bozza finale

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INDICE INTRODUZIONE CAPITOLO PRIMO LA GENESI E LO SVILUPPO DELLA MAFIA 1.1 Le origini e la diffusione del fenomeno mafioso 1.2 Il codice mafioso: il ruolo e l’importanza della famiglia 1.3 Il movimento contro la mafia CAPITOLO SECONDO LE DONNE E LA MAFIA 2.1 Le donne del Sud 2.2 La donna nelle organizzazioni mafiose 2.2.1 Le donne di Cosa Nostra 2.2.2 Le donne calabresi 2.2.3 Le donne napoletane 2.3 L’ideale di donna onorata 1

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Page 1: Bozza Finale

INDICE

INTRODUZIONE

CAPITOLO PRIMO LA GENESI E LO SVILUPPO DELLA

MAFIA

1.1 Le origini e la diffusione del fenomeno mafioso

1.2 Il codice mafioso: il ruolo e l’importanza della famiglia

1.3 Il movimento contro la mafia

CAPITOLO SECONDO LE DONNE E LA MAFIA

2.1 Le donne del Sud

2.2 La donna nelle organizzazioni mafiose

2.2.1 Le donne di Cosa Nostra

2.2.2 Le donne calabresi

2.2.3 Le donne napoletane

2.3 L’ideale di donna onorata

CAPITOLO TERZO LE DONNE NELLA MAFIA

3.1 Il ruolo discreto e fedele della donna

3.1.1 Alcuni casi esemplari di mogli di……

1

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3.2 Le donne mafiose e il fenomeno del pentitismo

CAPITOLO QUARTO LE DONNE CONTRO LA MAFIA

4.1 Il coraggio esemplare di contrastare la mafia

4.2 Le donne degli uomini di mafia

4.3 La forza di Rita Atria e di Rosetta Cerminara

4.4 Una storia attuale: il caso di Giusy Vitale

Bibliografia

2

Page 3: Bozza Finale

INTRODUZIONE

L'argomento che ho analizzato “Le donne e la mafia” è stato

molto interessante in quanto mi ha permesso di analizzare a fondo le

dinamiche con cui il fenomeno della mafia si è insinuato nella società

e nelle coscienze di coloro che si trovavano a contatto con essa,

permettendomi di comprendere quanto il ruolo della donna sia stato

fondamentale, sebbene quasi sempre in secondo piano.

Già dal XIX secolo si hanno le prime manifestazioni di questo

fenomeno nell'Italia meridionale ottocentesca, che si trova in una

situazione di forte arretramento sociale e culturale e che viene

trasformata in seguito ai cambiamenti sociali del sistema feudale

vigente ed alla nascita dell'associazione mafiosa.

La mafia si inserisce nel substrato sociale, si avvale della figura

del gabbellotto, che si appropria dei diritti dei latifondisti e che si fa

garante della sicurezza, agendo però in modo criminoso e soprattutto

violento, si sviluppa una sub-cultura-criminale mirante a non favorire

l'attuazione delle leggi dell'ordinamento statale e concentrandosi a se

tutto il potere.

Pian piano la mafia si insinua nel contesto sociale,

regolarizzando le dinamiche famigliari; la famiglia diviene il nucleo

fondamentale e centrale, i cui interessi devono essere sempre tutelati:«

La parentela, la famiglia non valgono niente di fronte alla fedeltà a

3

Page 4: Bozza Finale

Cosa Nostra. Se è in gioco l’interesse della famiglia, tutti questi

sentimenti scompaiono, passano in secondo piano»1.

La mafia (come la famiglia) è considerata un'organizzazione

maschile, alla quale possono far parte solamente gli uomini mentre le

donne non hanno alcun ruolo e potere all'interno di essa e devono

occuparsi della gestione della casa e della crescita dei figli.

In questa organizzazione patriarcale, le donne e i bambini sono

in effetti esclusi; le donne sono educate fin da bambine ad occuparsi

solamente della famiglia, a non fare domande e ad essere, in futuro,

delle madri.

Esse diventano, così, inevitabilmente delle complici mute della

mafia anche se non partecipano attivamente ai suoi disegni criminosi

ma sono destinate a rafforzarne i legami mediante sodalizi

matrimoniali, ai quali non possono ribellarsi.

Tuttavia, bisogna evidenziare che il femminile è fortemente

presente in questo contesto basti pensare alla forte rilevanza della

figura materna e della sua funzione all'interno della società

meridionale, dove è sempre stato molto sentito il ruolo materno delle

donne.

Da qualche anno, però, le giovani donne tendono

all'emancipazione e alla partecipazione più attiva all'interno della

società in modo più legale e lontano dagli schemi violenti della mafia.

In questo senso è possibile distinguere tre diverse tipologie di donne,

1 Arlacchi P., Gli uomini del disonore. La mafia nella vita del grande pentito Antonio Calderone, Mondadori, Milano 1992, p.157

4

Page 5: Bozza Finale

ovvero quelle che si godono il lusso e la brutalità, quelle che lottano

contro la mafia e quelle che però ne sono vittima per tutta la vita.

In questo senso, si inserisce anche il cambiamento delle

dinamiche del potere all'interno della mafia, dove le donne ricoprono

il ruolo di comando generalmente affidato al capofamiglia. Esse sono

più discrete degli uomini ma non meno brutali e criminali; un esempio

è la storia di Concetta Fausciana, mafiosa siciliana e moglie del boss

Aurelio Cavallo, di cui ne prende il posto quando lui viene arrestato.

Concetta organizza estorsioni ai commercianti (il cosiddetto pizzu),

recluta per pochi soldi dei baby killer per i suoi traffici estorsivi e per

farli combattere nella guerra contro la famiglia Madonia.

Le donne non esitano a farsi portatrici dei messaggi che i loro

uomini comunicano dall'interno delle carceri, escono quindi dal ruolo

subalterno e silenzioso in cui la tradizione mafiosa le aveva relegate.

Aiutano i loro uomini e le loro famiglie a proseguire nelle attività

criminose ma, nel contempo, vi sono delle donne che tentano di

uscirne e combattono apertamente.

È questo il caso di Rita Atria, che ha colpito molto e al quale

dedicherò un paragrafo, che ben dimostra la volontà delle giovani

donne di distaccarsi da questo sistema di violenza rispetto a quelle più

anziane. La sua decisione di collaborare con la giustizia è da subito

osteggiata dalla madre che la minaccia in più occasioni di morte per la

sua collaborazione.

Rita era figlia di un mafioso, amava moltissimo il padre, come

del resto i suoi fratelli, i quali, in seguito alla sua uccisione, giurano di

5

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vendicarlo. Subito dopo viene ucciso anche il fratello e lei decide di

collaborare con la giustizia, trasgredendo così la legge dell'omertà,

tipica dell'associazione mafiosa.

Tuttavia dopo la sua deposizione, che permette l'arresto di molti

mafiosi di Partanna, viene lasciata sola dalle istituzioni e piomba in

uno stato depressivo (nel suo diario annota infatti di sentirsi e di essere

molto sola) che la condurrà al suicidio, esattamente una settimana

dopo la strage in cui perse l vita il giudice Borsellino.

La tesi intende dimostrare come il processo sociale che investe

le donne nel contesto analizzato, le renda più forti e consapevoli della

realtà e della violenza che le circonda e di come, invece, si possa

vivere in modo legale e soprattutto legittimo. La vicenda di Giusy

Vitale, anch'essa boss mafioso, ben evidenzia questo processo

soprattutto quando lei stessa si pente perchè consapevole della

violenza che la circonda. È forte il desiderio in lei di non far crescere i

suoi figli in questo contesto che decide di pentirsi, nonostante il

pericolo che una tale decisione comporta soprattutto per la sua

famiglia.

Ciò che colpisce è il coraggio che queste donne hanno avuto

nello svincolarsi da una situazione di aperta violenza non hanno

esitato ad abbandonare ruoli di comando e di potere ed un'agiatezza

economica rilevante.

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CAPITOLO PRIMO

LA GENESI E LO SVILUPPO DELLA MAFIA

1.1 Le origini e la diffusione del fenomeno mafioso

Le prime manifestazioni della mafia si riscontrano nel XIX

secolo nell’Italia meridionale, caratterizzata da una profonda

arretratezza e da un’inadempienza verso le nuove leggi promulgate

per abolire il regime esistente, avente ancora le caratteristiche feudali

con la permanenza del latifondo come base fondamentale

dell’agricoltura2. Tale situazione si verifica soprattutto in Sicilia ove le

normative promulgate nel a legge nel 1806 e nel 1812 non producono

sostanziali cambiamenti almeno fino alla prima metà del secolo3.

La realtà di questo periodo si caratterizza come un sistema in

cui il gabellotto, dopo aver corrisposto il pagamento del canone

d’affitto in denaro al grande proprietario terriero, divide il latifondo in

molti piccoli lotti che sub-affitta ai contadini attraverso il pagamento

di un canone in natura. La predominanza di questo tipo di società

agraria impedisce verosimilmente la formazione di una società

all’interno della quale si possano affermare le modalità tipiche di

scambio del mercato capitalistico.

2 Blok A., La mafia di un villaggio siciliano 1860-1960, Einaudi, Torino 19863 Catanzaro R., Il delitto come impresa. Storia sociale della mafia, Liviana Editrice, Padova 1988

7

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Nel momento in cui, per effetto della legge, viene abolito il

feudalesimo, la terra viene liberalizzata e resa un bene soggetto ai

diritti di proprietà individuale, causando l’inizio di – inevitabili –

conflitti e di lotte a livello sociale che si protrarranno per parecchio

tempo, fino al secondo dopoguerra. Le trasformazioni sociali sono

inevitabili; si delinea un nuovo quadro sociale caratterizzato

dall’indebolimento dei proprietari terrieri, dal forte impoverimento dei

contadini e dei pastori, i quali, per sopravvivere si organizzano in

movimenti collettivi di rivendicazione o si danno il banditismo, e dalla

crescita dei ceti medi che si uniscono tra loro per le acquisizioni

terrieri e tra i quali vi sono i primi mafiosi4.

Conseguentemente si formano anche delle relazioni sociali

caratterizzate dall’uso sempre più diffuso della violenza5 ed i mafiosi

si mescolano tra le fila dei briganti, dediti alle rapine, all’abigeato e al

sequestro di persona, essi si presentano come intermediari con i

proprietari e i contadini, ai quali offrono appoggio e protezione,

diventando così dei protettori in cambio di vantaggi e favori.

Questo nuovo ceto è composto in prevalenza da massari,

campieri, gabellotti e fattori prende di fatto il posto dei grandi

proprietari terrieri di origine nobiliare in quanto viene chiamato a

svolgere funzioni di controllo, di gestione ed intermediazione della

proprietà e della produzione6. L’ascesa dei gabellotti consente alla

4 Petrusewicz M., Latifondo. Economia morale e vita materiale in una periferia dell’Ottocento, Venezia 19895 Cfr. Sereni E., Il capitalismo nelle campagne, Torino 19686 Lupo S., Storia della mafia. Dalle origini ai giorni nostri, Donzelli, Roma 1993

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Page 9: Bozza Finale

mafia di trasformarsi da organizzazione di armati al servizio

dell’aristocrazia terriera a strumento di potere7.

La mafia si organizza nei comuni siciliani subito dopo l’Unità,

in una vasta rete di “organizzazioni per delinquere” dislocate

nell’isola e dotate di strutture verticali, che sono talvolta in rapporti

d’affari ma anche in conflitto e che sono strutturate secondo uno

schema ben definito in più livelli. L’organizzazione punta ad

accumulare patrimoni illeciti esercitando il controllo direttamente

sulle comunità locali, sulle amministrazioni pubbliche e sui collegi

elettorali nazionali. Essa intende assumere un ruolo di mediazione tra

il centro e la periferia del sistema politico, colludendo con i

componenti dello Stato8.

Questo forte insediamento è dovuto anche all'incostanza ed

all'inefficienza dello Stato che producono un grande senso di sfiducia

nella popolazione, che si rivolge ai protettori che acquisiscono sempre

più potere. Per questi motivi le istituzioni hanno fin da subito molte

difficoltà nel reprimere il fenomeno mafioso che si radica fortemente

nel territorio e che influenza ormai gli scambi economici, gli

atteggiamenti e le norme di comportamento generali di una vasta zona

della regione. L’insuccesso degli interventi dello Stato postunitario in

Sicilia, nonostante la messa in atto di numerose politiche progressiste,

è dovuto in parte alla sua debolezza, e in parte alla resistenza

dimostrata dalla popolazione indigena verso qualsiasi cambiamento.

7 Cfr. Brancato F., La mafia nell’opinione pubblica e nelle inchieste dall’Unità al fascismo, in Atti della Commissione Parlamentare d’Inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia, Relazione storica, Camera dei Deputati, V legislatura, Roma 19728 Chiara L., Sulle origini storiche del fenomeno mafioso: amministrazioni e bande armate nel circondario di Cefalù (1870-1885), in Incontri Meridionali, n.2, 1990, p.143

9

Page 10: Bozza Finale

Ed anche le vaste operazioni di polizia che si succedono tra il gennaio

e l’agosto del 1877 non hanno successo e contribuiscono ad accelerare

il declino delle comitive di briganti.

L’organizzazione mafiosa intesse delle relazioni molto forti con

il banditismo e con le bande armate al punto che dopo l’Unità questi

legami si ridefiniscono ancora più nettamente9. In questo contesto la

mafia anche se aveva «il suo punto di partenza nella collusione di

pubbliche autorità con la criminalità comune»10, si inserisce nei

processi di ascesa del nuovo ceto emergente passando da una fase

iniziale in cui usa essenzialmente la violenza in modo difensivo contro

tutti coloro che ne contrastano il controllo del territorio, ad una fase in

cui l’azione corruttiva con le istituzioni dipende da queste ultime,

creando così la possibilità di utilizzare e di servirsi dei poteri illegali.

Nella seconda metà del XIX secolo la mafia si delinea già come

un’associazione che ha tra i suoi componenti varie categorie sociali,

dal ceto medio, alla grande e piccola borghesia ai ceti popolari. Fin dal

primo momento essa si diffonde nella parte occidentale dell’isola,

escludendo la parte orientale perché in questo territorio la classe

dirigente è più unita e non ha problemi nel controllare il territorio a

differenza di altri luoghi dove – come abbiamo già sottolineato -

uomini violenti prendono il sopravvento11.

La mafia intreccia forti relazioni con le classi dirigenti locali,

con le istituzioni dello Stato, i cui rappresentanti diventano sempre più

9 Ibidem, p.14510. Recupero A, La Sicilia all’opposizione 81848-1874), in Storia d’Italia. Le Regioni dall’Unità a oggi, La Sicilia, a cura di M. Aymard – G. Giarrizzo, Einaudi, Torino 1987, p.7611 Gambetta D., La mafia siciliana. Un’industria della protezione privata, Einaudi, Torino 1993

10

Page 11: Bozza Finale

tolleranti nei confronti della criminalità mafiosa in quanto la

considerano uno strumento atto al mantenimento dell’ordine e della

sicurezza pubblici.

In questo momento la mafia, forte di un monopolio effettivo

della violenza, condiziona i rapporti tra le istituzioni e i cittadini e nel

contempo anche la competizione amministrativa e talvolta, sebbene

sporadicamente, estende le sue aderenze anche alle deputazioni

nazionali. I funzionari di pubblica sicurezza, i questori e i prefetti sono

comunque a conoscenza dell’azione esercitata dalle bande armate12 e

del complesso intreccio di interessi che alimenta lo scontro fra le

fazioni e i partiti amministrativi sorretti dai mafiosi, i quali con

l’azione violenta della bande armate si contendono il controllo del

potere pubblico.

Tuttavia, l’azione governativa si concentra quasi esclusivamente

sulla repressione delle bande armate che pian piano vengono

abbandonate dai mafiosi in quanto, ora, intendono svolgere la loro

azione nel “partito d’ordine”13 atto alla conservazione della vita e della

proprietà altrui. In questo modo creano nei comuni dei “centri di mafia

potente”14 che promuovono delle nuove forme di aggregazione sociali

e di integrazione nelle attività illecite di ceti meno abbienti, puntando

ai grandi affari e alla politica nazionale.

12 Si vedano: Fiume G., Le bande armate in Sicilia (1819-1849). Violenza e organizzazione del potere, Palermo 1984 e Mangiameli R., Banditi e mafiosi dopo l’Unità, in Meridiana, nn.7-8, 1989, pp.73-11313Chiara L.-Crescenti E.-Moschella G., Mafia e legislazione antimafia. Storia, diritto, istituzioni, Piero Lacaita Editore, Mandura-Bari-Roma 2009, p.5114 Chiara, op. cit., p.159

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I mafiosi manovrano i pacchetti di voti da offrire ai politici, i

quali, a loro volta, assicurano loro alcuni vantaggi come ad esempio

l’impunità ma le organizzazioni mafiose riescono a mantenere la loro

autonomia15 che si rafforza maggiormente anche in seguito allo

sviluppo di una vivace rete di commerci nella zona costiera

palermitana della Conca d’Oro, in seguito alla quale molti protettori

estendono il loro potere su nuove zone, ampliando la loro rete di

contatti16. In quest’area i traffici illeciti tra Palermo e l’interno,

rappresentano un punto di incontro tra l’area dei latifondi e questa

zona, con un forte incremento del numero dei clienti che vanno a

distribuirsi in vari settori.

Alla fine del XIX secolo la Sicilia è sempre attraversata da forti

tensioni sociali che portano all’esplosione dei Fasci dei lavoratori

(1892-1893) e al commissariato civile dell’isola nel 1894, mentre il

Paese è attraversato da una profonda crisi dei rapporti tra la politica, la

società e le istituzioni17. I Fasci testimoniano la nascita di un

movimento contadino di protesta più organizzato e soprattutto la

nascita di una coscienza di classe verso coloro che li sfruttano ma la

loro protesta è soppressa con estrema facilità grazie al legame sempre

più stretto tra la mafia e potere locale.

La protesta e le agitazioni di massa che si traducono nell’azione

dei Fasci presuppongono la richiesta di una maggiore partecipazione

politica dei cittadini e contribuiscono ad aprire la strada ad una nuova

15 Pezzino P., Mafia, Stato e società contemporanea, in S. Costantino - G. Fiandaca (a cura di), La mafia, le mafie: tra vecchi e nuovi paradigmi, Laterza, Roma 199416 Lupo, op. cit.17 Cfr. Renda F., I fasci dei lavoratori e la crisi italiana di fine secolo, 1892-1893, Torino 1977

12

Page 13: Bozza Finale

fase storica che si consolida nel governo giolittiano che stava avviano

una nuova stagione di riforme, di partecipazione politica dei cittadini,

di sviluppo economico e di ricomposizione dei conflitti di classe18.

Nonostante le premesse, questa fase storica si caratterizza per le molte

contraddizioni che ne derivano soprattutto in alcune aree del paese e

nella gestione delle amministrazioni locali, e per tale motivo la mafia

riesce a rinforzare il proprio potere. La maggiore apertura dello Stato e

delle istituzioni verso delle forme di legittimazione dei ceti dirigenti

con una maggiore partecipazione al voto, finisce paradossalmente per

consolidare i legami tra le cosche e una parte della rappresentanza

politica che necessita dei mafiosi per il controllo della società locale.

Fino allo scoppio della grande guerra, anche un altro fattore si

rivela decisivo per l’affermazione della mafia nel contesto sociale e

politico, ovvero l’emigrazione che si determina in Italia nella forma di

un esodo di massa di milioni di persone19 e che permette ai mafiosi di

estendere una rete di relazioni e di affari nei paesi lontani. In questo

periodo si impianta infatti negli U.S.A. con delle proprie attività

criminali preposto al controllo della manodopera siciliana, soprattutto

nei porti ed alla 'imposizione della sua protezione' sugli esercizi

commerciali gestiti dagli italiani per monopolizzare i flussi

commerciali con la Sicilia.

Nel periodo in cui si sviluppa il fascismo, la mafia viene di fatto

sostituita da esso ed anche se viene meno la necessità di mantenere in

18 Mola A.A.- Ricci G.A. (a cura di), I governi Giolitti (1892-1921), Foggia 200719 Si vedano: Bevilacqua P.-De Clementi A.-Franzina E. (a cura di), Storia dell’emigrazione italiana. Partenze, Roma 2001 e Renda F., L’emigrazione in Sicilia 1625-1961, Caltanissetta-Roma 1989

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Page 14: Bozza Finale

vita gli intrecci clientelari con i mafiosi in funzione della ricerca del

consenso elettorale, il governo intraprende una dura repressione

contro di essa con l’azione del “prefetto di ferro” Cesare Mori inviato

in Sicilia nel 1926, al quale vengono conferiti poteri straordinari per la

repressione della mafia e del banditismo e che ordina l’arresto di

massa di tutti i sospettati20.

L’azione del regime fascista deve inquadrarsi nell’esigenza

politica di recuperare in Sicilia il consenso delle masse ma nonostante

l’azione ferrea del prefetto non riesce ad incidere i rapporti tra la

mafia e le clientele politiche. Rimane pressoché intatta la continuità

dei gruppi mafiosi in alcune zone della Sicilia in quanto essa salva

gran parte della grande proprietà terriera a discapito di professionisti,

sindaci, grossi gabellotti mafiosi21. Ciò nonostante la sua azione

inferte un duro colpo all’incidenza della mafia nella mediazione tre le

classi sociali, tra lo Stato e le società locali soprattutto a seguito dei

molti arresti effettuati dal Mori, il quale intende sviluppare l’azione

repressiva di polizia (voluta dal fascismo) contro le organizzazioni per

delinquere e combattereo le aggregazioni di potere nelle periferie non

più funzionali alle pretese del fascismo sulla società locale22.

Con la caduta di Mussolini riprendono vita in Sicilia le antiche

ispirazioni di indipendenza ma contemporaneamente riprende vigore

anche la mafia che intreccia le sue vicende con quelle del Mis23, che si

alimenta nell’operato della banda di Salvatore Giuliano che attua una

20 Cfr. Petacco A., Il prefetto di ferro, Milano 197621 Lupo S., L’utopia totalitaria del fascismo (1918-1942), in Storia d’Italia. Le Regioni dall’Unità a oggi, La Sicilia,op. cit., pp.402-41022 Ibidem23 Il Movimento indipendentista siciliano

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Page 15: Bozza Finale

vera e propria strategia del terrore, compiendo omicidi efferati di

uomini politici, sindacalisti e dirigenti della lega contadina.

Subito dopo lo sbarco degli alleati nel 1943,infatti, nell’isola,

con la fuga dei fascisti, si crea un vuoto di potere e per arginarlo essi

si affidano a influenti personaggi locali, rileggitimando di nuovo il

potere dei gruppi mafiosi che si pongono, peraltro, come il punto di

incontro fra le diverse parti in causa, quali gli agrari, lo Stato, le

società locali.

Nel periodo postbellico si realizza un’imponente trasformazione

che annulla di fatto l’intero ordine economico e sociale e ciò è dovuto

dall’emigrazione e dall’intervento pubblico che determinano una crisi

molto profonda nelle forme del potere e del comportamento mafioso.

Con il varo della riforma agraria e l’avvio di una nuova fase nello

sviluppo del paese, centrata sulla creazione delle infrastrutture e di un

sistema industriale moderno, si determina in Sicilia la perdita di

egemonia dei grandi proprietari terrieri sulla società locale e

l’emigrazione di una parte consistente dei contadini verso il Nord e

l’estero24.

L’emigrazione degli anni Cinquanta e Sessanta ha un effetto

travolgente sulla struttura dei gruppi mafiosi, poiché ne assottiglia le

componenti umane e ne interrompe il ricambio generazionale in

quanto molti uomini d’onore di medio e basso rango emigrano verso

l’Italia settentrionale. Inoltre, per la prima volta, si pone il problema

del reclutamento in considerazione delle molteplici possibilità di

24 Barone G., Stato e Mezzogiorno (1943-1960), in Storia dell’Italia Repubblicana, Vol. I, La costruzione della democrazia, Milano 1999, pp.293-409

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Page 16: Bozza Finale

lavoro e di occupazione nel settore secondario e terziario che

richiedono molta manodopera e l’espansione degli impieghi pubblici

nel Mezzogiorno urbano che aprono dei vuoti nelle fila dei giovani

uomini d’onore e diminuiscono la competizione per il controllo delle

risorse locali. Il mantenimento della supremazia impone adesso la

disponibilità di ricchezze e consumi crescenti; la competizione si

sposta, quindi, dal piano della conquista dell’onore individuale e

familiare al piano del possesso e dell’ostentazione dei nuovi simboli

del consumo.

Negli anni tra il 1950 e il 1960 la mafia continua a svolgere le

sue funzioni di intermediazione tra i proprietari terrieri e i contadini e

nel contempo guarda alle nuove opportunità all’orizzonte della

speculazione edilizia, alle costruzioni, al trasporto e alla fornitura dei

materiali edilizi e al controllo del mercato ortofrutticolo ed ittico. In

questo momento, infatti, la precarietà della nuova collocazione degli

uomini d’onore si risolve grazie all’integrazione dei mafiosi nelle

catene clientelari impiantate dai nuovi uomini politici, che avviene

con l’appoggio attivo dell’apparato repressivo dello Stato.

Molti mafiosi, infatti, vengono posti di fronte alla scelta di

confluire nel sistema di potere democristiano o di porsi in cattiva luce

agli occhi delle autorità giudiziarie e di polizia25. I gruppi mafiosi si

inseriscono di fatto nella nuova realtà, contrassegnata dalla centralità

della spesa pubblica e dall’espansione della forma urbana, con delle

attività imprenditoriali, in prima persona o in rapporto con altri

25Arlacchi P., La mafia imprenditrice. L’etica mafiosa e lo spirito del capitalismo, Il Mulino, Bologna 1983

16

Page 17: Bozza Finale

imprenditori. Il controllo degli enti locali consente alle famiglie

mafiose di muoversi liberamente ignorando le leggi per ottenere le

concessioni edilizie e le autorizzazioni necessarie per avviare attività

imprenditoriali e vincere gare di appalto. In questo momento,

l’imprenditore ha a disposizione il denaro pubblico, che gli viene

erogato tramite gli appalti di opere pubbliche e i finanziamenti erogati

da istituti di credito. La mafia detiene il controllo e la gestione delle

attività imprenditoriali soprattutto nel settore edilizio, nei mercati

alimentari, nelle assunzioni negli enti locali e nel credito.

L’accumulazione illegale e il potere acquisito permettono alla

mafia di sviluppare traffici internazionali e di diffondersi a livello

nazionale, fenomeno questo che si avvale anche dell'aiuto indiretto

che proviene dall'emanazione delle leggi del 1956 e del 1965 che

rafforzano le misure limitative della libertà personale con il soggiorno

obbligato per i criminali e i sospettati di appartenenza ad associazioni

mafiose26, costringendo così molti mafiosi ad allontanarsi dalla Sicilia,

permettendogli di infiltrarsi nell’economia di altre regioni e stabilire

rapporti d’affari con la criminalità locale.

La grande trasformazione sociale può dirsi conclusa all’inizio

degli anni Settanta quando si affievolisce il flusso migratorio verso il

Settentrione e prende piede un forte malcontento intriso di

rivendicazioni settoriali e località causa degli effetti disgreganti che

l’intervento statale produce sull’economia e sulla società meridionale.

In questo contesto, caratterizzato dalla disgregazione economica e

26 Si tratta della legge n.1423 del 1956, modificata con la n.327 del 1988, che rivede la disciplina delle misure preventive e della legge n.575 del 1965 che estende le misure di prevenzione anche ai sospettati di appartenenza alla mafia.

17

Page 18: Bozza Finale

sociale e dalla crisi dello Stato, si sviluppa pienamente il fenomeno

della mafia imprenditrice che realizza la sua superiorità economica

con i mezzi repressivi, favorendo lo scoraggiamento della

concorrenza, la compressione salariale e la disponibilità di risorse

finanziarie.

Il fenomeno mafioso diviene parte integrante delle strutture

portanti dell’universo socioeconomico di aree sempre più vaste del

Mezzogiorno e favorisce la nascita di una forte compagine di

imprenditori mafiosi, i quali dispongono di molta liquidità e della

possibilità di usare la violenza e che permettono, nel frattempo, il

costituirsi di un mercato della droga che a partire dagli anni Settanta

produce una forte esplosione di accumulazione illegale di denaro che

permette ai mafiosi una propria autonomia di azione, al punto di non

avere più bisogno del denaro pubblico27.

1.2 Il codice mafioso: il ruolo e l’importanza della famiglia

Quando si pensa alla mafia, la correlazione immediata che

scatta è mafia/famiglia; la mafia si sviluppa infatti secondo gli schemi

strutturali di una famiglia. Gli studiosi hanno elaborato diverse

interpretazioni della famiglia mafiosa ma tutti ritengono che essa sia il

luogo e il modello in cui si favorisce l’insorgenza della mafia e il

riprodursi dell’individuo mafioso. Une delle interpretazioni propone

27 Arlacchi, op. cit., p.151

18

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l’identificazione totale ed assoluta tra il mafioso e il suo gruppo

parentale, per cui il mafioso è il padre e il clan è la famiglia. Il

mafioso manifesta un attaccamento morboso alla sua famiglia che lo

spinge a modulare su di essa il proprio sistema di valori, i

comportamenti e le sue attività28. In questa prospettiva la famiglia

risolve le deficienze delle istituzioni e: «Nel pensare mafioso il ‘dato’

istituzionale è saturato dall’istituzione famiglia, nelle sue estreme

espressioni coincide totalmente con essa. […] La famiglia, nelle sue

vaste ramificazioni ha la funzione di proteggere, di privilegiare i suoi

membri rispetto ai doveri che lo stato impone a tutti. È la prima radice

della mafia»29.

La mafia si risolve nell’organizzazione della propria famiglia

ma nel senso di un sistema allargato ove la diversità dei ruoli interni e

la complessità dei compiti non possono essere assegnati seguendo

esclusivamente il vincolo parentale (o naturalistico). Basti pensare ai

frequenti episodi di morte violenta inferti dalla mano di un congiunto

per cui: «Il vincolo parentale viene usato per facilitare l’eliminazione

di mafiosi che la dinamica della guerra di mafia schiera sul fronte

avversario ma che ritengono di poter contare, per salvare la loro vita,

sul rapporto di parentela, soprattutto se molto stretto, consegnandosi

così nelle mani degli assassini. Un meccanismo micidiale che

ristruttura le organizzazioni mafiose su basi di interesse usando la

parentela come trappola»30.

28 Armao F., Il sistema mafia. Dall’economia-mondo al dominio locale, Bollati Boringhieri, Torino 2000, p.3729 Fiore, La famiglia nel ‘pensare mafioso’, in G. Lo Verso (a cura di), La mafia dentro, psicologia e psicopatologia di un fondamentalismo, Franco Angeli, Milano 1998, pp.51-5230 Chinnici G.-Santino U., La violenza programmata. Omicidi e guerre di mafia a Palermo dagli anni ’60 ad oggi, Franco Angeli, Milano 1991, pp.291-292

19

Page 20: Bozza Finale

La cosca tende sempre a prendere la forma di un nucleo

familiare e «la relazione interna di base è costituita dalla parentela

biologica di primo grado»31 ma in questo contesto emergono delle

contraddizioni in quanto la parentela viene considerata, a seconda

delle circostanze, fattore di mobilità interna o di stabilizzazione. Nel

primo caso, quando si ritiene che le capacità di comando, non possono

essere riprodotte per via biologica, il capo viene scelto sulla base delle

reali capacità, mentre nel secondo caso quando si adotta la strategia

della massimizzazione della discendenza, si tenta di produrre dei figli

maschi per occupare con mogli e discendenza, il maggior numero di

posizioni di potere dentro la cosca32.

La consanguineità non è garanzia di coesione del gruppo e gli

atteggiamenti aggressivi sono presenti anche fra fratelli e gli interessi

di cosca e di famiglia possono entrare in conflitto, privilegiando i

primi. Degli esempi in tal senso sono i numerosi omicidi tra congiunti

ed anche le innumerevoli testimonianze dei collaboratori di giustizia,

secondo i quali: «La famiglia mafiosa diveniva, al momento

dell’affiliazione, il nucleo supremo cui fare riferimento, molto al di

sopra nella scala valoriale della stessa famiglia d’origine o dei nuclei

di nuova costruzione»33. Per il forte bisogno di segretezza, la famiglia

è il luogo privilegiato per il reclutamento dei propri membri e la

volontà di celarsi implica il bisogno di avere continuamente sotto

controllo i potenziali affiliati, per poterne giudicare l’idoneità e in

31 Arlacchi, op. cit., p.15732 Ibidem, p.13733 Di Maria F.-Lavanco G.-Lo Piccolo C., Senso e significato dell’organizzazione mafiosa, in F. Di Maria (a cura di), Il segreto e il dogma percorsi per capire la comunità mafiosa, Franco Angeli, Milano 1998, p.118

20

Page 21: Bozza Finale

questa ottica i figli e i nipoti sono gli elementi più facilmente

osservabili.

È necessario sottolineare che l’elemento imprescindibile in base

al quale un individuo entra in un’organizzazione di questo tipo, non è

esclusivamente il fattore parentale ma la credenza nella validità dei

principi e delle regole della mafia e la compartecipazione ai suoi

affari.

Un’altra schiera di studiosi ritiene che i rapporti fra mafia e

famiglia si risolvono nel rispetto che il mafioso ha verso il padre e in

quello della mafia verso la famiglia ma in questo caso la relazione

logica si inverte in quanto la mafia non è più il fattore predominante

ma è la famiglia. I due fattori sono però inscindibili fra loro e la mafia

si sviluppa in base a delle condizioni preesistenti ovvero alla famiglia

arcaica, prodotto, a sua volta, dell’arretratezza34.

Al di là delle diverse interpretazioni sociologiche, per

comprendere le condizioni famigliari che favoriscono il riprodursi di

individui mafiosi è necessario tracciare il confine tra il sistema

familiare mafioso inteso come un’entità autonoma e quello della mafia

inteso come organizzazione criminale. I due sistemi intessono delle

relazioni di reciproca funzionalità che, soprattutto all’interno della

famiglia, tendono a rafforzare le leggi del clan, evitando tutte le

manifestazioni non precipue a ciò. Contestualmente, il clan impone ai

suoi uomini un rispetto formale dei valori della famiglia.

34 Cfr. Gribaudi G., Mafia, culture e gruppi sociali, in Meridiana, 7-8, 1990, pp.347-348

21

Page 22: Bozza Finale

Questo schema è necessario alla mafia in quanto è l’unico che le

permette di reclutare manodopera fidata e le offre anche un apparato

ideologico consolidato in grado di stimolare negli affiliati il senso di

appartenenza, che è garanzia di coesione. Nel contempo la famiglia

trova nella mafia un ottimo alleato per difendere le proprie tradizioni

dall’aggressione di altre culture antagoniste perché innovative o

straniere35.

La famiglia mafiosa si presenta su due piani, che sono quello

dei singoli ruoli maschili e femminili e quello delle transazioni tra i

ruoli; essa non ha una sfera privata, non vi è una dimensione di

intimità del marito e della moglie che viene a mancare in seguito alla

necessità di controllare i comportamenti e le attività dei membri. Essa

si distingue per l’eccesso di autoritarismo e per l’assenza di emotività;

l’uomo detiene il ruolo principale e di indiscusso potere che difende

con l’ausilio di un codice comportamentale consolidato che percepisce

l’altro sotto forma di proprietà36. L’uomo non manifesta i propri

sentimenti, viene educato a ritenere che la loro negazione sia

dimostrazione di forza.

Il ruolo della donna è molto più complesso; essa svolge

all’interno della famiglia mafiosa la funzione economica che

garantisce la sopravvivenza del proprio lignaggio generando i figli ed

occupandosi della gestione domestica. Per molto tempo la figura della

donna è stata vista come subordinata e passiva in quanto poco

propensa alla ribellione e alla trasgressione ma in realtà ha una grande

35Armao, op. cit., p.4336Arlacchi, op. cit., p.24

22

Page 23: Bozza Finale

capacità di rielaborare i modelli che le vengono imposti, garantendosi

in tal modo una partecipazione consapevole alla vita della famiglia.

La donna non esprime mai i suoi sentimenti, ne è quasi incapace

ma in realtà questa passività si sviluppa consequenzialmente alla

coercizione e alla repressione che vive in questo sistema,

omologandosi e conformandosi con questo per evitare rischi. In questo

contesto, il matrimonio non è un’unione fondata sulla scelta personale

ma è un modo per legare due gruppi per ottenere vantaggi economici

ed assicurarsi alleanze politiche.

Il ruolo marginale della donna rientra nei canoni tradizionali di

sviluppo della famiglia mafiosa alla quale possono accedere

esclusivamente gli uomini e che prevede il divieto formale di

affiliazione alle donne. A livello formale la mafia si presenta infatti

come un’organizzazione maschile ma nella realtà non mancano

episodi in cui una donna ha assunto posizioni di comando e sebbene

essa sia ritenuta un mondo di soli uomini, al suo interno il femminile

costituisce il modello organizzativo di gestione del potere. Secondo

Lo Coco, infatti, la protezione che la famiglia offre è un’esasperazione

della funzione protettiva materna37.

Le valenze ascritte ai singoli ruoli, maschile e femminile,

assumono molta importanza nel campo mafioso e anche se le donne

sono escluse dalle decisioni, sono molto coinvolte nella sfera della

quotidianità. Un esempio è la testimonianza di una giovane

collaboratrice di giustizia, vedova di un mafioso ucciso, la quale

37 Lo Coco G., Lo psichismo mafioso. Una bibliografia ragionata, in G. Lo Verso (a cura di) La mafia dentro: psicologia e psicopatologia di un fondamentalismo, Franco Angeli, Milano 1998

23

Page 24: Bozza Finale

racconta che: «Le mogli, che siano mafiose, siciliane oppure no,

sentono tutto, si fanno carico di tutto. Io ero una spugna. Se ai mariti

mafiosi si fanno le domande non ti rispondono, ma se te ne stai buona

e zitta quelli, che sono fessi come tutti gli uomini, si confidano, perché

così si sentono importanti»38.

Tuttavia sebbene la funzione delle donne può apparire

insignificante in alcuni casi in altri diventa indispensabile, in

considerazione del fatto che la funzione di procreare la rende, spesso,

il trait d’union tra le famiglie in lotta e viene utilizzata come merce di

scambio per mettere fine ad antiche guerre ed inutili spargimenti di

sangue. La donna serve anche – e soprattutto- per tenere alta la

reputazione della famiglia: un protettore ha il compito di proteggere,

in primo luogo, la moralità della propria moglie. Le donne sono le

detentrici della memoria familiare: esortano la vendetta, ricordando

sempre i loro cari e trasmettono ai propri figli l’educazione mafiosa39.

Per un discorso più ampio sul ruolo della donna nel sistema mafioso si

rimanda però al capitolo seguente.

Infine, anche nei rapporti con i figli prevalgono il distacco,

l’atteggiamento anaffettivo del padre e le attenzioni soffocanti e

controllate delle madri ed è in questo senso la famiglia mafiosa:

«Riflette una concezione totalmente cinica della condizione umana e

dei rapporti sociali, compresi quelli con le mogli, la parentela e gli

amici»40.

38 Siebert R., Mafia e quotidianità, Il Saggiatore, Milano 1996, p.7439 Di Maria F. –Lavanco G., e il dogma. Percorsi per capire la comunità mafiosa, Franco Angeli, Milano 199840 Goode W.J., Worl Revolution and Family Patterns, The Free Press, New York 1963, trad. It. Famiglia e trasformazioni sociali. Un’analisi comparata, Zanichelli, Bologna 1982, p.319

24

Page 25: Bozza Finale

1.3 Il movimento contro la mafia

Le prime forme visibili che si formano per contrastare la mafia

risalgono ai primi movimenti contadino che sfociano nei Fasci

siciliani che si connotano per la fronte impronta politica. Le prime

inchieste in tal senso risalgono al 1875, anno in cui viene svolta in

merito all’ordine pubblico dalla Commissione Parlamentare, che

evidenziano delle rare e deboli manifestazioni di resistenza

antimafiosa. Tali sporadici episodi dimostrano l’incapacità dei diversi

governi di interpretare il fenomeno mafioso come distinto dalla

criminalità comune ed anche l’operazione antimafia del 1877 non ha

effetti sulla mafia ma solamente sul banditismo.

Nel 1893, la mafia viene però alla ribalta nell’opinione pubblica

in seguito all’omicidio dell’ex presidente del Banco di Sicilia e già

sindaco di Palermo, Emanuele Notarbartolo, in seguito al quale essa

diventa il portavoce diretto della richiesta di giustizia a carico degli

esecutori e dei mandanti del delitto41. A seguito di ciò, le forze

politiche socialiste e liberali denunciano fortemente, scendendo in

piazza, la lentezza della giustizia e della magistratura.

Il processo si celebra in fasi alterne e fuori dalla Sicilia ma

nonostante possa essere considerato il più grande processo di mafia

del secolo, lo Stato non ne esce vincente in quanto il tribunale di

41 Chiara-Crescenti-Moschella, op. cit., p.53

25

Page 26: Bozza Finale

Bologna condanna i presunti assassini, Fontana e Palizzolo, ma la

Corte di Cassazione annulla per un vizio di forma e il successivo

processo, che si tiene a Firenze, li assolve per insufficienza di prove.

Come abbiamo visto, dopo la guerra, in Sicilia prende

nuovamente piede il movimento contadino e con l’avvento del

fascismo si attua una forte e sommaria repressione poliziesca, affidata

al prefetto Mori, caratterizzata da un enorme numero di denunce,

arresti, processi e condanne. Ed anche se in questo periodo la mafia è

collocata ai margini della società, la coscienza antimafiosa non sembra

progredire. Nonostante l’azione repressiva di Mori e le modifiche al

sistema delle misure di prevenzione, con l’introduzione del confino di

polizia per le persone designate pericolose alla sicurezza pubblica, la

mafia riprende gradualmente la sua espansione.

Tra gli anni Quaranta e Cinquanta il movimento contadino si

avvia al declino che inizia con la fine del ciclo cominciato con i Fasci

siciliani e durato dal 1893 al 1955, il cui momento culminante è

rappresentato dall’occupazione delle terre. In questo contesto le donne

hanno un ruolo attivo ed alcune di loro detengono ruoli dirigenziali,

basti pensare che durante le manifestazioni, esse fanno da cuscinetto

protettivo tra le forze dell’ordine e i manifestanti, interloquiscono con

le forze dell’ordine e a volte reagiscono così duramente al punto di

essere arrestate e condannate42. La ragione per cui il movimento non

riesce a sopravvivere sta nel fatto che esso si compone

sostanzialmente da contadini che lottano per la terra, ovvero i

rappresentati dei ceti più deboli.

42 Santino, 2000

26

Page 27: Bozza Finale

Nel decennio successivo, la mafia espande i propri interessi alle

città. E’ un periodo di forte sviluppo urbano, ed è proprio in questo

frangente che viene costituita la Commissione Parlamentare di

inchiesta sul fenomeno mafioso in Sicilia. La Commissione viene

richiesta nel 1948 ma viene istituita solamente nel 1963, la sua attività

si protrae fino al 1976 e si conclude con la pubblicazione di numerose

relazioni e di documenti anche se non consegue alcun risultato

concreto sul piano legislativo, politico e sociale. Tuttavia, si delinea,

per la prima volta, una mappa del fenomeno mafioso, nella quale

viene affermata con certezza la sua esistenza come fenomeno

criminale e ne viene data la seguente definizione “fenomeno

delinquenziale e organizzato, capace di coinvolgere individui e gruppi

della classe dirigente, sempre alla ricerca di un legame influente con la

politica e di un rapporto inquinante con le pubbliche istituzioni locali,

regionali e nazionali”.

Viene inoltre chiarito il collegamento costante tra la mafia ed una

parte delle pubbliche istituzioni, della politica, e parte della società

civile, con cui vi è un reciproco scambio di favori e di aiuti43.

Un ulteriore punto di svolta dell’offensiva contro la mafia è

rappresentato dall’omicidio del Generale Dalla Chiesa, che era stato

inviato in Sicilia dopo l’uccisione del segretario regionale del Pci, Pio

La Torre, e che viene assassinato assieme alla giovane moglie e

all’autista, il 2 settembre 198244. I palermitani protestano contro

43 Renda, 199444 Dalla Chiesa N., Delitto imperfetto, Milano 1984

27

Page 28: Bozza Finale

l’attentato e per la prima volta, scendono in piazza ed organizzano dei

cortei.

Dopo questo brutale episodio, il governo mette a punto degli

strumenti più efficaci e il 13 settembre vara la legge n.646, cosiddetta

legge Rognoni-La Torre, che introduce per la prima volta nel codice

penale il reato di associazione a delinquere di tipo mafioso,

autorizzando il sequestro e la confisca dei beni riconducibili agli

indiziati della nuova fattispecie penale.

Nel corso degli anni successivi si sviluppa a Palermo un forte e

sempre più crescente movimento antimafia, promosso da associazioni

e gruppi, tra i quali entrano delle forze sociali nuove quali la scuola,

l’università, la letteratura, l’arte, il cinema, il teatro, la radio, la

televisione e la grande stampa nazionale. Oramai è forte la presa di

coscienza e si organizzano assemblee e manifestazioni pubbliche.

Tra le nuove forze si inseriscono anche molti rappresentati dello

Stato - magistrati, poliziotti e carabinieri – della Chiesa, che condanna

la mafia sul piano teologico e pastorale, del mondo politico, che

favoriscono la rottura dei rapporti tra la classe dirigente e il potere

mafioso.

Tutto ciò porta però ad un inasprimento della lotta tra la mafia e

la sua controparte che sfocia in una feroce ondata di violenza

terroristica che colpisce magistrati, poliziotti, giornalisti, politici e

semplici professionisti colpevoli di compiere il proprio dovere. Per

rispondere a tali tragedie così efferate, si apre una stagione di

straordinari risultati ottenuti dal pool antimafia composto dai

28

Page 29: Bozza Finale

magistrati Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Giuseppe Di Lello e

Paolo Guarnotta che indagano sui reati di mafia45.

In seguito alle diverse operazioni, condotte personalmente da

Falcone, inizia la stagione dei grandi pentiti di mafia, con la raccolta

delle confessioni di Buscetta, di Mannoia e Calderone e

l’incriminazione di settecentosette presunti affiliati a Cosa Nostra che

vengono inclusi nelle liste del maxiprocesso del 1986 che vede la

presenza di 456 imputati, tra cui boss del calibro di Luciano Leggio e

Michele Greco46.. Saranno condannate 344 persone e si emetteranno

19 sentenze di ergastolo.

Cosa Nostra reagisce con stragi sempre più frequenti: nel 1985

a seguito dello scoppio di un’ autobomba destinata al giudice Carlo

Palermo, che rimane illeso, rimangono uccisi una donna e i suoi due

figli, nello stesso anno vengono giustiziati il commissario di pubblica

sicurezza Giuseppe Montana, il vicecapo della Squadra mobile

Antonino Cassarà e l’agente Roberto Antiochia. Nel 1992 vengono

uccisi il deputato democristiano Salvo Lima, il giudice Giovanni

Falcone, la moglie e gli agenti della scorta, il giudice Paolo Borsellino

e cinque agenti della scorta. L’anno seguente, il 14 maggio

un’autobomba esplode a Roma, il 27 dello stesso mese un’altra

autobomba esplode a Firenze, il 27 luglio ne esplode un’altra a Milano

e, tre quarti d’ora dopo, due ordigni esplodono a Roma. Gli attentati

causano numerosi morti e feriti.

45 Caponnetto A., I miei giorni a Palermo, Milano 199246 Lodato S., Quindici anni di mafia, Milano 1995, p.199

29

Page 30: Bozza Finale

In seguito agli omicidi di Falcone e Borsellino, il movimento

antimafia si rafforza al punto tale da coinvolgere direttamente le stesse

istituzioni nazionali e sebbene la reazione degli apparati dello Stato,

che si ispira alla logica “emergenziale”, produce rapidamente degli

importanti risultati. Nell’agosto del 1992 il Parlamento approva un

pacchetto di misure antimafia ed introduce il regime penitenziario

differenziato per i capi delle associazioni mafiose, a seguito del quale

aumenta il numero dei soggetti che chiedono di collaborare con la

giustizia.

Si avviano degli importanti procedimenti penali contro i capi e i

componenti di gruppi mafiosi ed anche delle inchieste che

evidenziano l’intreccio fra la mafia e gli uomini dello Stato di tutti i

livelli, e sia a livello nazionale e locale, evidenziando la forte

influenza delle cosche mafiose.

Lo Stato avvia una campagna sempre più forte per combattere

la delinquenza di tipo organizzato ed anche se le istituzioni rivelano

delle forti carenze, riesce a debilitare e delegittimare il sistema di Cosa

Nostra.

30

Page 31: Bozza Finale

CAPITOLO SECONDO

LE DONNE E LA MAFIA

L’onore, quello di cui vanno

fieri e si pavoneggiano gli

uomini, assunto come

compito e come sfida morale

31

Page 32: Bozza Finale

dalle donne stesse, diventa la

pietra tombale di ogni libertà

femminile.

Renate Siebert

2.4 Le donne del Sud

La condizione e l’identità delle donne meridionali presentano

un carattere comune che pervade il Mezzogiorno a partire dal lungo

processo storico che inizia nei secoli precedenti il XX secolo e che

ben caratterizza quest’ultimo. Tale caratteristica è la riproduttività

tipica della società meridionale47 che risulta essere una forte

peculiarità del modello di sviluppo italiano della seconda metà del

‘900, legato alla struttura delle campagne meridionali ed alla scarsa

penetrazione del mercato e dell’industrializzazione. Inoltre essa si

ricollega anche al rapporto tra la produzione e la riproduzione che si

risolve in favore della seconda, così come la produzione agricola

famigliare che ha segnato nei secoli la storia della famiglia come la

storia dell’urbanizzazione meridionale.

La tendenza della famiglia occidentale è rivolta

all’affermazione della famiglia riproduttiva, separata dalle funzioni

47 Ginatempo N., Materno ma non troppo. Questioni per una sociologia delle donne meridionali , in Ginatempo N., a cura di, Donne del Sud: il prisma femminile sulla questione meridionale, Gelka, Palermo 1993, p. 181

32

Page 33: Bozza Finale

riproduttive e dal mercato del lavoro48; in questo contesto si evidenzia

la centralità della gestione femminile delle attività riproduttive e

l’assenza del maschio nella concreta gestione quotidiana di esse. La

riproduzione, oltre ad essere un’attività, è soprattutto un universo

simbolico dove si sono depositati nel corso della storia i valori

storicamente femminili che possiamo definire come quel carattere

sociale femminile che si fonda sui bisogni49 od anche come funzione

materna che ci descrive come costruzione sociale del genere

femminile50.

Quando si parla di riproduzione come sfera di attività sociale, la

ritroviamo nella famiglia ed anche nelle istituzioni che producono

servizi sociali o forme di assistenza ed è in questo senso che si

sviluppa nel Meridione in maniera totalizzante. In questa società

emergono la forte assenza di una propria struttura produttiva, la

dipendenza dal flusso di denaro pubblico esterno e la presenza di una

rete clientelare di distribuzione di ogni tipo di risorsa.

La società riproduttiva si caratterizza socialmente per una bassa

qualità della vita a causa della carenza qualitativa e quantitativa del

sistema pubblico di infrastrutture e servizi. E sono proprio gli aspetti

socio-culturali e politici che influiscono fortemente sulla condizione e

sull’identità femminile ed infatti la società riproduttiva è caratterizzata

dall’estrema povertà e dall’assenza sostanziale della sfera pubblica51,

48 Cfr. Héritier F., voce Famiglia in Enciclopedia Einaudi, Torino 198149 Cfr Prokop U., Realtà e desiderio: l’ambivalenza femminile, Feltrinelli, Milano 197850 Cfr Chodorow N., La funzione materna, La Tartaruga, Milano 199051In questo senso si intende come sfera pubblica lo spazio in cui si praticano realmente i diritti di cittadinanza e come spazio simbolico in grado di produrre etiche, atteggiamenti ed identificazioni ed, infine, come luogo dove prendere coscienza di sé come soggetto autonomo di diritti. Cfr. Siebert R., Il Sud delle donne: potenzialità, interessi, desideri, in Quaderni del laboratorio di

33

Page 34: Bozza Finale

in cui si sviluppa la formazione storica dell’etica del lavoro. La logica

dominante in questo tipo di società non è ispirata dai rapporti di

mercato e dallo Stato come sfera istituzionale e simbolica basata sulla

certezza del diritto e sulla parità dei cittadini. I processi di mutamento

dell’identità femminile sono appunto la sfera pubblica e

l’industrializzazione; la prima è molto debole e parziale nel Sud e

risulta confinata in tre ambiti principali che sono: la scuola, il mercato

dei consumi ed i mass media. La sfera industriale, che in altre aree ha

formato storicamente un’etica e una cultura ed anche l’accesso di

massa al lavoro salariato femminile, è sostituita dalla rete delle

clientele.

La condizione femminile è pertanto unificata dalla comune

appartenenza a questo tipo di società (riproduttiva) in cui si

ripropongono dei particolari tipi di sfera pubblica e di sistema dei

servizi sociali, di mercato del lavoro, di cultura politica e del lavoro,

determinando una struttura di risorse materiali e simboliche che

unificano una condizione di vita in cui lo scarso accesso al mercato

del lavoro e la scarsa qualità della vita sociale generano una

condizione che ripropone la famiglia e il ruolo della donna come

compensativi delle carenze dell’organizzazione sociale52.

Nella società meridionale si verificano dei processi involutivi

che peggiorano la situazione della sfera pubblica ed influiscono

pesantemente sulla condizione femminile in generale in quanto creano

dei nuovi vincoli. La generale debolezza del Welfare State unifica poi

Storia, Castrovillari, n.2, 1989, p.2152 Ginatempo, op. cit., p. 183

34

Page 35: Bozza Finale

tutte le donne del Sud in una condizione che crea il bisogno di un

lavoro riproduttivo aggiuntivo per soddisfare i bisogni quotidiani della

famiglia (rafforzando maggiormente la divisione sessuale del lavoro).

Il cattivo funzionamento delle istituzioni colpisce la donna in vari

modi: come utente dei servizi qualitativamente indecenti; come

disoccupata e potenziale lavoratrice nei servizi che vengono attivati in

numero ridotto e solo per determinate clientele e come cittadina che

non può fare esperienza di sé e degli altri nella sfera pubblica.

Per le donne meridionali, il modello di identità è molto legato

alla tradizione, che le vuole mogli e madri, ma da qualche tempo si

assiste al tentativo di aderire a nuovi processi di mutamento per

evadere dal mondo famigliare e dai ruoli prescritti alla ricerca di

cammino fondato su più autonomia e più socialità. Le donne non

vogliono più essere solamente delle madri53 ed è per questo che

affrontano anche dei nuovi percorsi di istruzione.

Il cambiamento femminile nel Mezzogiorno si caratterizza

infatti in tre dimensioni macrosociologiche, ovvero: la contrazione

delle nascite, la trasformazione delle donne in donne occupate, o in

cerca di occupazione, o disoccupate e la crescita dell’istruzione

superiore, secondaria e universitaria54. La prima dimensione si scontra

con la caratteristica fondamentale della cultura femminile meridionale

che è rimasta immutata soprattutto in considerazione della forte azione

esercitata dal fattore “materno”55 che rimane la forma specifica di

53Cfr. Berger K., La pluralizzazione dei mondi della vita, in L. Sciolla (a cura di), Identità, Rosenberg & Sellier, Torino 198854 Ginatempo, op. cit., p.555 IDEM, Donne al confine, Franco Angeli, Milano 1994

35

Page 36: Bozza Finale

potere legata all’identità femminile. La maternità è sempre molto forte

al punto da sovrastare i comportamenti innovativi; tuttavia si intravede

l’azione delle nuove generazioni, in particolare quelle più istruite, che

non sono più succubi della maternità ma scelgono quando cercarla

perché ricercano un precipuo spazio per sé56.

La seconda dimensione, l’occupazione femminile, è un campo

che presenta delle forti contraddizioni nonostante la crescita della

presenza di donne sul mercato del lavoro a partire dagli anni Settanta e

la crescente tendenza femminile a restarvi dopo il matrimonio e la

nascita dei figli. Bisogna però evidenziare che in Italia l’occupazione

femminile è segregata da una cultura clientelare che l’ha indirizzata

essenzialmente in ambiti poco innovativi, come ad esempio

l’insegnamento e l’impiego pubblico57. Per quanto riguarda

l’insegnamento è opinione diffusa che sia il lavoro più consono ad una

donna in quanto le permette di conciliare i due ruoli che occupa nella

famiglia e nel mondo del lavoro58.

Le donne si inseriscono in un mercato del lavoro che può essere

definito “dualistico” in quanto si è formato dalla compresenza di

un’occupazione qualificata circoscritta, che privilegia la forza lavoro

istruita, insieme a forme di occupazione precaria, dequalificata, o il

lavoro nero della manodopera con basso titolo di studio. In questo

contesto, le donne che si inseriscono nel livello intermedio,

generalmente diplomate, incontrano i problemi maggiori poiché sono

56 Piccone Stella S., Introduzione, in Ginatempo N. (a cura di), Donne del Sud, op. cit., p.1157Piselli F., Donne e mercato del lavoro: il caso della Calabria e del Portogallo , in Ginatempo N. (a cura di), Donne del Sud, op. cit., p.5958Cfr. Gugino C. - Lo Cascio G., La famiglia, in AA. VV. Essere donna in Sicilia, Editori Riuniti, Roma 1986

36

Page 37: Bozza Finale

interessate dalla disoccupazione e sono costantemente alla ricerca di

un’occupazione anno dopo anno, e sono anche quelle con il più alto

livello di frustrazione e di insoddisfazione.

La mancanza di lavoro colpisce però anche le donne con titolo

di studio della scuola dell’obbligo in quanto vi è una forte carenza di

domanda di lavoro manuale qualificato stabile ma anche per quello

specificatamente qualificato destinato alle laureate59.

A differenza di altre aree d’Italia, in Sicilia, il lavoro

extradomestico delle donne è subordinato alle priorità familiari ma si

stanno verificando dei cambiamenti nelle giovani donne che sentono il

desiderio di realizzarsi e di lavorare per guadagnare60.

Per quanto concerne la terza dimensione relativa alla crescita

della scolarizzazione femminile, essa inizia ad affermarsi a partire

dalla seconda metà degli anni Settanta grazie all’aumento dei redditi,

all’influenza della penetrazione di atteggiamenti cosmopoliti, veicolati

dai media ed anche alla speranza di un possibile sbocco occupazionale

ad un livello più elevato61.

Non bisogna dimenticare poi che il cambiamento delle giovani

donne del Sud è frenato in larga parte dai vincoli legati allo sviluppo

economico del Mezzogiorno, dalle distorsioni che caratterizzano le

relazioni nella sfera pubblica e dalle proporzioni ridotte della sua

società civile.

59Leccardi C., Giovani donne, immagini del lavoro e mutamento sociale in Calabria, in Ginatempo N. (a cura di), Donne del Sud, op. cit., p.7260 Ivi 61Oppo A., Ruoli femminili in Sardegna: rotture e continuità, in Ginatempo N. (a cura di), Donne del Sud, op. cit., p.65

37

Page 38: Bozza Finale

2.5 La donna nelle organizzazioni mafiose

A differenza di quanto si riteneva in passato, le donne di mafia

sono sempre state a conoscenza di ciò che facevano i loro uomini

anche se ufficialmente non parlavano e non sapevano. Tale scenario

però si è pian piano dissolto a partire dalla fine degli anni Ottanta

quando dei nuovi studi sul fenomeno mafioso hanno scoperto l’attività

e l’importanza dei ruoli femminili rispetto agli stereotipi dominanti62.

Negli ultimi trent’anni si è assistito alla trasformazione dei ruoli

svolti dalle donne in Cosa Nostra e nella ‘Ndrangheta e di recente

alcune donne di mafia63 hanno assunto potere sociale in prima

persona. Un potere che si sviluppa all’interno della famiglia perché se

l’uomo di mafia ha l’onore, la donna di mafia è l’onore 64.

Il coinvolgimento della donna nella sfera criminale è iniziato

nella seconda metà degli anni Settanta in corrispondenza della crescita

dell’inserimento mafioso nel traffico internazionale di stupefacenti e si

è consolidato nei periodi più critici. Tale mutamento è stato favorito

anche dalla nuova generazione di donne, più istruite e più libere di

muoversi rispetto al passato;è fondamentale infatti il mutamento della

condizione della donna nella società relativo alle nuove aspettative

sociali, al mercato del lavoro ed ai costumi sociali.

62Una rassegna di questi nuovi studi si ritrova in Santino U., Dalla mafia alle mafie. Scienze sociali e crimine organizzato, Rubbettino, Soveria Mannelli 2006, pp.209-22963Nella Camorra napoletana lo hanno sempre fatto64Di Maria F. – Lo Verso G., La donna nelle organizzazioni mafiose, in AA.VV., Donne e mafie. Il ruolo delle donne nelle organizzazioni criminali, Dipartimento di Scienze penalistiche, Università degli studi di Palermo, Palermo 2003, p.91

38

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Le mansioni femminili in ambito criminale si sono sviluppate in

parallelo al ruolo tradizionale della sfera privata; storicamente alla

donna era affidato il compito di trasmettere il codice culturale

mafioso, di incitare gli uomini a compiere vendetta, di fare da garante

della reputazione maschile e da merce di scambio nelle politiche

matrimoniali. Non doveva essere istruita ma le era imposto un

modello criminale direttamente nella propria casa e ciò è accaduto a

Rosa N. che afferma infatti di essere:

«Nata e cresciuta in una famiglia molto ristretta, io non

potevo uscire, non mi hanno fatto studiare, arrivata alla

seconda elementare mi hanno detto che non valeva la pena

andare avanti perché giustamente non serviva a niente

continuare perché l’importante è che io stavo in casa,

lavoravo in casa quindi non mi serviva a niente la scuola;

però se non mi serviva la scuola non mi serviva neanche

andare a fare il contrabbando di sigarette …. invece l’ho

dovuto fare»65.

La donna doveva comportarsi rettamente e se teneva un

comportamento immorale gli uomini della famiglia dovevano punirla

con la morte o altrimenti sarebbero divenuti inaffidabili e

potenzialmente morti.

Non si deve però considerare la donna solamente una vittima in

quanto essa è venerata come una regina, è rispettata e ossequiata da

65Ingrascì O., La mafia e le donne: nuove ipotesi di ricerca, tesi di laurea, Università degli studi di Milano, Milano 1998-1999, p.334

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tutti66, è molto ricca, ha potere totale nell’educazione dei figli ed è

garante dell’equilibrio affettivo di tutta la famiglia.

Le donne di mafia sono abbastanza religiose a differenza degli

uomini che praticano una religione di apparenza, con un posto in

prima fila durante le processioni67.

In apparenza la figura della donna è messa nelle retrovie

dell’organizzazione di Cosa Nostra anche se è sempre stata nei miti e

nella vita quotidiana dei mafiosi; si potrebbe affermare che questa

emarginazione è l’elemento fondamentale per la coesione di gruppi.

Per definizione la mafia è una società segreta che esclude le

donne dal ruolo pubblico anche se a tempo dovuto possono diventare

utili, ad esempio come merce di scambio per consolidare nuove

alleanze tramite i matrimoni. Il rapporto con le donne è unidirezionale,

nel senso che esse sono sfruttate, dominate, soggiogate e tenute

all’oscuro dei segreti dell’organizzazione. Esse hanno il compito di

«fare figli e accudire la casa»68.

La donna sopporta il peso della responsabilità di conservare la

reputazione che serve a tenere alto il nome della famiglia ma il suo

ruolo è meramente strumentale e secondario in quanto serve solo

come proliferatrice di figli e non deve avere altro ruolo. La maternità

le dà la garanzia di essere onorata e nel contempo le consente, nel

momento in cui dà alla luce un figlio maschio, di essere partecipe

66 Ivi. Una giovane diciassettenne affermò , durante una seduta di psicoterapia, che se fosse andata in giro nuda, nessuno avrebbe osato sfiorarla.67Cfr. Scarpinato R., Il dio dei mafiosi, in Micromega, n.19, 2000 e Principato T.-Dino A., Mafia donna. Le vestali del sacro e dell’onore, Flaccovio, Palermo 199768Intervista al pentito Antonio N., Modena, 5 maggio 2004 in Ingrascì O., Donne d’onore. Storie di mafia al femminile, Mondadori, Milano 2007, p. XVII

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dell’universo maschile. E ciò avviene in quanto la donna è apprezzata

dall’uomo come generatrice di figli maschi che rappresentano per la

donna-madre motivo di orgoglio nella comunità visto che il maschio

dà il nome. Nei ricordi di Rosa un episodio ben illustra l’importanza

conferita alla linea genealogica maschile:

«La famiglia era costituita dai nipoti maschi; i nipoti

provenienti dai figli maschi erano sempre seduti in

prima fila, mentre i miei fratelli, figli di una figlia,

erano dall’altra parte […] una volta mio nonno ci ha

cacciati dal tavolo dicendoci che non eravamo dello

stesso cognome suo»69.

La donna è investita del compito di trasmettere il codice

culturale mafioso, un esempio pregnante lo riscontriamo

nell’educazione che Ninetta Bagarella impartisce ai suoi figli. Lei è

donna di “lignaggio mafioso” in quanto è sorella di Leoluca Bagarella

e moglie di Totò Riina, con cui condivide la latitanza mentre si occupa

dell’educazione dei figli; i figli maschi Giovanni e Giuseppe sono stati

accusati di associazione di tipo mafioso e il maggiore Giovanni, a soli

venticinque anni, è stato condannato all’ergastolo per omicidio70.

L’influenza della madre è molto forte ed influisce sulle scelte

del proprio figlio e tale potere diviene ancor più rilevante quando il

69Ingrascì, La mafia e le donne d’onore, op. cit., p.33370Giovanni è stato condannato all’ergastolo mentre Giuseppe è stato assolto dal Tribunale dei minori di Palermo

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Page 42: Bozza Finale

padre è detenuto o latitante, di cui si preoccupa di trasmettere

un’immagine fortemente positiva tanto che i figli arrivano a

mitizzarla. Questo processo di mitizzazione viene infatti rilevato dal

magistrato Alessandra Camassa che, sulla base di testimonianze di

donne di mafia della Valle del Belice, osserva appunto che:«La madre,

pur nel ruolo casalingo, svolgeva una funzione primaria in quanto

appoggiava il modello trasmesso dal padre. E infatti le figlie

raccontavano spesso di padri sempre assenti ma sempre presenti nei

racconti mitizzanti della madre: donna-madre che si costruisce un

uomo-eroe che in realtà non esiste»71.

Nel modello educativo, gli elementi fondamentali sono l’onore,

la vendetta e l’omertà, che, secondo Rosa N.:

«Noi siamo cresciuti nella mentalità balorda: mai

venire a dire “quello ha rubato una cosa”, mai

venirlo a dire, devi stare zitta, guai, ma io non ero

capace, tant’è vero che a volte vedevo mio fratello

rubare mille lire e subito lo dicevo a mia mamma,

erano tante di quelle botte che prendevo, “perché me

l’hai detto? Devi stare zitta»72.

I figli, sia maschi che femmine, imparano subito a rispettare i

genitori: il padre come rappresentante della mascolinità e della virilità

71Camassa A., Lo psichismo mafioso femminile. Una testimonianza, in G. Lo Verso (a cura di), La mafia dentro: psicologia e psicopatologia di un fondamentalismo, Franco Angeli, Milano 1998, p.12172Ingrascì Ingrascì O., Donne d’onore, op. cit., p.338

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Page 43: Bozza Finale

e la madre nella sua capacità riproduttiva ed educativa in quanto il

ruolo biologico le consente di avere importanza all’interno del sistema

maschile mafioso.

La sua posizione è, però, piuttosto ambivalente in quanto oscilla

tra i livelli di estraneità e di complicità ed anche se è ben consapevole

del ruolo subordinato al quale è confinata, sa che la sua presenza è

indispensabile per il funzionamento dell’organizzazione.

Nonostante la donna è da sempre destinata ad essere

sottomessa, conquista pian piano un ruolo di centralità, che possiamo

definire sommersa in quanto le conferisce un ruolo attivo nelle

strategie organizzative della mafia. Tali cambiamenti hanno permesso

di indagare sui meccanismi e sulla dinamica femminile

dell’organizzazione; da ciò è emersa la figura di una donna che è

fedele al proprio uomo e custodisce e trasmette dei valori contrastanti

in quanto da un lato ci sono quelli pseudo-religiosi relativi al

rafforzamento della sacralità e dell’unione della famiglia e dall’altro

quelli inerenti alla trasmissione dei codici mafiosi.

Pertanto la donna «è un fulcro fondativo della struttura

psicologica dell’associazione mafiosa»73.

2.2.1 Le donne di Cosa Nostra

73Cfr. Di Maria F., Il segreto e il dogma: percorsi per capire la comunità mafiosa, Franco Angeli, Milano 1997

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Page 44: Bozza Finale

Nel mondo di Cosa Nostra la donna-madre è innalzata a

importanza ‘divina’74; essa è incontaminata, priva di sessualità ed è

per tali considerazioni che spesso i siciliani la evidenziano come

vittimizzata, soggiogata e subordinata. Le sue relazioni sono limitate

alla sfera famigliare e quindi è emarginata nel suo ambiente, così

come i suoi figli che sono prigionieri del codice materno che

garantisce loro la protezione mentre quello paterno gli incute timore in

quanto il potere è nelle mani del padre che controlla e infligge

punizioni75.

Il mondo del sentire mafioso si compone di regole e simboli: la

mafia protegge, i mafiosi detengono il potere di morte e di distruzione,

la casa è il regno della famiglia e la moglie la corona di tale regno76.

Come abbiamo detto, la figura della donna assume dei contorni

ambivalenti in quanto è socialmente soggiogata dal potere del

“maschio” mentre all’interno dell’organizzazione mafiosa, rappresenta

il potere, da cui deriva la sua totale esclusività di decidere del futuro

dei figli77. Lei può spingere i figli maschi verso qualsiasi azione

violenta e le figlie femmine verso il futuro di donna-madre garante

dell’integrità familiare.

La ricerca – ed in particolare quella sullo psichismo mafioso -

ha evidenziato il ruolo primario delle donna che, in quanto oggetto-

istituzione78, incarna i valori e i codici mafiosi della famiglia. Le

74Di Maria – Lo Verso G., La donna nelle organizzazioni mafiose, op. cit, p.9775Cfr. Lo Verso G.-Lo Coco G., La psiche mafiosa: storie di casi clinici e collaboratori di giustizia, Franco Angeli Milano 200376Di Maria – Lo Verso G., La donna nelle organizzazioni mafiose, op. cit, p.9777Cfr. Arlacchi P., Gli uomini del disonore. La mafia nella vita del grande pentito Antonio Calderone, Mondadori, Milano 1992 78Cfr. Fiore I., le radici inconsce dello psichismo mafioso, Franco Angeli, Milano 1997

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Page 45: Bozza Finale

madri hanno la prerogativa della trasmissione dei valori, della cultura,

dei modelli relazionali e simbolici ed affettivi e ciò rafforza il loro

ruolo centrale nell’organizzazione mafiosa. Ma i valori su cui si fonda

questa modalità di pensiero, alimentano il profondo divario tra il

potere maschile e la dinamica femminile. Da ciò ne consegue

l’assegnazione di ruoli standard conferiti all’uomo e alla donna che,

nella cultura siciliana (ma anche da altre), hanno assegnato, al primo,

il potere e il dominio mentre alla donna il ruolo di “grande madre”.

In queste realtà il legame fra uomo e donna si sviluppa nella

forma simbiotica madre-bambino che genera delle relazioni di

attaccamento o, talvolta, delle manifestazioni depressive79.

In questa sistema mafioso, essere donna equivale ad essere

portatrice di un sistema di valori che deve essere conservato intatto,

mantenendo la sacralità della famiglia ed è per questo che non si può

fare a meno di essa.

La donna che nasce e cresce in Cosa Nostra, è costantemente

controllata e fin da piccola è modellata ed educata in vista di un futuro

che la vedrà andare in sposa ad un uomo d’onore ed ha un ruolo

determinante e funzionale all’espansione del potere dei propri

uomini80.

Con il trascorrere del tempo, l’universo femminile di Cosa

Nostra ha assunto ampia prospettiva con un forte processo di

79La prospettiva analitica è volta ad analizzare le ripercussioni che il pensare mafioso ha dal punto di vista psichico, mentale, emozionale; l’enfasi è posta sui meccanismi che spingono tale organizzazione a reagire o rimanere vittime del sistema. A tal proposito di veda: Lo Verso G. (a cura di), La mafia dentro: psicologia e psicopatologia di un fondamentalismo, Franco Angeli, Milano 199880Principato - Dino, op. cit.

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soggettivazione femminile riguardante le mogli, le compagnie, le

figlie e le sorelle dei mafiosi. Si evidenzia una scissione del ruolo

della donna: da un lato vi è la donna che non si sente solo “matri di

famigghia” ed istiga l’uomo ad allontanarsi da questo mondo, mentre

dall’altro, vi è la donna che, alla luce della tradizione, è depositaria di

un potere di morte che le assicura un posizione di rispetto e di

riguardo, al punto da rifiutare il suo uomo quando si pente.

Nel primo caso le donne si trovano a fare parte, contro la loro

volontà, di una condizione di subordinazione e costrizione, diventando

così delle complici silenti di Cosa Nostra, perché l’uomo mafioso la

ritiene una fonte di guai ed è questa ragione che non deve

emanciparsi. Il corpo femminile ha un ruolo centrale nella strategia

del potere territoriale, come se, secondo il giudice Ignazio De

Francisci, fosse una sorta di ius copulandi81e fosse così la

suggellazione di un patto che assoggetta le femmine al maschio

padrone.

Con il passare del tempio e con l’evolversi delle indagini e dei

processi, l’immagine della donna è passata da vittima sottomessa a

donna complice e custode di segreti. Sembrerebbe infatti che le donne

siano complici dell’attività mafiosa e quindi capaci di intendere.

La donna (intesa come madre, moglie, compagna, sorella e

figlia) occupa una posizione di potere all’interno dell’organizzazione

mafiosa, che le conferisce uno status di rilievo inattaccabile. Quando

l’uomo d’onore si pente, priva di fatto questo status e suscita

sentimento di disprezzo nei suoi confronti.81Siebert, Le donne e la mafia, op. cit., p.29

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Page 47: Bozza Finale

Concludendo, come abbiamo visto il ruolo della donna

all’interno di Cosa Nostra è fondamentale anche se essa:«spesso viene

considerata un soggetto di serie b, quando in realtà il suo contributo

nella delineazione della realtà femminile all’interno dell’attività e del

sentire mafioso potrebbe risultare più pregnante rispetto a quello

offerto dall’uomo»82.

2.2.2 Le donne calabresi

Le donne della ‘Ndrangheta e della Camorra non presentano le

stesse caratteristiche di quelle di Cosa Nostra anche se in parte la

‘Ndrangheta si basa su una struttura gerarchicamente verticale e

sull’affiliazione su base etnico-famigliare. Per comprendere il ruolo

della donna all’interno di questa organizzazione, si pone l’attenzione

sulla sua tipicità anche perché la ‘ndrangheta, a differenza della mafia

siciliana, ha cercato quasi sempre di evitare lo scontro frontale con lo

Stato; adusa alla sottile pratica della collusione e della corruzione, si è

sovrapposta e si è intrecciata, inestricabilmente, con segmenti delle

istituzioni83.

La ‘Ndrangheta si è sviluppata maggiormente a partire dagli

anni Settanta e Ottanta quando da mafia rurale legata ai proventi di

estorsione, sequestri e contrabbandi, è passata ad essere una mafia di

stampo imprenditrice e finanziaria con vaste ramificazione al Nord

82Ingrascì O., in AA.VV., Donne e mafie, op. cit., p.10083Malafarina L., La ’ndrangheta. Il codice segreto, la storia, i miti, i riti ed i personaggi ,Gangemi, Roma, 1989, p. 60

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Page 48: Bozza Finale

d’Italia ed in alcuni paesi esteri, come ad esempio la Germania, i paesi

dell’Est, l’Australia e il Canada. Essa è presente nel territorio

calabrese soggiogando al proprio potere il controllo territoriale di

diversi comuni mentre in altri è del tutto assente.

La ‘Ndragheta si struttura sulle relazioni parentali: famiglia di

sangue e famiglia criminale tendono a coincidere in quanto la

famiglia, intesa appunto come cellula primaria dell’organizzazione

mafiosa, è una realtà in grado di rigenerarsi e consolidarsi, in modo

omogeneo e costante, che si espande mediante unioni matrimoniali e

comparati con esponenti di altre famiglie onorate. Tuttavia a

differenza della mafia «la ‘Ndrangheta continua a essere divise in

‘ndrine autonome senza una struttura unica di comando; le ‘ndrine, a

loro volta, sono sempre più costituite su basi familiari e parentali

molto ampie. Queste continuano a rappresentare la spina dorsale della

struttura ‘ndranghetista»84.

Dalla relazione della Commissione parlamentare sulle

organizzazioni mafiose del 2000 si legge:« Al contrario di quanto

molti per lungo tempo hanno creduto, la famiglia di sangue come

fondamento della famiglia mafiosa, la struttura familiare comne

fondamento dell’organizzazione mafiosa, si sono rivelate – nella realtà

della Calabria e in quella di territori anche molto lontani e diversi –

uno straordinario strumento di salvaguardi e di espansione della

‘Ndrangheta. È proprio questa struttura “primitiva” che ha consentito

84Ciconte E., ‘Ndrangheta dall’unità ad oggi, Laterza, Roma 1992, p.361

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Page 49: Bozza Finale

alla ‘Ndrangheta di evitare la tempesta che si è abbattuta su Cosa

Nostra, sulla Camorra e sulla Sacra Corona Unita»85.

Nella famiglia ‘ndranghetista vi è l’introduzione di comari e

compari, che sanciscono ulteriori rapporti, legittimati dai vari riti

religiosi (battesimo, cresima, matrimonio) che uniscono gli attori ad

una parentela spirituale, molto sentita in Calabria. Queste relazioni si

sovrappongono nella vita quotidiana, formando quella rete di

conoscenze sociali senza la quale non ci sarebbe socialità tra gli

uomini.

Nella ‘Ndrangheta, il vincolo familiare funziona da scudo a

protezione in primis dei segreti e della sicurezza dell’organizzazione

mentre, verso l’esterno, sottoforma di ideologia, si presenta come

difensore della famiglia e dei suoi valori, mentre al suo interno i

singoli uomini d’onore sono consapevoli dell’uso cinico che di questi

valori si è tenuti a fare: “la società di familisti amorali non ha dubbi

sulla sua disonestà”86. Infatti, «la manipolazione delle reti parentali e

amicali e l’uso strumentale degli stessi, fino al gesto estremo di

sacrificio della loro vita, sono impegni che l’aspirante mafioso

s’incarica di rispettare al momento dell’iniziazione»87.

Scelgono anche i simboli che li rappresentano in modo da

richiamare idealmente la famiglia, pur se con la consapevolezza di

creare un duplicato fittizio. Si pensi, ad esempio al simbolo scelto

85Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia e delle altre associazioni criminali similari, Relazione sullo stato della lotta alla criminalità organizzata in Calabria, XIII legislatura, Roma 2000, pp.101-10286Banfield C. E., Una comunità del Mezzogiorno, ed. orig. The moral basis of a backward society, New York, Il Mulino, Bologna, 1961,p. 7387Siebert R., Le donne, la mafia, Il Saggiatore, Milano 1994, p. 65

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Page 50: Bozza Finale

dalle ‘ndrine, per rappresentare il ruolo dei singoli appartenenti, in

scala gerarchica, raffigurata dall’albero della scienza. « “Lo statuto è

diviso in 6 parti: il fusto rappresenta il capo della società; il rifusto, il

contabile e il mastro di giornata; i rami i camorristi di sangue e di

agrario; i ramoscelli i picciotti o i puntaioli; i fiori rappresentano i

giovani d’onore; le foglie le carogne e i traditori che finiscono per

marcire ai piedi dell’albero»88. Il rispetto si fa maggiore dalla base

verso il vertice ed è proporzionale al tempo trascorso in seno alla

famiglia. La norma che regola i rapporti intra-familiari non è qui la

solidarietà o l’appartenenza, ma è la subordinazione, cioè l’insieme di

obblighi e di valori che mettono in risalto le posizioni di potere

vigente sia nella gerarchia domestica di stampo patriarcale, che in

quella ndranghetista.

In questo contesto l’autorità della donna viene annullata in virtù

del principio secondo cui l’autorità del padre prevale a causa della

“supremazia del sesso”; nella famiglia l’uomo è il padre, è il padrone,

che si serve della soggezione assoluta di moglie e figli. Questi uomini,

vivendo sottomessi da secoli, tendevano a esercitare

quel minimo di potere che era loro concesso di diritto, imprigionando

la propria famiglia a obblighi e doveri, dettati da un capofamiglia-

padrone, in nome di una dignità, che altro non era, che un’immagine

da spendere all’esterno.

Alla donna spettava unicamente il compito di rispetto e

deferenza ma col passare del tempo essa sta mutando soprattutto in

relazione al fatto che nel contesto tradizionale e rurale rivestiva un 88Ciconte, op. cit., p.102

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Page 51: Bozza Finale

ruolo lontano dalle attività criminali anche se emergeva nelle faide,

nelle vendette e nell’incitamento alla vendetta89. Queste faide erano

legate, apparentemente, a delle questioni di offesa e di onore tra le

famiglie ma nella realtà, esse erano lotte per il controllo criminale del

territorio. Nella mafia ‘rurale’ le donne sanno ma non parlano e non

assurgono mai a ruoli di primaria importanza mentre in alcune

organizzazioni mafiose imprenditoriali la donna è molto più attenta.

Vi sono, infatti, “mogli di soggetti che sono detenuti per fatti

gravissimi, fatti di sangue, fatti di mafia e le mogli sono impiegate

statali, hanno anche compiti di un certo rilievo all’interno di alcune

amministrazioni pubbliche”90.

Da ciò si evince che in un contesto rurale le donne di una certa

età e le madri hanno un ruolo attivo, legato alle questioni di vendetta a

differenza delle giovani, che sono oggetto di strategie matrimoniali

per rinsaldare le alleanze famigliari. Il pentito Antonio Zagari

sottolinea, infatti, l’importanza criminale delle donne nelle famiglie

legate alla ‘Ndrangheta:«Le regole della ‘Ndrangheta calabrese non

contemplano la possibilità di affiliare elementi femmina, tuttavia se

una donna viene riconosciuta particolarmente meritevole può essere

associata con il titolo di ‘sorella di omertà’; senza però prestare

giuramento di fedeltà all’organizzazione come è obbligatoriamente

previsto per gli uomini; ma difficilmente si riconosce il titolo a chi

89Siebert R., Donne di mafia: affermazione di uno pseudo-soggetto femminile. Il caso della ‘Ndrangheta, in AA.VV., Donne e mafie, op. cit., p.3090Ivi, Intervista con Eugenio Facciolla, Catanzaro 19 novembre 2001

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Page 52: Bozza Finale

non è già moglie, figlia, sorella, fidanzata, o comunque imparentata

con uomini d’onore»91.

Il ruolo della donna non è passivo ma attivo in quanto fomenta e

partecipa in prima persona alle faide famigliari ed anche quando

queste si trasformano in guerra di mafia. La testimonianza di Rita di

Giovine, collaboratrice di giustizia e componente del clan Serraino-Di

Giovine92 ben chiarisce la situazione. Lei assiste alla guerra di mafia

da lontano in quanto vive a Milano ma quando rientra in Calabria per

trascorrere le vacanze viene coinvolta. Racconta infatti che:

«Mia zia, mia cugina fanno tutto. Anch’io quando

ero giù in Calabria, non le armi ma portavo mio zio,

lo accompagnavo in macchina ds qualche parte

oppure andavo a prendere i bigliettini da portare a

mio zio, lui le chiamava “ambasciate”; […] quelle

che hanno fatto i lavori giù nella guerra di mafia

sono state le donne. Quando arrivavano le armi era

mia zia che faceva da staffetta, mia zia che le

consegnava, oppure mia cugina andava a prendere,

non so, la pistola, il fucile, quello che serviva e lo

portava a suo padre. E quando uscivano di casa

uscivano sempre scortati dalle donne oppure con le

parrucche […] gli uomini erano sempre latitanti o

erano agli arresti domiciliari forzati perché si

91Zagari A., Ammazzare stanca. Autobiografia di uno ‘ndranghetista pentito, Edizioni Periferia, Cosenza 1992, p.1292L’intervista viene realizzata da Ombretta Ingrascì per la sua tesi di laurea, op. cit., si veda nota 65

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Page 53: Bozza Finale

arrestavano da soli, cioè stavano chiusi in casa e chi

lavorava erano tutte donne[…] cioè tutte le cose che

si svolgevano erano sempre tramite noi donne»93.

Le donne sono molto attive e soprattutto consce del ruolo che

ricoprono anche se rimangono sempre un mero strumento nelle mani

del maschio quando vengono utilizzate per le strategie famigliari

tramite i matrimoni di comodo. Nel caso in cui non concordano,

possono anche essere uccise ed hanno il medesimo trattamento se si

innamorano dell’uomo sbagliato.

Tuttavia, i processi di modernizzazione della ‘Ndrangheta

hanno influito fortemente sul ruolo delle donne nei contesti di vita e di

attività criminale delle famiglie mafiose. Esse sono maggiormente

sfruttate dai mafiosi che tendono a non coinvolgere i figli e quindi a

sfruttare maggiormente la situazione della donna anche perché sanno

che essa è meno controllata dalle forze dell’Ordine.

Anche i processi di emancipazione femminile in generale e

l’alto tasso di scolarizzazione secondaria delle donne hanno

influenzato la loro posizione all’interno del mondo della ‘Ndrangheta.

Basti pensare che molte mogli o conviventi di criminali mafiosi,

gestiscono i loro conti correnti, fanno una vita lussuosa e controllano

le operazioni finanziarie, creano delle imprese in quanto sono meno

controllabili nei movimenti94.

93Ivi 94Intervista con Eugenio Facciolla, Catanzaro 19 novembre 2001

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Page 54: Bozza Finale

In generale, si nota la tendenza da parte delle donne ad

occuparsi degli interessi criminali della famiglia e soprattutto delle

strategie comunicative contro la magistratura, contro la collaborazione

e si impegnano attivamente nella gestione economica della ricchezza e

nell’attività criminale violenta, come ad esempio l’estorsione, l’usura,

il traffico di droga e di armi. Sfruttano abilmente il loro ruolo di

casalinghe che le aiuta a nascondere messaggi, armi, droga ed altro e

che le rende pertanto meno controllabili degli uomini

2.2.3 Le donne napoletane

La Camorra napoletana è sempre stata molto diversa da Cosa

Nostra in termini di struttura interna di organizzazione, di attività e di

ruolo nella società civile e nella politica. Tali differenze sono state

oggetto di scherno da parte dei mafiosi siciliani che hanno deriso

spesso i camorristi, definendoli dei “buffoni”95; in un’intervista il

pentito Salvatore Migliorino ha spiegato che i camorristi si vantavano

troppo e che agivano troppo apertamente senza discrezione96.

Le differenze tra queste due organizzazioni sono innanzitutto

territoriali e ciò riguarda anche il ruolo delle donne che nel corso dei

decenni si evolve in base ai legami con le diverse aree geografiche. Le

95Allum F., Donne nella Camorra napoletana 1950-200, in AA.VV., Donne e mafie, op. cit., p.1496Salvatore Migliorino, ex membro del clan Gionta di Torre Annunziata, 22.08.1997, Procura di Napoli, p.29

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Page 55: Bozza Finale

donne non sono più ai margini della malavita napoletana ma

acquistano una rilevanza centrale all’interno dell’organizzazione. Esse

non vivono più all’ombra dei padri, dei fratelli, dei cugini, dei mariti,

dei figli o degli amanti ma si sono trasformate in protagoniste attive e

partecipano attivamente con dei ruoli formali, come prestanomi per

un’azienda o assumendo la leadership e prendendo decisioni

strategiche per l’attività del clan. Un esempio lo si riscontra nel paese

di Lauro, in provincia di Avellino, dove le donne del clan Graziano

nel maggio del 2002 si sono scontrate in una sparatoria con quelle del

clan Cava, durante il quale tre di loro sono morte e sei gravemente

ferite97.

Queste donne sono sempre state coinvolte e consapevoli delle

attività dei loro uomini e non sono mai state delle spettatrici passive in

quanto hanno costituito la spina dorsale dell’organizzazione criminale,

diventandone sempre più coinvolte.

Gli storici ritengono che nella trasformazione delle donne

camorristiche, a partire dal periodo post bellico, si possano

riconoscere tre fattori quali:

1) i cambiamenti della società;

2) la guerra della Camorra che si è sviluppata negli anni

Ottanta fra due diversi modelli criminali;

3) la struttura interna flessibile della Camorra e la mancanza

di gerarchia nell’organizzazione che dà alle donne

l’opportunità di assumere un ruolo attivo98.97Donne Killer, in Ultimissime, 29 maggio 2002, p.198Cfr. Allum F., op. cit., p.15

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Page 56: Bozza Finale

Nel tempo la Camorra si è evoluta passando da un modello

criminale tradizionale ad una macchina moderna ed efficiente che

produce denaro con una struttura flessibile. Conseguentemente è

mutato anche il comportamento delle donne che si sono allontanate

dal modello tradizione per assumere ruoli attivi e decisionali. Tutto

ciò è, però, in parte anche dovuto all’emancipazione delle donne nella

società napoletana che le avvicina sempre più al mondo del lavoro e

che le spinge a non concentrarsi più totalmente verso la famiglia

facendola diventare il centro della loro vita. Le donne napoletane

giocano un ruolo pieno e attivo nella società, “ forse più di qualunque

altra donna di qualunque regione d’Italia, e la malavita criminale non

fa eccezione”99.

Possiamo distinguere tre fasi dello sviluppo della figura della

donna, quali:

- dal 1950 al 1976 in cui le donne sono considerate come

sistema di sostegno;

- dal 1976 al 1990 in cui le donne difendono i loro uomini;

- dal 1990 al 2003 in cui le donne agiscono come criminali in

prima persona.

Nella prima fase le donne sono il sostegno dell’organizzazione,

così come accade nell’organizzazione mafiosa siciliana, ma già da

99Longrigg C., L’altra metà della mafia: l’anima femminile di cosa nostra, ndrangheta e Camorra , ed. orig. Mafia Women, Ponte delle grazie, Milano 1997, p.35

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Page 57: Bozza Finale

questo momento esse tendono ad allontanarsi da questa forma

tradizionale di comportamento per arrivare all’indipendenza.

Nella seconda fase le donne difendono i loro uomini e ciò è

dovuto ai conflitti che avvengono in questo periodo tra i modelli

criminali che vogliono imporsi come La Nuova Camorra Organizzata

(NCO) che vuole imporre il modello culturale della Campania e la

Nuova Famiglia (NF) che rilancia quello siciliano più tradizionali.

Questa situazione porta ad un reale coinvolgimento delle donne nelle

attività della Camorra.

Nella terza fase hanno ormai assunto un ruolo principale perché

in mancanza di uomini adatti a prendere in mano la leadership,

ritengono di avere le stesse capacità criminali degli uomini.

Il momento cruciale dell’evoluzione della figura della donna si

colloca tra la seconda e la terza fase quando le donne diventano

effettivamente delle protagoniste dell’attività criminale ed il fatto che

esistevano molti modelli criminali, faceva mancare un codice d’onore

tradizionale da perseguire ed in questo momento piuttosto caotico le

donne si sentono di dovere ricoprire un ruolo attivo. Tale periodo

coincide anche con l’inizio del fenomeno del pentitismo che permette

alle donne di prendere in mano la situazione.

Nel periodo post bellico, il ruolo delle donne è stato

fondamentale anche se all’inizio era invisibile, diventando sempre più

chiaro negli ultimi vent’anni. Tra gli anni Cinquanta ed Ottanta hanno

fatto parte di un sistema di sostegno per i camorristi a livello formale

ed informale ovvero coordinando le reti della Camorra ai livelli più

57

Page 58: Bozza Finale

bassi e producendo le condizioni che hanno incoraggiato i loro figli a

diventare dei camorristi100. Si sono occupate anche della vendita di

sigarette americane di contrabbando, di droga e di merce illecita, agli

angoli delle strade ma hanno anche ricoperto un ruolo essenziale per

l’organizzazione perché non erano altro che la presenza costante della

Camorra nella comunità locale101. Possedevano armi rubate, merce

illegale e ospitavano i boss latitanti mentre a livello formale

diventavano presidenti di compagnie fantasma e ricevevano dei

contratti pubblici come nel caso di Maria Orlando, madre di Lorenzo

Nuvoletta del clan dei Nuvoletta102. Esse diventarono anche dei leali

difensori dei loro uomini, seguendone i processi e parlando con i loro

avvocati ed intervenendo anche a livello pubblico per sostenerli.

In questa fase, in cui i modelli emergenti si combattono tra loro,

le donne si espongono in prima persona per difendere i loro uomini

ma nel clan dei Casalesi di Casal di Principe, che segue il codice

d’onore di stampo tradizionale, ciò non avviene e le donne rimangono

in disparte. Per tale motivo diventerà il clan più pericoloso ed

economicamente più forte della regione e le donne non sono loquaci

ed indipendenti come le altre della Camorra.

Nei clan che non sono influenzati dai siciliani, tre donne

riescono ad arrivare ai vertici e sono: Rosetta Cutolo, sorella del capo

della NCO, Raffaele, Anna Mazza, moglie del capo Gennaro Moccia e

100Gribaudi G., Donne. Uomini e Famiglie. Napoli nel Novecento, Ancora, Napoli 1999, p.19101Degli esempi significativi sono “Donna Germana”, moglie del contrabbandiere di Forcella, Pio Vittorio e madre del futuro boss Luigi Giuliano e Fortuna, moglie di Vincenzo l’Americano 102De Gregorio S., I Nemici di Cutolo, Tullio Pironti, Napoli 1989, p.89

58

Page 59: Bozza Finale

madre dei fratelli Moccia e Pupetta Maresca, partner del barone della

droga Umberto Ammaturo e sorella di Ciro Maresca.

Negli ultimi anni le donne dei clan cittadini sono divenute più

attive e sono coinvolte totalmente nella vita del clan, basti pensare a

Teresa De Luca Bossi che è stata condannata o Carmela, Marianna ed

Erminia Giuliano, rispettivamente moglie, figlia e sorella di Luigi

Giuliano103. Con l’arresto di molti boss, si crea un vuoto che viene

colmato dalle donne più intelligenti che non si limitano più, quindi,a

difendere solamente i propri uomini.

Questa evoluzione delle donne camorristiche sembrerebbe

rompere il modello delle donne del sud che le vede subordinate agli

uomini ma in realtà, il loro comportamento difende l’organizzazione

tradizionale che cerca di controllare la società civile, l’economia e la

politica per arrestare la modernizzazione del Sud.

Infine, rispetto alle donne mafiose e a quelle ‘ndranghetiste, le

donne della Camorra si differenziano perché sono più visibili e

chiassose, si ergono a personaggi pubblici, assumono dei ruoli di

comando ed usano un linguaggio maschile. Hanno anche un apposito

look per ogni occasione ovvero da “femme fatale” in vestito da sera e

gioielli vistosi per i debutti in società, vedova a lutto con viso tirato e

velo nero nelle aule dei tribunali, casalinga disperata in vestaglia

sgualcita per le strade, di fronte alle divise.

2.6 L’ideale di donna onorata

103Allum F., op. cit., p.20

59

Page 60: Bozza Finale

Quando si parla di donna onorata è necessario tenere presente il

concetto di ‘onore della famiglia’ del mafioso. Il ruolo “pubblico” del

mafioso presuppone un dominio totale sulla sua sfera privata; le pareti

domestiche del mafioso devono essere un santuario di moralità e il

controllo indiscusso sulla propria famiglia e il potere di manipolare

autoritariamente le relazioni parentali appare come prerequisito per

essere riconosciuto e apprezzato come “uomo d’onore”.

La reputazione del mafioso è prima di tutto derivata da uno

stato personale o meglio dalla santità morale dell’istituzione familiare

che ha costruito e si riferisce sostanzialmente alla purezza delle sue

componenti femminili: moglie, figlia, sorella, madre, amante104.

Lo stereotipo del mafioso come uomo d’onore, costituisce uno

dei pilastri fondamentali, assieme a quello della famiglia, nella

costruzione sociale dell’immagine degli uomini di mafia. Da una

prospettiva femminile si evidenzia la falsità insita in questi principi,

manipolati abilmente per dare enfasi a quell’immagine di rettitudine

morale, “annebbiata da un’apparenza della quale la mafia si è

vestita”105.

Il concetto d’onore, serve innanzitutto al mafioso in quanto va a

singolarizzarlo come modello di condotta “concreto” all’interno della

società, divulgando quell’immagine di sanità morale spendibile

104Presso le culture mediterranee, la conservazione dell’onore corrispondeva principalmente alla conservazione della verginità delle donne, ovvero il mantenimento di una monogamia esclusiva. Quando l’onore viene “macchiato”, è in primis la reputazione del nome di un uomo che viene guastata.105Longrigg, op. cit., p.17

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Page 61: Bozza Finale

all’esterno, come una sorta di insegnamento della capacità di controllo

sociale di carattere morale, attraverso la propaganda di un modello di

vita familiare senza macchia106.

Più che controllo sociale risulta essere una vera e propria

privazione della libertà (sessuale) di queste donne, che rimangono,

forse anche per tutta la vita, inconsapevoli di essere state private della

possibilità di scegliere, di conoscere una vita diversa, libera, fatta di

opinioni e volontà personali. Se accade che se ne rendano conto,

probabilmente è sempre tardi.

Nella maggior parte dei casi, succede però, che queste donne

diventano una specie di angeli custodi, “muti e sordi” al servizio di

diavoli che sanno cosa succede quando l’onore viene per qualsiasi

motivo compromesso. Sanno intimamente qual’è il sentimento che

assale la psiche di quell’uomo, che non è un uomo comune che si

affida al diritto, ma è un mafioso, con delle proprie leggi che lo

indirizzano verso la giustizia privata, la vendetta appunto.

Sono mossi da un sentimento che per principio è inaccettabile,

la vergogna, ma non è la vergogna che si sperimenta, ad esempio

facendo una gaffe, piuttosto è un qualcosa che viene vissuto in modo

viscerale, oltre che sproporzionalmente sentito rispetto al comune

agire. È un pensiero che lo condiziona e lo subordina moralmente a un

delirio di persecuzione collettiva che gli divora l’anima, e lo spinge a

diventare altro rispetto ai principi di difesa e protezione che

generalmente caldeggia in favore della famiglia, alla quale tutto deve

106Pezzino P., Per una critica dell’onore mafioso, in Fiume G., Onore e storia nelle società mediterranee, La Luna, Palermo 1989

61

Page 62: Bozza Finale

essere subordinato: anche la vita di un componente “stretto” può

essere cancellata se l’onore della famiglia viene offeso.

Aristotele, nella Retorica, aveva incluso la vergogna fra le

quattordici passioni che muovono l’uomo, sottolineando in particolar

modo il carattere di reazione morale della stessa, e definendola come

passione-risposta all’immagine che gli altri, presumibilmente, si

creano di noi107. È una logica irrazionale, che estremizza un comune

sentimento, dandole un ruolo che va al di la di ogni ragionevolezza: è

una potente forma di controllo morale che l’individuo esercita su se

stesso, fa parte di quei processi di socializzazione che ha interiorizzato

sin dall’infanzia e si concretizza nella consapevolezza di un

mutamento dell’immagine sociale conosciuta fino a quel momento,

caratterizzato da un’involuzione dovuta al venir meno della pregnanza

di quelle regole morali e comportamentali ritenute componenti

essenziali nella vita privata di un mafioso.

Nel suo modo di pensare non ci può essere niente di più

vergognoso del “libertinaggio” sessuale delle proprie donne: l’onore è

quindi intrinsecamente legato al sesso femminile. Coinvolge le donne,

investendole del compito di tenere alta la reputazione della famiglia e

dell’uomo d’onore e questo genere di vergogna, è un sentimento che

la famiglia di un mafioso non deve conoscere, perché se così fosse,

scatterebbero una serie di “situazioni riparatorie” che tratteremo in

seguito.

È chiaro la conseguenza che ne deriva da quel “valore”

attribuito all’onorabilità della vita privata del mafioso, non fa altro 107Aristotele, Retorica, in

62

Page 63: Bozza Finale

che, incatenare subdolamente le donne rendendole intimamente

complici della perpetuazione di rapporti di sopraffazione e di dominio.

L’onore, secondo Renate Siebert, assunto come compito e sfida

morale dalle donne stesse, di cui si pavoneggiano gli uomini, diventa

la pietra tombale di ogni libertà femminile108.

Quello che viene meno nella relazione di coppia è la

soggettività della donna, annullata dal marito che diventa l’unico, che

si arroga il “diritto” di rappresentarla: il risultato è che diventano

soltanto ombre, disposte all’abnegazione.

Ma, cosa ne pensa la donna dell’onore mafioso, di cui è

oltretutto rappresentante?

Queste donne, in realtà, non fanno altro che rispecchiare

quell’immagine classica delle donne della mafia: angeli vendicatori in

veli neri, che invocano vendetta per l’assassinio dei loro cari. Secondo

lo storico Ciconte, in Calabria “il sentimento cristiano del perdono è

del tutto sconosciuto allo ndranghetista di ieri e di oggi”109.

E le donne calabresi, siciliane o napoletane, mogli, figlie,

sorelle, madri di criminali mafiosi sapranno mai perdonare? Forse, in

un futuro, magari ma oggi ciò che si può desumere è che nonostante la

patologica religiosità, il compito di queste donne è quello di

alimentare il fuoco della vendetta, che interesserà diverse generazioni,

con teatrali ostentazioni di dolore, lamenti funebri accanto al corpo

senza vita e giuramenti di vendetta sopra le ferite aperte.

108Siebert, Le donne, la mafia, op. cit.109Ciconte, op. cit., p.57

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Page 64: Bozza Finale

La donna del mafioso quindi inneggia spesso la vendetta, per

l’offesa subita nei confronti della sua famiglia, attentata nell’intimo,

nell’onore appunto e:« La venerazione in cui è tenuta la maternità

rende gli italiani poco propensi a pensare che esse siano capaci di

comportamenti distruttivi o pericolosi, e questo ha portato a un

numero di assoluzioni e di conseguenza di impunità al quanto

discutibili”110.

Donne guerriere e madri sanguinarie, che continuano a partorire

altri mafiosi, li educano a quella cultura, a certe regole, che esse stesse

hanno appreso a suo tempo.

Le donne sono il fulcro delle famiglie criminali: fungono da

copertura (quando l’uomo ha bisogno di alibi), da vice (quando il boss

è in prigione), da prestanome (quando si tratta di riciclare denaro), da

insospettabili corrieri di armi e di droga. In Calabria esse sono fautrici

d’onore e fanatiche di vendetta, perfettamente inserite in

quell’ingranaggio familiare, in cui figurano come sante madri,

modello di autorevolezza.

Gli uomini preservando la regola dell’onore sembrano, non

tanto difendere se stessi, ma l’appartenenza alla “famiglia”: le regole

di immagine, di un modello di comportamento da spendere nella vita

quotidiana, diventano comandamenti, in mancanza dei quali non ci

può essere l’appartenenza.

La famiglia va onorata e difesa sopra ogni cosa, per tal motivo

non si esita ad eliminare i componenti scomodi, che mancano di

110Longricc, op. cit., p. 13

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Page 65: Bozza Finale

rispetto, d’onore o meglio di subordinazione. Ma nella famiglia come

istituzione domestica non avviene questo, se c’è uno sbandamento da

parte di uno dei membri si cerca, compattatamente e di recuperarlo,

non con strumenti persecutori, ma facendo leva su un sentimento,

tanto semplice, quanto efficace: l’affetto.

I principi traviati e riformulati, di aspetti comportamentali

naturali della famiglia come istituzione domestica, negli uomini di

mafia, prendono il sopravvento e vengono riprodotti nel proprio

nucleo familiare in maniera imperativa e coercitiva.

La tragicità di questa trasposizione sta nella fisionomia che

prende la famiglia nucleare del mafioso: rigidamente stabilita, attenta

all’immagine, intrappolata nei divieti di un dover essere… di

un’apparenza. Al centro vi è un padre mafioso, oltre che padrone, in

preda a un delirio di onnipotenza, unica condizione possibile per

sostenere una vita così.

La moglie è soprattutto madre di figli maschi, materiale umano

per la famiglia ed in questo senso, quando si parla di donna onorata si

ha come parametro principale la verginità che risulta essere un

prerequisito che cela un’ossessione: per il possesso e per il sangue.

Queste donne sono state private, in modo fallace e arbitrario di

qualsiasi possibilità di reagire ed analizzando a fondo il problema, si

scorge una prima certezza: tutto ruota intorno al sesso ed infatti un

mafioso, non può considerarsi un uomo d’onore se ha “parenti stretti”

dai facili costumi. La donna, funge spessissimo da merce di scambio,

consolidando alleanze tra famiglie, che vengono suggellate dalla

65

Page 66: Bozza Finale

parentela di sangue e per tal motivo deve essere necessariamente

mantenuta “inviolata”.

La donna ideale di un mafioso deve innanzitutto possedere la

verginità, in quanto essa accresce il sentimento di possesso, che

diventa motivo di vanto, nonché di soddisfazione, derivata dalla

certezza che la sua donna abbia conosciuto sessualmente solo lui.

L’esigenza che una ragazza non vada al matrimonio con

“memorie” di relazioni sessuali con un altro uomo, è la continuazione

logica del diritto di possesso esclusivo di una donna. In effetti, l’uomo

che la vergine accetterà come partner per una relazione duratura, sarà

quello che per primo soddisferà il suo desiderio d’amore tenuto a

lungo a freno, e che nel farlo supererà le resistenze costruite in lei

dalle influenze dell’ambiente e dell’educazione. Nell’uomo però “si

crea l’idea che questa esperienza dia origine nella donna a uno stato di

schiavitù che garantirà il possesso continuo e ininterrotto e la metterà

fatalmente nelle condizioni di resistere alle tentazioni provenienti

dall’esterno)”111. In realtà, il sentimento di possesso nei confronti della

donna accomuna gli uomini, siano di cultura contadina, borghese o

mafiosa.

Il prerequisito della verginità è dunque elemento centrale per il

mafioso, ma oggi fortunatamente la società gli attribuisce un

significato diverso, certamente non prioritario. Una lettura, in chiave

psico-antropologica sottolineerebbe la correlazione esistente, tra

verginità e mafia, a seguito della presenza di un elemento comune: il

111Freud S., Psicologia della vita amorosa, Armando Curcio Editore, Roma 1988, p. 44

66

Page 67: Bozza Finale

sangue. Sinteticamente, un esempio ci è dato dai popoli primitivi112, in

cui la deflorazione della vergine, in genere veniva compiuta da una

persona diversa dal marito, e si svolgeva solitamente in due atti:

perforazione e rapporto. La spiegazione è dovuta all’orrore del

sangue provato da questi popoli, che lo consideravano come la sede

della vita, nonché collegato al divieto di uccidere, di contenere quella

primitiva sete di sangue presente nell’uomo.

Il sangue è stato da sempre un elemento importante della

simbologia mafiosa secondo un’ottica, rispetto ai primitivi,

completamente rovesciata in quanto questi ultimi consideravano il

sangue come sede della vita, nei mafiosi si configura come elemento

di morte, nonché momento centrale, di affiliazione all’associazione. È

presente nei rituali iniziatici, simbolicamente viene versato nel corso

delle cerimonie di ingresso nella associazione o di passaggio da un

grado all’altro; scorre sangue quando si uccide o ancora, quando si

ferisce con uno sfregio. Il mafioso è paranoicamente ossessionato dal

sangue, al quale attribuisce un valore fra i più significativi. Quando

una vergine viene deflorata in genere perde sangue; se tra i primitivi

questo evento generava orrore, per i mafiosi non può che essere

motivo di esaltazione.

In famiglia vengono riprodotte le stesse necessità,

l’appartenenza e il dominio della donna all’uomo, viene ulteriormente

rafforzato e sigillato dalla sua integrità fisica. Il sangue versato segna

inimicizie e rivalità, ininterrotte sicché sangue chiama sangue. A volte

112

Aborigeni australiani; i Masai dell’Africa equatoriale; i Sakai della Malanesia; i Batta di Sumatra

67

Page 68: Bozza Finale

queste faide familiari vengono interrotte dal matrimonio di una donna

appartenente a una delle famiglie in guerra con un uomo della

famiglia avversaria.

Ma cosa succede quando il mafioso prova il sentimento della

vergogna, dovuto ad un avvenimento che ha offeso prima il suo

d’onore, e poi l’onorabilità delle sue donne? Quali sono le “soluzioni

riparatorie” a cui ricorrono questi uomini d’onore? Come accennato

anticipatamente, non è possibile diventare uomini d’onore se non si

rispettano certi principi o si trasgrediscono le regole ed insidiare le

mogli degli affiliati, specie se detenuti, è considerato un errore

imperdonabile e comportava una pena esemplare. Nel caso in cui

l’uomo d’onore può farsi giustizia da solo, non chiederà aiuto a

nessuno, tanto meno agli affiliati, che si aspetteranno un

comportamento “consono”, da uomo d’onore in cui l’ideale virile

dell’autogiustizia viene fuori come unica soluzione atta a riparare al

disonorevole stato di “cornuto” sopraggiunto.

Non la giustizia dei tribunali, dunque, ma un’altra giustizia che

si amministra da sola, quella dei codici d’onore, che stabilisce

addirittura pene graduate in rapporto all’entità della colpa, ovviamente

nell’arbitrio più assoluto. E così ci si arroga il diritto di interrompere

la vita di chi scopre che vorrebbe vivere in altro modo, mogli, figlie,

sorelle, o di chi non dà l’effettiva importanza alle prigione simbolica

presente nel destino di queste donne: la regola vuole che non siano

assolutamente “toccate”.

68

Page 69: Bozza Finale

In questo contesto appare lecito chiedersi se la vita sessuale del

mafioso è altrettanto monogamica, fedele al sacro vincolo

matrimoniale, come dev’essere quella della donna. In teoria, il codice

d’onore della mafia stabilisce che un suo membro non può essere

divorziato, né omosessuale, né imparentato con un membro della

polizia ma nella pratica si svolge in altro modo.

La moglie di un mafioso gode del prestigio di essere la moglie;

in privato spesso è costretta a subire in silenzio l’umiliazione dei suoi

tradimenti. L’amante è senz’altro simbolo di virilità e potere per il

mafioso, ma comportando un’inquietudine sentimentale, non idonea

all’uomo d’onore, tutto d’un pezzo, viene variamente giudicata dagli

affiliati. Tommaso Buscetta, ad esempio, nonostante la grande

importanza all’interno di Cosa Nostra, “è stato “posato”(sospeso

dall’organizzazione) perché aveva una vita sentimentale agitata”113.

La propria donna va rispettata non perché è una donna da

rispettare, ma perché madre dei propri figli. Tutte le altre sono

“puttane”.

113 Falcone G. – Padovani M., Cose di Cosa Nostra, Rizzoli, Milano 1991

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Page 70: Bozza Finale

CAPITOLO TERZO

LE DONNE NELLA MAFIA

Questa terra è come una delle

tante sue bambine bellissime

nei vicoli dei suoi paesi,

bellissime spesso sotto le

croste, i capelli scarmigliati,

nei cenci sbrindellati: e già si

intravede come, crescendo lei

bene, tra anni quel volto

potrebbe essere intelligente,

nobilmente vivo; ma pure si

intravede come in altre

condizioni potrebbe

rinchiudersi patito e quasi

incattivito.

Danilo Dolci114

114 Dolci D., Spreco

70

Page 71: Bozza Finale

3.1 Il ruolo discreto e fedele della donna

Le donne sono escluse dalla “onorata società” anche se

assumono sempre più di frequente il ruolo criminale accanto a quello

tradizionale, che le ha coinvolge maggiormente nell’organizzazione

criminale. Tale coinvolgimento avviene in seguito a due processi di

mutamenti, uno esterno che riguarda i profondi cambiamenti che

hanno investito la condizione delle donne negli ultimi trent’anni ed un

altro interno riguardante i cambiamenti della struttura organizzativa

dei consorzi mafiosi che a partire dagli anni Settanta, con

l’allargamento delle attività criminali in termini qualitativi,

quantitativi e geografici, li ha costretti a ricercare più personale per

gestire i propri traffici. È stata soprattutto la crescita del narcotraffico

e la necessità di riciclarne i profitti che ha richiesto l’impiego di

individui che non possedevano i requisiti anche se erano inseriti nel

contesto dell’organizzazioni, come ad esempio le donne. A tal

proposito lo storico Salvatore Lupo, riprendendo la distinzione tra

power syndicate ed enterprise syndicate del criminologo Alan

Block115 ritiene che:

«Possiamo chiamare power syndicate la struttura territoriale

delle famiglie, con le rigide affiliazioni, la formidabile

115Block A., East Side-West Side: Organizing Crime in New York 1930-1950, University College Cardiff Press, Cardiff 1980

71

Page 72: Bozza Finale

stabilità nel tempo, la forza militare e dunque la capacità di

svolgere, partendo dal meccanismo della guardiana, una

funzione vicaria della sicurezza pubblica lungo il circuito

estorsione-protezione; l’enterprise syndicate rappresenta

invece la molto più nobile rete degli affari che già

nell’Ottocento si interessava per l’abigeato e il contrabbando,

che ora gestisce il commercio dei tabacchi e degli

stupefacenti »116.

In questo senso la donna può prendere parte alla dimensione

economico-finanziaria anche se non le è concessa l’ammissione al

power syndicate117 e nelle situazioni di crisi non esita a prendervi

parte.

La partecipazione delle donne alle attività criminali varia in

base alla provenienza familiare, alle condizioni ambientali ed

all’indole personale ma la loro maggiore presenza si è riscontrata nel

traffico di droga, nei reati economico-finanziari e nella gestione del

potere.

3.1.1 Alcuni casi esemplari di mogli di……

116 Lupo, op. cit., p.223117 Siebert, le donne, la mafia, op. cit., p.183

72

Page 73: Bozza Finale

Un primo esempio di donna esemplare è la vicenda di Angela

Russo, detta “nonna eroina” che fu arrestata nel 1982 a 74 anni

insieme ai figli e alle nuore118. Inizialmente la si ritenne un corriere

della droga ma poi si chiarì che invece reggeva le fila dell’intero

traffico. Ha sempre negato il suoi coinvolgimento, rifiutando però,

anche, il ruolo subalterno di corriere e nell’intervista a Marina Pino

dice:

«Mi hanno detto che facevo il corriere della droga. E questa

accusa è proprio una questione che non mi cala. Qua mi è

rimasta […]. Quindi, secondo loro, io me ne andavo su e giù

per l’Italia a portare pacchi e pacchetti per conto d’altri,

facendo viaggi di trasporto […]

Dunque io che in vita mia ho sempre comandato gli altri,

averi fatto questo servizio di trasporto per comando e conto

d’altri? Cose che solo questi giudici che non capiscono

niente di legge e di vita possono sostenere »119.

La vicenda viene poi svelata interamente dal figlio Savino che

divenuto collaboratore di giustizia, testimonia contro tutta la sua

famiglia (la madre, le sorelle, i fratelli e i cognati) e gli associati

coinvolti nello stesso traffico. Ritratterà poi la versione in seguito ad

una vendetta trasversale che colpirà l’unico suo fratello non coinvolto

nei traffici illeciti della madre.

118Per la ricostruzione della vicenda si veda: Pino M., Le signore della droga, La Luna, Palermo 1988, capp. VI-VII119 Ibidem, p.79

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Page 74: Bozza Finale

La figura di Angela è molto interessante in quanto essendo nata

nel primo decennio del Novecento, non corrisponde alla

rappresentazione tradizionale delle donne di mafia della sua

generazione, che si limitavano a stare nell’ombra dei loro uomini. Il

suo caso è un’eccezione rispetto alla situazione vissuta delle donne a

quel tempo; anche lei percepisce questa rilevanza come un’esperienza

unica nel suo genere ed infatti racconta alla giornalista di essere stata

cresciuta dal padre come un uomo e che le caratteristiche maschili che

aveva assunto, suscitavano stupore120.

Angela ha un carattere forte e determinato, assume gli stessi

comportamenti tipici di un boss mafioso come ad esempio quando si

dichiara innocente proponendo la stessa irriverenza esibita dai boss

mafiosi quando negano l’esistenza della mafia121 o quando con

nostalgia ricorda i gloriosi tempi della “vecchia mafia” che è fatta di

“veri uomini”, come suo padre, di legge severe che colpiscono sempre

chi “sbaglia” mentre risparmia i “figli di mamma”, mentre adesso:

« E vanno a dire mafioso a questo, mafioso a quello.

Ma che scherzano? Siamo arrivati a un punto che un

pinco pallino qualsiasi che ruba subito è “mafioso”? io

in quel processo di mafiosi non ne ho visti. Ma dove è

più questa mafia, chi parla di mafia, cosa sanno loro di

mafia? Certo, sissignora, io ne so parlare perché c’era

a tempi antichi a Palermo e c’era la legge. E questa

legge non faceva ammazzare i figli di mamma

120Ingrascì, Donne d’onore, op. cit., p.58121Pino, op. cit., p.79

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Page 75: Bozza Finale

innocenti. La mafia non ammazzava uno se prima non

era sicurissima del fatto, sicurissima che così si doveva

fare, sicurissima della giusta legge. Certo, chi peccava

“avia a chianciri”, chi sbaglia paga, ma prima c’era la

regola dell’avvertimento. Almeno tre volte veniva fatto

avvertire:”Stai attento che sgarrasti”, poi se quello

insisteva, continuava nello sgarro e non si raddrizzava,

certo doveva sparire lo facevano sparire. E se

succedeva un torto, mettiamo che uno rubava a un

altro e non era giusto, la mafia si metteva in mezzo e

sistemava la questione con buona pace di tutti.

Allora a Palermo c’era questa legge e questa mafia.

C’erano veri uomini. Mio padre, don Peppino, era un

vero uomo e davanti a lui tremava di rispetto tutta

Torrelunga e Brancaccio e fino a Bagheria»122.

Il caso di Ninetta Bagarella123, moglie di Totò Riina che sposa

nel 1974 in piena latitanza, saldando così una forte unione fra le due

famiglie corleonesi124, rientra nel ruolo di messaggera che le donne

ricoprono da sempre in tutte le organizzazioni segrete, dove svolgono,

solitamente, ruoli di vivandiere, accompagnatrici e messaggere.

Dal ruolo di messaggera scaturiscono le condizioni per

raggiungere la sfera del comando in quanto le donne trasportano, per

conto dei membri del clan, le cosiddette ambasciate (messaggi scritti

122Ivi, p. 80123In realtà si chiama Antonietta ed era una maestra a Corleone124Bolzoni A.-D’Avanzo G., Il capo dei capi. Vita e carriera criminale di Totò Riina , Mondadori, Milano 1993, pp.30-31

75

Page 76: Bozza Finale

o orali) dal carcere all’esterno o da un luogo di latitanza all’altro. Gli

viene dato questo ruolo in quanto sono insospettabili e soprattutto

possono essere considerate delle persone fidate.

La vicenda della Bagarella non è stata provata ma fu sospettata

di essere uno dei mezzi attraverso cui Riina riceveva gli ordini dal suo

capo, Luciano Leggio e per questo fu richiesta nei primi anni Settanta

la misura del confino. Lei si dichiarò sempre estranea:

«Io mafiosa? Sono una donna innamorata. “L’amore

non guarda a certe cose… Io ho scelto di amare Totò

Riina” […[ Mi sposerò in chiesa: non voglio fare come

la Lucia di Alessandro Manzoni»125.

Si fa accompagnare in aula dalla madre Lucia Mondello e dalla

sorella Giovanna, respinge tutte le accuse, contesta tutti gli episodi

contenuti nel rapporto della Questura e dei Carabinieri. Viene

condannata a due anni e mezzo alla sorveglianza speciale condizionata

con il divieto assoluto di incontrarsi col padre, col fratello Calogero e

col fidanzato Salvatore Riina. Nonostante la sua condizione si sposa

segretamente il 16 aprile con Riina126, ma la sua posizione non si

aggrava per opera dei suoi due avvocati difensori e trascorre

indisturbata la sua luna di miele in Germania, come dichiarato dalla

madre.

125Francese M., in Giornale di Sicilia, 27 luglio 1971126Il rapporto delle forze dell’Ordine riferisce cha a sposarli è stato padre Agostino Coppola

76

Page 77: Bozza Finale

Un’altra donna messaggera è Cinzia Lipari che faceva parte

della schiera dei ‘messi’ che consentirono all’ex capo di Cosa Nostra,

Bernardo Provenzano di tenere saldi i rapporti con i suoi affiliati.

Angelo Siino confessò di aver avuto dal carcere, rapporti con Cosa

Nostra, grazie alla Lipari, che, come si legge dai documenti della

Procura, si occupava soprattutto di fare “da tramite tra il proprio

congiunto Lipari Giuseppe (quale principale soggetto amministratore

del patrimonio dei corleonesi) e il latitante Provenza Bernardo e gli

altri affiliati e componenti dell’organizzazione in stato di libertà, così

consentendo le comunicazioni e lo scambio di notizie afferenti la

gestione di attività illecite da parte del sodalizi mafioso”127.

Il ruolo della Lipari, però, non si limita a quello di mera

portalettere ma la possiamo definire una “messaggera moderna” in

quanto svolge con professionalità il ruolo che le è stato assegnato

grazie anche agli strumenti acquisiti per svolgere la sua professione di

avvocato. Suggerisce, infatti, prudenza durante i colloqui in carcere in

quanto sa che questi possono essere intercettati ed approfitta del suo

mandato professionale per occultare “nel fascicolo processuale, che

portava con sé durante i colloqui, quanto richiestogli dal genitore,

eludendo in tal modo i controlli carcerari”128. Inoltre, si occupa di

gestire tutte le attività paterne sia in ambito finanziario che economico

che gestisce con estrema disinvoltura e competenza. I giudici, nella

sentenza, riportano infatti che “i colloqui difensivi erano altresì il

127Procura della Repubblica di Palermo, D.D.A., Richiesta di misure di custodia cautelare in carcere a carico di Lipari Cinzia + 29, Procedimento penale n.3157/98, 24 gennaio 2002128Ivi

77

Page 78: Bozza Finale

momento in cui Lipari Giuseppe esercitava la sua attività di

amministratore di Cosa Nostra grazie alla disponibilità della figlia”.

Ciononostante lei ha autonomia decisionale, non assume una

chiara funzione di potere anche se fornisce un apporto indispensabile

alle attività paterne. A tal proposito i giudici evidenziano:

«La donna […] a differenza del fratello [Arturo],

addetto per lo più a compiti di manovalanza

approfittando del suo bagaglio di esperienze e

cognizioni giuridiche maturate nell’ambito della sua

attività forense, nonché del suo ruolo di difensore del

genitore detenuto, ha finito per offrire un contributo

impareggiabile all’attività illecita del padre»129.

Alcune donne, in seguito all’inasprimento dell’azione dello

Stato con l’adozione del pacchetto antimafia, successivo alle stragi del

1992 in cui persero la vita i magistrati Falcone e Borsellino e che

permette l’arresto di molti uomini mafiosi, riescono a raggiungere dei

livelli dirigenziali all’interno dell’organizzazione di Cosa Nostra.

Diminuendo gli affiliati, molte famiglie di mafia sono costrette a

ricercare della manodopera fidata e per superare la crisi di quegli anni,

si rivolsero alle donne.

Inoltre, con l’introduzione del cosiddetto “carcere duro”

previsto dall’art. 41 bis, le donne passano dal ruolo di messaggere a

quelle di capo-clan in quanto solamente loro, in quanto congiunti più

129 In Ingrascì, Donne d’onore, op. cit., p.77

78

Page 79: Bozza Finale

prossimi, potranno far visita ai detenuti130. In questo modo, le donne

diventano l’unico mezzo per comunicare con l’esterno e siccome il

numero di visite è molto ridotto, gli uomini sono obbligati a lasciare

loro maggiore autonomia gestionale.

In questo senso si evidenzia la posizione di Maria Filippa

Messina, moglie di Mario Cintorino capo della cosca di Calatabiano,

paese nel catanese, e che in seguito alla morte del cugino della moglie,

Salvatore Messina, ha il controllo su tutto il territorio, esercitando

attività estorsive ed usuraie e gestendo il traffico di stupefacenti e di

armi. Cintorino viene arrestato nel 1993 insieme a molti suoi affiliati e

la moglie entra subito in gioco, fungendo dapprima da messaggera tra

il carcere e il mondo esterno e poi sostituendosi al marito nelle

funzioni dirigenziali della cosca.

Questa situazione durò per molto tempo, fin quando gli

inquirenti insospettiti dai continui traffici dell’associazione, decisero

di mettere sotto controllo il telefono della Messina e degli ambienti

che frequentava. Le registrazioni evidenziarono, secondo quanto

scritto nella sentenza, che lei:” Era il vero nuovo polmone

dell’organizzazione” e come un boss “teneva a raccolta gli uomini di

maggior prestigio del gruppo e organizzava con loro le sorti

dell’organizzazione criminale di cui la stessa in quel momento si

poneva a capo”131.

La Messina si rivela una donna di pugno e di forte spessore

criminale in quanto subentra al marito mentre è in atto una lotta di

130Ivi, pp.79-80131Corte di Assise di Catania, sentenza nei confronti di Cintorino + altri, 13 luglio 1997

79

Page 80: Bozza Finale

potere con il gruppo dei Carrapipani ed incita i membri del sodalizio

ad eliminare brutalmente i nemici affermando:”Li spacchiamo questi

quattro di merda, li tagliamo, li spacchiamo”.

Nonostante ciò, fatica a mantenere il comando come dimostra

un episodio in cui discute con un associato della cosiddetta “carta”,

ovvero il registro in cui si annotano “i nominativi degli usurati, con

specificazione dell’ammontare del debito e della varie scadenze”, che

in quel momento è in mano ad un latro affiliato.

Maria:« Ma neanche lo sanno dove lo devono trovare

[…], perciò tu lo sai cosa dovresti fare, ci dici si

mettono in contatto con Saro… Tu dici perché tua

commare vuole la carta così, perché tu sai che a fine

mese ci sono un sacco di soldi da raccogliere e così li

raccogli, perché Nino [il marito], come già tu

sicuramente saprai, ci è arrivato un altro mandato di

cattura, perciò deve andare a prendere altri due

avvocati e tutte cose e i soldi ci servono, questo e uno,

e ci domandi a lui che intenzione ha di fare e in più

voglio mandate le pistole se ce li ha. Poi ci dici per il

fatto della carta, ci dici ha detto Maria Pina, tua

commare, la carta se la prende e ce la mandi a le, così

recuperiamo i soldi a fine mese, perché i sodi ci

servono».

Intelisano:« Tu Maria devi fare una cosa, tu devi

parlare con tuo marito, quando tuo marito ti dice

quello che devi fare tu, tu fai, agirai di conseguenza,

80

Page 81: Bozza Finale

ma se prima non parli con tuo marito il responsabile è

sempre Saro […]»132.

La funzione di comando a Maria è infatti da intendersi come un

potere delegato133 e la sentenza dei giudici conferma questa

peculiarità:

«Altra caratteristica dell’organizzazione è data dalla

struttura fortemente gerarchizzata della stessa, con

riconoscimento alla Messina in luogo del marito

detenuto, del ruolo di capo (“siamo alle dirette

dipendenze di lei, perciò dobbiamo fare quello che dice

lei» e con investitura di Intelisano Gaetano del ruolo di

responsabile in luogo di Lizzio Rosario, tratto in

arresto (“il responsabile lo fa Gaetano, giustamente

quello che mi manda a dire mio marito si fa … mi ha

detto non voglio che succedano discussioni, come lo so

che succedono discussioni sono cazzi vostri»134.

Il ruolo di messaggera è svolto maggiormente dalle sorelle

anche perché nel caso in cui la famiglia mafiosa e quella di sangue

corrispondono, la condizione di sorella permette una maggiore fiducia

verso di loro. In questo senso Giusy Vitale, di cui si parlerà anche nel

prossimo capitolo, assume un ruolo importante all’interno del

mandamento di Partinico, in provincia di Palermo, perché è sorella dei

132Ivi 133Principato – Dino, op. cit., p.69134Corte di Assise di Catania, sentenza nei confronti di Cintorino + altri, 13 luglio 1997

81

Page 82: Bozza Finale

boss Vito e Leonardo Vitale. Diviene l’anello di congiunzione tra i

due fratelli, uno in carcere e l’altro in latitanza, dimostra di avere

iniziative personali, come ad esempio quando ordina l’omicidio di un

uomo che aveva fornito informazioni ai carabinieri sul luogo in cui si

nascondeva Vito. Il suo passaggio al ruolo di domando viene così

descritto nella sentenza:

«L’esame diretto delle conversazioni evidenzia, infatti,

come l’attività e il contributo fornito dalla stessa alle

attività criminali coordinate dai suoi fratelli si evolva

da una iniziale attività costituita dall’invio e scambio

di importanti messaggi (in relazione ai quali la donna

appare comunque ben consapevole sia del ruolo

rivestito dai suoi famigliari all’interno del contesto

mafioso, ma anche del significato che tali messaggi

avevano per la detta organizzazione), a un momento

successivo in cui, anche per l’arresto del fratello Vito

[…] [la donna prevedeva] anche iniziative personali

nella decisione e organizzazione di gravi fatti di

sangue, non andati in porto solo per eventi esterni alla

volontà degli imputati»135.

Il potere delle donne nella mafia risulta pertanto delegato e

temporale in quanto esse vengono promosse al ruolo gestionale

durante i periodi di crisi che gli viene poi tolto nel momento in cui gli

uomini concludono la loro detenzione carceraria. Tale situazione

135Tribunale di Palermo, II sez. penale, sentenza n.2370/01 del 14 giugno 2001

82

Page 83: Bozza Finale

permette agli uomini di mantenere la loro egemonia amministrativa136

anche perché alle donne non è concesso l’accesso ufficiale ai vertici

delle famiglie mafiose.

Una volta chiamate ‘al potere’ le donne mostrano notevoli

capacità di gestione che hanno acquisito e maturato nell’ambiente in

cui sono nate, caratterizzato da un sapere sedimentato che tutti

acquisiscono.

Come accade parallelamente nella società legale non sono

ritenute adeguate a svolgere dei ruoli manageriali137, ove inizialmente

le prime donne manager nascondono i propri tratti femminili ed

imitano il comportamento maschile138. Ciò accade anche nella realtà

mafiosa, basti pensare a Giusy Vitale che nel momento in cui si

sostituisce ai fratelli, tende a negare la propria femminilità assumendo

dei tratti tipicamente maschili, che invece recupererà quando sarà

arrestata. Da questo momento si interessa al proprio aspetto estetico, si

prende cura di se stessa per riappropriarsi del carattere femminile che

aveva dovuto precludere per appropriarsi del comando139. In questo

senso, si colloca anche la sua decisione di collaborare, oltre che per

motivi sentimentali, nel suo percorso verso la ricostruzione della sua

identità femminile.

136AA.VV., Donne e mafie, op. cit., p.58137Cfr. Marshall J., Women Managers. Travellers in a Male World, John Wiley & Sons, New York 1984, pp.13-88138Schein V.E., The relationship between sex role stereotypes and requisite management characteristics, in Applied Psychology, 57, 1973139Intervista alla dottoressa Annamaria Picozzi della Procura della Repubblica di Palermo, 5 luglio 2001

83

Page 84: Bozza Finale

3.2 Le donne mafiose e il fenomeno del pentitismo

Le reazioni delle donne verso il fenomeno del pentitismo, con la

rinnegazione del pentito, si possono spiegare come una presa di

distanza in modo plateale per paura della ritorsione; come scaturite

dalla paura, considerandole quindi delle vittime di una cultura

opprimente e totalizzante tipica della mafia; come una recita di un

vecchio copione anche se si trovano in una Sicilia cambiata e in

mutazione. Tuttavia è impossibile ricondurre il loro comportamento

ad una sola chiave di lettura in quanto vi sono molte diversità di

comportamento delle donne nei confronti del pentitismo140.

Vi sono infatti dei casi in cui le donne hanno spinto i loro congiunti

a collaborare con la giustizia come la moglie di Antonio Calderone o

hanno accettato tranquillamente la loro decisione di collaborare non

allontanandosi come le mogli di Gaspare Mutolo e Leonardo Messina.

Vi sono state però anche delle donne che hanno tentato con tutti i

mezzi di dissuadere i loro famigliari, altre che sono state uccise perché

parenti di un pentito e donne che hanno preso platealmente le distanze

dai pentiti ed hanno accusato i magistrati e le forze dell’ordine di

averli indotti “al tradimento” e li hanno rinnegati. Esse fanno sempre

parte di famiglie mafiose, come ad esempio Ninetta Bagarella.

Non si deve però dimenticare che ci sono state delle donne che

sono state testimoni o vittime di attività mafiose delle loro famiglie,

140Puglisi A. – Santino U., Donne e pentitismo, in Puglisi A., Donne, Mafia e Antimafia, editore DG, Trapani 2005, p.49

84

Page 85: Bozza Finale

che hanno collaborato con la giustizia come ad esempio Serafina

Battaglia, Giacoma Filippello e Patrizia Beltrame141.

Un caso di rinnegamento del famigliare pentito è quello di Serafina

Buscetta, sorella di Tommaso, la quale dopo l’uccisione del marito,

Pietro Busetta avvenuta il 7 dicembre 1984, scrive una lettera e

rilascia un’intervista in cui dichiara di non aver alcun rapporto col

fratello da molto tempo. E scrive:

«Scrivo affinchè possa cancellate qualsiasi ombra di colpa

dalla memoria del mio povero marito e inoltre possa

definitivamente rendere nota l’estraneità, in tutti i sensi,

della mia famiglia da colui che tutti i giornali hanno definito

“il boss dei due mondi”. Intendo dire per quanto mi

riguarda, così come era stato annullato da moltissimo tempo

ogni rapporto di qualsiasi natura, consono che “l’olocausto

di mio marito”, così come lui stesso lo ha definito, è stata

una vendetta che andava fatta esclusivamente contro di lui,

che si è mal comportato e continua forse a mal comportarsi

[…] Abbiamo cominciato a vivere nella paura già quando

questo signore si è messo a parlare. Da quando hanno

ammazzato mio marito nelle nostre case non si vive più […]

Io non mi voglio più chiamare Buscetta»142.

Tuttavia è necessario evidenziare che Serafina Buscetta non ha

mai avuto da ridire sul comportamento del fratello mafioso ma è

141Ivi, pp.40-50142Da Giornale di Sicilia, 3 gennaio 1985 anche in Cascio A.-Puglisi A. (a cura di), Con e contro. Le donne nell’organizzazione mafiosa e nella lotta contro la mafia, dossier del Centro Impastato, Palermo 1986, p.57

85

Page 86: Bozza Finale

soprattutto dopo l’omicidio del marito, avvenuto come vendetta

trasversale, lo rinnega come fratello. Il suo atteggiamento è però molto

contraddittorio in quanto lei è sempre stata estranea al mondo mafioso

ma si scaglia con veemenza contro il fratello quando questi inizia a

collaborare con la giustizia e nel luglio del 1993, dopo molto anni,

telefona a «Italia radio» per parlate con il Presidente della

Commissione antimafia, Luciano Violante per chiedere «un impegno

diverso dello Stato» per la famiglia in quanto, afferma:

«Noi non abbiamo mai avuto niente, mia figlia Liliana

e Giuseppina non hanno mai avuto niente. Hanno tutti

problemi di lavoro i miei figli. Alla televisione abbiamo

sentito che ai familiari delle vittime di mafia gli danno

lavoro e protezione ma a noi non hanno dato niente»143.

E quando l’intervistatore gli chiede com’è il rapporto col fratello, lei

risponde:

«Non lo posso sentire nemmeno nominare, perché mi

ha levato la pace della mia famiglia. In 35 anni io non

l’ho mai visto e sentito. E non lo riconosco più e lui

non mi ha cercata. E non mi interessa»144.

143 Puglisi – Santino, op. cit., p.51144In Giornale di Sicilia, 9 luglio 1993

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Page 87: Bozza Finale

Un altro esempio è quello di Angela Russo, nota come Nonna

eroina, che si è sempre proclamata innocente ma di fronte la

pentimento del figlio Salvatore Coniglio, ha avuto una reazione tipica

dell’essere mafioso ovvero ha dichiarato in aula che:

«Mio figlio è completamente pazzo; a quattro anni

soffriva di meningite e il medico mi aveva avvertita che

in seguito avrebbe dato segni di squilibrio. Mi ha

buttata in galera, pur essendo innocente»145.

Nel novembre del 1984, in due giorni vengono uccisi il figlio

della Russo, Mario Coniglio e Salvatore Anselmo, ed a seguito della

cosiddetta lupara bianca scompare anche il fratello di Anselmo,

Vittorio, anch’egli coimputato. Ma nonostante tutte queste vicende

Nonna eroina non si scompone e continua sempre con estrema lucidità

a predire il futuro del figlio collaboratore di giustizia e a negare ogni

suo coinvolgimento e il ruolo attribuitole:

«Salvatore io l’ho perdonato, ma non so se Dio potrà

mai perdonarlo […] Dicono che fra una anno esce.

Lui lo sa che è condannato, lo sa che esce e lo

ammazzano. Quelli non perdonano. […] Lui prima

spera di vendicare suo fratello Mario, morto

ammazzato per causa sua. Ma che pensa di poter fare?

Prima ci doveva pensare a Mario. Ora non gli daranno

tempo. Ora, Salvino, quando esce muore. […] Mi

145In L’Ora, 14 novembre 1984 e in Cascio -Puglisi, Con e contro, op. cit., p.110

87

Page 88: Bozza Finale

hanno chiamato Nonna eroina. Nonna mi sta bene

perché io sono 25 volte nonna e 23 volte bisnonna. Ma

dell’eroina, di questa droga addosso a me o in casa

mia niente hanno trovato. […] Quindi secondo loro io

me ne andavo su e giù per l’Italia a portare pacchi e

pacchetti per conto d’altri […] Dunque io che in vita

mia ho sempre comandato gli altri, avrei fatto questo

servizio di trasporto per comando e conto d’altri? Cose

che solo questi giudici che non capiscono niente di

legge e di vita possono sostenere»146.

Un altro caso esemplare in questo senso è quello delle donne di

casa Buffa, che si rendono protagoniste il 17 marzo del 1987 di una

clamorosa manifestazione nell’aula del maxiprocesso di Palermo. Esse

sono Caterina La Mantia, Maria, Rosa, Carmela, Silvana ed Elvira

Buffa; la prima è la figlia di Gaspare La Mantia e sorella di Matteo, e

moglie di Vincenzo Buffa, costruttore e imputato come gli altri

insieme al fratello Francesco nel maxiprocesso. Maria Buffa è la

sorella di Vincenzo e Francesco, e moglie di Stefano Pace, sempre

imputato. Rosa è la moglie del capomafia latitante Carmelo Zanca;

Carmela è moglie di Giovanni Lombardo (imputato) mentre mancava

alla manifestazione l’ultima sorella Aurora, moglie di Ignazio Pullarà

(anch’egli imputato) che a causa della gravidanza in corso non era

potuta intervenire ma faceva sapere di essere in completo accordo con

loro.

146Pino, op. cit., p.89

88

Page 89: Bozza Finale

Questa manifestazione viene provocata in seguito alla notizia

del pentimento di Vincenzo Buffa, che fa delle dichiarazioni al

giudice istruttore Falcone, rivelando decine di nomi mafiosi. In

seguito alla voci del suo pentimento, Buffa viene trasferito

dall’Ucciardone al carcere di Termini Imerese e quando, durante il

processo, in cui per motivi di sicurezza non è presente, il suo avvocato

difensore ne chiede notizie, Falcone risponde di non aver nulla da

dire, esplodono le donne urlando che:«Non è un pentito. Riportatelo

nella sua cella all’Ucciardone. Nessuno lo ammazzerà, non gli

torceranno un capello». Le donne vengono allontanate dall’aula e

dichiarano ai giornalisti che «c’è un commercio degli innocenti» e la

moglie Caterina afferma che il marito le ha confidato « che gli hanno

fatto firmare certe carte senza sapere cosa stesse firmando. Mi

vogliono fare partire, ma io non voglio, mi ha confidato in un

orecchio».

E ripete poi ciò che aveva scritto nella lettera il giorno

precedente: «Alla caserma Carini non abbiamo subito riconosciuto il

nostro uomo. Anche i figli hanno stentato. Uno si è rifiutato di

abbracciarlo, quello non è mio padre. Enzo non ha riconosciuto

neppure la figlia prediletta, Patrizia, che ha nove anni»147. La figlia

diciottenne Daniela, sposata al parrucchiere Antonino Di Gregoli,

aggiunge:« Ci hanno promesso di tutto, di darci tutto quello che

volevamo, perfino il bollo della macchina, la benzina. E 50 milioni per

andarcene dall’Italia. Qui siete in pericolo, dicevano. Vi facciamo

aprire una parrucche ria a Parigi. Hanno promesso a mio marito di non

147In Giornale di Sicilia, 18 marzo 1987

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Page 90: Bozza Finale

fargli fare il servizio militare». E Rosa Buffa interviene dicendo

che:«Noi non abbiamo paura. Confidiamo in Dio» e tutte le donne in

coro, rivolte ai giornalisti:«Scrivetelo, noi ci rimettiamo alla giustizia

divina perché a quella degli uomini non crediamo più»148.

La situazione si ripete in un’udienza successiva, quella del 28

aprile dello stesso anno, quando il presidente non concede a Vincenzo

Buffa di essere rimesso in gabbia con gli altri imputati e di tornare

all’Ucciardone in quanto non intendeva più collaborare e la moglie

Caterina urla, rivolta la giudice:«Lei ce l’ha con me. Mio marito non è

un pentito, ma io non riesco ad ottenere un colloquio con lui». Viene

allontanata dall’aula ma i familiari continuano a tenere la scena in

quanto Giovanni Lombardo, cognato di Vincenzo Buffa (marito di

Carmela), si fa accompagnare in aula in barella a causa dello sciopero

della fame che ha iniziato da giorni e fa interrompere il dibattimento

perché afferma di sentirsi male. Ma un fonogramma dei medici del

carcere informa però delle sue buone condizioni fisiche e il

dibattimento riprende. Vincenzo Buffa sarà condannato a 15 anni di

reclusione, confermati poi in appello; il fratello Francesco a 6 anni che

saranno ridotti in appello a 2 anni e 8 mesi; Gaspare e Matteo La

Mantia e Giovanni Lombardo saranno assolti e Carmelo Zanca a 18

anni che saranno ridotti a 13 in appello.

In questa situazione le donne di mafia hanno vinto in quanto

Vincenzo è rimasto un mafioso e le voci sulla sua collaborazione

vengono dimenticate anche se il 7 febbraio del 1992 viene ucciso il

marito di Rosa Buffa, Vincenzo Pace, forse per una ritorsione per il

148Puglisi – Santino, op. cit., p.54

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Page 91: Bozza Finale

pentimento abortito di Vincenzo che fatto i nomi di alcune persone

appartenenti alle cosche vincenti149.

La vicenda del pentimento di Buffa e della sua interruzione è

stata poi analizzata da Giovanni Falcone:

« Alcune donne, purtroppo non rare, non si sono

ancora schierate con la cultura della vita. Penso alla

moglie di Vincenzo Buffa, che aveva cominciato a

collaborare con me. Ho commesso l’errore di

permettergli di parlare con lei, come egli chiedeva

insistentemente. E lei l’ha convinto a ritrattare, a

rimangiarsi le sue dichiarazioni. Ha perfino

organizzato una specie di rivolta delle mogli nell’aula

bunker del maxiprocesso a Palermo: piangevano,

urlavano, protestavano a gran voce non contro quel

Buffa che voleva infrangere l’omertà, ma contro i

giudici che lo avevano “costretto” a comportarsi a

quel modo»150.

La spiegazione più diffusa riguardo l’atteggiamento di

rinnegamento degli uomini pentiti da parte delle donne, ritiene che

esse agiscono per paura e per evitare la ritorsione mafioso. È una sorta

di calcolo razionale che risulta plausibile in una società mafiosa in cui

è molto difficile da parte dello Stato assicurare una protezione sicura

alle famiglie151. In effetti vi sono molti casi in cui è scattata la

149In Giornale di Sicilia, 8 febbraio 1992150Falcone – Padovani, op. cit., p. 85151Gambetta D., in L’Unità, 9 luglio 1995

91

Page 92: Bozza Finale

ritorsione della mafia nei confronti dei famigliari dei pentiti però non

si può spiegare tale fenomeno esclusivamente con la paura. La paura

infatti rischia di essere una spiegazione rassicurante ma spesso essa

intesa «come logica spiegazione che rende tutto sicuramente più

umano, non basta più, e si prende tristemente atto che per queste

donne la vergogna non è quella di avere parenti assassini, ma di sapere

che si sono pentiti». Non bisogna dimenticare, infatti, che la mafia è

un’organizzazione militare ed è, pertanto, «una cultura con radici

profonde e con i suoi codici di comportamenti rispettati e

condivisi»152.

Alcuni studiosi ritengono che le donne degli uomini dei mafiosi

nel rinnegare i loro mariti pentiti, stiano recitando un copione che

prosegue nell’indossare il lutto e nell’indurire i discorsi e i volti. Tale

copione non è altro che

«Una fuga teatrale nell’unica geografia che hanno

vissuto, nell’unica gerarchia che hanno conosciuto:

quella della mafia. Recitano il mito duna sicilianità

senza redenzione. […] Le fiere donne dei pentiti vanno

mandate avanti come carne da cannone per i cronisti a

caccia d’emozioni, un silenzioso drappello di

professionisti amministra i denari dei loro mariti. […]

Recitano le donne dei mafiosi. Perché è ciò che i

mafiosi vogliono da loro: un utile palcoscenico, un

canovaccio a tinte forti, la percezione di un’autorità

che non ammette disobbedienze; e intanto, dietro le

152Dalla Chiesa S., Non è solo paura, in L’Unità, 30 giugno 1995

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Page 93: Bozza Finale

quinte, si consumano le sinergie, s’irrobustiscono le

ricchezze, s’immaginano nuove leggi da suggerire ai

nuovi amici della politica»153.

Tuttavia, non è chiaro se le donne recitino e siano manovrate,

come sempre, dai loro uomini, ma ciò che risulta lampante, secondo

altri, è che esse sono vittime di una cultura separata in cui non sono

libere. In realtà nessuna persona è libera all’interno della mafia e

parlare non è sicuro, può far correre dei grossi rischi a chi lo fa154.

Anche in questo caso, però, non si può generalizzare nel

ritenere che le donne sia esclusivamente vittime ma esse sono anche

complici e compartecipanti alle attività mafiose delle loro famiglie. In

questo senso, le manifestazioni plateali rientrano in un comportamento

cosciente e razionale di intervento per contenere un fenomeno da cui

esse si sentono minacciate.

Non bisogna dimenticare, infatti, che la mafia è un sistema

dittatoriale e totalizzante, che richiede agli affiliati una completa

dedizione ma nello stesso contesto sociale c’è anche chi sceglie la via

del pentimento, chi di aderire completamente ai suoi codici e chi di far

parte del movimento antimafia, come ad esempio Bernardino Verro o

Placido Rizzotto.

In questo contesto, il mondo delle donne non può essere

ricondotto ad un unico schema in quanto devono considerarsi le

reazioni differenti che le donne hanno avuto in queste determinate 153Fava C., Quegli insulti sono solo la recita di una sicilianità senza redenzione , in L’Unità, 28 giugno 1995154Magli I., in Giornale di Sicilia, 30 giugno 1995

93

Page 94: Bozza Finale

occasioni. A tal proposito Liliana Madeo afferma infatti che “le

protagoniste dei gesti clamorosi di questi giorni abbiamo voluto

proteggere i figli e di loro cari da vendette trasversali o, al contrario,

che la loro assuefazione alla cultura mafiosa sia tale da rendere

impensabile la possibilità di abbandonarla, di abbandonare tutto ciò

che la vita mafiosa garantisce loro”155.

La chiave di lettura di questi comportamenti è sostanzialmente

molto complessa in quanto si riscontra la presenza di vari elementi

quali la paura e la volontà di prevenire la ritorsione, la volontà di

persistenza nel ruolo attivo, legato ai vantaggi dell’universo mafioso.

Le donne avvertono il possibile crollo del loro mondo in cui si

riconoscono, soprattutto dal momento in cui il pentitismo è diventato

un fenomeno molto diffuso.

Si ha quindi una maggiore adesione alla cultura mafiosa, per cui

il pentimento è considerato alto tradimento nei confronti

dell’associazione mafiosa, che deve rimanere segreta. Agli occhi di

aderisce ai suoi canoni, gli omicidi, le stragi, le violenze , le estorsioni

ecc. non sono considerati come degli atti delittuosi ma sono degli atti

“normali” che si conformano alle regole del codice mafioso. Il

collaboratore viene marchiato come “infame” in quanto rivela i

segreti, “tragediatore” e “rovina-famiglie” perché accusa e inguaia

degli “innocenti”.

Le donne vivono in questo contesto criminale in cui vige una

concezione tragica dell’esistenza ed esse aggiungono maggiori effetti

alle situazioni per una forma di protagonismo. Le donne che 155Madeo L., in Giornale di Sicilia, 30 giugno 1995

94

Page 95: Bozza Finale

difendono il mondo mafioso appartengono a tutte le generazioni, vi è

una continuità che sfida ogni mutamento all’interno della mafia e

quelle che si dissociano platealmente, manifestano una chiara fedeltà e

un’appartenenza che però non viene punita dal nostro sistema

giudiziario. questa impunità rimanda alla non punibilità del

favoreggiamento dei famigliari ai sensi dell’art.384 del Codice penale

che dispone nei casi di favoreggiamento “che non è punibile chi ha

commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare

sé medesimo o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile

nocumento nella libertà o nell’onore”.

In base a ciò, le donne che si rendono partecipi della latitanza

del marito, come ad esempio Ninetta Bagarella che aveva favorito

quella del marito Totò Riina, poiché ha agito per salvarlo “da un grave

e inevitabile nocumento nella libertà” e quelle che urlano la loro

fedeltà alla mafia non sono punibili perché si ergono a difesa della

libertà e dell’onore dei congiunti mafiosi, violati dai familiari pentiti.

CAPITOLO QUARTO

LE DONNE CONTRO LA MAFIA

95

Page 96: Bozza Finale

4.1 Il coraggio esemplare di contrastare la mafia

Le donne che si schierano contro la mafia sono molto diverse

fra loro, hanno dei particolari vissuti personali che le rendono uniche

in quanto presentano delle diverse estrazioni ed istruzioni e non tutte

vengono da situazioni di particolare degrado e povertà.

Le origini della loro presenza nella lotta contro la mafia

risalgono al grande movimento antimafia con protagonista i Fasci

Siciliani del 1892 - 1894 fino alle lotte degli anni Quaranta e

Cinquanta dove le donne hanno assunto una posizione di rilievo.

Le donne si mostrano al mondo esterno anche grazie al

fenomeno del pentitismo che ha permesso di loro di mostrare che la

mafia può essere combattuta; di fronte ai congiunti pentiti le donne si

sono divise in quelle che condividevano la vita blindata dei loro cari

ed in quelle che, come abbiamo già detto, ne hanno preso

dichiaratamente le distanze. Per quanto riguarda, invece, le donne

collaboratrici di giustizia, esse non sono state guidate sempre da un

vero e proprio pentimento ma sono state spinte in seguito ad

accadimenti drammatici come la morte violenta di un congiunto. Ci

sono, state però anche delle donne che con coraggio hanno deciso di

rompere con la famiglia mafiosa perchè non ne condividevano più (o

96

Page 97: Bozza Finale

non avevano mai condivido) lo stile di vita156. A tal proposito Puglisi

afferma infatti che:

«Soltanto alcune di loro si possono chiamare “pentite”,

secondo l'accezione impropria usata per i mafiosi maschi,

nel senso che la loro collaborazione riguarda anche le

loro attività illecite. La maggior parte delle donne

collaboratrici di giustizia sono vedove, orfane, madri a cui

hanno ucciso i figli, che solo dopo un avvenimento

traumatico con la morte violenta di un loro congiunto,

passano dal lutto privato alla testimonianza pubblica;

donne, quindi, per le quali il lutto è stato il passaggio

necessario che le ha portate a ribellarsi, almeno

parzialmente, alla mafia di cui prima avevano accettato

regole, potere e ricchezza.

Ma ce ne sono alcune che hanno trovato il coraggio di

rompere con i loro parenti mafiosi non necessariamente in

conseguenza di un lutto o di un provvedimento

giudiziario»157.

Per le donne che decidono di denunciare le loro famiglie

significa, spesso, essere isolate, essere disprezzate dai membri del

proprio ambiente, essere a rischio di vendetta, perdere l'identità e tutte

le garanzie che si hanno quando si appartiene ad un clan. Non sempre,

anzi quasi sempre, le loro scelte sono state riconosciute soprattutto in

considerazione del loro coraggio, dell'impegno civile e del dolore

156 Centro siciliano di documentazione “Giuseppe Impastato”, Appunti sulla ricerca “Donne e mafia”, Relazione di A. Puglisi e U. Santino, Palermo 1996157 Puglisi A.-Santino U., relazione al seminario «Donne, cittadinanza e criminalità», Università degli studi di Pisa, Dipartimento di Scienze sociali, 10 dicembre 1996

97

Page 98: Bozza Finale

anche se non sono mancate parole pubbliche di ammirazione nei loro

confronti come ad esempio quelle del giudice Falcone:

«Ne ho dedotto che le donne, che in passato hanno

raramente avuto una parte decisiva nella vita dei mafiosi

– i quali si accontentavano di una famiglia di tipo

matriarcale dove la sposa, senza mai venire informata di

alcunché, sapeva tutto, ma stava zitta – le donne, dicevo,

hanno assunto un ruolo determinante: decise e sicure di

sé, sono diventate il simbolo di quanto c’è di vitale,

gioioso e piacevole nell’esistenza; sono entrate in rotta di

collisione con il mondo chiuso, oscuro, tragico, ripiegato

su se stesso e sempre sul chi vive di Cosa Nostra. Alcune

donne purtroppo non rare, non si sono ancora schierate

con la cultura della vita»158.

L’esperienza soggettiva della perdita, del lutto e del dolore è

diventata lo stimolo per una forte rivendicazione etica e politica e nel

momento in cui si decide di parlare, rompendo l'obbligo del silenzio

imposto dalla mafia, si rischia moltissimo in quanto si mette a

repentaglio la propria vita e quella dei propri cari. Ma la memoria dei

loro cari, le ha rese sempre più forti e decise nel perseguire le loro

scelte anche se a volte, sono state abbandonate dallo Stato e dalla

società civile.

Tutte le donne che collaborano sono pervase dal forte desiderio

di non dimenticare, di tenere sempre vivo il ricordo ma la loro forza

consiste nella speranza che hanno acquisito per il futuro che

158Falcone-Padovani, op. cit., p.85

98

Page 99: Bozza Finale

alimentano anche tramite la commemorazione e in speranza. La

domanda di giustizia e l’imperativo a non dimenticare, gridati a gran

voce dai familiari delle vittime della violenza mafiosa contro le

istituzioni dello Stato sono anche degli atti riparativi per riconquistare

un equilibrio nella propria esistenza. L'elaborazione del lutto in forma

collettiva è utile per dare significato e riparazione al dolore ma è uno

strumento molto forte per combattere il movimento mafioso e la sua

ideologia di morte che cerca di imporre e che pretende di controllare il

passato, il presente e la memoria.

La lotta comune di donne contro la mafia permesso la

trasformazione del lutto privato in testimonianza pubblica ed esse

hanno elaborato delle forme di resistenza civile e di denuncia,

contestualmente al desiderio di dare un diverso significato alle loro

vite159.

4.2 Le donne degli uomini di mafia

Le donne collaborano per motivazioni diverse e talvolta non

vogliono reagire ad un pericolo anche se innescano dei pericolosi

consapevolmente, e nonostante le ritorsioni. Sono tutte però

accomunate dall'esperienza del dolore e della perdita anche se si

differenziano per la vicinanza o lontananza rispetto all’ambiente

mafioso che si evince dall'appartenenza al clan e dal tenore dei

rapporti. Vi sono donne infatti che vengono a contatto con la realtà

159 Siebert, Le donne e la mafia, op. cit., p.76

99

Page 100: Bozza Finale

mafiosa durante il loro percorso di vita come ad esempio Felicia

Bartolotta Impastato, mamma di Peppino Impastato, che proveniva da

un ambiente diverso. Scopre la realtà della mafia dopo il matrimonio

che l'aveva condotta nella famiglia mafiosa di Cinisi e in un'intervista

afferma infatti che:”E poi non lo capivo proprio che cosa significava

questa mafia, questa delinquenza”160. Ed anche se non sopporta, fin da

subito, le amicizie del marito non ha la forza di lasciarlo:”Avrei

dovuto lasciarlo, prendere i miei figli e andare via. Ma chi mi aiutava

a quei tempi. Ora, che la mentalità è cambiata, forse avrei avuto

coraggio di farlo”161.

A suo modo tenta di trovare un “compromesso domestico” tra

l'autorità del marito a cui non riesce a sottrarsi e che considera come

protezione per la vita del figlio, e l'amore proprio per il figlio. Ma

questo compromesso salta con la morte del figlio Peppino il 9 maggio

1978, giorno in cui decide di rompere con la famiglia mafiosa che la

invita a tacere ed aspettare la vendetta ed a schierarsi dalla parte del

figlio, denunciandone gli assassini.

Un altro esempio è la storia di Margerita Petralia, moglie di un

mafioso di Paceco, che si sposa molto giovane e che da subito detesta

il marito che si mostra violento. Si rende anche conto che lui è un

assassino e pur non avendo il coraggio di lasciarlo pe timore di essere

uccisa, scrive pagine di diario in cui denuncia tutti i suoi sospetti sul

marito e i suoi amici. Questo diario sarà utilizzato durante il processo,

quindici anni dopo, contro la mafia della zona e dove era imputato il

marito che nel frattempo aveva lasciato. Nel diario scrive:

160 Bartolotta Impastato F., La mafia in casa mia, La Luna, Palermo 1986, p.22161 Ibidem, p.36

100

Page 101: Bozza Finale

«Sono la moglie di Sugamiele Gaspare, cioè Margherita

Petralia. Sono la moglie solo davanti alla gente, perché in

realtà sono la cameriera, la cosa da prendere a pugni e a

calci al momento che è nervoso e se oso parlare ancora

pugni e calci....[...] Sono tutti delinquenti, assassini feroci.

Ed è per questo che io so e sto zitta. Perché sarebbero

capaci di ammazzarmi. Ma se mi dovesse succedere

qualcosa, o mi facessero scomparire, do il mio consenso a

leggere queste pagine perché vadano in mano ad un

giudice che non si faccia corrompere»162.

Vi sono anche dei casi in cui le donne sono state spinte a

collaborare per spirito di vendetta come nei casi di Serafina Battaglia

e Giacoma Filippello. La Battaglia è stata per vent'anni la convivente

di Stefano Leale, un mafioso palermitano che venne ucciso il 9 aprile

del 1960 per vendetta per un suo presunto tradimento nei riguardi dei

Rimi. Lei decide di collaborare in seguito all'omicidio del figlio ma

era

«Una donna malandrina, di quelle che istigano, che covano la

vendetta. Dopo l'omicidio del marito non faceva altro che dire ogni

mattina al figlio:”Alzati che hanno ammazzato tuo padre! Alzati e

valli ad ammazzare!”. Tutte le mattine, quello, il figlio, non si voleva

alzare. Ma quella lo istigava, lo ist8gava, non gli dava pace fino a che

lui non assoldò un sicario per uccidere i Rimi. I quali lo vennero a

sapere ed eliminarono tutti e due, mandante ed esecutore. Dal

momento dell'uccisione del figlio, la Battaglia si trasformò da

162Da Giornale di Sicilia, 31 ottobre 1989

101

Page 102: Bozza Finale

malandrina in confidente, sbirra. E ha raccontato tutto alla

giustizia»163.

Così anche la Filippello che ricordando l'uccisione di L'Ala

avvenuta il 7 maggio del 1990 afferma:

«Ed io aspettai che lo vendicassero. Ma non accadde

nulla. Anzi uno di loro osò fermarmi per la strada. Voleva

farmi le condoglianze, figurarsi... e nell'occasione mi

fa:”'Za Giacomina siete stata fortunata perché a voi vi

hanno lasciata in vita”. Io persi la testa. Gli urlai:”La

mia fortuna sarà la loro sfortuna. Diteglielo. Perchè

finchè avrò un filo di vita e coraggio, io farò di tutto per

spaccare il petto e per manigare il cuore degli assassini di

Natale. Volevo vendetta. Chiesi soddisfazione a chi

potevo»164.

La vendetta da parte degli ex amici della cosca non arriva e lei

decide di parlare con il giudice Paolo Borsellino; ribadirà sempre di

non considerarsi una pentita ma una donna che vuole vendicare coi i

propri mezzi l'uccisione del “compagno della sua vita. Anche Rita

Patria, che inizia a collaborare dopo la cognata, sembra sia stata spinta

dal desiderio di vendicare i suoi cari. E come dice Alessandra

Camassa, che come sostituto procuratore a Marsala ha raccolto le sue

testimonianze:

163 Arlacchi, Gli uomini del disonore, op. cit., pp.170-171164 Mazzocchi S., Quelle iene non mi fanno paura, in Il Venerd' di Repubblica, 23 aprile 1993

102

Page 103: Bozza Finale

«Ciò che spinge Rita Atria a diventare una collaboratrice di giustizia è

il desiderio di trovare un'altra strada rispetto a quella del fratello

Nicola. La stessa rabbia cieca che, dopo l'uccisione di Vito Atria,

aveva spinto il figlio maschio ad infiltrarsi tra le cosche per farsi

giustizia da solo, vendicando l’assassinio del padre e riabilitando

l'onore della famiglia165.

Vi sono poi anche casi di donne che non si sono veramente

pentite ma che hanno deciso di collaborare per paura di perdere la

vita, come ad esempio Tiziana Augello, appartenente alla borghesia di

Caltanissetta che entrò nella cosca di Leonardo Messina166. Sostiene di

aver intrapreso l'attività criminosa perché orfana di madre e di avere

subito in famiglia incomprensione e solitudine ed afferma infatti

che:”Tutto questo poteva non succedere se avessi avuto una

madre...Una sola spiegazione ai miei fallimenti, una mamma”167.

Subito dopo la sua iscrizione all'Università di Messina contro il volere

del padre che non la finanzierà, inizia ad avere problemi con la

giustizia in quanto diventa dipendente dalla cocaina e viene coinvolta

in una rapina a mano armata. In carcere tenta il suicidio, atto che

ripeterà altre due volte, la terza da pentita a causa della solitudine e

della paura del futuro.

Ottenuta la libertà vigilata torva lavoro come intrattenitrice in

un giro di serate a Caltanissetta e solo dopo tre giorni di lavoro,

conosce Leonardo Messina, mafioso di San Cataldo, di cui diviene

165 Rizza S., Una ragazza contro la mafia. Rita Atria, morte per solitudine, La Luna, Palermo 1993, p.76166 Puglisi, Donne, mafia e antimafia, op. cit., p.119167 Transirico C., Braccata. Dal rifugio segreto una pentita racconta , Sigma edizioni, Palermo 1994, p.39

103

Page 104: Bozza Finale

l'amante. Entra nel giro della sua organizzazione e diventa anche una

corriera della droga ed è proprio il mondo dell’eroina che sta alla base

del suo pentimento in quanto lei vuol chiudere con questo mondo e

ritornare alla vita di prima. Alla base però vi è anche la paura di essere

uccisa ed in un'intervista afferma:

«È vero, volevano uccidermi. Sono stati i carabinieri a

raccontarmi tutto questo. Dopo una ventina di giorni

hanno cominciato a verbalizzare le mie confessioni […]

Ho svelato come si svolgeva il traffico di droga e go dato

ai carabinieri un numero di telefono segreto usato da

Leonardo Messina. Proprio grazie a questo numero di

telefono i carabinieri hanno potuto sventare un omicidio e

scoprire chi in realtà era Messina»168.

4.3 La forza di Rita Atria e di Rosetta Cerminara

Rita Atria ha solo undici anni quando il padre che adora, un

boss mafioso, viene assassinato e solo sedici quando viene assassinato

a colpi d’arma da fuoco anche il fratello Nicola. Decide di collaborare

con la giustizia perché sente che ha il compito di “vendicare mio padre

e mio fratello”, come afferma il 5 novembre del 1991 alla Procura di

Sciacca. Le sue parole sono talmente forti da far sobbalzare i giudici

in quanto afferma che affinchè:

168 In Giornale di Sicilia, 8 gennaio 1993

104

Page 105: Bozza Finale

«La vendetta sia compiuta, io devo collaborare con la

giustizia. Non ho paura delle conseguenze. Nessuno mi ha

costretta a venire qui. Nessuno della mia famiglia mi

perdonerà. So che corro dei rischi. So che mi

minacceranno e forse dovrete portarmi via da casa. Ma

niente di questo ha importanza»169.

Lei vive a Partanna, un centro collinare della valle del Belice, che in

seguito al terremoto del 1968 è teatro di una sfrenata speculazione

edilizia di cui beneficiano i clan mafiosi. Ne consegue una cruenta

guerra tra le famiglie rivali che causa decine di morti e quasi ogni

famiglia piange la perdita di un suo componente, ma non ci sono mai

testimoni.

La sua breve vita ruota attorno alle figure del padre e del

fratello maggiore che adora e con i quali, sia da vivi che da morti, ha

un forte legame, sostenuto dall’orgoglio di essere una Atria e dal

desiderio di vendicare la loro morte. La cognata Piera ricorda che nei

giorni successivi all’omicidio del suocero, Rita, che aveva solamente

undici anni, e il fratello si presero per mano e davanti alla tomba del

padre “silenziosamente giurarono vendetta”170. Sei anni dopo, in

seguito all’uccisione del fratello, per mantenere la promessa decise di

recarsi dai carabinieri per denunciarne i colpevoli.

Le sue relazioni con le donne sono soprattutto quelle con la

madre e la giovane cognata, poi vedova, Piera Aiello, anche lei

testimone d’accusa che decide di pentirsi in seguito all’omicidio del

169 Madeo, op. cit., p.218170 Amenta M., Diario di una ragazza ribelle, Eurofilm e Mediterranea Film, Italia 1997

105

Page 106: Bozza Finale

marito avvenuto nel 1991, anche se, in verità, in precedenza aveva

manifestato il desidero di farlo, cercando di convincere il marito171. Il

lutto è stato per Piera non la causa della collaborazione ma il pretesto

per realizzare una vecchia aspirazione. A tal proposito la dottoressa

Camassa, che fu tra i primi magistrati a parlarle, afferma:

«Non aveva le caratteristiche di una donna di mafia

tradizionale, nel senso che lei voleva sapere, voleva

capire. Ci fornì una quantità di informazioni dettagliate

sulla mafia di Partanna. Non parlò per vendetta, non è il

tipo […] Aveva voglia di uscire; concepiva questa

collaborazione come una rinascita »172.

La sua storia è stata ricostruita dalla giornalista Sandra Rizza

sulla base del suo diario, in cui annotava tutte le sensazioni che le

suscitavano le difficili situazioni che era costretta ad affrontare

quotidianamente, iniziando dai primi contatti coi carabinieri, alla vita

protetta con la cognata fino all’omicidio brutale del giudice

Borsellino.

Emerge il forte ed insanabile conflitto che viene a crearsi dal

momento in cui decide di collaborare, con la madre Giovanna

Cannova, appartenente dalla nascita ad una famiglia mafiosa, e che

ritiene il comportamento della figlia un tradimento al punto da

rinnegarla e di minacciarla di morte.

171 Cfr. Ministero dell’Interno, Rapporto sul fenomeno della criminalità organizzata per l’anno 1995, Tipografia del senato, Roma 1996172 Longrigg, op. cit., p.273

106

Page 107: Bozza Finale

Anche il fidanzato si comporta come la madre, lasciandola in

uno stato di rabbia, disperazione e solitudine; ma la svolta arriva

quando incontra il giudice Borsellino e le donne magistrato che le

fanno conoscere una nuova dimensione del mondo al punto da farle

mettere in discussione le sue certezze. Borsellino le insegna che i

concetti di amore, giustizia e verità non sono qualcosa di astratto,

bensì gesti, comportamenti e progetti concreti ed è per questo che la

sete di vendetta iniziale si ridimensiona, ma l’incontro con se stessa è

ancora lontano.

Rita si trasferisce a Roma con la cognata Piera, i rapporti con la

madre non sembrano migliorare e lei soffre per l’isolamento e la

nostalgia di casa. Ciò che non sopporta è la solitudine e soprattutto la

lenta presa di coscienza del fatto che suo fratello era solo un vile

spacciatore di eroina e il padre un delinquente. Nelle pagine del suo

diario si denota chiaramente questo forte senso di frustrazione:

Roma, 12 gennaio 1992 – Sono quasi le nove di sera, sono triste e demoralizzata

forse perché non riesco più a sognare, nei mie occhi vedo tanto buio e tanta

oscurità. Non mi preoccupa il fatto che dovrò morire ma che non riuscirà mai a

essere amata da nessuno. Non riuscirò mai a essere felice e a realizzare i miei

sogni. Vorrei tanto poter avere Nicola vicino a me, poter avere le sue carezze, ne

ho tanto bisogno, ma l’unica cosa che riesco a fare è piangere. Nessuno potrà

mai capire il vuoto che c’è dentro di me, quel vuoto incolmabile che tutti a poco a

poco hanno aumentato. Non ho più niente, non possiedo altro che briciole. Non

riesco a distinguere il bene dal male, tanto orami tutto è così cupo e squallido.

Credevo che il tempo potesse guarire tutte le ferite, invece no, il tempo le apre

sempre di più, fino a ucciderti lentamente. Quando finirà quest’incubo?173.

173 Rizza, op. cit., p.137

107

Page 108: Bozza Finale

Fortunatamente gode del forte appoggio di Borsellino che si

preoccupa molto per la giovane collaboratrice174 e che lei sente come

un padre ma quando egli, il 19 luglio 1992, perde la vita in un

attentato mafioso a Palermo, lei si sente sempre più sola e la sera

stessa scrive:

Ora che è morto Borsellino, nessuno può capire che vuoto ha lasciato nella mia

vita. Tutti hanno paura ma io l’unica cosa che ho paura è che lo Stato mafioso

vincerà e quei poveri scemi che combattono contro i mulini a vento saranno

uccisi. Prima di combattere la mafia devi farti un autoesame di coscienza e poi,

dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c’è nel

giro dei tuoi amici, la mafia siamo noi e il nostro modo sbagliato di comportarsi.

Borsellino sei morto per ciò in cui credevi ma io senza di te sono morta175.

Una settimana più tardi, alla stessa ora dell’attentato al giudice,

si getta dalla finestra perché la morte del giudice aveva reciso il

legame tra mondo di prima e mondo del dopo: lui rappresentava la

garanzia che il passaggio da un mondo all’altro sarebbe stato possibile

La madre non partecipa al funerale e il 2 novembre rompe a

martellate la fotografia della figlia sulla tomba degli Aiello dove era

stata sepolta e porta il corpo di Rita nella tomba di famiglia. A chi l’ha

denunciata per aver profanato la tomba, lei risponde:

«Non è vero che ho profanato la tomba di mia figlia.

Volevo solo far sparire dalla sua tomba quella fotografia.

174 Longrigg, op. cit., p.87175 Rizza, op. cit., p.128

108

Page 109: Bozza Finale

La figlia era mia e alla foto devo pensarci io non quella

lì»176.

E dopo l’incriminazione per vilipendio di tomba, chiede il

patteggiamento della pena e presenta una memoria in cui ribadisce:

«È vero, ho danneggiato la foto di mia figlia non per

dissacrare il suo ricordo, ma perché quella foto era stata

apposta senza mia autorizzazione dai genitori di Piera

Aiello. Io volevo soltanto sostituire quella foto. Non

c’entra nulla il fatto che Rita abbia collaborato con la

giustizia»177.

Ma ciò che scrive è in netto contrasto con quanto aveva

dichiarato e fatto in precedenza ma viene condannata a due mesi e

venti giorni di reclusione, con pena sospesa. Riesce ad ottenere il

corpo della figlia e a spostarlo nella tomba di famiglia anche se Rita

voleva essere seppellita nella tomba degli Aiello, accanto al fratello

ma la madre decide di riportarla nella famiglia d’origine, visto che non

può sottrarsi alla volontà materna.

Un’altra storia esemplare è quella di Rosetta Cerminara, una ragazza

calabrese ventenne che studia, lavora e conduce una vita normale e

che diventa testimone involontaria dell’uccisione del sovrintendente di

polizia Salvatore Aversa e di sua moglie, avvenuta il 4 gennaio del

1992. L’agguato avviene in una via affollata, piena di negozi e lei

riconosce i due giovani assassini anche perché uno dei due, in passato,

176 In Giornale di Sicilia, 23 novembre 1992. Si riferisce alla nuora Piera Aiello177 In Giornale di Sicilia, 23 ottobre 1993

109

Page 110: Bozza Finale

è stato il suo fidanzato e la decisione di parlare, probabilmente, è

coltivata dal fatto che conosce le vittime ed i carnefici178.

Lei non è una donna di mafia “pentita” che dopo aver subito un

lutto, denunzia i colpevoli per vendetta ma è una semplice testimone e

la sua forza risale proprio nel suo essere una libera cittadina che non

ha vincoli di parentela con le vittime, e con gli assassini. L’importanza

del suo gesto consiste soprattutto nel fatto che lo riporta alla

dimensione di quotidianità e di normalità che, invece, fino a quel

momento, sembrava essere solamente di coloro che, da dentro la

mafia, trovano il coraggio di separarsi.

In seguito alla sua testimonianza deve abbandonare la Calabria

insieme alla sua famiglia per andare a vivere sotto protezione in un

posto segreto dell’Italia settentrionale, costringendo i genitori ad

abbandonare la loro attività e lei a perdere il suo lavoro. Il primo

processo, dopo mesi di dibattimento è stato annullato per vizio di

forma ma nella sessione di prima istanza, ha riconosciuto gli imputati

colpevoli anche se in seconda istanza vengono assolti.

Subito dopo la sentenza di primo grado, il Presidente della Repubblica

Oscar Luigi Scalfaro le ha conferito una medaglia al valore civile per

il suo coraggio.

Già nel primo processo la difesa tenta di screditarla, insinuando

che la sua decisione di testimoniare è mossa dalla vendetta di un

amore tradito e viene così trasformata, purtroppo, da accusatrice in

accusata. Tale visione rientra nel fenomeno del disconoscimento della

178 Siebert, Le donne e la mafia, op. cit., p.99

110

Page 111: Bozza Finale

dimensione civile della donna che, anche se ha visto uccidere due

persone, non appare credibile la sua testimonianza.

Non solo, anche la comunità reagisce ostinatamente verso di lei,

con silenzio e imbarazzo e ad un certo punto anche le istituzioni

sembrano abbandonarla ma col passare del tempo la situazione

migliora ed il silenzio iniziale si allenta e gli assassini sono

nuovamente condannati.

Rispetto a Rita, Rosetta resiste anche se vive isolata, blindata, lontana

dalla sua città, dalla famiglia, dagli amici e dal lavoro ma la sua è stata

una scelta consapevole e conosceva le regole del gioco quando decide

di testimoniare.

Tuttavia, la giustizia le riserva un nuovo e duro colpo in quanto

in coincidenza con il decimo anniversario dell'assassinio del

sovrintendente e della moglie, i presunti assassini sono assolti e lei

viene accusata di falsa testimonianza.

4.4 Una storia attuale: il caso di Giusy Vitale

Giusi Vitale è considerata il primo pentito donna ma è anche la

prima donna ad assumere il comando di una famiglia mafiosa.

Nasce in una famiglia molto numerosa di contadini siciliani, lei

era la picciridda di casa perché aveva tre fratelli e una sorella più

grandi e viene cresciuta dai suoi fratelli come un maschio ed è da loro

trattata con cura soprattutto da Leonardo, che lei amerà

111

Page 112: Bozza Finale

particolarmente. E sono proprio i tre fratelli ad iniziare l’attività

criminosa e a frequentare le patrie galere stabilmente diventando il

braccio armato dei Corleonesi.

La violenza invade pian piano la famiglia e Giusy viene

coinvolta nei loro affari criminosi fino a diventare così brava da

assumere le vesti di capo. È la prima donna a prendere quelle

decisioni che spettavano esclusivamente agli uomini ed infatti quando

i suoi fratelli vengono arrestati, assume il comando del clan.

Viene considerata come una donna d’onore.

La sua attività criminosa la conduce in carcere la prima volta il

24 giugno del 1998 con l'accusa di associazione mafiosa e viene

scarcerata il 25 dicembre del 2002. Nel marzo successivo rientra

nuovamente in carcere con l’accusa di essere il mandante

dell’omicidio dell’imprenditori Salvatore Riina ucciso il 20 giugno

1998, perché sospettato di essere un informatore di Bernardo

Provenzano.

Giusi cresce in un ambiente mafioso e viene allevata secondo i

canoni degli affiliati a Cosa nostra; si dedica completamente alla

“famiglia”: copre la latitanza del fratello maggiore Vito, detto

«fardazza» e dei suoi picciotti, gira paesi e città per recapitare

«bigliettini» con i messaggi da affidare ai boss, e porta nei covi dove

si nascondeva il fratello l'amante per rendere più lieve la sua latitanza.

Le indagini degli investigatori hanno rivelato che aveva due

amanti, dei quali uno viene arrestato ma la sua storia giudiziaria inizia

quando dei pentiti ne svelano il ruolo, e tra i suoi accusatori vi è

112

Page 113: Bozza Finale

proprio una donna: Maria Fedele, moglie di Antonino Guarino,

picciotto della cosca di Partinico.

In seguito a queste rivelazioni decide di collaborare anche

perché non vuole far crescere i suoi figli in un ambiente intriso di

violenza ed infatti in più di un’occasione afferma di aver preso questa

decisione proprio per loro due179.

Subito dopo il primo arresto e la detenzione per quattro anni e

mezzo decide di pentirsi e nel suo libro scrive appunto che:

«Mentre ero detenuta mi portarono mio figlio in carcere.

Aveva quasi sei anni; mi chiese perché ero finita lì dentro

e poi:”Mamma che cosa è l'associazione mafiosa?”. Non

seppi rispondere. Lo presi in braccio, lo misi a sedere e

cercai di dire qualcosa…..che la mafia è una cosa

brutta….. e che quando fosse diventato grande glielo avrei

spiegato. Ma quella domanda mi fece riflettere davvero

sulla mia vita, sulle mie scelte che scelte non erano mai

state, e su cosa volevo per i miei figli. Per loro, Francesco

e Rita, ho rotto ogni legame col passato»180.

Nel suo racconto Giusy ben evidenza quanto fosse succube dei

suoi fratelli e in particolare di Leonardo, che oggi l’ha rinnegata e la

definita un “insetto velenoso”- e come l’ambiente della sua famiglia

fosse molto restrittivo. Afferma infatti che:« Per me la vita era quella

con i miei fratelli, per me era impossibile persino fare un confronto

179 Vitale G., Ero cosa loro. L’amore di una madre può sconfiggere la mafia, Mondadori, Milano 2009, p.18180 Ivi, pp.18-19

113

Page 114: Bozza Finale

con le mie coetanee, non sapevo assolutamente come si potesse vivere

in un altro modo».

Tutto ciò la costringe a vivere una vita diversa anche perché i

fratelli le impediscono perfino di frequentare le scuole superiori in

quanto doveva fare da collegamento con i parenti in carcere e doveva

eseguire i loro ordini.

Non era libera di muoversi e di decidere per la sua vita, afferma

infatti di aver imparato a essere libera solamente durante il periodo

della detenzione perché «[…] i miei pensieri erano miei, il mio tempo

era mio, io ero mia. E volevo solo vivere per me, ma soprattutto per i

miei figli. Non sarebbe stato facile, ma ero ancora giovane, avevo

trentatré anni e potevo ricominciare da capo. Sapevo anche che gli

altri, tutti gli altri, non l’avrebbero presa bene, dai miei famigliari al

mio presunto amante. E infatti così è stato»181.

Il fratello Leonardo la rinnega platealmente al punto che come

scrivono i giornali:

«[…] L’anatema di Leonardo Vitale contro la sorella è

stato lanciato attraverso il collegamento in

videoconferenza con la Corte d’Assise di Palermo dalla

Casa Circondariale di Palermo dove si trova detenuto,

durante il processo per l’omicidio di un commerciante,

Salvatore Riina (soltanto l’omonimo del capomafia

corleonese).

181 Ivi, p.166

114

Page 115: Bozza Finale

“Ho saputo che una mia ex consanguinea – ha detto il

boss – sta collaborando. Noi la rinneghiamo sia da viva

che da morta e speriamo che lo sia presto»182.

Attualmente Giusy continua nel suo percorso e coltiva sempre

la speranza che i suoi fratelli prendano il suo stesso cammino e si

pentano e nel frattempo cerca i valori giusti, per crescere Francesco e

Rita, per non ripetere con loro gli errori che i miei famigliari hanno

fatto con me183.

182 Ivi, p.167183 Ibidem

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