buon compleanno malcom - david whitehouse - estratto

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I primi capitoli del nuovo Special Book Isbn

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David Whitehouse è nato nel 1981 e vive a Londra. I suoi articoli sono apparsi su The Guardian, The Inde-pendent, Esquire e Time Out. Il suo cortometraggio The Archivist è stato prodotto dalla bbc. Buon compleanno Malcolm è il suo romanzo d’esordio e ha vinto la prima edizione del To Hell with Prizes per la narrativa inedita.

© Karolina Webb

DavID WhItehouse

Buon compleanno Malcolm

Romanzo

Traduzione valentina Zaffagnini

special books | isbn edizioni

Isbn edizionivia sirtori, 420129 Milano

Presidente: Luca FormentonDirezione editoriale: Massimo Coppolaeditor: Mario BonaldiRedazione: antonio Benforte, Linda FavaDiritti e redazione: sara sedehiComunicazione: valentina Ferrara, Giulia osnaghiGrafica: alice Beniero

Copyright © David Whitehouse, 2011

First published in Great Britain in 2011 by Canongate Books Ltd, 14 high street, edinburgh eh1 1te

© Isbn edizioni s.r.l., Milano 2011

titolo originale: Bed

A mamma e papà. E a Rebecca.

1

Quando dorme sembra un maiale che fruga tra il fo-gliame a caccia di tartufi. Non è russare, piuttosto il rantolo di un moribondo. Ma a parte questo è una mattina tranquilla, la mattina del giorno numero quattromilasettecentottantatré, secondo il display alla parete.

La quiete è interrotta soltanto dal rumore di un cor-vo che si schianta contro la porta della veranda. Il fra-casso colossale non sveglia Mal, che continua a emet-tere grugniti eccezionali dagli abissi del torace. si propagano nelle mie orecchie come gli impulsi sonar con cui delfini e sottomarini comunicano tra loro.

Mal pesava seicento chili, avevano stimato. È un bel po’. È più di mezza tonnellata. Certe fotografie che si vedono di balene spiaggiate ed esplose, sventrate dai gas accumulati al loro interno, lo spesso strato di grasso che ricopre la sabbia: quello è Mal. si è ingros-sato e gonfiato sul letto, due matrimoniali king size e un singolo uniti insieme. si è espanso così tanto dal

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nucleo del suo scheletro che ora è un’enorme trapun-ta di carne.

Ci ha messo vent’anni a diventare così. La pelle non è nemmeno più del suo colore. Picchiettato di capilla-ri esplosi, è una confezione di salsiccia grande quan-to un camion, avviluppata in una calzamaglia da due soldi. Il grasso ne ha rivendicato gli alluci e le unghie, i capezzoli si sono tesi fino a diventare come il palmo di una mano femminile e solo qualcosa di così ostina-to come una briciola di biscotto potrebbe insinuarsi tra le pieghe della sua pancia. ormai devono esserce-ne abbastanza per un pacchetto intero, lì in mezzo. In vent’anni Mal è diventato un pianeta con i suoi terri-tori inesplorati. Noi eravamo i satelliti, catturati nel-la sua orbita, Lou e mamma e papà e io.

sono a letto accanto a lui, ascolto i poderosi colpi di clacson che emettono i suoi polmoni mentre fanno del loro meglio per strombazzare un altro po’ d’aria dalla bocca. soltanto quel sordo, costante ronzio, co-me avere le orecchie piene zeppe di pane bagnato.

ogni sollevamento del suo torace scatena un fre-mito sismico in tutta la stanza. Le increspature della pinguedine propagano onde nella pozza del suo cor-po. Io le cavalco, senza altro da fare se non volgere il mio sguardo oltre la distesa di carne di Mal, l’enorme tomba enfiata che ha imprigionato mio fratello, fino al giardino dove guardo il corvo imbrattare il vetro. Forse aveva visto Mal mentre passava in volo e lo ave-va scambiato per un’enorme zuppa inglese.

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vent’anni a letto. La morte di Mal è l’unica cosa che può salvare questa famiglia, perché la sua vita l’ha di-strutta. ed eccomi qui, alla fine, a dividere la stanza con lui. La stanza in cui tutto è cominciato. o alme-no una sua parte.

una volta papà mi disse: «amare qualcuno è guar-darlo morire».

2

Nel minuscolo soggiorno di un bed&breakfast sul-la costa stavamo dando spettacolo. L’anziana signora che aveva portato le nostre ciotole di cornflakes dalla cucina aveva una pelle sottile, giallognola. sembrava intessuta di fumo di sigaretta. Piuttosto che incontra-re lo sguardo di mia madre, cambiò di posto ad alcuni cuscini che aveva già spostato e fece finta di aver rove-sciato un’invisibile goccia di tè leggerissimo sul cen-trino della credenza.

Quella mattina Mal mi aveva svegliato mentre liti-gava con la mamma sulla soglia della stanza che divi-devamo. era nudo, ma non ne era imbarazzato come gli altri ragazzini della sua età. a volte non si vesti-va per giorni. Papà diceva «Cristo, Malcolm, metti-ti qualcosa addosso, cazzo». Mal non rispondeva, ma la mamma diceva che non importava. La mam-ma. Che ci uccideva con la sua gentilezza. Di tanto in tanto papà afferrava Mal sotto l’ascella e lo trasci-nava in camera, la nostra camera. Lo teneva fermo

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sul letto premendogli una mano sul torace e infilava quelle gambette recalcitranti nei pantaloni della tuta. Mal opponeva resistenza e papà sudava, ordinandogli di restare dov’era finché non avesse smesso di com-portarsi come un «neonato del cazzo». Neanche po-chi istanti e Mal ritornava saltellando, i vestiti buttati sul pavimento. sembrava un pulcino implume, tutto braccia ossute e spigoli.

«ti manca proprio una rotella» brontolava papà.«Per favore tesoro, lascialo stare» sussurrava la

mamma. Mal non faceva nulla che mamma non po-tesse perdonargli. Lei si ergeva tra le sue stravagan-ze e il mondo esterno, persino quando la facevano ar-rossire.

«ecco perché non andiamo in vacanza, dannazione, Malcolm!» urlava lei. «ecco perché è meglio se stiamo a casa. È tutto più semplice, molto più semplice a ca-sa. adesso mettiti qualcosa addosso, perdio, che an-diamo in spiaggia.»

«Non voglio andare in spiaggia» fu la sua laconi-ca risposta.

«allora ti toccherà fare colazione nudo, sei conten-to?» disse la mamma.

stavamo facendo colazione, quindi. senza papà, che era andato «a piazzare una scommessa» aveva detto, anche se probabilmente era una bugia. e Mal era nu-do. e stava seminando cereali sulla tavola. e la mam-ma stava fissando la signora anziana che faceva fin-ta di raddrizzare le tendine. e la famiglia seduta al

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tavolo accanto non aveva aperto bocca davanti alle fo-caccine e al succo d’arancia. Mi chinai verso Mal e sus-surrai: «Perché?».

Lui infilò uno di quei cartoni di latte in bocca e lo fece scoppiare con i denti così il contenuto gli sgoc-ciolò giù lungo il petto, e poi rabbrividì perché il li-quido era gelato come le dita di chi sta costruendo un pupazzo di neve.

Quando papà tornò era ancora paonazzo di rabbia, la stessa sfumatura di un livido sugli stinchi. Lanciò una sola occhiata a Mal, che era intento a mescolare il tè con un fiore del vaso a centro tavola, lo afferrò per il gomito e trascinò il suo corpo nudo e inerte fuori, fino all’automobile.

Mal andò a dormire quasi subito. Dormiva più di chiunque altro conoscessi, ma allora non è che cono-scessi molte persone. Non conoscevo granché nean-che Mal. ascoltai mamma e papà impegnati in una discussione in cui entrambi stavano sostenendo la stessa cosa senza rendersene conto. a quanto pareva, dovevamo pagare il bed&breakfast per l’intera setti-mana anche se eravamo rimasti soltanto due giorni.

Mal non si vestì per due settimane. Non andammo mai alla spiaggia. Non mi importava, era novembre.

3

Papà non lavorava, lui sgobbava. Diceva proprio così. sgobbare sembrava un po’ come lavorare, tranne che era molto più duro e molto meno divertente. anche il suono era sgradevole. sgobbare.

era grande, come un robot, come un mostro, ma si-lenzioso come nessuno dei due. Le mani scolorite, di pelle ispessita che si era deformata e spaccata, guanti di carta stagnola usata, e così quando ci portava a pe-scare io non lo prendevo per mano se non per attra-versare la strada. Quando lo facevo, sentivo che quel-la morsa avrebbe potuto schiacciarmi le dita come se avesse afferrato e frantumato i petali di una rosa es-siccata.

Mal, invece, incastrava la sua mano nel palmo ruvi-do di papà e si lasciava condurre per il sentiero, cin-guettando e dimenandosi come un fagiolo messica-no saltellante.

Papà urlava «sbrigati!» e io seguivo le loro ombre intrecciate lungo il tragitto fino al canale. si infilava

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un verme in bocca, lo lasciava penzolare sotto la lin-gua e faceva una smorfia, l’unico trucchetto del suo repertorio, e Mal ne restava ogni volta affascinato. Io l’avevo già visto una volta, poteva bastare. Poi si met-tevano a parlare, papà che gli riempiva la testa di infi-nite possibilità. suggerimenti, cose da fare e da inven-tare. Ci raccontava del mondo, lo celebrava e catturava la nostra curiosità. Il calcolatore e il fantasista, fat-ti e finzione in armonia tra loro sulla riva scivolosa. odiavo la pesca, era solo una lunga attesa nel fango. Non vedevo l’ora di tornare a casa dalla mamma. era così per tutti, a dire il vero.