla natura stessa del « sentire ». Qua potremmo parlare delle cosí dette « anime gemelle », ma non lo faccio per non creare inutili figurazioni romantiche. Ebbene, il fatto che la « comunione » fra « sentire » non possa essere deliberatamente promossa e ricercata, può farvi pensare ad una mancanza di autonomia, ma dovete tenere presente che nel vostro mondo la possibilità di cambiare, la supposta libertà, la possibilità di scegliere, è tanto piú necessaria e vitale quanto piú grande è l'insoddisfazione dell'uomo. La « vita del sentire » è essenzialmente beatitudine e completezza, e chi è in quella fase della sua esistenza non prova la necessità di sentire di piú perché « sente » sempre nella misura massima che può; perciò è essenzialmente appagato. L'amore disinteressato, altruistico, è la spinta che allarga la « comunione » degli esseri fino a farne una sola cosa, e questo amore non è soggetto a stanchezza, semmai si infiamma sempre di piú. Un aspetto particolare, che potrebbe ancora cogliersi nel piano del « sentire », è l'assoluto distacco e disinteresse per i piani di esistenza piú grossolani. Tutto di essi appare trascorso, raffermo, inutile, superato. La stessa sapienza, la cultura, perfino la conoscenza della vita della natura, della materia, del Cosmo. del Macrocosmo, appaiono nella giusta luce, cioè un mezzo ormai non piú necessario per stimolare un « sentire ». Ora che il « sentire » fluisce spontaneamente, l'utilità di questo mezzo è acquisita in modo indelebile. Dirò di piú: « sentire » significa « coscienza », da questa successione di « sentire » sempre piú intensi ed ampi la sapienza ne risulta automaticamente incrementata, ma è una sapienza diversa. Intendo dire che voi conoscete concetti e li ritenete per mezzo della memoria; noi non seguiamo questo mezzo: nel piano del « sentire » non si « conosce » una Verità, ma si è anche quella Verità, e ciò in una lucida consapevolezza che non dà adito a false interpretazioni. Mi accorgo che se continuassi a tradurre in immagini la « vita del sentire », mio malgrado contribuirei a creare in voi delle figurazioni che vi trarrebbero in inganno, perciò mi taccio su questo argomento come si conviene a chi teme di dire troppo. ALAN - Ma questo « sentire », nella struttura, cioè nella sostanza, che cosa è? KEMPIS - Quando diciamo che Dio è « sentire assoluto », non intendiamo dire che Dio sia un organismo il cui prodotto sia « sentire assoluto ». In altre parole, noi non possiamo credere che Dio sia fatto di niente, perciò chiamiamo la ipotetica sostanza di Dio « Spirito Assoluto ». Tuttavia non dobbiamo credere che lo « Spirito Assoluto » dia la coscienza assoluta. Lo Spirito Assoluto è Coscienza Assoluta.

Poniamoci, assurdamente, nella posizione di un osservatore esterno che volesse vedere come è fatto Dio. Nel momento in cui ne osservasse una parte, non osserverebbe piú Dio, e lo « Spirito Assoluto », cosí idealmente circoscritto, diventerebbe relativo, diventerebbe perciò « sentire relativo ». Ma se l'osservatore credesse che Dio fosse fatto di « sentire relativo », sarebbe in errore. La somma dei « sentire relativi » non darà mai il « sentire assoluto ». Il « sentire assoluto » comprende e riassume in sé tutti i « sentire relativi », ma trascende la totalità di questi. Diversamente da cosí, ogni parte esisterebbe oggettivamente e Dio sarebbe costituito di parti. Mentre noi diciamo che Dio è la Realtà Unica perché Dio è un'Unica Realtà. Perciò quando parliamo di « sentire relativo » parliamo di virtuale frazionamento dell'Assoluto, ossia di una parte dell'Essere idealmente circoscritta ma della. stessa sostanza dell'Essere. Il « sentire relativo », a sua volta, non è il prodotto di un organismo, è « sentire assoluto » virtualmente limitato, circoscritto; ossia: una realtà relativa. L'individuo è un insieme di queste realtà relative sempre piú estese, ossia di « coscienza d'essere » sempre più ampia. Ma siccome la Realtà Totale è unica, ne consegue che questa "coscienza d' essere", man mano che si espande, non può che identificarsi con tutte le altre realtà relative, cioè con tutti gli altri esseri e con la Realtà cosmica, ossia con la coscienza cosmica. La coscienza cosmica contiene l'intera realtà cosmica perché è la realtà cosmica. ALAN - Ma come è possibile che uno stato di coscienza comprenda quello che noi stessi abbiamo definito « piani grossolani »? KEMPIS - Ed io ripeto che l'esistenza di questi piani non è oggettiva. L'esistenza di questi piani è un presupposto che si fonda sulla percezione individuale. La stessa scienza umana, con i suoi strumenti, non prova l'esistenza oggettiva di una realtà fisica, perché gli strumenti della scienza non sono che trasposizioni dei sensi dell'uomo, strumenti fatti e concepiti in funzione di quei sensi. L'individuo-uomo, attraverso certi sensi, percepisce una parte della Realtà Unica e la trasforma in mondi, l'esperienza dei quali amplia il suo « sentire ». Quando, per un piú ampio « sentire » raggiunto, abbandona il gioco della percezione, l'individuo è egli stesso una realtà relativa destinata a perdere il senso della propria limitazione fino a identificarsi con tutti gli esseri, con l'intera Realtà cosmica, ed oltre. 10. Ragione della soggettività della vita individuale e motivo per cui al soggetto debba sembrare reale Una volta, quando ero incarnato, feci un brutto sogno: sognai che accecato dall'ira avevo ucciso un uomo. Poi fui colto dal rimorso e dal terrore delle conseguenze dell'atto compiuto; l'angoscia che provavo era tale che mi svegliai di soprassalto. Si trattava di un incubo. Tirai un sospiro di sollievo: meno male che nulla era vero! A ben pensarci, in che senso non era vero? Vero nel senso che non era realmente accaduto come accade nella vita. Ma nella vita accade realmente? Se il mondo della percezione è un assieme di soggettivismi, in che misura la vita è realtà? Certo, se uccido un uomo, quello muore veramente; ma mai possibile che nei casi limite io possa uccidere uno qualunque, un passante che per caso si è trovato di fronte al mirino della mia follia omicida? E' mai possibile che quello sfortunato veda troncata la sua vita, la sua possibilità di fare esperienze, senza altra responsabilità da parte sua se non quella di passare a sua insaputa vicino ad un pazzo? E' mai possibile che altre persone, legate in qualche modo alla vittima, debbano subire le conseguenze di un atto che io forse ho compiuto anche senza valutare tutte le sue ripercussioni?

Ogni essere, tanto piú se razionale, dovrebbe rifiutarsi di credere ad una concezione della vita in cui tutto proceda e si sviluppi secondo le direttrici del caso - se direttrici si possono chiamare. Parrebbe piú logico che tutto dovesse essere ordinato scrupolosamente, in modo che nessuno patisse le conseguenze degli atti dei suoi simili. Piú logico sembrerebbe che la vittima della mia follia omicida avesse terminata la sua esistenza, e così tutti quelli che hanno in qualche modo subito dovessero subire proprio nella misura in cui hanno subito. Se cosí fosse, niente cambierebbe, nel quadro della mia responsabilità di assassino, per il fatto che ho ucciso un morituro, ma nello stesso tempo nessuna ingiustizia subirebbe chi vedesse troncata la sua esistenza non tanto a causa di un mio atto d'arbitrio, quanto perché l'aveva terminata. Se cosí fosse, allora la differenza che vi sarebbe fra il sognare di fare una cosa perché la si desidera, il desiderarla e il farla, starebbe solo nella maggior determinazione che occorrerebbe nel farla rispetto al solo desiderarla. Del resto, anche l'insegnamento evangelico afferma che chiunque guarda una donna per appetirla ha già commesso in cuor suo adulterio. Dunque anche secondo questo insegnamento si è adulteri semplicemente desiderando l'adulterio. Certo, se ci si limita a desiderarlo non si coinvolgono altre persone, almeno così sembra. Dico « almeno cosí sembra » perché, se è vero quello che da tempo andiamo ripetendo, ciò che sia la vita degli altri non possiamo saperlo. Se è vera la concezione della vita vista come assieme di soggettività, posso essere sicuro solo di ciò che « sento », ma non di ciò che osservo fuori di me; perché ciò che osservo fuori di me è per me reale, concreto, esiste, solo nella misura in cui in qualche modo riesce a suscitare in me un « sentire ». Allora, anche il sogno era reale perché, nel momento in cui sognavo, vibravo. Se poi, nei riguardi degli altri, io sono lo strumento di qualcosa di inesorabile che essi debbono subire tanto che se, al limite, decidessi di non agire, essi ugualmente subirebbero o se, da un altro punto di vista, non è certo che quello che io faccio ai miei simili sia da essi percepito, allora la mia vita è valida solo per me: è come un sogno che emoziona solo il sognatore. Perciò, se si avesse la certezza che le cose stanno cosí, ciascuno riguardando al male che ha creduto di infliggere agli altri, ma che in realtà, nonostante l'intenzione e la determinazione, ha avuto il potere di fare solo a se stesso, esclamerebbe, come al termine di un brutto sogno: « Meno male che non era vero! ». Stando in questo modo le cose, non si può fare a meno di giudicare assai singolare il fatto che mentre le visioni dei mistici e degli illuminati parlano di amore, di unione e di comunione, e gli insegnamenti di altruismo sono logici nel presupposto che noi tutti siamo un solo essere, quando si va ad osservare com'è strutturata la molteplicità si scopre che il singolo è assai piú diviso di quel che si crede perché la sua vita è assai piú soggettiva di quel che pare. Ma ve lo immaginate che cosa sarebbe e sarebbe stato il mondo se fosse reale nella misura in cui crede l'uomo? L'uomo lo crede. Dovremmo concludere che ha ragione chi si comporta esattamente all'opposto degli insegnamenti dell'altruismo, che ha ragione l'ateo: Dio non può esistere se il mondo è quello che l'uomo vede e crede. Perché quando si vuole uccidere un uomo, non gli si vuole togliere il corpo fisico, che tanto poi ne prenderà un altro: uno piú, uno meno, ma lo si vuole annullare e, nell'intenzione, lo si annulla. Sicché non dico che l'uomo si sarebbe già estinto, ma dico che non sarebbe neppure esistito, perché, vedete, se la vita con tutte le sue innumerevoli specie esiste sulla Terra, è perché essa è regolata da qualcosa di ultrafisico. Lasciato al caso, un primo fortuito accenno di vita si sarebbe subito estinto, ammesso che fosse potuto esistere. Certo, non posso dimostrarvi quello che vi dico, perché in effetti se si osserva il mondo per come appare, l'uomo è un essere della Terra, il suo corpo è della Terra. Gli elementi chimici che compongono il suo veicolo fisico sono fra i piú comuni esistenti sul pianeta: ossigeno, idrogeno, carbonio, calcio, fosforo, silicio e via.

Forse per trovare qualcosa che non sia terrestre dobbiamo prendere in esame la mente dell'uomo; ma vi troviamo quello che cerchiamo? Non pare. Le facoltà mentali specie quelle istintive sono insite nei corpi, ne fanno parte. Sono ben noti gli esperimenti condotti sugli animali, da cui risulta in modo incontrovertibile attraverso a quel meraviglioso strumento scientifico che è la vivisezione, che le facoltà istintive, i movimenti riflessi, permangono anche quando non v'è piú traccia di mente. Si sa che un cane, appositamente privato della zona grande del cervello, non ha piú apprendimento, non ha piú affetti, non ha piú memoria né volontà, eppure, in queste belle condizioni, se è posto su un tappeto mobile riesce a regolare la sua andatura alla velocità del tappeto, camminando o correndo. Lasciato cadere da una certa altezza, riesce a combinare la sua posizione in aria in modo da atterrare sulle quattro zampe. Tutti questi movimenti, che richiedono azioni coordinate piuttosto complesse, il cane li fa senza la mente, o per lo meno senza la parte istintiva di essa. Allora cerchiamo in qualcosa di piú nobilitante: nell'intelletto dell'uomo. Troviamo qualcosa che mostri l'esistenza di una parte non terrena? Non pare. Esso è perfettamente inserito e adattato all'ambiente come lo è il corpo. Perfino quando riesce a svincolarsi dai condizionamenti dei sensi e della volontà, come nel sonno, non mostra nulla che non sia della dimensione terrena. Il pensiero, liberato da ogni logica, mostra la sua origine terrestre con una quantità di disordinate fantasie. Perfino la fantasia piú accesa è pur sempre legata alla Terra, esprimendo anche nelle sue creazioni piú libere ibridi delle piú familiari forme terrestri; ed anche quando cerca di immaginare un altro mondo, la mente non riesce a sottrarsi alla sua natura antropomorfa. Sicché tutto lascerebbe credere che abbiano ragione quei biologi i quali affermano che un organismo, un corpo fisico, è molto simile a un meccanismo a orologeria che, una volta messo in moto, cammina finché il motore tira, o finché non succede un guasto meccanico. Ma non si creda che il motore sia l'anima, per carità! Dal punto di vista dal quale vi parlo, l'anima non è il motore del corpo, ammesso che ci sia. Il corpo non muore quando l'anima se ne va ed in effetti noi sappiamo che l'anima può andarsene ed il corpo non morire, come nei casi di totale pazzia. Sicché tutto lascerebbe credere ed autorizzarci a pensare che la vita sia una proprietà della materia e che all'inizio dei tempi, attraverso all'accostamento casuale di vari fattori, si sia composto questo meccanismo a orologeria e si sia messo ad andare, né piú né meno come se smontassi un orologio funzionante in tutte le sue parti costituenti, ne ponessi i pezzi in una scatola e cominciassi ad agitare finché, per la legge delle probabilità capita, tentativo dopo l'altro, che tutti i pezzi si accostano nel modo giusto, l'orologio si compone e funziona. Non c'è dubbio che questo, teoricamente, può accadere. Ma è altrettanto senza dubbio che se nella scatola non pongo i pezzi di un orologio concepito per funzionare, bensí, per esempio, delle pietre, posso agitare finché voglio ma l'orologio non si comporrà mai. Questo, è il punto! Anche lasciando al caso l'accostamento dei fattori che composero il primo organismo vivente, se questi fattori non avessero contenuto in potenza gli elementi per comporre una vita, cioè qualcosa che si sviluppasse e riproducesse il caso non avrebbe potuto mai originarla, Affermare dunque, per combattere la posizione fideistica di chi asserisce che la vita ha una ragione ultrafisica, che invece la vita è opera del caso, è fare affermazione piú illogica, infondata, improbabile e fideistica di quella che si vuole demolire. La filosofia fondata sul postulato che quella che si osserva sia la realtà, mi dispiace dirlo per i positivisti, è estremamente illogica. Non si deve credere infatti che le propensioni di pensiero per l'assurdo siano solo e sempre degli irrazionalisti. Ma in fondo, a prescindere da una pur sempre auspicabile coerenza di pensiero anche nell'errore, tutto questo ha una importanza relativa: non si tratta di sapere come le cose stiano in realtà, e poi tenere questa conoscenza estranea alla propria vita e al proprio essere intimo, perché, tra questo atteggiamento e quello di chi crede in qualcosa che non corrisponde al vero, ma lo vive, ai fini dell'evoluzione è molto piú produttivo questo secondo atteggiamento che non il primo. Non per nulla l'uomo, che nella dimensione della

molteplicità è diviso a tal punto che il male che crede di infliggere agli altri, andando a pareggio di un loro

dare-avere, in effetti ricade solo su lui stesso, che ne è l'autore; non senza ragione l'uomo, dicevo, deve credere di essere meno diviso di quello che è, cioè deve credere una cosa che nella molteplicità non è

esatta.

Forse tornerà utile soffermarsi su questo aspetto della realtà umana di non collimazione fra ciò che è e ciò che si crede che. sia, perché, vedete, se la separazione dei microcosmi trova motivazione nel contenimento della aggressività e della nocività degli stessi, resta invece da focalizzare per quale motivo ciascun microcosmo deve credere di poter influire, e arbitrariamente, nella vita degli altri. Vorrei, però, prendere in esame questo aspetto, guardando quella che è ritenuta la realtà, per scoprire se pur restando in una prospettiva cosiddetta razionale e verificabile ed usando pensieri dei vostri scienziati, come del resto ho fatto fino a questo momento, vi siano degli elementi con cui poter sostenere ragionevolmente un'ipotesi significativa che sia la risposta. Se si pensa agli albori della Terra, non si può fare a meno di paragonare il pianeta ad un immenso crogiuolo dove bolliva una mistura di lava e di vapori con una temperatura di incandescenza. Se di colpo ci si porta al vostro oggi, la trasformazione che si osserva è tale che quelle sognate dagli alchimisti, al confronto, diventano dei giochi da fanciulli. Dalla materia inanimata alla vita. Ciò che ha compiuto questo miracolo è detto « natura ». La natura la si è vista madre benigna, pietosa, generosa, crudele, matrigna, insensibile, incosciente e via e via, a seconda di come la si è osservata e delle circostanze nelle quali la si è vista. Ma la natura in sé non è né buona né cattiva; non potrebbe esserlo se la si considera un meccanismo. Ora, osservando il mondo per come appare, si potrebbe essere tratti in inganno e credere che l'uomo, per il fatto di essere l'ultima creazione spontanea della natura, fosse da essa considerato il capolavoro e quindi, di conseguenza, fosse da proteggere, da prediligere, da privilegiare. A parte il fatto che lo stesso ragionamento si potrebbe ripetere per tutte le specie oggi viventi sulla Terra, non v'è niente di meno vero di questo. La specie umana è minacciata da moltissime altre specie. Fra un virus, un bacillo e l'uomo, si sarebbe portati a credere che l'uomo fosse piú importante; ma per la natura non è cosí, essa non fa alcuna differenza: vince il piú forte. Se mai, l'unico vantaggio che dà all'uomo è costituito dalla possibilità di crearsi scientificamente delle difese, usando quel prezioso strumento che è l'intelletto. Ma non si creda di ravvisare in questo una intenzionalità della natura. Per ammissione comune dei biologi, la natura è incosciente; se l'intenzione c'è, come lo lascia supporre il fatto che tutto ha una ragione d'esistere e quindi una ragione deve averla anche l'intelletto, l'intenzione è da ricercarsi al di fuori. La natura può esserne solo l'esecutrice. E non si creda che il solo fatto di possedere l'intelletto di per sé sia operativo, giammai! Le facoltà mentali debbono essere esercitate: se l'intelligenza è un dono, è pagato con la stessa moneta con cui è pagata l'evoluzione della specie: lotta, fatica, dolore. Del resto non potrebbe essere diversamente: se la mente come il corpo è creatura della Terra, la sua evoluzione, come l'evoluzione di ciò che essa genera, non può che essere analoga all'evoluzione del corpo, dell'organismo. Non crediate che questo accostamento sia azzardato. Chi ha pratica di evoluzione biologica sa benissimo dello stretto rapporto che esiste fra un fatto corporeo ed uno mentale. Ora, pur restando nell'ambito di uno stretto positivismo, non c'è dubbio che, invece, esiste un capolavoro della natura, anche se non è rappresentato da una specie in particolare, né se è l'ultima sua creazione, pur essendo una tappa fondamentale da essa raggiunta. Mi riferisco all'organismo pluricellulare. Non c'è dubbio che dal punto di vista del biologo, questo organismo rappresenta il miracolo nel miracolo. Un individuo costituito da un insieme di parti, un aggregato di innumerevoli cellule diverse, la cui vita è progettata per costituire una unità, dunque è piú della simbiosi. L'organismo pluricellulare rappresenta una

rivoluzione nella scala biologica perché dall'antagonismo si passa alla cooperazione fra le cellule e il tutto nasce da una microscopica particella rotonda, da una unità che diviene molteplicità pur restando unità. Ora, state bene attenti, se nella concezione razionale e positiva la mente, come il corpo, è creatura della Terra, perché non può darsi che essa stia seguendo la medesima evoluzione seguita dal corpo per raggiungere quella condizione di esistenza non plus ultra rappresentata dall'organismo pluricellulare? Quale fatto dimostra il contrario? Anzi, si può ragionevolmente credere che lo sperimentare dell'uomo, il suo tentare, arrancare, cercare, non possa che condurlo ad una visione di se stesso in funzione di una collettività componente un solo essere, cosí come lo è, inconsciamente, ciascuna cellula di ogni organismo pluricellulare. Solo cosí si spiega l'esistenza dell'intelletto in quella specie del regno animale chiamato « uomo ». Senza questa visione le facoltà intellettive non avrebbero ragione d'essere, come lo dimostra il fatto che innumerevoli altre specie esistono pur essendone prive. Se la natura, nell'uomo, ha creato un canale diverso di manifestarsi, dandogli la possibilità di avere la coscienza dell'unità, non può che mirare a dargli la coscienza del Tutto-Uno; perché se pur nell'incoscienza del mondo biologico il meglio, attraverso all'evoluzione, si è raggiunto nell'unità composita di un solo essere, a maggior ragione nel mondo degli esseri coscienti l'analoga condizione ideale non può che raggiungersi nell'unità di tutti gli esseri in uno solo. E chiaramente solo nella consapevolezza di sé, di fronte alla collettività, è possibile raggiungere in una dimensione globale e cosciente quel miracolo che inconsciamente è raggiunto in ogni organismo pluricellulare. Senza la sensazione, senza l'emozione, non vi sarebbe stata evoluzione. Per l'uomo, ogni fatto umano è la

fonte piú forte di emozioni; le paure, le angosce, le speranze, i sentimenti umani toccano l'uomo piú di

qualunque altro fatto non umano, perché anche quando sembrano essere gli animali a colpirlo, sono sempre

fatti di umanità che in essi vede Ma nessun sentimento nascerebbe in lui se il mondo in cui è immerso non

fosse da lui ritenuto reale; ecco perché l'uomo deve vivere nella convinzione di poter influire nella vita degli

altri, perché solo in questa convinzione egli acquista una coscienza altruistica, raggiunge una nuova

dimensione d'esistenza coronando cosí l'opera della natura.

11 La molteplicità, dimensione comune dei Cosmi. La molteplicità nel mondo del sentire Questa sera parlerò di cose che piacciono a pochi. Ma quei pochi non sono degli esperti, degli specialisti o dei raffinati, appellativi che si usa dare quando, contrariamente alla consuetudine, si vuole incensare qualcuno che ha gusti non comuni; quei pochi sono, non dico dei coraggiosi, che altrimenti sarei io ad incensarli, diciamo che sono degli indipendenti, che amano avventurare il loro pensiero fuori dal regno del positivo, dove non arriva l'illuminata e rassicurante guida del criterio scientifico, dove è difficile stabilire se si è folgorati dalla intuizione o alienati dalla troppa fantasia. Quei pochi han capito che imprigionare il pensiero in un sistema, un'ideologia, una scuola, significa perdere in creatività, perché al massimo la creatività può ridursi a come il pensiero riesce ad adattarsi a certi schemi posti come invalicabili. Ma scoprire è ricreare dentro di sé la Realtà, e vi assicuro che la Realtà non tiene in nessun conto le regole del gioco degli uomini. Dicemmo che molti sistemi solari compongono un Universo, molti Universi il Cosmo astronomico. Ma il Cosmo astronomico non è che una piccola parte dell'intera Manifestazione cosmica, la quale si estende, in senso figurato, appunto dal Cosmo astronomico al Logos. Molti i Cosmi nell'Assoluto. Ma mentre, fra un sistema solare e l'altro, fra un Universo e l'altro non esiste un confine netto e invalicabile, tanto che, teoricamente, da questo punto di vista un ipotetico astronauta potrebbe raggiungerli tutti, cosí non è per i Cosmi.

Ciascun Cosmo è separato dall'altro dal non manifestato e se anche un astronauta riuscisse ad uscir fuori dal proprio Cosmo e viaggiare nel non manifestato, egli non ne incontrerebbe mai un altro. La comunicazione fra i Cosmi può avvenire solo nell'Assoluto dove tutto è « comunione ». Questa affermazione, in passato, suscitò in voi non poche perplessità. La ragione delle perplessità derivava dal fatto che avendovi parlato dell'esistenza dei Cosmi, vi avevamo detto che non dovevate credere alla Manifestazione di un Cosmo dopo l'altro, bensí alla esistenza simultanea di tutti i Cosmi. Ovviamente questo era un sistema per avvicinarvi al concetto del non tempo. La vostra domanda era: « Se i Cosmi esistono tutti simultaneamente, sia pure separati dal non manifestato, per quale motivo un ipotetico astronauta, uscendo fuori dal proprio COSMO di appartenenza e riuscendo ad attraversare il non manifestato, non incontrerà mai un altro Cosmo? ». Rispondemmo che allorché si è legati ad un Cosmo, esiste quello e quello solo; il che non diminuí la vostra perplessità. Spero che vi sarete resi conto che le difficoltà di queste comunicazioni si chiamano: difficoltà di parlare di concetti che esulano dal vostro consueto modo di ragionare e che potremmo parlarvi di tante altre cose che però al momento rimarrebbero prive di significato, né avrebbero una spiegazione accessibile, se non fosse preceduta da tutto un lavoro di preparazione. Ma il renderci comprensibili non è la sola nostra preoccupazione; lo scopo che ci conduce a voi non è quello di soddisfare la vostra curiosità, dandovi delle notizie piú o meno richieste, bensí quello di convincervi di quanto sia diversa la Realtà dall'apparenza; di quale sia il vostro posto in questa Realtà, sì da farvi cambiare atteggiamento nei confronti della vita. Qual era l'impedimento a comprendere la nostra affermazione? Derivava dal fatto che non avevate ben chiaro il concetto del non tempo, oppure c'era qualcosa di piú? La Realtà Assoluta è uno stato di coscienza di Eterno Presente e di Infinita Presenza, in cui tutto è fuso e trasceso nella « comunione dell'Unità ». In questo « stato d'essere », non solo non v'è tempo e non v'è spazio quali si conoscono nel mondo della percezione, cioè nei piani fisico, astrale e mentale, ma non vi sono neppure gli analoghi, che noi abbiamo chiamato separatività e sequenzialità dell'altra dimensione d'esistenza, il piano akasico. La separatività del piano akasico è l'analogo dello spazio del mondo della percezione. Separatività non è termine ben indovinato: sta per ciò che crea il senso della individualità, quindi piú proprio sarebbe stato chiamarlo « senso di individualità », tanto piú che il senso di separatività è un processo specifico del piano mentale che concorre a creare quel fantasma che è l'« io ». Ma « senso di individualità » è termine di uso difficile. La sequenzialità del piano akasico è l'analogo del tempo del mondo della percezione e nasce, come ripeterò poi, dall'illusorio trasformarsi del « sentire individuale ». La reale condizione d'esistenza del Tutto è la Realtà Assoluta, in cui niente e nessuno è particolarmente evidenziato o evidenziabile, distinto o distinguibile. Se si fa astrazione da questa dimensione d'esistenza, l'unica reale ed oggettiva, si entra nella dimensione della cosí detta molteplicità, cioè del mondo delle individualità, della separatività, della sequenzialità, del tempo e dello spazio. Che cosa è la molteplicità? E’ l'insieme del manifestato e del non manifestato: dei Cosmi e del non manifestato che li separa. Sicché, se si immagina tutto quanto esiste, la molteplicità, in questa dimensione di esistenza di Eterno Presente, cioè al di là del tempo, ma non di Infinita Presenza perché in stato di separazione, di distinzione, tutti i Cosmi esistono simultaneamente. Se poi si introduce l'elemento sequenzialità-tempo-successione, esiste un solo Cosmo alla volta, con buona pace di chi vuol capire quello che diciamo. Difatti se le cose stanno cosí, un astronauta peregrino non troverebbe mai un altro Cosmo per il semplice fatto che un altro Cosmo non sarebbe manifestato. Questo discorso che può chiarire le idee di chi ha la pazienza di stare ad ascoltarci, ha un solo difetto: il difetto di non essere vero. Vedrò di spiegarmi. Quando ho parlato dell'esistenza simultanea dei Cosmi, l'ho fatto partendo dalla supposizione che la totalità della molteplicità possa essere osservata in stato di Eterno Presente, ma non di Infinita Presenza. Ma questa è una figurazione speculativa, perché a livello ultra-

cosmico, piano del quale stiamo parlando, siamo nel mondo del « sentire », cioè lungi dal mondo della percezione; mentre la molteplicità, vista e non « sentita », non divenuta coscienza, non fusa nella « comunione », sarebbe uno stato di conoscenza proprio del mondo della percezione, dove soggetto ed oggetto appaiono divisi. Sarebbe una contraddizione in termini, nel mondo del « sentire », uno stato di coscienza che non fondesse nell'Unità la Realtà che abbraccia. Per esempio: la Coscienza Cosmica è uno stato d'essere in cui l'intera Realtà cosmica è in stato di « comunione », non di separazione. Sicché, se si volesse immaginare che esistesse uno stato di coscienza intermedio, fra la coscienza cosmica e la coscienza assoluta, questo stato di coscienza non potrebbe essere rappresentato dalla totalità della molteplicità, vista ma non « sentita », non fusa nella « comunione », perché, ripeto, questo non sarebbe uno stato di coscienza: uno stato di coscienza fonde nell'Unità la Realtà che abbraccia. Se tutto quanto esiste, esiste al di là del tempo, in stato di Eterno Presente, ed oltre a ciò è fuso nella « comunione », questo è lo stato d'essere dell'Assoluto. Posso fittiziamente chiamare questo stato di coscienza « coscienza ultra cosmica », ma in effetti è la « coscienza assoluta ». Quindi, scartata l'ipotesi che il presunto stato di coscienza intermedio non conosca la successione, ma conosca ancora la separazione, non rimane che un'altra ipotesi; e cioè che questo stato di coscienza intermedio che noi proviamo a porre che esista, sia rappresentato da stati di coscienza abbraccianti in successione piú Cosmi. Ora è chiaro che se si ammette anche una sola fase di passaggio fra la coscienza cosmica e la coscienza assoluta, implicitamente si trasportano, non dico il tempo e lo spazio, ma certamente la sequenzialità e la separatività al di là del Cosmo. Mentre se è certo che la molteplicità è dimensione d'esistenza comune a tutti i Cosmi, per il fatto che solo nella Realtà Assoluta tutto è Uno e quindi ciò che non è Realtà Assoluta necessariamente deve essere molteplice è altrettanto certo che la molteplicità è realizzata in ogni Cosmo in modo diverso. Tempo e spazio, sequenzialità e separatività, rappresentano il modo in cui è realizzata la molteplicità nel nostro Cosmo: come lo sia negli altri non lo sappiamo. La cosmologia umana che si interessa della vita e delle origini del solo Cosmo astronomico, cioè fisico, ipotizza che se fosse vera la teoria secondo cui i corpi siderali, raggiunta la massima espansione nello spazio cosmico, tornassero a riunirsi al centro per originare un nuovo big-bang, Un nuovo Cosmo originato sarebbe cosí diverso che di volta in volta muterebbero le leggi che regolano la materia e quindi lo spazio ed il tempo. Se dunque separatività e sequenzialità non oltrepassano i confini del nostro Cosmo, altrettanto la molteplicità, pur essendo dimensione d'esistenza comune a tutti i Cosmi, non ne travalica i confini. Oltre ciascun Cosmo è la « comunione » del Tutto-Uno-Assoluto. Se, come dicemmo, paragoniamo i Cosmi a dei fiumi che confluiscono nell'oceano infinito della « coscienza assoluta », il punto di contatto dei fiumi è rappresentato dall'oceano e non da un canale che raccolga tutti i fiumi e si immetta nell'oceano. A questo punto sarebbe interessante fare delle considerazioni sulla affermazione buttata là che quando si è legati ad un Cosmo è come se esistesse quello e quello solo. O all'altra affermazione che facemmo del perché di un « sentire » alla volta, affermazione analoga alla precedente. O di una terza che potremmo fare questa sera, e cioè che per ogni oggetto, per ognuno di noi, tutto quanto esiste è come se esistesse solo per lui. E potremmo anche ricavare la risposta al vostro antico interrogativo; ma non sarebbe quella che vogliamo dare e che daremo un'altra sera, non senza, prima, avervi posto a nostra volta un quesito. Con l'espediente dei fotogrammi abbiamo cercato di spiegarvi che non esiste un tempo unico oggettivo, ma che esistono tanti tempi soggettivi quanti sono i soggetti, perché il tempo nasce dal modificarsi apparente del « sentire individuale ». Cosa vuol dire questa affermazione?

E' comune convinzione che il divenire del mondo sia un fatto oggettivo e che i soggetti mutino il loro « sentire » interiore uso questo termine in questo momento nell'accezione piú ampia, in conseguenza del mutare degli avvenimenti del mando esterno o creduto tale. Ancora con l'esempio dei fotogrammi abbiamo cercato di spiegare che il mondo della percezione non è costituito da una situazione cosmica in continuo divenire, bensí da tante situazioni cosmiche fisse e immutabili; e che il senso del movimento e del divenire nasce dal fatto che ciascun soggetto è come se percepisse in successione queste situazioni in sé fisse ed immutabili. Né piú né meno come se lo spettatore di un film percepisse in successione i fotogrammi della pellicola, in se stessi fissi e immutabili, ricevendo cosí l'impressione del movimento, dell'azione del film. Abbiamo anche considerato che il mondo della percezione non è necessario che sia esterno, ma che l'interno e l'esterno, il soggetto e l'oggetto sono distinzioni irreali già nella dimensione della cosí detta molteplicità, perché l'uomo

e il suo mondo sono una sola cosa.

Adesso poniamo come ulteriore passo verso la comprensione che il « sentire individuale » non muti in conseguenza del mutare degli avvenimenti del mondo esterno o creduto tale; ma che gli avvenimenti del mondo esterno siano in funzione del « sentire individuale ». Vediamo di dire piú compiutamente questo discorso. La molteplicità dei « sentire » è costituita da « sentire relativi », prodotto del virtuale frazionamento del «

sentire assoluto ». 1 « sentire relativi » sono diversi in qualità: vi sono i piú semplici, i piú ampi, i piú

intensi; inoltre i « sentire » piú semplici, píú limitati, sono piú numerosi dei « sentire » piú ampi, cioè meno

limitati. Se la limitazione si potesse esprimere con un numero, la quantità dei « sentire relativi » a cui

darebbe origine ciascun tipo di limitazione sarebbe eguale al numero delle combinazioni che si possono

ottenere con quel numero.

Mi spiego con un esempio: supponiamo che la limitazione abbia un indice 7. Allora il numero dei « sentire relativi » a cui questo tipo di limitazione dà origine è pari al numero delle diverse disposizioni che si possono dare alle cifre dall'1 al 7: 1-2-3-4-5-6-7; oppure 1-3-5-7-2-4-6, oppure ancora 1-7-2-6-3-5-4, e cosí via. E' chiaro che quanto minori sono le limitazioni, tanto minore è il numero dei « sentire » relativi originati. Tre limitazioni danno meno possibili disposizioni delle cifre dall'1 al 3 che non 7. Inoltre i « sentire relativi » appartenenti ai vari ordini o qualità, o tipi di limitazione, sono legati logicamente, in sviluppo logico fra sé. Per esempio: il « sentire » con indice di limitazione 6, poniamo, avente la disposizione 1-3-5-2-4-6, è legato logicamente al « sentire » di qualità 7, avente l'analoga disposizione 1-3-5-7-2-4-6, ed ancora al « sentire » di qualità 5 con l'analoga disposizione 1-3-5-2-4 e cosí via. In altre

parole, i « sentire » sono costituiti in serie e, necessariamente, tutte le serie confluiscono in un ultimo «

sentire »: il piú ampio. In seno a ciascuna serie, tutti i « sentire » sono diversi in qualità; ciascun « sentire »

è la conseguenza di un altro e la premessa di un terzo e cosí via.

Ogni serie rappresenta una individualità: badate bene, dico « rappresenta ». Infatti la natura limitata di ciascun « sentire », l'aggregazione degli stessi in sviluppo o successione logica, la diversità di ciascun « sentire », creano l'illusione di un « sentire » unico che si modifica nel tempo. Ma come il tempo del mondo della percezione non è che la proiezione di questo processo di apparenze del « sentire », non potrebbe essere che gli avvenimenti del mondo esterno e lo stesso mondo esterno non fossero che una proiezione del mondo del « sentire individuale »? In brevi e semplici parole: che non sia lo spettatore che si commuove alla proiezione delle scene commoventi del film, ma che sia la commozione dello spettatore commozione, proveniente dal piú profondo del suo « sentire », a determinare il succedersi sullo schermo delle scene commoventi? Provate a considerare la realtà da questo punto di vista, che è il punto di vista dall'Assoluto al relativo, e non dal relativo all'Assoluto; non dall'uomo a Dio, ma da Dio all'uomo. Una siffatta scoperta non sarebbe piú sconvolgente di quella per la quale si perviene ad affermare che l'« io » non esiste. Il virtuale frazionamento che origina l'apparente molteplicità è tale che un organismo, un « io »,

un individuo, all'esame si riveli un insieme di parti elementari che, ancorché unite, tutto dovrebbero costituire fuorché un « essere ».

12. Aspetto granulare del molteplice. Aspetto unitario del sentire Ciò che non è la Realtà Assoluta, l'unica oggettiva, ciò che non è il Tutto-Uno-Assoluto, ossia la molteplicità che risulta dall'essere una parte della Realtà unica totale, è relativo, soggettivo, illusorio. La molteplicità è una dimensione d'esistenza che ha una duplice estensione. La prima vede il soggetto concepire la realtà come a sé esterna e creare cosí un rapporto soggetto-oggetto. Si può dire che questa dimensione sia doppiamente illusoria perché all'errore di ritenersi divisi, separati da tutto quanto esiste, si aggiungono gli errori di parallasse che sono propri del meccanismo della percezione: meccanismo essenzialmente soggettivo. L'altra dimensione d'esistenza non conosce errore di parallasse perché si svolge al di fuori del rapporto soggetto-oggetto: il soggetto si identifica con l'oggetto pur restando ancora una realtà parziale e quindi relativa. Tutto ciò che è relativo, è quello che è in dipendenza delle limitazioni che lo condizionano. Voi sapete che per molti, moltissimi anni gli uomini hanno creduto che il sole girasse attorno alla Terra ed anche oggi, pur sapendo che le cose stanno diversamente, l'apparenza non cambia. Per cambiarla è necessario spostare il proprio punto di vista. Tutto il mondo relativo è in dipendenza del punto di vista. Cosí, se si osserva la molteplicità dal punto di vista del divenire, allora è vero che gli « esseri » sono creature di Dio, che vi sono i piani di esistenza, la legge di evoluzione, la reincarnazione, eccetera. Se invece si osserva la molteplicità al di là di come essa appare per scoprirne la struttura, allora tutte queste immagini scompaiono perché si scopre un aspetto estremamente granulare, tanto che i singoli granuli, le singole unità elementari costituite dalla divina sostanza Spirito, virtualmente circoscritta, non appaiono comporre esseri e mondi, ma sembrano aggregate solo in funzione del Tutto-Uno-Assoluto. Dico « sembrano » perché non voglio che voi crediate che il Tutto-Uno-Assoluto abbia una natura composita. No, certo. Come un organismo umano è un insieme armoniosissimo di miliardi e miliardi di cellule, che tuttavia rivela sempre e in ogni suo punto la natura pluralistica di una perfetta democrazia (mentre la consapevolezza che si manifesta in quell'organismo, nei singoli momenti esistenziali, ha un carattere estremamente unitario e monolitico, essendo articolata solo nel senso della successione del tempo), cosí il Tutto-Uno-Assoluto ha piú il carattere unitario e monolitico della consapevolezza - considerata a prescindere dalla successione temporale - che non quello di un insieme organico costituito dalla molteplicità. Quest'ultima poi, lo ripeto, ha un aspetto cosí granulare da cancellare le immagini degli esseri e dei mondi, come la forma di un oggetto osservato ad occhio nudo, all'ingrandimento del microscopio sparisce rivelando aspetti diversi. Questa dimensione, in cui sfumano gli esseri ed i mondi, è piú vicina alla Realtà ultima che non il mondo dei soggetti e quello della percezione. 13. Il soggetto nella realtà « essere » t mia convinzione che il linguaggio sia un mezzo di comunicazione e di espressione fra gli uomini, anche nel vostro oggi, quando invece sembra che le parole servano per nascondere il proprio pensiero o addirittura per non dire nulla. E’ inoltre mia convinzione che quanto piú difficile sia l'argomento che si vuol trattare e tanto piú semplice, essenziale, scarno sia il linguaggio di chi quell'argomento tratta. A questo principio, come non mai, mi atterrò questa sera. Il concetto della Realtà Assoluta, che tutto comprende e nella quale niente e nessuno può nascere o aggiungersi, consumarsi o sparire, il concetto dell'Eterno Presente che afferma l'esistenza simultanea del Tutto, al di là del tempo, suscitano perplessità in chi, ingannato dall'apparenza, concepisce il mondo come

sviluppantesi gradualmente nel tempo in un divenire oggettivo. Fra l'altro sembra incredibile che l'attimo, con tutto ciò che contiene e che, vissuto, sembra volgere sí rapidamente, esista invece nell'eternità. Questa obiezione nasce dal non avere ben chiaro il concetto di « eternità ». L'obiezione avrebbe una sua logica se « eternità » significasse « tempo senza fine », ma, come si sa, « eternità » significa « non tempo ». Già da qui si capisce che non avrebbe logica paragonare ciò che si crede abbia una durata con ciò che è senza tempo, come se si trattasse di grandezze omogenee. Ma quello che c'è di piú importante da capire è che la durata dell'attimo non esiste al di là di ciò che la fa esistere, ossia il processo della percezione, essendo creazione del soggetto. Sicché l'attimo che esiste nell'eternità è senza tempo al pari dell'eternità stessa. Ricordo che la Realtà Assoluta, laddove è il non tempo e il non spazio, non vede particolarmente distinti ed evidenziabili né gli attimi né i soggetti. Ricordo inoltre che il mondo, dall'uomo creduto oggettivo, è un insieme di immagini create dai soggetti con il processo della percezione; che ciò che viene percepito è la divina sostanza « spirito » la quale, in se, è incolore, informe, omogenea, indifferenziata, infinita, eccetera; la quale colta con certe limitazioni appare come mondo fisico, con altre come mondo astrale, con altre come mondo mentale. Generalmente si crede che il soggetto sia un ente che modifichi la propria auto-consapevolezza in seguito al succedersi di stimoli interni o esterni. Ma il soggetto cosí concepito fa parte della realtà intesa come divenire. Esiste un altro modo di concepire la realtà, ed è la realtà intesa come « essere ». Secondo questo modo, tutto esiste al di là del tempo in modo simultaneo, sia pure con le precisazioni di cui dicevo inizialmente. Una scoperta sensazionale della scienza umana, anche se poi, piú recentemente, è stata ridimensionata con l'osservazione di certi eventi astronomici, fu il « nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma ». Secondo il concetto « realtà-essere », questa trasformazione è un'illusione: ciò che appare trasformato, in effetti è un diverso « essere », diverso non solo come qualità, ma anche come quantità, diverso numericamente. Se voi udite le sette note musicali in successione, potete affermare che il suono si trasforma, ma in effetti si tratta di sette suoni diversi. Ora, per il soggetto nulla cambia, tanto che la realtà sia una che divenga, quanto invece che sia una costituita da molte che sono; nell'uno e nell'altro caso il soggetto egualmente modifica la propria auto-consapevolezza. Ma il soggetto che modifica la propria auto-consapevolezza in seguito al succedersi di stimoli esterni o interni, comunque questi stimoli si producano, è un soggetto concepito coerentemente alla realtà-divenire. Mentre, come sapete, esiste un altro modo di concepire la realtà ed il soggetto, ed è quel modo secondo cui il soggetto, come tale, non esiste, essendo un insieme di auto-consapevolezze diverse. Il legame che unisce queste diverse auto-consapevolezze crea l'illusione di un soggetto che « sente », di un « sentire » che si modifica nel tempo, ma in effetti si tratta di tanti « sentire » diversi. Ora, anche secondo questo modo di concepire il soggetto, esiste un rapporto, una correlazione fra il soggetto e l'oggetto, mondo delle immagini o della percezione. Qual è il mondo della percezione? E’ il mondo fisico, il mondo delle sensazioni, il mondo del pensiero. Allora, accostiamo fra sé l'oggetto, mondo delle immagini, ed il soggetto, concepiti secondo la realtà « essere »; ad ogni realtà, che noi chiamiamo « situazione » del mondo della percezione, corrisponde una auto-consapevolezza che noi chiamiamo, in senso generico, « sentire », ben sapendo che, per la verità, con « sentire » noi intendiamo qualcosa di diverso. Ad ogni « situazione » corrisponde un « sentire » ben preciso. Ora, siccome secondo il concetto « realtà-essere » il mondo delle immagini, della percezione, delle situazioni, come chiamare lo volete, non diviene, non si trasforma, ciò che fa apparire in continuo mutare, divenire questo mondo, è il « sentire individuale ». Il legame che unisce gli uni agli altri i diversi « sentire » e che crea l'illusione di un « sentire » unico che si modifica, e quindi crea l'illusione del tempo, è il motore del mondo statico della percezione. Ultimamente vi abbiamo invitati a considerare la realtà da questo punto di vista, che poi è il punto di vista dal quale si

perviene a capire la struttura della molteplicità. Il mondo della percezione, che è il parossismo della molteplicità, è la proiezione del mondo del « sentire individuale ». Domanda: le situazioni del mondo della percezione sono diverse perché diversi sono i « sentire » ad esse legati, oppure i « sentire » sono diversi perché diverse sono le situazioni poste a substrati di quei « sentire »? Ripeto la domanda in termini differenti: come potrebbe essere diverso un « sentire relativo » dall'altro, se non fossero diverse le situazioni che quei « sentire » limitano e rendono relativi? Ma se le situazioni sono la proiezione del mondo del « sentire », come potrebbero essere diverse le situazioni, se già non fossero diversi i « sentire »? Ma allora, sono i « sentire » che sono diversi perché diverse sono le situazioni, o viceversa? Forse, per capire il mondo della percezione, delle immagini, è necessario affermare ch'esso è molteplice e vario perché vari e molteplici sono i « sentire »; mentre per capire il mondo del « sentire individuale » è necessario affermare il contrario. Ma qual è la Verità? Risponderemo esplicitamente a questa domanda a suo tempo. Intanto immaginiamo due pianeti posti nello spazio siderale vuoto, che non contenga nessun altro corpo, assolutamente nient'altro. Gli abitanti dei due pianeti scoprono che la distanza che separa i due corpi celesti diminuisce gradualmente. Ora, secondo la realtà che vien vissuta nel mondo della percezione, questo fatto può essere dovuto al moto di un pianeta incontro all'altro, oppure di entrambi i pianeti in avvicinamento. Ma in una realtà quale quella che abbiamo ipotizzato, gli abitanti dei due pianeti, non trovando nessun punto a cui fare riferimento, non saprebbero mai quale sarebbe la verità. Cioè non saprebbero mai se i due pianeti si muovono entrambi l'uno incontro all'altro, oppure se se ne muova uno solo, e quale. Ma quest'ultima ipotesi è configurabile? Intendo dire che se vi fosse un punto a cui fare riferimento, un osservatore esterno, un terzo corpo celeste, chiaramente sarebbe configurabile l'ipotesi che un solo pianeta si muovesse incontro all'altro in stasi; ma non essendovi niente a cui riferirsi, l'unica realtà, badate bene, non dico « accertabile », dico « possibile », è che i due pianeti si muovono incontro, punto e basta. Infatti sarebbe inconcepibile, in una realtà duale quale quella che abbiamo ipotizzata, il moto di un solo pianeta incontro all'altro in stasi; in stasi rispetto a che cosa, se nient'altro esiste? Dobbiamo tenere presente che lo spazio concepito da Euclide non esiste. L'unico spazio che può esistere è strettamente connesso ai corpi. Le belle speculazioni accademiche che servirono per capire le leggi sul moto, postulavano l'esistenza di uno spazio quale Euclide l'aveva concepito; ma l'esperienza ha dimostrato l'esistenza di uno spazio diverso, in cui tuttavia rimangono compatibili, perché rimangono vere per approssimazione, le leggi sul moto prima concepite. Ebbene, secondo queste leggi, è possibile stabilire la traiettoria di un corpo, che si muove nella spazio, teorico o reale, che è sempre però uno spazio concepito da chi vive una certa realtà temporale, cioè una realtà molteplice. Ma in una realtà in cui esistesse un solo corpo e nient'altro in assoluto, quel corpo non sarebbe mai in movimento: quel corpo sarebbe, e nulla più. Allora, tornando al nostro quesito sulla realtà duale, ho visto che taluno di voi era tentato di rispondere che forse Dio avrebbe conosciuto la Verità, ed io vi rispondo che Dio non è un punto di osservazione, perché se Lo fosse sarebbe relativo. Se Dio sa tutto è perché Dio è Tutto, ma la realtà duale Dio la conosce quale è: duale e nient'altro; non quale terzo elemento introdotto in quella realtà, che fra l'altro la snaturerebbe facendola diventare triplice. Una realtà può essere vissuta, sentita, sperimentata solo o essendo tutta quella realtà o essendone uno degli elementi parte costituente. In quest'ultima ipotesi, però, si ha una cognizione relativa e incompleta di quella realtà. Ma dal di fuori, in senso assoluto, nessuna realtà è sperimentabile. Perfino nel mondo della percezione, dove la realtà sembra esterna, è sempre interna alla dimensione del soggetto, altrimenti non sarebbe dal soggetto sperimentabile. Le situazioni del mondo della percezione sono « sentite » dai « sentire » relativi, con tutte le limitazioni che attribuiscono la natura relativa a quei « sentire »; perciò sarebbe assurdo credere che l'Assoluto, come tale, sentisse quelle situazioni; le sente in quanto sente e contiene e vive tutto quanto esiste.

Ricorderete che sottolineammo una affermazione della scienza umana circa il colore; affermazione che dice: il colore, la sensazione-colore quale l'uomo la conosce, in natura non esiste, essendo creazione del cervello di alcuni esseri viventi, fra i quali l'uomo; il quale cervello trasforma la luce di una certa lunghezza d'onda compresa in una ben determinata gamma, nella sensazione-colore; ma il colore, quale l'uomo lo conosce, in natura non esiste. Eppure Dio conosce la sensazione umana « colore », ma la conosce non perché ha un cervello, bensí perché Dio è il Tutto. Se le situazioni del mondo della percezione sono la proiezione del « sentire individuale », esse non esistono al di là di quel « sentire », e Dio le conosce e le sente perché Dio sente, conosce e contiene tutti i « sentire » relativi. Ecco perché tutto ciò che esiste, come minimo, deve essere legato al mondo delle sensazioni. in altre parole, deve vivere una qualche forma di vita; perché la vita, come minimo, è sempre sensazione. Ed ecco perché la morte, in assoluto, non esiste, non può esistere. Se Dio conosce la realtà cosmica, la conosce non perché dall'esterno ne prende cognizione, ma perché è la coscienza cosmica, che riassume in sé tutta la realtà cosmica. Dall'esterno, ammesso che possa esistere qualcosa di esterno a Dio, non vedrebbe un bel nulla, pur essendo Dio. Se un disincarnato vede una situazione del mondo fisico, è perché è incluso nei fotogrammi di quella situazione; non la vede dall'esterno. Questo, fra l'altro, ci fa capire perché non vi sia .comunicazione fra i Cosmi. Vi sarebbe, se gli esseri dell'uno fossero inclusi nelle situazioni dell'altro, ma in questo caso si tratterebbe di una sola realtà, di un solo Cosmo, e non di Cosmi separati. Vi prego notare quante cose abbiamo dovuto dire, ed attendere che voi le aveste assimilate, prima di affrontare un po' piú comprensibilmente un argomento enunciato ben oltre venticinque anni fa. Se questo possa essere opera di un subcosciente o di uno psichismo in disgregazione, a voi rispondere. 14. Rapporti fra mondi della percezione e del "sentire". Disposizione del "sentire"

Comprendo che, questa sera, per molti di voi sarò noioso, ma confido che egualmente, tutti, cercherete di seguirmi con attenzione. E', un obbligo quello che io ho, di concludere un argomento che abbiamo focalizzato in questo ciclo di riunioni. É un po' riassumere quello che abbiamo detto a proposito di questo argomento, della natura del « sentire individuale », e quindi di puntualizzare certi aspetti in modo da consentirvi di proseguire nella vostra meditazione. Avverto che forse questa meditazione, a questo punto, è piú adatta se fatta individualmente che collettivamente, o per lo meno fatta fra coloro che hanno lo stesso interesse circa l'argomento. Comunque vedrete voi quello che sarà il meglio. Dunque, noi con l'esempio dei fotogrammi abbiamo illustrato Verità quali il non tempo, il non spazio, la non simultanea percezione di una stessa situazione del mondo degli accadimenti da parte di « sentire » di grado diverso, e le varianti. Esempio prezioso da questo punto di vista, perché in modo semplice ed efficace ha reso accessibili concetti completamente sconosciuti o dei quali, al massimo, si ipotizzava l'esistenza, ma si ignorava la dinamica. Tuttavia taluno di voi, da questo esempio, ha erratamente tratta la convinzione che il mondo della percezione sia oggettivamente dimensionato, cosí che sia possibile a ciascuno, magari addirittura a proprio piacimento, ritrovarlo, sí, al di là del tempo, ma in una condizione quasi oggettiva. E non è bastata la nostra affermazione piú volte ripetuta che in realtà esiste solo qualcosa di infinito, omogeneo, indifferenziato, eccetera, che, percepito con certe limitazioni, origina tutte quelle immagini che vi sono note come mondo fisico, mondo astrale e mondo mentale. L'effetto secondario che taluno di voi ha tratto dall'esempio dei fotogrammi, per qualche verso simile alla tossicità che inevitabilmente hanno tutti i medicamenti, si è mostrato ancora piú evidente allorché si è trattato di capire altri concetti da noi illustrati successivamente: vedi le affermazioni circa la natura del «sentire» individuale; particolarmente l'affermazione che il mondo della percezione è la proiezione del

«sentire relativo» ha contrastato con l'oggettività che taluno di voi attribuiva erratamente a questo mondo, addirittura l'ha distrutta; ma a tal punto che adesso talaltro di voi non sa piú dove collocare il mondo della percezione, sembrandogli che debba esistere solo il « sentire ». Certo, se si prende in esame ad esempio il mondo mentale, esiste solo il pensiero; cosí è per il mondo akasico: il sentire solo esiste. Ma se si vuole avere un'idea generale della molteplicità, allora esistono moltissime altre categorie, l'una uscente dall'altra. Si tratterà di vedere come esse possano coesistere. Indubbiamente, sul piano assoluto, esiste solo Dio. Ma ciò non significa che i modi soggettivi non esistono, altrimenti non sarebbero percepiti. E', un'esistenza che si coglie in una condizione parziale, valida e vera solo per chi si trova in quella condizione, ma ciò non significa che sia un'esistenza oggettiva. Il mondo della percezione ha tutta la concretezza, tutta la parvenza di oggettività che deve avere ciò che esiste per esistere; e al tempo stesso tutta la relatività di ciò è soggettivo. Ora, la parvenza di oggettività, la concretezza, nasce dal fatto che tutti gli individui appartenenti ad una stessa specie, per esempio gli uomini, hanno in comune certe limitazioni, chiamiamole limitazioni di base, limitazioni fondamentali, le quali possono essere analoghe alle limitazioni fondamentali degli individui appartenenti ad altre specie, per esempio gli animali. Questo comporta una analogia nella percezione individuale: il « soggettivo universale » di Kant, il « comun denominatore » delle percezioni individuali, come noi lo abbiamo chiamato. Inoltre ciascun individuo interpreta personalmente le proprie percezioni e questa è la relatività del processo della percezione. Ma quale funzione ha il mondo della percezione nei confronti del « sentire relativo »? Dicemmo che il « sentire relativo » è il prodotto della virtuale limitazione del « sentire assoluto ». Allorché il sentire relativo si manifesta, non può che esprimersi con le medesime limitazioni che ne determinano la natura relativa. Ora, se il sentire relativo si manifesta, cioè sembra collocarsi in una successione temporale apparentemente oggettiva, ciò significa che esso sentire esiste nel non tempo. Ma se il sentire relativo esiste nel non tempo. cioè al di là dell'apparente affermarsi e quindi trascorrere, non può che esistere con le medesime limitazioni che gli conferiscono una natura relativa, sicché sentire relativo e limitazioni sono una sola cosa, essendo queste ultime parte integrante del sentire relativo. E se il mondo della percezione è la proiezione dei sentire relativi, ciò significa che il mondo della percezione nasce, anche, dalla proiezione delle limitazioni che rendono relativo il sentire. Sicché quelle limitazioni, non meno del sentire, sono all'origine, costituiscono il mondo della percezione, mondo che si può considerare «in potenza» allorché il sentire non è manifestato ed « in atto » quando il sentire si manifesta. Avverto subito che questa distinzione « potenza » ed « atto » ha solo lo scopo di rendere a voi piú accettabile, di rendere in sé piú plausibile il fatto che il mondo del sentire ed il mondo della percezione sono sempre uniti. Ripeto: il mondo della percezione prende tempo, dimensione e significato allorché i sentire a cui è legato si manifestano; cioè assume una soggettività nei confronti dei sentire ai quali è legato o di cui è proiezione, quando quei sentire si manifestano; ma mondo della percezione, limitazioni e sentire sono inscindibili. Se poi si pensa alla condizione di Eterno Presente del Tutto, questa inscindibilità appare piú evidente, Allora, ciascuna individualità, considerata nella sua completezza, con i sentire relativi di cui è costituita, contiene tutto il mondo della percezione che quei sentire manifestano o riassumono. Tornando al nostro esempio dei fotogrammi, errato sarebbe cercare dalla parte dello schermo la spiegazione delle immagini che si muovono; la spiegazione è esattamente dalla parte opposta. cioè dalla parte del sentire; anche se essa non è la realtà, poiché non è l'ultima Realtà. Ed errato sarebbe non solo considerare il mondo della percezione oggettivamente esistente, ma anche considerarlo scisso, diviso dal mondo del sentire. Come il sentire relativo è il prodotto della virtuale limitazione del sentire assoluto, e senza di essa non esisterebbe, cosí il mondo della percezione è la proiezione dei sentire relativi e senza di essi non esisterebbe.

A questo punto, ricordo il quesito che ci siamo posti, e cioè: i sentire relativi sono diversi perché diverse sono le limitazioni, diverse sono le situazioni dei mondo della percezione, o viceversa? Ancora una volta dobbiamo servirci di un esempio, con l'avvertenza che esso vale solo per la parte del concetto che vuole illustrare. Il nastro che contiene la registrazione magnetica di un discorso non è il discorso; perché lo diventi è necessario non solo un apparecchio che trasformi i segnali registrati magneticamente sul nastro in suoni, ma anche un ascoltatore che dia, limitatamente a se stesso, un senso a quei suoni e li trasformi in discorso. Il nastro sta per la virtuale limitazione del sentire limitato; l'apparecchio che trasforma i segnali registrati magneticamente in suoni è il sentire; i suoni sono il mondo della percezione; e l'ascoltatore che interpreta quei suoni e li trasforma in discorso è ancora il sentire.

Dunque, nella manifestazione dei sentire relativi, v'è una duplice fase che comprende un momento attivo: l'apparecchio, ed un momento passivo: l'ascoltatore. A livello del mondo della percezione è come se il sentire relativo, manifestatosi, proiettasse le proprie limitazioni, le rendesse a se stesso oggettive, e, in virtú di questa oggettivazione, le facesse in parte cadere, dando cosí origine alla manifestazione del sentire analogo meno limitato e cosí via.

Il processo, per qualche verso, è simile a chi mira riflessa in uno specchio la propria immagine, ne prende cognizione. Ciò corrisponde ad un ampliamento della propria consapevolezza, del proprio sentire, della propria coscienza. Dunque, è vero che, a livello del mondo della percezione, le situazioni del mondo percettivo sono diverse perché diversi sono i sentire di cui esse sono proiezioni, ma è altresí vero che, proprio attraverso la sperimentazione di quelle diverse situazioni, cadono alcune limitazioni del sentire ed ha luogo la manifestazione del sentire analogo meno limitato. Ossia è altresí vero che la manifestazione dei sentire relativi ha proprio nelle situazioni del mondo della percezione una componente insostituibile. Ecco perché è vero che l'uomo modifica l'ambiente, ma è altresí vero il contrario. Ricordo che per ognuno il mondo della percezione nasce dal rapporto fra sentire analoghi di grado diverso. La caduta delle limitazioni ha luogo, inizialmente, alle soglie del mondo umano. Le forme di vita appartenenti ai regni minerale, vegetale e animale, hanno lo scopo di costituire progressivamente gli strumenti della percezione, in modo da consentire la manifestazione del sentire piú semplice, dell'atomo del sentire, che inevitabilmente trae seco la manifestazione del sentire piú complesso, piú ampio. I nuclei di queste forme di vita sono le « monadi », o atomi di sentire. Ciascuna monade rappresenta la base comune e quindi la continuità, la sopravvivenza, in senso metafisico, di moltissime forme di vita appartenenti ai regni naturali; piú forme di vita non solo in seno ad una stessa specie, ma in seno a moltissime specie che hanno lo scopo, come ho detto, di costruire gli strumenti della percezione, fino alla completezza necessaria per la manifestazione della monade a cui esse sono legate. Tutto questo è detto, naturalmente, seguendo la successione della manifestazione dei sentire relativi, nella quale successione sembra non esista ancora ciò che sarà e non esista piú ciò che è stato. Mentre, se si vuole avere un'idea piú aderente al mondo del sentire, occorre porsi al di fuori di ogni successione, e immaginare questo mondo come un immenso organismo, costituito da numerosissimi e diversissimi atomi di sentire, i quali conferiscono, di volta in volta, all'aggregato costituito, un carattere estremamente unitario. Siccome ciascun aggregato costituito ha una natura estremamente unitaria, come ho detto, ciascuno di essi può essere considerato un sentire unico, di qualità diversa da quelli che lo costituiscono: un sentire piú ampio. Questo immenso organismo del sentire cosmico ha un numero altissimo di atomi di sentire, ed un numero sempre minore di sentire compositi a mano a mano che il sentire è sempre piú composto, cioè è sempre piú ampio, fino ad essere un solo, unico sentire quando è « coscienza cosmica ».

Per dare una indicazione della disposizione di questi sentire, abbiamo detto che se la limitazione fosse esprimibile in numeri, la quantità dei sentire relativi originati da ciascuna limitazione, sarebbe pari al numero delle possibili disposizioni che si possono dare alle cifre dall'1 al numero che esprime la limitazione. Cosí, una sola limitazione origina un solo sentire relativo: la « coscienza cosmica ». Due limitazioni originano due sentire relativi, tanti quante sono le possibili disposizioni che si possono dare alle cifre dall'1 al 2: 1-2, 2-1. Tre limitazioni originano sei sentire relativi, tanti quante sono le possibili disposizioni che si possono dare alle cifre dall'1 al 3, e cosí via; fino alla limitazione massima che origina un numero altissimo di atomi di sentire un numero tendente all'infinito - ma non infinito - di atomi di sentire. Voi sapete che se n è il numero massimo delle limitazioni il numero degli atomi di sentire è dato dalla formula: n X (n-1) X (n-2) X (n-3)... e cosí via, fino a che l'ultimo moltiplicatore è eguale a [n X (n-l)] cioè è eguale a l. Ora, volendo visualizzare piú aderentemente possibile il mondo del sentire, occorre anche tenere presente che il sentire di limitazione 1, l'unico sentire relativo, la “coscienza cosmica” , contiene ed abbraccia 2 sentire di limitazione 2, ciascuno dei quali contiene ed abbraccia 3 sentire di limitazione 3, ciascuno dei quali 6 contiene ed abbraccia 4 sentire di limitazione 4, ciascuno dei quali 24 contiene ed abbraccia 5 sentire di limitazione 5 e cosí via. In altre parole, la « coscienza cosmica » contiene ed abbraccia tutti i sentire del Cosmo (*). (*) Il concetto della comunione degli esseri, espresso spesso dai nostri Maestri, è qui reso razionalmente comprensibile. Infatti, prendendo in esame il prospetto che abbiamo ricavato da questa spiegazione e seguendolo dal basso verso l'alto, nella nostra posizione di umani, vediamo che quando, ad esempio, un gruppo di individualità aventi un grado di sentire di limitazione 6, legate fra loro da una analoga disposizione delle cifre da 1 a 6, perde per evoluzione raggiunta la sesta limitazione, rimangono sei sentire con cinque limitazioni in identica disposizione. A questo punto non c'è piú ragione che questi sentire esistano separati, perciò entrano in comunione formando un sentire, un essere, di grado piú ampio esprimente cinque limitazioni. E cosí per tutti i gruppi legati fra loro in maniera logica dalla stessa disposizione delle limitazioni; finché, di comunione in comunione, si giunge al sentire piú alto, la «coscienza cosmica», che è la massima espressione del sentire nel nostro Cosmo. E', chiaro adesso che l'identificazione in Dio non giunge a un tratto, alla fine dell'evoluzione del sentire, ma inizia fin dal basso con la comunione degli esseri in sentire sempre piú ampi che abbracciano tutti gli esseri di sentire inferiore. I sentire originati dal virtuale frazionamento della «coscienza cosmica», espressa in grado di sentire Z, possono essere paragonati alle possibili disposizioni delle limitazioni corrispondenti. Cioè, se si prendesse come riferimento il sentire con grado di limitazione 7, le possibili disposizioni sono date dal fattoriale di 7 (7!), cioè 7 X 6 X 5 X 4 X 3 X 2, che origina 5.040 sentire rappresentanti altrettante individualità; come la limitazione 14 ne origina 87.178.000.000; e cosí via. Guardando il nostro prospetto dall'alto verso il basso si ha un'idea di come avviene il virtuale frazionamento dell'Assoluto negli esseri; mentre guardandolo dal basso verso l'alto s'intravede la meravigliosa Verità che, in effetti, ognuno di noi è legato da sempre all'unico sentire e che il senso della separatività è dato dal fatto che noi, atomi del sentire cosmico, stiamo sperimentando il mondo dell'illusione. (N.d.r.).

Ora, se osservando che n sentire di limitazione n costituiscono un solo sentire di limitazione n 1, qualcuno concludesse che quei sentire si estinguono, finiscono, spariscono, cessano, quel qualcuno commetterebbe un grandissimo errore. Il mondo del sentire è ben diverso dal mondo della percezione: è per voi inimmaginabile. Per immaginarlo piú possibilmente in modo aderente, occorre tenere presente che la piú alta qualità dei sentire che si manifesta in un numero di sentire sempre minore, è proprio data dalla « comunione » dei sentire piú semplici; comunione che non è un processo di acquisizione, punto di convergenza di differenti esperienze di piú sperimentatori, come è, ad esempio, l'anima gruppo del regno naturale. L'esperienza non è un fine, è un mezzo che conduce al riconoscimento di una stessa identità. Ed è proprio in virtú di queste « comunioni » che, dal sentire piú semplice al piú complesso, la consapevolezza d'essere non viene mai meno, ma si manifesta, per tutti indistintamente, come un ampliamento della coscienza che comprendere realtà sempre piú complete. Quindi nessuno finisce, si estingue, muore; al contrario: ognuno trova la coscienza del Tutto. A chi chiedesse quante sono le individualità nel Cosmo, risponderei che esse sono tante quanti sono gli atomi del sentire, perché ciascuno di essi è collegato, si identifica e si riassume nella « coscienza cosmica ». La coscienza cosmica contiene l'intera Realtà cosmica in stato di « comunione », come nel vostro sentire sono riassunti sentire piú semplici già manifestati. Questa è quella continuità, quella sopravvivenza che voi te mete possa venir meno, possa mancare.

Quel divino collegamento, garanzia non solo che l'« essere » non si estingue, ma soprattutto che le

contingenti limitazioni ad una ad una cadono, rivelando 1'« essere » in tutto il suo inimmaginabile

splendore.

Perché paventare di perdere ciò che racchiude la vostra consapevolezza entro l'angustia di una

condizione relativa? Perché temere di perdere la vostra insufficienza? Quale fragile velo è in sé

l'illusione che vi distingue e divide dalle altre creature di voi stessi complemento! Che ancora la

vostra consapevolezza a ciò che credete di essere e che fa ritenere le vostre limitazioni tanto

preziose da temere di perderle! E quanto tenace lo fate diventare con un simile attaccamento!

Ma chi mai potrà dirvi che questa è la Verità? Eppure, credervi significa por fine ad ogni angoscia,

ad ogni sofferenza, ad ogni umiliazione, perché è troncare alla radice la ragione di ogni dolore. E

che cos'è il dolore se non un segnale che non avete compreso, uno stimolo a ricercare, un invito a

comprendere? E quale mai può essere lo scopo per cui ogni uomo si affanna, arrovella, contempla,

costruisce, distrugge, se non quello di dargli una coscienza che rifletta la realtà del mondo del

sentire? Ma chi mai potrà convincervi, darvi questa certezza?

Nel mondo da cui vi parlo, nessuno può vedere ciò che non crede, mai la prova viene prima della

certezza!

La Realtà è nell'intimo dell'« essere » e solo li può essere scoperta.

KEMPIS

Commiato Chiudiamo questa raccolta con un invito rivolto a quella schiera di creature silenziose che ci seguono attraverso alla pubblicazione di questi libri e attraverso alla registrazione delle comunicazioni, creature che non hanno mai potuto assistere ad una seduta e forse mai potranno assistervi. Diciamo loro, ancora una volta: ci siete cari come tutti coloro che ci sono stati affidati. Il nostro messaggio suona cosí; è per tutti, ma è al singolare perché è per ciascuno di voi: « Vieni a noi, tu che sei deluso e smarrito, che invano hai sperato nell'aiuto dei tuoi simili; vieni a

noi, tu che sei amareggiato e solo, che hai creduto alle promesse dell'uomo. Vieni a noi, tu che sei

incompreso e rifiutato, che, tradito, vorresti rinunciare alla vita. Perché vuoi punirti per le colpe

degli altri? Ma interrogati Veramente degli altri è la ragione del tuo dolore? Ti diciamo: vieni a

noi, eppure noi abbiamo da darti solo quello che tu sei disposto a darci; possiamo per te solo

quello che tu vuoi che possiamo; siamo per te solo quello che tu permetti che siamo. Da noi stessi

non abbiamo da donarti quello che ti manca e che vorresti; non possiamo consolarti, non vogliamo

fare per te; siamo solo una voce senza corpo, un'identità senza nome, una dottrina senza autorità,

un messaggio scritto sulla sabbia di un deserto ventoso ». La nostra voce dice: « 0 tu che sei preda dello sconforto e della delusione, perché vuoi addebitare

le tue colpe agli altri? Non devi cercare nei tuoi simili quello che tu devi avere. Non devi attendere

che altri facciano quello che tu devi fare. Non puoi pretendere che gli altri siano quelli che tu devi

essere. Tu non devi delegare, non devi attendere, non devi rinunciare. Abbi fiducia in te stesso! Tu

hai, tu puoi, basta che tu lo voglia. E quando avrai compreso che non hai alcun diritto di sentirti

sfiduciato se tu stesso non sei la fiducia, deluso se tu stesso non sei la speranza, amareggiato se tu

stesso non sei il conforto dei tuoi simili, sentirti solo se tu stesso rifiuti, tradito e abbandonato se tu

stesso non dai, quando tale sarà il tuo sentire, allora tu stesso sarai la nostra voce, il nostro vivente

messaggio, la testimonianza del nostro potere ».

Che la pace sia con tutti gli uomini!

DALI

APPENDICE

Una serata con noi

Alcuni pareri sui fenomeni del Cerchio Firenze 77 Una serata con noi Nella prima parte dei nostri precedenti volumi - « Dai Mondi Invisibili » e « Oltre l'Illusione » - abbiamo diffusamente descritto i fenomeni fisici che avvengono durante le nostre sedute tenute da oltre trent'anni sempre con lo stesso eccezionale medium. In questo libro ci limitiamo perciò a descrivere una nostro serata di riunione, tanto per rendere l'idea dell'atmosfera che si crea durante gli incontri con le nostre Guide disincarnate. Aveva chiesto di assistere ad una nostra seduta la signora Anna E., vedova di un commissario di polizia ucciso dalle Brigate Rosse. Il cocente dolore che traspariva chiaramente dalle espressioni

usate nella lettera che ci aveva inviato ci indusse a riceverla pur facendole presente che nelle nostre riunioni raramente intervengono entità affettive. Ella spiegò, durante una conversazione telefonica, che le sarebbe bastato udire le voci delle entità di cui aveva letto i confortanti messaggi pubblicati nei nostri volumi. La signora intervenne accompagnata dal sacerdote Padre Eugenio Ferrarotti e dal dott. Alfredo Ferraro. Anche quella sera erano presenti circa quindici componenti del Cerchio, piú due osservatori occasionali perché piú di due persone nuove alla volta non ci è dato di ricevere. Molti dei presenti erano giovani come la signora Anna e le si serrarono intorno con affettuose parole di commossa solidarietà. Facemmo sedere i nuovi ospiti vicini al medium e noi tutti intorno. Leggemmo, come nostra abitudine, il dattiloscritto tratto dalla registrazione della seduta precedente. Quella sera che era presente un sacerdote, peraltro inaspettato e intervenuto solo come accompagnatore, l'argomento toccato la volta precedente dai nostri Istruttori disincarnati verteva proprio sulla funzione delle religioni ai fini dell'evoluzione individuale. Questo importante messaggio è pubblicato a pagina 85 di questo volume: il dibattito che seguí a questa lettura fu molto breve, perché le parole di Kempis ci trovarono tutti consenzienti. Durante questo scambio di idee si era creata la giusta atmosfera di attesa e di ricettività: spegnemmo perciò la luce, recitammo una preghiera e ci raccogliemmo in silenzio e in meditazione. La trance avviene sempre entro pochi minuti, il respiro del medium si fa ritmico, quasi una respirazione yoga. Per prima inizia a parlare l'entità Guida che da oltre trent'anni si manifesta con la stessa inflessione di voce, diversa da quella del medium, con una dialettica dolce e rassicurante e con un intenso profumo di violette avvertibile in tutta la vasta stanza che ci accoglie. Dali, cosí si è fatto chiamare questo nostro Istruttore, pur parlando in generale sa trovare le parole calzanti ai problemi di ognuno dei presenti. La signora A. E., in un punto della sua struggente lettera, con la quale si era messa in contatto con noi, scriveva: « ... lo non amo piú la vita e accetto il dolore, non voglio calmarlo; vorrei raggiungere solo un certo equilibrio per continuare ad essere madre nel modo meno sbagliato, perché non voglio insegnare l'odio ai miei figli, ma non so certo insegnare loro ad amare e a perdonare ». E Dali nel suo messaggio di quella sera disse anche queste parole: « ... Vedo taluni di voi scoraggiati assumere un atteggiamento rinunciatario nei confronti della vita, Vedo che taluni di voi hanno attenuato la loro speranza, vinti forse dalla ridda di, tragici avvenimenti che si susseguono e che, piú o meno direttamente, toccano un po' tutti. Ebbene, o figli, non siate dei rinunciatari. Ma anzi fortificate la vostra speranza. accendete il vostro cuore di una fiducia nel buono e nella parte migliore che c'è in tanti uomini. Non lasciatevi sgomentare dalle tristi manifestazioni di odio e di violenza; gli uomini, fortunatamente, non sono tutti così... Insegnate ai vostri figli a cercare il meglio dell'uomo, insegnate che quello che può averli addolorati è stato un capitolo triste, lancinante, ma la vita non è tutta cosí. Questo è quello che voi potete fare, e, soprattutto, non sentitevi mai dei rinunciatari, non perdete mai la speranza: ognuno di voi ha sempre tanto da fare. Guai a colui che crede di essere al termine del suo compito! E' Dio che chiude il capitolo della vostra vita e del vostro operare secondo un disegno che non vi è dato conoscere; e fino ad allora voi avete il diritto e il dovere di vivere con tutto l'essere vostro ». Dopo l'intervento di Dali si presentò l'entità che presiede ai fenomeni fisici. Da qualche anno a questa parte l'apporto avviene quasi sempre a materializzazione lenta, sí da poterne seguire le varie

fasi di accrescimento. Le modalità sono circa le stesse per ogni oggetto apportato: il medium è senza giacca, le maniche della camicia arrotolate; i suoi polsi nudi, sono tenuti da chi siede alla sua destra e alla sua sinistra, cioè dagli osservatori occasionali. Egli protende le mani unite in avanti: quella sera fra le dita del medium cominciarono ad apparire subito dei bagliori luminosi che si fecero via via piú intensi, tanto da poter vedere i contorni del volto del medium e le sue mani fino ai polsi. Dopo un minuto o due prendeva corpo una piccola massa quasi ovale, piú scura al centro e luminescente all'intorno, massa che veniva plasmata dalle dita del medium con un movimento continuo e dolce. La luminescenza era di un colore fra il verde e l'azzurro molto pallido ed emanava un leggero odore di ozono. Tutt'intorno alla piccola massa piú scura, l'ectoplasma fuorusciva dai bordi delle dita e dal contorno delle mani, illuminandole completamente, mentre vapori sottili si dipanavano verso l'alto e la massa ingrandiva lentamente fino a raggiungere la dimensione dell'oggetto apportato. A questo punto l'oggetto fu completamente racchiuso fra le mani dello strumento, come a proteggerlo, ed egli si volse alla signora A. E., che sedeva alla sua destra, dicendole: « Dammi la tua mano. Tieni, è un dono per Natale. Tu sai chi te lo manda. E' una piccola cosa, ma dobbiamo accontentarci di quello che abbiamo a disposizione ». E mise l'oggetto fra le mani della giovane donna. Mentre avveniva tutto questo, i partecipanti erano in perfetto silenzio e in concentrazione. La Guida, quasi ad avvertire che la concentrazione doveva continuare ancora, mormorò: « Ed ora un altro ». Il respiro del medium si fece di nuovo ritmico, le mani di nuovo luminose, ma questa volta la materializzazione ebbe un procedimento diverso. L'Entità chiamò a voce alta: « Eugenio ». Noi non sapevamo che questi era il nome del sacerdote presente, seduto un poco piú lontano. A questo punto trascriviamo letteralmente, tratta da una lettera del religioso. la descrizione dell'avvenimento: « ... Alla chiamata per nome da parte del medium, mi accostai a lui, vidi chiaramente ed in piena coscienza di spirito quanto mi lasciò cadere dalle sue nelle mie mani. Si trattava di un oggetto luminescente ed incandescente della forma precisa di un cilindro, una colonnina della lunghezza di tre o quattro centimetri. Mi parve metallo fuso con quella forma e con un'aggiunta dello stesso materiale, come quando in una colata non si interrompe con taglio netto la discesa della massa pastosa, densa, vischiosa. Trattenuto nelle mie mani chiuse, quel po' di "magma" si è materializzato in una testa di angioletto d'argento sbalzato, che ha la caratteristica di un bel volto che ti segue, anche guardato dall'interno, Per me la scelta della Guida fisica nell'apporto di un angelo ha un significato profondo, indovinato e di assicurazione: mi ha letto dentro! Che altro posso aggiungere se non compiacermi con il medium e ringraziare Dio che concede un di piú non dovuto a convalida della nostra fede assoluta in Lui e nelle Verità da Lui rivelate? Vorrei che molti, bisognosi di conferme, potessero fruire di tanta consolazione ». La seduta proseguí con l'intervento delle entità che abitualmente si presentano nelle nostre riunioni, porgendo ognuna il proprio insegnamento, chi in chiave mistica, chi razionale, chi filosofica o analitica. Gli apporti si possono ammirare completamente solo quando la seduta è finita e si può riaccendere la luce. L'oggetto apportato alla signora A. E. era un pendentif in metallo simile all'oro, con pietre color turchese e rosse, di forma ovale, della lunghezza di tre o quattro centimetri. Quello per il sacerdote era la testa di un angelo con le alette, un cherubino, ci sembra, in argento lavorato a sbalzo. Degli oggetti apportati conserviamo solo la fotografia, poiché naturalmente rimangono di proprietà delle persone a cui le entità li hanno destinati.

Abbiamo chiesto da dove provengono gli apporti: ci è stato risposto che in genere gli apporti sono oggetti smarriti o dimenticati, di valore modesto o comunque tale da non arrecare alcun danno. Comunque alcuni apporti sono oggetti molto graziosi, di fine lavorazione, e alcuni di un certo pregio di antiquariato: ad esempio un reliquiario a forma di scatoletta ovale intarsiata che porta la data 1784; una piccola coppa cinese porta-riso In porcellana decorata dell'epoca dei Ming; una scatoletta in finissima porcellana decorata con il giglio di Francia e la data 1785; una moneta delle guerre puniche, il Victoriatus; uno specchietto antico in argento e turchese (riprodotto sulla copertina del libro « Spiritismo, illusione o realtà » di Alfredo Ferraro - Edizioni Mediterranee una cavigliera orientale, usata dalle odalische, in argento finemente decorato con frangia pure in argento fatta di piccole sfere e dischetti donata alla signora Lina Brady; un ciondolo porta-reliquia in filigrana d'argento e pietre, donato a Paola Giovetti; tre piccoli oggetti in oro e numerosi altri, quasi tutti riprodotti in fotografie sui nostri volumi. Per chi pensa alla possibilità di trucchi, sarebbe per lo meno singolare che il medium o qualche suo aiutante si desse la pena di andare alla ricerca di questi oggetti da donare ai partecipanti, al semplice scopo di destare sensazione, poiché è noto che queste sedute sono condotte senza il sospetto del minimo lucro. Ma un altro particolare vogliamo mettere in evidenza: la formazione e l'estrinsecarsi delle luci. Alla fine della seduta di cui abbiamo parlato abbastanza diffusamente in queste pagine, si presentò l'entità che si è fatta chiamare Teresa e che si manifesta sempre con un intenso profumo di rose fresche, con luci e spesso con la levitazione del corpo del medium. Dopo aver formulato una breve preghiera camminando in mezzo al cerchio e rivolgendosi ai presenti con una carezza o un segno di croce in fronte, l'entità si soffermò presso la signora A.E. e le accarezzò i capelli che portava piuttosto lunghi sulle spalle: ebbene, le luci che erano sulle dita del medium furono trasmesse ai capelli della giovane donna e noi tutti potemmo notarle fino a che non fu riaccesa la luce. Altre volte le entità hanno trasmesso la luminosità delle mani del medium alle mani dei partecipanti che ne venivano a contatto: ci è stato permesso anche di accendere la luce e di esaminare e fotografare le mani dei medium mentre emanavano queste luci diffuse che sembravano provenire dalla sua epidermide. Abbiamo cosí potuto verificare che su quelle mani nude non vi era traccia di sostanza alcuna, né sul dorso, né sulle palme. Il dott. Alfredo Ferraro, fisico. che segue da diversi anni le nostre esperienze, ha segnalato il fenomeno al prof. Giuseppe Guanti, docente di Chimica Organica presso l'Università di Genova, e ha ricevuto questa risposta.

Dott. Alfredo Ferraro - Genova

In relazione al fenomeno descritto nel suo libro e concernente manifestazioni che avrebbero luogo in seno al "Cerchio Firenze 77", nel merito delle quali ovviamente non entro, posso precisare quanto segue: Esistono numerosi casi di reazioni chimiche che, anche a temperatura ambiente, sviluppano energia luminosa (chemiluminescenza). Tuttavia, sulla base dei dati di letteratura, non sono noti processi di questo tipo che, per mescolamento di reagenti non corrosivi, sviluppino contemporaneamente fumi biancastri non tossici, senza che rimanga alcun residuo alla fine della reazione. Rimango a disposizione per eventuali indagini scientifiche e Le invio i migliori saluti ».

f.to prof. Giuseppe Guanti

Anche i profumi, a volte di violette, altre volte di rose, di fiori misti o di aromi orientali, hanno la particolarità di rimanere a lungo sugli abiti degli intervenuti, sulle mani di chi è venuto a contatto con le mani del medium; sono intensissimi poi nella stanza in cui avvengono le riunioni e sui braccioli della poltrona dello strumento dove permangono per giorni e giorni. Questi i fatti. Ma, come piú volte abbiamo sostenuto, per noi l'importante è ciò che viene detto in queste riunioni, il riflesso che l'insegnamento ha nel nostro vivere di ogni giorno, rendendoci consapevoli che la superiore ragione d'esistenza dei problemi della società è proprio quella di destare l'essere interiore dell'uomo e farlo assurgere alla dignità che gli è propria. D'altra parte una fredda riunione a scopi solo rigidamente scientifici non otterrebbe lo stesso scopo e non otterrebbe nemmeno quello di convincere il resto del mondo sulla obiettività dei fenomeni, poiché è chiaro che non può esistere nessuna prova atta a far credere se prima non vi è la disposizione a credere. « Nel mondo da cui vi parlo - dice Kempis - nessuno può vedere ciò che non crede, mai la prova viene prima della certezza; la Realtà è nell'intimo dell'essere e solo lí può essere scoperta ». DA UN ARTICOLO APPARSO NEL NUMERO DI LUGLIO-AGOSTO 1977 DELLA RIVISTA « GLI ARCANI » Prof. Ugo Déttore - Filosofo, parapsicologo, scrittore (autore di « Normalità e Paranormalità », «

L'altro regno »), direttore dell'Enciclopedia « L'Uomo e l'ignoto ».

Chi legge una storia del paranormale ha l'impressione, in genere, che con gli anni quaranta, il periodo dell'alta medianità si sia concluso e la sua ricca fenomenologia sia praticamente scomparsa. Non è esattamente cosí; ancor oggi, sebbene con minor frequenza, i fenomeni dell'alta medianità permangono, o, per lo meno, vengono segnalati: solo che si è allontanato da essi l'interesse scientifico, ormai avviato, per le vie di una metodica che non potremmo dire matura, ma certo già robusta, in altre direzioni. Vi sono ancora sedute private, che si svolgono nello stesso clima psichico di un secolo fa, a carattere nettamente spiritico, e nelle quali avvengono le stesse stranissime cose di allora; non giudicherei negativo tale fenomeno, come non giudicherei negativo il fatto che in qualche parte si svolgessero riunioni nello stesso spirito di quelle delle prime comunità cristiane. Un fatto umano teso in buona fede verso un'idea di evoluzione morale è sempre valido e deve essere accettato come tale senza preconcetti né sufficienze; si tratta solo di inquadrarlo nel momento presente e di riconoscervi un significato; si tratta soprattutto di assumere, di fronte ad esso, un atteggiamento chiaro e leale, al di là di ogni equivoco.

Si parla da tempo delle sedute condotte in una bella villa nei dintorni della città dal Cerchio Firenze 77 e dei fenomeni che vi avvengono: punti e globi luminosi, luminescenze delle mani del medium, apporti, levitazioni. Ho potuto partecipare recentemente, grazie alla cortesia della gentile ospite del gruppo, che mi ha invitato, e a quella del dottor Ferraro, che mi ha condotto, a una di queste sedute; e ne ho tratte alcune riflessioni che vorrei qui esporre.

Personalmente penso che i fenomeni delle sedute private in genere, e di quelli del Cerchio Firenze 77 in particolare, siano genuini. Di norma queste sedute avvengono con le stesse persone e con lo

stesso medium, e non sempre è presente un invitato estraneo al gruppo: non è molto verosimile che una trentina di amici si riuniscano regolarmente intorno a un soggetto che si presta gratuitamente, e che in genere è loro amico, al solo scopo di imbrogliarsi a vicenda o imbrogliare l'eventuale estraneo. Ma non è sulla genuinità dei fenomeni che vorrei insistere quanto sul fenomeno globale. Il Cerchio, infatti, non si riunisce con lo scopo di ottenere fenomeni parafisici eccezionali: questi avvengono come un di piú, veri e propri epifenomeni. Il vero fine del gruppo è di ascoltare e registrare le comunicazioni di carattere speculativo provenienti per automatismo parlante da una « intelligenza » che rivela una notevole cultura e una capacità dialettica non comune, l'una e l'altra superiori a quelle del soggetto. Molte di queste comunicazioni sono state pubblicate, sia pure in edizione privata, e ne è in preparazione un'edizione regolare. Posso notare che la filosofia dell'entità Kempis si accosta per piú riguardi a quella dell'entità A, che si manifesta nel gruppo napoletano diretto dal professor Di Simone: la stessa dialettica stringente, le stesse concezioni etiche che tendono a eliminare le idee di male intenzionale e di una conseguente punizione, convergendo invece su quella del progressivo approfondimento di un'esperienza interiore. Dopo alcuni anni di attività, l'intesa fra i componenti del « Cerchio » è avanzatissima: essi parlano un linguaggìo comune e speculano entro un dato ordine di idee, costituiscono un nucleo spirituale che è dello stesso ordine di quelli da cui sono sorti tutti i movimenti iniziatici e, se vogliamo, tutte le religioni. Questa intesa mi sembra alla base del fenomeno globale: è il fatto umano che lo sostiene e lo sostanzia. Come tale è suscettibile di un approccio storico, filosofico e psicologico in senso lato, alla Jung, Si può, ad esempio, avvicinare l'epifenomenologia paranormale che accompagna il formarsi di questo clima psichico con quella che è stata sempre presente negli antichi riti mistici o accanto alle figure dei grandi iniziati, come si può inquadrare il contenuto dei messaggi in una storia della filosofia e dei movimenti spirituali in genere. Ma tutto ciò non ha nulla a che fare con un approccio scientifico, cosí come le dottrine umanistiche, a rigore, non hanno nulla a che fare con le dottrine quantitativamente scientifiche, sebbene le une e le altre siano egualmente considerate scienze. Diversi sono gli oggetti del loro studio, diversi i loro metodi e diversi i loro scopi. Da questo punto di vista la battaglia del lago Regillo, a esempio, non è quantitativamente provata: la storiografìa si vale, in sostanza, di quei due criteri di cui si valevano gli antichi metapsichisti a cominciare da Robert Owen, e che la parapsicologia ha decisamente respinto; la analisi comparata e la convergenza delle prove. Noi accettiamo che presso il lago Regillo i Romani abbiano sconfitto i Latini nel 499 a.C., perché battaglie ce ne sono sempre state e perché gli antichi storici sono concordi e coerenti nell'affermarlo; non accettiamo invece che, durante quel combattimento, i dioscuri Castore e Polluce abbiano sostenuto i Romani perché fatti simili, nella tradizione storica, sono estremamente rari e non sostenuti da tuttì glì storici: ma tanto la certezza della battaglia quanto la negazione del prodigio non hanno alcun fondamento rigorosamente scientifico in senso quantitativo. E, a questo punto, ci si presenta il problema del controllo e della conferma scientifica della paranormalità quale ci si presenta spontaneamente nelle sedute private a carattere spiritico. Di norma, i direttori di queste sedute non sono oggi favorevoli all'intervento di uno scienziato, o di uno scientista il quale imponga le sue condizioni. Dal loro punto di vista hanno perfettamente ragione. La presenza di una simile personalità snaturerebbe fatalmente il fenomeno globale. Non sarebbe ammissibile una seduta, scientificamente impostata, con una trentina di astanti ognuno dei quali potrebbe essere un complice nella frode: bisognerebbe ridurre la seduta alla sola presenza del medium e di due o tre sperimentatori Inoltre il medium, specialmente se la seduta avviene al buio

completo, dovrebbe sottoporsi a date condizioni: farsi perquisire, esaminare medicalmente, legare, incerottare, ecc. Ma tutto ciò cambia radicalmente le basi del fenomeno: elimina il clima psichico originale, mette il medium in condizioni di disagio fisico e morale, presuppone l'intervento di stati mentali del tutto diversi; e ci si può attendere senz'altro una seduta del tutto negativa. 1 gruppi privati hanno però torto quando invitano uno scienziato alle loro sedute affinché si convinca della realtà dei fenomeni pretendendo però di imporgli le loro condizioni. Nessuno ci costringe a giocare a scacchi, se però vogliamo farlo, dobbiamo seguire le regole del gioco. Da parte loro gli scienziati hanno perfettamente ragione quando esigono che siano rispettate le condizioni da loro ritenute necessarie, ma hanno torto quando, da un rifiuto, concludono che dunque si tratta di trucchi: perché sotto le loro condizioni non verrebbe piú esaminato il fenomeno che si voleva studiare ma un altro del tutto diverso. Il principio di indeterminazione di Heisenberg mi sembra rispondere perfettamente a questi casi, i mezzi di osservazione entrano a far parte del fenomeno osservato e lo snaturano. Negli ultimi mesi dello scorso anno è sorta una piccola polemica tra il dottor Cassoli, il dottor Ferraro e, implicitamente, il « Cerchio Firenze 77 ». Il Ferraro, sulla rivista « ESP », volle dimostrare la genuinità degli apporti avvenuti nelle sedute del « Cerchio » presentando le fotografie della loro formazione; fotografie senz'altro interessanti in quanto sarebbero le uniche in cui si vedono apporti in due momenti successivi, dapprima incompleti, poi completi. Il Cassoli ribatté che tale documentazione non aveva alcun valore perché la seduta era avvenuta al buio completo, salvo la luminescenza delle mani del medium, senza alcun controllo e senza che il soggetto fosse stato perquisito in anticipo. Il « Cerchio », da parte sua, si sentí accusato di frode da una autorità competente, che tuttavia non aveva assistite, alle sedute, e ne soffrí. Tutti e tre avevano ragione, ma su tre basi diverse e inconcitabili Il dottor Ferraro aveva colto l'occasione di poter documentare per la prima volta il formarsi di un apporto in vari stadi, pur sapendo di non poter dimostrare che si trattava effettivamente di un apporto. Come appartenente al gruppo si sentiva un po' come un tratto di unione tra un atteggiamento fideistico e un atteggiamento scientifico. Il dottor Cassoli faceva rilevare che la prova era invalidata dal fatto che erano mancate tutte le premesse per garantire la genuinità dell'apporto e criticava dunque a buon diritto la condotta sperimentale. Il gruppo (e per gruppo intendo non solo il complesso dei partecipanti, ma anche le « intelligenze », quali che ne fosse l'origine che si manifestano _nel fenomeno), il quale era, in definitiva, contrario all'esperimento - gli astanti erano disturbati dai maneggi dello sperimentatore e lo fecero notare, le « intelligenze » dissero che non avrebbero piú permesso l'esperienza - si sentí offeso nella sua buona fede. Lo scienziato, per potere operare, deve enucleare il fenomeno dall'insieme, scartare tutto ciò che apparentemente ne sia estraneo, toglierlo dal suo clima e dalla sua storia, ed esaminarlo in una sua realtà astratta e senza tempo. Troverà certo qualche cosa e spesso qualche cosa di fondamentale, ma il fenomeno non ,è piú lo stesso. Per questi due atteggiamenti non vi sono punti intermedi: o tutto o nulla; o tutta speculazione e storiografia, o tutta scienza quantitativa. Si può, se mai, passare alternativamente dall'uno all'altro e cercare di integrarli nel proprio intimo, compensando i limiti dell'uno con le possibilità dell'altro, ma mai attuarli insieme. Per questo penso che il parapsicologo dovrebbe ogni tanto assistere a una seduta privata, ma non come scienziato: dimenticando anzi di esserlo e partecipando al clima della seduta stessa. Se non è, senza rimedio, professionalmente condizionato troverà sempre qualcosa da imparare: l'osservazione dell'« aneddoto » può illuminare ancor piú dell'enunciazione della « legge ». E per questo credo che

ogni tentativo di portare parzialmente l'índagine scientifica in queste sedute sia sostanzialmente inutile e probabilmente dannoso in tutti i sensi. DALLA PRESENTAZIONE DEL LIBRO « OLTRE L'ILLUSIONE », AVVENUTA A ROMA NELLA LIBRERIA Remo Croce LA SERA DEL 2 MARZO 1979. Prof. Leo Magnino - Direttore della rivista « La Cultura nel Mondo », funzionario del

Ministero della Pubblica Istruzione. già docente dell'Istituto Orientale di Napoli, Le manifestazioni che si producono nel Cerchio Firenze 77 sono tali da condurre all'ammissione di forze spirituali che noi non possiamo definire. Questi misteriosi interlocutori sono delle essenze, sono anime di defunti sempre vive, malgrado la morte fisica, che tornano, che parlano t questa la domanda piena di mistero che si ripete oggi come si ripeteva nei lontani millenni di civiltà travolte ormai nel tempo. D'altronde la stessa Chiesa cattolica non sempre ha condannato l'evocazione dei defunti. Nei libri dei Santi Padri, come dei santi, vi sono delle affermazioni categoriche in favore dell'ipotesi che possano talvolta manifestarsi gli spiriti dei defunti e che non sempre si debba parlare di interventi diabolici. Basterebbe fra tutti la parola di S. Agostino che nel « De cura pro mortis

gerenda », scrive: « Perché non attribuire queste manifestazioni agli spiriti (lei defunti, e non credere che la Divina Provvidenza faccia buon uso di tutto per istruire gli uomini, per consolarli e, se del caso, per correggerli dagli errori? ». Attraverso le comunicazioni del Cerchio Firenze 77 possiamo ricavare altissimi insegnamenti che possono servirci quali norme di vita e come guida anche per il nostro comportamento terreno. I messaggi dei nostri misteriosi interlocutori, come è scritto nella prefazione del primo volume, hanno tutti quest'ultimo fíne: « di affrancare l'uomo dalla propria ignoranza, dalla paura dell'ignoto, dall'erronea visione d'i se stesso al centro di una realtà caotica e apparentemente senza scopo ». Il secondo volume che noi oggi presentiamo, « Oltre l'Illusione », come già il precedente ha però, a mio parere, un duplice scopo: quello prima di tutto di convincere gli scettici, e nello stesso tempo, di offrire una chiave attraverso i messaggi ricevuti per interpretare, se non per risolvere, i tanti problemi che l'uomo contemporaneo si pone di fronte ad un mondo in completo di. sfacimento di valori. Possiamo in un certo senso affermare che attraverso le pagine di « Oltre l'Illusione » ci viene offerta una precisa guida per quanto concerne il nostro rapporto con il mondo che ci circonda e con il Dio creatore. I fenomeni ultrafanici ottenuti nel Cerchio Firenze 77 ne sono implicitamente una conferma. I responsi ottenuti ci danno notizie, ci espongono considerazioni, svolgono argomenti. che potrebbero essere, e talvolta si constata essere, a modificazione e anche negazione di princípi e di conoscenze da noi fino ad oggi ritenute sicure. La caratteristica di queste manifestazioni è appunto questa. Le comunicazioni che ci pervengono sono di natura cosí intellettuale da servire da guida, da essere di luce a noi uomini. Non possono quindi confondersi con qualsiasi altra manifestazione medianica. Si può quindi affermare, a giusta ragione, che l'ultrafania, cosí come avviene nel Cerchio Firenze 77, può e deve esercitare un'influenza anche nel campo della filosofia; essa è generatrice di quella che venne denominata in altri tempi « biosofia » che è scienza della vita, filosofia cioè che accoglie, oltre al metodo ed ai mezzi e alle scoperte della scienza positiva, anche il trascendentale che da questa è spesso ripudiato.

La scienza in genere si occupa obiettivamente dei fenomeni della vita; la filosofia dalla constatazione scientifica trae i principi e le ragioni di quelli. La biosofia, pur svolgendo la stessa attività filosofica, ricorre anche ai mezzi cosí detti extranormali quali sono la medianità in genere e l'ultrafania in specie. La biosofia fa quindi sua fonte specifica di indagine quella energia che giunge attraverso il fenomeno che si usa denominare trascendentale, ma che in realtà è naturale. Il Cerchio Firenze 77 ha la sua massima espressione nel mediatore che conduce le sedute e che, dotato di particolarissimi poteri, ottiene le comunicazioni in una immersione supernormale, come la definisce il prof. Cogni. Attorno al mediatore sono una ventina di spettatori od osservatori. La pratica di questi esperimenti del Cerchio Firenze 77 rafforza la mia convinzione che, a parte le attitudini straordinarie del medium, le condizioni personali e collettive del circolo costituiscono un coefficiente importante per la produzione dei fenomeni. E’ stata senza dubbio la cosa piú difficile formare un circolo omogeneo. E' deplorevole, infatti, che in casi analoghi la maggioranza degli spettatori abbia di rado una preparazione adeguata per partecipare agli esperimenti. Spesso si assiste ad una seduta per mera curiosità e per ansia di ottenere comunicazioni immediate con spiriti di defunti, quasi come se ci trovassimo in una cabina telefonica. Molte volte coloro che assistono alle sedute sono completamente digiuni di letture e soprattutto hanno una idea confusa o, meglio, confusionaria della fenomenologia medianica. Ciò che non avviene nel Cerchio Firenze 77, ove il ristretto pubblico degli intervenuti è previamente selezionato, e questo, a mio parere, permette al mediatore di maggiormente concentrarsi. Nelle sedute del Cerchio Firenze 77 avviene ciò che si può considerare l'optimum per un circolo medianico, e cioè una perfetta comunanza di vedute e di sentimenti, quella che io chiamerei una benevolenza scambievole fra tutti gli assistenti, l'abbandono di ogni sentimento contrario a quella che potremmo chiamare la vera carità cristiana, il desiderio di istruirsi e di migliorare a mezzo degli insegnamenti delle entità che si presentano, così da mettere a profitto i loro consigli. E ancora, l'esclusione di tutto ciò che nelle comunicazioni con le entità non ha che uno scopo di mera curiosità. Ma vi è un aspetto, infine, che vorrei sottolineare in queste comunicazioni del Cerchio Firenze 77, ed è quello specificamente culturale. Nell'attuale crisi di valori che contraddistingue la nostra epoca, in questo processo di degradazione dell'Occidente, dove il materialismo affiora un po' ovunque e si assiste alla stessa meccanizzazione della nostra vita spirituale, in un'epoca insomma come la nostra, sempre intrisa di materialismo e dove lo scetticismo regna sovrano in ogni settore della vita sociale e religiosa, le pagine di questo volume offrono al lettore, anche il piú sprovveduto e piú scettico, spunti di riflessione e di profonda meditazione interiore che possono forse promuovere anche nei piú scettici « un passo in avanti lungo un sentiero in salita che tanto piú diventa arduo, quanto piú scopre inattesi panorami e rivela nuovi orizzonti ». Questa frase è tratta da un magnifico volume del Servadio intitolato « Passi sulla via íniziatica ». Ora, non fosse altro che per questo contributo che ci permette di respirare quella che io chiamerei un'atmosfera della piú alta e profonda spiritualità, dobbiamo essere grati al Cerchio Firenze 77 e soprattutto a quell'impareggiabile mediatore che ha dedicato tutta la sua giovinezza al compito che il dono della sua medianità gli indicava, senza mai nulla chiedere ma sempre pronto nel donare. Per quanti ancora sono ammalati di scetticismo di fronte ai fenomeni del paranormale, vorrei ricordare le parole pronunciate circa un secolo fa nell'Ateneo bolognese da un ormai dimenticato filosofo, il prof. Giuseppe Stucchi, il quale cosí scriveva: « Io penso con Bacone che senza essere candidi come bambini non si entra nel regno della Verità, come non si entra nel regno dei cieli. Penso con l'Arago che colui il quale, al di fuori delle matematiche future, pronuncia la parola "impossibile", manca soprattutto di prudenza. Penso con

Laplace che noi siamo cosí lontani dal conoscere tutti gli agenti della natura e le loro diverse motivazioni, che sarebbe poco filosofico negare l'esistenza di certi fenomeni unicamente perché sono inesplicabili nello stato attuale delle nostre conoscenze. Penso infine con l'Humboldt che un presuntuoso scetticismo, il quale rigetta i fatti senza esaminare se siano reali, è, per molti aspetti, piú biasimevole di una irrazionale credulità ». Vorrei terminare leggendo una frase di questo volume che questa sera presentiamo: « A tutti voi diciamo: questo libro non è caduto sotto la vostra attenzione per caso. Il nostro incontro è scritto da sempre nella storia che ci unisce. Contrapposta a questa predestinazione è la possibilità che ci è data di aiutarví se volete, ad uscire da quella specie di gara febbrile ad essere peggiori l'uno dell'altro, in cui sembrano cimentarsi gli uomini che ora scatenano il loro egoismo senza piú ritegno ». Prof. Vincenzo Nestler - Matematico e docente di parapsicologia presso la Facoltà di Scienze

Psichiche e Psicologiche dell'Accademia Tiberina. Signore e signori, la mia parola sull'argomento di questa sera non sarà cosí brillante ed alata come quella del professor Magnino Manifestazioni medianiche o casi dette medianiche oggi ne accadono senza fine in tutto il mondo. Purtroppo la maggior parte di queste manifestazioni hanno per protagonisti persone che potrebbero definirsi tra i discendenti lontani ed aggiornati del dantesco Gianni Schicchi. Non è di questi fenomeni che noi ci interessiamo, Qui abbiamo una manifestazione di medianità genuina, medianità genuina con tutti i fenomeni studiati dalla parapsicologia, di conoscenza paranormale e di azione paranormale. Tra le testimonianze vive posso citare il neuro-psichiatra dottor Luigi Lapi che descrive perfettamente i diversi tipi di manifestazione: apporti, profumi, levitazioni. Altri fenomeni genuini sono confer. mati da altre testimonianze: De Boni, Alacevich, Ferraro ed altri. In complesso posso dire che le manifestazioni che hanno come oggetto questi volumi di cui si parla stasera, volumi editi dalle Edizioni Mediterranee di Roma, indipendentemente dalle interpretazioni che si vogliono dare alle manifestazioni stesse, sono tali da far cadere molte prevenzioni contro la medianità. Le dimensíoni dell'essere non sono soltanto quelle con cui noi abbiamo contatti materiali tutti i giorni. Altre dimensioni dell'essere non possono restare ignorate da chi non sia costituzionalmente ancorato all'antico e classico concetto di materia. I nuovi concetti fisici di energie nucleari, di energie di annichilazione, hanno mandato in frantumi il concetto classico di materia, come ha testimoniato recentemente un illustre, famoso scienziato italiano, Antonio Zichichi. E forse dovrà mutare tutta la nostra comune visione delle cose e del mondo. Purtroppo la scienza ufficiale non dispone ancora di mezzi e strumenti adatti, non dispone della « forma mentis » idonea a misurare la dimensione del paranormale. Cosí ha scritto l'amico e studioso D'Alessandro in una pagina di questo libro, e un concetto simile troviamo sviluppato in una brillante conferenza del prof. Servadio. Dobbiamo ripetere, perciò, che la medianità genuina e tutta la fenomenologia paranormale sarebbero effettivamente tabú per la scienza ufficiale senza l'apporto interdisciplinare della parapsicologia.

Al colto pubblico che frequenta questa sala non occorre dire cos'è la parapsicologia, ma mi preme ripetere una cosa già detta da altri recentemente, ma che molti, anche coltissimi in altre materie, dimostrano di ignorare. La parapsicologia come ricerca scientifica nel campo del paranormale, non deve essere confusa con l'oggetto della ricerca stessa. Da quella confusione nascerebbero degli equivoci su cui, per il momento, non voglio soffermarmi. Nel campo stesso dei nostri studi, vari ricercatori hanno faticato molto per acquistare la certezza che i fenomeni medianici e il poltergeist potevano interpretarsi in chiave di fenomeni piú elementari della parapsicologia: ESP e PK. E questo specialmente dopo l'apporto della psicologia del profondo. Il dottor Eugenio Osty, illustre metapsichista del secolo passato e dei primi anni di questo secolo, scriveva che « l'applicazione metapsichica della psiche ci ha insegnato che al di là delle zone funzionali utili per vivere nella materia (materia in senso comunemente finora interpretato), oltre questo, c'è un altro "io" i cui poteri di creare forze, di conoscere la realtà senza ostacolo di tempo e di spazio, sono indizio che questo "io" partecipa della potenza intelligente che sostiene la vita e che, probabilmente,, è la vita stessa ». L'indagine scientifica classica, da un certo punto in poi, non fa progressi in questo campo. La ricerca scientifica della parapsicologia comincia certamente con gli stessi metodi indicati da Galileo e da Bacone, ma ad un certo punto si deve fermare. Da un certo punto in poi le cose vanno viste dal di dentro, come detto dall'amico Cogni, come ripetuto altre volte dal nostro Servadio. Cosí hanno fatto i parapsicologi di Toronto che hanno studiato dal di dentro la medianità trasformandosi in partecipanti ed attuando, senza ombra di dubbio, in sedute medianiche, quasi tutti i fenomeni che la scienza classica vorrebbe ancora respingere. Cosí i nostri amici e studiosi che hanno partecipato alle numerose sedute del Cerchio Firenze 77 e che possono accertare la realtà dei fatti, fatti eccezionalissimi comunque si vogliano interpretare e qualsiasi sia la fonte a cui si vogliono ascrivere. Perciò ritengo il medium, che gentilmente e nobilmente si è prestato, medium validissimo. E il libro altrettanto valido anche per invito, non per applausi o critiche, ma per studiare, studiare e provare. Prof. Giulio Cogni - Orientalista, docente universitario di filosofia e lettere presso Università

italiane, francesi, tedesche. Forse voi sapete che le Edizioni Medíterranee hanno fatto l'onore a chi parla, di mettere una prefazione al volume, scritta appunto, dal sottoscritto e che è ricavata in gran parte da un saggio già pubblicato dall'amico prof. Magnino nella sua rivista « La cultura nel mondo ». lo parlo come filosofo e non come parapsicologo, anche se, indirettamente, posso rientrare nella categoria di coloro che si occupano di parapsicologia. In realtà ciò che mi ha meravigliato (e lo dico nella prefazione, prendendo cognizione di questi fenomeni e di ciò che si presentava come produzione letteraria di questi fenomeni, è stato il valore filosofico estremamente profondo di queste comunica zioni. Queste non sono comunicazioni come generalmente accade di leggere in letteratura medianica: sono delle vere creazioni di profonda filosofia strettamente imparentata, anche se il medium o lo strumento non ne sapeva niente, con il mondo orientale e la visione del « vedanta » indiano che è quello che piú vi si avvicina.

Naturalmente se questa visione è, come io ritengo, la piú profonda che si è manifestata nel mondo, non è neanche la sola. L'idealísmo europeo, da Fichte a Gentile, dice in un'altra forma e in un altro contesto le medesime cose. Baruch de Spinoza, nel '600, aveva già tracciato tutta la sua visione del mondo alla stessa stregua della visione orientale. Non con lo stesso slancio lirico, ma con una geometrica costruzione che equivaleva completamente. Voi per me siete, secondo la mentalità comune e ordinaria dell'occidente, degli estranei. Ma ecco che viene dalle Upanishad la illuminazione secondo cui - ed è la piú logica di tutte e proprio Spinoza è quello che l'ha dimostrata - tutto è realmente UNO. Ma non dice anche la scienza attuale che tutto è energia e una sola energia? E le divisioni ce le mettiamo semplicemente noi col pensiero perché vogliamo distinguere. Ma io sono nei vostri corpi e voi siete nei nostri. Noi siamo anche l'atmosfera che ci circonda , siamo tutti la medesima cosa. E anche i rapporti di spazio e di tempo, che sembrano comunque allontanarci, sono nient'altro che degli aspetti relativi di quelle proiezioni spettacolari che noi vediamo costruendole, di fatto, con i nostri organi sensoriali, e in primo luogo con la vista. Tutto dunque è UNO, e nell'unità tutto si fonde in una beatitudine detta Ananda, dalla sapienza orientale, che è l'interpenetrazione di tutto con tutto anche quando nell'amore si giunge a questa identificazione per cui, come dice la Brhad-aranyaka upanishad, « L'amante non sa piú ciò che è esterno e ciò che è interno in lui e nell'amato, e sono divenuti una sola cosa ». Ecco, questo è il Brahaman, questa è la Rivelazione Suprema. Ora, se noi leggiamo alcune pagine di questo volume, anche cosí negli episodi, senza bisogno di seguire una lettura continuata, non troviamo che continue dichiarazioni di questo genere e svolte saggio per saggio, capitolo per capitolo, con una consequenzialità logica che è indubitabile. « Molti uomini pensano che per condurre una vita retta ed equilibrata sia necessario credere in Dio, avere una fede. Ma ciò non è esatto. Anzi quel Dio che essi hanno costruito secondo le loro limitazioni non può esistere ». E’ il Dio stesso della nostra religione e delle altre religioni c'ne noi, per necessità linguistiche e simboliche (che purtroppo dopo diventano fissi dogmi, talvolta perfino teologie), finiamo per analizzare e distinguere. Dio è l'Infinito, l'Essere Infinito, dunque onnipresente, dunque Tutto non può essere che Lui. Però siamo abituati a vederlo là e non qua, come un altro. Ecco un argomento che qui viene trattato (e naturalmente non si può leggere tutto) con una grande profondità: « Quel Dio che appartiene alle loro bandiere, alla loro Nazione, alla loro religione, che è A loro protettore e il distruttore degli altri, non può esistere ». Come dice sempre la Upanishad e tutta la filosofia del Vedanta, se Dio fosse questo sarebbe limitato. E se Dio non fosse anche me, sarebbe ancora una volta limitato. Ma questo significa che io dunque sono anche Lui, purché rinunzi con assoluta estrema umiltà a credermi qualche cosa di diverso da tutto il Creato, che poi non è che una immagine del Divino proiettata dal Dio stesso nello spettacolo del mondo. « Egli è ovunque, in ogni cosa animata ed inanimata esiste ». Questo dice il Fratello Orientale, una delle Entità che compaiono. Ma è da notare che le Entità stesse -in altre pagine - raccomandano di non darsi pena di sapere che cosa esse siano, perché sono dei simboli. Il che significa che, come noi stessi che qui sediamo, sono esse stesse, qualunque sia la loro fantomatica esistenza oggettiva, nient'altro che dei momenti della fantasmagoria o del caleidoscopio dell'Essere. Lei non è che un momento del Divino e lei anche e tutti noi non siamo che questo caleidoscopio. Queste sono le conclusioni a cui praticamente arrivano queste comunicazioni che, in se stesse, appaiono talvolta a chi legge, veramente sublimi. « Il compimento della tua esistenza è il raggiungimento della Divinità, perciò Egli è anche in te, fratello caro ». E non abbiamo detto tutti che Dio è ovunque, che Dio è in ognuno? Ma vorrei citare,

per conferma cristiana e cattolica, un paio di frasi che appunto Emilio Servadio riporta nel volume « Sesso e Psiche ». E siccome ho qui un articolo scritto su quel volume, io stesso le cito per semplicità, non le leggo dal volume ma da questa citazione: « Il matrimonio spirituale - dice S. Teresa - è come pioggia che cade dal cielo in un fiume corrente e ne deriva un liquido solo ed unico, cosicché l'acqua del fiume e la pioggia non possono piú essere divisi. E' come un rivo che sfocia nell'oceano e che dopo non può piú essere separato ». E Giovanni della Croce: « Questa suprema grazia fa delle cose di Dio e dell'Anima una cosa sola. L'Anima si illumina immediatamente di Dio e viene trasformata in Lui ». Santa Caterina da Siena, nel dialogo della Divina Provvidenza, sente Gesú che le dice: « Se tu mi ami, tu diventi me ». E' allora che anche Teresa, che probabílmente è un simbolo di Santa Teresa di Gesú, (quella vicino a noi, non l'altra), parla dell'Amore cosí: « Fratelli, considerate come i rapporti fra gli uomini siano basati solamente sui diritti e sui doveri e quanto poco posto sia lasciato al trasporto d'amore! Eppure l'amore è la ricchezza piú grande che un'aníma può avere. Se possedeste tutti i beni della terra non sareste ricchi come chi ama ». E continua poi: « Sorelle, fratelli, possiate amare di quell'amore che in se stesso è premio di chi ama. lo vi amo, o cari. Pace, pace a tutti voi ». E' da ricordare, credo a proposito anche di questo volume, che quando parla di Dio, arriva a dire che Dio supera ogni criterio di persona ed è soltanto la « Coscienza dell'Uno », la quale però è piú esistente di tutte le altre esistenze perché solo l'Uno, organismo universale che è trascendente e nello stesso tempo immanente, è anche logicamente l'unica Realtà in cui noi possiamo credere. Vorrei ricordare a questo punto, una lettera che mi ha inviato l'altro giorno un filosofo di grande nome, Ugo Spirito, che avendo letto un mio scritto su questo argomento, sulla Rivista « Yoga », mi scriveva: « Ecco, questa è la vera realtà nella quale noi possiamo veramente aver fede ». E se si pensa la crisi nichilistica che lui ha vissuto negli ultimi anni, fino a scrivere « Le memorie di un incosciente », possiamo capire quale valore ha questo accenno. Ebbene, qui si dice appunto che Dio è Coscienza e si conclude che « è Sentire Assoluto che tutto comprende, che è Essere Uno ed Essere Tutto al di là del virtuale frazionamento che genera i mondi ed il loro divenire. E siccome il Sentire Assoluto è unico - e non potrebbe essere diversamente - ne consegue che ogni essere ha in comune per lo meno questo Sentire. E poiché il Sentire Assoluto tutto comprende, ne deriva che noi siamo in realtà un solo essere. Badate, l'esistenza di Dio è conciliabile con la molteplicità dei mondi e degli esseri in un solo modo e con un solo concetto: che Dio sia uno stato di coscienza in cui tutto è fuso e trasceso nell'unítà ». E’ciò che afferma anche il Vedanta il quale, appunto, parla sempre del Brahaman. cioè del neutro, della Divinità, del Divino). E continuando, si legge che « niente può essere escluso da questa comunione, del resto già esistente da sempre nell'Eterno Presente, che ogni essere raggiunge Dio altrimenti non sarebbe realizzata l'unità, ossia non esisterebbe Dio. Da sempre vi abbiamo detto che tutto è un aspetto di Dio (cioè tutto è una proiezione sullo schermo dell'Essere di un unico proiettore il quale non è diminuito né influenzato da ciò che avviene sullo schermo, ma è tutto ciò che è nello schermo stesso, cioè è assoluta immanenza e assoluta trascendenza), ma questo significa, in altre parole, che Dio è la reale condizione di esistenza del Tutto ». A questo arriva la serie di questi testi dopo avere dimostrata l'inconsistenza dell'io. L'io è nient'altro che un simbolo, un diagramma che noi ci siamo messi in testa: in realtà noi non siamo che una serie di fenomeni, cioè il nostro stesso corpo vissuto interiormente. E noi siamo immortali, purché si rinunci ad essere quella singola cosa, purché si rinunci ad attaccarsi a quell'aspetto dell'io che per forza di cose è transeunte.

Siccome qui non si può naturalmente approfittare del tempo, concluderò leggendo un mantra del Fratello Orientale, una delle pagine piú belle del volume « Oltre l'illusione » (pag. 140): « Rivolgo la mia attenzione alla profondità del mio "essere" che si effonde oltre la mia attuale consapevolezza. Il mio "io" è prodotto dalle contingenti limitazioni e dalla errata autoconvinzione che il mio "essere" sia in esse contenuto. I conseguenti egoismo, avidità, paura, senso di ostilità per ciò che credo noti sia me stesso, mi impediscono di aprirmi alla vita dell'illimitato "essere" che è in ogni uomo e che fonde in pura unione d'amore tutte le forme di vita esistenti in una sola. La vera natura di ognuno, come la mia, sta oltre le contingenti limitazioni e differenziazioni che creano le personalità amate ed avversate. Al di là di ciò ch'io trovo spregevole e detestabile nei miei fratelli, sta Colui che è sommamente amabile e sommamente ama, perché è sommo Amore. Dietro l'aspetto mutevole e caduco di ogni uomo, sta il vero Sé di ognuno, l'unico Essere in cui tutti ci riconosceremo. Desiderio e repulsione, come gioia e pena, vanno e vengono e, come le forme di vita, sbocciano e appassiscono; ma il vero Sé immutabile resta. Non mi oppongo al fluire in me dell'unica Vita, arrendevole mi abbandono per seguire la Sua volontà. Conducimi dove è giusto che io sia, guida ogni mia azione sí ch'io la compia non per goderne i frutti ma per la Tua gloria. Fa' ch'io sia strumento consapevole della Tua manifestazione, Tu che sei la sorgente di ogni vita, Tu che sei la coscienza senza limiti, Tu che sei fuori e dentro agli "esseri" e da -essi -non -sei diviso e in essi non ti dividi, Tu che tutto contieni, di ognuno sei radice e nutrimento. Tu che sei la forma e la sostanza di ogni "essere" e la spiegazione della sua stessa esistenza; Tu che sei ragione di Te medesimo, Tu che mai non fosti e mai nasci, mai muori pur essendo causa e finalità del Tutto, immergimi cosciente nell'infinita profondità del Tuo Essere, ove v'ha completezza tutto ciò che è incompleto, ove si dissolve ogni limitazione, ove passato e futuro sono Presente Eterno ». Superate tutte le limitazioni e le opposizioni, superate tutte le altre distanze dello spazio e del tempo, come non riconoscere che questa forse è la spiegazione piú logica dei fenomeni parapsicologici, cominciando in primo luogo dalla telepatia e dalla chiaroveggenza? Se io sono voi ed entro in questo stato, fate la prova e vedrete che una infinità di comunicazioni spontanee, purché siano volute da Dio, vengono per automatica conseguenza. E forse qui è la spiegazione misteriosa anche di altri fenomeni che in India oggi si producono in forma addirittura parossistica intorno al Sai Baba famoso, attuale Guru orientale e che, in misura piú modesta ma sempre impressionante, si producono anche nel Cerchio Firenze 77. Là dove tutto è solo energia e dove tutto è solo una sola cosa, la mente umana non può decidere. Ma senza dubbio la nostra stessa vita fisica, che i grandi Santi hanno saputo persino guarire da malattie mortali, non è che questa non duale realtà, la non duale realtà della Advaita Vedanta, che non si può obiettivare. Quando si obiettiva bisogna però come fa l'artista - già sapere che tuttavia è una sola cosa; è « l'opera d'arte », appunto grande, quando si sente che tutte quelle cose sono una sola cosa. Questo è l'inno dell'arte ed è anche l'inno della filosofia che si trova in questo volume. Prof. Emilío Servadio - Psicanalista, scrittore, Membro della Psicanalisi Internazionale,

Professore Universitario di Psicologia « Honoris causa ». ... L'avvicinamento piú sistematico, piú scientifico, piú metodologicamente difendibile a certi fenomeni, trova inevitabilmente i suoi limiti, i suoi argini e si ha spesso l'impressione del cozzare contro un muro che non può essere valicato con i suoi strumenti. Per cui da un certo punto in poi

dobbiamo veramente adire ad alcune di quelle concezioni cui in particolare l'amico Giulio Cogni ha accennato. In altre parole bisogna cominciare a pensare se i fenomeni di cui qui si parla non siano veramente aggredibili fino in fondo e sperabilmente in modo conclusivo attraverso gli strumenti scientifici a noi abituali e perfettamente legittimi sul loro piano, ma che si debba veramente adire a un altro piano di cui forse questi fenomeni sono a loro volta esponenti. In altre parole qui si tratta di capovolgere probabilmente il nostro atteggiamento e di passare non già dal fenomeno al transfenomeno, ma di postulare il fenomeno stesso come fosse esponente di qualche cosa che lo trascende, del transfenomeno. In altre parole io credo che si debba operare in noi stessi quel capovolgimento a cui appunto Cogni ha accennato quando ha enunciato una serie di quelle che potrebbero sembrare paradossi e che paradossi non sono a chi riesce a vedere certe cose sub specie interiorítatis. Non sono paradossi dire « io sono te », « noi siamo uno », ecc.... ma si tratta di travalicare un certo limite che è poi il limite appunto della nostra sperimentazione empirica di fronte a questi strani e preoccupanti fenomeni. C'è una lama del Tarocco, il 12° arcano, che fa vedere l'impiccato per i piedi a testa in giú e piedi in su e questo impiccato sorride, perchè? Perché ha capito che questo capovolgimento era l'unico modo per perseguire e per arrivare ad una certa realtà. E Dante quando è giunto nel limbo dell'inferno forse non si capovolge? E si crede veramente che quel capovolgimento sia dovuto semplicemente al fatto che aveva raggiunto il centro della Terra? E' un altro tipo di capovolgimento sub specie interioritatis che è quello appunto che gli permette, da quel punto, di risalire e di finalmente intraprendere il suo magico volo verso il Paradiso... Noi ci domandiamo se sono stati spiegati i fenomeni paranormali: ma dico, i piú importanti fenomeni biologici, la fecondazione, la vita stessa, sono stati spiegati? Certo abbiamo fatto molte indagini, abbiamo scoperto la doppia elica, abbiamo scoperto il DNA, tutto quello che volete, ma la spiegazione del Bios rimane cosí, in mente Dei, e non credo proprio che ci arriveremo con i nostri mezzi scientifici umani. Ecco dove si arresta la scienza e si arresta certamente anche la parapsicologia, estremamente legittima nel senso scientifico... Si tratta veramente di fenomeni che sgorgano dal profondo di certi individui in circostanze ambientali particolari e che la parapsicologia ha potuto in qualche modo appurare, trovando non delle spiegazioni, ma molte importanti correlazioni. Si tratta ripeto di correlazioni, ma sono avanzate di tipo scientifico, cosí come è avanzato di tipo scientifico l'avere scoperto l'acido ribonucleico o la doppia elica. Piú in là con la spiegazione nel senso filosofico del termine io penso che la scienza non possa arrivare. Mons. Corrado Balducci - Teologo, autore del libro « La possessione diabolica », Edizioni

Mediterranee. ... Vorrei augurarmi che le sedute che si attuano in questo circolo di Firenze venissero in aiuto alla parapsicologia, piú che ad un pensiero scientifico-religioso, poiché per venire in aiuto al pensiero scientifico-religioso bisognerebbe sapere in particolare da dove provengono questi insegnamenti, se da Dio o da un'entità vicina a Dio. Se si entra nel campo dottrinale non si finirebbe piú di rispondere ai vari interrogativi. Io poi come teologo non finirci piú di dire « questo è giusto, questo non è giusto ».

Leggere il libro con semplicità, con animo aperto - e adesso lo dico da sacerdote piú che da teologo - penso che possa fare del bene, specialmente a chi è mosso da buona disposizione nella ricerca del divino, del soprannaturale. Ma io invece valorizzerei questo medium per vedere quale apporto si possa dare alla parapsicologia: la quale parapsicologia - e qui ci terrei a fare una precisazione da teologo che ha anche studiato la parapsicologia - oramai non si può piú discutere. Io con tanto rammarico vidi e sentii quelle trasmissioni della nostra televisione e mi stavo chiedendo come in questo secolo ventesimo del progresso si sia fatta una trasmissione che non era un'indagine sulla parapsicologia, ma era la distruzione della parapsicologia: era un'indagine in un solo senso. Se ci dovevano essere persone che in passato potevano essere ostili alla parapsicologia, secondo la concezione che c'era allora della parapsicologia, dovevamo essere noi. Oggi ci possono essere certe correnti che hanno interesse ad essere ostili alla parapsicologia poiché in fondo la parapsicologia ci fa riscoprire lo spirito o qualche cosa che non è materia, ma non è il caso di dubitare piú sul fatto che esiste un materiale parapsicologico, esistono dei fenomeni. Ce ne saranno tanti che sono frutto di illusione, ma non si possono negare senza distruggere ad un certo momento il valore della testimonianza umana. Il secondo punto su cui non si può dubitare è che questo materiale ha una spiegazione naturale, non c'entra propriamente il bagaglio religioso degli spiriti, dei demoni o dei Santi. Questo non significa che Dio non possa agire, che i demoni, se ci sono, non possano agire, che gli angeli, se ci sono, non possano agire. Però questo intervento del preternaturale, per affermarlo, va dimostrato nel caso singolo, non si può portare come ipotesi. Il terzo punto sul quale si stanno adesso adoprando studiosi e filosofi è quale spiegazione dare a questi fenomeni che ci attanagliano, perché impegnano la stessa nostra vita esistenziale. Mi sembra di non errare se dico che spiegazioni vere e proprie oggi non esistono: c'è un orientamento che ormai è ammesso un po' da tutti. Il divino, lo spirito, è sempre naturale: questo essere spirituale che abbiamo dentro di noi - e nel dire questo mi riferisco ad una frase detta da S. Tommaso nel tredicesimo secolo - questa anima che è imprigionata dentro questo corpo materiale, in certe situazioni può venirsi a trovare quasi indipendente dal corpo, ed è proprio questo stadio eccezionale di quasi indipendenza dal corpo che starebbe a dimostrare la fenomenologia parapsicologica. Ecco, ci tenevo a fare questa precisazione come teologo e sacerdote che ha anche studiato parapsicologia e per concludere poi che tutti quanti noi qui presenti dobbiamo augurarci che la parapsicologia progredisca. Per me è una scienza fra le píú importanti, perché tra l'altro è quella scienza che piú di ogni altra serve a rendere piú puro il fenomeno religioso, straordinario, il cosiddetto miracolo. Non è che la parapsicologia distruggerà il miracolo, ma metterà in luce il vero miracolo, ci servirà per provare meglio quello che è il divino, quello che veramente proviene da Dio. Dott. Gilberto Campani - Architetto, assistente alla Facoltà di Architettura nell'Università di

Firenze. Il prof. Giulio Cogni, nel suo brillante intervento, ha soprattutto messo in evidenza come l'insegnamento che il volume « Oltre l'illusione » ci porge abbia un aspetto di avvicinamento e di parallelismo con le dottrine orientali. Io posso dire che ciò che mi affascina maggiormente è la logica con cui vengono dati questi insegnamenti, una logica che non avevo trovato in nessuna filosofia che parlava del trascendente, e la possibilità di armonizzare nella mia vita l'impegno culturale e politico con questo tipo di insegnamento che ha rappresentato per me la possibilità di

vivere in maniera coerente alle mie idee. Cioè senza avere quella grossa crisi che si vede nella gioventú di oggi, la crisi degli ideali, la crisi del non sapere dove si va a finire, la crisi della distruzione di un vecchio mondo senza peraltro avere le basi per costruirne uno migliore. Una delle domande che io rivolsi una volta durante una seduta fu proprio se nella storia della società aveva avuto piú importanza Marx o S. Francesco. Ricordo che allora la risposta « S. Francesco », mi colpí molto. Ora ho capito un po' meglio come una risposta di quel genere, da quel punto di vista, fosse del tutto giustificata. Come appartenente al Cerchio Firenze 77 avrei voluto rispondere alle domande che i presenti hanno rivolto dopo la fine degli interventi, ma effettivamente il problema è abbastanza vasto. Voglio solo specificare che nessuno di noi del Cerchio pensava che questo libro fosse « la rivelazione », ma semplicemente volevamo comunicare, tramite questo volume, alcuni degli stimoli che noi avevamo avuto e che ci avevano sollecitato a fare tutta una serie di riflessioni. Naturalmente la lettura di questo libro è solo uno degli stimoli possibili: c'è l'interesse per la filosofia in genere, per le filosofie orientali in particolare, c'è l'etica e ci sono le religioni. Con questo libro, che è la raccolta di scritti a noi pervenuti in forma medianica, noi non vogliamo dimostrare niente, vogliamo solo dare la possibilità a chi interessa questo argomento di ricevere la stessa spinta interiore che a noi ha dato degli effetti positivi e che ci ha permesso di vedere certi problemi da un punto di vista diverso da quello che fino ad allora avevamo avuto. I problemi che alcuni degli intervenuti hanno sollevato sono problemi talmente ampi, problemi che fanno parte della storia dell'uomo, per cui sarebbe veramente incredibile che un libro, o una qualunque comunicazione, potesse dare improvvisamente l'illuminazione della coscienza, se non si arriva al concetto di illuminazione divina, di liberazione, tipo miracolo. Ad alcuni di noi questi messaggi, qualunque ne sia la provenienza, sono serviti a darci una piú ampia visione dei problemi esistenziali: noi con umiltà abbiamo pensato che potessero interessare anche altri. Io sono stato colpito dalla logica degli insegnamenti, altri hanno sottolineato l'aspetto estetico letterario, altri ancora hanno apprezzato certe sottolineature mistiche; questi stimoli sono diversi, come sono diversi tutti gli stimoli ai quali l'uomo è sottoposto. Ecco, per noi la spinta ad una ricerca di valori che vanno scomparendo ci è venuta dagli argo menti riportati in questo libro; lungi da noi la volontà di dimostrare qualcosa di irreversibile, di certo e di assoluto. Per noi è stato utile e se lo sarà anche per una sola delle persone qua riunite, il volume ha assolto il suo compito. PRESENTAZIONE DEL LIBRO « DAI MONDI INVISIBILI >> AVVENUTA A FIRENZE IL 16 GENNAIO 1980 NELLA SEDE DELL'ASSOCIAZIONE CULTURALE « IL LICEUM ». - Dott. Margherita Maino - Presidente della sezione « Letteratura » dell'Associazione Culturale

« Il Liceum ». Il tema che sarà trattato in questa nostra riunione è la parapsicologia, portata in argomento da un libro che l'avv. Giorgio Saviane ci presenterà. Il libro è « Dai mondi invisibili - Incontri e colloqui. » edito dalle Edizioni Medíterranee e curato da un gruppo di amici che si è fatto chiamare Cerchio Firenze 77.

La parapsicologia è un argomento che ha appassionato fino dai tempi antichi, ma specialmente in questo secolo ha avuto un grandissimo sviluppo. In molti paesi del mondo è già considerata una scienza e anche in Italia, in alcune Università, vi è già una cattedra di parapsicologia. Il giudizio quindi da questo punto di vista è alla scienza: ma il libro è scritto in modo chiaro, nitido, piacevole ed è quindi un'opera letteraria. E poi non narra soltanto, sia pure obiettivamente, fatti avvenuti, ma ci arreca un messaggio di amore fraterno e ci vuole insegnare qualcosa. Cerca di insegnarci come arrivare, attraverso alla conoscenza di tutto ciò che ci circonda, a penetrare in noi stessi, a giungere a quel segreto di verità, dono sublime, che Iddio ha messo nell'anima di ciascuno di noi e che non può essere conquistato che personalmente da ciascuno. Ma questa conferenza ci aiuterà, quindi ringraziamo l'avv. Giorgio Saviane e tutti i presenti che cosí numerosi sono qui intervenuti.

Giorgio Saviane - Avvocato, scrittore, autore fra l'altro dei libri « Il mare verticale »,

«Eutanasia di un amore ». lo sono capitato al Cerchio Firenze 77 non casualmente, ma spinto dalla necessità - allora era una necessità vorrei dire inconsapevole - di comunicare con qualcuno dell'aldilà perché nel 1949 avevo avuto un incidente automobilistico ed era morta la mia compagna. Non soltanto a Firenze cercaí questo colloquio, ma in tutta Italia e ogni volta ho avuto delle delusioni. Le maggiori erano proprio quando trovavo i medium che mi facevano parlare con la scomparsa, perché subito capivo che era un trucco E tuttavia ero cosí preparato psicologicamente e cosí invogliato che certamente ero piú disponibile ad accettare il colloquio che a rifiutarlo. Di circolo in circolo, capitai una bella sera al Cerchio Firenze 77, mi pare portato dall'allora maestro del coro del Teatro Comunale. E lí, fin dall'inizio, fu tutto diverso: mi si rispose concisamente che se cercavo dei colloqui con una persona precisa, non era quello il centro a cui rivolgermi, perché nel Cer chío Firenze 77 le entità non venivano chiamate specificatamente, ma si presentavano quelle entità che erano disponibili. La cosa subito mi piacque, soprattutto perché si sentiva che il trucco era assolutamente declinato. La prima sera che intervenni non ci fu la seduta spiritica, anzi mi fu detto che alla seduta spiritica avrei dovuto essere prima preparato da colloqui con i componenti il Cerchio. Frequentai allora questo gruppo di persone e sempre ebbi l'impressione che si faceva sul serio. Poi una sera improvvisamente avvenne la seduta e da quella si avviò un vero colloquio tra me e l'entità che parlava, ma non assolutamente con la persona che cercavo. Mi ricordo l'impressione che ne trassi, era una comunicazione di alta moralità e soprattutto fui colpito dalla bellezza dell'eloquio che non si poteva attribuire al carissimo medium, allora giovanissimo, perché parlare in quel modo forbito per tanto tempo sarebbe stato impossibile anche per un grande professore di università. E lí non c'erano mai solo ipotesi, ma sempre interventi precisi, scientificamente precisi e soprattutto improvvisati, perché chi faceva le domande ero io e certamente le domande, pur riflettendo la mia disponibilità, riflettevano anche il mio temperamento critico, un temperamento che aveva bocciato tutte le altre sedute spiritiche e che non era disponibile ad essere indulgente nei confronti del Cerchio Firenze 77. Poi continuai a frequentare questo Cerchio: fui anche autorizzato ad incidere nel registratore qualche seduta. Dopo molti anni i componenti il Cerchio, dalla raccolta di tutte le comunicazioni, trassero un volume al quale fu dato il titolo « Dai mon di invisibili » e di cui le Edizioni Mediterranee curarono l'edizione. Lessi avidamente questo libro che mi impressionò soprattutto per

una teoria che io credevo di avere dentro e della quale avevo scritto, con cenni, anche nei miei romanzi, e cioè la teoria dello psichismo generale. Secondo le entità del Cerchio Firenze 77 noi umani non siamo gli unici portatori dell'anima, ma lo psichismo esiste an che nei minerali, nei vegetali e negli animali. Casualmente quando mi chiesero di presentare questo libro « Dai mondi invísibili », che proprio di questa particolarità tratta, veniva resa nota quella recente scoperta fisica che è la « teoria della relatività complessa » illustrata dal fisico Jean E. Charon in un suo recentissimo libro. Charon cerca di dimostrare - dimostrare teoricamente poiché, come Einstein dice, « è possibile attraverso l'esperimento dimostrare la teoria, ma non è mai possibile dall'esperimento ricavare la teoria » - che lo spirito, o meglio il nostro psichismo, non è depositato in centri del nostro organismo, ma bensí negli elettroni. Questa dimostrazione occupa tutto il libro e quindi io posso fare soltanto un briciolo di narrazione e di dimostrazione, ma la spiegazione mi preme perché è affascinante e se anche non saprò dirvela con esattezza, cercherò di puntualizzare il piú possibile affinché voi possiate ben capire questo rapporto fra la fisica e ciò che il Cerchio Firenze 77 da anni propugna. (L'intervento di Giorgio Saviane mette in evidenza quanto asserisce Charon nel suo libro « Lo spirito, questo sconosciuto » in analogia alle comunicazioni avute nel Cerchio Firenze 77 fino dagli anni 50. Si legge infatti a pag. 230 del libro « Dai mondi invisibili », edito dalle Edizioni Mediterranee e composto riunendo gli insegnamenti delle entità che si manifestano nel Cerchio: « ... nel Cosmo nel quale viviamo tutto quanto esiste non è che una diversa conformazione dello Spirito, base comune di ogni materia, unica e sola e vera materia del Cosmo... Se fissiamo la nostra attenzione sull'elemento chimico acqua, constatiamo che è sostanzialmente e strutturalmente identico sia che si trovi allo stato gassoso che a quello liquido o solido. Cosí è di ciò che ,”compone” materialmente il Cosmo: alla radice, sostanzialmente e strutturalmente è sempre lo Spirito »). Cioè lo spirito non è piú visto in antitesi alla materia e nemmeno come un prodotto della materia, ma esiste come un qualcosa che occupa degli spazi tra la materia. Per afferrare la teoria di Charon basta pensare che all'interno dell'elettrone e delle particelle elementari che compongono anche il nostro corpo, c'è lo spirito. Lo spirito è eterno, perciò l'elettrone, portatore dello spirito, è eterno e la sua informazione cresce sempre. Ma come avviene questa informazione? Come fa l'elettrone a comunicare con gli altri elettroni, non solo all'interno di noi stessi, ma con tutti gli elettroni dell'universo? Bene, si è capito che questo è un fenomeno telepatico: cioè quel fenomeno telepatico che noi abbiamo sempre studiato come un'eccezione, è invece la norma. t addirittura la norma dell'informazione, perché non ci sarebbe informazione senza la telepatia tra gli elettroni. Quindi il fenomeno telepatico è il mezzo piú usuale di comunicazione per la materia e per lo spirito. E' importante capire come avviene questo processo telepatico, perché viene detto che è un processo d'amore, badate bene, d'amore. E questo non lo dico io, scrittore di romanzi, lo dicono i fisici e dicono che la forza eccitante a comunicare tra due elettroni, e cioè a superare la divisione spaziale, è l'amore. Se quindi è la telepatia l'informazione generica, quando noi abbiamo un medium, non facciamo altro che giudicare eccezionale una forza che invece è l'elemento principale dell'informazione. Ecco che a questo punto interviene la parapsicologia o lo spiritismo, o per lo meno interviene una analogia, Quando un medium ci riferisce sull'aldilà, noi possiamo dubitare di questo aldilà, ma non possiamo assolutamente giudicare extrasensoriale questa comunicazione o classificarla eccezionale.

Nel Cerchio Firenze 77 dicono: « No, se tu vuoi chiamare la tale persona, noi non possiamo assicurarti di poterlo fare. però se tu vuoi comunicare con l'aldilà in maniera seria, tu puoi accedere al nostro Cerchio e trovare un'informazione che certamente ti aiuterà non soltanto a vivere, ma anche a sperare nel l'eternità ». Ed ecco quello che il Cerchio Firenze 77 mi ha dato, perché quando io ho cominciato ad assistere a queste sedute spiritiche ed a leggere quei libri, non avevo la preparazione, pur modesta, che ho adesso. E trovare che certe mie intuizioni corrispondevano esattamente alle dottrine fisiche moderne, è stato per me estremamente stimolante. Queste teorie scientifiche nominano continuamente poeti e perfino Pasteur che avrebbe, in una intuizione meravigliosa, capito questa formazione dell'universo e questa sicurezza dell'aldilà, Cioè, mentre le teorie religiose ci hanno sempre promesso l'eternità senza potercela dimostrare, e questo perché era impossibile farlo a quel momento dell'informazione, noi ora sappiamo con certezza che l'eternità esiste, esiste nell'eternità dello spirito depositato negli elettroni che sono eterni. Quindi, quando il medium del Cerchio fa il mediatore fra l'aldilà e noi, per me fa il mediatore fra i suoi elettroni e gli elettroni degli scomparsi. Potrebbe il medium fare il mediatore anche tra elettroni di persone viventi lontane o presenti perché la telepatia si esercita indipendentemente dalla vicinanza; è assolutamente per simpatia o per amore che avviene la telepatia. Cioè quei principi di altruismo che tutte le religioni ci hanno insegnato, ma in particolare Gesù Cristo, sono proprio fondati su questa nostra necessità di carne di essere per gli altri, perché solo attraverso questa possibilità di essere per gli altri noi possiamo conquistare la comunicazione. E quindi il medium - ecco perché il Cerchio Firenze 77 rispetto a tanti altri si diversifica - non può che essere disinteressato e non può che svolgere questo lavoro per una missione: solo allora è medium, perché anche quei medium che lo sono stati in realtà e che poi continuano a farlo per trucco, questi hanno dimenticato l'amore. E senza l'amore non c'è comunicazione telepatica. Queste sembrano semplici affermazioni, ma sono invece conquiste che derivano dalla teoria della relatività speciale e dalla teoria della relatività generale su cui si è innestata questa teoria della « relatività complessa ». Quando noi pensiamo al sorgere dell'amore per simpatia, al sorgere della poesia dell'amore, come un qualcosa di predestinato, come un incontro che non era soltanto casuale, noi troviamo qui dimostrato che quando due persone si incontrano e si amano, non è il caso che le ha fatte incontrare, ma è perché la loro carica di simpatia elettronica è quella che li spinge ad essere l'uno per l'altro. E quanto piú questo amore interviene, tanto più vi è comunicazione. Non c'è comunicazione genuina di un medium che non parli della missione dell'uomo nei confronti dell'altro; sempre c'è questo « altro ». E badate bene che « l'altro » non è soltanto l'altro individuo, ma è anche l'altro elettrone. Cioè l'elettrone con l'elettrone costituisce già un principio di dedizione altruistica, perché solo attraverso questa dedizione, questa simpatia e questo amore si può costruire l'informazione che cresce sempre. Il punto essenziale è questo: che il nostro « io » (inteso come coscienza e come conoscenza secondo il Cerchio 77) cresce sempre. E qui veniamo all'ultima delle cose toccate dal Cerchio Firenze 77, che è la « reincarnazione ». Anche questa è dimostrata dal fisico moderno, non con la semplicità o con quella miticità delle religioni orientali o delle comunicazioni del Cerchio, ma indubbiamente dimostra che il nostro « io » viene da molto lontano. Se il nostro spirito è negli elettroni, quando noi moriamo gli elettroni rimangono con tutta la carica informante che è diventata informazione. Ed è proprio da questi elettroni che il medium ricava i messaggi; certamente piú l'informazione è ricca e più i messaggi si avvicineranno alla Verità. E quindi, non messaggi di Verità, ma di parziale

Verità, gradini di Verità: d'altra parte, diceva un grande, chi vuol possedere tutta la Verità è colui che della Verità non conosce assolutamente niente. Basta dare uno sguardo alla fisica e alla filosofia per vedere come tante proclamate Verità siano poi state smentite. Mi è particolarmente grato testimoniare che il Cerchio Firenze 77 è stato, quanto meno per me, un'avventura di precognizione: cioè io ho avuto dal Cerchio un'informazione di carattere sentimentale che poi ho ritrovato nella scienza dei nostri giorni. E mi è gradito confermare come questo Cerchio Firenze 77 non ha fatto altro che farsi plasmare dall'elettrone d'amore, cerchio d'amore, Ed io nel Cerchio 77 ho sempre trovato amore, simpatia, sempre accolto con le braccia aperte. Mi ricordo una volta che un mio amico filosofante, di quelli cioè che si credono filosofi e non lo sono, intervenuto polemicamente a dissuadere me in presenza dei componenti del Cerchio 77, non ha trovato in essi quella risposta spregiativa che forse si meritava, ma sempre, anche allora, un'informazione d'amore: quell'amore che permette al medium di comunicare con gli elettroni degli scomparsi. Avv. Francesco Dal Pozzo D'Annone. Io sono del tutto impreparato a prendere la parola e quindi sarò di forza brevissimo. Anzitutto credo sia doveroso ringraziare, a nome di tutti gli amici del Cerchio Firenze 77, l'avvocato Saviane che cosí bene e con tanta concisione ha inquadrato alcuni punti fondamentali della esperienza che nel libro « Dai mondi invisibili » è condensata. Volevo solo riportare il Cerchio 77 alle sue dimensioni: ho l'impressione che la presentazione dell'avvocato Saviane ci faccia fare forse una figura piú bella di quella che meritiamo, nel senso che il Cerchio 77 non è, come qualcuno dalla terminologia cosí scientifica dell'avvocato può avere inteso, una specie di circolo di alti studi di elettronica o di fisica nucleare, e non è neppure un centro di santoni o di veggenti o di persone comunque al di là della norma in un senso e nell'altro. E' un cerchio di amici che molto normalmente da decine di anni si riunisce, un cerchio neppure definibile con estremo rigore nei suoi contorni perché ci sono amici che sono venuti e sono andati via, altri che sono lí da sempre: tanta gente è passata dal Cerchio 77 e tanta si è fermata. Un gruppo di amici in movimento, diciamo. Qual è il significato, mi premeva dire, del Cerchio Firenze 77 nei confronti della parapsicologia? Questo come chiarimento preliminare, visto che l'apertura di questa riunione è stata improntata alla luce di una lettura di parapsicologia. Ecco vorrei precisare questo, che il Cerchio Firenze 77 non si pone esattamente nell'orbita della scienza parapsicologica, nel senso che la parapsicologia, benché sia ampiamente riconosciuta anche a livello universitario, subisce continuamente un duplice attacco. E cioè dalla scienza in senso stretto e dalla filosofia in senso stretto. Perché questi attacchi? E' abbastanza semplice, mi sembra, perché se per scienza intendiamo in senso galileiano la conoscenza che dà all'uomo il dominio sulla natura, la parapsicologia non è riuscita a far progredire il dominio dell'uomo sulla natura di un solo pollice. Questo non toglie che ci siano numerosissimi fenomeni di parapsicologia, però, purtroppo, per loro natura non esattamente prevedibili, programmabili, sfruttabili ai fini del dominio sulla natura. Inoltre la parapsicologia è attaccata da parte della filosofia, perché se per filosofia intendiamo una visione globale del mondo, oggi la parapsicologia non ha fornito ancora nessuna concezione generale del mondo, non ha fornito alcuna filosofia. Quindi la parapsicologia si trova in difficoltà perché non è né scienza per gli scienziati, né filosofia per i filosofi. Questo non, vuol essere un attacco alla parapsicologia, ma vuole essere una premessa per una migliore colorazione del Cerchio Firenze 77. A mio avviso la parapsicologia è in crisi soprattutto

perché si muove nell'ambito del puro fenomeno. Cioè il parapsicologo analizza il vaso che si alza da solo, la voce che si sente venire dal nulla, il fenomeno X, il fenomeno Y, lo misura, lo quantifica, va a fotografarlo, ma poi rimane lì. Ma dietro questo fenomeno c'è dell'altro: c'è una visuale di tipo spirituale che il parapsicologo, in quanto scienziato, non affronta e della quale spesso e volentieri si disinteressa. Dice: « A me il problema spirituale, il problema di ciò da cui può provenire questo fenomeno, non mi interessa perché non lo posso dimostrare nel senso rigoroso; io posso dimostrare che questa bottiglia si è alzata da cosí a cosí grazie ad un certo medium, grazie ad un certo tipo di esperimento ». Ecco, il parapsicologo, facendo questo, rimane tagliato fuori da tutto quello che invece è la parte piú importante, diciamo, dell'iceberg che sta sotto la punta del fenomeno: il fenomeno è la punta di un iceberg: il resto appartiene, secondo le esperienze del Cerchio Firenze 77, al mondo dello spirito che cosí bene l'avvocato Saviane ha prima illustrato nelle sue tematiche piú moderne e piú scientifiche. Ora quello che al Cerchio Firenze 77 si fa è di tipo parapsicologico nel senso che fenomeni ci sono, vengono rilevati, documentati, studiati, analizzati, però c'è anche un insegnamento di tipo spirituale. E' un insegnamento che procede lungo due direttrici parallele, direi quasi offerte agli amici che vi accedono secondo la scelta dei propri temperamenti; una direttrice di tipo filosofico, molto personale, molto razionale, molto stringente. Una direttrice di tipo mistico per coloro che hanno una sensibilità di carattere piú intuitivo, di carattere piú poetico nel senso largo dei problemi spirituali. E questo duplice binario di insegnamento è quello che piú fondamentalmente costituisce l'esperienza del Cerchio Firenze 77. Questo io tenevo a sottolineare in aggiunta a quanto l'avvocato Saviane ha detto, perché non si potesse credere che noi fossimo degli strani individui espertissimi entro i campi della fisica o addentro ai segreti misteri dello spirito. Noi siamo delle persone che assistono da anni, e certi amici da assai piú tempo di me, a due tipi di comunicazioni medianiche, che hanno un aspetto fenomenico, e qui siamo nel campo della parapsicologia vera e propria, e un aspetto filosofico, mistico e religioso. Dott. Alfredo Ferraro - Fisico, ex funzionario della RAI, scrittore, autore, fra l'altro, dei libri «

Spiritismo, illusione o realtà? » e « L'identificazione spiritica ». Io ho seguito con interesse tutta la parte filosofica, trascendente, delle manifestazioni del Cerchio Firenze 77, ma quello che ho acquisito, ed è estremamente importante, me lo sono tenuto per me. Cosí, apparentemente, mi sono interessato di piú ai fenomeni fisici, e di questo ho scritto piú volte nei miei articoli. I parapsicologi sostengono che i fenomeni fisici, per essere creduti, devono essere dimostrati: ed hanno perfettamente ragione. lo non posso pretendere che altri credano a quello che ho visto io. Cosí, nell'intento di trovare una risposta o per lo meno un elemento che convincesse queste persone che sono contrarie a credere alla realtà di questi fenomeni, abbiamo fatto delle esperienze all'Università di Genova insieme al prof. Guanti, dell'istituto di chimica organica, e a padre Eugenio Ferrarotti, che è qua presente. Nel corso di queste manifestazioni del Cerchio Firenze 77 si ha un fenomeno fisico che è acquisito possa esistere, ma che è estremamente raro. Il fenomeno di apporto. Ebbene, in seno a questo Cerchio è sempre avvenuto in modo metodico; almeno da quando io assisto a queste sedute, non vi

è stata seduta senza un apporto e siccome in qualche seduta c'è piú di un apporto, il numero degli apporti è senz'altro superiore alle sedute avvenute in questi ultimi anni. Un fenomeno che è concomitante con quello dell'apporto è quello per cui l'oggetto si forma nelle mani del medium che diventano luminescenti ed emettono un vapore biancastro. Lo scopo che ci siamo prefissi è stato quello di cercare se è possibile, in via sperimentale, realizzare questo fenomeno con il trucco e lo abbiamo fatto a Genova, a livello universitario. Ci siamo accorti che mescolando due soluzioni (segue descrizione in termini tecnici) con acqua ossigenata, nitrato di sodio e di metilsalato, si riesce ad avere una luminescenza simile a quella che si caratterizza in queste manifestazioni medianiche. Però cosa succede? Io devo preparare due soluzioni piuttosto complesse e piuttosto difficili da trovare per quanto riguarda i componenti, mescolarle: improvvisamente questa miscela delle due soluzioni diventa luminosa, una luminescenza che dura cinque ore e che non può essere interrotta in nessun altro modo. Nel corso di questi fenomeni invece la luminescenza incomincia lentamente sulla punta delle dita del medium, si estende lungo le falangi, raggiunge il palmo della mano ed in questa massa luminosa si forma l'oggetto dell'apporto. Io ho potuto seguire l'estrinsecarsi di questi fenomeni molto da vicino, perché mi è stato gentilmente concesso di sedere sempre alla destra del medium e sono certo, anche se le modalità sono state diverse di volta in volta, che questi oggetti si formano nelle mani del medium e una volta sono stato protagonista di un fatto eccezionale: un oggetto si è materializzato a luce accesa, mentre io ero solo con il medium. Di tutto questo ho ampiamente parlato nel mio libro « Spiritismo, illusione o realtà? » e nel libro « Dai mondi invisibili ». Ora questa manifestazione riprodotta in laboratorio è assolutamente impossibile da ottenere per quanto riguarda l'inizio e la fine del fenomeno (la luminescenza cessa subito dopo la fine della seduta), ma anche per la concomitanza di emissione di vapori che si potrebbe ottenere soltanto con delle sostanze altamente corrosive che poi devono essere rimosse dalle mani con un lavaggio prolungato in quanto lascerebbero dei residui considerevoli. Quando noi accendiamo la luce le mani del medium sono perfettamente pulite e asciutte e non gli è stato certo possibile rimuovere quelle sostanze con un lavaggio. Inoltre i fumi emessi sarebbero estremamente tossici, quindi se si volesse fare con il trucco un fenomeno simile, non sarebbe assolutamente possibile farlo in un salotto. Questo fenomeno della luminescenza ha anche un altro aspetto: delle punte luminose come piccole lucciole che rimangono anche a luce parzialmente accesa, non solo nelle mani del medium ma anche nelle mani di coloro che sono venuti a contatto con lui nel corso del fenomeno. Io stesso ho esperimentato e sono rimasti nelle mie mani dei piccoli punti luminosi che si accendevano e si spegnevano. Cosí, con il prof. Guanti si è concluso che non è assolutamente possibile con i mezzi correnti di laboratorio ottenere queste manifestazioni: egli si è poi consultato con alcuni colleghi specialisti in chimica organica durante un congresso internazionale negli Stati Uniti e gli è stata confermata la sua deduzione. Io non sono uno scienziato, non sono un parapsicologo, sono solo un appassionato: ho cercato di costruire in laboratorio questo fenomeno e non ci sono riuscito. Un valido fisico che ha presenziato alle sedute ed ha sentito formarsi un oggetto fra la sua mano e quella del medium, ha detto: « lo sono sicurissimo della realtà del fenomeno, ma come posso parlarne? Come posso scriverne? Come posso dire "ho sentito"? Mi dicono: "dimostralo" ed io non lo posso dimostrare ». Io non voglio spezzare una lancia a favore di quelli che seguono il « pierangelismo », ma è logico che gli scienziati e i parapsicologi siano cauti. lo posso parlare di queste cose perché non sono un cattedratico, non sono un parapsicologo, non ho interessi particolari da difendere. Ma ritengo che

anche l'apporto degli avvocati del diavolo non sia sempre negativo, perché purtroppo quello che rovina in questo campo non sono solo i vari Piero Angela, ma anche quelli che credono troppo, si illudono troppo e si esaltano troppo. Il caso del Cerchio Firenze 77 è, sotto molto aspetti, un caso assai raro e tanto ci sarebbe ancora da dire in merito ai fatti di cui il Cerchio è palestra, compresa l'essenza degli insegnamenti i cui contenuti, si creda o non si creda nella relativa natura trascendentale, non possono contribuire se non positivamente alla elevazione spirituale di chiunque ne faccia con umiltà tesoro. La scienza sa di questi fatti che in buona parte giustifica, probabilmente a ragione, senza pretendere l'intervento dei defunti. Ma molti validi studiosi sono attentamente appostati per cercare di dare una risposta a quei fatti irriconducibili a criteri oggettivi che la scienza, che soltanto su realtà positive può speculare, giustificatamente ignora. Riusciranno a darci questa risposta? Può essere, a meno che non valga ciò che William James e Ciryil Burt hanno sospettato: « Confesso che a volte sono tentato di credere in una irrevocabile decisione del Creatore, affinché questo aspetto della natura resti elusivo ». Padre Eugenio Ferrarotti - Congregazione dell'Oratorio di Genova. Io non pensavo di poter parlare, ma sono lieto di farlo. Mentre ascoltavo l'avv. Saviane e il mio amico dott. Ferrato, ringraziavo il Signore perché in questi tempi in cui sembra che la fede scarseggi, Egli adopera mille altri itinerari per convincere questi benedetti uomini che l'aldilà c'è e l'eternità esiste. Questo è il mio pensiero, perché secondo il mio modesto parere i messaggi del Cerchio Firenze 77 hanno proprio questa finalità, di dare sempre piú profonda convinzione che noi qui sulla terra siamo di passaggio, che Dio ci ama e vuole che noi arriviamo di là un po' meglio preparati. Circa la conferenza dell'avv. Saviane ritengo molto importante la teoria della relatività complessa di Charon, teoria che afferma come lo spirito sia presente anche nell'involucro degli elettroni, poiché significa che lo spirito informa anche tutta la materia che compone i nostri corpi fisici. Io non sono in grado di fare discussioni su questa teoria, ma trovo molto significativo che anche la scienza affermi che lo spirito esiste, perché lo spirito va curato e Dio non ha soltanto il predicatore, non ha soltanto i sacerdoti per formare gli spiriti buoni ed eletti, per indicarci come deve essere la nostra vita terrena. Egli usa di tante creature buone, elette dalla Sua divina Provvidenza, anche solo di un Cerchio che si allarga come le onde di un lago quando si butta un sassolino, perché il bene è diffusivo. E in fase scientifica mi è piaciuto il fatto che questi elettroni comunicano telepaticamente, ma che per questa comunicazione sia assolutamente necessario, come filo conduttore, l'AMORE! proprio cosí. Fui presente inaspettatamente ad una seduta spiritica, o medianica come si vuol dire, al Cerchio Firenze 77. Come sacerdote non ero alle prime armi: mi sono trovato in una atmosfera retta, religiosa, piú che religiosa direi mistica, dove non potevo riscontrare un qualcosa che desse disagio al mio spirito 'sacerdotale. E dire che ero entrato, devo confessare, non dico con dei preconcetti, ma con un senso di spirito critico perché, come diceva Ferraro, è bene non essere dei creduloni. Una volta l'autorità religiosa indicava queste riunioni come pericolosissime ed io non posso dire che non lo siano: bisogna essere preparati, bisogna che l'ambiente sia retto, soprattutto nelle intenzioni, che

le persone siano buone, che non si tratti di allucinazioni, accertarsi che non vi sia trucco. Un tempo si diceva: « Per carità, lí può esserci lo spirito demoniaco! ». Ebbene, vi assicuro che nel Cerchio Firenze 77, nelle comunicazioni, ho sentito soltanto l'aura spirituale dei Santi: d'altra parte se voi leggerete i messaggi che sono stati riportati nei libri di cui si è parlato stasera, voi avrete un'idea personale dell'altezza, della dignità, della sublimità di certe pagine. Ma il Signore ha voluto darmi ancora una prova tangibile: non pensavo di essere, tra i tanti presenti, il prescelto per un apporto. Ad un certo momento, mentre il medium era in profonda trance, egli mi chiama per nome: io credo che nessuno dei presenti sapesse chi era quell'Eugenio, né che il medium conoscesse il mio nome di battesimo. lo mi avvicino: mi sono accostato proprio con lo sguardo molto vigile e molto attento a quello che stava succedendo. Egli lascia cadere nelle mie mani una sorta di magma fluorescente, una colonnina della grandezza di un mignolo con in più una goccia luminosa al termine. Ho proprio visto colare questo magma nelle mie mani, ho chiuso le palme e le ho tenute cosí fino alla fine della seduta. Ogni tanto sbirciavo dentro, ma poco poco: quando terminò la seduta, con mia grande sorpresa, ma con una gioia che non vi posso descrivere, perché l'apporto era già una grande cosa, ma quello che raffigurava a me diceva tante cose che mi confermavano la veridicità di tanti fenomeni che circolano intorno alla mia persona. Comunque guardo... era un angioletto sbalzato in argento. Ora questo angioletto si è formato nelle mie mani, la fluorescenza di cui parlava il dott. Ferraro era pure nelle mie mani, quello scintillio di punte luminose è partito dalle mie mani per piú minuti: veniva da tutti i pori, cosí com'era nelle mani del medium. Ora la scienza potrà anche spiegare, e ce lo auguriamo, questi fenomeni, però io concludo dicendo che la scienza ne saprà sempre molto meno di chi è Onnipotente e Onnisciente. E non è detto che la scienza, anche alla fine dei secoli, potrà conoscere o arriverà a spiegare tutte le leggi di questo immenso Universo che è stato creato dall'AMORE di un Dio Infinito. N.B. - Tutti gli interventi sono stati letteralmente trascritti dalle registrazioni delle conferenze.