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Mons. De Gibergues vescovo di Valence Brevi cenni sulle Opere della Divina Provvidenza fondate da Don Luigi Guanella 20 QUADERNI DI FORMAZIONE Istituto Figlie S. Maria della Provvidenza IN TUA PROVIDENTIA NOSTRA SPES

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Mons. De Giberguesvescovo di Valence

Brevi cenni sulle Operedella Divina Provvidenza

fondateda Don Luigi Guanella

20QUADERNI DI FORMAZIONE

Istituto Figlie S. Maria della Provvidenza

IN TUA PROVIDENTIANOSTRA SPES

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BREVI CENNI SULLE OPEREDELLA DIVINA PROVVIDENZA

FONDATEDA DON LUIGI GUANELLA

20QUADERNI DI FORMAZIONE

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Edizione fuori commercio.

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PREFAZIONE

Ci si domanda, spesso, come siano nate e cresciute lecase della Divina Provvidenza, quali i mezzi di sussisten-za, quali le condizioni per esservi accettati, la topografiadel luogo ove sorgono, la loro capacità, e, siccome moltevolte il rispondere adeguatamente porterebbe per lungo,pensammo pubblicare il presente volumetto che, a quelledomande, dia completa risposta.

Non è operetta originale, ma un rafforzamento di altragià pubblicata a Como, or son tre anni, e già esaurita, eduna collezione delle notizie pubblicate qua e là nel nostroperiodico «La Divina Provvidenza». Siccome i benefattoridelle nostre case aumentano e ben pochi hanno ricevutol’opuscolo e conservato tutti i numeri del periodico, cosìnon sarà discaro né ritenuto inutile se, così alla buona, pre-senteremo quel che si è fatto, quello che si fa, ed anche unaparola su quello che, a Dio piacente e benedicente, si farà.

A chi poi per la prima volta leggerà di questo nuovoramoscello spuntato sul grande albero della carità cristia-na, raccomandiamo benigno compatimento per chi cerca,di tutto cuore, addolcire le altrui miserie, e compatimentoanche per chi, con amore di figlio e devozione di discepo-lo, prende a scrivere del padre e delle opere sue.

Don M C

Milano, la festa di Ognissanti del 1906.

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QUELLO CHE SI È FATTO

NOTE BIOGRAFICHE

L’uomo che Dio volle a istrumento delle opere chevanno prendendo grande sviluppo, non nella sola Lom-bardia ma qua e là sino alle falde del Vaticano, nacque,nel montano paesello di Fraciscio, frazione di Campo-dolcino, in Valle di Chiavenna, da due ottimi contadinibenestanti Lorenzo Guanella e Maria Bianchi, il 19 di-cembre 1842. Luigi Guanella da natura fornito di belledoti di mente e di cuore, che gli procuravano le piùamorevoli cure e sollecitudini dei suoi cari e del parro-co, che ne andava orgoglioso seppe acquistarsi l’amore ela stima dei suoi coetanei e di quanti lo conoscevano oanche solo potevano avvicinarlo.

Fin dalla prima fanciullezza sentiva forte in sé la voca-zione allo stato sacerdotale, e non essendovi luogo alcun adubitarne, per la sua lodevole condotta e per le sue specia-li buone inclinazioni, fu, mediante le buone intromissionidel prevosto don Gaudenzio Bianchi, accettato gratuita-mente nel Collegio Gallio in Como. Chi potrà dire i santitrasporti del suo innocente cuore, chi narrare la gioia diquel giorno fortunato quando il padre, allora lui dodicen-ne, andandogli incontro, mentre egli dalle falde delloStella scendeva con un carico di strame, gli dava la caraaspettata notizia? Oh! la gioia di un giovane cuore chevede l’orizzonte sì ristretto da prima a lui allargarsi, quan-do i suoi più intimi pensieri, le sue più recondite aspirazio-ni incominciano ad avere un principio di compimento!

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A Como, sotto i reverendi Padri Somaschi che reg-gono ancor oggi la munifica fondazione del CardinalGallio, studiò grammatica ed umanità e compì gli studifilosofici nel seminario di S. Abbondio, indi quelli teo-logici nel seminario maggiore, talché il 26 maggio 1866,festa della SS. Trinità, da mons. Frascolla Vescovo diFoggia, esule allora a Como, fu ordinato sacerdote.Mons. Frascolla, tornando alla sua diocesi, voleva con séil nuovo levita dal quale aveva avuto campo, nelle mol-teplici familiari conversazioni con lui tenute, di ammira-re i progetti di grande carità, che, fin d’allora, al giova-ne don Guanella balenavano nella mente. Ma questi,chiamato da Dio a servirlo allora nella propria diocesi,ringraziò il valoroso Vescovo di quella prova di partico-lare affezione, e non volle seguirlo.

Venne mandato, per pochi mesi, canonico teologonella Collegiata di Prosto, in quel di Chiavenna, poieconomo spirituale a Savogno, parrocchia poco discostada Prosto, dove la gente era sì buona che si soleva dire:«circondate Savogno di mura e ne avrete un convento».Ivi con zelo apostolico attese all’ingrandimento e all’ab-bellimento di quella Chiesa, alla costruzione di un nuo-vo cimitero ed alla santificazione di quelle anime.

A Savogno istituì scuole serali d’ambo i sessi e clas-si festive. Ma ai suoi vasti progetti non rispondeva iltroppo ristretto orizzonte. Il prevosto don Lorenzo Ster-locchi scrive in proposito: «mi sovviene che, essendo an-cor chierico e trovandomi un giorno a Savogno nel suogiardino con un altro nipote, pur chierico, ci disse: iovoglio fondare un Istituto, mi aiutate? Sì, gli rispon-demmo: ecco: e ridendo gli demmo venti centesimi perciascuno; li accettò egli, pur ridendo, e disse: lasciate fa-re, che frutteranno».

Per otto anni continui il Guanella, ammiratore delle

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grandi opere del Cottolengo e di don Bosco in Torino,aiutava giovani e ragazze nella loro vocazione accompa-gnando figlie postulanti e poveri cretini nell’uno, stu-denti ed artigiani nell’altro. Ripensando ora al giovanecondottiero si può ben dire che la sua opera fosse natafin d’allora e che Dio a lui mostrava già per quale via lovolesse: ed è pur bello il sentirlo ora rievocare le dolcimemorie di quei fruttuosi viaggi sì ricchi di incidenti edi aneddoti.

Ma tutto questo non bastava al suo zelo: voleva chedon Bosco istituisse una sua casa nella diocesi di Como,e non riuscendo mai per iscritto, dopo un insistenza ditre anni, ottenuto dallo stesso don Bosco un sacerdoteper sostituirlo nella Parrocchia, volò a Torino pieno disperanze, perché alla meno peggio là avrebbe trovato imezzi più acconci per veramente assicurarsi se Dio loaveva scelto a strumento di nuove opere e apprenderecome fare affinché i suoi progetti avessero a poggiare susolido fondamento.

In una sera del gennaio 1875 l’umile prete comascoentrò nella casa agognata. Il primo a venirgli incontro fudon Bosco che, sorridendogli, a lui chiese se volesse an-dare in America, avendo deciso giusto allora di piantarecase a Buenos Aires e a S. Nicolas de los Arrojos nel-l’Argentina. L’indomani il Guanella ricopiava le letteredi accettazione di due nuove missioni, ma non vi dava ilproprio nome, dicendo con timidezza, ma francamente,al Maestro che anelava tentare qualche cosa di bene nel-la propria diocesi.

Don Bosco tentò sconsigliare il giovane sacerdote,facendogli sperare di andarvi lui stesso con sacerdoti esuore di Maria Ausiliatrice, ma il timido sacerdote mon-tanaro non si smosse. Esso ammirava le opere del tori-nese atleta della carità e ne succhiava avido ammaestra-

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mento e sprone al bene, ma non desisteva dal suo idea-le. Don Bosco non dimenticava la promessa fatta alGuanella, di una qualche fondazione nell’alta Lombar-dia, ma, quando tutto pareva assicurato, sfumavano lesperanze e non se ne faceva nulla. Il don Guanella in-tanto fungeva da direttore dell’Oratorio di S. Giovanni,e poi passava ad essere rettore del Collegio della Trinitàpresso Mondovì. Un momento parve che il desiderio difar qualche cosa per i suoi fosse morto, e fu quandosembrò accondiscendere ad accompagnare don Caglieroalle missioni d’America, ma la voce antica si fece senti-re più forte nell’animo suo, come un rimorso, e gli rim-proverò: abbandonerai dunque la tua diocesi? Ed anchedelle missioni non si fece nulla.

I tre mesi, prima designati, erano diventati tre anni:ed ora, abbastanza addestrato e ben munito per la nuo-va opera, assecondava il replicato invito del suo vescovomons. Pietro Carsana che, promettendogli largo aiuto,lo richiamava in diocesi. Non è a dirsi quanto riuscissedoloroso quel distacco, poiché il prete novizio si era av-viticchiato a don Bosco siffattamente che lo amava co-me tenerissimo padre.

Nel settembre del 1878 ritornò don Guanella inComo, portando seco una ricca messe di esperienza e difiducia in Dio: agguerrito alle battaglie ed alle contrad-dizioni che senza numero il nemico d’ogni bene nonavrebbe mancato sollevargli.

Primo campo della sua battaglia, si dovrebbe diresconfitta, se sconfitta v’ha per chi con retta intenzionecerca secondare la voce di Dio e far del bene al prossi-mo, fu Traona, nel terziere inferiore della Valtellina, ovefu mandato in qualità di coadiutore al vecchio arcipreteBellieni colpito da paralisi progressiva.

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TRAONA

Mons. Carsana mandando don Guanella a Traonagli diceva: «là è un centro di popolazione e sono moltecase e voi potrete dar principio ai vostri disegni per unaistituzione». Il consiglio del Pastore era per don Gua-nella un comando, e però oltre il tenere contempora-neamente giornaliere istruzioni catechistiche e scuole se-rali acquistava l’antico convento dei Padri Francescanicon la annessa Chiesa situata in una stupenda posizionesul fianco del monte e vi apriva un piccolo collegio peri figli del popolo.

Privo di stipendio e di aiuti proporzionati nella cu-ra d’anime, sostenuti sacrifici non pochi per sovvenire aibisogni dei suoi parrocchiani, fu condannato inesorabil-mente dopo due anni a chiudere l’istituto, sotto prete-sto d’aver mancato di avvertire in tempo l’autorità sco-lastica dell’apertura della nuova scuola.

Era già meravigliosa la tenacia di questo povero pre-te che con nulla di mezzi umani aveva saputo per dueanni guidare la sua barchetta tra mezzo ad infiniti sco-gli. E la Provvidenza vegliava sul suo servo e non la-sciava mancare i mezzi a chi senza rammarico aveva vi-sto travolto dalle acque dell’Adda il povero borsellinocontenente le dieci lire, tutta la sua proprietà. Veramen-te incominciò il suo apostolato sine pera, fiducioso solonella bontà di Chi riveste i gigli del campo e non lasciamancare il becchime agli uccelli dell’aria.

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Intanto predicava il quaresimale a Morbegno e qua-si si temesse che l’umile sacerdote vi andasse a sovverti-re le masse, ogni giorno era sorvegliato, per ordine pre-fettizio dai RR. Carabinieri.

Nel 1881 predicava in Milano il maggio in S. MariaIncoronata, il giugno in S. Maria Segreta. Fra i suoi udi-tori v’era l’avvocato Brusca, il quale deplorava che quelpovero predicatore fosse non solo incagliato, ma, se sipuò dire, intercettato nelle sue pie intraprese. Prese acuore la sorte di lui e recatosi a Roma ne parlò al con-te Breganze prefetto di Sondrio e segretario del ministroDepretis. Il Breganze era così sinistramente informatodel caso del Guanella che non voleva sentir ragione esoltanto dopo un terzo assalto del collega concesse cheil suo raccomandato venisse riabilitato applicandolo co-me coadiutore titolare a Gravedona ed economo spiri-tuale ad Olmo, nei monti di Chiavenna, dove, secondolui, non avrebbe potuto esercitare pericolose influenze.

Così don Guanella era sfuggito da tutti, e solo daipiù pietosi era compassionato per la sua ostinazione divoler fare più del comune. Battuto da tutte le parti, ilpoveretto fu a un pelo di tornare presso don Bosco; mauna voce gli suonò dentro imperiosa, e trovò la forza diaspettare per giovare alla sua diocesi. Tante prove servi-rono ad accrescergli costanza, rassegnazione e forza persuperare le gravi difficoltà, che più tardi l’avrebberoraggiunto.

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PIANELLO LARIO

A mezzogiorno del paese di Musso, sul lago di Co-mo, famoso per il capitano di ventura Gian GiacomoDe’ Medici che nel 500, dal suo castello, faceva tremarele dominazioni grigione della Valtellina e Valchiavenna eviscontea dell’altra sponda del lago, si trova un piccolopaese di poco più che mille abitanti, sparsi qua e là nel-le varie frazioni che compongono il comune e s’inerpi-cano sulla costiera del monte come grossi branchi di pe-core: paese fino ad ora poco industriale, tolto come è daogni comunicazione con grandi centri, non attraversatoprima che dalla via mulattiera, quella della Regina Teo-dolinda, che da Como conduceva a Chiavenna, e cheora, mercé la strada provinciale, potrebbe anche avereun industrioso avvenire. Quel paese è Pianello e fu lavera culla delle opere della Divina Provvidenza.

Un giorno dell’ottobre del 1870 mentre l’ottimo sa-cerdote, don Carlo Coppini, parroco di Pianello, si ag-girava per le vie della borgata, vide alcune povere fan-ciullette, scalze, mal provviste e dall’aspetto macilente,orfane di padre e di madre; ne fu tocco di compassionee pensò di provveder alla meglio ai loro bisogni. Chia-mate a sé alcune giovani scelte dalla Pia unione delle fi-glie di Maria, istituzione da lui stesso precedentementefondata, e che fra le mura domestiche traevano vita re-ligiosa, aprì loro il suo disegno. Fu come mettere l’escaal fuoco: quelle buone giovanette si mostrarono pronte

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e volonterose di sacrificar se stesse per le povere figliedel prossimo. Allora il Coppini si diede con premura acercare a pigione una camera e, poco dopo, una casu-pola, a poca distanza dalla Parrocchia, che potesse ac-cogliere le nuove colombe e servir loro di riparo oveponessero il nido. La casupola faceva vento per ogniparte e mal difendevale dal freddo; che monta? la caritàtutto vince: e quelle anime che dal fuoco del divinoamore erano accese, non curandosi né del freddo, nédel vento, né della miseria, in numero di cinque, senz’al-tra provvista che quello che loro procurava la Provvi-denza, sotto le cui ali si nascondevano, si ritiravano inquella povera disagiatissima casa.

Di lì a non molto dodici delle più povere fanciullefurono raccolte in quel tugurio, e l’opera prese sua vita.

Con sacrifici suoi propri e cogli aiuti della carità al-trui, don Carlo Coppini poté, indi a poco, accogliere inquella casa anche due poveri vecchi ed una vecchia, bi-sbetica, e per ciò doppiamente infelice forse, la qualesembrava nata a bella posta per far esercitare la pazien-za, smisurata ed instancabile sempre, di quelle buone fi-glie. L’orfanatrofio di Pianello si trovò così trasformatoin Casa di Ricovero.

Undici anni dopo, il primo luglio 1881, il piissimodon Coppini volava al cielo a ricevervi il premio delgran bene da lui fatto ai parrocchiani suoi e la suamemoria è e rimarrà ancora per lungo tempo in bene-dizione. La Provvidenza le cui vie sono veramente im-perscrutabili, faceva sì che il vescovo di Como mons.Carsana invitasse al concorso di Pianello il nostro donLuigi Guanella il quale intendendo che ivi avrebbe po-tuto lavorare, obbedì prontamente; benché preferissepoi restarvi non come parroco, ma come semplice eco-nomo spirituale, allegando che era tornato in diocesi

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non per fare il parroco, bensì per fondare qualche PioOspizio.

Il buon vescovo acconsentì al desiderio di don Gua-nella al quale benché diffidando sulle prime, si aperseropoi presto in Pianello le porte del nascente Istituto. Di-rigevano questo le due sorelle Dina e Marcellina Bosat-ta ma quella ben presto avendo già radunata grandemesse per la patria fu chiamata da Dio a ricevere la co-rona meritatasi con le sue fatiche e la seconda rimaseil principale sostegno dell’opera e fu poi sempre il brac-cio destro ed il valido conforto delle opere della DivinaProvvidenza.

Certo, se l’opera fosse stata semplicemente umanasorretta da sì deboli sostegni sarebbe caduta: ma il Si-gnore le infondeva tanta vita che il lucignolo fumigantecomunicò le sue fiamme ad altri lucignoli e si accesesempre più nel contrasto.

Il Guanella che, quando era scoppiato, nel 1884, ilcolera a Napoli, non era riuscito a far accettare l’operasua, smanioso com’era di lavorare o di morire per Iddio,si cuoceva del desiderio di maggior fatica, e nei sette an-ni passati a Pianello, dettò una cinquantina di pii libret-ti, qualcuno anche di non disprezzabile mole e di nonpoco vantaggio, a chi li consulta, per il bene del popo-lo da lui teneramente amato. Questo poi non a discapi-to del suo ministero perché nel predicare era instanca-bile qualche domenica, e ben di spesso, fino a sei, setteprediche e fervorini faceva al popolo ed alle varie pieCongregazioni; se a questo si aggiunga l’assiduità allechiamate di confessionale e alle visite degli infermi, glioratorii maschile e femminile, la scuola serale, ben sicomprende come i suoi fossero veramente dies pleni.Non era cosa ordinaria il vedere un sacerdote che tuttogiorno si sacrificava alla volontà altrui che non v’era mi-

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seria che non lenisse, lagrima che non asciugasse, per ilche, supposto che Dio non fosse il fine dell’opera sua,era naturale, che taluno credesse vi fosse sotto qualchetenebroso disegno, pericoloso per la patria. La insulsacalunnia fu accolta e portata al Pretore, il quale chiamòle suore dell’Ospizio a giustificarsi delle accuse mossecontro di loro, fra le quali quella di esercitare sopra lo-ro stesse la mortificazione fino alla crudeltà. Le timidesuore, tremanti, provarono verificata quella promessa diGesù: «quando sarete avanti ai tribunali lo Spirito San-to vi suggerirà quello che dovrete rispondere»: furo-no assolte e rimandate in pace. Poco appresso l’accusa-tore fu colpito da apoplessia, e breve e stentata gli ri-mase la vita.

Le accuse non cessavano punto non solo in via civi-le ma anche in via ecclesiastica, tanto che mons. Carsa-na raccomandava a don Guanella di moderarsi, di nonfar troppo ed il prefetto di Como comm. Guala, oraconsigliere di stato, domandava ufficialmente a donGuanella cosa intendesse fare: «intendo, rispose il pove-ro prete, erigere in Como un istituto per educarvi dellebuone serventi per le famiglie civili, ed anzi imploroaiuto dalla autorità». Il prefetto Guala approvò l’idea edincoraggiò il sacerdote, il quale appigionata immediata-mente una casa in via Tommaso Grossi vi trasportòl’opera sua. Di modo che, mentre sembrava che gli uo-mini volessero chiudere a don Guanella ogni strada perfare del bene, Dio gliene apriva una sì larga che sareb-be stato follia il pensarlo alcuni anni prima.

Ma con il trasporto dell’opera a Como, non fu di-menticata la culla dell’Istituto, la quale dovette rifugiar-si sulle prime nella casetta del cappellano, poi presso lasignora Domenica Mazzucchi, e quivi prosperò. Furonocomperate dalla famiglia Bosatta varie casette confinan-

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ti, si costrussero locali adatti per cucina e dormitorio,più tardi si acquistarono altre case rustiche ed un in-cannatoio per impiegarvi le orfanelle, le quali vi lavora-no per varie ditte. Nell’anno corrente 1906 fu apertauna nuova casa da servire per le cure dell’acqua ferru-ginosa, e per questo detta Rossa, che, discendendo dalmonte, incanalata e condotta in paese, entra nell’ospizio,apportandovi decoro, benessere, atta a risanare organi-smi gracili o deteriorati. Così un desiderio che donGuanella aveva concepito sino dal 1885 ebbe compi-mento mercé la cooperazione di alcuni azionisti, ed ilpaese tutto è dotato di acqua che, secondo il giudiziodel dottor Pezzini dell’ospedale di Bergamo, sono utilis-sime per le persone delicate ed in ispecie per le perso-ne anemiche o povere di sangue. Speriamo che per l’av-venire molti abbiano a risentire i buoni effetti di quellacura climatica.

In Pianello Lario sono ricoverate un centinaio didonne, tra orfanelle, vecchie ed infermiccie: le suore viconducono pure lodevolmente un asilo infantile, e duealtri anche nelle vicine borgate di Musso e di Cremia.

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COMO

Una sera dell’aprile 1885 da Pianello Lario, dentrouna barchetta, carica di povere masserizie, ricordiamoun tavolino rettangolare mancante di una gamba, dellesedie ove la paglia era un desiderio, dei letti che si po-tevano usare mercé un vero miracolo di equilibrio, sal-pavano due suore e quattro orfanelle. La piccola comi-tiva, dopo aver viaggiato tutta la notte, recitando il ro-sario della Provvidenza, sbarcava il mattino seguente aComo e si accomodava nella casa presa in affitto dal Si-gnor Biffi in via Tommaso Grossi.

Le opere di Dio sono come un grano di senape che,appena germogli, ha bisogno di molto terreno da coprirecon la sua ombra: dopo solo sei mesi al prezzo diL. 14000 si comprò la casa con il terreno annesso e ve-dendo che era troppo piccola, fu convenuto altro acqui-sto. Ma, ahimè! sul punto del pagamento chi aveva pro-messo il prestito, si ritirò, né valsero preci e scongiuri adottenere la somma necessaria. Mancavano tre giorni alcontratto e non si vedeva una via di uscita da quel gine-praio, quando la Divina Provvidenza, madre tenerissimadell’opera sua, contenta di vederla provata alla streguadella Croce, inspirò ai coniugi Bernardo e Sofia Calvi diDongo di venire in soccorso, ed, il giorno fissato, versatala somma occorrente, il contratto fu concluso.

La casa fu presto riempita di orfanelle, di derelitte edi croniche, ma le serventi dettero poca buona prova,

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perché difficilmente si potevano dare, ai molti che lechiedevano, cuoche o cameriere fedeli, brave, virtuose,piene di tutte le virtù possibili, esenti da ogni difetto,non pensandosi che se la perfezione è cercata in tutti èperò raggiunta da pochi e quindi, dopo varie lamentele,fu abbandonata, o quasi, l’idea delle domestiche. Quel-la non era la via per la quale Iddio voleva l’opera sua,non fu che un mezzo per allargare il suo campo di azio-ne, per farla conoscere.

Ben presto la casa fu troppo piccola per conteneretutte le meschine che avevano bisogno di esservi ricove-rate, e fu convenuto di ricorrere alla ditta Regazzoni,che costruì un’ala di tre grandi locali, e indi a pocoun’altra assai più vasta che rigurgitò a sua volta, benpresto, di bisognosi d’ogni specie.

Nell’ultimo corpo di fabbrica si era adattato un lo-cale vasto ad uso di Oratorio, e fu gran festa di famiglia,quando, nel febbraio del 1887, si ottenne il privilegio diconservarvi il Santissimo Sacramento. Si principiò subi-to la pratica dell’adorazione diurna, la quale, sovente,veniva continuata per tutta la notte, da mute di suoreche si succedevano ad ogni ora.

Dall’avere in casa una Cappella venne il pensiero dicostruire una casetta per ricoverarvi i sacerdoti impo-tenti e subito un prete, malaticcio, incoraggiò con lapromessa di trecento lire, a fabbrica compiuta. La casafu presto in piedi, ma le trecento lire non vennero, eneppure i vecchi servi del Signore si risolsero ad abban-donare le proprie case e le proprie abitudini, quindi lanuova casetta fu presto riempita di fanciulli e di vecchiabbandonati. L’idea però del ricovero dei preti vecchinon fu abbandonata del tutto e a quando a quandoqualcuno viene ricoverato, tanto a Como che a Milano,a Fratta e Belgioioso ed alcune volte avemmo molto da

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imparare e da restare edificati per gli ammirabili esempidi abnegazione e di sacrificio che ci prestarono. Ricordol’ammirabile don Giorgio Steinhnauser, che, trascorsa lavita catechizzando i pelli-rossi del Michigan nell’Ameri-ca, si spegneva nel bacio del Signore il 12 luglio 1892dopo aver santificato, con esempi di virtù preclara, lanuova casa.

Intanto i ricoverati crescevano sempre, la Cappellanon li conteneva più, e siccome la Provvidenza stessa diDio ha fondato le opere che portano il suo nome, cosìnon era lecito che a questo Dio fosse assegnata unastanza troppo indegna ed incapace di ricevere tutti i fi-gli della casa.

Erano state promesse al Direttore quelle due statuedi cemento che si vedono sul frontespizio della Chiesa,devoluta ad uso profano, di S. Antonio in via Rezzoni-co; il Direttore, accettandole nell’agosto del 1891, vole-va far innalzare due piloni ai due estremi di uno spazioonde su essi collocare le due statue, che vi sarebberostate come a termini e confini della nuova Chiesa. Inquesto tempo si venivano demolendo dal Municipio diComo alcune case per allargare la via che dal lago me-na al Duomo, al Direttore furono promesse quelle pie-tre che ingombravano la piazza, ma poi non vennero.Allora si venne nella determinazione di costruire unachiesetta nell’interno della casa. E, poiché la sapienzaabita nel consiglio, il direttore si presentò a sua eccel-lenza mons. Andrea Ferrari, succeduto a mons. NicoraLuigi successore di mons. Carsana, che simpatizzandosubito coll’Opera della Provvidenza, le era prodigo ditutela e di incoraggiamento, invitandolo ad una visitasul luogo. Accondiscese il buon Pastore e venne, nonapprovò l’idea di una Chiesa interna, consigliò che laporta di essa fosse sulla via, fosse più vasta, larga lo spa-

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zio che correva fra il Ricovero maschile e quello femmi-nile e giù dritto per una lunghezza ragionevole. Rite-nendosi che la parola del vescovo fosse un’ispirazionedivina, si chiamò il signor Giacinto Valli perché ne sten-desse il disegno; di lì a qualche giorno fu pronto. Maquando si tiravano le corde e si fissavano i picchetti,don Guanella incominciò a dire: lo allunghi ancora duemetri, e poi tre e così via via il distese fino a 40 metridi lunghezza allora il Direttore esclamò: Basta, 40 metridi lunghezza, e 13 di larghezza daranno una Chiesa ab-bastanza proporzionata e tanto larga da accogliere i ri-coverati e anche gli abitanti di questo rione.

Il 12 novembre di quel medesimo anno 1891 si in-cominciarono a scavar le fondamenta e si procedetteavanti nel lavoro con tanta prestezza ed entusiasmo, peropera della Ditta Regazzoni, che alla fine del dicembrele fondamenta già erano gettate e si erano innalzate finoa fior di terra. Si ripresero i lavori nel febbraio e, nelgiugno 1892, si gettarono le volte per coprire le fabbri-che, si passò a decorare la Chiesa, si levarono al sommodella facciata la statua del Cuore di Gesù, quelle deidue Angeli in atto di adorazione, e quelle dei Ss. Pietroe Paolo e si attaccò al sommo della porta lo stemma diInnocenzo XI, gloria di Como e della Chiesa. Con ala-crità si condusse a termine in modo da esser consacratail 6 aprile 1893 da sua eccellenza mons. Ferrari, assisti-to da mons. Tavani Vescovo titolare di Mindo e dai Ca-nonici della Cattedrale.

La Chiesa è in stile rinascimento, ha dinanzi un pic-colo atrio chiuso da colonnette e spranghe di ferro, sucui si apre la porta, sormontata dallo stemma di Inno-cenzo XI; la facciata sorge ardita e, al sommo, cinquestatue completano il disegno; questa facciata, nella qua-le si aprono tre finestre ed un’ovato, è greggia ancora,

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ma i poveri figli della Provvidenza sperano che nonmancherà qualche pia persona che si assuma la spesa diabbellirla come richiede lo stile. La Chiesa è bella e va-sta, alta del soffitto e ricca di luce: quattro altari secon-dari si aprono nello sfondo delle ultime arcate, l’uno ri-producente la grotta di Lourdes, l’altro quella di Be-tlemme, il terzo dedicato alla Provvidenza, il quarto alSacro Cuore, questi altari sono chiusi e guardati da ba-laustrate di stucco. L’altare maggiore sorge maestoso nelmezzo del presbiterio, è artistica opera del trecento, inlegno, si compone di due gradini e di un elegante tem-pietto, con colonnine, nicchie, volte e cupola, tutto fi-namente lavorato. Era di una Chiesa che, per diverse ra-gioni, lo aveva messo fuori d’uso e lo lasciava abbando-nato: fu comperato e, rimesso a nuovo dal valente indo-ratore Astolfi di Como, fu premiato con medaglia dibronzo argentato all’esposizione Eucaristica di Milanonel 1895; ora appare principale ornamento e decoro del-la nostra Chiesa.

Contemporaneamente alla costruzione della Chiesasi poneva mano alla costruzione delle case dei preti in-validi, degli artigianelli e degli studenti, che presto sor-sero e stettero giganti, ma greggie ancora.

In quanto a denari la Piccola Casa era perfetta-mente al verde, aveva sempre le casse vuote ed i biso-gni erano sempre molti; la pubblica carità non ancoraaveva rivolti i suoi occhi materni ai poveri ricoverati.Ma bisogna confessare, a gloria della Divina Provvi-denza, che il necessario non mancò mai, e Dio non la-sciò mai senza un boccone di pane i suoi poveri. Pa-recchi fatti veramente meravigliosi si potrebbero dire,di poco pane stato sufficente per molte persone, di per-sone che al sabato portavano la somma sufficente perpagare la mercede agli operai, di ponti per fabbrica

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crollati senza che alcuno ne risentisse danno: ma bastil’averli accennati.

Le domande per ricoverare piccoli e grandi infeliciessendo continue, si pensò di adibire tutto il locale a ri-covero maschile trasportando il femminile in un altro:ed ora contiene ben più di 400 ricoverati. I locali sonoben arieggiati dotati di acqua potabile e di luce elettri-ca; manca ancora qualche accomodamento e riparazionema Chi ha incominciato l’opera Egli la compirà.

Ultima opera fu la costruzione del due vasti saloniper i vari laboratori inauguratisi in occasione del cin-quantenario del Dogma della Immacolata Concezionenel 1904; sono due sale spaziose e ben arieggiate ove la-vorano i giovani tipografi e falegnami mentre dalla isto-riata vetrata, l’Immacolata pare benedica agli operai la-voranti sotto i suoi amorevoli occhi.

La Casa in Como era insufficente ai bisogni, non so-lo non si potevano più accettare nuovi ricoverati maquelli stessi che già vi erano soffrivano mille noie per laristrettezza dei locali. Nella infermeria degli uomini e inquella delle donne si dovevano tenere quegli ammalatiche per la gravità della loro malattia o per la sua natu-ra avrebbero dovuto essere trasportati in camere separa-te. Troppo spesso accadeva che i gemiti, le smanie degliuni guastassero il sonno degli altri con danno fisico emorale. Nel compartimento degli uomini non c’era unluogo proprio per gli scemi, e quei pochi che s’avevanostavano coi vecchi; le sceme poi erano tanto cresciute dinumero che si era dovuto mandarne un po’ per tutta lacasa e questo creava mille imbarazzi e accresceva la re-sponsabilità senza vantaggio di sorta per quei disgrazia-ti figliuoli. Gli studenti mancavano di locali per la scuo-la e per lo studio, gli artigiani di botteghe e di magazzi-ni acconci alle loro industrie; non una stanza libera per

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un bisogno straordinario, i dormitori, i refettori pienizeppi.

Fin che la Casa era rimasta bambina, a ciascun bi-sogno poteva bastare un piccolo locale, ma avvenuto unpiù largo sviluppo si richiedeva uno speciale quartiereper ognuna delle classi dei ricoverati. L’acquisto dellaBinda sopra Como nel 1897, poi i due di Ardenno nel1900 assettarono le cose, trovando in quella ricovero ledonne, in questi le sceme ed i scemi.

È la Binda un vasto fabbricato che, a scirocco dellacittà di Como quasi dirimpetto al Baradello, torreggiasullo stradale che conduce a Lecco, a mezza costa fra ilmanicomio e la Cappelletta. Sorge sul colle per una al-tezza di 18 metri e si distende da Nord a Sud per 140metri, imponendosi allo sguardo di tutti per la grandio-sità e particolare situazione. Il fabbricato si mostra divi-so in due parti, il lato di ponente distinto da un corpoavanzato quel di levante distinto da un loggiato non lar-go ma elevato. L’ala a due piani è separata dall’altra alaa tre piani mediante il corpo avanzato costituito da unavera palazzina pure a tre piani. Un braccio ad un solopiano congiunge la prima ala con i locali rustici separa-ti fra loro da un cortile. I cortili e giardini poi si inter-secano e separano le varie parti: bello in particolarequello che fronteggia il fabbricato verso Como non mol-to grande, non signorile ma vago assai con il suo bo-schetto di pini e magnolie, con la sua vaschettina di pe-sci rossi, con aiuole dai cordoni di folta erba, con le di-verse spalliere e piante di frutta e di fiori: e questo ulti-mo giardino, cinto da leggiadro riparo in ferro e para-petti fermati fra colonnine, finite in testi coltivati a ga-rofano, presenta l’aspetto di un terrazzo vasto, signorile.La vista non vi potrebbe essere né più incantevole, né

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più seducente, perché domina tutta la conca da Camer-lata sino alla punta di Pizzo sopra Cernobbio; e l’azzur-ro dell’acque che fanno rispecchio all’azzurro del cielo,il bel verde dei prati che contrasta col bianco delle stra-de e col vario delle case, il Duomo che si alza sulla città,l’ameno dei colli sottostanti, il semiselvaggio dei montiche fanno corona, dal Bisbino ai monti di Brunate lun-go la vetta delle Prealpi comasche, quelle Alpi chespuntano dietro il colle del Monte Olimpino, quel vastopiano lombardo che s’intravede alle spalle del castelloBaradello, la vita stessa della città che si manifesta finlassù coi suoi rumori, coi suoi fumaioli, coi treni delledue ferrate, coi battelli a vapore, colla funicolare... dan-no tanta varietà di prospetti, di spettacoli, di vedute chel’animo si ricrea e si sente rifatto. Ricordo le belle sera-te passate lassù, durante il fresco vespertino dell’estate,mentre fanciullo ignaro, con altri compagni, scorazzavoper quella distesa, facendo man bassa sulle frutta, alzan-do gridi di gioia e cantando ariette che tuttodì si sento-no, mentre i parenti se ne stavano là sulla terrazza a sor-vegliarci affinché nulla di male ci incogliesse: allora ilvasto locale era muto, inerte come corpo di gigantemorto, giacché da più anni era chiuso e tutto quel fab-bricato era senza mobili, senza attrezzi, in stato di igna-via mortale.

Già adibita ad uso di filanda, poi di fabbrica di bot-toni, la Binda era stata giudiziariamente venduta al ban-chiere Antonio Donegana, alla sua morte la villa passòalla vedova Baserga, e da questa, per varie vicende, aidue fratelli Antonio e Vincenzo Baserga; si era tentatodal figlio Donegana di farne uno stabilimento per l’in-dustria della guttaperca, ma l’impresa, non avendo tro-vato appoggio nel campo milanese, abortì e non fecenulla.

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Monsignor Vescovo di Como per la villeggiatura deisuoi chierici, le orfane di S. Chiara, industriali paesani estranieri, e perfino il Comune e la Provincia, fecero pra-tiche per farne acquisto, ma non ne conclusero nulla.Finalmente nel febbraio del 1897 per mezzo del ban-chiere signor Minoletti e del dottor cav. Paolo Zerboni,ne fu fatto acquisto dal don Guanella dai detti fratelliBaserga, a condizioni buone e vantaggiose.

Appena fattone l’acquisto vi fu trasportato il repar-to femminile e il 20 giugno del medesimo anno, con so-lenni funzioni religiose, fu solennemente inaugurato ilnuovo vastissimo caseggiato, con grande concorso dipopolo e di ammiratori: e non ancora erano passati seimesi e già più di centocinquanta infelici vi avevano tro-vato asilo.

Prima cura di don Guanella fu di ottenere il per-messo di conservare il Santissimo Sacramento nella po-vera Cappella, che dapprima fiancheggiava la strada, mail continuo pericolo della sassaiola, che alcuni sbarazzi-ni si pigliavano gusto fare dalla strada nei vasti finestro-ni, consigliava di portarla più internamente e, giacché sidoveva costruire di nuovo, venne naturale il pensiero diuna Chiesa. Concepire, ideare una cosa è metterla inesecuzione ed una modesta Chiesa, a stile lombardo,con pronao, un finestrone ogivale alla fronte, a tre na-vate, con soffitto a legno sostenuto da svelte colonnine,fu inaugurata nel 1902, e nello scorso anno 1905 vi fu-rono aggiunti i due altari laterali di fondo, che, con laloro bellezza, completano l’artistico della Chiesa. Con-temporanea alla fabbrica della Chiesa procedeva, a fian-co della medesima, la costruzione della casa, a tre piani,per uso del cappellano, addetto alla cura spirituale del-le ricoverate, e di quei sacerdoti invalidi che, aborrendoil frastuono della città, avessero voluto trovare un luogo

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di quiete e di pace ove passare, meno disagiati, gli ulti-mi anni.

Si dette mano anche alla costruzione di un’altra ca-sa, dietro la chiesa, per uso di laboratorio e, vicino, adun lavatoio, alimentato dall’acqua che in grande abbon-danza viene da una sorgente non lontana: acqua pura,salubre, vitale che non conosce arsura ed è distribuitaper tutti i piani e sovrabbonda per la grande quantità.

Ed ora anche l’Ospizio di Santa Maria della Provvi-denza, così fu denominata la antica Binda, a parte qual-che piccolo inconveniente al quale già fu messo manocome la fognatura, è occupato da più di quattrocentoderelitte e bisognose d’ogni classe e d’ogni età, in localisani, aereati, amplissimi, in posizione amena, una dellemigliori nelle vicinanze di Como.

Dalla casa di Como partono le suore che attendonoai varii asili di S. Bartolomeo in città, di Camerlata, Mac-cio, Civello, di Olgiate Comasco ed al ricovero di Stimia-nico presso Cernobbio, sul lago, ricovero aperto nel1901 in una dipendenza della Villa Gabba donataall’uopo, ove sono ricoverate più dozzine di ricoverate:speriamo che mercé l’aiuto dei buoni e la benedizionedi Dio abbia a prosperare ed essere di vero aiuto a quel-le popolazioni: a Stimianico pure le nostre suore hannoaperto un asilo con buon profitto e contento di quegliabitanti.

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MILANO

Milano, città sì generosa con ogni Istituto di caritàche può vantare forse un numero di pie opere maggio-re a qualunque altra città italiana di modo che quasipuò dirsi nessuna miseria non avere il suo rimedio; Mi-lano era l’aspirazione del nostro Direttore e non aspet-tava che la chiamata di Dio per potervi piantare le suetende: all’ombra del grandioso Duomo era ben sicuroche avrebbero prosperato anche le opere sue ed i buo-ni milanesi non avrebbero mancato dei necessari aiutied avrebbero assecondato le aspirazioni del caritatevolesacerdote.

Col mezzo del sacerdote don Michele Bernuccaoriundo di Pianello, padre e maestro negli oratorii diS. Luigi e più tardi di S. Michele fu presa in affitto unacasetta in via Saronno, per tenervi un asilo infantile.Presto da via Saronno si passò in via Ravana, per allar-gare l’asilo e, contemporaneamente, il 2 ottobre 1893, sene apriva un altro in via Panfilo Castaldi. Qui fu rice-vuta la prima orfanella milanese, una pupattola alta po-co più di tre spanne, alla quale per letto serviva, e perforza non essendoci altro, un vecchio baule scoperchia-to. L’asilo di via Ravana non fu più capace di raccoglie-re i duecento bambini che vi accorrevano, ed allora futrasportato nella casa Lanzani, di fianco all’antica Chie-sa di S. Ambrogio ad Nemus. Non bastava ancora adon Guanella, e però in via Cappuccini, in parrocchia

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di S. Babila, si prendeva in affitto un vasto caseggiato di22 locali che veniva aperto il 15 luglio 1894; ancor que-sto fu subito popolato da più di cento allievi esterni discuola infantile ed elementare, oltre che da un discretonumero di derelitte e da qualche pia signora ivi ritira-tasi per consumare i giorni in opere di carità cristiana.

Se l’avere case in luoghi diversi poteva molto giova-re per le popolazioni vicine, certo non era un bene peruna istituzione novella che, per vivere, doveva rispar-miare anche il centesimo e stiracchiare sulle risorse chela Provvidenza mandava, grande pertanto si sentiva lanecessità di un accentramento di questi asili. Ma per farquesto abbisognavasi di locale già costruito con annes-sa area fabbricabile per i possibili futuri ingrandimenti.

L’occasione ed il locale nelle cercate condizioni sipresentarono nel caseggiato unito alla Chiesa di S. Am-brogio ad Nemus: vi abitavano i sacerdoti impotenti madacché la Casa Ecclesiastica pensava trasportarsi in lo-cali migliori e più quieti a S. Celso, si pensò di farne lacompera e la Casa della Divina Provvidenza, senza de-nari ma affidata in Chi ha in mano gli umani eventi edi cuori degli uomini, sottoscrisse il contratto di compe-ra nel settembre del 1894.

Prima di proseguire nella cronistoria delle case cre-diamo utile riportare un articolo comparso nel periodi-co XV centenario della morte di S. Ambrogio, riguardan-te appunto il nostro S. Ambrogio ad Nemus.

Fin dall’epoca dei mille il Beato Andrea che scrissela vita di S. Arnaldo asseriva: «lontano dalla città lo spa-zio di un miglio nella parte occidentale v’è un luogo chechiamasi bosco (nemus), con annessa Chiesa e Cenobio,eretto e dedicato da S. Ambrogio stesso, il quale era so-lito a ritirarsi colà lungi dal tumulto del popolo a com-

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porre i suoi Commentarii». Ma prima ancora del Bea-to Andrea, S. Agostino, nel libro ottavo delle sue Confes-sioni, attestava: «che fuori delle mura di Milano (in que-sta località secondo vogliono gli interpreti e scrittori del-la sua vita) v’era un monastero assai fiorente ed abitatoda ottimi religiosi ai quali S. Ambrogio provvedeva il ne-cessario». Quale fosse la disciplina di questi antichi con-venti di monaci lo sappiamo da S. Gerolamo che dice:«avevano quei primitivi religiosi nudo il piede, un solosudario e la tunica esteriore di color nero, le mani poicallose per le durate fatiche». Da un diploma di EugenioIV riportato dal Sormani ricavasi ancora che i frati, quiistituiti da S. Ambrogio vi erano assai moltiplicati incittà e che il Monastero ad Nemus era capo di tutto l’Or-dine ed ivi risiedeva il Maestro Generale. Anche il Cantùconferma la tradizione scrivendo: «il S. Ambrogio adNemus è una delle più antiche Chiese di Milano fatta in-nalzare da S. Ambrogio e S. Agostino, che vi eressero unritiro per uomini solitari, detti Romiti di S. Ambrogio,con vicino praterie e boschi (ad nemus)».

Quel pio cenobio però ebbe a subire varie vicende,come è narrato dai nostri storici. Passata l’irruzione deibarbari e, dopo il mille, cominciando a costituirsi nuoviOrdini religiosi, ecco che nel 1375, sotto Gregorio XI, gliantichi romiti vennero a formare un nuovo ordine dettodi S. Ambrogio ad Nemus per opera dei tre nobili cittadi-ni milanesi Alessandro Crivelli, Alberto Besozzo ed An-tonio Plettasanta: certo Gabriele De Bossi fabbricasull’area dell’antica, cadente, una nuova Chiesa o Ceno-bio a stile lombardo e di cui s’intravede ancora qualcheparte, la cornice, le finestre e contrafforti del coro,il chiostro ed una loggia quattrocentesca. Al nuovo con-vento di monaci fu dato il titolo dei quattro dottori del-la Chiesa latina, il quale titolo però non cancellò l’antico.

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Se non che, verso il 1500, la fabbrica fu di nuovorinnovata per ordine di Lodovico Sforza, di cui qui eraesposto un superbo quadro che ora è passato alla pina-coteca di Brera. Una parte dei monaci di S. Ambrogioad Nemus, quivi abitanti furono allora tramutati in città,dove ora è il palazzo del Senato, ed un altra colonia aS. Caterina del Sasso sul lago Maggiore.

Nemmeno a tal tempo si arrestarono le innovazioni.Scrive infatti il Giulini che, nel 1610, furono da PapaInnocenzo X soppressi i monaci che appartenevano allareligione di S. Ambrogio ad Nemus: ed a questi succes-sero i Francescani (Minori osservanti) alla direzione epossesso della Chiesa e del chiostro. Ad onta però ditante vicende e tramutamenti di persone e di cose, iltempio mantenne, coll’annesso edificio, il titolo e nomedel proprio fondatore S. Ambrogio, ed in tutte le carte,istrumenti e documenti d’archivio, quell’area è semprequalificata col nome di S. Ambrogio ad Nemus. Che an-zi i milanesi si adoperarono con ogni potere per affer-mar la vecchia tradizione, facendo, sulla fine del secoloXVI, riprodurre nell’Odeo o coro della Chiesa, parec-chie medaglie e composizioni confermanti, non che ladimora constatata di S. Ambrogio, anche i fatti dellamortal carriera di altro santo coevo allo stesso Ambro-gio: è un santo che quivi condusse una vita eremitica edora è sepolto nella basilica degli Apostoli sotto il nomedi Matroniano.

L’area di S. Ambrogio ad Nemus è sacra e venerandaper la permanenza del santo patrono, non che di altrisanti, quali S. Simpliciano, S. Arialdo Alciato, Beato An-drea Vallombrosiano, Beato Alberto da Besozzo e moltialtri pii laici e religiosi elencati dagli storici.

I Minori osservanti ritennero la Chiesa, sino allasoppressione avvenuta, nel 1798, in nome di Dio e della

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repubblica Cisalpina una ed indivisibile. Il comune diMilano se ne servì per magazzini di sale, finché le reli-giose Fate-bene-sorelle lo ridonarono al culto ad essesuccesse, circa il 1850 la Casa Ecclesiastica per i vecchied impotenti sacerdoti della diocesi milanese, i quali vidimorarono sino al 1894.

Il nuovo acquisto fu battezzato il «Piccolo Cottolen-go milanese» in omaggio al grande Apostolo di Torino:e le suore con le loro orfanelle e ricoverate facevano illoro ingresso nel Natale del 1894 ed il 18 aprile succes-sivo veniva inaugurato con solenni feste religiose, allequali presero parte mons. Mantegazza, vescovo coadiu-tore di Milano, ed il prevosto di S. Marco, don Giusep-pe Del Torchio, grande amico e sempre generoso bene-fattore delle nostre case. Dopo pochi mesi venivanosborsate alla Casa Ecclesiastica le prime cinquanta milalire, verificandosi quello che le suore all’ingresso aveva-no detto al prevosto di S. Gioachino, che le compiange-va: «siamo figlie della Provvidenza di Dio, il Signore ciprovvederà». Un anno appresso altre quarantamila lirevenivano versate ed ora il debito con la Casa Ecclesia-stica è totalmente pagato.

Intanto la popolazione si affollava nella Chiesa, che,funzionata regolarmente, attirava non pochi abitanti delpopoloso rione di Porta Sempione, anzi, non essendopiù capace di contener quanti venivano, molti assisteva-no ai divini uffici dalla piazza. Quindi fu necessariopensare a prolungare il tempio, ed il 25 agosto dell’an-no 1895 veniva benedetta la pietra fondamentale del-l’ampliamento, ed il 7 del successivo dicembre venivaaperto al culto. L’ampliamento fu fatto su disegno del-l’ing. Cesare Nava e sotto la direzione del capomastroAntonio Annoni, che, sino alla compianta sua morte, av-

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venuta nel 1905, amò con tanto affetto le opere tutte didon Guanella, in specie quelle di Milano aperte e pro-sperate sotto i suoi occhi.

Naturalmente le cose non procedevano senza intoppi,ma la Provvidenza faceva sì che le nubi, appena spuntatesull’orizzonte, scomparissero. Perfino il titolo andò sog-getto a lamentele, essendo stato poco accetto agli altriistituti forastieri che portavano lo stesso nome, onde sidovette nel principio del 1897 mutare la denominazionedi Piccolo Cottolengo in quella attuale di Pia Casa dei Po-veri a S. Ambrogio ad Nemus. Col variar del nome natu-ralmente non variò lo scopo dell’ospizio, questo parvefiorisse maggiormente tanto che si sentì nel 1900 la ne-cessità di por mano a fabbricare. Si costruirono così, intre anni, due vaste ali di fabbricato, lunghe ben più dicinquanta metri, a due piani, oltre il terreno ed il sotter-raneo, incontrandosi, su per giù, una spesa di circa 300mila lire, per la massima parte pagate.

Le due ali si presentano maestose a chi percorre lavia ed il vicolo Cagnola; i sotterranei sono adibiti ad usocantina, forno, pastificio e a lavanderia, nel pian terre-no, il porticato dà luce ed aria alle varie scuole e labo-ratorii ed agli uffici di direzione, due comode scale met-tono al primo piano occupato da quattro vasti dormito-ri e infermerie da varie stanze per pensionanti, e dallachirurgia ben dotata dei più moderni istrumenti per leprincipali operazioni chirurgiche; il piano superiore poiè occupato dai dormitori delle orfanelle e da altre stan-ze particolari, l’acqua potabile, abbondante, si stendeper tutta la casa, le finestre danno aria e luce in grandeabbondanza, tanto che si può dire, ben a ragione, esse-re un corpo di fabbricato, senza alcuna pretesa di lussoo di superfluo, degno d’essere citato per esemplare. Sea questo aggiungiamo il vecchio fabbricato del conven-

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to, corso all’intorno da porticato, ad un sol piano, divi-so in camere e cameroni, si presenta agli occhi un vastoedificio che meraviglia si sia potuto costruire con il nul-la umano, ma con una grande fede e fiducia in Dio, e lamedesima fede, la medesima fiducia fa sì che non man-chi mai il necessario alle quattrocento bisognose, orfa-nelle, inferme, ricoverate, che ora vi alloggiano.

Fin dal febbraio 1897 don Guanella lanciava l’ideadi aprire in tempo non lontano un ricovero maschile,l’idea, gettata là così alla buona, senza alcuna pretesa,parve per alcun tempo morta e ben poco si faceva percoltivarla. Si incominciò dal poco assumendosi all’11novembre 1898 l’0ratorio di S. Michele, già aperto dalsacerdote Bernucca. I primi mesi si mancava di tutto,anche del necessario, si dormiva come e dove si poteva,tutto quando e non trascurando nulla, sino a quando sipoté prendere in affitto il locale goduto, nella casa Lan-zani, dalle nostre suore, locale di dieci stanze, sei a ter-reno, quattro di sopra, con un vasto cortile. All’oratoriofestivo si aggiunse nel 1889 il dopo scuola quotidiano,per i fanciulli delle scuole elementari, si faceva un po’ dicatechismo, si aiutavano nella compilazione dei compiti,si facevano studiare le lezioni e poi, dopo la ricreazione,si mandavano a casa. Opera piccina, come si vede, mapur, tanto necessaria per togliere alla strada tanti fan-ciulli, aventi i genitori al lavoro, opera di sana preserva-zione morale e fisica, impedendosi la corruzione dellamente e del cuore a tante tenere pianticelle, che benguidate sarebbero cresciute bene ed avrebbero potutodare buoni frutti.

Nel luglio si sarebbe dovuto chiudere il dopo scuo-la ed invece si pensò trasformarlo in scuola autunnale,compimento questo necessario alle altre due opere già

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iniziate, e non è a dire con quanto piacere le madri ac-compagnavano i lori figli, sicure, come erano, di averliben collocati. La giornata era occupata dallo studio, dal-la scuola e dal canto, il tutto, saggiamente, intramezzatodalle ore di allegra ricreazione. Alla sera venivano ri-mandati alle proprie case, contenti se qualche nuovo di-vertimento, qualche passeggiata più lunga delle solite,avesse rallegrata la loro felice giornata.

Con queste tre piccole cose si andò avanti per quat-tro anni; ora non si tengono più né il dopo scuola, né lascuola autunnale tanto per mancanza di locali, quantodi personale adatto, però ci piange il cuore il dover ri-mandare tante madri che, con le lagrime agli occhi,chiedono l’una o l’altra o il ristabilimento di ambedue leistituzioni; si continua l’oratorio festivo, ma, ancor que-sto, risente del generale rilassamento e della poca fre-quenza che hanno i somiglianti oratori in Milano, dimodo che mentre i primi anni si aveva una frequenzadomenicale di 200 ed anche 250 ragazzi, ora, a mala pe-na, si arriva al centinaio, quando ci si arriva.

Il giorno della patronale di S. Ambrogio ad Nemusdel 1900, il Guanella domandava al signor Lanzani, co-sì inter poculo, quanto avesse voluto per la vendita delsuo locale: «seicento mila lire, caro don Luigi», rispon-deva il Lanzani, «non un centesimo meno». Nessuno al-lora pensava che il don Guanella facesse sul serio, mapure era una semente che, a suo tempo, avrebbe pro-dotto buon frutto.

Nel 1902 la fabbrica delle aste dorate, trasferendosiin locale proprio nella via Farini, lasciava liberi sei vasticameroni, don Luigi pensò prenderne in affitto quattro,due lasciandoli alla Cereria allora Osservatore Cattolicoora Milanese, in quei locali, con due ragazzi, si inco-minciava l’opera maschile in Milano il 9 agosto, giorno

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dal rito ambrosiano consacrato al santo della Provvi-denza, Gaetano da Thiene, al quale veniva dedicata lanuova opera: veniva incominciata, ché solo alla finedell’anno, si potevano contare una ventina di ragazzi,che si trovavano come persi in quegli immensi locali. Iragazzi erano unicamente studenti delle elementari, eperò la casa madre di Como mandava una diecina di ar-tigiani per incominciare anche l’opera dei lavori manua-li. Nell’estate del 1903 si aggiunse un povero vecchiocieco, questi così iniziava l’opera di ricovero dei poveriimpotenti.

L’affitto del locale era piuttosto gravoso e però,quando si seppe che il signor Lanzani voleva vendere lasua proprietà, si fecero trattative e, nel novembre del1903, per la somma di oltre 300 mila lire si sottoscrivevail contratto. Il caseggiato è parte a uno, parte a due pia-ni, oltre il terreno; all’entrata si presenta un quadratotutto a stanze separate, poi due corpi di fabbrica si sten-dono quasi parallele tra loro, nella direzione di nord-ovest per una fronte di ben una cinquantina di metri,uniti fra loro da un terzo braccio, e separati sul davantida un vasto cortile; questi bracci formano dei grandi ca-meroni adibiti ad uso di dormitori. Il locale, certo, non ègran che in buono stato, ma, con la disposizione data ul-timamente, si è cercato di renderne l’uso più comodo epiù utile. Chi pensi l’uso al quale primo era destinato, difilanda, dovrà meravigliarsi certo, come si sia riusciti adaccomodarsi in modo abbastanza decente, se si pensi poiche questo tratto di terreno è soggetto al piano regolato-re edilizio della città, e quindi impossibile il fare quellemodificazioni, quelle aggiunte che pur si vedono se nonnecessarie, utili, alle noie per qualsiasi modificazione an-che interna nei locali, dovrà confessarsi che non si dove-va e non si poteva fare di più.

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Una cosa mancava ancora al nuovo Istituto diS. Gaetano, una cappella interna; i ricoverati, ragazzi evecchi, usavano della nostra vicina Chiesa di S. Ambro-gio ad Nemus, ma oltre il togliere spazio alla popola-zione, che in poco numero poteva adirvi per le funzionireligiose, ne risentiva la disciplina interna, che venivadanneggiata, ma un nuovo locale, lasciato libero dagliaffituari, in quest’inverno, ci diede la possibilità di sod-disfare anche a questa vera necessità, ed ora una cap-pella raccolta e devota, inaugurata al primi del marzoscorso, raduna alla preghiera, più volte al giorno, i no-stri ricoverati sia ragazzi che vecchi, e, dicono, vi si pre-ga molto bene, avanti al Santissimo Sacramento, che dicontinuo vi si conserva, sotto lo sguardo benigno e pa-terno di S. Gaetano che, dall’alto dell’altare, pare offraa tutti il Bambino Gesù che si stringe, in amoroso am-plesso, fra le braccia.

L’Istituto maschile, dopo soli 4 anni di vita, racchiu-de ben 250 ricoverati, dei quali circa due centinaia ra-gazzi, il restante vecchi impotenti o ammalati. La Prov-videnza come sempre provvide alle altre nostre case,vorrà sempre guardare ancora questa, i cui bisogni tan-to sono grandi altrettanto urgenti.

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BELGIOIOSO-PAVESE

Una suora, passata ora a miglior vita, recavasi, nel1895, alla questua dal prevosto di Belgioioso, don Ange-lo Scotti, e questi la interrogava intorno alla fondazionee all’indirizzo delle case della Divina Provvidenza. Il de-gnissimo sacerdote pensò subito a valersene per il rico-vero di qualche derelitto, e fece, pur subito, invito allaPiccola Casa perché piantasse una succursale nei vastilocali, con giardini e vigne, di due case attigue del con-te Melzi d’Eril. Le due, case, congiunte in una, sono abrevi passi dalla Chiesa parrocchiale: ma occorreva unasomma considerevole per farne l’acquisto. L’industriosoprevosto, con l’accordo e l’aiuto di mons. Agostino Ri-boldi, vescovo, poi cardinale, di Pavia, poté in buonaparte radunare la somma di acquisto, onde se ne feceregolare compera nel settembre del medesimo anno.Non potendosi adibire subito il fabbricato, per gli im-pegni colonici preesistenti, l’istituzione s’aprì nel no-vembre dell’anno 1896; e quella casa, ove aveva pernot-tato Giuseppe Garibaldi e ne portava il nome, divennesotto la direzione di un nostro prete e delle suore, unpio ricovero maschile e femminile, divisi dalla Chiesa,che si trova fra le due case, col titolo di Pia Casa diS. Giuseppe. Oltre ad un centinaio di ricoverati, vi è pu-re un asilo infantile con oratorio festivo, l’uno e l’altromolto frequentati.

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NELLA SVIZZERA

Splügen è un bel villaggio posto alle falde del mon-te che porta lo stesso nome, presso la riva sinistra delReno superiore, a cavaliere di tre grandi strade, l’una,per il varco dello Spluga, scende in Italia, l’altra, per ilS. Bernardino, mette a Bellinzona, la terza, che, fian-cheggiando il Reno, percorre la maestosa via Mala, perTusis fa capo a Coira. Il versante dello Spluga volto al-la Svizzera è di una amenità incantevole per le sue pi-nete ampie ed odorose e le verdeggianti praterie, molle-mente inclinate; presenta più l’aspetto di un parco edu-cato dall’arte, che di luoghi vergini in balia della natura.Ivi concorrono in buon numero i forestieri, nei mesi diestate, tanto che il villaggio è diventato una frequentatae ricreativa stazione climatica, confortata di tutto quan-to occorre ai comodi della vita, grazie ai buoni alberghied alle pulite case che, da pochi anni, sono sorte in queiparaggi.

Là appunto, nel luglio del 1897, andò a passare unaquindicina di giorni, per motivi di salute, il nostro Di-rettore in compagnia del rev. prevosto di S. Marco inMilano e di due venerandi sacerdoti di Pavia. Nei lorodiscorsi, volgevano sovente il loro pensiero alla Svizzera,divenuta in gran parte protestante, e ne sentivanoprofondo compatimento. Nei primi giorni fecero unacorsa a Tusis e, con grande loro dolore, vedevano inogni villaggio e borgata per cui passavano le tracce del

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culto cattolico, abbandonato, dopo la fatale riformazuingliana. Le chiese profanate, i campanili sormontatidalla Croce, i cimiteri ben conservati, le sacre cappellet-te diroccate lungo la via, erano documenti eloquentissi-mi della fede piantatavi dai nostri antichi padri. Oh! lasperanza di ritornare quei luoghi al vero culto di Dio,faceva sussultare il cuore di quei buoni sacerdoti, i qua-li provarono gran gioia, arrivando a Tusis, di scorgereuna Chiesa Cattolica di recente costruita ed eretta inparrocchia, là dove un tempo risiedeva il famoso tribu-nale delle Tre Leghe, che fece, il 24 agosto del 1618,martirizzare il venerabile servo di Dio Nicolò Rusca, ar-ciprete di Sondrio.

Possibile che a Splügen non si potesse fare altret-tanto, porvi cioè una cappella cattolica in servizio deipastori e dei braccianti che, dal Chiavennasco e dal vi-cino Oberland, vi si recano a lavorare nella buona sta-gione? che proprio nulla si potesse fare in servizio diquelle famiglie cattoliche che, dalla Svizzera e dall’Italia,vanno a ristorare le forze, ad allargare il respiro in quel-le aure ossigenate?

Quasi Iddio volesse subito corrispondere all’intimosentimento dei buoni sacerdoti, ecco che gli albergatoridi Splügen mandarono a chiedere che uno di loro si re-casse, all’indomani, al villaggio per una Messa, avverten-do che già avevano ottenuto l’autorizzazione dal vesco-vo di Coira e dal parroco di Tusis. Si accondiscese alpio desiderio, e don Guanella in una birreria, sopra unatavola di null’altro ornata che di un pannolino, vi cele-brava l’incruento sacrificio. Fu questa occasione felicis-sima per le trattative dell’erezione di una Cappella cat-tolica in quel villaggio.

Il conte Pallavicini Resta di Milano, che ogni estatevi soggiorna colla famiglia, afferrò tosto l’idea della

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Cappella e la espose al signor G. Trepp, assuntoredel grande albergo. Piacque l’idea al rev. prevosto diS. Marco, ai sig. Giuliani Costante e Giacomo Tognonidi Monte Spluga, piacque al parroco di Tusis che neparlò con mons. vescovo di Coira, Fedele Battaglia, tut-ti plaudirono al nobile pensiero, augurandosi che prestopotesse tradursi in atto. Il capomastro Annoni di Mila-no, venuto sul posto, rilevò la planimetria del luogo del-la costruenda cappella e ne preparò il disegno.

Appena scomparsa la neve, nel maggio, si misero lefondamenta della Chiesa e nei giorni 8, 9, 10 settembre1898, presenti sua eccellenza il vescovo di Monaco, il vi-cario generale di Besançon ed altri molti, furono cele-brate solennemente le feste inaugurali della Chiesa, ca-pace di ben quattrocento persone, dedicata a S. Vincen-zo de’ Paoli.

A fianco della cappella, si trovava una casupola diproprietà delle sorelle Reiner, la si comprò, vistala con-facente al bisogno, la si riattò e la si rese atta ad allog-giarvi il sacerdote e quei benefattori che intendesseropassarvi l’estate, pagando una tenue pensione.

In così poco tempo si poté provvedere a questa sta-zione cattolica di Splügen, mercé l’aiuto efficace dimons. vescovo di Coira, che, all’uopo, regalò lire tremi-la, del parroco di Tusis, e d’altri molti. Il sacerdote del-la casa che risiede ad Andeer, assiste altresì tutti i catto-lici di Splügen.

Partendo da Splügen, lungo la sponda del Reno, sicammina per una via, che si tramena fra orride giogaiee si nasconde e riapparisce, or coperta da dumi, or mi-nacciata da scheggiose rupi, ora erta, ora precipite, sem-pre orribile e maestosa. Pare abisso, talvolta, questa viae le scure montagne che qua e là s’innalzano sembra mi-

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naccino fieramente al povero mortale che per avventurasi mette per essa. Qua e là il grandioso spettacolo è rot-to da distese praterie e da macchie di abeti, di betulle:in una distesa pianura appunto si stende Andeer, di-stante quindici chilometri da Splügen.

Ad Andeer, anni addietro era stata fabbricata unacappella cattolica, con locali sufficienti per un religioso,dal venerando sacerdote don Gaudenzio Bianchi diCampodolcino che già abbiamo visto parente e protet-tore del nostro Direttore, in concorso con GuglielmoPajarolo ed altri convalligiani, di S. Giacomo di Chia-venna, ivi residenti. Ivi sono abitualmente un centinaiodi cattolici, aumentati nella stagione di lavoro, da moltioperai italiani. La missione però era cadente e ridotta,da tempo, senza sacerdote. Aiutato da mons. vescovo diCoira, don Guanella ristaurò e ampliò Chiesa e casa e viinsediò, nel 1903, stabilmente, un sacerdote. Dapprinci-pio l’azione sacerdotale non si poteva spingere oltrel’istruzione religiosa, ma ora il sacerdote ha un campopiù vasto, la sua missione è meno limitata, può prende-re pieghe diverse; e, per questo, sarebbe necessario chesi aggiungessero, all’istruzione religiosa, l’opera di assi-stenza agli operai italiani, che durante tutta l’estate vi af-fluiscono, una scuola di lavoro per le fanciulle ed unascuola di lingua italiana per tutti i fanciulli d’ambo i ses-si. Qualcosa si è già fatto, ma quanta messe ancoraaspetta la mano dello zelante agricoltore!

A Roveredo in Val Mesolcina sopra Bellinzona sullerive della Moesa, quando nel vicino canton Ticino erasi,con draconiane leggi, soppresso l’insegnamento privatoe religioso, nel 1855, da mons. Giuseppe Tini venivaaperto un piccolo collegio, onde venire in aiuto a quelliche volessero dare una istruzione, veramente cristiana,

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ai loro figli. Sotto i vari rettori, Tini, don Antonio Riva,don Giuseppe Nicola, il collegio diede ottimi risultatitanto che dovette cambiare dimora e allogarsi in casaGiboni; ma poi, per l’accresciuto numero di convittinella Svizzera Italiana, il collegio accennava a cadere.

Richiesto ripetutamente, finalmente, nel 1898, donGuanella cedette alle istanze di quel parroco don Leo-nardo Schnuriger, ora zelante missionario a Zurigo, enell’ottobre ne assumeva la direzione, conservandoglil’antica denominazione di «Collegio S. Anna». Parve ri-tornato all’antico splendore e, accresciutosi il numerodei convittori, si dovette, nel 1902, comperare il gran-dioso palazzo Schenardi e, aiutando il vescovo di Coira,nella cui diocesi si trova Roveredo, ivi si trasportò il col-legio; al locale comprato si dovettero anche aggiungerenuove fabbriche per il refettorio, la sala da studio ed undormitorio, ma, ora, è subentrato un nuovo momento distasi, nonostante che nell’anno scorso ben quarantacin-que fossero i collegianti. Speriamo che la ferrovia a tra-zione elettrica, che si sta costruendo attraverso la ValMesolcina, abbia ad infondere nuovo sangue nell’anemi-co corpo, facilitando le vie di comunicazione.

Nel 1903 vi fu aggiunto un tenimento, per farne unascuola pratica di agricoltura, ma, il non interessamentodei valligiani, costrinse a chiuderla. Siamo certi chequello che la Divina Provvidenza sarà per ispirare a chidirige queste opere, avrà a scopo il rifiorire di questa,non ultima fra le case nostre.

Nel 1899, pure a Roveredo, si fondò il Ricovero del-l’Immacolata per cronici e deficienti nella casa Scalabri-ni, concessa gratuitamente. Dapprima fu sì bersagliato eprivo di soccorsi e con sí pochi ricoverati, che sembra-va minacciar ruina al suo nascere, ma gli ostacoli furo-no felicemente superati per la fermezza e costanza del

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superiore don Guanella. Passata la burrasca, comincia-rono ad affluire ricoverati e, nel 1902, lo si dovette tra-sferire nei locali ove prima era il collegio, ove ora pro-spera ed è veramente una benedizione, unico come è intutta la Mesolcina. Attualmente ricovera una cinquanti-na di poveri abbandonati.

Ivi pure le nostre suore hanno, per la seconda vol-ta, riaperto un asilo e pare che anche questo abbia adavere lunga vita frequentato, com’è, da una cinquantinadi ragazzi. Le suore tengono pure una piccola tipo-grafia, ove si stampa il giornale conservatore della valleIl S. Bernardino, nella redazione responsabile del qualeperò non entra nessuno dei preti del collegio.

L’11 settembre 1890 a Bellinzona veniva, in una in-surrezione, promossa dai radicali massoneggianti del Ti-cino, assassinato il consigliere conservatore avvocatoLuigi Rossi, martire insieme e della fede e della patria;la madre di lui Franceschina Maderni, aveva nella pa-tria, Capolago, iniziato un asilo infantile ed eretto ungrazioso oratorio in memoria del suo caro Luigi. Ellavoleva affidare a mani sicure questi due suoi amori, pri-ma di andare a ricongiungersi ai suoi cari, lassù in Pa-radiso. Affidò pertanto l’opera a suore venute da Roma,ma per la difficoltà dell’ambiente, ricordiamo che Capo-lago fu rifugio dei fuorusciti dal 48 al 59 e che ivi abi-tarono varii noti agitatori, fra i quali il Daelli e, per al-cun tempo, Mazzini, dovettero ritirarsi. Don Guanella,invitato, accettò, nel 1899, l’impegno, e subito nella ca-sa Rossi, intitotata a S. Luigi in memoria dell’eroe diBellinzona, continuò l’asilo infantile, e vi iniziò un rico-vero e un oratorio festivo con immensa soddisfazionedell’ammirabile donna, la quale circondata e assistitadalle suore e dallo stesso don Guanella, a 74 anni, ces-

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sava di vivere il 13 gennaio 1901, tra il compianto ge-nerale, strappando elogi sentiti anche agli avversari.

Ora resta che Capolago, la gentile cittadina sullesponde del Ceresio, apprezzi la beneficenza di cui gode,le presti mano e la sostenga per uno sviluppo maggiore.

A pochi chilometri da Chiavenna, di fianco precisa-mente a Villa, s’apre un’estesa vallata, la Val Bregaglia.Il paesaggio è incantevole: le pinete costeggiano la stra-da carrozzabile maestose fantastiche, affascinanti salenti,su su, fino ai piedi dei ghiacciai. Dopo Castasegna si in-contra Promontogno, stendentesi ai piedi del ghiacciaiodella Bondasca, bagnato dalle acque del Bondasca chepassando sotto il ponte di Merlun, tetro, terribile e pursì bello, si getta nella Mera, scendente dal Maloja. Pro-seguendo nel cammino, sempre suggestivo e bello, an-che quando diventa orrido, si trova Vico-soprano perdu-to in mezzo alle pinete, dominante un punto pittorescodella valle, la quale, del resto, presenta nuove bellezzead ogni passo. Al di là, incomincia l’Engadina, sì famo-sa agli escursionisti nazionali ed esteri. Mentre l’Engadi-na da mezzo secolo si era desta ed aveva aperte dueChiese cattoliche a San Moritz ed al Maloja e vi avevadue sacerdoti, la Val Bregaglia, da 350 anni, era, religio-samente, un deserto perché le Chiese erettevi una voltadai cattolici, sono convertite in templi protestanti. Gran-de quindi la necessità di almeno una Chiesa in quei luo-ghi, necessaria la presenza di un sacerdote, per conser-vare quelle famiglie cattoliche che, quasi oasi in un de-serto, avevano conservato la loro fede in mezzo a tantipericoli, a tante insidie.

Il vescovo di Coira, congratulandosi con don Gua-nella per la fiorente missione di Splügen ed Andeer, glicercava aiuto per provvedere alla Val Bregaglia. Il pove-

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ro prete disse al Vescovo: «se l’Eccellenza Vostra fa unaprima offerta, il Signore farà il resto, ed io son quipronto a servirla». Come non provvedere al bisogno di400 cattolici che, dal tempo della predicazione del Ver-zerio, nel 1560, atterrate tutte le croci che si ergevanosulle chiese, erano rimaste senza sacerdote? Dio troppoevidentemente voleva quell’opera, ed aiutata dagli uomi-ni ancor essa fu compiuta.

Nel 1900, mercé i buoni uffici di Giuseppe Ghiggi,negoziante in legnami nel paese, si aperse una bella ca-sa a Promontogno, adattando la camera più vasta comeoratorio. Nel 1902 si gettarono le fondamenta di unaChiesa, in muratura, capace di un quattrocento persone,dedicata a Maria Immacolata, e fu solennemente bene-detta il 12 giugno 1904 ed aperta al culto, incontrando-si una spesa di ben 12.000 lire.

Ma, intanto che si provvedeva a Promontogno, nonsi trascurò Vico Soprano, distante da quello circa settechilometri, ivi si provvide con la costruzione di unaChiesa in legno, capace di un 300 persone, dedicando-la al Sacro Cuore di Gesù, benedicendola il 4 agosto1901. Voglia il Divin Cuore, venuto in terra per infon-dere calore e fuoco, ritornare a sé quelle vallate, dal-l’eresia a lui strappate. Ma, anche là si sente la neces-sità di sostituire la Chiesa in legno con altra in mura-tura, onde meglio provvedere alla assistenza anche delmolti operai italiani, ivi accorrenti per i lavori estivi. IlSignore provvederà.

Un sacerdote della Casa della Provvidenza assiste ledue Chiese, ed accudisce all’istruzione catechistica ed aibisogni spirituali nei due paesi, anzi in tutta la vallata.

La missione di Promontogno è vicinissima al grandealbergo Bregaglia, dove affluiscono molti italiani, quindicattolici; è a un chilometro dal nuovo ospedale, fondato

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dalla munificenza della compianta Baronessa di Castel-mur, che lasciò all’uopo oltre 100.000 franchi; questanobile donna volle che l’ospedale fosse aperto ad am-malati di ogni confessione, è quindi anche un rifugio,nella malattia, ai nostri operai italiani, i quali voglionoessere assistiti dal sacerdote cattolico. Ora, se non vifosse la modesta stazione cattolica di Val Bregaglia,quanti poveri cattolici morrebbero senza una parola direligioso paterno conforto!

Il Signore, benedica e prosperi queste missioni e netenga lontane le bufere devastatrici.

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NEL VENETO

Nel congresso Eucaristico di Venezia del 1897 suaeccel. mons. Callegari, vescovo di Padova, Presidentedel Congresso, con belle parole, annunciò il gran beneche faceva, nella Lombardia, nella Svizzera e nel Piemon-te, allora era aperta una casa, un asilo-ricovero a Ghiffasul lago Maggiore, che, per le insuperabili contraddizio-ni, si dovette poi chiudere, la Piccola Casa della DivinaProvvidenza, e fece voti perché anche nel Veneto, inquella città specialmente, ove più impellente se ne sen-tisse il bisogno, l’opera si diffondesse e mettesse radici.

Il voto, doveva restare voto per ben tre anni e, solonel 1900, fu possibile incominciare una casa.

Nel 1898, nella Pia Casa dei Poveri a Milano, si pre-sentava una sera al direttore l’arciprete di Villadose, indiocesi di Adria, don Ferdinando Geremia, per racco-mandargli un prete paralitico ed un altro cronico, i qua-li, benché santi, furono occasione di molto merito a chili assistette. Siccome da cosa nasce cosa, così, dal rico-vero accordato ai due sacerdoti impotenti, ne venne ilcollocamento di alcuni chierici della casa nel seminariodi Rovigo. Il nostro Direttore, nel suo viaggio per pre-parare il posto ai chierici, fece la conoscenza di donUgo Cappello e di don G. B. Baroni, i quali s’accorda-rono con lui per una fondazione a Fratta Polesine. Ildon Baroni, fatto poi monsignore da Leone XIII e ri-confermato da Pio X, diede del suo e, nel novembre del

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1900, si poté comperare un palazzo patrizio ed alcunecase coloniche con unito un vasto tenimento.

Sul principio molte furono le contraddizioni, per par-te dei creditori in causa di alcune clausole del contratto,ma poi, vista l’energia e la fermezza del Guanella, dovet-tero sloggiare; di modo che, il 5 gennaio 1901, mons. An-tonio Polin, vescovo di Adria, benediceva solennementeil nuovo ricovero bene auspicando all’opera. La benedi-zione del Padre e Pastore non poteva non portare i suoifrutti; si resero necessari dei lavori di adattamento, nuovecostruzioni furono innalzate per renderlo sempre miglio-re. Le oblazioni dello stesso mons. Vescovo, quelle dimons. Baroni, che volle rinunciare all’arcipretura di Villa-nova del Ghebbo, ove era parroco da ben 48 anni, per ri-tirarsi in quella casa, che ben poteva dirsi sua, ed ove fecela morte del giusto il 3 marzo 1906, le buone disposizionidell’arciprete locale e delle varie autorità paesane porta-rono tale casa ad uno stato di floridezza, che, tanto mo-ralmente che materialmente, è una delle case della DivinaProvvidenza, meglio provvista: e ben centocinquanta so-no le persone, che ricevono aiuto e soccorso in quella ca-sa, dedicata alla Sacra Famiglia. Sia ringraziato Dio che là,come ovunque, fece piovere larghe benedizioni de rorecoeli et de pinguedine terrae.

Ma la carità di don Guanella non è esclusiva, e peròvolle che le suore vi aprissero un asilo infantile; volleche il sacerdote assistente, coadiuvato dallo zelante arci-prete Peretto, aprisse un oratorio maschile, uno dei pri-mi aperti nel Polesine: questo è frequentato da un cen-to ragazzi, mentre l’oratorio femminile raduna, ogni do-menica, altrettanto numero di ragazze. Le nostre suoredirigono pure l’asilo del Paolino e quello di Villanovadel Ghebbo, eretto in memoria di mons. Baroni.

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Se i buoni non lasceranno mancare il loro aiuto, mag-gior bene ancora si farà per la piaga che si stende tral’Adige ed il Po, piaga alla quale ci congiungono, constretto nodo, tanti motivi di amore, di riconoscenza.

Lo zelante arciprete di S. Cassiano del Meschio, co-mune di Cordignano, in quel di Treviso, vero padre deisuoi parrocchiani, circa cinquemila, pensò di consacrarel’alba del secolo XX, coll’erezione di un ricovero per ivecchi, d’un asilo infantile, e di un oratorio femminile.Colla cooperazione del popolo, sussidiate dalle nostrecase, le opere furono fondate, e il Sommo Pontefice leaccolse sotto la sua protezione, e accordò che sorgesse-ro col titolo glorioso di Ricovero Pio X. Il 5 marzo 1905fu fatta l’inaugurazione dell’opera, con grande concorsodi parroci circonvicini e di numeroso popolo. La fun-zione fu tenuta da mons. vescovo, Sigismondo Brando-lin, che volle, non ostante i suoi ottantadue anni, tenereun discorso laudativo del novello ricovero. L’arcipretene cedette la proprietà alle opere della Divina Provvi-denza, che ne è riconoscentissima.

Da cosa nascendo cosa, il nostro sacerdote, ivi resi-dente, tiene anche un piccolo Circolo di studi sociali edora vi à aggiunto un oratorio maschile, abbastanza fre-quentato da quegli allegri ragazzi.

Dopo molte insistenze da parte di mons. Polin, ve-scovo di Adria, l’anno scorso, si assumeva la direzionedel patronato Regina Elena in Adria, dallo stesso Monsi-gnore eretto per il bene dei figli del popolo. PreghiamoDio che prosperi il patronato e dia affetto di padre achi ne è capo, onde acquistata la libertà necessaria allenostre opere. Libero da qualsiasi difficoltà, abbia a farequel bene, che da lui si ricerca.

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PIAN DI SPAGNA

Dal Veneto ritorniamo alla Lombardia per vedervifondare e fiorire nuove opere: delle quali principalequella della colonia del Pian di Spagna, in confine tra leprovincie di Como e di Sondrio.

Percorso il lago di Como, bello, ridente, la cui ariabalsamica ricrea e risana, si giunge all’estremo lembo,dove il Lario riceve dall’Adda le acque che lo formano.Ivi una landa sterminata, acquitrinosa, sterile, malsana,pare sia posta lì per contrasto del quadro, quasi vendet-ta della natura, e l’animo si stringe per una profondatristezza.

Fin da quando giovinetto, scendeva dalla natìa mon-tagna per recarsi a studiare a Como, il Guanella, attra-versando il Pian di Spagna, pensava con vera angoscia aquell’abbandono, mentre una falange d’uomini e di fa-miglie intere emigrava nelle lontane Americhe, per col-tivarvi altri terreni malsani forse, e meno fecondi! Equell’angoscia ficcava nel cuore del povero studente unsospiro, un desiderio, un germe che, più tardi, avrebbefruttato un ardito tentativo che fu creduto utopia, e chel’esperienza ha mostrato, coll’evidenza dei numeri, oltre-modo opportuno, anzi provvidenziale.

Il sospiro rattenuto per quasi mezzo secolo, uscì li-bero dal cuore dell’uomo avvicinantesi ad una floridavecchiezza, quando, nel luglio 1900, gli fu dato di com-perare l’unica casa del Piano, denominata Castella, e

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500 pertiche milanesi di terreno incolto in quella landaspregiata. E prima che il 1903 scendesse nel passato,quegli stagni d’infezione, quelle dune di sabbia eranogià ridotti a campi promettenti, ad ortaglie ed a prateriecapaci di mantenere venti mucche ed alcuni cavalli.

Ma ivi la coltivazione non è soltanto profittevole co-me agricoltura, ma come vero, incontrastabile beneficiomorale; poiché sotto la direzione del prete, che ad Olo-nio è parroco, amico, maestro degli abitanti limitrofi,poverissimi e pressoché abbandonati, sono impiegati datrenta a quaranta semi-deficienti, i quali, trovandosi im-piegati ad un lavoro, per quanto sia lento e materiale, sisentono riabilitati, e vengono a partecipare della vita at-tiva degli altri uomini.

Vedere quei poveri scemi tirare la loro carriola, osmuovere le zolle, pare ed è forse un miracolo, da di-sgradarne i fisiologi, i quali vanno declamando contro lamiseria morale dei cretini, e non pensano che, occupar-li in quella misura e in quella forma di cui sono capaci,è l’unico mezzo ed infallibile, per migliorare la loro con-dizione e restituirli alla società.

Il prosciugamento delle paludi circostanti, ha toltoalmeno in parte la malaria; ma poi le reticelle metallicheapplicate alle finestre, e le pillole Grassi contro le esa-nofele, preservano prete, suore e ricoverati da ogni in-fluenza malarica. Così i poveri Trappisti avessero posse-duto questi correttivi!

Mentre si pensava al bene materiale di quei poveriinfelici, ivi ricoverati, non se ne doveva trascurare il la-to religioso, e però, nell’anno stesso della compera, sicostruì una Chiesa provvisoria in legno, che venne poisurrogata da altra in muratura. S’innalza nel terrenostesso dove siedeva un giorno fiorente la borgata diOlonio, scomparsa, nel 1450, sotto le alluvioni che han-

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no disertato ed invaso l’antico ubertoso Plan di Spagna,e lo hanno mutato in una steppa. La Chiesa si ergebianca in mezzo alla verzura dei campi, coltivati a fru-mento ed a prati; essa è a tre navate, in puro stile lom-bardo, con le vetrate istoriate, sul disegno di quella, inMilano, di S. Vincenzo in Prato; il disegno fu dato dalnobile architetto ing. Sartirana da Glussano. La Chiesavenne solennemente benedetta, il 15 maggio 1905, damons. Polin, vescovo d’Adria, che volle sobbarcarsi allungo viaggio, nonostante l’inoltrata età, per dimostrarela benevolenza che nutre per le opere di don Guanella.

La Chiesa, nello scorso anno incominciata a dipinger-si dal prof. Jamucci dell’accademia di Brera, che già neltrittico dell’altar maggiore figurò tre santi valtellinesi, An-tonio Lerinense, Fedele e Domenica di Samolaco, enell’abside il buon Pastore con le pecorelle, è dedicata aGesù Salvatore, e il villaggio, che già accenna a formarsicolla costruzione di diverse case, all’antico risorto nomedi Olonio, aggiunge quello augustissimo di S. Salvatore,per dedicargli il secolo XX sotto i cui auspici è sorto.

L’intersecamento di cinque strade importanti, pro-vinciali, comunali e internazionali, favoriranno certa-mente lo svilupparsi della Colonia, davanti alla qualepassa la via ferrata.

Il Congresso lombardo del 1900 applaudì l’iniziatabonifica, la Cassa di Risparmio di Milano la incoraggiòripetutamente, e il Regio Ministero conferiva a don Gua-nella la medaglia d’argento per i lavori eseguiti. Non eracerto il premio in denaro desiderato da lui, che lo anela-va per convertirlo in pane e vesti pei semi-deficientidella colonia; ma via, una medaglia d’argento ai giorninostri, ad un prete umile, modesto, ha un’alta significa-zione che nessuno può disconoscere: quello che egli hafatto è opera buona, civile, eminentemente caritatevole.

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I comproprietari del Pian di Spagna, pur vedendo iloro terreni crescere ogni giorno di valore, per la boni-fica fatta dall’opera della Divina Provvidenza, sono tar-di a concorrere alla bonifica stessa, per una diffidenzanon giustificata. È però da sperarsi che convinti final-mente dall’evidenza e dall’alta, indiscutibile approvazio-ne del governo ai lavori di bonifica, diano mano adun’opera che, nel risanamento del Pian di Spagna, nonha cercato né veduto una speculazione, ma ha avuto ilduplice scopo:

1. di restituire agli agricoltori un terreno fruttifero esano, e così porre un argine all’emigrazione che rovinal’Italia tutta, in ispecie la bassa Valtellina;

2. di tentare la riabilitazione dei semideficienti, ap-plicandoli ad un lavoro proporzionato alle loro forze edalla loro capacità limitatissima, e vi riesce benissimo.

Compimento della colonia di Olonio S. Salvatore èla latteria sociale alla Sorretta, sul monte Spluga, ove siconducono d’estate i nostri bovini e dove la casa tienepascoli e case di sua proprietà; l’idea di questa latteria,gettata l’anno scorso, ebbe quest’anno compimento, congrande vantaggio anche dei pastori, che, su quel monte,conducono le loro bestie all’alpeggio.

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MENAGGIO

Nel medesimo anno della fondazione della Colonia,nel 1900, condottavi da un filo ascoso, la casa della Divi-na Provvidenza, si trovò padrona di una graziosissima vil-la, con annesso esteso parco, e di alcune altre case, in Me-naggio sul lago di Como. La villa è un elegante châlet,fabbricato ad Interlaken, in Svizzera, e premiato al-l’esposizione di Parigi, e poi trasportato sul luogo a pezzi,villa che si intravede dal lago in mezzo agli olivi, donde ilnome di Asilo degli Ulivi, che ancora conserva. È divisoin due parti, unite da artistico corridoio in legno, sor-montato da una torretta, dalla quale si gode la vista la piùincantevole di quel bacino del lago, detto giustamente co-sta d’oro; là di contro i monti che dal Legnone, per laGrigna, vanno giù a congiungersi col Resegone; la peni-sola di Bellagio che divide in due rami il lago, dietro lespalle il Calbiga, il Bregagno, e tra mezzo si indovinano imonti di Valsolda sul Ceresio, e, in riva al lago, giardinitutti cosparsi di fiori, seminati di leandri, di olivi, di vi-gne, di limoni, di tutto ciò, in una parola, che forma lavegetazione dei più dolci climi, che vanno poi su ad unir-si alle alte immense praterie, e, qua e là, ville civettuole evillaggi ridenti: bellezze veramente impagabili.

Ed in quel luogo di continua primavera, che sembrabaciato dal bacio di natura vergine, una cinquantina diricoverate, tra le quali persone civili decadute ed infer-miccie, conducono la vita benedicendo alla mano gene-rosa e benefica che loro apprestò tale ricovero.

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ARDENNO MASINO

Nella primavera del 1900, prima di partire per Ro-ma, mons. Valfrè vescovo di Como, benedisse don Gua-nella a patto che, per un certo tempo, non pensasse anuove fondazioni. Ma non appena il Guanella fu torna-to dalla città santa, mons. Valfrè lo chiamò a sé per sol-lecitare da lui, non una, ma due fondazioni per defi-cienti in Ardenno, una maschile, femminile l’altra.

Questo fatto consolò non poco il Direttore, il qualevide come il Vescovo, vera voce della Divina Provviden-za, non aveva punto ostacolato l’opera di Dio, ma ap-pena avvisatala, obbediente, la veniva indicando a chisentendola nel cuore, se ne stava cheto sotto l’obbe-dienza del suo vescovo.

Obbedendo al suo vescovo, esaudiva anche uno deivoti più ardenti del suo cuore, venendo in aiuto alla suaamata Valtellina, aiutandola nella redenzione dei più chetrecento cretini che la percorrono d’estate in tutti i lati.Circa 30 anni prima aveva meditata quest’opera il pre-vosto di Dazio, don Giovanni Battista Acquistapace, manon ne aveva concluso nulla, don Guanella tentò un ri-covero; ed in breve tempo, alla fine di quell’anno stes-so, in Ardenno, coll’aiuto del proprio fratello don Lo-renzo, prevosto vicario foraneo, passato al cielo il 25 lu-glio di quest’anno, e con una mano di sua Eccellenza,acquistò il palazzo Buzzoni per collocarvi i poveri sce-mi, e il palazzo De Simoni per le deficienti. Ebberoqueste due fondazioni molte contrarietà sia dalle auto-

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rità diffidenti, sia dai genitori e parenti degli infelici, chepreferiscono vederli patire e vagare per le campagne ole strade in cerca di elemosina, col fine, forse, di appro-fittare di quell’accattonaggio loro stessi.

Auguriamoci, che, lasciata da parte una malintesaeconomia ed una odiosa diffidenza, tutti abbiano a fa-vorire queste due istituzioni, il cui bisogno è sentito daogni animo ben nato.

Le suore addette a quell’Opera, sì degna di commi-serazione, in locali distinti, tentarono anche un asilo in-fantile e vi dirigono un oratorio festivo.

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LIVRAGA

L’uomo si agita e Dio lo conduce: come deve il donGuanella non acconsentire ad una fondazione quando,al giudizio dei prudenti, pare che Dio la voglia, e le cir-costanze danno ragione a questi consigli?

Nell’agosto del 1901 si presentavano a Santa Mariaalla Binda due sacerdoti, per farvi ricoverare una semi-demente, almeno in via di prova: uno dei sacerdoti era ilprevosto di Livraga in diocesi di Lodi, don Sante Peviani,che si offerse a tenere un corso di esercizi alle suore. Men-tre dettava gli esercizi, espose il progetto di erigere una ca-sa nella sua parrocchia, ma ricevette un rifiuto, per man-canza di personale; però egli non si diede per vinto, e sog-giunse nel partire: «chiedete e otterrete, ed io vi dico chevoi verrete a insediarvi nel mio paese come io chiedo».

In breve dopo una nutrita corrispondenza epistola-re, si recarono a Como i coniugi Vanazzi, ad esibire lapropria casa, che, un tempo, fu monastero e poi colle-gio. Don Guanella, quasi per togliersi l’importunità, sirecò sul luogo, ed una volta là, non poté esimersi dalcedere alla pressione, nella quale aveva parte mons. Ro-ta vescovo di Lodi. Convenuto il prezzo in rate annuali,il 4 novembre dello stesso anno, si apriva la nuova casa,con grande giubilo di quella ottima popolazione.

Ivi le suore dirigono un ricovero femminile, unascuola elementare superiore, un oratorio festivo ed unnumerosissimo asilo infantile.

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ROMA

L’opera della Divina Provvidenza, passata da Pianel-lo a Como, poi a Milano, indi allargatasi, come dietro siè visto, in Lombardia e nella Svizzera, sentiva il bisognodi riposarsi all’ombra del Vaticano, quasi per attestare lasua cattolicità.

Fedele però ai precetti dei suoi superiori, di noncercare di espandersi, si celava nel cuore il segreto desi-derio, timoroso che questo, come l’altro del Plan diSpagna, non potesse essere esaudito che dopo mezzo se-colo di aspirazioni. Invece Iddio colmava senza moltoindugiare i voti dell’umile Direttore, ed ecco come.

Allo scopo di impiegare nell’agricoltura giovavanetti,pericolanti nella fede e nel costume, col pieno gradimen-to dell’immortale Leone XIII, alcuni canonici e patriziromani avevano fondato a Monte Mario una colonia sot-to il titolo di S. Giuseppe. Ma la coltivazione di 28 ettaridi terreno e la direzione dell’Istituto, riusciva di difficiledisimpegno, e non si sapeva a quali mani fidarla.

La Provvidenza volle, con vie nascoste, affidarla adon Guanella. Nel 1902 questi si recava pellegrino inTerra Santa e, durante il viaggio, interrogato, diede infor-mazioni delle case fondate a mons. Radini Tedeschi, prin-cipalmente della colonia del Pian di Spagna. Era trovatol’uomo che occorreva per rilevare in proprio la colonia diS. Giuseppe a Monte Mario, e, nel maggio del 1903, donGuanella faceva regolare acquisto del terreno e della fon-

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dazione come si trovava. Il 19 ottobre seguente la casadella Divina Provvidenza cantava il Te Deum, per averpotuto stabilirsi all’ombra del Vicario di Cristo.

Immediatamente fu posto mano a migliorare la co-lonia con importanti lavori e con razionale concimazio-ne: dotata copiosamente con l’acqua Marcia, la miglioredi Roma, ampliato l’alloggio, fabbricato uno stallone,prometteva bene, ma don Guanella, non contento delle27 ettari già comperate, ve ne aggiunse altre 9, con ca-se civili e rustiche e con buona fornace, nel settembredel 1904, stendendosi così la colonia sino al nuovo da-zio, ossia ai forti della città.

Anche a Monte Mario allo scopo agricolo si aggiun-se l’altro, umanitario, di impiegarvi utilmente i giovaniricoverati ed i semi-deficienti, come, nella colonia diS. Salvatore.

L’insediamento maschile di Monte Mario reclamavaun istituto parallelo per le donne. Mons. Bertolini offrìla villa degli Arcadi nel settecento donata a questi daGiovanni re di Portogallo ornata da Gregorio XVI, ani-mata già da letterati insigni che ivi si adunavano per te-nervi le loro erudite riunioni ed ora abbandonata.

Davanti alla villa, già sontuosa si apre un largo emi-ciclo protetto dagli alberi fronzuti del Bosco Parrasio:zampilli di fontane alimentati delle acque copiose dellafontana Paola, ricreano ed irrigano gli orti che dentro ilrecinto si coltivano. Si ottenne il godimento della villa,verso una modica annualità e serve ora di ricovero fem-minile. Ricovero provvisorio perché le opere della prov-videnza per prosperare hanno bisogno di casa propria,indipendente.

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ARCEVIA

Nel 1903 mons. Cucchi, vescovo di Sinigaglia, volleintestati i sacerdoti dell’opera della Divina Provvidenzanel legato Franceschini ad Arcevia. È questa una ele-gante cittadina marchigiana, dalla forma di barca che hadietro i monti nevosi dello Strega e di Catria, sul qualesi scorge il monumento a Cristo Redentore e davantivede spiegarsi, pianeggiante, la campagna fino al mare.Subito ci si impiantò un istituto-ricovero ove sono rac-colti orfani ed altri ragazzi che frequentano le scuoleelementari e tecniche, trovando nell’istituto un ottimaeducazione civile, morale e religiosa. Poco fuori di cittànell’anno 1904 fu acquistato una tenuta ove sorge unacolonia agricola, che viene coltivata dagli orfani che han-no compiuto il corso elementare. E sarà una vera be-nedizione per quelle popolazioni, quando quei giovanipotranno spargersi e fare apprezzare il frutto dei lorolavori.

Quando l’istituto avrà vinta quella diffidenza, pro-pria dei paesi marchigiani per tutto ciò che non è tradi-zionale ed arcaico, potrà fare molto bene.

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QUA E LÀ

Oltre alle fondazioni di cui si è parlato, la Casa del-la Divina Provvidenza, si presta pure ad altre opere,quando vi sia chiamata da chi rappresenta l’autorità edil volere di Dio.

Così consigliatavi dall’eminentissimo cardinal Ferra-ri, accettò la direzione e la proprietà della Casa asilocon arte professionale, al quale già fu aggiunto anche unricovero, in Barzio di Valsassina: si dirigono gli asili diS. Ambrogio Olona, Rongio, Montorfano, Lurate Abba-te, Bosco Val Travaglia, Rescalda, e quello di Bruzzanocon arte professionale.

In provincia di Pavia le nostre suore dirigono, conpiena soddisfazione delle popolazioni, gli asili infantilidi Miradolo, di Costa dei Nobili, di Filighera e quello diCarpignago con arte professionale.

Mons. vescovo di Bergamo benedisse l’Opera dellesuore nell’asilo-oratorio e laboratorio serico in S. Paolod’Argon. Le suore si prestano pure al servizio dell’ospe-dale di Abbiategrasso e in quello di Gatteo, in diocesidi Cesena.

Per il reiterato invito di mons. vescovo di Coira,don Guanella permise ad un suo sacerdote che assu-messe la parrocchia di Lostallo nella Mesolcina, nel can-ton Grigioni; ivi passa la sua vita edificando quei buonipaesani, cercando condurli alla patria celeste.

Sollecitato dai suoi compaesani, don Guanella intro-

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dusse a Campodolcino alcune arti professionali, fra cuiil pizzo al tombolo e le trecce per cappelli di paglia, perimpedire l’emigrazione delle fanciulle, e quindi allonta-narle dal pericolo di perdere la fede e la cara semplicitàdei costumi. Don Guanella avrebbe voluto allargare ilcampo della beneficenza nel suo paese, non gli venneconcessa piena autonomia, quindi benché a malincuore,si ritirò, quando l’opera, già avanzata, poteva egualmen-te proseguire da sé.

Invitato dal vescovo si recò a Fano per imprenderviun’opera in vantaggio degli artigianelli; senonché, trova-tivi elementi poco confacenti, credette miglior consiglioritirarsi prudentemente, benché gli penasse di abbando-nare un campo largo, profondo, pieno di necessità tan-to nell’ordine morale quanto nel materiale.

Gli istituti di indole religiosa, come gli alveari, han-no bisogni propri, e debbono regolarsi collo spirito ecolla indole loro propria. Quando vengano ostacolati, orispondono male al loro scopo, o. vengono meno e pe-riscono miseramente.

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QUEL CHE SI FA

ACCETTAZIONE

Scopo della istituzione di don Guanella è, soccor-rendo le umane miserie, salvare le anime. Diceva un ce-lebre Barnabita che parlare di Vangelo, di doveri, mora-li e religiosi, quando il corpo sente i grampi della fame,è pressoché tempo gettato, e però, in queste case, dopoaver dato di che satollarsi al corpo, si provvede anche ailoro bisogni morali e religiosi. Quindi se tale è lo scopo,naturalmente la carità vi è praticata con esercizio dimolteplici opere, le quali benché sembrino mal collega-te fra loro, servono invece egregiamente di appoggiol’una all’altra, essendo l’una compimento dell’altra.

Si ricevono i fanciulli bisognosi di ambo i sessi, nel-le varie separate istituzioni, dalla prima età ai 12 annicirca, per l’educazione ed istruzione, nel corso comple-to delle classi elementari. Compiuti gli studi inferiori,vengono iniziati nelle arti e mestieri, a secondo della lo-ro capacità e regola dell’Istituto.

Nelle case di Ardenno e nelle colonie agricole sonoricoverati i semi-deficienti, per dar loro pane, lavoro edinsieme riabilitarli, mediante un lavoro che non richiedagrande attenzione di mente, sibbene forza di muscoli.

Si accolgono persone adulte, affette da malattie cro-niche, e vecchi impotenti, d’ambo i sessi sotto una re-gola confacente alla loro condizione.

Le giovani, che si sentono chiamate a vita di perfe-zione e vogliono consacrare le loro forze in prò dei fra-

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telli, sono ricevute e curate con affetto speciale. I chie-rici poveri trovano nelle nostre case mezzo di poter con-tinuare gli studi filosofici e teologici, e, dedicandosi allacustodia dei ricoverati, possono apprendere la difficiledisciplina di reggere gli altri, sino a tanto che Dio loroapra le porte del Santuario, e siano fatti degni di ascen-dere al santo altare e poi servire l’Istituto. Anche giova-ni e uomini nel vigor dell’età, desiderosi di trascorrerela loro vita lontani dai pericoli e dalle seduzioni delmondo e che pur non sono chiamati a stretta regolarevita religiosa, qui trovano modo di soddisfare alla ne-cessità propria, esercitandosi, oltre che nella preghiera,nelle opere di cristiana carità.

Non si accettano però persone pericolanti o perico-lose perché volendo giovare insieme all’anima e al cor-po di tutti non si vogliono esporre le anime innocenti alpericolo di guastarsi.

Neppure si accettano persone affette da epilessia eda malattie contagiose; è sentito il desiderio di venirein aiuto anche di queste miserie che sovente sono lepiù urgenti ma finora la Provvidenza non ne ha spia-nata la via.

Così pure non si ricevono pazzi né semi-pazzi nonessendo le nostre case manicomi, né case di salute etroppi evidenti i pericoli ai quali si andrebbe incontrocon locali non adatti ad essi e con personale non istrui-to a questo pur sì caritatevole scopo.

Un altro genere di persone, di regola non sono ac-cettate nelle nostre case e sono quelle che desiderandofrequentare un arte o mestiere od anche gli studi fuoridi casa vi vorrebbero trovare pensione: troppi sono i pe-ricoli a cui si andrebbe incontro non potendo esercitaresu essi tutta quella vigilanza che pur sarebbe necessaria.

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Le condizioni di accettazione variano a seconda del-le diverse classi di persone per cui volendo far ricovera-re alcuno sarà meglio rivolgersi alla casa ed al compar-timento in cui dovrà essere accettato per riceverne pro-gramma. In generale però possiamo dire che è necessa-rio corredo da letto e personale; sono richiesti i certifi-cati di battesimo, vaccinazione, certificato di sana costi-tuzione fisica per i ragazzi e ragazze, certificato dellescuole fatte per quelli che frequentano le elementari edanche il certificato di buona condotta rilasciato dal Par-roco o da suo incaricato. Siccome poi molte volte suc-cede che il ricoverato o per la condotta o per la indi-sciplinatezza o per il carattere insopportabile non puòrimanere presso di noi così la persona che si rende re-sponsabile del medesimo deve provvedere al suo ritiroquando si avverasse uno dei detti gravi casi.

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VITA INTERNA

La vita che conducono i nostri ricoverati è vitaprettamente di famiglia, quindi si cerca di tirarli al be-ne facendo loro amare la virtù e odiare il vizio. Ilsistema preventivo, tanto lodato da ogni genere dipersona di qualsiasi partito e di qualsiasi religione, pro-duce anche qui tra noi dei buoni frutti, ma natural-mente, siccome il male ha più forza di trarre a sé chenon il bene, qualcuno alle volte deve essere anchecastigato, e, memori di quello della Scrittura qui parcitvirgae odit filium suum, si pon mano anche ai castighi,quando a nulla valgono le dolci ammonizioni e gliamari rimbrotti. Naturalmente dai castighi, e per prin-cipio e per regola, sono esclusi i castighi corporali che,invece di correggere, non servono che ad inasprire iragazzi.

Riguardo al vitto, è abbondante e abbastanza soddi-sfacente; naturalmente varia a seconda della famiglia, al-la quale appartiene il ricoverato, perché i vecchi ed in-fermi abbisognano di un buon trattamento, onde aiuta-re le già esauste forze. In generale si può dire che la co-lazione consiste in caffè e latte, o zuppa: il pranzo inminestra, piatto di carne o verdura, e, per chi ne abbi-sogna, vino; la cena come al pranzo: s’intende che panee minestra e zuppa sono sempre a volontà. Per il vittodegli ammalati si sta all’ordine del medico curante, alquale provvede ciascuna casa, non escludendosi però

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anche qualsiasi altro medico, nel quale abbia fiducial’ammalato.

Ma con il solo vitto non si provvede alla necessitàdell’uomo, questo ha bisogno anche di una occupazio-ne, e però ogni casa cerca provvedere, affinché i ricove-rati, vecchi o giovani, non abbiano a poltrire nell’ozio.

I ragazzi frequentanti la scuola non abbisognano dialtre occupazioni, ma, purché attendano ai loro doveridi scolaro, hanno la giornata già completa: al propositoosserviamo che le scuole sono interne, ma si segue ilprogramma delle scuole comunali in modo che, alla finedell’anno, chi vuole possa dare gli esami presso qualsia-si scuola elementare pubblica.

Quando i ragazzi abbiano soddisfatto all’obbligo dilegge, di frequentare le scuole sino ai dodici anni, ven-gono addetti a qualche mestiere, a seconda della loro in-clinazione, e non potendo noi provvedere a tutti, ne vie-ne che o si adattino ai mestieri ai quali provvede la ca-sa ricoverante, o vengano ritirati dai responsabili.

Nelle case di Como abbiamo tipografi, falegnami,calzolai, sarti, legatori ed addetti alle varie industrie dicartonaggio; in quella di Milano, calzolai, sarti, tipo-grafi, legatori e lavoranti in scatole; nelle colonie pos-sono trovare posto quelli che vogliono dedicarsi al-l’agricoltura per apprendervi si nuova scuola raziona-le di coltura. Sono pochi questi mestieri ben lo com-prendiamo, ma chi consideri che i mestieri costano unocchio a mantenerli in vita, e non danno alcun gua-dagno, dovrà almeno trovare per noi un pò di compa-timento.

Cerchiamo pure scegliere, da mezzo i nostri fanciul-li, i più buoni per condotta e che abbiano intenzione se-guire la carriera ecclesiastica, per avviarli a raggiungereil conseguimento del loro desiderio, avendo all’uopo

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stabilito appositamente, in quest’anno, un piccolo stu-dentato di latino, presso la Casa Madre in Como.

Le ragazze, oltre l’istruzione elementare, apprendo-no quelle cognizioni familiari, come cucito, rammendo,pulizia, far di cucina, che servono a preparare delle abi-li madri di famiglia; possono anche esercitarsi nel rica-mo, sì bianco che colorato, tanto su tela che su seta,possono lavorare al tombolo per fabbricare i merletti,alla macchina per maglieria; a Pianello frequentano unfilatoio, incannatoio; le orfane di buona volontà e dibuon ingegno, possono anche frequentare le scuolecomplementari e magistrali per averne delle buone mae-stre. Di quest’ultimo il numero è limitatissimo stante lapovertà delle case, che non permette spese superflue, eanche perché non si vogliono fare delle spostate o delleambiziose che, invece di esser poi di aiuto alle case o al-la società, ne sarebbero la rovina.

I poveri vecchi e vecchie lavorano ancor essi: chi at-tende a fare stuzzicadenti, chi dà una mano alla nettez-za, a ravviare le stanze, i cameroni, chi aiuta alla cucinaseparando e preparando i varii ortaggi, chi alla puliziadelle stoviglie, e chi non può far altro, o per età o perinfermità, attende alla preghiera.

E la preghiera è quella che veramente regna sovrananelle nostre case, le varie pratiche di pietà e di divozio-ne sono distribuite durante il giorno, in modo di servi-re di santo anello di congiunzione tra le varie occupa-zioni della giornata, e distribuite in modo da non tedia-re neppure i ragazzi, i quali, per solito, sono così sensi-bili e insofferenti alle preghiere lunghe. Così alla matti-na la S. Messa, in ora opportuna, riunisce tutti, grandi epiccoli, vecchi e giovani, e apre tutte le azioni giornalie-re; al dopo pranzo la visita in comune richiama tutti afare brevi e devoti atti di adorazione a Gesù nel Santo

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Altare; alla sera poi la benedizione Eucaristica chiude lagiornata. Come non dovrà Iddio non benedire e prov-vedere al nostri ricoverati, se, del suo nome, risuonanodi continuo le loro bocche per ringraziarlo, impetrarenuove grazie sì spirituali che temporali?

Nella preghiera non dimentichiamo i nostri benefat-tori; come potremmo dimenticarli se ogni giorno crescela lunga lista, se ogni giorno s’aggiungono nuovi anellialla già lunga catena? E preghiere speciali si fanno dainostri orfanelli, quando i benefattori si raccomandanoalle loro orazioni, ed allora pregano con maggior fervo-re; potrà Iddio non esaudire la prece che, dall’innocen-te loro cuore, va a battere al suo cuore? Non dimenti-chiamo i nostri benefattori morti e, oltre i varii uffici an-nuali che si celebrano durante l’anno nelle varie case,non manchiamo di pietosi suffragi, quando ci venga fat-ta nota la loro dipartita da questo mondo. Oh sì! Il be-ne che ci si fa materialmente, cerchiamo ripagarlo conaltrettanto bene spirituale.

Speciali pratiche di devozione, come sarebbero lameditazione, lettura spirituale, ora di adorazione ed al-tre, si fanno dai sacerdoti, dagli assistenti, dai laici, dal-le suore: di modo che ben possiamo dire che le nostrecase sono veramente case di Provvidenza, perché sonocase di orazione.

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LA DIREZIONE

La direzione generale è tenuta dal Fondatore delleOpere della Casa della Provvidenza, sacerdote LuigiGuanella, del quale ci piace qui riportare il ritratto qua-le si trova descritto nell’opuscolo più volte citato. È unreverendo piuttosto alto, di robusta corporatura, legger-mente ricurvo sotto il peso dei suoi 64 anni, che pur tut-tavia non dimostra, dalla testa un po’ calva, dalla frontespaziosa e candida, dagli occhi vivi, vivi, scintillanti, conlo sguardo a terra, fissa la mente in gravi pensieri, o vol-to a qualche persona, specialmente povera, con un dolcesorriso a fior di labbro. Chi, anche per una sol volta,parla con lui rileva subito, che, in quella testa, arde co-me un vulcano di sempre nuovi progetti; quella fronte,alta e serena, dice come egli si slanci impavido nell’azio-ne né l’arrestino gli ostacoli e le difficoltà; in quegli oc-chi, vivi e penetranti, direi pieni di dolcezza e insieme diuna non comune furberia, si scorge l’uomo che ha giàinteso e giudicato prima ancora che l’interlocutore apribocca. Né costui potrà far a meno di ammirarne il cuorgrande, pieno di carità per tutti, specialmente se poveridereletti. Il vivissimo e prontissimo carattere, sortito danatura potrebbe, talora di leggieri ingannare ma non sideve, per un momentaneo natural sfogo di sua vivacità,crederlo non fatto tutto a tutti.

Tale l’uomo che dirige tutte le opere: ma siccome dasolo non potrebbe arrivare né a tutto attendere, così usa

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nelle varie case dei suoi coadiutori e delle assistenti, chepur godendo nelle loro opere di una certa libertà diazione e di amministrazione, sono intimamente collega-te fra loro, precisamente come gli ingranaggi di una gi-gantesca ruota.

Le opere maschili sono in mano dei sacerdoti dellaDivina Provvidenza, che si intitolano Servi della Carità.Questi si aggregano sovente dei laici, purché siano solida-li nel vincolo della carità stessa, non solo una relativa feli-cità temporale, ma, che più interessa, un tesoro di felicitàper la vita eterna. Questi laici, poco numerosi ora, si sen-te vivo bisogno che aumentino, e farebbe opera di verafiorita carità, chi ne indirizzasse a noi, purché siano buo-ni ed abbiano volontà di far del bene. Molti giovani che,sentendosi vocazione a vita più perfetta dell’ordinaria,non possono, per un motivo o per l’altro essere ricevutinegli Ordini Religiosi, qui troverebbero una famigliasempre pronta a riceverli e fratelli pronti ad amarli.

Le opere femminili sono guidate e condotte dallesuore di Santa Maria della Provvidenza, vale a dire dallesuore della Casa, le quali già numerose, crescono sem-pre di più. Il Signore le aiuta a mantenersi umili, volen-terose e concordi nello spirito di sacrificio, lavorandociascuna nel campo assegnato. E così unendo la vita diMarta a quella della Maria passano i loro giorni sovve-nendo alle miserie altrui, coll’unico intento di consegui-re un premio che non fallisce né finisce.

Don Guanella però non vuole che si dica che egliè ritenuto il vero direttore delle sue opere, perché do-po Dio, egli dice, veri fondatori e direttori delle operedevono essere ritenuti i sacerdoti, i laici e le suore col-laboratori messigli al fianco dalla Provvidenza, poichésenza di essi che potrebbe fare? sta scritto: Guai a chiè solo!

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Un vincolo di azione e di fede è l‘organismo di que-sta società che si mantiene compatta da trentacinque an-ni, e pare destinata a vivere e crescere in avvenire.

Esclusi i brogli, le raccomandazioni e gli indirizzi diuna prudenza troppo umana, o di una previdenza egoi-sta, la società vive e prospera guardando in alto per ave-re la forza di sacrificarsi per sollevare l’umanità soffe-rente.

Come in tutti gli altri Istituti Religiosi, nella Casadella Provvidenza vi è un governo teocratico, poiché ivitutti pregano Dio e si sentono servi inutili; ma tutti siamano e si aiutano perché si sentono fratelli, figli tuttidi un solo Padre che sta nei cieli.

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MEZZI

Questo è il segreto di don Guanella, il quale dice,senza smentirsi mai: quando ci vogliono denari per il ve-ro bene delle anime, la Provvidenza li manda! Ed il fat-to conferma le parole, ma intanto la prudenza umananon ne capisce un ette.

Interpellato e rinterpellato il direttore dell’Opera inproposito, esso non risponde che di traforo con una se-quela di precetti che mi piace di riportare qui nella lo-ro integrità:

I. Bisogna sentire profondamente in sé e poterselamettere davanti alla immaginazione quasi già fatta,l’opera che si vuol progettare.

II. Bisogna invocare il consiglio dei superiori e deiprudenti, od almeno non averseli apertamente contrari.

III. Bisogna cominciare colle piccole prove, poichéchi va piano, va sano e va lontano. Ma non appena laProvvidenza apre la strada dinanzi, non si deve perdertempo, ma è necessario affrettarsi e proseguire nella via.

IV. È indispensabile avere la sicurezza morale dellavolontà di Dio, e questa basta a renderci non solo fidu-ciosi, ma sicuri. Queste sono le massime fondamentali.Qualunque opera si conduce a termine mediante unavolontà ferma ed efficace. Nelle opere nostre dobbiamoimpegnare tutte le nostre forze, del corpo, della mente,del cuore, come fanno anche umanamente coloro chevogliono riuscire in un impresa. La fabbrica nostra è la

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volontà ferma di fare la volontà di Dio. Il tetto che lacopre e la difende, è la piena e totale confidenza in Dio,senza di cui l’uomo nulla può efficacemente nel bene. IlSignore è per noi Padre buono, ed è impossibile, assur-do che lasci senza gli aiuti necessari i figli che confida-no in Lui. Ora i figli della casa, direttore, sacerdoti, suo-re e ricoverati, dopo di aver pregato di giorno e di seraProvvidenza di Dio provvedeteci voi, dormono tranquillile loro notti, e si levano lieti a riprendere le fatiche, lesperanze, e la dolce invocazione alla Provvidenza, nelgiorno che sorge».

Con questi precetti don Guanella pretende averciindicato il tesoro inesauribile donde gli vengono i mez-zi per fondare le sue case ed alimentare la vera popola-zione da lui ricoverata. E per corroborare la sua teoriariporta esempi senza numero, da S. Vincenzo de Paoli alCottolengo e a don Bosco.

Siccome però il proverbio dice «aiutati che Diot’aiuta» e inoltre, «chi ha è giusto che dia», così si è sta-bilito un tenue mensile, che vien pagato dai responsabi-li del ricoverato o dai Comuni o dalle Congregazioni diCarità o da altri corpi morali. Il raccogliere un poveroorfanello è un bene per l’individuo ed un sollievo per ilpaese suo, non è dunque giusto che, o il comune, oqualche ente morale sopporti la spesa meschina per ilsuo mantenimento? Qualora poi si consideri che, quasitutte, le Congregazioni di Carità si sono fondate inca-merando i beni delle soppresse confraternite e Congre-gazioni religiose, che precisamente tale scopo avevano disovvenire ai miseri, ne vien di natural conseguenza chedette Congregazioni di Carità, al che del resto sono ob-bligate anche per legge civile, contribuiscano al mante-nimento dei poveri e degli abbandonati del Comune,ove si sviluppa la loro sfera di azione.

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Altro mezzo di sussistenza, quello in cui veramentesi vede la mano di Dio e della sua Provvidenza, è la be-neficenza per via di donazioni o legati all’Opera. Alqual proposito leggiamo nel nostro giornaletto un im-portante articoletto dal titolo: «In un orecchio».

Taluno ci ha domandato se testando in favoredell’opera della Casa della Divina Provvidenza, avrebbefatto cosa buona e sicura, e a quella persona, signora di-stintissima, abbiamo risposto: «arcibenissimo perchél’Opera si allarga nella sua azione, e i mezzi difficilmen-te si allargano in proporzione».

Ma..., se vuole proprio giovar all’Opera e salvare illegato dalle angherie fiscali, non essendo le nostre casecostituite in ente morale, bisogna che ella lo faccia in fa-vore non dell’Opera, sibbene del Direttore Generaledon Luigi Guanella o di persona privata di piena fidu-cia, la quale poi adempia all’obbligo assuntosi, cosicchérisulti fatto non all’Opera, ma alla persona.

Questo discorso intimo lo ripetiamo a quello di tut-ti i nostri gentili benefattori che, come hanno fatto efanno tutto giorno altri in favore di opere consimili eforse meno bisognose, avessero in pensiero di fare deinostri poveri.

La migliore beneficenza sarà però sempre quella fat-ta in vita in quanto così non si pagano le forti tasse disuccessioni che assorbono ben più di un sesto del lega-to. Comunque però l’importante è che si faccia e noisiamo riconoscenti tanto a chi ci dà in vita quanto a chici lascia in morte.

Aiuto non disprezzabile porta pure alle nostre casela questua. Per principio contrari a questa, dobbiamotuttavia ancora tollerarla, perché grandi i bisogni, moltele neccessità e pochi quelli che si ricordano di noi. Vaquesto piccolo sciame di nuove Ruth, col debito permes-

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so delle autorità ecclesiastica e civile, a spigolare neicampi di Booz, d’uno in altro paese, lascino i mietitoricadere le spighe e lascino che le nostre Ruth le raccol-gano, senza minimamente molestarli. Esse porgono loroin compenso una fervente preghiera al Signore e, tuttisanno, che il Signore esaudisce i poverelli nel giorno incui a Lui volgono le pupille lacrimose, e fanno loro pre-sente di qualche copia degli opuscoli, della nostra tipo-grafia, che getteranno nel cuore dei lettori la buona se-mente, che un giorno porterà il suo frutto. Intendiamoche a questi chiari di luna la vista di povere monachelleper la campagna e per le cascine farà venire la senapeal naso a certi miscredenti ed a certi cristiani a modo lo-ro, ma pazienza, quelle suore non portano nella casa lamaledizione, ma si bene la benedizione di Dio. Si ispi-rino quelli che possono al generoso Booz e ritornino lenovelle Ruth con un grosso manipolo di spigolatura.

Altro mezzo di aiutare le nostre opere è quello diprocurare lavoro ai nostri fanciulli e alle nostre fanciul-le, il mantenere in esercizio le tipografie legatorie le cal-zolerie, le sartorie, l’esercitare le gentili mani nel tom-bolo per i pizzi, sui ricami, ci costa molto; il dar vita,procurando lavoro, a queste arti e mestieri non impor-terebbe alcuna spesa ai nostri amici, perché invece didare le loro commissioni ad altri, potrebbero darle anoi, sicuri che oltre lavoro buono, avrebbero anche unrisparmio pecuniario. Se dovessimo guardare all’utiledelle arti e mestieri, dovremmo chiudere le botteghe,ma il pensiero che, con essi, procuriamo un mezzo ainostri piccoli ricoverati di poi guadagnarsi onestamentela vita, ci fa continuare nell’impresa, sperando ancheche gli amici benefattori faranno in modo che le nostreperdite abbiano a diminuire, se non pure a cessare com-pletamente.

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Un utile non piccolo potrebbe venire alle case dellaDivina Provvidenza se venissero invitati i ricoverati agliaccompagnamenti funerari, mediante una piccola offertai nostri orfanelli, o le nostre orfanelle seguirebbero il fu-nerale aumentando così decoro al funerale stesso, e suf-fragando l’anima del defunto con le preghiere che reci-tano lungo il percorso. Vorremmo dire una parola amolti sacerdoti che ricevono l’incarico di invitare gli isti-tuti pii, si ricordino anche delle opere della DivinaProvvidenza, con poco loro incommodo possono aiuta-re materialmente e moralmente, col farle conoscere,opere che ne hanno veramente bisogno.

Anche il Quod superest dovrebbe dare un utile nondisprezzabile quando si consideri che altri istituti daquello ricavano ben ventimila lire annue. Consiste que-sta pia industria nel raccogliere in sacchetti fornitiall’uopo quello che sopravvanza nelle case: carta, strac-ci, ossi, bottiglie, ferri, libri vecchi, e simili cose che nel-le case non servono che a fare impedimento e portareimmondizie. Speriamo che questa idea gettata dal nostroDirettore un ben quindici anni fa, abbia a rendersi pra-tica e veramente utile.

Come si vede sono piccoli i nostri mezzi, piccoli mache pur benedetti da Dio, possono bastare a noi; noncerchiamo il superfluo, no, Dio non lo permetterà mai,ma che ci si aiuti a vivere e con noi far vivere molti in-felici che, altrimenti sarebbero esposti a infiniti pericolidi anima e di corpo.

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COOPERAZIONE

Il vedere i tanti mali e i tanti dolori che travaglianobuona parte dell’umana famiglia, fa sì che nelle fibrepiù riposte dell’anima si svolga un sentimento di pietà edi commiserazione più o meno gagliardo, secondo l’ele-vatezza e la nobiltà di chi lo prova, secondo la maggio-re o minore intensità dei mali o dei dolori, che vede oconosce, e secondo i vincoli, più o meno intimi, che lolegano ai sofferenti. Questo sentimento di pietà e dicommiserazione che scaturisce dalla natura, e però daDio che così ha creata la natura, serve a renderci inchi-nevoli a soccorrere chi soffre. Per molto tempo, sino aGesù Cristo, era stato l’amore del prossimo, ben dice ilCazzaniga, un precetto naturale, un sentimento filosofi-co, una necessità politica, ma, col cristianesimo, diventaun precetto religioso, la base stessa della convivenza e,nello stesso tempo, la condizione essenziale della reli-gione, anzi la religione stessa, perché lega gli uomini fraloro e gli uomini col Padre, che è Dio.

Gesù pone a fondamento morale del suo Vangeloun precetto nuovo «che gli uomini si amino l’un l’altro,come Egli ha amato gli uomini». Questo è il germe,esclama ancora il Cazzaniga, di tutte le opere pie, il pri-mo principio protoplasma di quegli istituti di là da ve-nire ma che matureranno nei secoli futuri, germe imma-nente nel precetto nuovo la carità.

Questo soffio vivificatore della carità, insegnato da

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Gesù, si allarga e si spande ovunque si stabilisce la suadottrina e sorge la sua Chiesa. Dalle catacombe, oveogni domenica si raccoglieva l’obolo per i poveri, per ivecchi impotenti, per le fanciulle pericolanti per ognisorta di disgraziati, ai Concilii generali, nazionali e par-ticolari, che, dopo essersi occupati della purità della fe-de, della santificazione delle anime, della disciplina ec-clesiastica, stabiliscono norme piene di sapienza intornoall’amministrazione dei beni della Chiesa e dei poveri,che a quell’epoca, sino a dopo il mille, si confondevanoinsieme, è tutta una scala ascendente veramente ammi-rabile. Così, presso le Cattedrali, gli Episcopi, i Capito-li, le Badie, i Monasteri, i Santuari, sorsero gli ospitali,gli orfanotrofi, gli ospizi per i pellegrini, i ricoveri peivecchi, per ogni maniera di bisognosi. Così proseguiva-si, lungo il passare dei secoli, ad esercitare quello cheGesù poneva a termini di paragone fra i suoi discepolie i seguaci del mondo.

Ma le idee profondamente irreligiose e sovvertitricidi ogni ordine, onde era informata la Rivoluzione Fran-cese fecero scemare prima e poi togliere completamen-te, l’azione della Chiesa nelle opere di beneficenza. Tut-te le opere pie, anche là dove le più esplicite dichiara-zioni dei testatori non lo permettevano, furono tolte al-la Chiesa, modificate, accentrate, trasformate, rimaneg-giate in cento modi, assorbite, ed anche interamenteabolite, deludendo così sempre il popolo. Così, qua e là,nella sua pastorale sulla beneficenza, da pari suo dicemons. Bonomelli.

La Chiesa non si smarrì in mezzo alle onde che ilpensiero anticristiano andava suscitando, come il forteabete delle eccelse montagne che, durante la tormentaalpina si piega, e china i suoi rami sotto il peso della ne-ve e del nevischio, ma poi rialza il capo forte e più ir-

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robustito a superare le altre che, senza fine, trescheran-no a lui d’intorno, essa continuò la sua strada avendo astella polare le parole di Gesù «amatevi a vicenda», ebenedisse e benedice, tutto giorno, a centinaia e centi-naia di pie istituzioni che si aprono in ogni parte delmondo. A tutte queste essa provvede colle elargizioniche i cristiani affidano alle sue materne cure: oh! il se-me divino, sparso nelle pianure della Galilea, dà fruttiammirabili e perpetui! il sacro fuoco, che i tristi cerca-no spegnere sotto la cenere, dà continui guizzi e tuttoincendia, a tutto si apprende, tutto pervade. E le anime,ripiene di questo sacro fuoco, si uniscono fra loro e co-stituiscono una forte falange, che tentano supplire a tut-te le deficienze, a tutte le mancanze. Sono poveri vecchi,ricchi signori, baldi giovani che portano il loro con-tributo, formando vaste associazioni che si moltiplica-no pur di arrivare a tutto: vere cooperative cristiane,che precorsero di diciannove secoli l’opera dei modernicooperativisti.

È a queste cooperative che noi ci rivolgiamo ondesovvengano anche le nostre opere: ognuno può inco-minciarne una, l’obolo di molti si riversi ad esso, egli neprocurerà l’invio alle nostre case. Ricchi e poveri posso-no concorrere alle opere di carità cristiana, parteciparedei meriti delle opere nostre. Chi si troverà in grado difornire mezzi per qualche nuova fondazione, chi diprovvedere per l’accettazione di qualche povero vecchioo vecchia, chi di qualche giovanetto o giovanetta orfani,chi per una colazione nelle solennità, chi anche solo perun vestito, per un capo di vestiario o di biancheria, perun pane; la carità è industriosa e di tutto si avvantag-gia: molti pochi formano un molto, e là, ove non puòbastare la poca forza di uno, arrivano le piccole forze dimolti.

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Su questo principio sono basate le nostre associazio-ni di Como, Milano e Roma, note sotto il nome di Da-me del Pio Consorzio delle opere della Divina Provviden-za. Il primo Consorzio fu fondato in Milano, sotto gliauspici di sua eminentissima il card. Ferrari, avendo asuo presidente mons. Carlo Brera, il 7 dicembre 1896ed ora è forte di ben 700 fra cooperatori e cooperatrici;sul finire del 1903 altro consorzio si è formato in Como,sotto il patrocinio di sua eccellenza mons. Valfrè, e vihanno dato il nome più di 600 persone; similmente l’an-no scorso altro se ne principiava in Roma con un centi-naio di benefattori e benefattrici; sino ad ora questo èpoco numeroso, ma tutto dà speranza che abbia ad au-mentare notevolmente.

Facciamo voti che lo zelo delle Pie Dame dei treConsorzi, sia fecondo anche di buon esempio e provo-chi la formazione di associazioni consimili a favore ditutte le Case della Provvidenza, poiché tutte sono biso-gnose di solido e continuo appoggio.

Se i mali sociali crescono a dismisura, non dovrà pa-rimenti aumentare l’opera di morale e materiale salva-taggio della società pericolante?

Chi poi si trovasse fuori la cerchia, ove si esplical’azione di questi tre Consorzi, può partecipare, a qua-lunque di essi, facendone domanda alla direzione dellacasa, ove si trova il Consorzio al quale desidera far parte.

Diamo gli articoli principali dello statuto del Con-sorzio di Milano, essendo quello degli altri presso a po-co uguale.

«Art. 3. Il Pio Consorzio ha lo scopo di aiutare efavorire, con mezzi morali e materiali, l’accrescimento eil benessere delle Case della Divina Provvidenza.

Art. 4. Il Consorzio si compone di signore in qua-lità di socie effettive e di socie onorarie.

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Le socie effettive sono quelle che si assumono l’in-carico di zelare presso le famiglie signorili e possidentidella città e della campagna, per il buon incrementodelle Case della Divina Provvidenza.

Le socie onorarie sono quelle che giovano alla Casastessa con un annuale elemosina.

Art. 5. Le socie effettive pagano un annuo contribu-to di una o più azioni da L. 5; le onorarie un annuocontributo di L. 5.

Art. 6. Chi offre L. 500 ha il nome inscritto fra i be-nefattori perpetui della Casa.

Chi offre L. 200 ha il nome iscritto fra i Soci Bene-meriti.

I nomi dei benefattori perpetui e dei soci benemeri-ti saranno incisi in apposite lapidi murate nei locali del-la Casa.

Art. 7. Il Consorzio risulta:a) di un Direttore, nella persona del direttore,

delle Case della Divina Provvidenza, e di un Presidenteda nominarsi dall’Ordinario.

b) di un consiglio di direzione che risulta di settesocie effettive: che ordinariamente si raduna, insieme alpresidente e a tutte le socie effettive una volta al mese,nel primo lunedì non festivo.

Art. 12. Nel caso di morte di una socia effettiva delConsorzio, avutane partecipazione, il consiglio direttivone darà avviso alle consorelle per l’accompagnamentodel funerale con rappresentanza dei poveri della Casa:e provvederà che, nel primo giovedì dopo la morte del-la consorella, si celebri nella Chiesa della Casa unaS. Messa con divozioni di suffragio e con l’intervento ditutti i poveri ricoverati».

Dobbiamo grande riconoscenza a questo manipolodi dame che si moltiplicano onde provvedere del loro

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meglio le nostre opere; esse sono zelanti e sanno trova-re mille mezzi, mille occasioni per aiutare quest’Operabuona: le fiere di beneficenza, i room thea, i concerti dimusica dati da esimi esecutori, le pesche benefiche, tut-te hanno sempre a capo o tutte od almeno molte delledame dei nostri Consorzi. Il Signore retribuisca centu-plicato il bene che esse fanno per i suoi poveri.

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IL PERIODICO

Diciamolo subito, è una cosetta da poco, un sempli-ce svegliarino che ogni mese entra nelle famiglie dei be-nefattori e degli abbonati a ridestare la memoria delleOpere nostre. Sono sedici pagine che narrano le nostrenecessità, i nostri bisogni, che domandano ospitalità,con nessuna altra pretesa che di far amare quanto si fa,o quanto si ha in animo di fare, perché prosperino sem-pre più e si dilatino le opere della Divina Provvidenza.Esso sta per entrare nel decimoquarto anno di vita, ac-compagnando, col suo sviluppo, il crescere continuodelle case: sfogliandolo vi troviamo la storia delle nostregioie, dei nostri dolori. O confidente caro e discreto,possa tu entrare in molte famiglie apportatore di un rag-gio di luce, di una scintilla di carità. In te troviamo in-delebilmente scritti i nomi dei nostri benefattori: nelletue pagine ci parli del morto che, dopo lunga o brevevita, trascorsa santificando se stessi e beneficando gli al-tri volarono al premio eterno.

È diretto dalla brillante e letterata penna di Madda-lena Albini Crosta, una donna che ama grandementel’Opera della Divina Provvidenza ed è felice di lavorareper lei, nonostante le molteplici private cure la assedinoassiduamente.

Si desidererebbe che aumentassero i graziosi colla-boratori, ricordiamo fra questi il prof. Carlo Mariani edi sacerdoti addetti alle case, i lettori vi infondano mag-

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gior vita, sia esso il loro confidente, scrivano pure, se-condo l’indole del periodico, e noi pubblicheremo.

Il periodico noi lo mandiamo ai nostri benefattori,alle dame dei tre Consorzi ed a quanti lo desiderano;siccome però considerevoli sono le spese che dobbiamocontrarne per la stampa e la spedizione, quindi preghia-mo, quanti lo possono, a rimettere l’offerta di L. 2 an-nue all’amministrazione che è presso l’Istituto S. Gaeta-no, Via S. Ambrogio ad Nemus, no 2 - Milano, e questarimetterà un piccolo ricordo come segno di ricevuta.

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NUBI SULL’ORIZZONTE

Sono perfette le operazioni di Dio, mentre le opera-zioni dell’uomo, sia pure ispirato e mosso da Dio, riten-gono molte delle imperfezioni umane; noi siamo cosìfatti che desideriamo vedere, attorno a noi, persone ecose che nulla lascino a desiderare, persone e cose sen-za difetti, senza alcun peccato, non accorgendoci chenoi stessi, con le nostre stesse cose, siamo molto, mamolto lontani da quell’ideale di perfezione, che richie-diamo negli altri. Niente quindi di straordinario se leopere, che siamo venuti illustrando, presentino, nei loroparticolari, difetti, imperfezioni che noi stessi siamo benlungi dal negare. Siccome però più volte molte persone,non sappiamo se male informate o male intenzionate,hanno riferito e scritto cose inesatte alle istituzioni, cre-diamo conveniente l’esaminare qualcuna delle obbiezio-ni che si muovono contro di esse.

Si dice che molto pregiudica, al loro buon anda-mento, la moltiplicità delle case con scopi che sembre-rebbero, a tutta prima, così diversi. Chi ben considera,s’accorgerà subito, che nessuna di esse è inutile, e chetutte conducono al conseguimento del nostro scopo didar ricovero agli abbandonati, agli infelici che, in altromodo, non avrebbero assistenza. Sappiamo che moltiistituti hanno consimili scopi, ma, o l’età o la deficienzaintellettuale o qualche difetto fisico, impedisce che mol-ti vi trovino ricovero, mentre di ricovero avrebbero tan-

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to bisogno. Non è la molteplicità delle opere che ci an-gustia, è il non trovarle sufficienti ai continui crescentibisogni; quante volte ancor noi siamo obbligati a re-spingere domande di persone, che raccomandano pove-ri infelici: ci piange il cuore nel dire quel «no»; ma pu-re dobbiamo dirlo stante la pochezza dei nostri mezzi ela scarsità delle opere; oh! se queste si moltiplicassero laProvvidenza farebbe molto di più, e noi potremmo be-neficare un numero sempre maggiore di infelici.

Si suol dire che le opere del Guanella sono un om-nibus. Ma non sono forse gli omnibus quelli che, nellegrandi e nelle piccole città, rendono i migliori servizi airicchi e ai poveri?

Non sarebbe molto meglio regolare e ordinare lefondazioni già fatte e farla finita? regolare e assettare leopere già compiute è nostro vivo desiderio, ed è quan-to cerchiamo fare, in modo che abbiano vita duratura,ma non progredire non si può, finché vi saranno poveria ricoverare, bisognosi a cui provvedere.

Alcuni ci rimproverano perché le nostre opere nonsono dichiarate ente morale: a costoro rispondiamo chenon desideriamo il riconoscimento ufficiale che, oltretoglierci la libertà di movimento importa grandi spese;basti il sapere che un buon terzo delle rendite degli isti-tuti eretti in enti morali, sono assorbite dalle spese, ob-bligatorie, di amministrazione.

Infine le altre critiche mosseci contro riguardano lanostra povertà, a chi così ci obbietta diciamo: dateci olasciateci qualche cosa, e i nostri ricoverati staranno me-glio e saranno meglio vestiti. Quantunque... proprio perdavvero la salute regna nelle nostre case, e i nostri orfa-ni e le nostre orfane vi fioriscono. In esse molte perso-ne pratiche, sperimentate e di senno hanno trovato unordine esemplare avuto riguardo alla povertà del luogo,

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ma tuttavia si cerca e si cercherà continuamente di mi-gliorarle introducendovi quelle modificazioni che unconsiglio illuminato potrà venire indicando, di modoche, a poco a poco, anche le più piccole nubi abbianoa scomparire dal nostro orizzonte, che a noi si presentalucido e terso come specchio ed allargantesi sempre più,mano mano che saliamo la nostra scala ascendente.

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QUELLO CHE SI FARÀ

Ben poco possiamo dire di quello che si farà, perchéil futuro è in mano a Dio ed Egli solo sa quello al qua-le porremo mano. Egli solo sa, se noi corrisponderemoalla sua chiamata e se per l’avvenire non saremo serviinutili: servi inutili già lo siamo; ma se Egli non ci gui-da lo diverremmo maggiormente. Poco abbiamo fatto,forse, se la sua voce avessimo sempre ascoltata, se aves-simo avuto fede maggiore nella sua Provvidenza, chi saquanto vero bene si sarebbe potuto fare, ma ora ci tro-verà sempre pronti e ci lasceremo guidare dalla provvi-da sua destra. E alcun poco possiamo antivedere: fon-dazioni nuove sono in progetto, e di queste vogliamo di-re una breve parola, perché se ora sono soltanto pro-gettate, fra non molto saranno cose fatte.

Prima ci si presenta la casa femminile di Roma, aproposito della quale troviamo nel nostro periodico disettembre di questo anno quanto qui riferiamo. La vil-la degli Arcadi, della quale abbiamo parlato più addie-tro, doveva servire di ricovero momentaneo, e però su-bito don Guanella si dette attorno per trovare una sta-bile dimora. Dapprima si voleva prendere in affitto, ocomperare, la villa Pio, già destinata per le vacanze de-gli alunni del seminario Pio, e rimasta vuota, dopo chegli stessi passarono a villeggiare ad Orvieto, luogo piùmontano e più salubre; ma vi si frapponeva la distan-

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za, di qualche chilometro, dai confini daziarii dellacittà, oltre che la malaria avrebbe reso quel sito di noninvidiabile fama. Allora si pose occhio sopra S. Pan-crazio, che è ai confini della villa Panfili sul Gianicolo,luogo più centrale, a breve distanza dal Vaticano, e cir-ca un mezzo chilometro fuori dei dazii della città, dal-la porta di S. Pancrazio. Ivi è il convento, lasciato vuo-to, dopo la soppressione, dei Padri Carmelitani, nel-l’anno 1870 circa. Il convento dal fisco passò nelle ma-ni del municipio di Roma, che vi aggiunse degli am-pliamenti, per usufruirne in pro delle famiglie abban-donate della città. Venne costituito un comitato di no-bili signore romane, perché aiutassero la fondazione, equeste vi si adoperarono, invero con encomiabile zelo,specialmente la presidente del Consorzio Marchesa Ma-ria Stanga in Taverna e le nobili donne Luigia Canesaved. Olivari e Maria Ceci.

Questo gruppo di signore fu valentissimo nell’impe-gnare i principali membri del consiglio Municipale, lastessa Prefettura; valentissimo nell’impegnare consiglieridi Stato ed altri personaggi insigni; valente nell’otteneresussidii dalla Cassa di Risparmio, dal Ministero dell’In-terno e da altri pubblici e privati uffici, onde poté rag-granellare discreta somma.

A tale scopo valse la felice circostanza per cui sipoté inaugurare la nuova fondazione sotto gli auspici ecolla denominazione di Pio X. Noi, che professiamo vi-vissimo ossequio e gratitudine per l’augusta persona delVicario di Gesù Cristo, abbiamo piena fiducia che sot-to i suoi auspici il ricovero prenderà sviluppo, a favo-re di tante povere figlie, che, scarse del bene dell’inte-letto, sarebbero nelle famiglie lasciate in abbandono, enella società oggetto, assai sovente, di scherno e di vi-tuperio.

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La cessione pertanto venne a tale scopo eseguita, avoti unanimi, dal municipio di Roma, e venne approva-ta dalla prefettura della stessa città dietro condizioni dipagamento favorevoli.

Speriamo di poter in breve eseguire le riparazioni diripulitura e di riattamento che sono necessarie, e di po-ter poi in tempo non lontano trasferire l’Ospizio dal Pa-lazzo degli Arcadi, dove appena possono avere postoventi letti, nei locali di S. Pancrazio, dove si potrannocollocare da 150 a 200 letti.

Sorgerà il nuovo ricovero Pio X sulla tomba del gio-vanetto Pancrazio, del quale ricorre la festa al 12 mag-glo: voglia il glorioso martire accettare sotto la sua pro-tezione la novella fondazione. Unita al ricovero è laChiesa al santo martire dedicata: Chiesa che, edificatadal Papa Simmaco, poi riedificata da Papa Onorio nelVII secolo, credesi sia quella che ancora sussiste.

Questa nuova fondazione è vivamente attesa, e giàoltre cento domande stanno elencate per essere ricevuteall’indomani dell’apertura.

A Milano abbiamo già detto che il locale dove tro-vasi l’Istituto di S. Gaetano è locale provvisorio destina-to come è al piccone demolitore per la correzione stra-dale della borgata del Sempione, però si posero gli oc-chi su un appezzamento di terreno, che non fosse trop-po distante dalla città, e contemporaneamente non fos-se troppo caro alle nostre finanze. L’appezzamento diterreno è della nobile famiglia dei conti Barbiano di Bel-gioioso, e si trova in comune di Trenno, al confine colcomune di Milano, di fianco al terreno comprato dallasocietà Milanese delle Corse, il che contribuirà ad ac-crescerne il valore materiale; occupa un area di ben 230mila metri quadrati, tutto a coltivo, con alcune case co-

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loniche. Così anche l’istituzione maschile avrà dimorastabile e potrà maggiormente svilupparsi in locale pro-prio, appositamente costrutto. Altra considerazione checi persuase alla compera di quella tenuta, fu quella diprovvedere di buon latte e di verdura i nostri istituti diMilano; quando si pensi al gran consumo che di questialimenti si fa nelle nostre case ed alla relativa spesa, sisente la necessità di una colonia che assicuri buon lattee buona verdura. I nostri benefattori apprenderanno,con buon animo, questa compera e vorranno esserci sìlarghi di aiuto, per far sì che ancora questa Opera, ab-bia vicino e prospero avviamento.

Fratta pure richiede per provvedimento una casaove abbiano e trovare buona cura e buon trattamentoquei sacerdoti che, impotenti ormai al lavoro, desidera-no ritirarsi a passare in pace gli ultimi giorni: presto unaallegra e ridente casetta assicurerà loro la desiderata pa-ce con una assistenza fraterna da parte dei nostri con-fratelli, a quell’opera preposti.

L’elargizione della nobil donna Vittoria Lucini ci po-ne, in Saronno, al possesso di una casa con annesso po-dere, quei locali sono destinati, nella primavera ventura,ad accogliere quelle zitelle che, dopo aver trascorsa lagioventù in un apostolato, il più delle volte disconosciu-to, desiderano ritirarsi a vita tranquilla.

Queste sono le opere principali che nel prossimoanno cominceranno ad avere compimento; contempora-neamente si cercherà provvedere alla fondazione di unascuola femminile con lavori professionali ed oratorio fe-stivo a Campo di Tartano nella Valtellina, si allargherà ilricovero di Barzio in Valsassina e quello di Capolago e di

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Roveredo nella Svizzera, non verranno trascurate neppu-re le case che già vivono di vita loro, così al Pian di Spa-gna nuova conduttura e sistemazione di acqua, alla Bin-da a Como impianto di luce elettrica, dando così loroquell’aspetto sempre migliore che i sempre crescenti bi-sogni e le necessità richiederanno: non ci abbandonino ibuoni e noi speriamo con l’aiuto di Dio di provvedere atanti poveri infelici che già abbiamo raccolti, e ai moltipiù che battono alla nostra porta.

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INCORAGGIAMENTI

Ben a ragione si suol dire che le opere, aventi adispiratore Iddio, trovano sul loro inizio contraddizioni,grandi da parte dell’uomo, il quale pare abbia assuntodi far le parti che il crogiuolo fa per loro, ostacolandotutte quelle azioni che sorpassino un po’ l’andazzo deipiù. Egli aguzza l’ingegno, moltiplica le astuzie, ingi-gantisce la fantasia, pur di arrivare a trovare il puntovulnerabile, in ogni cosa ed in qualsiasi parte di essa;ed è un vero bene, che così l’opera di Dio, a tantaguerra, si solidifica e si allarga, mentre l’opera dell’uo-mo miseramente si sfascia. Non è quindi a far meravi-glia, se anche le opere nostre furono più volte prese abersaglio di insinuazioni, di dicerie maligne, si volletrovare speculazione, ove tutto si fa per amor di Dio;certo se il pensiero del bene che si fa, e del molto piùche si potrebbe fare, non sostenesse chi ha fondato leCase della Divina Provvidenza, queste chissà quantevolte già sarebbero cadute, e di esse più non si fareb-be parola! A continuare però nell’intrapresa via, ad al-largare sempre più la sfera dell’azione delle case, ven-nero incoraggiamenti da ogni genere di persone, diogni classe e di ogni condizione, incoraggiamenti che,in molte contingenze, rialzano il pensiero a Dio, dalQuale ogni cosa ha inizio e nel Quale tutto ha fonda-mento, e fanno camminare veloci per l’aspra via.

Leone XIII, di santa memoria, già fin nell’inizio

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dell’Opera, il 21 aprile 1890, benediceva alle pie donne,che coadiuvano il direttore della casa, ai ricoverati nel-l’ospizio, a tutti i cooperatori e benefattori della stessaPiccola Casa. Benedizione rinnovata, più e più volte,dall’immortale Pontefice.

Il felicemente regnante Pio X, ricevendo, in privatabenigna udienza, nel 1903, il direttore don Guanella ela Superiora Generale delle case femminili, li spronava acontinuare, e soggiungeva: pregate molto, per molto la-vorare. Il 16 dicembre ricevendo il benefattore di FrattaPolesine, mons. Baroni, che gli chiedeva particolari be-nedizioni sopra le opere della Provvidenza, sopra le ca-se di don Guanella, domandava:

– E così come vanno?– Non c’è male, rispondeva don Baroni, basta che

vengano i mezzi!– Oh i mezzi, soggiungeva il Pontefice, verranno cer-

tamente! Abbiate coraggio, la Provvidenza non manca.– Grazie, Santità, ci benedica tutti.– Sì; sì, sì.Il 28 gennaio 1904 il Direttore veniva ricevuto pri-

vatamente dal Papa, e questi si degnava nuovamentebenedire le opere, augurando che prosperassero tutte.

Se la benedizione del Papa è caparra di quelladi Dio, come non si dovrà continuare? Qual cosa puòdesiderare il figlio, di più caro, dell’approvazione delpadre?

Il 26 giugno, sua maestà la regina madre, Margheri-ta di Savoia, si degnava visitare, in Milano, la Pia Casadei Poveri, recando un sorriso ed un conforto in mezzoal nostri ricoverati; e, partendo, diceva al nostro Diret-tore: «Venga, venga a trovarmi a Roma! Io, ne stia certo,visiterò tutte le sue case che troverò sul mio cammino».Pochi giorni dopo, a mezzo della dama d’onore, faceva

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giungere a don Guanella un assai gentile biglietto, conacclusa generosa offerta, in segno di alto compiacimentoe di benevolenza.

Con affetti di molta benevolenza si esprimeva pure,in lettera del 12 settembre 1895, sua maestà la reginavedova Maria delle Due Sicilie.

Visite graditissime alle nostre case furono quelle delduca di S. Martino di Montalbo, legato presso la S. Se-de, e di sua altezza il principe della Rocca nel 1894;quelle dei senatori Tenerani, marchese Emilio ViscontiVenosta, Canevelli ed anche di On. Deputati; dei pre-fetti di Como Comm. Guala e Comm. Silvagni.

Consolanti contrassegni di amore ricevemmo e rice-viamo da sua eminenza il card. arcivescovo di Milano, ilquale non lascia passare occasione per attestarci l’amoreche porta a noi e alle case tutte della Provvidenza: visi-te preziose ci tornarono quelle del defunto card. Ribol-di alle case di Belgioioso, di Milano e Como, e quelladel card. Ferrata e Respighi, Vicario di Roma, alla no-stra colonia del Monte Mario. Benevolenza ed amorepure ci dimostrarono e ci dimostrano i vari eccmi. ve-scovi, nelle cui diocesi si trova qualche nostra opera,principalmente mons. Valfrè di Bonzo, ora arcivescovodi Vercelli, mons. Fedele Battaglia di Coira, mons.Alfonso Archi di Como, mons. Antonio Polin di Adria,che, avendo ordinati più nostri chierici sacerdoti, scrive-va: «le rimetto i suoi chierici già ordinati sacerdoti. Io liho benedetti e li benedico di gran cuore acciocché, collagrazia del Signore, le possano essere di gran consolazioneed aiuto nelle opere o della sua sconfinata carità...».

Ed oltre questi, molti altri ecc.mi. vescovi, rr.mi. or-dinarii, degnissimi sacerdoti, laici, nobilissime signore,nonché il benvolere popolare che favorisce le nostrefondazioni, ci spingono a continuare. E noi continuere-

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mo per la nostra strada, cercando eseguire quanto Diovuole da noi, cercando corrispondere, il meno imperfet-tamente possibile, alle sue chiamate, fiduciosi che mai civerrà meno l’aiuto dei buoni. Questi ci vorranno semprefavorire di consiglio, per migliorare, correggere l’imper-fetto, e di soccorsi per sovvenire alle più che cinquemi-la persone, che nelle nostre case ed asili, trovano il cibodel corpo e della mente.

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INDICE

Prefazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 33

Quello che si è fatto . . . . . . . . . . . . . . » 5

Note biografiche . . . . . . . . . . . . . . . . » 5Traona . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 9Pianello Lario . . . . . . . . . . . . . . . . . » 11Como . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 16Milano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 26Belgioioso-Pavese . . . . . . . . . . . . . . . » 36Nella Svizzera . . . . . . . . . . . . . . . . . » 37Nel Veneto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 46Pian di Spagna . . . . . . . . . . . . . . . . . » 49Menaggio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 53Ardenno Masino . . . . . . . . . . . . . . . . » 54Livraga . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 56Roma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 57Arcevia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 59Qua e là . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 60

Quello che si fa . . . . . . . . . . . . . . . . . » 62

Accettazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 62Vita interna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 65La Direzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 69Mezzi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 72

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Cooperazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 77Il periodico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 83Nubi sull’orizzonte . . . . . . . . . . . . . . . » 85

Quello che si farà . . . . . . . . . . . . . . . . » 88

Incoraggiamenti . . . . . . . . . . . . . . . . » 93

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QUADERNI DI FORMAZIONE

1. P. Alessandro Barban, Camaldolese - Metodo classi-co della lectio divina.

2. Sr. Gertrud Stickler, - Lo sviluppo della perso-nalità religiosa.

3. Sr. Maria Esther Posada, - «Tre chiamate».

4. Don Pietro Pasquali, - Cosa sono le Costitu-zioni?

5. Don Pietro Pasquali, - I Voti nell’insegnamen-to di Don Guanella.

6. Sr. Marisa Roda, - «Vita di Consacrazione».

7. Sr. Elda Soscia, - Le Figlie di S. Maria dellaProvvidenza (1871-1899).

8. Sr. Gertrud Stickler, - Presupposti psicologiciper una vita secondo i Consigli Evangelici.

9. Don Fabio Pallotta, - I penultimi passi e il pas-so estremo di Don Luigi Guanella.

10. Don Leonardo Mazzucchi, - I passi di Lui.

11. Sr. Gina Fumagalli, - Lettura-commento dellaLettera Apostolica di Giovanni Paolo II «Tertio Mil-lennio Adveniente».

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12. Luciana Mirri - I. Chiara d’Assisi e Chiara Bosattamodelli di vita donata vivi e vitalizzanti oggi. II. Uncomune amore: Cristo Crocifisso fonte di vita per noioggi.

13. Sr. Luisa María López, - Clara Bosatta maestrade espiritualidad.

14. Sulle virtù.

15. da «In Tua Providentia» - Di tappa in tappa.

16. Sr. Gertrud Stickler, - Sviluppo relazionale del-la personalità adulta e dinamiche del dialogo. Impli-canze psicologiche delle relazioni nella vita comuni-taria.

17. Sr. Gina Fumagalli, - La Cada Madre delle Fi-glie di S. Maria della Provvidenza.

18. Don Piero Pellegrini, - Don Luigi Guanella:chi è?

19. Juniores Anno Internazionale (a cura delle) - LaSemplicità secondo il Vangelo.

20. Brevi cenni sulle Opere della Divina Provvidenzafondate da Don Luigi Guanella.

3F PHOTOPRESS di Fantasticini Stefano e F.lli - 00167 Roma - Viale di ValleAurelia, 105 - Tel. 06.3972.4606 - E-mail: [email protected] - Luglio 2000