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BAUDELAIRE UN UNIVERSO DI LAMPI

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BAUDELAIRE

UN UNIVERSO DI L AMPI

UN UNIVERSO DI LAMPI!

BAUDELAIRE

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PREFAZIONELa scelta del titolo per questo lavoro è data dal fatto che esso può suscitare nel let-

tore un duplice interrogativo. Il primo è ciò che fa riferimento all’oscurità del paesag-gio cupo e triste che il titolo stesso evoca; il secondo potrebbe cercare di soffermarsi sul legame Baudelaire-lampo.

E’opportuno subito specificare che in questo lavoro si analizzeranno le tematiche por-tanti del pensiero di Charles, tematiche prevalentemente macabre e oscure proprio perché il poeta cercando di descrivere la realtà in cui vive l’uomo, dipinge paesaggi e scene tristi e angosciose. Come in una giornata di temporale il maltempo è accompa-gnato non solamente dall’infinità di nuvole che oscurano il cielo ma è schiarito, ogni tanto e in modo brusco, da alcuni lampi che incutono sì paura e timore ma, visti da lon-tano magari, affascinano e rendono più grazioso il panorama. Questo paragone può es-sere utilizzato anche per uno studio, semplice e superficiale, di Baudelaire: leggendo molti poemi che hanno per tematica la noia provocata dalla quotidianità, si possono scoprire dai lampi che illuminano la grandezza del poeta che narrando in un modo “di-verso dalla norma” la realtà, ha una fantasia tale da creare sfumature sempre diverse ma allo stesso tempo sempre attraenti.

Il lampo è una “scarica” molto forte e potente di breve durata. Allo stesso modo gli scritti del poeta analizzato, soprattutto nelle poesie contenute nei Fleurs du mal contengono una sorta di scarica, di “valvola di sfogo”, che impressiona il lettore per la sua concentrazione espressiva e per la sua forza descrittiva.

Il paesaggio temporalesco del titolo fa inoltre riferimento alla vita stessa dell’au-tore: infatti un’analogia lega la vita di Baudelaire al percorso della sua creazione. Egli conosce esperienze di vita dolorose e deludenti (la perdita del padre, il secondo matri-monio della madre, il rapporto conflittuale col patrigno) che mettono in moto il mecca-nismo amaro della sua malinconia. In una prima fase della sua vita, cerca di uscire dal-le soffocanti catene del tedio esistenziale e dalla pena del vivere ricorrendo a soluzioni che si rivelano improprie: la vita da bohémien tra il ‘39 e il ‘41, poi il viaggio esotico, poi l’insistenza raffinata e viziosa del dandy, gli amori, le droghe. In una seconda fase, se le sofferenze anche fisiche si acuiscono, la soluzione culturale e creativa si rivelano le uniche valide: così, i suoi orizzonti intellettuali si allargano, e ai modelli romantici si aggiungono quelli provenienti dalle sorgenti più disparate: pittori- che (vedi i “Sa-lon”), letterarie (Poe), musicali (Wagner).

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Su questa base, le opere poetiche diventano una sorte di sublimazione lirica di un percorso esistenziale profondamente sofferto, lacerato tra l’insopportabile tedio, lo spleen, e il richiamo all’Ideale, e risolto in soluzioni che evidenziano sia il distacco tra il mondo e il poeta sia la complessità di un esistere in cui i valori e i disvalori sono eter-namente ambivalenti e compresenti. Persino la bellezza, valore supremo, tradisce una provenienza contraddittoria, divina e diabolica, infernale e celeste.

INTRODUZIONE: PIANO DI LAVORO

La seconda metà dell’Ottocento francese è un intenso susseguirsi di date cruciali, un accavallarsi di correnti che anticipano, talvolta prodigiosamente, ciò che verrà in seguito in Francia e nei dintorni. Il Romanticismo, la dominante ottocentesca, nel mondo culturale francese viene racchiusa fra due date convenzionali, tutte e due lega-te al “grande sacerdote” del Romanticismo francese: Victor Hugo. Il 25 febbraio 1830 Hugo fa rappresentare Hernani, un’opera che mette in discussione la vecchia concezio-ne del dramma classico. Appoggiato da vari giovani entusiasti, Hugo conosce un suc-cesso prodigioso. La sua poetica romantica si afferma trionfalmente e inizio il suo pe-riodo d’oro. Questo periodo sarà però molto limitato. Lo si fa finire, anche qui in modo convenzionale, con la rappresentazione di un’altra opera di Hugo, Le Burgraves, nel 1843. Questa volta è un fiasco clamoroso e il suo incanto romantico svanisce.

Da allora sembra che la storia della cultura abbia fretta. Mentre Hugo continua a produrre, instancabilmente, ancora per molto tempo (morirà nel 1885), altri nomi si impongono. Pochi anni dopo lo smacco di Le Burgraves, nel 1857, viene pubblicata una stupefacente raccolta poetica, Les Fleurs du Mal. L’autore è Baudelaire, nato ben ventun anni dopo Hugo. Con lui la poesia sembra recuperare mezzo secolo di freschez-za.

Il critico Giovanni Macchia afferma che Baudelaire diventa sempre più vicino a mano a mano che si al- lontana da noi nel tempo. E’moderna la sua ricerca che egli fa dell’alterità poetica rispetto al mondo moderno e alle sue tecniche, al suo commercio, ai suoi soldi, alla sua politica che si dibatte penosamente tra le strettoie della “generale animalità”. Di tutta la variegata modernità di Baudelaire, si confermano molto fascino-se le “immagini” sacre, straordinariamente vicine alle suggestioni e alle ambiguità del sacro moderno. Il poeta è colui che ha una vocazione soprannaturale, chiamato a con-

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templare Dio. Ma è anche chiamato a confrontarsi con il mondo e gli uomini che non lo comprendono: il poeta dice che una “double postulation” abita il suo cuore: una lo spinge verso l’alto e un’altra lo fa precipitare verso l’abisso. Il sacro è affascinante so-prattutto nella dinamica vicino-lontano: più la donna amata si allontana, più è deside-rata. Allora si assiste alla “metamorfosi mistica” di tutti i sensi fusi in uno. E’la nascita della poetica di Baudelaire: la poesia diventa accostamento misteriosamente sintetico al mondo, intuito attraverso una straordinaria sinfonia di sensazioni. Sono le “corri-spondenze” di cui parla una celebre poesia di Charles.

L’attualità di Baudelaire, secondo me, è rilevante non solamente nell’ambito lette-rario poetico, ma è ragguardevole soprattutto per ciò che concerne i contenuti: il poeta parla della doppiezza dell’uomo, del mondo colpito dalla quotidianità struggente, della noia, delle difficoltà materiali con cui l’uomo deve fare i conti ogni giorno, etc. Charles si potrebbe considerare come moderno poiché non segue nessuna regola imposta, è un libertino che cerca nella trasgressione una via per fuggire dal mondo. I giovani d’oggi sono spesso accusati per i loro comportamenti “privi di ideali”: un aspetto che condu-ce ad una vita sregolata e “casuale” viene dal fatto che nell’essenza stessa dell’uomo, e soprattutto nell’età adolescenziale, vi sia una duplice aspirazione, quella citata prece-dentemente. Si potrebbe discutere moltissimo in campo filosofico della dialettica be-ne-male, spirito-materia, che però trovano una sintesi spesso non razionale e soddisfa-cente.

Lo scopo del mio lavoro è quello di analizzare alcune tematiche presenti nelle opere di Baudelaire confrontandole con i loro opposti. Prenderò in considerazione quindi, dopo delle premesse storiche e letterarie, la dialettica Spleen-Ideale, Dio-Sata-na, donna-dandy, realtà-paradisi artificiali, per concludere con una spiegazione di una poesia che riassume e fornisce la soluzione per risolvere questi contrari che apparente-mente sono inconciliabili: “Correspondances”. Alla fine del lavoro cercherò di esprime-re, sintetica- mente, il concetto di poesia in Baudelaire, la sua concezione del Bello (estetica) e infine la sua influenza nei secoli successivi.

Non farò discorsi filosofici o tecnici, ma mi accontenterò di analizzare le temati-che principali nelle opere di Baudelaire esprimendo piccole riflessioni personali. Cer-cherò inoltre di utilizzare diversi passi dell’autore, aiutato dalle traduzioni di G. Rabo-ni, per notare la sua abilità poetica e intuitiva che ancora oggi affascina.

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QUADRO STORICOBaudelaire vive in un periodo di transizione che va dal periodo della Restaurazio-

ne fino al Secondo Impero di Napoleone III. Negli anni ‘30 la rivoluzione che scoppiò a Parigi fu la conseguenza del tentativo messo in atto dal re Carlo X e degli ambienti ultras di restringere il più possibile le libertà costituzionali garantite dalla Chartre oc-troyée del ‘14 cercando di mettere in atto quella “restaurazione integrale” alla quale Luigi XVII aveva rinunciato. Divenuto re nel 1824, Carlo X aveva subito varato una se-rie di provvedimenti che miravano a rafforzare il ruolo del clero e ad accrescere il peso dell’aristocrazia. Questa politica si scontrò con le forti opposizioni degli ex giacobini e degli intellettuali liberal-democratici. Nelle elezioni del 1827 le opposizioni ottennero una netta maggioranza alla Camera e il re chiamò alla guida del Governo il principe di Polignac, capofila degli ultras. Qualche mese dopo sciolse la Camera convocando nuo-ve elezioni che videro un rafforzamento delle opposizioni. Carlo X e il primo ministro attuarono un colpo di stato emanando delle ordinanze dove limitavano la libertà di stampa, si scioglieva la Camera, si modificavano le leggi elettorali rendendole più re-strittive. Il popolo di Parigi scese allora in piazza contro le truppe regie e costrinse il re ad abbandonare la capitale. Il 29 luglio le camere si riunirono e dichiararono la fine della dinastia borbonica nominando luogotenente del regno Luigi Filippo d’Orleans. Il 9 agosto Luigi Filippo fu proclamato dal Parlamento “re dei francesi per volontà della nazione” mentre la giuda del governo fu affidata al banchiere Laffitte. Il governo della guardia nazionale fu messo nelle mani di La Fayette e molti altri delegati appartenenti alla classe degli ex moderati. Il regime orleanista finì per identificarsi con i valori e gli interessi dell’alta borghesia degli affari che vide accrescere il suo peso economico e la sua influenza politica. Intanto cattolici reazionari e ultras legittimisti non cessarono mai di tramare per il ritorno dei Borboni e nel ‘32 cercarono di organizzare una rivolta in Vandea. L’opposizione più pericolosa venne però dai gruppi democratico-repubbli-cano, protagonisti dell’insurrezione del ‘30. Questi ultimi crearono vari tentativi insur-rezionali tra cui quello a Lione nell’estate del 1834. Intanto, a partire dagli anni ‘40, François Guizot divenne primo ministro. La sua politica era centrata sull’ordine e sulla stabilità, quella che si definì politica del “giusto mezzo”. Guizot e Luigi Filippo accen-tuarono sempre più i caratteri oligarchici del regime scavando un fossato tra il paese legale e il paese reale. All’inizio degli anni ‘40 si andò così coalizzando un vasto fronte di opposizione che comprendeva liberali progressisti e democratici, bonapartisti e so-cialisti, cattolici e legittimisti. Intanto i democratici che lottavano per il suffragio uni-

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versale crearono la cosiddetta campagna dei banchetti per la propaganda per la rifor-ma elettorale. Proprio per la proibizione di un banchetto previsto per il 22 febbraio 1848, a Parigi si creò una crisi rivoluzionaria. Il governo ricorse alla Guardia Naziona-le per fermare le manifestazioni di protesta. L’esercito però questa volta finì per difen-dere i dimostranti cosicché il 24 febbraio Luigi Filippo abbandonò Parigi mentre veni-va costituito un governo provvisorio che si pronunciava a favore della repubblica. Que-sto governo annunciò poi la convocazione dell’Assemblea Costituente da eleggere a suf-fragio universale. Abbiamo una testimonianza curiosa secondo cui la sera del 24 feb-braio Jules Buisson incontra Baudelaire con in mano un fucile mentre andava ripeten-do: “Bisogna andare ad uccidere il generale Aupick!”. Nel governo provvisorio figurava-no tutti i capi dell’opposizione tra cui due rappresentanti degli operai (fatto questo molto strano per quel tempo!). Inizia così la Seconda Repubblica creata dall’entusia-smo rivoluzionario che fece abolire la pena di morte e fece nuove riforme tra cui la creazione degli “ateliers nationaux” (officine nazionali). Il 23 aprile 1848 ci furono le elezioni per l’Assemblea Costituente e l’ala radicale subì una secca sconfitta soprattut-to nell’estrema sinistra. Il nuovo governo emanò un decreto con cui si stabiliva la chiu-sura degli “ateliers”. La reazione dei lavoratori di Parigi fu immediata tanto che il 23 giugno ci furono scontri con l’esercito guidato da Cavaignac che soppresse gli insorti. Anche Baudelaire affermò di aver partecipato a questa rivolta in modo molto attivo. Dopo la paura delle giornate di giugno l’Assemblea Costituente approvò la costituzio-ne democratica che prevedeva il presidente della Repubblica eletto dal popolo per la durata di quattro anni e un’unica Assemblea Legislativa eletta an- ch’essa a suffragio universale. Alle elezioni presidenziali (10 dicembre) vinse Luigi Napoleone Bonapar- te, figlio di un fratello dell’imperatore. Portato al potere da una coalizione di conserva-tori, clericali e moderati orleanisti Luigi Napoleone volle mantenere gli impegni assun-ti nel “partito dell’ordine”. Intanto l’Assemblea Costituente dovette dimettersi per la-sciare posto ad una normale Assemblea Legislativa. Le elezioni tenute il 3 maggio 1849 videro la maggioranza di clerico-conservatori mentre i repubblicani moderati scomparvero di scena. I gruppi conservatori, che avevano favorito l’elezione di Bona-parte in quanto ritenevano di poterlo controllare facilmente, guardavano con sospetto un eccessivo rafforzamento del suo potere personale. Allora il 2 dicembre 1851 la Ca-mera fu occupata dalle truppe regie con un colpo di stato da parte di Luigi Napoleone. Gli oppositori furono arrestati e le rivolte di protesta furono represse dall’esercito. Un plebiscito a suffragio universale sanzionò l’operato di Bonaparte e gli attribuì il compi-to di redigere una nuova costituzione. Quest’ultima ripristinava il suffragio universale ma toglieva alla Ca- mera l’iniziativa legislativa riservandola al solo presidente. La Re-

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pubblica era ormai tale solo di nome: Luigi Napoleone assunse così il nome di Napo-leone III col diritto di trasmettere il titolo imperiale ai suoi eredi. All’autoritarismo e al centralismo (fenomeno del “bonapartismo”) Napoleone III univa la pratica del pater-nalismo alla ricerca del consenso popolare, verificato periodicamente dalle elezioni del-la Camera a suffragio universale. Un aspetto importante del Secondo Impero fu quello che potremmo definire “tecnocratico”: la tendenza cioè ad affidare sempre maggiori poteri ai tecnici e a ravvisare nel trionfo della tecnica la via più sicura per la realizzazio-ne del bene comune (“L’impero è la pace” é una delle frasi cele- bri dell’imperatore). I propositi pacifisti erano destinati però a scontrarsi con la tradizione bellicista bonapar-tista. la prima occasione per misurare le nuove ambizioni imperiali della Francia fu of-ferta dalla questione d’Oriente dove i francesi intervennero in Crimea contro la Gran Bretagna assediando Sebastopoli.

QUADRO LETTERARIOLa poesia degli anni 1850, e in piccola parte anche degli anni ‘60, è rappresentata

da un gruppo di poeti che propongono l’imparzialità dell’arte: i Parnassiani. Questo no-me deriva da “Parnaso” e rinvia alla montagna greca che era il soggiorno di Apollo, dio della bellezza. Questo sottintende chiaramente che la bellezza non è accessibile a tutti ma bisogna spendere qualche sforzo per riuscire a conquistarla. Le prin- cipali caratte-ristiche della scuola parnassiana testimoniano un rifiuto netto nei confronti della poe-sia romantica:

• rifiuto di un’arte sociale e/o politica sostituita dall’arte per arte (ripresa poi dal-l’estetismo) dove l’arte è finalizzata alla produzione del Bello;

• rifiuto critico della poesia romantica dove la forma era troppo rilasciata. Si vuo-le ritornare all’applicazione di regole poetiche: il poeta non si deve accontentare del-l’ispirazione ma deve curarsi anche della forma. Questa deve essere solida e fissa per assicurare all’opera la sua grandezza nel tempo, poiché bisogna raggiungere la bellez-za che è considerata l’unica cosa duratura;

• rifiuto del sentimento: il poeta non deve cantare se stesso. Si passa da una poe-sia soggettiva ad una oggettiva;

• fonti d’ispirazione: l’antica Grecia, l’India, la cultura araba, evocano la fonte di una documentazione rigorosa;

• confidenza con la scienza moderna che apre all’immaginazione un campo d’in-vestigazione superiore rispetto a quella dei sentimenti.

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In effetti, malgrado l’opposizione di alcuni filoni letterari, non c’è una totale rottu-ra tra il Romanticismo e il Parnasismo (molto evidenti sono i temi comuni quali i pae-saggi naturali ed esotici), e se l’espressione pura dei sentimenti è ormai esiliata, una viva sensibilità resta sempre soggiacente al di là dell’apparente freddezza dei testi.I simbolisti attinsero dall’estetica parnassiana la poetica dell’oggetto e soprattutto il culto della Bellezza. Ma l’oggetto diverrà lo strumento privilegiato di una marcia misti-ca verso un’altro mondo, verso una quiete ideale.

Infine osserviamo come Baudelaire dedica i suoi “Fleurs du mal” a Théophile Gautier che è il padre fon- datore dei parnassiani. Charles lo definisce come “molto ca-ro, venerato maestro e amico”, testimoniando così il ruolo fondamentale del movimen-to parnassiano tra il Romanticismo e il Simbolismo.

Ora nasce un problema: Baudelaire è simbolista o poeta decadente? Nasce così la questione della terminologia e della cronologia tra Decadentismo e Simbolismo:

• Decadentismo deriva direttamente dall’aggettivo “decadente”. Il cosiddetto Decadentismo storico nasce a Parigi nel 1880 dagli intellettuali “bohemiens de la rive gauche de la Seine” che già prima ave- vano influenzato la scapigliatura milanese. Que-sti autori e letterati solitamente si trovavano nei café dove presero l’avvio alcune rivi-ste di critica. Queste furono definite come “decadenti” in senso spregiativo e i bohe-miens intitolarono così il loro giornale ufficiale “Le Décadent” accettando così il titolo che la critica borghese aveva loro etichettato.

• Il Simbolismo è un movimento letterario e poetico francese che, in contrasto col naturalismo parnassiano, cerca di fondare l’arte su una visione simbolica e spiri-tuale del mondo, tradotta con nuovi mezzi di espressione.

Lo studioso Robert afferma che il Decadentismo prepara il Simbolismo cercando così di trovare le differenze tra queste due correnti ed esaminando in che ambiti il De-cadentismo anticipa il Simbolismo. Cronologicamente il Decadentismo si sviluppa so-prattutto attorno al 1882 ed ha un grosso accento pessimista mentre il Simbolismo ap-pare solamente quattro anni più tardi, nel 1886 con la pubblicazione del “Manifesto simbolista” di Jean Moreas che ha un carattere decisamente più ottimista poiché si fonda su una visio- ne spirituale e simbolica del mondo.

Storicamente però il Decadentismo e il Simbolismo sono due correnti che desi-gnano un solo ed unico fenomeno letterario d’ispirazione baudeleriana. Baudelaire in-fatti parte dal rifiuto della normalità per esplorare, al contrario, il dominio di ciò che è artificiale. Tuttavia, in materia d’amore, il poeta cerca da una parte l’angelismo etereo

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e sacro,e dall’altro l’erotismo perverso, mistico e satanico. Ecco quindi due soluzioni radicalmente opposte riguardo ad un problema comune: da una parte c’è la ricerca del-l’evasione dalla realtà segnata dallo spleen, dall’altra c’è la tematica perversa, presente anche nelle generazioni post-baudeleriane, pseudo-mistica che utilizza un nuovo lin-guaggio suscettibile capace di tradurre il mistero, l’ineffabile, l’Ideale che solo il poeta è capace di conoscere.

Non possiamo dunque separare nettamente il decadentismo col simbolismo poi-ché è un solo movimento letterario che hanno in comune più analogie che differenze.

QUADRO CULTURALE FRANCESE

La vita culturale francese conobbe soprattutto negli anni 1820-1880 uno dei suoi momenti più alti e anche per questo Parigi svolse la funzione di capitale europea per il mondo intellettuale. In ambito letterario, la grande poesia di Baudelaire era stata ac-colta con grande scandalo dai benpensanti, ma ora arrivò a penetrare in più vasti am-bienti e certo senza la sua fortuna sarebbe stato difficile capire gli sviluppi successivi della poesia francese ed europea. Nella letteratura romanzesca, anche il capolavoro di Flaubert, “Madame Bovary”, pure del 1857, era stato accolto con indignazione per la vicenda di una adulterio de- scritta con cruda analisi psicologica. Ma dalla sua opera si sarebbe sviluppata la scuola realistica e sopra- tutto il romanzo naturalista che, legato per più versi col pensiero positivista, avrebbe avuto in Emile Zola la figura più eminen-te.

E’tuttavia in campo pittorico che la Francia rinnovò più profondamente la cultu-ra europea. Gia Gustave Courbet, che aveva aderito appassionatamente alla Comune, aveva impresso una svolta nella concezione stessa dell’arte con il suo realismo. Edouard Manet e i suoi amici ruppero clamorosamente con gli artefici dell’arte accade-mica. Come ha scritto un grande studioso, Ernst Gombrich, essa aveva “dimenticato come all’aria aperta non sia possibile cogliere le gradazioni di passaggio tra l’ombra e la luce. Alla luce del sole i contrasti sono netti...le parti illuminate sono assai più bril-lanti che non nello studio, e anche le ombre non sono così uniformemente grigie o ne-re, dato che la luce, riverberandosi dagli oggetti circostanti, influisce sul colore delle parti in ombra”. In tal modo Manet e i suoi seguaci provocarono una vera e propria ri-voluzione cromatica, che si rifletté sulla visione dei paesaggi stessi e sulle figure. Ispi-

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randosi alle idee scientifiche del tempo sulla natura del colore e la percezione dell’oc-chio, essi applicarono una tecnica a piccoli tratti di colore puro, che si fondano per creare la tonalità voluta, se il quadro è visto dal giusto punto di osservazione.

Le loro opere apparvero così nuove e irritanti da essere respinte nel 1863 dal-l’esposizione annua che veniva tenuta a Parigi. Sostenuti dai conoscitori d’arte più in-telligenti, fra cui Baudelaire, che rilevò in questa occasione la finezza della sua riflessio-ne critica, gli innovatori riuscirono a provocare tale agitazione da costringere le autori-tà a organizzare un “Salon des refusés”, dove erano appunto raccolti i quadri rifiutati. Nel giro di pochi anni Manet, Monet, Renoir, Pissarro, Degas s’imposero all’attenzione della critica e del pubblico colto.

Il tentativo messo in atto per giungere ad una rappresentazione della realtà, rifiu-tando i limiti accademici, portò questo gruppo di pittori ad interessarsi delle nuove possibilità offerte dalla fotografia. Nel 1874 organizzarono una mostra nello studio di un fotografo, e fra i quadri figurava un dipinti di Monet intitolato Impressione:sole che sorge. Un critico, per ridicolizzare il gruppo, parlò di impressionisti e il nome rima-se a questa grande scuola, che conobbe poi sviluppi e innovazioni sempre più rivoluzio-narie con Cézanne, van Gogh, Toulouse-Lautrec, Gauguin ecc.

BIOGRAFIA • 1821: il 9 aprile nasce a Parigi Charles-Pierre Baudelaire quando il pa-

dre Joseph-François, pittore dilettante, ha sessantadue anni e la madre Caroline Du-fays solo ventotto.

• 1827: il 10 febbraio muore il padre Joseph e in seguito Caroline sposerà il maggiore Aupick che verrà in quell’anno nominato co-tutore di Charles.

• 1832: la famiglia Aupick si trasferisce a Lione dove Jacques Aupick è ca-po di stato maggiore. Charles in ottobre diventa interno al Collège Royal.

• 1836: Charles torna con la famiglia a Parigi e il poeta è annesso al Colle-ge Louis le Grand dove ottiene diversi premi in versificazione latina.

• 1838-1839: Baudelaire è espulso dal collegio per comportamento scor-retto. Diventa baccelliere in lettere e si iscrive alla facoltà di giurisprudenza. Iniziano in questi anni a manifestarsi i primi sintomi di una malattia venerea.

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• 1841: comincia l’ossessione dei debiti. Aupick decide di allontanare Charles dalla famiglia. Il 9 giugno il poeta parte per Calcutta dove però non arriverà mai poiché torna a Parigi dopo nove mesi.

• 1844: la madre decide di dare inizio ad una procedura per la dotazione di un consiglio giudiziario che impedisca al figlio di dissipare l’eredità. Alla fine il tribu-nale nomina il notaio Ancelle tutore di Baudelaire.

• 1845: viene pubblicato il “Salon de 1845” e a maggio compare su una ri-vista “A une dame créole” che è la sua prima poesia. Primo tentativi di suicidio.

• 1847: esce “la Farfalo”. Charles inizia a leggere Poe. • 1849: Baudelaire diventa segretario di redazione di un giornale sociali-

sta moderato “La tribune nationale”. • 1850-1851: pubblica diverse poesie tra cui “Lesbos”, “L’Ideal”, “La mort

des artistes”. Nel ‘51 pubblica il poema “Du vin et du haschish”. • 1856: è l’anno fortunato in cui Charles trova l’editore per pubblicare il

suo capolavoro. • 1857: muore il generale Aupick. Il 25 giugno escono i “Fleurs du mal”. Subito la

raccolta viene incriminata per attentato contro la morale e vengono soppresse sei poesie.

• 1860: il 13 gennaio Baudelaire è colpito dal primo attacco celebrale. Alla fine di maggio escono i “Paradis artificiels”.

• 1861: viene pubblicata la seconda edizione dei “Fleurs du mal”. C’è un’altro ten-tativo di suicidio.

• 1864: Il 7 febbraio sul “Figaro” vengono pubblicati quattro poemetti sotto il no-me di “Le spleen de Paris”. In aprile il poeta si trasferisce a Bruxelles.

• 1866: è colpito da un ictus emiplegico che lo paralizza al lato destro.• 1867: lo stato di Charles peggiora e il 31 agosto muore. Il corpo è portato al cimi-

tero di Montparnasse accanto alla salma del generale Aupick.

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OPERE

FLEURS DU MAL (1857):

Nella versione definitiva del 1861 i “Fleurs du mal” comprendono 129 poemi. Tutti rin-tracciano l’itinerario spirituale di Baudelaire scervellato tra la tentazione del Male e l’aspirazione verso il Bene e l’Ideale. Nel cuore dell’uomo si libera la battaglia tra la car-ne e lo spirito, tra l’inferno e il cielo, tra Satana e Dio. Tutto questo provoca nel poeta un profondo disgusto nei confronti della vita, un sentimento di malinconia eccessiva che accentua l’angoscia del tempo. Baudelaire designa questo stato d’animo col nome di spleen. In inglese questo vocabolo indica la “milza”, organo responsabile, secondo la tradizione, di provocare la bile nera e la malinconia. Charles utilizza questo vocabo-lo in modo metaforico per tradur- re il suo disgusto che ha nei confronti della vita. Il tema del viaggio ritorna spesso nelle opere di Baudelaire. Il viaggio reale nutre i ri-cordi esotici e il viaggio immaginario fugge dall’orrore del mondo, per scappare dallo spleen. Se il viaggio immaginario risponde a tutti i desideri e a tutti i ricordi che fanno riferimento all’Ideale, questo è sempre una delusione. Lo schema seguente traduce l’oscillazione di Baudelaire tra il viaggio spirituale verso l’Ideale e la tentazione del viaggio definitivo verso la Morte:

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ASSOLUTO

Il viaggio artistico= comprendere il mondo attraverso le corrispondenze.

Bellezza e Ideale

Il sogno del viaggio= viaggio d’amore in un mondo ideale Lusso, calma e voluttà (cfr. “L’invitation au voyage”).

Ricordo del viaggio.

SPLEEN

Gusto e orrore in un mondo colpito dalla Noia.

Viaggio reale per fuggire -dalla patria (vedi personaggi maledetti);

-dall’esistenza (paradisi artificiali); -dall’amore (dandy).

Delusione:“Amer savoir celui qu’on tire du voyage. Une oasis d’horreur dans un désert d’ennui”.

MORTE- il grande viaggio: “Plonger au fond de l’Inconnu pour trover du nouveau”

- ella non dà alcun piacere ma può liberare il poeta dall’inferno tenebroso della noia.

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SPLEEN DE PARIS (1869):Lo “Spleen de Paris” è il titolo che oggi noi diamo ai cinquanta componimenti

pubblicati dopo la morte del poeta nel 1869 sotto il nome di “Petits poèmes en prose”. La raccolta è originale sia per la forma che per i contenuti. Prima di tutto Charles sepa-ra la poesia dalla forma versificata e libera il linguaggio poetico dai canoni tradiziona-li. La poesia risiede nello scontro delle parole, nella musica che si crea senza rime e senza nessun ritmo imposto

“Quel est celui de nous qui n’a pas, dans ses jours d’ambition, révé le miracle d’u-ne prose poétique, musicale sans rythme et sans rime, assez souple et assez heurtée pour s’adapter aux mouvements lyriques de l’àme, aux ondulations de la réverie, aux soubresauts de la conscience?” (Avant-Propos).

Baudelaire è uno dei primi poeti della società moderna, in particolare di Parigi. La società è la cornice in cui l’uomo oscilla tra l’alto e il basso, tra Dio e Satana, tra la speranza e l’angoscia. E’per questo che il tema della finestra e del vetro è simbolico nel-la raccolta: il vetro è chiusura e apertura, a volte è taglio per il rapporto con gli altri, al-tre volte è la soglia verso un’altro mondo.

FARFALO (1847):“La Farfalo” che Baudelaire definisce come un “roman”, fu pubblicato per la pri-

ma volta sul “Bulletin de la société des gens de lettres” nel gennaio 1847. Nel racconto il protagonista Samuel Cramer è un personaggio insensibile e asociale che in nessun momento si accorge della sua ridicolaggine e della sua assurdità. Egli è affogato nella poesia e non riesce ad uscirne per vederla e vedersi: è per questo che è un individuo co-mico. In questo romanzo le digressioni costituiscono la regola poiché si passa dall’eros all’arte culinaria, dall’architettura alla sessualità, dal maquillage alla bellezza.

PARADIS ARTIFICIELS:Il titolo che unisce in genere i tre saggi de “Paradis artificiels” comprendono oltre

al poema omonomo anche “Il poema dell’haschisc” e “Un mangiatore d’oppio”. C’è poi un’altro testo, il saggio “Del vino e dell’haschisc” che si fa solitamente rientrare nel se-condo componimento citato.

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ESSAI SUR LA LITTERATURE:Baudelaire scrive diversi articoli critici sui suoi contemporanei: Hugo, Gautier,

Moreau, Dupont, etc. Charles analizza inoltre alcuni salon, esposizioni di quadri, dicen-do che un quadro è buono e prezioso quando è fedele e pari al sogno che lo genera. Il problema della critica è la ricerca dell’equilibrio tra la fantasticheria e l’esattezza del giudizio. Tra i saggi sull’arte troviamo il “Salon de 1846” e il “Salon de 1859”.

MON COEUR MIS A NU:Inizialmente è intitolato “Fusées”, ovvero razzi, poiché Baudelaire vuole indurre

nel lettore uno choc estetico, presentandogli così un fuoco d’artificio di idee che com-paiono l’una accanto all’altra. Nel 1861 Charles cambia poi il titolo ispirandosi ad una frase di Poe. E’all’interno di questo componimento che si definisce il dandy, colui che resta indifferente di fronte alla verità e alle regole prefissate.

PREMESSA LETTERARIANe “Le Fleurs du mal” Baudelaire rompe la tradizione romantica della dotazione

dei poeti che fanno della raccolta una sorta di cronaca e nello stesso tempo una sempli-ce cronologia delle emozioni del cuore, rifiutando spesso la “deconnessione” formale del poeta, riaffermando la vita e la storia. Baudelaire appare guidato dalla sofferenza nei confronti della struttura delle opere, egli cerca di mettere un ordine, cerca di dare ad ogni parola un senso. Nel 1857 rispondendo ad alcuni accusatori egli dice che i “Fleurs” se si leggono nel loro insieme, con chiarezza, non sono un album ma un volu-me che ha un inizio e una fine. Egli insiste molto sull’insieme della sua opera poiché è convinto che nello stesso itinerario del libro, nell’ordine delle parti, si delinea una struttura unica. Lo scrittore esige dal lettore pazienza e rigore per capire l’architettura di questo libro “saturnino, orgiastico e malinconico”. Il taglio definitivo dell’opera in parti successive numerate da 1 a 6, crea un grande disequilibrio quantitativo: su 126 componimenti, 85 sono raggruppati sotto il titolo “Spleen et Idéal”. Questa insistenza a esplorare la dualità del suo essere, descrive tutti gli aspetti dell’homo duplex che è; si

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nota come Baudelaire vuole analizzarsi e capirsi prima di sperare e credere in qualco-sa. Si può immaginare quindi che questa introspezione mostri tutte le manifestazioni e tutti i sintomi della sua personalità. Inoltre l’artista accumula, prima con tentativi tera-peutici o d’esorcismo, poi in altri mille modi, aspetti e stati d’animo che lo rodono psi-cologicamente e moralmente.

Perciò questo catalogo di sofferenza e di speranza, di tristezza e di entusiasmo, ha la volontà di sistematizzare, in un conflitto evidente ed irrisolvibile, la pluralità del-le manifestazioni del male che nascono in un primo momento di raccoglimento e di presa di coscienza: “Spleen e Idéal” sono le due chiavi dell’intelligenza del dramma baudelairiano. Chiavi sufficienti poiché ognuno dei due concetti sposa nella sua unici-tà la diversità del malessere o della felicità che esso designa; sono però anche chiavi in-sufficienti perché mai l’idealità prende consistenza sulla sofferenza dello spleen e mai la sofferenza scoraggia definitivamente il sogno e la speranza.

HOMO DUPLEXL’”homo duplex” di Baudelaire non nasce dal caso o solamente dalla sua immagi-

nazione ma egli prova nella sua vita, e soprattutto nell’infanzia, diverse esperienze che colpiscono la sua personalità. Alcuni critici hanno studiato le ascendenze familiari del poeta, che egli stesso aveva incolpato delle proprie sventure, unitamente all’ambiente artistico parigino nel quale egli si formò: il padre era stato ordinato sacerdote prima della Rivoluzione e poi, durante la bufera, aveva abbandonato l’abito talare ed era so-pravvissuto al Terrore. Era un appassionato di pittura e suo figlio ,che lo conobbe appe-na, rispettava il suo gusto e le vaghe idee che gli aveva trasmesso. Successivamente la madre di Baudelaire si sposò con un ufficiale promettente, che raggiunse poi il grado di generale: Aupick. Charles fu geloso di questo patrigno e rimpianse gli anni felici in cui, fanciullo viziato, era più vicino alla madre. Baudelaire serbò rancore verso Aupick che era malcontento di quel giovane che impiegava male le sue qualità e il suo tempo e si rivelava prodigio, indisciplinato, ostinato a sviarsi e ad atteggiarsi da vittima. Gli psi-canalisti si sono affermati a dimostrare che Baudelaire era afflitto dal complesso di Edipo e a rivelare tutto ciò che poté esservi in lui di sessualità forse morbosa, di sadi-smo e di curiosità perversa. Un contributo particolare lo diede Sartre che ripete conti-nuamente che Baudelaire “n’est rien d’autre que sa vie”. Il filosofo esistenzialista accu-sa Charles di aver voluto la propria disgrazia, di aver goduto, da masochista, della pro-pria maledizione e ri- fiutando di scegliere la libertà secondo le regole esistenzialiste,

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di aver rispettato l’ordine, in senso borghese e Dio stesso, per assaporare il piacere di ribellarsi contro simili costrizioni. Baudelaire ha amato credersi perseguitato dal diavo-lo o addirittura da Dio ed ha preteso di essere messo al bando della società: insomma, ha voluto essere un fratello dell’infelice Poe. La sua grandezza sta nel fatto di aver co-nosciuto sofferenze atroci e di aver saputo divulgare alle persone che lo circondano questo malessere.

Analizzando il capolavoro di Baudelaire “Les fleurs du mal”, si può notare come siano presenti varie antinomie e alcune apparenti contraddizioni: troviamo lo Spleen contrapposto all’Idéal, Dio contrapposto a Satana, l’amore visto come forma di voluttà contrapposto all’amore visto come tristezza, il mondo in opposizione alla natura, il dandy che si differenzia dalla donna. Come vedremo, queste dualità non troveranno una sintesi che sia capace di riassumerli poiché in Baudelaire l’atteggiamento è così chiuso di fronte alla realtà che non si dà alcuna possibilità di fuga e di evoluzione. Non vi è, ne vi può essere, una via d’uscita. Il poeta odia la realtà preformata dell’epoca in cui vive, ne disprezza le tendenze, il progresso, il benessere, la libertà e l’uguaglianza, inorridisce dei suoi piaceri, odia tutto ciò che nella natura vive, nasce, diviene; odia l’amore in quanto “naturale”. A tutto ciò egli contrappone il disprezzo, che diventa più pungente quando la consapevolezza di non aver mai sperimentato di persona molte delle cose lo colpisce. Egli evoca la forza della fede e della trascendenza solamente se queste possono venire usate come armi o come simboli di maledizione contro la vita.

Cercherò ora di analizzare le antinomie che spesso si riscontrano leggendo le va-rie opere, soffermandomi soprattutto sulla questione religiosa che il poeta sviluppa, creando una religione propria, con- sona al suo stile e alla sua vita appunto “ambigua” che delinea gli opposti del bene e del male senza trovare qualcosa che li colleghi diret-tamente, evitando così una sintesi vera e propria.

SPLEEN E IDEALELo spleen baudeleriano ha diverse accezioni. Si definisce principalmente come

una profonda “depressione” di tutto l’essere: noia, angoscia, sofferenza, smarrimento, disperazione; come dei “pesi” che cadono su una coscienza estenuata e attonita. A que-sta malattia interiore corrispondono scene esteriori che riflettono il dramma: cieli sporchi, bruni e appassiti; notti nere e piogge interminabili. Ma lo stesso spleen non è solamente un fallimento psicologico che rafforza gli spettacoli terrificanti della natura: é an- che una corruzione dell’anima stessa, un sollievo satanico che rogna all’interno

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del cuore dell’uomo. Lo spleen possiede l’uomo e il creatore come il Demonio possiede la sua vittima, violentemente e implacabilmente.

Vediamo ora precisamente come Baudelaire parli dello spleen in una celebre poe-sia omonima che si trova nei “Fleurs du mal” nella seconda parte intitolata appunto “Spleen et Ideàl”.

Questa poesia è composta da un unico movimento che termina alla quarta strofa che però è strettamente collegata all’ultima quartina. Già dalla forma risulta evidente che si tratta di una poesia classica, in alessandrini, di lenta e ardua lettura. Ci sono di-verse allegorie evidenziate dall’utilizzo di lettere maiuscole (Esperance, Espoir, Angois-se); si notano inoltre varie forme retoriche di gusto classicheggiante: l’unità della com-posizione sintattica, la pesantezza del ritmo e delle forze retoriche contribuiscono a con- ferire alla poesia il carattere del sublime fosco, in perfetta corrispondenza con il contenuto, che esprime la più profonda disperazione. Le frasi temporali dipingono un giorno di pioggia, con nuvole basse e opprimenti, e rigurgitano di metafore che hanno carattere simbolico e che sono di un’efficacia tale da sembrar escludere qualsiasi possi-bilità di una vita più felice per chi si abbandona al loro influsso. Il “quand” temporale sembra perdere il suo significato ed è concepito quasi come una minaccia; si comincia a dubitare con il poeta se mai tornerà un giorno in cui il sole splenda; rinchiuso, il po-vero pipistrello-speranza ha perso ogni contatto con ciò che si trova al di sopra delle nubi. L’orrore senza speranza ha un suo posto nella tradizione letteraria: è una forma particolare del sublime. Come si nota, alla fine la Speranza rinuncia a cercare una via d’uscita e piange, mentre l’Angoscia pianta la sua bandiera nera (segno di vittoria) sul cranio reclinato: il vincitore pianta la bandiera sulla fortezza nemica conquistata; ma il vincitore è la paura, l’Angoscia che lascia al poeta la sua nullità. Il poeta ha perduto co-sì ogni dignità, non davanti a Dio, poiché quest’ultimo è assente, ma davanti alla pau-ra.

Quand le ciel bas et lourd pèse comme un couvercle . Sur l’esprit gémissant en proie aux longs ennuis,Et que de l’horizon embrassant tout le cercleIl nous verse un jour noir plus triste que les nuits;Quand la terre est changée en un cachot humide, Où l’Espérance, comme une chauve-souris, S’en va battant les murs de son aile timideEt se cognant la téte à des plafonds pourris;Quand la pluie étalent ses immenses traìnées D’une vaste prison imite les barreaux,

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Et qu’un peuple muet d’infames araignées Vient tendre ses filets au fond de nos cerveaux,Des cloches tout à coup sautent avec furie Et lancent vers le ciel un affreux hurlement, Ainsi que des esprits errants et sans patrie Qui se mettent à geindre opiniàtrement.-Et de longs corbillards, sans tambours ni musique, Défilent lentement dans mon àme; l’Espoir, Vaincu, pleure, et l’Angoisse atroce, despotique, Sur mon cràne incliné plante son drapeau noir.

Quando, come un coperchio, il cielo basso e greve schiaccia l’anima che geme nel suo tedio infinito, e in un unico cerchio stringendo l’orizzontefa del giorno una tristezza più nera della notte;quando la terra si muta in un’umida segreta dove sbatte la Speranza, timido pipistrello, con le ali contro i muri e con la testanel soffitto marcito;quando le strisce immense della pioggia sembrano le inferriate d’una vasta prigione e muto, ripugnante un popolo di ragni dentro i nostri cervelli dispone le sue reti,furiose ad un tratto esplodono campanee un urlo tremendo lanciano verso il cielo che fa pensare al gemere ostinato d’anime senza dimora.-Senza tamburi, senza musica, sfilano funerali a lungo, lentamente nel mio cuore: Speranza piange disfatta e Angoscia, dispotica e sinistra, va a piantarmi sul cranio la sua bandiera nera.

Consacrando 85 poemi su 128 dei “Fleurs du mal”, Baudelaire ha sufficientemen-te mostrato l’importanza essenziale di questo stato doloroso che è presente sia all’ini-zio che nella conclusione delle sue opere poetiche. Charles, al contrario dei romantici, sistematizza nel filone sentimentale i contrasti che dentro di lui si muovono in una op-posizione brutale: da una parte la forza di appesantirsi e fissarsi nello spleen; dall’al-tra, la speranza radiosa dell’ideale.

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Utilizzando una parola inglese che non ha una corrispondenza diretta con la sua lingua d’origine, Baudelaire ha voluto spiegare con un vocabolo unico il peso di tutta la disperazione e le malattie provate sia nel- la sua carne (corpo) che nella sua anima. Lo spleen si caratterizza in effetti da alcune sensazioni di oppressione, di soffocamen-to, di stanchezza. Ma questa insoddisfazione dei sensi conduce velocemente ad una for-ma di malattia più dannosa: è la noia, il “guignon” (scalogna, iella), il sentimento op-primente della mediocrità inesorabile del quotidiano che pesa sul genio; l’anestesia o la trappola che rovina le sue esperienze e paralizza la sua capacità. Peggio ancora, co-me scrive Georges Blin, lo spleen è dato “dal capriccio dei nervi della malattia metafisi-ca”. Per il Baudelaire mistico, lo spleen è la traccia, all’interno del cuore stesso dell’es-sere umano, del peccato originale. E’il marchio dell’infamia di Satana, lo sbaglio per eccellenza; e questa fatalità del male che colpisce l’uomo, come sostiene lo stesso poe-ta, è la più atroce da sopportare.

Come lo spleen si definiva molto concretamente con una serie di segni o di “sinto-mi”, così il suo opposto, l’Ideale, non può non essere rappresentato sotto forma di im-magine fuggitiva. Sicuramente, co- me lo spleen, l’ideale ha i suoi quadri e i suoi pae-saggi: è la luce radiosa che rischiara l’oscurità malsana; è la profondità dello spazio che si sostituisce al limite inquietante; è la luce e la ricchezza che dissipa la mediocrità e la bruttezza. Ma tutto ciò non costituisce un mondo propriamente sensibile. L’ideale è molto più di un sogno e di una speranza; è la sfera astratta elaborata dalle idee pure e dalle aspirazioni innocenti che si chiamano Bellezza, Purezza,Virtù. “Questo mon-do”,scrive Baudelaire “di belle sensazioni, di giornate splendide, di minuti deliziosi non ha mai altra consistenza che quella delle parole e dei versi che la raccontano”. La sua fragilità è turbata soprattutto dal fatto che a lui non è stata donata la vita eterna. Il tempo, che d’altro canto rode la vita, distende il quotidiano e prolunga lo spleen. Peno-samente strappati allo spessore delle cose, i frammenti di sogni, gli istanti di ideali e di assoluto, falliscono implacabilmente lasciando il poeta in uno stato più pietoso, poiché la nostalgia si aggiunge alla frustrazione.

Così, la dualità spleen-ideale è assoluta e la lotta è permanente. Se prendiamo l’opera completa dei “Fleurs du mal” o solo la prima parte, non si discerne mai in Bau-delaire il più piccolo movimento dialettico. La sistematizzazione manichea del suo dramma non conduce a nessuna conciliazione delle due postulazioni contraddittorie. Continuamente la raccolta oppone la liberazione alla schiavitù, la caduta del- l’esalta-zione, senza che si delinei una soluzione a questo conflitto fondamentalmente tragico oltre che irriducibile. Come ha scritto giustamente Hugo Friedrich “I fiori del male si presentano come un campo di irrisolte tensioni dinamiche”. E il libro vive di queste

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tensioni e di queste irrisoluzioni, si nutre della visione ciclica delle contraddizioni e del-le lacerazioni che il linguaggio qualche volta ravviva e altre volte placa. Baudelaire co-nosce perfettamente l’inesorabile impresa di questa fatalità dei contrari. Inesorabile perché essa oppone in realtà l’essere a lui stesso, i desideri ai suoi desideri, le azioni al-le sue azioni. Gli anziani avevano già evocato questa grave tragedia nel mito di “Héau-tontimorouménos”. Il poema di Charles non può che ripetere, con un’amara grinta, la stessa tortura: “Je suis la plaie et le couteau! Je suis le soufflet et la joue! Je suis les membres et la roue, et la victime et le bourreau!”.

UN ESSERE STRAZIATOIn tutte le sue opere Baudelaire si descrive come un uomo duplice, come un esse-

re straziato tra le due postulazioni contraddittorie del vizio e dell’ideale, del male e del bene, di Satana e di Dio. Come l’albatro si sente alienato dal mondo intriso di meschi-nità e di piccolezze:

“Le poète est semblable au prince des nuées Qui hante la tempéte et se rit de l’archer; Exilé sur le sol au milieu des huées,Ses ailes de géant l’empéchent de marcher.

Il poeta è come lui, principe delle nubi che sta con l’uragano e ride degli arcieri; esule in terra fra gli scherni, non lo lasciano camminare le sue ali da gigante.

Baudelaire esprime molto bene la sua collera verso il mondo in cui vive: un mon-do che odia per- ché non gli appartiene, un mondo che non ha nessun legame con lui, con la sua vita e la sua personalità. In un poemetto contenuto ne “le spleen de Paris” intitolato “Any where out of the world” (Ovunque fuori dal mondo) scrive che:

“Questa vita è un ospedale nel quale ogni malato è preso dal desiderio di mutar letto.(...) Mi pare che sta- rei sempre bene dove non sono; senza posa discuto questo problema del trasloco con la mia anima.(...) La mia anima non risponde e rimane mu-ta.(...) Finalmente l’anima mia scoppia e saviamente mi grida: Dove che sia! Purché fuori da questo mondo!”.

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Il suo stesso genio, inadatto alla bassezza della realtà materiale, lo designa nella vendetta “popolare”. Come si può allora sfuggire da ciò? La poesia “Elevation” indica perfettamente il senso di tensione e di sforzo dello spirito eroico baudeleriano: si disto-glie dai “miasmes morbides” della realtà per darsi all’esperienza mistica di una idealità pura e riconfortante:

Envole-toi bien loin de ces miasmes morbides; Va te purifier dans l’air supérieur,Et bois, comme une pure et divine liqueur,Le feu clair qui remplit les espaces limpides.

Via, via dall’insidioso fetore!Và a purificarti nell’aria superiore, bevi l’ardente nettare che colma gli spazi trasparenti puro.

Rinunciando al corpo e alla materialità, liberandosi dai pesi procurati dalla car-ne, lo spirito può accedere alla sfera della pienezza e dell’armonia dove tutto è intelli-genza e poesia. “Elevation” è innanzi- tutto una professione di pazzia fervente, non un verbale di riuscita; è una crisi dovuta alla speranza di po- ter possedere una pienezza eterna.

Baudelaire quindi ama considerarsi come un “angelo decaduto” che attraversa il fango dell’esistenza, guarda alle future tenebre, al silenzio eterno entro cui si spegne-rà; tuttavia non rinuncia ad invischiarsi dolorosamente nella vita, con una libertà intel-lettuale e creativa ed un impegno totale che potrebbero sembrare crudeli se non fosse-ro il segno dell’umano soffrire. A questa sofferenza Baudelaire ritorna fedelmente, per ritrovare la poesia, malgrado i suoi disgusti e le sue nausee, dopo ogni tentativo di eva-sione, sia pure esso il supremo: quello che si affida all’immagine del “vecchio capita-no”, la Morte, che lo guiderà sul mare dell’ignoto. E’proprio con la morte, che com-prende la quinta parte dei “Fleurs”, che troviamo i principali poemi consacrati ad un tema che è base portante di tutta la raccolta. Evocando spesso, con alcuni termini che hanno potuto far parlare di un “cristianesimo baudeleriano”, l’aldilà come una sorta di paradiso eterno dove verranno vendicate le umiliazioni e curate le ferite umane, il poe-ta sogna la morte in diversi modi e situazioni. Al centro dell’ultima parte della raccolta del 1857 troviamo un trittico significante che comprende la “Morts des amants”, la “Morts des pauvres” e la “Morts des artistes”. Baudelaire, l’amante volubile e tradito, il

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povero e il bohème, immagina l’aldilà come un “antimonde”, un posto dove i doni ter-reni sono ribaltati, dove la fedeltà e l’unione rimpiazzeranno il tradimento e il divor-zio, dove il lusso e la gloria faranno dimenticare la miseria e la pochezza del presente. Nella poesia “La Morts des artistes” egli scrive:

Nous userons notre àme en de subtils complots, Et nous démolirons mainte lourde armature,Avant de contempler la grande CréatureDont l’infernal désir nous remplit de sanglots!Il en est qui jamais n’ont connu leur Idole,Et ces sculpteurs damnés et marqués d’un affront, Qui vont se martelant la poitrine et le front,N’ont qu’un espoir, étrange et sombre Capitole! C’est que la Mort, planant comme un soleil nouveau, Fera s’épanouir les fleurs de leur cerveau!

Consumeremo in complotti sottili il cuore e sfasceremo più d’una salda corazzaprima di contemplare la grande Creaturala cui brama infernale nel pianto ci sprofonda! E coloro cui l’Idolo resta per sempre ignoto, scultori maledetti, segnati da un’oltraggio,sul petto e sulla fronte si daranno il martello, con la sola speranza, oscuro e strano alloro!, che la Morte, levandosi come un sole novello, faccia sbocciare in loro i fiori del cervello!.

Si nota qui la lotta dell’artista per qualcosa di assoluto: un’aspirazione, alterata da un’amara sfiducia, all’archetipo in senso platonico e neoplatonico. Questo archeti-po prima è chiamato “la grande creatura” ed è definito poi “loro Idolo”. Coloro che non riescono mai a vedere il loro idolo, sono maledetti e disonorati (“damnés et marqués d’un affront”). Ora col degradare l’aspirazione, la meta stessa viene meno e si allonta-na dalla visuale del poeta. Nella poesia sopra citata alla fine si risale decisamente verso l’alto, sembra che emerga una speranza, la morte “planant comme un soleil nouveau”. Questo dice come al culmine della visione che talvolta può venire concessa al vivente “in excessus mentis”, sta la vista di Dio nella gloria che nulla può sottrarre all’anima salvata. Ma dove è la Speranza? Come può il Nulla essere il nuovo sole che fa sbocciare

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i fiori? In tutta l’opera di Baudelaire non troviamo nessuna risposta precisa a questo riguardo! La Morte, il nostro capitano, è per il Nostro oggetto di un desiderato deside-rio e nello stesso tempo di beffardo disprezzo. Come realtà trascendente esso non è niente, anzi peggio di niente: un Nulla, che con il suo essere nulla schernisce e degrada colui che tende verso di lui nel disperato tentativo di raggiungerlo.

E’proprio di fronte alla morte che, secondo Baudelaire, l’uomo è costretto a “sce-gliere”. Anche la

scelta è duplice poiché entra in gioco il contrasto Dio-Satana, scelta tra il bene e il male. Come vedremo anche in campo religioso il nostro autore estremizza gli oppo-sti escludendo ogni compromesso tra i due. Secondo il poeta l’uomo può cercare di giungere a Dio solo attraverso un tipo di preghiera che egli identifica col lavoro quoti-diano e continuo. Come accennerò poi si noterà che l’uomo può diventare Dio attraver-so l’uso di sostanze stupefacenti che però giocano solamente sull’identità interna del poeta e che poi, quando finiscono le illusioni, resta in uno stato di depressione e di soli-tudine totale.

DIO-SATANAPer comprendere il tema religioso affrontato dal poeta ottocentesco, bisogna in-

nanzitutto capire in che modo egli si accosta alla religione cristiana e alle altre religio-ni che con essa “convivono”. Vedremo quindi che cosa Baudelaire riprende e rifiuta del manicheismo, del cristianesimo e dello gnosticismo.

Universo religioso:

Molti critici hanno notato l’aspirazione paradossale di Baudelaire ad assomiglia-re ad un animale o ad un mostro. Troviamo qualche accenno ad esempio nelle poesie “Obsession”, ”Le gouffre”, “Le goùt du néant”, “L’examen de minuit”. In esse troviamo la presenza di imprecazioni e di insulti di uno spirito scoraggiato dall’eccesso stesso della ambizione. Ma non si può capire la poesia di Baudelaire solo in un uni- verso pu-ramente estetico. La sua poesia è metafisica e religiosa. Là dove iniziano le difficoltà bisogna cercare di precisare la natura di questa religione, cercando di definire il Dio creato dal poeta. Non si deve giungere ad una certezza completa perché nei “Fleurs du mal” sono presenti varie ambiguità, diverse complessità, molte contraddizioni che pos-

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sono oscurare la personalità e le ideologie del poeta. Sarà imprudente generalizzare su-bito a partire da singole affermazioni poiché il Nostro è spesso paradossale, consape-volmente violento e sarcastico. Egli ama scandalizzare!. Reagisce con esasperazione co-me conferma la frase esplicitata in “Sainte-Beuve” là dove si dice: “Sapete che io posso diventare devoto grazie a delle contraddizioni, ma allo stesso modo per diventare em-pio è sufficiente mettermi in contatto con un curato perverso”. Le sue anime sono am-piamente determinanti così da delineare uno spirito mai sottomesso e neppure confor-mista. I dibattiti riguardanti la religione di Baudelaire girano attorno a due questioni:

- il poeta è stato cristiano?

- la sua visione del mondo tende all’unità o ad un dualismo irriducibile?

Cercheremo una risposta confrontando il pensiero del poeta con tre dottrine: il cristianesimo, il gnosticismo e il manicheismo.

Baudelaire Cristiano:

Il problema del cristianesimo dei “Fleurs du mal” si è posto già nel periodo della pubblicazione del libro e ha diviso la critica cattolica: il conformista Verillot crea scan-dalo poiché riconosce un talento innato in Baudelaire che però è usato dal poeta per denunciare una delle forme di perversione di quel periodo: il contrasto dello spirito po-sto in un mondo difficile da capire ed interpretare. Il critico sopracitato alla morte del poeta scrive: “Come molti altri, è stato nella sua vita e nelle sue opere lo zimbello dei contrasti del suo spirito”. Al contrario Barbey d’Aurevilly trova nel capolavoro di Bau-delaire un cattolicesimo molto forte, l’antidoto contro il fariseismo che lui stesso rifiu-tava. La portata metafisica del libro è opposta al piacere puro dello sfogo individuale e del lirismo romantico. Più vicino a noi sono stati presi in considerazione da Jean Mas-sim due temi presenti nella raccolta: innanzitutto la carità:

“Soyez béni, mon Dieu, qui donnez la souffrancecomme un divin remède à nos impurités” (Bénédiction)

successivamente l’attitudine di Baudelaire davanti al dolore: “Je sais que la douleur est la noblesse unique

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où ne mordront jamais la terre et les enfers” (Bénédiction).

Questa idea di un dolore rigeneratore, che ha un senso, non può spiegarsi se no in un contesto cristiano. Baudelaire non ha mai sottolineato la sua adesione al cattoli-cesimo ma la madre accenna alla sua passione verso quella dottrina. Il suo cattolicesi-mo si rifà più a Joseph de Maistre che al vangelo e ai padri della chiesa. Egli è molto sospettato quando afferma che Dio è utile anche se non esistesse, essendo egli il sup-porto necessario dell’ordine sociale e di altri argomenti reazionari. Baudelaire, in que-sto senso, è più clericale che cristiano convinto. Questo “cattolicesimo teorico” si fon-da su motivazioni negative poiché il poeta è spaventato dalle ideologie del suo secolo e pensa che il cattolicesimo sia un’arma per combattere la fede, la scienza, la democra-zia, all’interno del progresso.

Baudelaire Manicheo:

Nel suo capolavoro il poeta si mette alla ricerca dell’unità del mondo, all’inizio con l’adesione alla scuola pagana che via via rifiuta. Successivamente si fa attrarre dal-la corrente neoplatonica di Louis Ménard e di Lisle. E’sedotto dalla visione platonica del mondo e dall’idea che, come vedremo nel componi- mento “Correspondances”, al di là della discontinuità delle nostre sensazioni, c’è una unità divina. Se il male corri-sponde all’unità perduta, l’ossessione del male traduce negativamente la permanenza della sperata unità, come del resto dallo spleen si passa all’ideale che senza il primo non può esistere. Il male è per il poeta una tesi fondamentalmente dualistica, non sola-mente un’ipotesi teorica, ma in qualche modo anche spontanea. Ci sono due infiniti, il cielo e l’inferno tra loro opposti e contrastanti. Satana diventa uguale a Dio, la materia è parte del male, e la creazione appare come un’opera compiuta da Satana. Tra lo spiri-to e la materia non c’è nessun legame, e in questa prospettiva manichea il dogma cri-stiano dell’incarnazione appare assurda, come allo stesso modo la redenzione poiché questo mondo non può essere riscattato. Se Baudelaire nei “Fleurs du mal” non ci dice chi ha creato il mondo, al contrario è convinto che è Sa- tana a governarlo. Satana è de-finito come “trismegiste” ovvero il tre volte grande, l’essere perfetto. Nella poesia “L’ir-rimediable” egli dice chiaramente che tutto diventa logico in questo mondo meschino che sempre fa riferimento a Satana. Si accenna anche al tema delle bestemmie, tema che delinea l’impotenza di Dio. Baudelaire riprende la credenza musulmana secondo cui è impossibile dire che Gesù sia morto sulla croce poiché questo significherebbe che

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Dio sia caduto nello sbaglio e nel fallimento. Ma precisa- mente in questo mondo Dio è un fallito rispetto a Satana che regna e padroneggia come un tiranno. Gesù ha quindi sbagliato e san Pietro ha avuto ragione a rinnegarlo (cfr. “Il tradimento di san Pietro”). Se Dio fosse veramente presente in questo mondo i buoni sarebbero effettivamente ri-compensati e i peccatori pu- niti, come vuole la tradizione biblica e puritana.

Baudelaire Gnostico:

Baudelaire è un poeta lucido e cosciente sul fatto che egli segua alcuni dogmi pre-fissati. Gli gnostici hanno saputo amalgamare insieme al cristianesimo le tradizioni pa-gane e il platonismo. Le loro dottrine erano spesso esoteriche come ad esempio ciò che è illuso nel suo aristocraticismo si fonda sulla tesi della caduta: all’inizio è una dottrina spirituale che però sprofonda poiché il mondo stesso profonda nella materia, parago-nata al male e al peccato. In quest’ottica si spiega benissimo lo spleen, il rifiuto del vi-vere, il disgusto della carne che sono tematiche molto presenti nelle sue opere. Secon-do la visione gnostica Baudelaire si può quindi considerare molto religioso, magari an-che cristiano, ma di un cristianesimo molto eretico.

Molti considerano Baudelaire come un pazzo poiché nelle sue poesie cantava l’im-purità e la corruzione del mondo e della divinità. Altri invece, tra cui il Vernillo, non si fermarono alla sola apparenza delle opere ma videro il poeta come un uomo “immerso nel fango che cerca di parlare come un dannato verso il cielo”. Questi ultimi vedevano nelle ricorrenti imprecazioni rivolte al cielo un amore capovolto, come una sorta di te-stimonianza. Baudelaire a solo quattordici anni scrive “Recueillement” in cui si rivolge a Dio, quale suo unico rifugio e si rivolge a lui con assoluta disperazione:...je n’aime que le ciel...consolez mon àme de la terre.

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DALLA RELIGIONE AL DANDY

Baudelaire mette in crisi la religione ma non fa tabula rasa. La contraddizione re-sta il principio vitale in cui s’anima la sostanza del suo pensiero. “Pur se Dio non esi-stesse, la religione sarebbe santa e divina”. “Dio è l’essere confidente in questa trage-dia di cui ognuno è l’eroe”. Questo eroe che è l’uomo, ognuno di noi, ha bisogno del-l’amore per uscire da se stesso. Baudelaire introduce il concetto dell’amore come pro-stituzione chiedendosi cosa effettivamente sia l’amore. Secondo lui esso è “il bisogno di uscire da se stessi. L’uomo è un animale adoratore. Adorare è sacrificarsi e prosti-tuirsi. Così l’amore è sempre prostituzione. L’essere più prostituito è l’essere per eccel-lenza, perché per ogni individuo Egli è l’amico supremo, perché è la riserva comune, inesauribile dell’amore”.

Subito dopo questa definizione ecco che arriva il razzo, “la fusée”, che illumina Dio e la religione: “Dio è uno scandalo. Uno scandalo che frutta!”. Quest’ultima è la lu-ce che investe e accende il cervello del poeta. E’la storia di un momento dato dalla crisi del cervello che dà scintille e folgorazioni. E’in questo mo- mento ch’egli protegge se stesso e il suo desiderio di sopravvivere. Baudelaire, in quanto poeta, ha la missione di annunziare e descrivere la realtà che può essere difesa ma molte volte anche rifiutata. La lettera- tura non può voltare le spalle ai vizi, alla crudeltà, alla ferocia dell’uomo, al piacere: è in questa condizione che la verità ha il diritto di sopravvivere. Il poeta esalta la “vita selvaggia” contrapponendola alla “vita naturale” ovvero di quella natura uma-na civilizzata e moderna.

“L’uomo civile inventa la filosofia del progresso per consolarsi della sua abdica-zione e della sua decadenza; mentre l’uomo selvaggio, sposo temuto e rispettato, guer-riero costretto al coraggio personale, poeta nelle ore malinconiche in cui il sole decli-nante invita a cantare il passato e gli antenati, sfiora assai più i confini dell’ideale. Qua-le lacuna oseremo rimproverargli? Ha il sacerdote, ha lo stregone e il medico. Che di-co? Ha il dandy, suprema incarnazione dell’idea del bello trasportata nella vita mate-riale, colui che detta la forma e le maniere”.

Il selvaggio di Baudelaire è l’incarnazione in senso positivo di ciò che il civilizzato non è: è proprio da quel “non essere” che egli riceve tutte le virtù. Per il civile c’è l’oro, per il selvaggio c’è il sangue. Per l’uomo civilizzato è importante adorare Mammona at-traverso il commercio; per l’uomo selvaggio il commercio è prostituzione in quanto bi-

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sogna rendere di più di quanto si dà. Il commercio per il dandy è satanico poiché è una forma di egoismo molto vile.

Alla vita che conduce il poeta ha dato un nome preciso: bohémianisme. Ma egli è solo in apparenza un bohemien poiché, in alcune situazioni, capiterà di andare più in basso, trasformandosi così in dandy. Léon Cladel descrive così il dandy: “Sempre mol-to educato, molto altiero e molto untuoso nello stesso tempo, vi era in lui del monaco, del soldato e del mondano(...). Era elegante, un po' manierato, circospetto, timido e cri-tico all’unisono”. Dandy è colui che ha mania della “théorie de l’étonnement”, cioè del-la teoria della meraviglia, che non è solo bizzarria stravagante ma è un vero e proprio programma di vita. La regola principale da seguire è questa: solo il Bello deve essere legge. Lo scopo del dandy è la distinzione in tutti i campi e in tutte le situazioni. Egli toglie all’amore il suo carattere di “ripugnante utilità” per farlo diventare un “capriccio bruciante o sognante”. Il suicidio è il solo sacramento della religione del dandysmo: Sa-tana è il dandy per eccellenza. Per Baudelaire ci sono al mondo solo tre esseri rispetta-bili e degni di essere ascoltati: il prete, il guerriero e il poeta, ovvero il sapere, l’uccide-re e il creare. Tipico dandy creato dal poeta che potrebbe essere definito come suo al-ter-ego, è Samuel Cramer, protagonista del racconto “La Farfalo”. Samuel è nello stes-so tempo “un fannullone, un ambizioso triste e illustre disgraziato perché non ha avu-to nulla nella vita che mezze idee”. Il poeta, e quindi anche il dandy, ha nostalgia, una doppia nostalgia: nostalgia di Dio e allo stesso tempo nostalgia del Bello. La seconda indica il ricordo dello straordinario, dello stravagante, di tutto ciò che ci allontana e trascende dalla vita quotidiana. Il dandysmo per Baudelaire è spesso visto come un bi-sogno per evadere, una necessità per illudere se stesso, una ferocia volontà di differen-ziarsi dagli altri. Due esempi tipici di questa evasione sono l’amore l’uso di stupefacen-ti.

L’AMOREPer discutere di questo tema il bohemien utilizza diversi toni e ispirazioni: c’è il

rimprovero, il ri- morso, la collera, la malinconia, etc. Baudelaire riprende l’amore ro-mantico che vede nella donna una sorta di angelo. La novità e l’originalità del poeta ot-tocentesco sta nel fatto di immaginare non solo visivamente la donna ma anche con gli altri sensi, primo tra tutti l’olfatto. La classica immagine dei capelli- foreste è rinnova-ta e ampliata fino all’eccesso con l’utilizzo di aggettivi tipo “aromatique”, ”odoreux”, etc. Ma cosa è precisamente l’amore per Baudelaire? Egli dice che “L’amore vuole usci-

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re fuori di se, con- fondersi con la sua vittima(...) e tuttavia conservare i privilegi del conquistatore”. Da questa definizione si comprende come l’amore sia visto in modo ne-gativo che provoca conflitti e dolori. Più volte nell’opera “Mon coeur mis a nu” il poeta dice che:

“L’amore somiglia tanto a una tortura o ad una operazione chirurgica.(...) Quan-d’anche i due amanti fossero innamoratissimi e ricolmi di reciproco desiderio, uno dei due sarà sempre più calmo o meno posseduto dall’altro. Quello o quella è il chirurgo o il carnefice; l’altro è l’assoggettato, la vittima”. L’amore è quindi un gioco dove bisogna che uno dei due giocatori perda il dominio di se stesso. Baudelaire dice che “la voluttà unica e suprema dell’amore consiste nella certezza di fare il male”. L’amore è dunque diabolico in quanto crea il male. Il poeta su questo tema scrive addirittura un piccolo saggio raccolto nei “Saggi estravaganti” intitolato “Scelta di massime consolanti sul-l’amore”. La donna , simbolo del peccato, diventa oggetto insieme di culto e di esecra-zione. L’adorazione della donna si confonde con una ossessiva forma di misoginismo, che ha una ragione ora tragica ora satirica. La donna è vicina alla natura ed è quindi abominevole; ella è sempre volgare e quindi in opposizione al dandy, simbolo di lotta estetica della natura. La donna fa orrore perché è legata ai propri bisogni e perché non sa separare l’anima dal corpo. Comunque l’uomo prova una sorta di attrazione verso il male e Satana, il quale lo convince che l’amore sia allo stesso tempo “Ange gardien, la Muse et la Madone” cioè Madonna, Angelo e Musa.

Dall’amore ai Paradisi

Il destino di Baudelaire è il destino di un uomo solo: ciò traspare molto nei suoi componimenti. Fin dal- l’infanzia il poeta aveva provato il senso di questo destino e in-sieme un amore molto vivo della vita e del piacere. Ma, nella sua attività, la solitudine diventa conseguenza inevitabile di una rottura profonda e di una protesta contro la so-cietà. Secondo Baudelaire l’uomo di genio vuole essere solitario. In un’esistenza esalta-ta nella solitudine e aperta al sogno, agli incubi, alle sofferenze, l’immaginazione può liberarsi in un’infinità di modi attraverso i simboli e i rumori che permettono di rag-giungere così un nuovo senso del tempo e dello spazio. Secondo il bohémien i “fenome-ni sovrannaturali, quali le apparizioni di fantasmi, di spettri et, come manifestazione della volontà divina, attenta a risvegliare nello spirito dell’uomo il ricordo delle realtà invisibili”. Era dunque prevedibile che quest’uomo solo, cercatore d’infinito e umiliato dal quotidiano dovesse sperimentare su di sè la droga, con spirito di poeta e con spiri-

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to tecnico, come se si trattasse di un problema d’importanza vitale e che investiva an-che l’intelletto e la morale.

PARADISI ARTIFICIALILa droga non è un surrogato dell’amore, ma qualcosa che dà ciò che l’amore non

può dare. E’un paradiso conquistato senza il bisogno dell’altro, dove non c’è nessun carnefice e nessuna vittima. Nel saggio del 1851 “Du vin et du haschish” Baudelaire condanna l’hascisc in quanto i suoi effetti non sono produttivi poiché “scimmiottava gli stati artistici, li copiava; non era solo un mezzo per pervenire all’arte ma un doppio-ne illusionistico di esso”. Nel 1859 con “Les paradis artificiels” prende spunto dalle Confession of an English opium-eater di Thomas De Quincey non limitandosi solamen-te a tradurre, ma aggiungendo molte note personali, soprattutto di carattere morale per il suo lavoro. Il saggio sull’hascisc del 1851, e anche in quello molto più lavorato del 1859, Baudelaire crea una mimesi tra scrittura e gli effetti delle sostanze analizza-te: nell’architettura generale e nei dettagli l’opera è specchio fedele dell’azione sotterra-nea dell’oppio.

Anche sul discorso riguardo al vino e all’hascisc il bohémien crea dei dualismi che recuperano la corrispondenza tra il bene e il male, tra Dio e Satana. Il vino, ad esempio, è paragonato all’uomo in quanto è un miscuglio di bene e di male dove non si può mai sapere quale dei due prevalga e fino a che punto quindi si deve amare o di-sprezzare sia il liquore, sia l’essere umano. Il vino come Gesù Cristo “tutti i giorni ripe-te le sue opere buone” Questo spiega l’accanimento del poeta contro i moralisti, i cosid-detti “sepolcri imbiancati”. Considerando tutto ciò Baudelaire non bandisce il vino in quanto rende buoni e socievoli. Per Charles “L’uomo e il vino sono il Padre e il Figlio della Santissima Trinità: dalla loro unione si genera lo Spirito Santo, il superuomo feli-ce perché ha bevuto questo nettare”.

Per ciò che riguarda l’hascisc il poeta cerca di creare un’opera di morale. Egli spe-rimentò su di sé questa sostanza senza abituarsi o accusare fenomeni tossici. Charles non apprezza la droga e la considera antisociale, causa di isolamento. Nei “Paradis arti-ficiels” il poeta cerca di ricreare la filosofia usata nel suo capolavoro, muovendosi così sul piano metafisico, tanto da superare il mezzo delle droghe, e parla di tutto ciò che è in grado di togliere l’uomo dalla sua condizione normale. Baudelaire dice: “L’uomo ha voluto creare il paradiso con la farmacia(...) e tra le droghe, le più adatte a creare l’idea-le artificiale sono l'hascisc e l’oppio”. Il terzo capitolo de “Poème du haschish” è intito-

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lato “Il teatro di Sésaphin” nel quale si esibivano ombre cinesi e marionette, paragona-te da Baudelaire alle visioni provocate dall’ebbrezza del vino e delle droghe. Tutto il poema condanna l’uomo che “ha creato l’ebbrezza in queste sostanze, perché ha voluto fare l’angelo, diventando però bestia”. L’uomo che fa uso di haschish pecca di superbia poiché arriva al parossismo di ritenersi “divenuto Dio”. Baudelaire però condanna sia il peccato sia la droga che lo ha provocato.

C’è però anche in quest’opera una contraddizione data dal fatto che nel 1851 il poeta aveva attribuito il dono dell’ebbrezza a Dio stesso mentre nel 1859 lo considera uno stato dedicato a Satana e responsabilizza l’uomo che si fa irretire. Nessun critico riesce a risolvere questo caso ma comunque molti sono concordi nel dire che Baudelai-re non si allieta di fronte allo spettacolo del male, ma è molto coraggioso (e forse sta qui la sua grandezza) poiché guarda il vizio in faccia e lo affronta come un nemico che conosce molto bene.

CORRISPONDENZETutta la poetica e la filosofia di Baudelaire si potrebbe riassumere con la frase

che lui stesso scrive nel “Mon coeur mis a nu”:“In ogni uomo ci sono, ad ogni istante, due postulazioni: l’una verso Dio, l’altra

verso Satana. L’invocazione a Dio, o spiritualità, è un desiderio di salire di grado; quel-la a Satana, o animalità, è una gioia del discendere”.

Da una parte l’uomo è attratto dall’ideale, dall’altra è attratta dal male impersoni-ficato nella natura. Tra queste due realtà si viene a creare un legame, una corrispon-denza: la visione di spettacoli creati dalla na- tura sono pari alle visioni del cielo. Bau-delaire nel suo saggio su Poe scrive:

“..La sete di tutto ciò che è nell’aldilà e che rivela la vita, è la prova più evidente della nostra immortalità. E’nel contempo con la poesia e attraverso la poesia, con e at-traverso la musica che l’anima intravede gli splendori posti al di là della tomba”.Con questo discorso il poeta vuol fare capire il fine dell’artista che è simile a quello di un traduttore o di un decifratore della realtà. Ne “Correspondances” la Natura diventa una foresta di simboli, le sensazioni perdono la loro univocità e la sensazione olfattiva ha una corrispondenza tattile (“freschi come carni di bimbo”) o visiva (“verdi come praterie”).

Possiamo ora analizzare la poesia:

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La Nature est un temple où de vivants piliers Laissent parfois sortir de confuses paroles; L’homme y passe à travers des foréts de symboles Qui l’observent avec des regards familiers.Comme de longs échos qui de loin se confondent Dans une ténébreuse et profonde unité,Vaste comme la nuit et comme la clarté,Les parfums, les couleurs et les sons se répondent.Il est des parfums frais comme des chairs d’enfants, Doux comme les hautbois, vert comme les prairies, -Et d’autres, corrompus, riches et triomphants,Ayant l’expansion des choses infinies,Comme l’arbre, la musc, le benjoin et l’encens, Qui chantent les transports de l’esprit et des sens.

E’un tempio la Natura, dove a volte parole escono confuse da viventi pilastri;e l’uomo l’attraversa tra foreste di simboli che gli lanciano occhiate familiari.Come echi che a lungo e da lontano tendono a un’unità profonda e oscura,vasta come le tenebre o la luce,i profumi, i colori e i suoni si rispondono.Profumi freschi come la carne di un bambino, dolci come l’oboe, verdi come i prati-e altri d’una corrotta, trionfante ricchezza,con tutta l’espansione delle cose infinite: l’ambra e il muschio, l’incenso e il benzonio, che cantavano i trasporti della mente e dei sensi.

Come si nota già dai primi tre versi la Natura, come un tempio, è il luogo dove l’uomo entra in comunicazione con Dio: le colonne di questo tempio sono gli alberi e tutti gli odori, i colori e i suoni pre- senti in esso e che lo circondano. Questo componi-mento offre la chiave di lettura di tutta la raccolta dei “Fleurs du mal”: dopo aver osser-vato il mondo, si nota la realtà frammentata, sparsa, priva di unità. Grazie alla parola e al linguaggio, e in particolare grazie alla metafora, il poeta può e riesce a stabilire del-le corrispondenze tra elementi differenti della realtà. Il componimento ha una forma e un senso rettilineo: nella prima quartina la Natura è rappresentata come uno spazio

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misterioso pieno di simboli che l’uomo non riesce a decifrare. Per Baudelaire non ci so-no altro che “confuses paroles”. Nella seconda quartina si giunge a dire che l’unità esi-ste ma è “profonda e tenebrosa”. Proprio grazie a questa unità i profumi, i co- lori e i suoni sono tra loro in rapporto diretto. Nella terza strofa Baudelaire illustra degli esempi di corrispondenze: esistono “corrispondenze orizzontali” poiché si possono as-sociare profumi (olfatto) a carni di bambino (tatto), ad oboi (udito), a delle praterie (vi-sta) perché tra loro esiste una qualità in comune (frais, doux, vert). Nell’ultima terzina si associa il profumo ad una dimensione più astratta e spirituale. Queste sono le cosid-dette “corrispondenze verticali”. A partire dalla realtà si vuole arrivare all’ideale. Biso-gna sottolineare che Charles non è l’inventore delle corrispondenze in quanto ha dei precedenti: si rifà al- l’idealismo platonico, alle esaltazioni mistiche di Poe e di Hoffmann, alla filosofia di Joseph de Maistre e di Charles Fourier. Colui che sicura-mente influenza maggiormente Baudelaire è Swedenborg che ha pro- posto un siste-ma razionale tra le realtà materiali e il mondo spirituale. Come quest’ultimo il bohe-mien afferma che:

“La plus scientifique des facultés, parce que seule elle comprend l’analogie univer-selle, ou ce qu’une religion mystique appelle la correspondance”.

E’ ora opportuno di riportare un commento che Jean-Paul Sartre esplicita riguar-do al tema della natura nel Nostro:

“(...) la nozione di natura è in lui ambivalente. Dopo aver presentato la sua causa, presenta i suoi sentimenti come i più naturali e i più legittimi. Qui la sua penna lo tra-disce.(...) La Natura è opera di Dio o, se si preferisce, del Bene. la Natura è il primo mo-vimento, la spontaneità, l’immediato, la bontà diretta e senza calcolo, è soprattutto la creazione nella sua completezza, inno che sale verso il creatore. Se Baudelaire è natura-le, si perde, senza dubbio, nella folla, ma , allo stesso momento, sente la sua buona co-scienza, compie senza errori i comandamenti divini.(...) Disdegna la Natura e cerca di distruggerla perché vie- ne da Dio, così come da Satana cerca la creazione. Attraverso il dolore, l’insoddisfazione e il vizio, cerca di costituirsi un posto a parte nell’universo. Egli ambisce alla solitudine del maledetto e del mostro, alla “contronatura”, proprio perché la Natura è tutto e dappertutto. E il suo sogno d’artefice non si distingue per niente dal suo desiderio per il sacrilegio. Egli mente, mente dopo aver uguagliato la vir-tù alla costruzione artificiale. Per lui la Natura è il Bene trascendente, nella misura stessa in cui diventa dono, una real- tà che si insinua in lui senza ch’egli ne acconsen-ta. Questa manifesta l’ambiguità del Bene.(...) E l’orrore baudeleriano per la Natura si sposa con un’attrattiva profonda. Questa ambivalenza dell’attitudine del poeta si trova in tutti quelli che non hanno acconsentito né a superare tutte le norme per loro scelta

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ne a sottomettersi ad una morale esteriore: sottomesso al Bene tanto da apparirgli co-me un dovere per realizzarsi, Baudelaire la rigetta e la disprezza in quanto è una quali-tà donata dall’universo. E pertanto, il Bene che è l’uno e l’altro, per il poeta, senza un ritorno possibile, è una scelta che decide di non scegliersi”.

LAVORO COME OPERANon attuando mai una scelta vera e proprio l’autore dei “Fleurs du mal” si trova

di fronte all’ulti- ma via percorribile: la Morte. E’quest’ultima che lo guiderà sul “mare dell’ignoto”. La morte per Baudelaire è sia consolazione e riconciliazione ma anche un rito d’iniziazione. L’oltretomba deve vendicare le frustrazioni e le umiliazioni del crea-tore offrendo all’uomo un mondo in dimensione ai suoi desideri e alla sua immagina-zione. Un mondo che non deve essere soddisfacente solo per lo spirito e i sensi ma che deve soddisfare tutta la sua fantasia. Il poeta vuole giungere all’ “inconnu” e al “nou-veau”. Questa ricerca del nuovo è espresso molto bene nel testo già accennato di “Any where out of the world” in cui il poeta, ormai morente, utilizza ancora una volta la me-ta- fora del viaggio. L’anima che ormai rifiuta i compromessi, non è sedotta da nessun paese e/o paesaggio. Essa, murata nel silenzio, scoppia e grida solamente per esprime-re il suo rifiuto verso il mondo.

Baudelaire ha una concezione “mistico-liberatoria” della morte, vista come un vecchio capitano che salva dalla noia. Vediamo ora nella ottava parte della poesia “Le voyage” come il poeta descrive l’unica e l’ultima via di fuga:

O Mort, vieux capitaine, il est temps! Levons l’ancre! Ce pays nous ennuie, o Morta! Appareillons!Si le ciel et la mer sont noirs comme de l’ancre,Nos coeurs que tu connais remplis de rayons!Verse-nous ton poison pour qu’il nous réconforte! Nous voulons, tant ce feu nous brùle le cerveau, Plonger au fond du gouffre, Enfer ou Ciel, qu’importe? Au fond de l’Inconnu pour trouver du nouveau!

Su, andiamo, Morte, vecchio capitano! Salpiamo, è tempo, via da questa noia! Son neri come inchiostro terra e mare,

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ma i nostri cuori, vedi, sono colmi di luce.Versaci per conforto il tuo veleno!Quel fuoco arde il cervello: giù nel gorgo profondo, giù nell’Ignoto, sia l’Inferno o il Cieloscendiamo alla ricerca di qualcosa di nuovo!

Baudelaire cerca qualcosa di nuovo, qualcosa che lo occupi per poter fuggire dal-la quotidianità struggente. E’per questo che nei “Paradis” si pone l’interrogativo:

...à quoi bon, en effet, travailler, labourer, écrire, fabriquer quoi que ce soit, quand on peut emporter les paradis d’un seul coup?

Da una parte c’è il paradiso che si apre facilmente alle nostre spalle, dall’altra c’è il logorante piacere, la fatica di pensare, di fare versi. In realtà c’è qui, al contrario di molte altre tematiche, una terza via, quella del lavoro.

Più si vuole, meglio si vuole. Più si lavora, meglio si lavora, e più si vuol lavora-re(...).

Ad ogni minuto siamo schiacciati dall’idea e dalla sensazione del tempo. E ci so-no solo due mezzi per sfuggire a questo incubo: il Piacere e il Lavoro. Il piacere ci con-suma mentre il lavoro ci fortifica: scegliamo!. Più ci serviamo di uno di questi mezzi, più l’altro ci ispira ripugnanza”.

Da queste due affermazioni si può capire quanto il lavoro per Baudelaire sia con-siderato quasi come se fosse una religione. Il lavoro è in se e per se una terapia che so-stituisce il piacere. Nell’opera “Mon coeur mis a nu” nella parte intitolata “Igiéne” si trovano molte frasi come quelle sopracitate che costituiscono una sorta di invocazioni e di litanie, come gli articoli di un codice, scritto per rendere il lavoro efficiente. Il poe-ta circondato dalla noia e dall’ideale cerca di sfuggire dalla prima per raggiungere il se-condo per mezzo dell’arte ovvero attraverso il lavoro quotidiano. Il suo sforzo però fal-lisce poiché solo la morte lo può liberare dall’inferno di questa vita terrena. La morte è l’unica cosa che l’uomo non può governare e di conseguenza è l’unica realtà di cui ha paura, timore, orrore. Baudelaire conclude il saggio dei “Paradis artificiels” con questa frase:

“Ma la Morte, che non consultiamo a proposito dei nostri progetti, alla quale non possiamo domandare assenso, la Morte, che ci lascia sognare la felicità e la forma, non dice ne sì ne no, esce all’improvviso dalla sua tana e spazza con un colpo d’ala i nostri

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progetti, i nostri sogni e le ideali architetture sotto cui tenevamo al riparo, nella men-te, i nostri ultimi giorni!”.

Il tema dell’ “ultimo viaggio” si lega strettamente con la concezione che il poeta ha del futuro: egli intravede infatti soltanto una strada disseminata di disastri, che è lo stesso cammino della storia sparsa di rovine fumanti su cui l’uomo moribondo e insta-bile pianta la sua bandiera, e che diventerà, sotto l’urto dell’inarrestabile progresso tec-nico e la cieca fede del perfezionamento dei mezzi comodi d’esistenza, sempre più irta di difficoltà. la fine del mondo è quindi la fine dell’uomo stesso: l’umanità per il poeta perirà proprio a causa di ciò per cui aveva creduto vivere. In un suo scritto si legge:

“Ma la meccanica ci avrà talmente americanizzati, il progresso avrà così perfetta-mente atrofizzato tutte le parti spirituali di noi stessi, che nulla, tra tutte le fantasie sanguinarie, sacrileghe e antinaturali degli utopisti, potrà venir paragonato ai suoi po-sitivi risultati”.

E inoltre insiste:

“Domando ad ogni uomo pensante di indicarmi che cosa sussiste della vita. Quan-to alla religione, credo inutile parlarne e cercarne i resti, perché darsi ancora la pena di negare Dio è in simile materia il solo scandalo. La proprietà era virtualmente scom-parsa con la soppressione dei diritti del primogenito; ma verrà il tempo in cui l’umani-tà, come un orco vendicatore, strapperà l’ultimo pezzo a coloro che credono di essere legittimi eredi delle rivoluzioni. E nemmeno questo sarà il male supremo!”:

Non saranno cioè le idee aristocratiche di Baudelaire a convincerlo nel cercare una via e una soluzione. Ogni soluzione ha un ufficio consolatorio ch’egli non accetta. Non saranno le concezioni sociali a lui con- temporanee e le istituzioni politiche a pro-vocare la rovina universale o il progresso universale. Le ragioni di questa fine sono più profonde. La rovina avverrà per “l’avvilimento dei cuori”. Nei barlumi incerti dell’avve-nire, Baudelaire vede la politica dibattersi penosamente tra le strettoie della generale “animalità”. Il paesaggio che si ha di fronte è dunque un paesaggio di sangue e di mor-te.

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LA POESIA PER COMUNICARE

CON LʼINFINITOBaudelaire ha fatto passare all’arte moderna i confini dello spirito ma è proprio

per questo fatto che, a riguardo della sua poesia, pesano gravi problemi metafisici, poi-ché all’interno di essa si danno battaglia angeli buoni e angeli del male; questi ultimi si travestono spesso da messaggeri della luce e induco- no l’uomo nella direzione errata. Per Charles la poesia è un mezzo per comunicare con l’infinito e l’Idea- le. Nella poesia si trova già in partenza un sentimento nei confronti della meta prefissata. Del resto quando leggendo un poema ci si riempiono gli occhi da lacrime, queste lacrime non so-no forse già il segno di un eccesso di piacere? Tuttavia dopo la lettura resta in noi una certa malinconia di quella natura esiliata nell’imperfetto nella quale vorremmo vivere come su un utopico paradiso rivelato. Allo stesso modo per Baudelaire la poesia è l’aspirazione umana verso la Bellezza superiore, con cui si può dialogare attraverso la passione e la verità del cuore che esprime la ragione dell’uomo. Tuttavia, come mostra Costantin Guys, Baudelaire vuole stabilire una teoria razionale e storica del Bello, in opposizione alle tesi del Bello unico e assoluto, per mostrare che il Bello è sempre e inevitabilmente “doppio” nella sua composizione anche se apparentemente l’impressio-ne e l’effetto prodotto sembri unico. Infatti il Bello è composto di un elemento eterno e immutabile, di cui è difficile determinare la quantità, e da un elemento relativo e con-tingente formato dalla morale, dalla moda e dalle passioni. Senza questo secondo ele-mento, involucro grazioso e stuzzicante, il primo sarebbe inapprezzabile e non adatto alla natura umana. Il dualismo di questa natura porta per conseguenza al dualismo del-l’arte. La divisione di anima e corpo, di spirito e materia, si ripete infatti nell’arte. Bau-delaire dona una definizione singolarissima di Bello che troviamo nei “Razzi”: “Il più perfetto tipo di bellezza visibile è Satana alla maniera di Milton”.

E’proprio nella figura dell’arcangelo precipitato che il poeta associa l’idea del bel-lo legato all’idea di sventura.

La perdita dell’aureola

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Il poeta deve seguire il Bello, quell’idea di bellezza che si configura in Satana. Ma quindi il Bello coincide con il Male? Possiamo notare come la prima vittima di quel ma-le che la sua poesia canta, è lui, che la sente come colpa, che è in conflitto, che implora aiuto ed insieme bestemmia, che conosce il rimorso, che teme il castigo, ma non riesce a vincere la suggestione mortale. Il resto della sua poesia non è niente: un po' di fumo e di sporcizia per il lettore e per i giornalisti. C’è solo un gusto forsennato della mistifi-cazione, c’è la vanità di stupire, c’è il dilettantismo dell’intelligenza che però è fasullo e seconda- rio. Baudelaire usa spesso definirsi come “angelo decaduto che ha perso l’au-reola”. Su questo tema dedica addirittura un poemetto contento ne “Lo spleen du Pa-ris”:

“Ehi! Ma come! Voi qui, carissimo? Voi in un posto malfamato? Voi, il degustato-re di quintessenze! Voi, il divoratore di ambrosia! Sul serio, c’è di che stupirmi!”“Mio caro, voi conoscete il terrore che ha dei cavalli e delle carrozze. Poco fa, mentre attraversavo di gran premura il boulevard, e saltellavo nella melma, in mezzo a questo caos frenetico dove la morte accorre al galoppo da tutte le parti in un sol tempo, la mia aureola, a un movimento brusco, mi è scivolata di testa nella fanghiglia del macadam. Non ho avuto il coraggio di raccoglierla. Ho giudicato meno orribile perdere le mie in-segne che farmi spezzare le ossa. E poi, mi sono detto, non tutto il male viene per nuo-cere. Ora posso andarmene in giro in incognito, compiere le azioni più vili, asservirmi alla crapula come i semplici mortali. E come vedete, eccomi qua, in tutto eguale a voi”.“Dovreste mettere almeno un annuncio, per questa aureola, farla cercare dal commis-sario...”

“Parola mia, no! Qui sto bene. Voi, voi solo mi avete riconosciuto. E poi la dignità mi annoia! E immagino con gioia che qualche poeta spregevole la raccatterà, e impu-dente se ne acconcerà la testa. Farlo felice, che gioia! E soprattutto un felice che mi fa-rà ridere! Pensate a X..., o a Z...! Ah! Come sarà comico!”

Come si può notare, il poeta perdendo la sua aureola, perde la sua identità. Ini-zialmente si vuole recuperare l’oggetto perduto, successivamente ci si accorge che que-sta perdita può dare più libertà al- l’uomo poiché esso può continuare a vivere senza essere riconosciuto, senza essere sottomesso a leggi e ad idee politiche. Questo è pro-prio ciò che deve fare il dandy ovvero colui che crea la tendenza in tutti i campi, da quello artistico a quello religioso.

IPOCRITA LETTORE39

Proprio perché si considera come un angelo decaduto Baudelaire ha un rapporto particolare con gli altri e soprattutto con i suoi lettori. Colui che legge le sue opere è considerato come un ipocrita che, proprio come lui, è colpito dalla Noia e quindi ha lo stesso fine di Baudelaire: quello di sconfiggere questo mostro che è ciò che lega quasi in un vincolo fraterno il lettore all’artista. Il “Livre abominable” doveva uscire secondo il piano iniziale con una prefazione che si concludeva col verso:

“Tu m’as donné la boue et j’en ai fait de l’or”.L’alchimia a cui qui si accenna non è soltanto quella prestigiosa dell’arte che rive-

ste le cose di splendore e le trasfigura. Il poeta conosce la triste qualità della sua mate-ria poetica, e vuole dire che anche da essa ha saputo trarre una verità preziosa. I senti-menti, i pensieri, le passioni che Baudelaire ha, assume certo una qualità universale ma non si può dimenticare la realtà storica poiché è proprio in questa che ha origine la dolorosa poesia. Al lettore ipocrita no dà illusioni né allettamenti: chi lo segue deve sa-pere fin dall’inizio per quali cammini s’avventura.

“Tranquillo e bucolico lettore- gli dice- cupo e ingenuo uomo dabbene, rigetta questo libro saturnino, orgiastico e malinconico. Se non hai studiato retorica da Sata-na, il rusé doyen, buttalo via! Non comprenderai niente, o mi crederai isterico. Ma se il tuo occhio, senza lasciarti lusingare, sa tuffarsi negli abissi, leggimi, per imparare ad amarmi. Anima curiosa che soffri e vai cercando il tuo paradiso, compiangimi!...Se no, ti maledico”.

Nella poesia “La destruction” è segnato il paesaggio di ciò che è stata chiamata una “discesa al- l’Inferno” dei tempi moderni. E’proprio in questo panorama che emer-gono, ad esempio con l’utilizzo del- le maiuscole che li distinguono, i punti cardine in-torno ai quali si aggira e si avvolge l’ispirazione del poeta. Ecco ora il testo della poe-sia:

Sans cesse à mes còtés s’agite le Démon;Il nage autour de moi comme un air impalpable, Je l’avale et le sens qui brùle mon poumonEt l’emplit d’un désir éternel et coupable.Parfois il prend, sachant mon grand amour de l’Art, la forme de la plus séduisante des femmes,Et, sous de spécieux prétextes de cafard, Accoutume ma lévre à des philtres infàmes.Il me conduit ainsi, loin du regard de Dieu,

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Haletant et brisé de fatigue, au milieuDes plaines de l’Ennui, profondes et désertes,Et jette dans mes yeux plein de confusionDes vétements souillés, des blessures ouvertes, Et l’appareil sanglant de la Destruction!

Sempre al mio fianco s’agita il Demonio; mi gira, impalpabile aria, tutt’intorno,e se l’inghiotto brucia i miei polmoni d’una brama colpevole, in eterno.Prende a volte, sapendo che amo l’Arte, d’una donna incantevole il sembiante,e con scuse e raggiri da bigotto,a filtri infami abitua la mia bocca.E così, di nascosto dal Signore,mi porta, ansante e morto di fatica, nei profondi deserti della Noia,e scaglia nei miei occhi in confusione luridi vesti e piaghe e il sanguinante armamentario della Distruzione!

PERSONAGGI MALEDETTIBaudelaire crede in un mondo di forme perfette e esistenti da sempre, irraggiun-

gibili come i gioielli sepolti nel “cimitero solingo” della sua anima, a cui tenta di avvici-narsi per scagliare la zappa tal- volta anche usandola rabbiosamente. La sua ossessio-ne compositiva nasce proprio da questa paziente rabbia di ricerca nel profondo, verso le architetture di una “vita interiore”, verso gli archetipi della bellezza; è un ossessione scandita da “arcate” e “scale”, da “eterne scalinate” di un “palazzo infinito” che solo ap-parentemente ci ripropone l’illusione babelica, ma che in realtà ci offre il ritmo di una vertigine abissale, di una discesa senza fine.

Il mondo creato nella mente del poeta non corrisponde per niente alla realtà in cui vive, una realtà che segue il mostro del progresso e del soggettivismo. La vita è pie-na di contrasti che apparentemente sembrano essere irrisolvibili. La contraddizione ossessionava Baudelaire perché essa gli sembrava l’unica possibile risposta alla trappo-la in cui egli era disceso. Perché lui, giovane dandy raffinato e sensibile, era stato posto

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sotto tutela? Perché la sua passione per le forme, i corpi e i piaceri, si era trasformata in una terribile malattia? Perché la rivoluzione del 1848 invece di liberarlo lo aveva im-prigionato più strettamente? La contraddizione permanente di tutte le cose, la coinci-denza degli opposti, il principio manicheo che Bene e Male sono inseparabili fratelli e lottatori, costruiva l’unica spiegazione. La vita era paradossale, e solo un paradosso estremo poteva spiegarla. Dopo il 1848 Baudelaire si definisce uno “spoliticizzato” e si classifica come un asociale, un paria. La rivoluzione, diventata rivolta individuale, sco-priva germi di resistenza solo negli asociali. Quella classe che serviva a Charles come una barricata per difendersi dal socialismo utopico che celebrava il lavoro e il progres-so. Ma gli asociali erano per definizione renitenti anche alla rivolta reale, perché rifiu-tavano ogni forma di società e di inganno politico. “Se avessi votato, non avrei potuto votare che per me” scriveva Baudelaire in una lettera del 1852 dove poi continua scri-vendo “Forse che l’avvenire appartiene ai declassati?”. I “Fleurs du mal” traboccano di queste presenze asociali: sono gli zingari in viaggio; sono la “femme galante” o la pas-sante; sono le vecchie; i poveri, la negra del “Cigne”, i paria maledetti, i cospiratori, le prostitute, gli esiliati politici. E’questo pullulare di fuoricasta che fa esplodere dall’in-terno le strutture della poesia in Baudelaire. Gli asociali non hanno diritto di paro- la; la loro resistenza sta nel fatto di tacere. Il Nostro da loro un linguaggio che li esprime, sia pure in modo inevitabilmente indiretto. Il limite di questo rapporto tra il poeta e gli “azzittiti” lo si tocca in “Le Cygne”: in questa poesia -che fu rifiutata da alcuni gior-nali dell’epoca perché alludeva a Napoleone III- Baudelaire collegava l’esilio di una ne-gra, prigioniera nel fango di Parigi, con gli esili politici dei vinti: “Je pense (...) aux cap-tifs, aux vaincus!..à bien d’autres encore!”

(Penso...ai prigionieri, ai vinti!..ad altri, ad altri ancora!)

Sembra che in questo e in altri finali, ci sia qualcosa di strozzato, come un venir meno del respiro.

Tutto ciò è voluto dal poeta: quel venir meno del respiro era il venir meno della parola dei paria e dei declassati. La protesta contro il progresso, l’industria e il com-mercio non muoveva solo dall’esperienza storica patita, ma anche da un’esperienza personale. Dov’era che Baudelaire aveva sperimentato la liberazione momentanea o un sollievo, anch’esso momentaneo, della sua prigionia? Niente pareva reggere al- l’esame; tutte le forme di vitalità finivano prima o poi per venir colpite dalla ripetizio-ne, e soggette al consumo. Solo l’ozio pareva contenere una traccia del paradiso in ter-ra. Questo paradiso Charles lo lascia intravedere in “Correspondances” e ne “La vie antérieure”: è il mondo della riconciliazione, dove le cose parlano e l’uomo, ridiventato

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natura, le intende. L’itinerario da seguire secondo il poeta è espresso dal- l’ordine stes-so in cui sono disposte le sei parti del capolavoro. Per i paria, che avevano percorso tut-te le stazioni delle loro passioni, non c’era altra terra da esplorare al di fuori della mor-te. Il paradiso in terra era sbarrato da tutte le parti, e ciò che gli somigliava era solo un inganno: i rapporti degradati tra l’uomo e la donna erano quelli tra schiavo e schiava. Anche sull’eros era caduta la condanna che aveva vietato l’Eden: vivo nella libera con-cessione dei corpi, l’eros era sempre stato sfregiato in una società dove i cor- pi valeva-no solo in quanto forza-lavoro di merci e di figli. Bisogna consegnarsi allora all’unica forma di fuga possibile: le nouveau. Ma il nuovo in “Le voyage”, la Morte, mancava di connotazioni, non aveva forma, non era materiale come le altre possibilità (il vino, l’eros, la rivolta) perché esso si limitava a mi- mare il cambiamento. Se, solo il nuovo avrebbe potuto ridare al soggetto della poesia ciò che l’infanzia gli aveva promesso: “Il fanciullo vede tutto in una forma di novità, è sempre ebbro. Nulla assomiglia tanto a quella che chiamiamo ispirazione, quanto la gioia con cui il fanciullo assorbe la forma e il colore”, scriveva Baudelaire ne “Le peintre de la vie moderne”. Ma per questo “nuo-vo” il soggetto deve rinunciare alla propria materia, al proprio essere qui ed ora in car-ne ed ossa; paradossalmente doveva rinunciare proprio a ciò che avrebbe desiderato trovare in quel nuovo: la vita anteriore, quella che era già stata un tempo, e non in un tempo immemorabile, ma in qualche mondo storico. Le contraddizioni si fecero sem-pre più stringenti: neanche la morte poteva concedere l’ebbrezza immemorabile della novità o di una nuova infanzia, e i conflitti non risolti nella storia non si scioglievano magicamente fuori da essa; da tutte le parti la realtà, lo stato delle cose così come so-no, aggrediva la poesia. E “Le fleurs du mal” trovavano il loro nutrimento proprio in quel sommovimento tellurico: per quanto evitata o aggredita obliquamente, la realtà veniva a contatto col sogno e lo costringeva a registrarla. La forma meschina che Rim-baud rimproverava a Baudelaire era il segno di quella pressione gigantesca patita stoi-camente, che aveva mutato la forma della poesia portandola fino sull’orlo dell’esplosio-ne ma senza farla saltare. In un frammento sul Realismo Baudelaire aveva scritto:”La poesia è ciò che vi è di più reale, ciò che non è completamente vero che i un altro mon-do”. Il sogno vietato dalla struttura stessa della società doveva per necessità proiettarsi in un al di fuori dal mondo? O poteva realizzarsi anche nell’abolizione dello stato delle cose così come esse sono?. L’ambiguità rimaneva irrisolta, la contraddizione perma-nente. La poesia si richiudeva nella corazza della metafora di se stessa.

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DA LUI NASCE LA LIRICA MODERNA

“La nostra epoca feroce- ha scritto il critico italiano Giovanni Macchia- è divenu-ta sempre più baudeleriana”. In un primo tempo la fortuna dei “Fleur du mal” fu lega-ta semplicemente a motivi di scandalo: detrattori e ammiratori ne predilissero o ne re-spinsero i temi più ingombranti e corposi (sesso e satanismo, dandysmo e paradisi arti-ficiali), mentre la schiera dei seguaci ne imitò il linguaggio e le immagini di più facile evidenza: questi ultimi fecero loro gli atteggiamenti che maggiormente si prestavano a pose oratorie e di maniera. Poi, con l’aprirsi del nuovo secolo, a Baudelaire, primo poe-ta maledetto, si proferirono altri modi di ispirazione. Oggi, la presenza di Baudelaire è affidata innanzitutto a considerazioni d’ordine storico: si vede nella sua opera la prima sorgente di tutta la lirica moderna, sia che essa scorra sul versante dei poeti-artisti, che da Baudelaire giungono sino a Mallarmé e a Valéry, sia che invece fecondi il terre-no dei poeti-veggenti e conduca per questa via a Rimbaud, ai surrealisti e a tutti i più recenti “cercatori d’avventure”. Baudelaire insomma apre un nuovo capitolo nella sto-ria letteraria, non solo francese ma anche europea, poiché permette di comprendere orientamenti e atteggiamenti che, vistosi e arditi nei decenni che viviamo, troviamo in lui tuttavia la loro prima radice. Si è lontani pertanto sia dal perdurare facili e superfi-ciali entusiasmi, sia dalla ripulsa provocatoria di Sartre il cui celebre saggio del 1947 metteva Baudelaire sul banco degli accusati attaccandolo con le armi affilate, ma in-dubbiamente settarie , dell’esistenzialismo, del marxismo e di una malintesa psicanali-si. Con più disteso e pacato abbandono, la critica odierna ricostruisce le strutture for-mali, scopre le segrete corrispondenze simboliche, inventa con rigore il linguaggio di un’opera, sia in versi che in prosa, che a quel linguaggio soprattutto affida le sue risor-se e le sue risonanze: non si è ancora spenta, per esempio, l’eco di alcune celebre pagi-ne di Erich Auerbach dove il critico tedesco scopre l’originalità della lirica baudeleria-na nell’immissione di scelte stilistiche triviali, dimesse, al limite ripugnanti e spregevo-li, in un registro tonale che tende al sostenuto e al sublime. Un’originalità che consiste, pertanto, nel recupero stridente e disarmonico, nell’alveo del di- scorso lirico tradizio-nale, di quella “triste miseria” , di quella grigia, quotidiana e banale realtà che fino ad ora era stata respinta. Questa contraddittoria ambivalenza si risolve, sul piano lingui-stico, in scelte precise, affidate a strumenti espressivi allusivi e variamente significan-ti. Il poeta, secondo Macchia, coglie le segrete corrispondenze del mondo, ne legge il

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cifrato messaggio, ne interpreta i misteriosi geroglifici: la critica odierna, forse meglio che in passato, riesce a fissare l’originalità di un discorso intensamente e do- viziosa-mente metaforico.

L’attualità cui accenna Macchia nasce probabilmente dall’incontro di due compo-nenti ugualmente presenti nei nostri anni contrastati e disincantati. Da un alto, senza dubbio, la poesia di Baudelaire scaturisce da un rifiuto del suo tempo, esprime una condanna senza appello dei miti e dei simboli borghesi, del progresso soddisfatto e bo-rioso di un “secolo cialtrone”, dalla smania utilitaria, delle mediocri menzogne dei filo-sofi “viveurs”: dal tormentato distacco da questa realtà proviene tutta la complessa simbologia del vortice oscuro, dell’abisso tenebroso, dell’insopportabile tedio a cui i versi più noti del poeta affidano il loro fascino sottile. Per un altro verso, tuttavia, Bau-delaire conosce anche la vanità dell’evasione elegiaca, l’inganno delle più facili soluzio-ni idealistiche: “Tutti gli elegiaci sono delle canaglie” scrive lui stesso. In una pagina non meno famosa egli ricorre all’arma dell’ironia per demolire “quanto l’idillio ha di più infantile”. L’Eldorado intravisto dai naviganti tra le nebbie della sera appare, al chiarore dell’alba, per quel- lo che in realtà è: un nudo e arido scoglio. Sull’isola di Cite-ra non crescono verdi mirti né prati fioriti: nel suo profilo si staglia, nera come un ci-presso, una lugubre forca. A questa atroce realtà, il poeta si compia- ce provocatoria-mente di opporre “il serraglio infame dei nostri vizi” i simboli della corruzione più raf-fina- ta. Egli esclude ogni facile e consolante certezza, ogni atteggiamento predicato-rio. Con i “Fleur du mal” è stato detto che la poesia abbandona ogni intento didascali-co. L’unica proposta che i versi tenebrosi del poeta sottintendono è quella di uno scavo spregiudicato e sincero negli spazi sotterranei dell’animo. I marinai dimenticate su so-litarie isole, i vinti, i prigionieri, gli esuli, ridicoli e sublimi come il cigno dalle grandi ali bianche, oppongono alla miseria in cui vivono l’aristocratica voluttà della loro ma-linconia, la ricchezza del loro spazio interiore, segno pur amaro e irriso, del loro privile-gio.

Ideologie baudeleriane

I “Fiori del male” offrono un’analisi universale della personalità umana, analisi che supera di molto le concezioni romantiche. L’opera è rigorosamente strutturata: c’è un inizio, intitolato Spleen et Idéal, e c’è una fine, la Mort. Il corpus della raccolta com-prende sei parti che corrispondono alle differenti tappe del pensiero del poeta.

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Spleen et Idéal è la descrizione statica dello spirito umano. L’uomo è torturato dallo spleen ovvero dalla coscienza permanente della vanità, di quella vanità che colpi-sce tutte le costruzioni e le azioni umane. Eg- li vive nell’angoscia, in uno stato d’ani-mo di noia totale. Anche la natura è vittima, come l’uomo, del ciclo inesorabile delle stagioni, della fuga del tempo. Tuttavia l’uomo sogna, ha una sete disperata per l’idea-le, per la bellezza e desidera ardentemente trovare il paradiso perduto, l’Eden anterio-re dove la bellezza perfetta e l’ordine sono il riflesso della perfezione divina. Attraverso la sua esperienza, Baudelaire ha voluto ricostruire la tragedia di tutto l’essere umano: la tragedia dell’uomo doppio, creatura decaduta e oggetto di un perenne conflitto tra il disordine interiore e quello esteriore. Inoltre è espressa la tragedia dello sforzo costan-te per scappare dal quotidiano, dallo spleen per accedere allo stesso momento all’idea- le. Il poeta deve dimenticare la sua situazione e il suo mondo pieno di noia e di ango-scia perenne per esplorare l’anormale, l’insolito, l’estrinseco:

attraverso l’artificio e il disequilibrio egli potrà trovare la pace interiore e, maga-ri, accostarsi all’ideale. Le parti successive della raccolta, Tableaux parisiens, Le vin, Fleurs du mal, illustrano poetica- mente i drammatici tentativi di fuga di Baudelaire che cerca di utilizzare tutte le risorse che la città e la civiltà moderna gli offrono: il vi-no, l’erotismo, l’amore platonico e gli stupefacienti. Ma l’ebbrezza di questo paradiso artificiale non dura molto e il ricordo riconduce allo spleen. Certe volte si giunge al-l’ec- cesso, in altri casi c’è qualcosa di più dannoso dei mezzi d’evasione che pian piano svaniscono. La quinta parte è intitolata La Révolte e qui il poeta si pronuncia aperta-mente contro il creatore di questo miserabile uomo e si rivolge a Satana. Ma in qualsia-si caso l’ultima scelta resta irrisolta: non resta più niente se non l’ultima fuga definiti-va data dalla morte. La Mort è l’ultimo viaggio che introduce l’uomo in un mondo nuo-vo dove egli potrà scappare dallo spleen e dall’angoscia che esso provoca. La sola spe-ranza per Baudelaire è la morte.

L’influenza dell’itinerario baudeleriano, comprendente la fuga esasperata nell’ar-tificiale per fuggire dalla normalità contingente, sarà determinante per il decadenti-smo e il simbolismo francese.

Estetica baudeleriana

Bisogna innanzitutto dire che tutte le teorie estetiche decadenti e simboliste era-no già presenti nel- le opere di Baudelaire. L’estetica dei “Fleurs du mal” è fondata sul

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principio dell’analogia universale secondo cui, le differenti parti dell’universo (fisiche e morali) sono in relazioni le une con le altre. Esiste un misterioso legame, una sottile affinità tra il tutto e le parti, tra il finito e l’infinito. Secondo Charles tutto il mondo è una corrispondenza e il ruolo del poeta è quello di conoscere,di comprenderlo attraver-so l’intuizione per poi tradurre il tutto in un linguaggio umanamente comprensibile e accessibile. Il poeta diventa così il decifratore delle analogie universali e la poesia divie-ne un atto cognitivo. Il problema più grosso sta nel fatto di trovare o creare delle tecni-che stilistiche che siano in grado di esprimere al meglio queste affinità che esistono nel “langage muet des choses”.

Tra queste nuove tecniche ricordiamo le sinestesie, le corrispondenze, l’utilizzo di simboli, le associazioni tematiche e quelle lessicali.

Influenza baudeleriana

L’influenza di Baudelaire sarà determinante sulle future generazioni decadenti e simboliste. Infatti tutta l’estetica di questi movimenti è già presente nelle sue opere. La maggioranza dei poeti successivi a Charles riprendono l’utilizzo della sinestesia e dell’ossimoro: nel 1869 Verlaine utilizzerà il tema del paesaggio dell’anima; Rimbaud, nel celebre sonetto “Voyelle”, assocerà le vocali a dei colori e Mallarmè, in “Marine”, cambierà le caratteristiche della terra con le caratteristiche tipiche del mare. Tutte le tecniche baudeleriane saranno sfruttate al massimo e daranno luogo a composizioni sempre più ermetiche.

Infine tutti riprendono il ruolo del poeta fissato da Baudelaire: l’artista è colui che osserva, colui che deve decifrare e interpretare il linguaggio delle cose mute. Char-les conferisce alla poesia una alta ambizione metafisica creando il mito del poeta veg-gente. Tutto l’impegno socio-politico è ormai scartato: il poeta d’ora in poi si consacre-rà all’arte per arte.

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VARIETAʼ E COMPLESSITAʼ DELLʼERIDITAʼ BAUDELERIANA

La produzione minore e la crescita del filone decadente

Gli anni 1870-1885 conoscono una grande effervescenza poetica che si esprime soprattutto all’esterno dei circoli ufficiali, ad esempio nei cafè, nei clubs e nelle riviste le più varie che nascono in ogni parte...per scomparire nel giro di pochi mesi e riappari-re successivamente sotto un altro nome

Questa poesia si caratterizza sul piano dei contenuti per:il disprezzo verso la buona salute psichica e morale: culto dell’ipersensibilità sen-

soriale che conduce al nervosismo e alla nevrosi, culto della perversità, ricerca di equi-librio tra il morboso e il vizio, gusto per il satanismo e per il sadismo accanto ad un’at-tenzione particolare nei confronti della liturgia cristiana;

• ostentazione di singolarità e di preziosità;• culto del ricordo, del vaporoso, dell’indefinito e per contrasto si crea il culto per

l’esoterismo e dell’oscuro;• gusto per il floreale, per i profumi e per gli stupefacienti;

Sul piano della forma per:• utilizzo di un linguaggio vario: c’è una predilezione per i vocaboli rari, per i neo-

logismi e i termini astratti; utilizzo arbitrario delle maiuscole; • abbondanza di aggettivi che sottolineano il raffinato, il delizioso e il vellutato; • ricerca della sfumatura sottile nell’astratto e nell’indeterminato; utilizzo del lin-

guaggio liturgico; • ricerca di nuove combinazioni sintattiche;Sul piano delle figure retoriche ricordiamo:

largo utilizzo delle sinestesie, degli ossimori e di altre innovazioni tecniche baude-leriane.

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I tre “grandi”: Rimbaud, Verlaine e Mallarmé

Rimbaud: “A Noir, E Blanc, I Rouge, U Vert, O Bleu: Voyel-les”

La sua poesia è generalmente sincera e parte dalla sua avventura spirituale ed estetica: attraverso la

rivolta esprime il suo disprezzo nei confronti della guerra, della religione. Rim-baud conosce una crisi esistenziale che peserà molto sulla sua teoria della rivelazione: la filosofia del veggente. Il viaggio è un mezzo di comunicazione con l’aldilà, e il poeta deve arrivare a ciò che è sconosciuto all’uomo. Il poeta deve seguire la via sregolata dei sensi che è prodotta dall’alcool, dalle droghe, dagli amori e dalle sofferenze di tutti i ti-pi. Rimbaud sperimenta la sua teoria su di sé: sperimenta le vertigini, le allucinazioni, i momenti di follia...che poi cercherà di esprimere in un linguaggio. La sua poesia è dunque una poesia visionaria che rifiuta i canoni fissi della versificazione: egli passa facilmente dai versi liberi ai poemi in prosa. Rimbaud cerca di trovare delle immagini che possano esprimere nel miglior modo possibile ciò che ha visto “là-bas”: profumi, suoni, colori. Il linguaggio utilizzato dal giovane poeta è molto meno intellettuale ri- spetto a quello di Mallarmé. La sua influenza sulla poesia contemporanea, in particola-re sul filone surrealista, sarà considerabile.

Verlaine: “De La Musique Avant Toute Chose...”

La sua poesia è alimentata dagli schiarimenti interiori che, molto spesso, lo assal-gono. Il poeta esprime quindi tutti i piaceri che possono produrre l’alcool e la sessuali-tà, tanto da evocare la bellezza e la calma che accompagna l’uomo a Dio e la preghiera. Per tutta la sua vita si crederà maledetto. Nel 1874 compone “L’art poétique”, un poe-ma considerato per i Simbolisti il loro manifesto anche se Verlaine ha sempre evitato di definirsi in un filone letterario affermando al contrario la sua totale indipendenza. In questo testo egli condanna la retorica a lui contemporanea e elogia la musicalità. La sua poesia è innanzitutto musica. Per ottenere gli effetti desiderati, Verlaine lavora molto sul concetto di ritmo e di rima: utilizza versi impari, rimpiazza gli alessandrini classici con dei versi di undici o tredici sillabe poiché li giudica più aerei. Egli ama gio-care sulle sonorità e sul ritornello.Infine nelle scelte dei titoli utilizza sovente dei termi-

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ni tecnici musicali come “ariettes”, “chansons”, “mélodies”. Verlaine con le sue teorie influenzerà moltissimi compositori quali Debussy e Faure.

Mallarmé: “De La Pureté Avant Toute Chose. De L’azur!”

Molto condizionato dalla poesia di Baudelaire, consacre tutta la sua vita per riflet-tere su un tipo di poesia che potesse essere pura e perfetta nel medesimo tempo. Mal-larmé riprende la poetica dell’oggetto parnasiana ma non nomina più e non descrive più l’oggetto ma, al contrario, è il poeta stesso che suggerisce l’oggetto. La poesia è dun-que una suggestione, un mistero, un assenza di cose. La quiete dell’essenziale (il silen-zio, l’assoluto) passa attraverso l’eliminazione del mondo reale tradotto in linguaggio attraverso la disincarnazione delle parole e la ricerca di musicalità. L’opera d’arte di-venta così sempre più ermetica poiché è oscurata dalla disarticolazione sintattica e se-mantica. Proprio perché le parole utilizzate sono sconosciute, esse non evocano nes-sun oggetto all’interno dello spirito del lettore o dell’ascoltatore. Mallarmè, il poeta in-tellettuale, è anch’esso un iniziatore della poesia contemporanea per la dislocazione della frase e dell’utilizzo di un linguaggio non figurativo.

EREDITAʼ SIMBOLISTA

Il movimento decadente-simbolista non coincide solamente con l’ambito poetico ma comprende un teatro simbolista (Maeterlinck), un arte simbolista ( soprattutto in pittura), una musica simbolista (Debussy), un romanzo decadente (Huysmans). Que-sto movimento culturale non tocca solamente la Francia ma, in generale, quasi tutta l’Europa: In Inghilterra c’è Wilde ed Eliot, in Belgio ci sono Verhaeren e Van de Woe-stijne. Dopotutto il male di vivere moderno, che comprende la netta distinzione tra l’ideale e la materia, la fuga dalla quotidianità, il prevalere degli interessi e dell’istinto, resta un problema tutt’oggi irrisolto che continua a dare lavoro ai filosofi e ai letterati.

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APPENDICEMi sembra ora opportuno concludere questo mio lavoro con delle frasi o dei com-

menti che autori vari hanno espresso nei confronti di Baudelaire. In tre punti accenne-rò a qualche frase di contemporanei, a qualche discussione circa la personalità del poe-ta e, infine, concluderò con piccole analisi che alcuni critici teorizzano sulla produzio-ne di Charles.

Contemporanei

“Vous avez trouvé moyen de rajeunir le romantisme. Vous ne rassemblez à per-sonne (ce qui est la pre- mière de toutes les qualités). L’originalité du style découle de la conception. La phrase est toute bourrée par l’idée, à en craquer”.

Lettre de Gustave FLAUBERT, 13 juillet 1857.

“Livre très médiocre, nullement dangereux, où il y a quelques étincelles de poé-sie, comme il peut y en avoir dans un pauvre garçon qui ne connait pas la vie et qui en est las parce qu’une grisette l’a trompé”.

Prosper MERIME’, à propos de l’edition de 1857 des “Fleurs du mal”.

“Que faites-vous quand vous écrivez ces vers saisissants: Les sept veillards et Les petites vieilles que vous me dédiez et dont je vous remercie? Que faites-vous? Vous marchez. Vous allez en avant. Vous dotez le ciel de l’art d’on ne sait quel rayon maca-bre. Vous créez un frisson nouveau”.

Victor HUGO Hauteville-House, 6 octobre 1859.

“Ce Baudelaire est une pierre de touche: il déplait invariablement à tous les im-b é c i l e s ” . Hippolyte CASTILLE dans “Baudelaire devant ses contemporains”.

“Ce singulier kiosque fait en marqueterie, d’une originalité concertée et composi-te qui depuis quelque temps attire les regards à la pointe extreme du Kamtchatka ro-mantique, j’appelle cela “la folie Baude- laire”.

SAINTE-BEUVE Le constitutionnel, lundi 20 janvier 1862.

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“Poète, il ne l’était point de par le ciel, et il avait dù se donner un mal affreux pour y parvenir. Il eut deux minutes de gloire, un siècle d’agonie: aura-t-il dix ans d’im-mortalité? À peine! (...) Satan, c’était ce dia- blotin, démodé, fini, qu’il s’était imposé la tache de chanter, d’adorer et de bénir! Pourquoi donc? Pour- quoi le diable plutòt que le bon Dieu? C’est que, voyez-vous, ce fanfaron d’immoralité, il était au fond un religio-sastre, point un sceptique; il n’était pas un démolisseur, mais un croyant; il n’était que le niam- niam d’un mysticisme bétasse et triste, où les anges avaient des ailes de chau-ves-souris avec des faces de catin: voilà tout ce qu’il avait inventé pour nous étonner, ce Jeune-France trop vieux, ce libre penseur gamin”.

Jules VALLES La situation, 5 septembre 1867.

Sulla personalità di Baudelaire

“A mon avis, le plus grande poète du XIX siècle est Baudelaire parce qu’il était très intelligent et com- prenait très bien où il en était. Oui, Baudelaire est le plus gran-de poète du XIX siècle, parce qu’il est le poète du Remords. Tandis que ce siècle est passé en général du paganisme et de la rébellion au nihilisme et du matérialisme au désespoir, Baudelaire tient una place à part. Le Remords semble étre le critère capi- tal pour juger du caractère chrétien ou non-chrétien d’un homme, d’un poète”.

Paul CLAUDEL Conférence de 1906.

“Il n’y a pas une de leurs souffrances qui lui échappe. Il est dans leurs corps, il fré-mit avec leurs nerfs, il frissone avec leur faiblesse. Mais la beauté descriptive et caracté-ristique du tableau ne le fait reculer de- vant aucun détail cruel. (...) Aimer Baudelaire, j’entends l’aimer mème à la folie en ces poèmes si pitoya- bles et si humains, ce n’est pas forcément signe d’une grande sensibilité. Il a donné de ces visions qui, au fond, lui avaient fait mal, j’en suis sùr, un tableau si puissant, mais d’où toute expression de sen-sibilité est absente, que des esprits purement ironiques et amoureux de couleur, des coeurs vraiment durs peuvent s’en délecter (...). Peut-étre cette subordination de la sensibilité à la vérité, à l’expression, est-elle au fond une marque de génie, de la force de l’art supérieure à la pitié individuelle”.

Marcel PROUST contre Saint-Beuve, publié en 1954.

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“Aux Fleurs du mal, en meme temps que la mémoire et l’espoir des minutes heu-reuses, il confiera surtout l’amerture de cette vie. De ce livre, lui-meme dira qu’il est atroce, qu’il y a mis son coeur et sa haine, sa mélanconie. Nulle poésie, si ce n’est celle de Villon et, furtivement, de Verlaine, n’impose avec cette dé- chirante évidence la présence d’une vie d’angoisse et de malheur (...). Mais il y a aussi un Baudelaire triom-phant, dont les écrits esthétiques nous rapprochent: l’homme qui a écrit Les Fleurs du mal, au nom de la passion qui lui fera aimer Wagner et Delacroix”.

Gaètan Picon préface aux oevres complètes de Baudelaire, tome II, 1955.

“Tout contact avec la réalité tend, chez Baudelaire, à devenir sado-masochiste. La femme, l’artiste, l’àme charitable, Dieu meme- tout ètre qui se porte vers autrui sera prostitué et subira une passion. On n’en est pas moins forcé de rechercher les con-tacts; et dans les mille voies de cette prostitution obligée, l’artiste a la sienne. Charles Baudelaire a la sienne. Il est contraint de porter et d’exhiber sa chimère, comme une fille sa chevelure, comme un artisan son faix, ou un comédien son ròle, offrant ainsi aux brocards et à l’agression une sorte de nudité fragile: ce qu’il possède de plus inti-me et de plus précieux”.

Charles MAURON Des métaphores obsédantes au mythe personnel, 1963

“Baudelaire, comme il l’avait fort bien compris lui-meme, est un saturnien. Non seulement il en a la mi- mique: bouche pincée, nez aux ailes recroquevillées, tempes creusées, yeux encavé dans l’orbite; mais il en a aussi les traits psychologiques: vie inté-rieure intense, sensibilité inquiète et tourmentée, puissance de réflexion et de concen-tration, gout de la métaphisique et des spéculations abstraites, et surtout ce senti- ment de solitude et ces lourdes mélancolies qu’il éprouvait des l’enfance. C’est là incon-testablement cette tendance maìtresse dont parle Corman et qui seul permet de subor-donner les détails à l’ensemble et de donner de l’individu un portrait synthétique et vi-vant. Relèvent évidemment de ce saturnisme des thèmes comme le spleen, la hantise de la mort, et la prédominance du noir qui marque sa poèsie”.

“Dans ces vers de Baudelaire: Là tout n’est qu’ordre et beauté, Luxe, calme et vo-lupté ordre (logique, disposition raisonnable des parties) - beauté (ligne, élan, profile-de l’oeuvre)luxe (abondance disciplinée) calme (tranquillisation du tumulte) volupté (sensualité, charme adorable de la matière, attrait)”.

Guy MICHAUD “Baudelaire devant la nouvelle critique”, 1967

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Privilegi dell’artista

“Où le lecteur inattentif ne reconnaìt qu’une cascade de mots, je vois la parfaite définition de l’oeuvre d’art. Je saisis à part chacun de ces mots, j’admire ensuite la guir-lande qu’ils forment et l’effet de leur conjura- tion; car aucun d’eux n’est inutile et cha-cun d’eux est exactement à sa place. Volontiers je les prendrais pour titres des succes-sifs chaphitres d’un traité d’esthétique:

“Ainsi, analyse des conditions de la volupté poétique, definition par exhaustion de la poésie absolue, Poe montrait une voie, il enseignait une doctrine très séduisante et très rigoureuse, dans laquelle une sorte de mathématique et une sorte de mystique s’unissaient (...). Si nous regardons à présent l’ensemble des Fleurs du mal, si nous pre-nons soin de comparer ce recueil aux ouvrages poétiques de la mème période, nous ne serons pas étonnés de trouver l’oeuvre de Baudelaire remarquablement différente des productions romantiques. Les Fleurs du mal ne contiennent ni poèmes historiques ni légendes; rien qui repose sur un récit. On n’y voit point de tirades philosophiques. La politique n’y paraìt point. Les descriptions y sont rares et toujours significatives. Mais tout y est charme, musique, sensualité puissante et abstraite...Luxe, forme et volupté”.

Paul VALERY Situation de Baudelaire, 1924

“En face de Hugo, Baudelaire est le poète civilisé à l’extrème; son angoisse, qui n’a rien de primaire, ses souffrances et ses nostalgies s’orientent vers une beauté qui serait à la fois l’expression du drame person- nel et la parfaite réussite d’un art surveil-lé par un sens esthétique tout pénétré d’intelligence. L’immense richesse des analogies et des correspondances, où il ira quèter ses metaphores, n’est pas pour lui ce for- mi-dable chaos dont les fragments, sompteux ou hallucinants, envahissent éruptivement l’imagination et le verbe de Hugo”.

Albert BEGUIN L’àme romantique et le rève, 1937“Cette poésie est sans doute la première qui soit absolument directe, c’est-à-dire

qui se propose, sans pré- texte et sans sujet intermédiaire, l’objet meme de toute poè-sie. Comme l’inspiration sourd des entrailles du poète, l’expression poètique sourd des entrailles du langage”.

Marcel A. RUFF Baudelaire, 1957

“Soubresaut, ondulation, écoulement, point de geste humain qui ne puisse s’in-carner en une phrase. Ce qui fait pour Baudelaire toute l’excellence du langage, c’est sa docilité matérielle, sa plasticité, sa sou- plesse à tout traduire, à tout résourdre. Allons

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plus loin encore: si Baudelaire tient son paysage verbal pour supérieur à tout autres paysage, c’est qu’il existe entre lui et son langage une relation immédiate, une familia-rité existentielle. Ce fut sa grande chance, ou plutot son génie, que la structure ontolo-gique de ce langage ait si exactement, si spontanément correspondu à l’architecture intérieure de son ètre”.

Jean-Pierre RICHARD Poésie et profondeur, 1955

“On voit maintenant où tend la poésie baudelairienne: à remplacer, chaque fois que c’est possible, la lu- mière du jour par des lumières indépendantes; introduisant ainsi, dans son propre univers, à la place de la simplicité de la lumière céleste, une plu-ralité indèfinie de sources de lumière. L’univers baudelairien est un univers de lam-pes, de lustre, de réverbères, d’appareils d’éclairage de toutes sortes, ayant pour fonc- tion de capter, d’altérer et de recréer la lumière”.

Georges POULET Baudelaire et la lumière autonome, 1967

CONCLUSIONEAlla fine di questo lavoro, si può comprendere che la figura di Baudelaire può es-

sere elogiata o disprezzata. Proprio per il rapporto dialettico delle sue tematiche, per la dialettica presente all’interno di ogni uomo, per la contrapposizione tra natura e pa-radiso artificiale, Charles può essere considerato allo stesso momento o un malato di mente depresso e nervoso oppure il caposcuola delle correnti nate alla fine dell’Otto-cento. E’doveroso in questa sede cercare di dire qualche parola in difesa nei confronti di alcuni critici che rifiutano energicamente il capolavoro del poeta. Tra questi ve ne sono alcuni che comprendono meglio di molti ammiratori contemporanei e futuri lo spirito dell’opera: una raccolta che infatti ha per te- ma l’orrore viene meglio compre-sa da coloro cui questo male penetra nelle ossa, nonostante le loro invettive, che da co-loro che non sanno far altro che prorompere in entusiastiche espressioni sul risultato artisti- co. Chi è afferrato dall’orrore non grida e nemmeno si congratula col poeta per la sua originalità. Persino l’ammirazione nei confronti di Flaubert è troppo estetica, no-nostante sia formulata in modo eccellente. Comunque sia l’idolatria per l’arte attuata da Baudelaire ci tiene tutt’oggi in suo potere, anche senza che noi ce ne accorgiamo. Il suo dandysmo e le sue pose non sono che le maschere con cui il disperato lottatore de-ve travestirsi per condurre una battaglia. Chi si occupa di lui, scopre subito al primo verso che la sua estetica non ha nulla in comune con l’atteggiamento dei formalisti par-

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nasiani e pre-parnasiani di Gau- tier e di Leconte de Lisle. Le Fleurs du mal hanno una ben più vasta apertura: l’autore non può scompari- re dietro la sua opera ma, dopo una sorta di autoanalisi a mò di introspezione, si trova sempre al centro di essa.

Non si può negare poi il fatto che fino al primo sessantennio del nostro secolo les Fleurs du mal erano la raccolta francese più tradotta e i suoi vari scritti minori oggetto di continui e antitetici commenti in quanto la personalità, la formazione, l’eredità, l’idea di religione, l’estetica e le immagini del poeta erano oggetto di altrettante discus-sioni. Charles resta quindi un punto di arrivo per comprendere il periodo romantico e il suo declino e allo stesso tempo è il punto di partenza per lo studio e l’approfondimen-to del- la poesia a lui successiva che influenzerà, come ho già accennato, anche il no-stro secolo.

Leggendo in questo lavoro alcune poesie di Baudelaire, il lettore potrebbe facil-mente impersonificarsi nel poeta che guarda e ammira i paesaggi oscuri e macabri, me-tafore usate per indicare la corruzione interna e spirituale dell’uomo; potrebbe poi tro-varsi di fronte ad attualissime tematiche, presenti anche nella poeti- ca contempora-nea, come la noia, la solitudine, il disprezzo verso il mondo e verso l’uomo; infine il let-tore potrebbe prestare attenzione alla grandezza poetica di Baudelaire che è un genio nel suo campo. Il poeta, pur seguendo le tradizioni metriche classiche del suo periodo, riesce ad esprimere in modo nettamente diverso ai suoi contemporanei i suoi senti-menti. La sua passione per il macabro, per ciò che è disprezzato, per gli uomini più po-veri e malconci si riscontra benissimo nei testi non solo poetici ma anche nei saggi che solitamente si mettono in secondo piano, che però contengono (in modo differente) le sue idee fondamentali.

Secondo Baudelaire il mondo umano va incontro ad un destino oscuro e infelice poiché l’uomo, con il continuo aumento del progresso, si troverà di fronte allo spleen, alla noia che pian piano lo annullerà. Charles però spera in un ideale che lo possa sal-vare: questo quid coincide con la fine stessa dell’uomo. L’uomo allora per fuggire dalla noia non può far altro che occuparsi di qualcosa che almeno temporaneamente lo libe-ri dal nemico: Baudelaire, per conto suo, cerca di comunicare con l’uomo e con l’infini-to attraverso la poesia.

Baudelaire è sì un poeta maledetto ma è anche vero che, come i suoi contempora-nei, cerca un ideale per cui vivere, un qualcosa che lo liberi da un destino prefissato.Vorrei concludere allora il lavoro con una frase riassuntiva che esprime la ricerca di questo infinito contrapposto alla vita opprimente e negativa:

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“...sentendo della vita l’estasi e l’orrore, mi sento insoddisfatto non cerco più né la felicità, né il dolore, ma sono desideroso di un oblio che mi riscatti dal grigio, dalla noia, dallo spleen...”.

BIBLIOGRAFIA

• BAUDELAIRE, Lo spleen de Paris, Rizzoli editore, Milano 1955 • F. CASNATI, Baudelaire, Morcelliana, Como 1945 • M. COLASANTI, Baudelaire: Paradisi artificiali, classici Ben, Roma 1996 • G.RABONI E G. MONTESANO, Opere, Mondadori, Milano 1996 • F. NATHAN, Baudelaire: les Fleurs du mal et autres ècrits, Nathan, Paris 1991 • C. VIVANTI, Età contemporanea, Marietti, Milano 1992, pag 369-370

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