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Archeologia e Progetto paesaggi antichi lungo la via Clodia tesi di laurea nella facoltà di architettura facoltà di Architettura t 0000,00 www.gangemieditore.it DISTRIBUZIONE ITALIA - ESTERO VERSIONE DIGITALE EBOOK /APP:

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Archeologia e Progettopaesaggi antichi lungo la via Clodiatesi di laurea nella facoltà di architettura

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DISTRIBUZIONE ITALIA - ESTEROVERSIONE DIGITALE EBOOK /APP:

con i contributi di

Elisabetta Pallottino

Francesco Cellini

Alessandra Carlini

Paola Porretta

Cristina Casadei

progetto grafico di

Elena Caroti

Laura Della Sala

Archeologia e Progettopaesaggi antichi lungo la via Clodia

tesi di laurea nella facoltà di Architettura

Luigi Franciosini

Archaeology and Architectureancient landscapes along Via Clodia

degree theses in the School of ArchitectureDirettore del Dipartimento di Architettura (DARC) Elisabetta [email protected]

Aule, uffici di presidenza e laboratori didatticiLargo Giovan Battista Marzi, 10tel. 06 57339710

Corso di laurea triennaleScienze dell’architettura

Corsi di laurea magistraleArchitettura - Progettazione ArchitettonicaArchitettura - Progettazione UrbanaArchitettura - Restauro

Dipartimento di Architetturaex-MattatoioLargo Giovanni Marzi, 10 ArgiletumVia della Madonna dei Monti, 40

Corsi post lauream

Master internazionale di II livelloArte, Architettura, Cittàhttp://www.articiviche.net/LAC/MAAC.html

Master internazionale di II livelloArchitettura | Storia | Progetto www.masterasp.eu

Master internazionale di II livelloHousing_Nuovi modi di abitare tra innovazione e trasformazione www.masterhousing.it

Master internazionale di II livelloRestauro architettonico e cultura del patrimoniowww.restauroarchitettonico.it

Master internazionale di II livelloMaster europeo in Storia dell’architettura

Master Internazionale di II livelloInnovazione nella progettazione, riabilitazione e controllo delle strutture: valutazione e adeguamento in zona sismicawww.mastermica.org

Master Internazionale di I livelloProgettazione Sostenibile www.progettosostenibile.org

CORSI DI PERFEZIONAMENTO

OPEN_Progettazione dei parchi e dello spazio pubblico Storia e ProgettoCultura del Progetto in Ambito Archeologico

DOTTORATI

Architettura: innovazione e patrimonio Paesaggi della città contemporanea. Politiche, tecniche e studi visualiDottorato internazionale di architettura Villard d’Honnecourt Scuola dottorale Culture e trasformazioni della città e del territorio

Cura redazionale: Alessandra Carlini, Cristina Casadei, Giulia CerviniTraduzioni: Cristina Casadei, Laura Della Sala

In copertina:Norchia [ foto di Stefano Colagrande, Gianmarco Mattei ]

Le foto pubblicate in questo volume sono di proprietà degli autori degli articoli.

Volume stampato con il finanziamento del Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Roma Tre e il contributo dell’ex facoltà di Architettura dell’Università degli Studi di Roma Tre

indice

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plastici territoriali realizzati presso la facoltà di Roma Tre con l’ausilio della macchina a controllo numerico e del tecnico Massimiliano Pontani

1_ Tarquinia2_ Norchia3_ Luni sul Mignone4_ San Giovenale5_ Cerveteri

PrefazioneElisabetta Pallottino

Architettura per l’archeologiaFrancesco Cellini

Paesaggi antichi lungo la via Clodia. Introduzione al laboratorio di tesi di laurea in progettazione architettonica nel contesto territoriale dell’Etruria MeridionaleLuigi Franciosini

Indagine storico-cartografica lungo il tracciato della via ClodiaAlessandra Carlini e Paola Porretta

Leggere il paesaggio: sistemi di percorrenza e modi di abitare il territorio nell’Etruria Meridionale Alessandra Carlini

Progetto di assetto generale dell’area delle necropoli della TusciaCristina Casadei

Esperienze progettuali

Cerveteri. Comprensione dei paesaggi sepolcrali e nuova fruizioneElena Caroti

San Giovenale. Valorizzazione e fruizione del sito archeologico. Protezione e musealizzazione dell’insediamento etrusco del BorgoGiulia Cervini, Ilaria De Vito

Luni sul Mignone. Analisi ed interventi per la valorizzazione ed una migliore fruizione dell’area archeologicaSilvia Austeri, Guglielmo Bartocci, Roberto Boniventi

L’area archeologica di Norchia

Norchia. L’antico fossato etrusco e l’accesso meridionaleManuel Giugliano

Norchia. Accesso ovest e collegamento tra la cava buia ed il pianoro settentrionaleCarolina Reale

Norchia. Valorizzazione del castello e del castelletto adiacente al complesso del castrum medievale nel settore occidentale del pianoroStefano Colagrande, Gianmarco Mattei

Norchia. Pianoro settentrionale e pieve di San PietroSara Antonini, Marta Buccellato, Rusco Castiglia

Norchia. Recupero della chiesa di San PietroMarco Frosi

Tarquinia. Recupero delle antiche connessioni tra la città dei vivi e la città dei morti.Laura Della Sala

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E’ un paesaggio culturale, opera congiunta della natura e dell’uomo, quello che a metà Ottocento George Dennis raccontò nelle Cities and cemeteries of Etruria, in una visione romantica di rovine, memorie e misteri, illustrata dai suoi schizzi e da quelli dell’amico pittore Samuel James Ainsley. Se ne percepiscono ragioni e tratti peculiari soltanto camminandovi dentro senza sosta come fece Dennis, viaggiatore ed esploratore britannico già abituato ad analoghe fatiche in Portogallo e in terra di Andalusia. Ricognizioni, citazioni antiquarie, racconti e disegni realizzati con la camera lucida gli permisero di individuare e studiare le identità dei luoghi e di raccontarle a studiosi, turisti e studenti di allora. E con tutti loro, alla fine della prefazione, si scusava per l’incompletezza e i possibili errori spiegando con le parole di Plinio il Vecchio quanto fosse difficile “trovare il senso di ogni cosa e prendere ogni cosa nel suo vero senso”. Alla ricerca e alla rivelazione del senso dei paesaggi antichi, alcuni un tempo lungo un percorso che poi prese il nome di via Clodia - Cerveteri e Tarquinia, San Giovenale, Luni sul Mignone e Norchia -, contribuisce il lavoro che segue, frutto dell’amore di Luigi Franciosini per questi luoghi e dell’attenta e appassionata attività di ricerca e formazione da lui promossa nel Dipartimento di Architettura di Roma Tre. I progetti e gli studi delle tesi di laurea, i disegni e i plastici soprattutto, raccontano natura, orografia e architettura sepolcrale, strade, forre, fossi e pianori, rocce tufacee della terra e dell’uomo. E’ uno degli sguardi possibili, un modo di riscrivere oggi il paesaggio degli Etruschi e di raccontarlo a chi lo percorre, dopo secoli di oblio o di trasformazione, in coda alle ricostruzioni poetiche e materiali che lo hanno reinventato dal Settecento in poi, dall’antiquaria alla scienza storica e archeologica, alla letteratura di pilgrimage e alla poesia di Dennis, Carducci, Lawrence, Cardarelli e Huxley, ai restauri novecenteschi di Raniero Mengarelli, instancabile nuovo artefice della Necropoli della Banditaccia. Anche la cultura contemporanea degli architetti può declinare con diversi accenti il suo amore per questi luoghi e dedicare al paesaggio dell’Etruria meridionale sguardi e azioni di valorizzazione capaci di affiancare archeologia, scienze del patrimonio e del territorio, restauro e progetto del paesaggio e dell’architettura. Ne sono un esempio di grande interesse le tesi che qui si pubblicano, un’esperienza didattica che prende le mosse da un finanziamento regionale del 2010-2012 per una ricerca dal titolo Regione Lazio: luoghi d’identità diffusa per il turismo culturale che Alessandra Carlini e Paola Porretta hanno svolto per due anni sul territorio della Tuscia, come è brevemente riassunto nel loro testo. Su questo tema nuove pubblicazioni di studi e di tesi sono in programma e diverse iniziative sono in corso nelle attività didattiche e di ricerca delle lauree magistrali e del terzo livello del Dipartimento di Architettura, anche in risposta ai numerosi progetti di valorizzazione che strutture ministeriali, Regione Lazio e associazioni promuovono in questi mesi. La ricerca sul paesaggio culturale è ancora all’inizio e si presenta come un orizzonte molto promettente di attività universitaria multidisciplinare e interdipartimentale, capace di istruire una programmazione integrata di valorizzazione del territorio storico e del suo patrimonio: gli studi e i progetti architettonici pubblicati in questo volume ne sono un bellissimo esempio e costituiscono un modello di integrazione tra ricerca e didattica.

La necropoli della Banditaccia agli inizi del Novecento durante i lavori di Raniero Mengarelli, dalla tesi di laurea in Architettura di Federica Gagliardini, Osservatorio dei restauri della Necropoli della Banditaccia (1908-2007), relatore E.Pallottino, 2013.

Prefazione

Elisabetta Pallottino

Questo volume fa seguito ad altre due pubblicazioni sul tema prodotte negli anni dalla nostra Facoltà, oggi Dipartimento, confermando il nostro originario, permanente e profondo interesse (come docenti, studenti, laureandi, ricercatori ecc.) alla sperimentazione progettuale architettonica nel campo della valorizzazione del patrimonio. Siamo infatti convinti che il vasto, e molto eterogeneo, insieme dei così detti Beni Culturali non possa essere efficacemente curato, né veramente custodito, soltanto dai preposti organi di salvaguardia, conservazione e manutenzione; che esso non debba essere un campo di studi esclusivo, riservato esclusivamente ai tradizionali e consolidati specialismi, e che, infine, non possa essere gestito semplicisticamente affidandolo ad una mera logica turistica, nei fatti sempre più triviale e tuttavia sempre meno economicamente redditiva. Intanto la cultura dell’architettura e gli strumenti conoscitivi che gli sono propri avrebbero sul tema un grande spazio, come è stato nel passato; è necessario però liberarli dalle scorie che vi hanno depositato decenni di insensato, vuoto e fuorviante protagonismo mediatico. Ma è in realtà il progetto di architettura che deve oggi avere ancora più spazio; perché, alla fine, i beni culturali stanno nelle città, nelle periferie e nei territori, come presenze spesso mute, spesso invadenti, problematiche e talora persino fastidiose per la vita di tutti i giorni, aspettando (invano) cura, armonizzazione, pubblica comprensione, conoscenza, uso, restauro del senso e della storia. E questo può farlo solo un intervento attento, equilibrato, consapevole e, soprattutto, di architettura. Questo, a grandi linee, è l’obiettivo che da anni ci siamo posti: l’abbiamo avuto nella didattica dei corsi di laurea e dei master, nelle tesi (sempre più numerose), nelle ricerche individuali e collettive, nei rapporti scientifici nazionali ed internazionali e pure nei progetti professionali che ci è stato possibile intraprendere. Come è naturale tutto questo bagaglio di esperienze ha permesso una progressiva precisazione ed affinamento dei metodi e, pure, delle nostre ambizioni: per esempio, col contributo di altri colleghi interessati alla cosa, abbiamo appena intrapreso un dottorato consortile appunto su ‘Innovazione e Patrimonio’. Ma quest’evoluzione apparirà chiara anche a chi vorrà confrontare i contenuti di questo volume con quelli dei due precedenti. I primi infatti testimoniano un approccio appassionato, ma non completamente ordinato riguardo i casi indagati; abbiamo infatti cominciato sollecitati dalle occasioni e dalle emergenze della nostra città (i Fori imperiali, il Circo Massimo, gli acquedotti ecc.) o da specifiche proposte e interessi dei singoli (noi stessi, i ricercatori, i laureandi ecc.); poi tutto ora è diventato più strutturato e sistematico.Qui, in questa raccolta, infatti si parla di paesaggio e di Etruria meridionale, proponendo (in consonanza con una ricerca dipartimentale) una sequenza di progetti geograficamente e metodologicamente coerente, che nell’insieme si costituisce come l’esordio di una futura e compiuta analisi scientifica e insieme come una narrazione (quasi una guida) di un territorio storico. Il quale poi è straordinario e ricchissimo, poco abitato e quasi del tutto sconosciuto e documentato, almeno nella sua struttura generale: inselvatichito, abbandonato dall’agricoltura, oggetto di una mal distribuita protezione paesaggistica, orientata a garantire un’astorica naturalezza, meta di gitanti occasionali e di tombaroli, esso tuttavia contiene un’infinità di testimonianze antropiche plurisecolari (plurimillenarie) e pluriculturali. Qualcuna di esse (Cerveteri, Tarquinia, Tuscania ecc.) è parte del patrimonio ufficialmente e turisticamente noto. Qualche altra è stata approfonditamente analizzata dagli archeologhi e spesso è rimasta lì, a scavi aperti, abbandonata e quasi irraggiungibile, proponendosi come un naturale oggetto di nuovi studi e interventi. Ma il tema più interessante e sorprendente, che accomuna tutti i progetti presentati, è quello della riscoperta e descrizione delle relazioni fra orografia, insediamenti, luoghi sacri, sepolture, percorsi, ponti, tagliate e sentieri: reti vitali e caratteristiche di ogni civiltà e della sua visione del mondo, dissimili e sovrapposte l’una sopra l’altra dalla violenza della storia e dei vincitori, ma ancora in parte riconoscibili e, se riconosciute (che appunto qui è dimostrato possibile), parlanti, coinvolgenti, commoventi ed educative.

Architettura per l’archeologia

Francesco Cellini

This volume follows other two publications issued by our University. During these years the School of Architecture of the Roma Tre University has been strongly involved in the architectonic design sperimentation for the enhancement of the cultural heritage.The Italian wide-spreading cultural heritage deserves more than what it has nowadays. More than the mere safeguard and maintenance, more than a management that furthers only the touristic aspect of it.Such cultural heritage nowadays lives as a silent presence within the cities, the suburbs, the landscape, waiting for an intervention that would make it more understandable. The ideal intervention would be an architectural one and represents the goal that we as teachers, students, researchers aimed to reach within these years. It has been a constant growth that can be easily understood just by looking at the differences between these three publications. The first two publications show a passionate, although not systematic approach. This book instead offers a methodical study of the landscape, more specifically, the landscape of Southern Etruria. The main theme of this study is the recovery of the relations between the morphology of the territory, the urban settlements, the burial settlements and the paths through the natural and anthropic environment.Such relations generated a widespread system that belong to each one of the ancient civilizations and that has still much to say and teach to whom is able to understand it.

A “cultural landscape” is the result of many natural and anthropic stratifications.During the 19th Century several researchers studied, represented, reinterpreted and poetically described such type of landscape. This book collects architectural degree theses dealing with the ancient landscapes along Via Clodia.Such works represent a beautiful example of how the research into the cultural landscape is taking place at the University of Roma Tre.They may became a model to follow in order to integrate research and teaching.

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Premessa Questa pubblicazione raccoglie ed ordina i risultati del lavoro prodotto nel Laboratorio di Tesi di laurea in Progettazione Architettonica da me coordinato negli anni accademici 2011-2013, iniziativa didattica integrata alla ricerca co-finanziata dalla Regione Lazio e dal Dipartimento di Progettazione e Scienze dell’Architettura dell’Università degli studi di RomaTre dal titolo: Luoghi d’identità diffusa per il turismo culturale. Programma di ricerca diretto da Elisabetta Pallottino e condiviso, oltre che dallo scrivente, da Alessandra Carlini, Paola Porretta con il contributo di Cristina Casadei.Il campo di applicazione della ricerca si identifica con il territorio dell’entroterra laziale compreso tra il tracciato della via Cassia e quello della via Aurelia, tra la costa tirrenica e il sistema vulcanico dei monti Cimini, Sabatini e i monti della Tolfa, territorio comunemente identificato con l’Etruria Meridionale.Lo studio si concentra sull’antico tracciato della via Clodia1 nello sviluppo extra urbano dalla stazione di Tomba di Nerone (Ad Sextum), nei pressi di Roma, a quella di Tuscania2 (Tuscana), importante caposaldo territoriale della via consolare romana nel cuore dell’Etruria, estendendosi ai centri antichi di origine Etrusco-Romana che caratterizzano l’articolato sistema antropico dell’alto Lazio Viterbese (San Giuliano, San Giovenale, Luni sul Mignone, Blera, Norchia). Studi geografici, ambientali, storico-archeologici ed urbani caratterizzano il metodo di indagine, nell’obiettivo di restituire l’identità fisica e culturale di un importante territorio dell’Italia antica. Una ricognizione scientifica centrata sull’identificazione e riconoscimento dei valori e peculiarità del patrimonio culturale ed ambientale del luogo per l’attuazione di una piattaforma-museo virtuale in grado di restituire l’insieme delle qualità del territorio e per la sua potenziale valorizzazione. Inoltre il lavoro si è posto come obiettivo quello di implementare il sistema informativo fornendo alle istituzioni locali (comuni, provincie, associazioni, etc.) uno strumento guida di tipo collegiale per meglio coordinare le trasformazioni del territorio. In questo quadro strategico si individua l’attività del Laboratorio di Progettazione Architettonica, vero e proprio campo di sperimentazione teorico-applicativa sul rapporto tra territorio, storia, paesaggio e progetto. Il contesto storico-archeologico e paesaggistico è considerato come un momento educativo della formazione dell’architetto: un impegno all’ascolto e all’interpretazione della struttura complessa del paesaggio, sintesi e palinsesto materico del racconto del tempo nello spazio. La ricerca si situa in un campo di interazioni disciplinari molto ampio: dall’archeologia alle tecniche della conservazione, valorizzazione e musealizzazione; dalla storia del restauro e del pensiero estetico e filosofico alle tecniche compositive, tecnico-costruttive e strumentali. Un campo, questo, fisiologicamente aperto e in continuo sviluppo.

a sinistra: Carta Geologica dello Stato pontificio, G. Ponzi, 1831 -1846

sotto: individuazione delle aree di interesse

Paesaggi antichi lungo la via Clodia.Introduzione al laboratorio di tesi di laurea in progettazione architettonica

nel contesto territoriale dell’Etruria Meridionale

Luigi Franciosini

L’area di studio del LaboratorioLungo il tracciato della via Clodia, risalente al III sec. a.C., che descrive il potenziamento romano della preesistente direttrice etrusca in direzione Nord-Sud dell’Etruria), è stato individuato un settore territoriale più integro e meglio conservato dal punto di vista ambientale, rispetto a quelli più prossimi ai centri urbani (coinvolti da trasformazioni e dagli sviluppi edilizi recenti), caratterizzato dalla presenza di nuclei edilizi di origine etrusco-romana e medioevale di grande valore storico artistico e da importanti complessi monumentali: dagli abitati protostorici risalenti alla civiltà villonoviana dell’età del bronzo alle necropoli rupestri, alle chiese romaniche. Un articolato sistema storico-archeologico inserito nel qualificato contesto ambientale e paesistico dell’Etruria Meridionale.Più specificatamente l’area di studio ha compreso, lungo il tracciato della via Clodia, i centri di Barbarano Romano, con il complesso archeologico di San Giuliano, identificato con il toponimo di Marturanum, l’abitato di Blera, la medioevale Bieda, importante città etrusca poi municipio romano, la località di Grotta Porcina, la città di Norchia, Orcla, per concludersi con l’abitato di Tuscania, importante centro identificato come la città degli Etruschi dal riferimento all’etnico Tusci. Inoltre, seguendo i diverticoli aventi origine dalla via Clodia, sono stati compresi il complesso archeologico di San Giovenale e quello di Luni sul Mignone, dalle importanti tracce di fasi protostoriche risalenti dell’età del bronzo. Infine l’area di studio si è estesa tanto da comprendere le due grandi città costiere dell’Etruria, Cerveteri e Tarquinia, centri di controllo politico ed economico dell’entroterra.

This book is a collection of the works produced within the Educational Workshop for degree thesis in Architectonic Design that I coordinated during the years 2011-2013.This teaching initiative has been part of the research co-funded by Regione Lazio and by the Department of Architecture of Roma Tre University: “Luoghi d’identità diffusa per il turismo culturale”. The research project has been directed by Elisabetta Pallottino and shared by me, Alessandra Carlini, Paola Porretta and Cristina Casadei within. The object of the research is the inland territory of northern Lazio, known as Southern Etruria. It is delimited on the one hand by the Cassia route and the Aurelia route, and on the other hand by the Tyrrhenian coast and the volcanic system of Cimini, Sabatini and Tolfa mountains. The research in particular focuses on the ancient Via Clodia path, in particular in the hinterland stretch that goes from “Ad Sextum”, near Rome, to Tuscania. This stretch of the Via Clodia connects the ancient etruscan-roman cities of the northern Lazio.The analysis method examines geographical, historical, archaeological and urban documents. Our aim is to restore the physical and cultural identity of such important area of ancient Italy. Dealing with the landscape and with the historical and archaeological context is an important part of the formation of an architect, an exercise in understanding the structure and the complexity of the places that represent in the space the synthesis of the story of time.

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Il contesto: cenni storici e geografici.La morfologia del territorio dell’Etruria Meridionale è il prodotto delle ceneri proiettate dall’attività eruttiva dei vulcani laziali (Sabatini, Volsini e Cimini): una spessa coltre di materiale tufaceo e di vene basaltiche depositate su uno strato di terreno sabbioso-argilloso di origine pliocenica. Vasti ripiani tufacei con modestissima altitudine (tra i 350 e i 50 m s.l.m.) discendono dalle creste dei crateri verso le valli circostanti. Sulla superficie scorrono infiniti torrenti e fiumastri che, lungo il corso del tempo, hanno prodotto profonde incisioni, alla base delle quali, tra il folto della vegetazione ripariale, scorrono silenziosamente tuttora. Così quest’antica superficie terrestre, per l’effetto dell’erosione prodotta dai corsi d’acqua, si descrive come fosse una mano dalle dita orientate, da un lato, facendo centro sulle antiche caldere, oggi bacini lacustri, dall’altro, diramate a ventaglio verso ponente sulla costa tirrenica e, ad oriente, sulla piana alluvionale del Tevere. Vasti ripiani difesi naturalmente da alti speroni tufacei rosso-giallastri, precipiti sulle valli sottostanti, un tempo esclusivo dominio delle macchie e delle selve, furono lungo il corso del tempo luoghi mitici di fondazione di villaggi e città oltre a divenire scena di quel lento processo di trasformazione che plasmò il territorio in paesaggio del lavoro umano. Per effetto di questa morfologia la fisionomia del territorio si presenta quindi compresa tra tre caratteri principali: quella dei pianori con andamento orizzontale, espansa profondamente sugli orizzonti fino ad incontrare a Est, i rilievi pre-appenninici ed ad Ovest la costa del mar Tirreno: paesaggio della pastorizia brada e transumante, della coltivazione estensiva del grano e delle colture arboree dell’olivo e della vite; e quella delle forre, caratterizzata da una spazialità maestosamente verticale, dai profondi burroni di roccia vulcanica, bordati da macchia sempreverde del leccio e del bagolaro, e da un fondo valle piatto, umido, alluvionale, un tempo occupato da oasi di colture irrigue. Infine il paesaggio delle selve tutte aggrappate sulle pendici degli apparati vulcanici e discendenti lungo i crateri fino ad incontrare i bacini lacustri: selve impenetrabili di faggi e castagni impongono un carattere selvaggio ed primordiale al luogo. Tra il XII e l’VIII secolo a.C. tra le colline metallifere della Tolfa, delle valli dei fiumi Mignone, Marta e Fiora si affermerà la civiltà centro italica che prenderà il nome di Villanoviana, comunemente considerata la prima manifestazione della

cultura Etrusca. Ma già all’inizio dell’VIII secolo l’Etruria vide rapidamente il passaggio da una fase arcaica, ad una fase che “segna l’inizio di una civiltà orientalizzante, dominata dalle importazioni, dalla sollecitazioni e dalle ideologie provenienti dal vicino Oriente e dalla Grecia (per altro già pienamente protesa verso la colonizzazione dell’Italia meridionale) con alte concentrazioni di poteri e ricchezze, aggregazioni urbane, espressioni monumentali, diffusione della scrittura: cioè segna l’inizio dell’età di piena, ed anzi massima fioritura del popolo etrusco”3.Delle città etrusche fondate sui pianori dei banchi tufacei, difese dai dirupi naturali a strapiombo sulle valli irrigue, costruite con assi di legno e blocchi ciclopici di tufo ormai è sparito quasi tutto. Poco è visibile: le rovine superstiti gemono sotto le murature degli abitati medioevali o, quando ancora seppellite tra i campi, soffrono il vomere dell’aratura. Per inverso rimane visibile molto delle città dei morti: necropoli, sepolcreti e grandi monumenti funerari, emergono solenni nel scenario selvaggio di questa Etruria: scavate e modellate fuori dai perimetri dei centri abitati, costituiscono il contrappunto simbolico, l’altra città, segno distintivo nel paesaggio per indicare la continuità con l’altra vita, ed essere anche monito per aver celebrato tra i vivi le memorie e ed aver indicato i destini della classe egemone: “una tomba era davvero un oggetto da pensare da vivi ancor più che abitare da morti.” 4

Indipendentemente dalla forma, dal tipo, dalla ricchezza e monumentalità esse costituiscono un enorme patrimonio di conoscenza per comprendere quel variegato percorso evolutivo che la civiltà dei Tirreni, gli Etruschi, principale artefice della prima Italia, compie attraverso i contatti e scambi nel contesto delle più evolute civiltà del mediterraneo orientale, cicladico, euboico ed anatolico. Tuttavia, in questo immane sforzo d’emulazione, di conoscenza e riadattamento, rimane visibile una identità culturale, distinta e riconoscibile, se confrontata con il contesto di civiltà e di culture millenarie provenienti dal Mediterraneo antico. Le eccezionali emergenze archeologiche diffuse in questo territorio -come ad esempio i monumentali complessi di necropoli rupestri e di monumenti funerari come quelli di S. Giuliano, Blera, Grotta Porcina, Norchia, Tuscania, Sovana, Castel d’Asso, o i resti di abitati villanoviani ed etruschi di Luni sul Mignone e di San Giovenale o le straordinarie necropoli

Nella pagina precedente: il paesaggio dell’Etruria Meridionale: la forra del Vesca presso San Giovenale.

In questa pagina ed in quella accanto: la necropoli del Laghetto a Cerveteri. Tombe a fossa e a pozzetto scavate sul banco affiorante di tufo, IX-VIII secolo.

della Banditaccia di Caere e di Tarquinia- testimoniano l’unicità e la grandiosità artistica ed architettonica nel coevo contesto italico.Alle soglie del III sec. a.C., quando l’egemonia delle grandi città Etrusche è decaduta (Veio, Cerveteri, Tarquinia e Vulci sono ormai definitivamente sottomesse a Roma), dell’antico sistema di vie e di tagliate (quella fitta rete di mobilità che aveva per secoli assicurato rapporti economici e commerciali tra la costa tirrenica e l’entroterra, da Est ad Ovest, attraverso le direttrici che da Veio conducevano a Cervetere e a Tarquinia, e da queste verso i territori dell’entroterra fino al Tevere) rimane ben poco; un nuovo assetto politico e territoriale subentra favorendo la creazione di nuove strade di comunicazione: moderne direttrici stradali, (sebbene conformate su antichi tracciati etruschi) penetrano da Sud a Nord, da Roma verso i territori a settentrione. E tra queste strade compare la via Clodia, un asse di attraversamento posto tra il tracciato costiero dell’Aurelia e quello della via Cassia che corre sulle pendici di ponente della Selva Cimina. Con la decadenza delle città costiere di Cerveteri e Traquinia, e la conseguente romanizzazione dell’Etruria Meridionale, si assiste ad uno sviluppo di piccoli centri agricoli spostati nell’entroterra. Polarità urbane tutte allineate lungo la romana direttrice della via Clodia (Veiano, San Giuliano, Blera, Norchia, Tuscania, Sovana, etc.). Un retroterra che sarà caratterizzato dalla realizzazione delle monumentali necropoli rupestri, espressione artistica tra le più rilevanti dell’Etruria interna, monumenti in grado di trasferire il clima culturale della regione dall’età arcaica a quella della penetrazione e colonizzazione romana testimoniata dalla costruzione della nuova direttrice stradale.5

Il processo di decadenza di questi centri urbani e della campagna si accentua con l’età avanzata imperiale dove, unici testimoni di quel grande ed eroico passato rimangono isolate nel paesaggio, le ville rustiche di estesi latifondi che man mano si erano sostituiti alla minuta struttura agricola, costituita da piccole proprietà terriere.Con la caduta dell’impero Romano d’Occidente (476 d.C.), quel fenomeno di graduale spopolamento dei centri urbani e del territorio agricolo è scena di invasioni e devastazioni (Goti, Bizantini, Longobardi) tanto da determinare profondi cambiamenti dell’originario assetto naturale ed antropico.

Il VI sec. d.C. è polarizzato dalle continue lotte tra Bizantini e Longobardi conclusesi con il trattato di pace del 605 che segnò la spartizione definitiva della Tuscia in Romanorum e Longobardorum sotto il dominio bizantino. Una divisione che andava a confermare l’antica demarcazione etnico-culturale tra i territori di levante (Falisco, Volsinese) e quello Tarquinense, di ponente. Una divisione che troverà nel tracciato viario della Cassia, strada Beati Petro Apostoli, la sua frontiera.Il lungo conflitto tra Papato ed Impero si protrarrà fino alle soglie dell’VIII sec. quando si formerà l’entità del Patrimonio Beati Petri 6, con la conseguente definizione amministrativa e fisica in Cattedre Vescovili: le diocesi. Ne emergerà, dopo un lungo intervallo di inerzia edilizia, una rinascita dei nuclei urbani ricostruiti sopra le rovine dei centri etrusco-romani allineati lungo la via Clodia e sui diverticoli minori di antica origine Etrusca. Nuove cattedrali e chiese basilicali dalle imponenti torri campanarie, si innalzeranno come solenni moniti sul paesaggio dei pianori e delle forre dell’Etruria: con un lessico architettonico misurato tra l’eredità tardo-antica e bizantina e gli impulsi internazionali franco-lombardi e musulmani, daranno un impulso decisivo per lo sviluppo storico-artistico dell’architettura italiana del medioevo.Ed è proprio lungo l’antica Clodia (che vide Carlo Magno percorrerla per essere incoronato re dei Franchi da papa Adriano) nel cuore dell’Etruria meridionale, tra Blera, Orcla (Norchia) a Sud e Sovana a Nord, che verrà istituita la diocesi di Tuscania, la più antica e potente tra tutte, che vantava il suo primo vescovo già nell’anno 595, Viburno Eposcopus Civitatis Tuscanensis, assecondando il flusso della prima penetrazione cristiana a Nord di Roma. Con le sue antiche chiese (San Pietro, Santa Maria Maggiore, XI-XIII sec.) costruite sulla vecchia acropoli - l’arx - tra le rovine dell’antichità etrusco romane7, Tuscania con i suoi monumenti diverrà il fulcro tipologico-figurativo dell’architettura religiosa del Patrimonio Beati Petri. Un linguaggio che impostato sulle solide basi ab antiquo e sul repertorio costruttivo dedotto da metodi e forme della tradizione locale, incontrerà quello Lombardo, quello di Cluny, quello islamico (proveniente dalla Sicilia araba), modulato dalle navate tripartite della basilica romana, dalla plastica delle absidi a catino, delle semicolonne e degli archetti pensili,

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oltre a risentire delle suggestioni della limitrofa maremma toscana e di Pisa. In questo quadro appaiono allora spiegarsi le assonanze architettoniche e decorative tra San Pietro di Orcla (antica denominazione dell’attuale sito di Norchia), ormai ridotta in rovina, i grandi esempi di San Salvatore e San Pancrazio di Corneto (Tarquinia), Santa Maria Maggiore di Cerveteri, con i grandiosi esempi Tuscanensi. La volontà di Enrico VI di Svevia, re ed Imperatore dei Romani e di Sicilia (attuata dalla bolla papale di Celestino III del 1193), per attuare lo spostamento da Tuscania a Viterbo dell’Autorità Ecclesiastica, città quest’ultima fondata nel cuore del comprensorio dell’Etruria “vicina alla Cassia, in diretto rapporto con Roma e il Nord, ma anche polo di accentramento di nuclei agricoli, con vasta possibilità di espansione nell’ambiente che l’aveva generata come necessario elemento di coordinamento”8 segnò l’inizio della decadenza dell’antica via Clodia, di Tuscania e di tutti i centri che su quell’arteria gravitarono.L’antica strada romana, la Clodia, ormai quasi del tutto declassata era stata sostituita dalla via Cassia divenuta nel Medio Evo la principale se non l’unica linea di congiunzione tra Viterbo e Roma.Con l’accentramento del potere religioso e politico su Viterbo, polarità strategica posta tra Roma e il Nord, si assisterà al declino dell’antica Tuscania che Bonifacio VIII (1235-1303) ribattezzò con il nome di Tuscanella, quasi a rimarcarne il suo nuovo destino di modesta cittadina della campagna dell’Etruria interna. Da questa fase ha inizio un lento ed inesorabile decadimento dell’Etruria Meridionale, la cui prosperità fu determinata dalla vitalità della via Clodia, dal suo completo inserimento nella continuità della struttura storica, sociale ed economica di quell’antico territorio etrusco, dei suoi insediamenti urbani e dei presidi agricoli. Il resto è storia dello Stato Pontificio e dei suoi latifondi e di una civiltà contadina isolata nel cuore della maremma laziale. La comparsa del Regno d’Italia non determinò sostanziali cambiamenti del territorio; semmai fu solo la più recente riforma agraria, quella degli anni ‘50 del secolo scorso, a imprimere una svolta imposta più dall’ansia di sopravvivenza che da altro. Tra bosco e macchia, che man mano inesorabilmente si sono andati riappropriando dei pianori e delle balze, dei terrazzamenti, degli orti e degli antichi giardini recinti, sporadiche ora appaiono le coltivazioni da frutto dell’olivo e della vite: prevale il paesaggio

della steppa e del pascolo brado e transumante, e verso il mare, nelle prossimità di Corneto, la visione delle ultime ondeggianti distese di grano. Ovunque resti di antiche dimore, ovunque frammenti etruschi e romani dispersi tra la campagna e le selve o affioranti tra le murature dei borghi medioevali difesi da rocche e castelli: “tra le pietre rimaste nasce il grano e serpeggia l’aspide pigro9”. Di quell’impronta che l’uomo incise sull’ambiente naturale attraverso la sapiente geometria delle forme della trasformazione (campi, filari, terrazzamenti, canali, pozzi, strade, tratturi, ponti, porte, altari e santuari, dimore e città), rimane ormai, seminato tra gli altopiani e le valli, solo una vaga presenza, frammenti dispersi nella solennità del paesaggio dell’Etruria.

Camminare un territorio Studiare un territorio, attraversarne il suo spessore storico, comprenderne i suoi caratteri fisici presuppone una formazione culturale e un controllo metodologico-strumentale adeguato rispetto all’ordinaria formazione dell’architetto; presuppone un’ apertura verso discipline -oggi riservate alla formazione specialistica- una unità di saperi, in grado di formare una sensibilità aperta a comprendere ed interpretare, strato dopo strato, fase dopo fase, il tempo e le ragioni dell’apparire della materia in forma: la consapevolezza del progettare in un paese antico. In fondo questo studio non aveva altro interesse che incontrare la storia dell’uomo, farla divenire centro delle nostre riflessioni. Intrappolata nello spessore della materia, gemente sotto la superficie del suolo, dei monumenti e delle città, dei campi, dei boschi, dei corsi d’acqua, dissolta tra gli orizzonti luminescenti del mare e delle rotte commerciali, stretta tra gli invasi precipiti delle forre, stratificata lungo le pareti di roccia e tra le cavità delle architetture rupestri, disseminata sugli antichi tracciati viari o sussurrata dall’ormai flebile memoria collettiva. Il fine era chiaro. Riconoscere un primato culturale d’arte e di civiltà dell’Italia antica, frammentato e sparso nelle trame del paesaggio e farlo diventare luogo di conoscenza e campo di sperimentazione. L’Etruria Meridionale, quella dei campi d’urne, dei villaggi capannicoli dell’età del bronzo e del ferro, delle necropoli rupestri e delle città etrusche, romane e medievali cresciute una sopra l’altra, e delle grandi cattedrali cristiane, solenni architetture sorte a rappresentare i poteri delle prime diocesi. Un incommensurabile

giacimento stratificato di sensibilità figurativa e tecnica fissato nella materia del tempo e dello spazio disseminato in un contesto fisico integro, inalterato. Un territorio che esige capacità d’osservazione e d’analisi, muovendosi tra dati materiali e l’inconsistente fluidità del pensiero e del mito. Un terreno fertile, generativo per la formazione dell’architetto consapevole, sensibile e culturalmente adeguato per operare in un contesto antico. Per questo scopo avevamo bisogno di un territorio liberato dalle forme della contemporaneità, cristallizzato in una dimensione senza tempo, intenso e narrante, quasi primitivo. Un luogo in cui le determinanti naturali e quelle antropiche si intrecciano e si susseguono a creare paesaggi sempre diversi, inconfondibili, dove le tracce dalla storia, quelle generate dagli incontri di saperi e di linguaggi (villanoviano, etrusco, romano, alto e basso medioevale, etc.), fossero ancora distinguibili, segni di lunga durata: relitti approdati, di soglia in soglia, assecondando il moto inerte del tempo nel nostro mondo contemporaneo in forme di reliquie. In questo contesto qualcosa poteva essere ancora distinto, riconosciuto, ripercorrendo a ritroso attraverso la scala del tempo, le ragioni che hanno da sempre stretto con un patto di necessità l’attività dell’uomo ad un territorio, generando corrispondenze tra morfologie e città, tra risorse ed economie, tra civiltà e cultura. Solo di storia avevamo bisogno, ma non solo di quella descritta per eccellenze, per maestrie (per quanto tante ne incontrammo) ma di quella diffusa, latente, balbettante in ogni cosa, radicata nei luoghi e nelle tradizioni, permeata nei dialetti e nella lingua colta, sepolta nei cumuli dei resti, sebbene così ricca da comprendere molti dei suoni e delle lingue che descrivono le civiltà del Mediterraneo antico (in questo senso basti pensare a quanto della cultura medio-orientale ed anatolica prima e araba, lombarda e francese influenzerà i caratteri tipologici e figurativi dell’architettura etrusco-romana e di quella medioevale). Che questa esperienza di conoscenza, di formazione didattica, non si esaurisse nell’analisi e nella sistematizzazione di carte, mappe e documenti d’archivio illustranti quel tutt’uno, il paesaggio, diviso scientificamente in segmenti e saperi (geografici, geologici, archeologici, topografici, storici, architettonici, etc.) ma che pretendesse per essere vera, autentica, per riaffermare l’unità della forma e del suo contenuto, un coinvolgimento dei sensi, una esperienza con

i piedi a terra, a ripercorrere luoghi di antiche frequentazioni, a distinguere tratturi da antiche vie, porte da mura, santuari da altari, villaggi da città, con le mani protese a saggiare durezze e fragilità delle materie, e gli occhi a cercare di distinguere nel groviglio della natura l’apparire delle forme dell’uomo -perché in un primo momento, nei primi sopralluoghi si seguitava a non vedere nulla a non distinguere quelle reliquie a percepirne le risonanze- tutto questo fu un compito necessario. Quanto più necessario tanto più sembra venir meno nella formazione dell’architetto contemporaneo, la richiesta di confronto diretto, con la natura storica che innerva il reale, nelle sue forme artistiche, tecniche, sociali, religiose, economiche, contenuto che determina, infine, le qualità e l’identità di un luogo, il suo spessore espressivo, la sua risonanza estetica. Ecco cosa ci proponevamo: ridiscendere la scala del tempo, partendo da quello che osservavamo nello spazio del reale, simulando l’esistenza di un momento primo in cui le cose avevano appena rivelato la loro identità. I tratti geo-fisici innanzitutto, dentro i quali man mano si era conformata la millenaria evoluzione storica dell’uomo -le morfologie delle lave e dei tufi e il vulcanismo, i bacini lacustri raccolti tra gli orli delle caldere, le forre generate dall’attività erosiva dei torrenti, i ripiani tufacei per poi ripercorrere la nascita e il permanere degli insediamenti umani, gli esordi dell’agricoltura, il tracciamento di tratturi e di antiche vie commerciali dall’entroterra al mare. Riconoscere, momento dopo momento, strato dopo strato, come il tutto aveva avuto origine, ripercorrendo le ragioni che spinsero le trasformazioni, le tecniche che modellarono il pensiero e le forme simboliche che ne fissarono il senso e l’appartenenza.

Sul rapporto tra memoria e paesaggio.Nella cultura contemporanea lo studio del paesaggio e del territorio sta diventando una pratica sempre più importante per comprendere l’identità fisica e culturale dei luoghi, e allo stesso tempo, identificarne strategie di tutela e di valorizzazione: naturalisti, geografi, geologi, archeologi, architetti, paesaggisti, storici, ecologi etc. integrano sempre più le loro competenze e metodologie di studio scientifico nell’obiettivo di ripercorrere e decifrare, strato dopo strato, il contenuto funzionale, espressivo ed estetico dell’ambiente che ci circonda. L’incontro di competenze e saperi diversi trova

Nella pagina accanto: la tomba del Cervo, lungo la valle del fosso di San Giuliano, IV secolo a.C.

In questa pagina: lungo il fondovalle del Pile tombe compaiono alcune tombe a dado, delle quali traspaiono

le incisioni delle finte porte.

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nella descrizione del paesaggio la sua sintesi, non essendo quest’ultimo altro che l’insieme della realtà visibile o meglio della realtà sensibile.Mappe geografiche, geo-morfologiche, analisi stratigrafiche e topografiche, rilievi archeologici e documenti storici, carte dell’uso del suolo e della vegetazione si integrano nell’attività di analisi, spiegando la struttura del territorio e la sua fisionomia.E’ questa una metodologia di studio, tanto oggettiva e concreta da rimuovere quanto di mistico ed oscuro, di metafisico, resiste ancora nel racconto del paesaggio. L’obiettivo è nel metter in atto delle buone pratiche di conoscenza (scientificamente fondate) capaci di sviluppare un sapere ed una metodologia operativa certa, indirizzata alla comprensione dello spazio per attuarne la sua tutela e valorizzazione.Il fine ultimo che muove le ragioni di questa esperienza, però, non si esaurisce nello sperimentare una metodologia operativa orientata alla comprensione delle risorse paesistiche, archeologiche e storico monumentali diffuse nel territorio, con tecniche e sensibilità culturali consolidate nelle procedure di tutela e riuso, ma costituisce sopratutto l’opportunità di guidare la formazione dell’architetto nell’incontrare il tempo, nel ri-conoscere il paesaggio come l’ultima facies di un lungo processo di trasformazioni, un contesto dinamico e vitale individuale e collettivo, naturale ed antropico, che ci accoglie.Nell’identificazione di questi valori svolge, a nostro avviso, un determinante ruolo anche l’esperienza diretta del tempo vissuto (ed interiorizzato) senza il quale il ri-conoscimento non si compie del tutto. In questo senso il rapporto con la memoria, diventa essenziale. Ma la memoria non esiste in assenza di una esperienza concreta: essa va man mano a formarsi accumulando dati su dati, sensazioni su sensazioni, associando fatti e cose, tanto da farci risuonare dentro il tempo. Normalmente, tale rapporto “descrive un modo di vedere, di ri-scoprire ciò che già possediamo ma che il nostro sguardo non è più in grado di capire. Ciò nonostante, invece di essere solo strumentale al ricordo di ciò che abbiamo perduto, esso è determinante sopratutto su ciò che possiamo ancora trovare”10. La memoria è attiva e produce consapevolezza, capacità interpretativa, capacità di integrazione e di re-invenzione.Sembrerebbe quindi, da questa affermazione,

che il paesaggio non si percepisca per intero, fino a quando non siamo capaci di abitare il nostro sguardo, di attivare quella forma di completamento, di piena identificazione, di riconoscimento della realtà come parte di noi, della nostra storia e del nostro destino. In questo senso non esiste un paesaggio materiale; può viceversa esistere un territorio, un ambiente, un luogo materialmente connotato, una geografia, un paese.Il paesaggio è piuttosto definibile come una visione mentale legata all’esperienza sensibile dell’individuo11, che scaturisce dall’integrazione e dalla complicità tra la dimensione reale delle cose che ci circondano (la natura, la città, la casa) e quella immateriale e psichica del ricordo, delle consonanze, delle affinità, delle durate, quella dimensione mobile, vitale ed aerea imprigionata nel corpo che la tradizione filosofica occidentale ed orientale chiama anima. In questo senso il paesaggio in assenza dell’uomo che lo interroga, è sempre indeterminato, inconsapevole, né bello né brutto, luogo senza confini, luogo dello spaesamento della mente: attende da noi, dagli occhi che vedono, il compiersi della sua metamorfosi, il suo completamento e il suo divenire forma, segno, simbolo, mito. L’anima, la psiche, il soffio, il vento che abita il corpo e fa fiorire il mondo, rappresenta il meta, lo strumento attraverso il quale il paese perviene al paesaggio, luogo parlante, identitario e poetico. Ma quando l’immagine del mondo e dei suoi paesaggi non è più il riflesso del tempo e delle idee, dei miti e degli investimenti ideali, né rinvia alla molteplicità di significati che si agitano sotto la sua superficie, allora tutto si fa buio, fermo, fisso. Il passato scritto nello spessore della materia è indecifrabile, oscuro, non indica.Nel nostro tempo, sostiene Galimberti, il sapere aumenta, ma non rischiara il paesaggio: la metafisica del mondo si è dissolta. Lo sguardo si posa e si compiace sull’orlo del presente. L’educazione a comprendere le cose che ci circondano, ascoltando l’eco del passato che innerva e permea il sensibile (quel moto discendente verso le profondità dei linguaggi), segna la via per accedere alla radice da cui si dipartono le ragioni espressive delle cose: scendere alla radice significa giungere al fondamento, al silenzio da cui nessuna parola si è mai separata.12 Ma questo avvicinamento al sapere, al sentire per il ben vedere (con

l’occhio della mente), è rappresentato da un lento esercizio di acquisizione, di nutrimento per l’appunto, che dagli elementi della realtà discende negli strati narrativi del tempo, ripercorrendo a ritroso l’accaduto, ricomponendo parti e frammenti.Bisogna andargli incontro al tempo, mettersi in cammino, cercarlo con pazienza, riconoscerlo, frammento dopo frammento, attraverso segni visibili ed invisibili, così da dare contorno resistente a ciò che per sua natura è destinato a dissolversi nell’oblio. Il nostro sguardo, così, ri-abitando emotivamente e culturalmente le ragioni dell’apparire delle cose, investe e completa la realtà di vissuto: la metamorfosi si compie e tutto si rinnova in una sorprendente epifania. Non si può mai ridurre il paesaggio alla sua mera realtà fisica descritta dai geografi, ecologisti, naturalisti, archeologi e storici. La trasformazione di un paese in paesaggio presuppone sempre una metamorfosi, una interpretazione, una reinvenzione, una metafisica del reale.“Un paesaggio è cultura prima che natura: esso è costruito dall’immaginazione che proietta su foreste, acqua, pietre etc. le proprie mitologie, aspirazioni, desideri e forme del ricordo.”13

ConclusioniL’investigazione didattica, orientata sul difficile terreno rappresentato dal binomio resistenza simbolica della rovina (del suo essere realtà incompleta e mancanza) e destino dei segni del tempo e dello spazio passato, fonti inarrestabili d’immaginazione e di rêverie, sembra quanto mai integrata ed adeguata nel contesto della cultura architettonica contemporanea investita dall’impegno verso la tutela e la valorizzazione del Patrimonio Culturale. L’obiettivo è quello di sviluppare un sapere critico legato alla formazione di una metodologia operativa rivolta verso lo studio e la comprensione dell’antico, della sua conservazione, rivitalizzazione, attualizzazione, innovazione, del suo re-inserimento e ri-significazione nel contesto degli usi, delle necessità culturali e pratiche attuali e future.

1 Al fine della ricostruzione del tracciato della via Clodia si è rivelata di grande importanza la consultazione della Tabula Peutingeriana, (XII-XIII secolo) copia medioevale di un itinerario dell’impero romano.2 Tuscania, città tra le maggiori dell’Etruria interna tra Tarquinia e il lago di Bolsena. Nota in età romana come Tuscana, con riferimento non chiaro all’etnico Tusci (ossia degli Etruschi), conservò questo nome per quasi tutto il Medioevo. Municipio Romano, sede vescovile dal VII sec .3 Pallottino M.4 Brandi C., Norchia Etrusca5 La penetrazione romana è lenta e inesorabile, e coincide con la fine dell’egemonia della aristocrazia Etrusca e della autonomia delle polis a favore del sempre più incisivo controllo politico e militare latino. Nel IV sec. cade Veio, nel III sec fu la volta di Cerveteri e da qui Roselle per poi veder man mano gran parte delle principali realtà Etrusche venire inglobate di fatto nell’orbita di Roma. I vincitori fondano così colonie lungo la costa (nel 273 a.C Cosa, nel territorio Vulcente, e tra il 264 e il 245 le quattro colonie marittime di Pyrgi, Castrum Novum, Alsium e Fregenae in quello di Cerveteri). I contraccolpi di questa situazione sulle realtà interne non tarderanno a farsi sentire e l’integrazione nel mondo romano della civiltà etrusca sarà continua e progressiva, fino a rendere sempre più labile ed evanescente la sua l’identità culturale6 Nel 728 con la cessione da parte del re longobardo Liutprando a papa Gregorio II, di alcuni castelli del Ducato tra i quali quello di Sutri, si afferma la costituzione del Patrimonio Beati Petri.7 “quella Civita la qual è quella parte di detta città che oggi resta fuori exrta-moenia cioè quel colle maggiore... nel quale non vi è restato altro che un bellissimo e antico tempio, San Pietro detto con molte torri intorno...” Giannotti, Storia di Tuscania scritta nel 1500. pag 35.8 Raspi Serra J., La Tuscia Romana, un territorio come esperienza d’arte, Electa 1972.9 Dennis G., Città e necropoli d’Etruria, Nuova Immagine Editrice, Siena. 10 Galimberti U., Paesaggi dell’Anima, Mondadori 1996.11 Alain Roger, Breve trattato sul paesaggio, Sellerio 2009.12 Galimberti U., Paesaggi dell’Anima, Mondadori 1996.13 Shama S., Paesaggio e memoria, Mondadori 1997.

Nella pagina accanto: la Chiesa di Santa Maria Maggiore a Tuscania.

In questa pagina: particolare della facciata in travertino e marmo della grande Chiesa di San Pietro in Tuscania,

eretta sull’antica Arx etrusca.La Chiesa vide tre momenti di costruzione: il più antico,

del VIII-IX secolo, quello intemedio, dell’XI secolo, ed infine quello del XII secolo.

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Gli etruschi si appropriarono dell’Alto Lazio sfruttando, di volta in volta, le condizioni territoriali più favorevoli rispetto alle esigenze che emergevano in seguito alle mutate condizioni dell’economia e sempre secondo le capacità tecniche di sfruttamento delle risorse: le condizioni geo-morfologiche del territorio condizionarono la strutturazione di un articolato sistema di percorrenze alcune delle quali destinate a sopravvivere nel tempo. Quando Roma intraprese la conquista dell’Italia centro settentrionale, si servì dei tracciati etruschi della fase più matura per facilitare l’avanzamento delle legioni. È questo il motivo per cui le strade romane costruite a partire dal IV secolo, sono di fatto adattamenti di precedenti percorsi etruschi, legati tra di loro, polarizzati verso Roma e ripavimentati con tecniche innovative. Anche la Via Clodia fu costruita in questo contesto tra il III e il II secolo a.C., con lo specifico obbiettivo di collegare Roma con i centri dell’entroterra, tarquinese e ceretano, nel cuore di un’Etruria Meridionale ormai colonizzata. Il risultato fu un percorso articolato che si avventura nell’entroterra piegando di continuo per intercettare le direzioni dei centri interni: San Giuliano, San Giovenale, Blera, Norchia, Tuscania, Saturnia. Il carattere tortuoso della strada, le scarse evidenze archeologiche, la difficile identificazione delle stazioni di posta, propongono oggi lo studio del tracciato della Via Clodia quale necessaria premessa per riabilitare una strada che possa diventare occasione di valorizzazione per l’intero territorio. Il programma di ricerca “Regione Lazio: luoghi d’identità diffusa per il patrimonio culturale” ha quindi inteso predisporre uno studio topografico che rintraccia l’itinerario e le stazioni di posta lungo la Via Clodia attraverso una ricognizione sistematica della letteratura contemporanea sull’argomento (Quilici Gigli, Cataldi, Giacobelli, De Grassi), l’analisi della cartografia storica (Frutaz, Carte del Lazio), delle fonti (Nibby, Tomassetti, Ashby, Forma Italiae) e degli Itinerari Antichi scritti (Antonino e Ravennate) e figurati (Tavola Peutingeriana). Le fonti esistenti, valutate alla luce delle interpretazioni degli autori contemporanei e verificate in relazione alle evidenze archeologiche, sono state comparate e restituite in modo sistematico attraverso la trasposizione topologica di stazioni e collegamenti e successivamente mediante la costruzione di nuove mappe che restituiscono su base cartografica attuale una descrizione topografica dei tracciati storici. In particolare, l’istruttoria conoscitiva sugli Itinerari Antichi da una parte, sulle fonti e la cartografia storica dall’altra, ha permesso di spiegare i diversi assetti del tracciato nel tempo in relazione ai diversi usi del territorio. L’analisi comparata dei tre Itinerari ha fatto emergere che le incertezze, le contraddizioni e gli sdoppiamenti di tracciato, al centro del dibattito tra topografi e archeologi contemporanei, possono essere spiegati anche in ragione del carattere identitario della Via Clodia che, al contrario delle Vie Maestre, riadatta percorsi esistenti come emerge dall’individuazione delle fasi intermedie di strutturazione della viabilità etrusca e romana, riportate su base cartografiaca attuale. L’individuazione della strada, su una selezione critica di carte storiche del Frutaz, ha invece evidenziato che le continuità e le discontinuità di tracciato in epoca moderna sono ragione degli equilibri politici e del diverso ruolo assunto dai centri urbani. Questo spiega, ad esempio, come il lungo tratto della Via Clodia, in particolare tra Barbarano e Tuscania, abbia mantenuto un carattere ancora sostanzialmente integro, conservando i tracciati antichi nelle strade vicinali, fuori dalla viabilità moderna che preferisce altre connessioni. Il racconto di Tomassetti e la documentazione fotografica di Ashby hanno fornito una descrizione dello stato dei luoghi che, da una parte, ha permesso di verificare la conservazione fisica di tracciati ed evidenze archeologiche e, dall’altra, ha fatto emergere con chiarezza come le trasformazioni più recenti del territorio abbiano alterato un paesaggio che fino all’epoca moderna doveva apparire continuo dalle porte di Roma ai confini settentrionali della regione. Il primo tratto dell’antica Via Clodia oggi risulta invece parzialmente obliterato dall’attuale via Braccianese, strada di scorrimento che insiste su un territorio ormai compromesso dall’espansione della periferia romana, caratterizzata da un’edificazione continua e minuta. Bisogna quindi superare Vejano per incontrare i più importanti tratti dell’antica via che si svolgono ancora oggi tra poderi privati, aree a pascolo, riserve naturali, necropoli e abitati medioevali. Il lavoro storico-cartografico sinteticamente descritto, è stato sostenuto da ricognizioni dirette e concepito come una necessaria premessa conoscitiva e operativa capace di orientare le strategie di trasformazione del territorio mettendo a sistema, al di là degli specialismi, la struttura geografica, l’assetto idrogeologico, le trasformazioni nel tempo delle capacità tecniche, delle attività economiche e delle espressioni culturali dei popoli che hanno abitato questi luoghi.

In alto: Carta topografica, F.G. Ameti, “Patrimonio di San Pietro e Tuscia Suburbicaria”, 1696. Da Frutaz, “Le carte del Lazio”, XXXIII (tav. 174-177). In evidenza il tracciato della Via Clodia e i suoi principali diverticoli.

In basso: Tavola Peutingeriana, riproduzione del XIII sec. dell’originale del IV sec. d.C. ca., Pergamena (680x33 cm), Hofbibliothek, Vienna (particolare, segmenti V e VI per l’Etruria Meridionale). La tavola riporta le stazioni lungo i percorsi e le distanze in miglia. Il tracciato della Clodia risulta ben documentato da Roma a Tuscania, mentre nel tratto successivo è ancora incerta l’identificazione topografica di alcune stazioni.

Si ringrazia il Laboratorio di Urbanistica del Dipartimento di Architettura (Università degli Studi Roma Tre) per aver messo a disposizione la documentazione digitale inerente la cartografia del Lazio.

Indagine storico-cartografica lungo il tracciato della via Clodia

Alessandra CarliniPaola Porretta

The research “Luoghi d’identità diffusa per il turismo culturale” gave the opportunity for a systematic study of Southern Etruria and, in particular, of the Via Clodia.The rehabilitation of the Via Clodia represents an important step to enhance the value of the whole territory of Southern Etruria.The tortuous nature of the path and the difficulties in the identification of the ancient stations and of the distances among such several stations along the Via Clodia, brought up the necessity to study this ancient path.This study collected several data which represent a necessary body of knowledge in order to rehabilitate Via Clodia.The analysis of the historical itineraries and maps has allowed the topographic identification of the ancient path which has been then re-drawn on modern maps. Such historical and cartographic analysis, supported by site visits, represents a necessary step in order to find out the strategies to enhance the cultural heritage.

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Il paesaggio etrusco (VIII-III sec.a.C.): sistemi “antipeninsulari” e nascita della cultura urbana.II sistema viario etrusco è caratterizzato dalla prevalente direzionalità antipeninsulare, saldando i centri tirrenici di testata con i capisaldi interni. Dapprima i tracciati sono poco più che mulattiere a servizio delle campagne circostanti, poi diventano arterie territoriali sempre più strutturate a cercare connessioni con centri alleati. L’adozione generalizzata del carro e lo scambio di merci verso i mercati greci, comportano importanti trasformazioni del sistema viario. I molti sentieri che per secoli avevano soddisfatto le esigenze delle piccole comunità protostoriche, vengono sostituiti da strade più adatte al nuovo tipo di traffico. Il sistema dei corridoi naturali è incrementato con numerosi tracciati campestri che impongono importanti opere ingegneristiche per superare l’asprezza del suolo vulcanico. La costruzione di nuove strade, strappate ai banchi tufacei attraverso lo scavo di profonde tagliate, favorisce gli scambi commerciali collegando velocemente l’entroterra alla costa. La pianificazione di sistemi di drenaggio migliora la qualità del terreno, rendendolo più disponibile allo sfruttamento agricolo. Su questi presupposti si fonda la fortuna dell’aristocrazia etrusca e dei suoi famosi “principi orientalizzanti”. Gli scambi commerciali che all’inizio

sostengono la ricchezza dell’oligarchia, producono insieme, spostamento di merci e di persone e col tempo una distribuzione del benessere su fasce più ampie di popolazione, innescando un processo d’inurbamento. La città risponde, ampliando le aree urbanizzate e attrezzandosi con edifici specialistici: aree di culto monumentali, edifici pubblici e quartieri residenziali sostituiscono gradualmente il modello del palazzo orientalizzante, ad un tempo residenza, centro amministrativo, santuario e sede della vita collettiva. Le “abitazioni tripartite” di Acquarossa e le “case a terrazzamento” di San Giovenale testimoniano le prime sperimentazioni di modelli insediativi proto-urbani. Al tempo stesso, la nuova nobiltà cittadina promuove lo sviluppo degli oppida di campagna: nei centri dell’entroterra, le necropoli rupestri, che nella fase arcaica cominciano a popolare i costoni tufacei dei pianori di erosione fluviale, si estendono occupando settori sempre più vasti con articolati sistemi di terrazze. Il paesaggio etrusco si presenta ormai attraverso la forte contrapposizione tra città e campagna, e tra acropoli e necropoli circostanti. Tutt’intorno ai campi coltivati la selva ancora prevale. Questa nuova cultura della città e i suoi mitici riti di fondazione lasceranno la propria impronta nella Roma dei Re etruschi. ■

Importanti connessioni si sviluppano lungo il corridoio naturale che dalla costa tirrenica attraversa il sistema dei bacini vulcanici, tra il lago di Bolsena e il lago di Vico, fino alla Valle del Tevere, collegando Tarquinia e Orvieto attraverso Norchia. Molti villaggi villanoviani vengono abbandonati in favore di una concentrazione della popolazione in centri emergenti, ancora arroccati sulle tante acropoli naturali, alla confluenza di due torrenti.

Nelle necropoli, i campi d’urne villanoviani, ad incinera-zione, vedono comparire nuove sepolture a camera, scavate nel tufo per accogliere l’inumazione dei corpi.

Nell’Etruria tirrenica, forti dei loro ricchi traffici marittimi, si consolidano i ruoli di Cerveteri e Tarquinia e delle loro vaste aree d’influenza che si estendono, verso l’entroterra, ad includere i capisaldi interni e la ricca realtà mineraria della Tolfa. Lungo il litorale, la talassocrazia tirrenica controlla i traffici marittimi attraverso una successione di scali portuali che, popolati da mercanti stranieri, vedono la circolazione di merci, uomini e idee. Il paesaggio della costa è scandito da saline, officine ed empori. Flussi commerciali greci incrociano le vie dell’ambra. Le rotte proseguono verso l’entroterra attraversando le vie d’acqua delle valli fluviali.

Leggere, oggi, un paesaggio, vuol dire interrogarne il palinsesto, confrontarsi con il patrimonio ereditato, con ciò che delle lunghe trasformazioni, permane nel tempo. Il contesto geografico e storico è quello dell’Etruria meridionale. Qui, tra la costa tirrenica e l’entroterra dei bacini lacustri, il tracciato della Via Clodia si scopre struttura costante, asse che organizza le trasformazioni millenarie del paesaggio. L’impegno di queste pagine, nell’ambito della ricerca, è offrire uno spaccato dei diversi modi di abitare il territorio, cercando di ricucire relazioni, a volte solo intuibili, all’interno di paesaggi congruenti per storia e per struttura. Una descrizione condotta attraverso tratti peculiari, costruita dentro la cultura materiale dei luoghi.

Il paesaggio protostorico (Età del Bronzo e del Ferro): sistemi di crinale, occupazione capillare del territorio e “rivoluzione agricola”.Nell’Italia protostorica il territorio rimane coperto da foreste fino ai primi insediamenti dell’Età del Ferro. Un paesaggio segnato dalle migrazioni nomadi e dai percorsi di transumanza che, battuti dalle mandrie, imprimono un segno duraturo a scala territoriale seguendo i crinali per limitare il guado dei fiumi. Quando gli abitati si fanno stanziali, i primi agglomerati si concentrano intorno alle risorse naturali con villaggi lacustri a palafitte, per poi occupare, in modo capillare l’intero territorio, con fitti villaggi di capanne. L’habitat è quello degli insediamenti collinari, in posizioni facilmente difendibili sfruttando l’asprezza del territorio vulcanico. Un tratto comune per tutta la lunga fase protostorica è il modello insediativo diffuso. Le aggregazioni non sono ancora gerarchizzate, segno di una società di tipo tribale. Alle “case lunghe” dell’insediamento appenninico di Luni, seguono gli aggregati di “case ovali” sul modello restituito dalle urne cinerarie a capanna. I parterre archeologici, emersi dagli scavi, rivelano la presenza numerosa di buchi di palo per sorreggere le coperture displuviate, fosse per i focolari, fondi di capanne, pavimenti battuti, sigillati da strati di rifiuti domestici. ■

Le basi cartografiche adottate per la redazione delle mappe presenti in queste pagine sono state prodotte

nell’ambito della ricerca “Regione Lazio: luoghi di identità diffusa per il patrimonio culturale”

The cartographic bases used to draw up the maps published in these pages have been produced for the research” “Regione Lazio: luoghi d’identità diffusa per

il patrimonio culturale” Research grants: A.Carlini, P.Porretta

Graffito di nave etrusca su vaso della prima metà del VII sec. a.C.

Leggere il paesaggio:sistemi di percorrenza e modi di abitare il territorio nell’Etruria Meridionale

Alessandra Carlini

This article gives a sample of the several ways to occupy the territory.Within the research “Luoghi di identità diffusa per il turismo culturale”, this study wants to develop a topographic analysis that parts from the main features of these landscapes, which also portray the history of the landscape itself.Such study recreates links, most of the times barely deducible, among landscapes with similar history and structure. The ancient path of the Via Clodia, situated in the geographic and historic context of the Southern Etruria, has represented and still represents the main axis along which the landscape has been transformed over the centuries.■ Protostoric landscape: ridge routes and widespread occupancy of the territory.■ Etruscan landscape: cross “anti-peninsulari” routes and development of the urban culture.■ Roman landscape: longitudinal “peninsulari” routes and rural villages.■ Medieval landscape: the entire route system at the service of “Pietro property”

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L’Alto Medioevo è segnato dall’invasione Longobarda: per la prima volta l’integrità geopolitica della Tuscia viene a mancare. La regione è divisa in Tuscia Longobarda, sotto il controllo dei popoli germanici e Tuscia Romana, ultima erede della tradizione bizantina nell’Italia centrale. Confine culturale, dunque, ancora prima che amministrativo. La nuova situazione politica stravolge l’assetto viario. La Via Clodia si consolida come asse portante della dominazione germanica, diretto su Tuscania, caposaldo della nuova Tuscia Longobarda. Nella Tuscia Romana il territorio è segnato dal controllo militare a difesa del Corridoio Bizantino, stretta lingua di terra che segue l’invaso geografico verso la costa Adriatica, tra la Tuscia Longobarda a ovest e il Ducato di Spoleto a est. Qui, la Via Amerina si afferma sulla via Flaminia, perché consente di percorrere in sicurezza il Corridoio Bizantino. Otto castra realizzano un sistema fortificato eretto a difesa delle vie settentrionali di penetrazione verso Roma. Ma anche queste strade, come la Via Francigena che guiderà i pellegrini dall’Europa, non sono più le poderose vie consolari romane. Le strade medievali, battute dai pellegrini, sono poco più che tracce collaudate dagli usi, fasci di strade, piste molto simili alle nostre

carrarecce e come tali soggette a cambiamenti di tracciato stagionali. Tra alto e basso medioevo, gli equilibri territoriali cambiano. La Donazione di Sutri sancisce l’autonomia del Papa dall’Impero Bizantino. L’alleanza con la dinastia carolingia determina la caduta dei Longobardi e la conseguente riunificazione della Tuscia meridionale sotto il controllo papale. È l’inizio della storia del Lazio come “regione sociopolitica” oltre che geografica, legata ancora per molti secoli al potere temporale dei Papi. L’Etruria meridionale rimarrà Patrimonio di Pietro fino all’Unità d’Italia, conservando l’immagine di un territorio in cui il bosco ha riconquistato gradualmente i campi: quel paesaggio descritto dai topografi rinascimentali e ottocenteschi, dove il pascolo ha ripreso vigore e la campagna si è popolata di casali fortificati, importanti presidi che insieme alle proprietà ospedaliere del Cinquecento, caratterizzeranno l’alto Lazio fino all’epoca recente. Sarà solo la Riforma Agraria del 1950 a produrre un massiccio cambiamento, invertendo nuovamente l’equilibrio tra aree coltivate e boschive. Dopo questa data nuove tracce di confini fondiari, attività agricole e infrastrutture marcheranno il territorio, minacciando, per la prima volta a scala territoriale, la conservazione di vaste testimonianze archeologiche. ■

Il paesaggio medioevale (V-XV sec. d.C.): la rete stradale a servizio del Patrimonio di Pietro.

La chiesa presidia il territorio attraverso le diocesi.Il paesaggio si popola di una schiera di pievi e campanili che attraversano il romanico e il gotico. Cripte ipostile accolgono le reliquie dei martiri di sotto alle aree presbiterali. I pavimenti delle chiese si organizzano in ricchi motivi cosmateschi di marmi policromi. Le facciate si aprono con rosoni traforati e profondi portali strombati. La diffusione degli ordini minori marca il territorio con conventi e monasteri. Nascono le “domuscultae” papali, strutture produttive che alimentano l’attività assistenziale del Laterano.

A causa delle incursioni saracene la costa tirrenica è in gran parte disabitata. L’impaludamento della zona litoranea, dovuto alla mancata manutenzione dei canali, rende impraticabile la via Aurelia. I centri portuali decadono. Solo poche torri di guardia popolano il pasaggio costiero, primi presidi di quello che sarà, nel Cinquecento, il sistema difensivo voluto da Pio V.

La Roma repubblicana eredita un territorio strutturato sulle direttrici di penetrazione est-ovest, disegnato anche da ragioni geografiche, e lo trasforma in un sistema amministrativo assoggettato alla centralità di Roma, privilegiando traiettorie peninsulari nord-sud attraverso le strade consolari: l’Aurelia, lungo la costa tirrenica; la Cassia, verso l’entroterra appenninico; la Clodia nell’Etruria interna; la Flaminia verso la costa adriatica. L’impero marca il territorio conquistato attraverso le nuove infrastrutture e le Leggi delle XII Tavole celebrano la dimensione epica dell’opera. Man mano che l’esercito avanza, postazioni a carattere militare coprono le forcelle (Ad Sextum, tra Cassia e Clodia); i Fori organizzano a scala locale le attività di scambio (Forum Clodii sulla Clodia); colonie e prefetture presidiano la regione; lungo le Vie Consolari nascono stazioni di sosta per alloggiare i viaggiatori. La continuità delle comunicazioni in un Impero sempre più vasto è assicurata dalle stazioni di posta e da corrieri a cavallo che battono le vie maestre. Vengono commissionati Itinerari per guidare i viaggiatori sulla complessa rete stradale. L’ordine e la stabilità della pax romana consentono un’occupazione diffusa del territorio: la campagna è caratterizzata, ora, dalla densità dell’insediamento rurale organizzato in

pagus agricoli e ville rustiche. Alle Vie Consolari, si affianca una rete capillare di strade secondarie spesso costruite dagli stessi proprietari terrieri per migliorare le infrastrutture etrusche e garantire il movimento di merci. Nell’andirivieni del traffico sulle vie maestre, il viaggiatore attraversa incroci, diramazioni, strade private, in una campagna ormai interamente coltivata lungo i versanti e sui pianori, dove il bosco si ritira perchè il legname è risorsa fondamentale dell’economia.Le invasioni gotiche e la caduta dell’Impero d’Occidente stravolgono sicurezza e continuità politica: le ville rurali, spogliate della ricchezza architettonica, finiscono con l’assomigliare a povere fattorie e piccoli cimiteri si insediano nei dintorni. Le coltivazioni si riducono e crescono i pascoli. I boschi riprendono corpo. I centri lungo le vie maestre, più vulnerabili, si spopolano a favore dei villaggi interni, destinati ad accogliere le fortezze feudali secondo il fenomeno dell’incastellamento. Il poderoso sistema viario romano s’impoverisce e viene gradualmente declassato. Nel corso del medioevo il modello insediativo cambierà definitivamente dalla villa rustica diffusa nella campagna, al villaggio fortificato arroccato sulle alture, con la conseguente riduzione nell’occupazione del territorio. ■

Il paesaggio romano (III sec. a.C-V sec. d.C.): sistemi “peninsulari” e insediamenti a carattere rurale.

L’avanzata romana nell’Etruria tirrenica è favorita dal sistema etrusco della mobilità. Con la romanizzazione gli antichi capisaldi sul Tirreno perdono vigore, mentre i centri interni vengono favoriti perché le loro risorse agricole diventano presto fonte di sfruttamento da parte dell’aristocrazia romana. In seguito alla concessione della cittadinanza ai popoli italici molte importanti città etrusche (San Giovenale, San Giuliano, Blera, Norchia, Tuscania) diventano municipi serviti dal passaggio della Via Clodia. Il territorio è ormai caratterizzato dallo sfruttamento agricolo e minerario a scapito delle vaste aree boschive, disseminato di cave di tufo, complessi termali e santuari rurali; punteggiato dapprima da piccole fattorie sparse, poi caratterizzato dalla netta tendenza alla concentrazione in sistemi di grandi tenute, incentrate sulla villa rustica. Ville marittime e peschiere popolano la linea di costa.

Il tracciato della Via Clodia, così come risulta dalla Tavola Peutingeriana, copia medioevale di un Itinerario figurato romano, parte da Ponte Milvio e per il tratto urbano fino alla stazione di Ad Sextum (Tomba di Nerone, La Storta), si confonde con quello della Via Cassia. Cassia e Clodia prendono quindi due diverse direzioni a segnalare diversi intenti politici e amministrativi. La Cassia prosegue, lasciando ad ovest i laghi di Bracciano e Martignano, puntando, diritta, verso Sutri e l’Etruria settentrionale. La Clodia piega invece verso nord-ovest in direzione di Bracciano, muovendo il suo tracciato tra le stazioni dell’Etruria interna.

Le famiglie feudali avviano un poderoso lavoro di fortificazione delle poche strade rimaste attive in una campagna ormai spopolata. Il territorio è diviso in vasti possedimenti, con i villaggi fortificati posti sulle alture, protetti da una cinta muraria, da fossati e torri. “Sicurezza” e “protezione” diventano i caratteri distintivi dei modelli insediativi medievali. Le pareti tufacee dei pianori che accolgono i villaggi, sono crivellate da una moltitudine di grotte rupestri che accolgono complessi a carattere religioso, semplici dimore, stalle, magazzini, colombari, spesso riutilizzando antichi ambienti, secondo una consuetudine che perdurerà nella campagna fino ai nostri giorni.

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Del motivato interesse verso la via Clodia.

Non è semplice trascrivere la storia millenaria di una civiltà su di un territorio. O meglio: farla trapelare, in modo quanto più possibilmente chiaro, poiché nel territorio la storia è già sedimentata in ogni segno, ma anche cancellata e dimenticata con l’apparizione di taluni e nella mancanza di altri. Ricondurre i fili della memoria attraverso un paesaggio vasto, che è buona fetta del Paese e che per assonanze e similitudini è pure in grado di far da testimone di culture e luoghi geograficamente distanti, è un compito difficile ma dovuto.Per assolvere a questo dovere, per ri-significare agli occhi dei tanti potenziali fruitori il paesaggio antico attorno alla via Clodia, rendendolo riconoscibile come tale, bisogna attuare delle scelte, adottare una strategia non del tutto ovvia ed immediata. Ri-tracciare la Clodia non equivale a ri-segnare un percorso; ovvero: ciò non basta. Secondo una strategia che la lettura storica farebbe apparire come quanto di più filologico si possa pensare ed attuare, per dare nuova vita a questa antica strada, occorre dapprima riscattare quei centri e quel territorio, pure, in senso più vasto, che gravitano attorno a questa e che prima dello stesso tracciato hanno avuto origine: un dato, questo, assai determinante visto che subordina, posponendolo, il percorso della Clodia all’assetto territoriale di questi presidi più remoti. La realtà è tuttavia ancora più complessa: infatti la civiltà e la cultura che hanno prodotto

questi abitati ed occupato questi territori hanno conosciuto il loro periodo buio e di decadenza proprio quando venne istituita la Via. E ciò non avvenne per accidente: la strada fu infatti un’invenzione dei Romani che nel III secolo a.C. consolidarono quelle vie che servivano a collegare tra loro i villaggi etruschi dell’entroterra e che furono utili all’esercito dell’Urbe per penetrare quei luoghi e conquistare quella gente. Pertanto, la via che celebra e rappresenta gli etruschi, tenendo attualmente insieme, se non proprio fisicamente almeno sulle carte e nell’immaginario comune, i diversi abitati e le necropoli, gli uni eretti e le altre scavate da questo popolo, è l’evento che ne sancisce la decadenza: la Clodia è stata quando la cultura etrusca fu in procinto di non esserci più.Balenano allora le difficoltà che si riscontrerebbero nel raggiungimento degli obiettivi preposti. Far chiarezza risulta ancora più difficile quando le storie che si vogliono narrare attraverso un unico supporto, che è il territorio, non corrono simultaneamente ma si sovrappongono nel tempo, l’una negando l’altra. Questa complessità è tuttavia peculiare ad ogni qualsivoglia sito archeologico dove il palinsesto storico si struttura secondo uno schema non lineare.Volendo puntualizzare, dunque, non si dovrebbe parlare della fiorente cultura etrusca riferendosi alla Clodia e viceversa. Nonostante ciò, oggi, coerentemente ad un progetto di fruizione di questo territorio e dei suoi luoghi singolari,

Geologia e antropizzazione.La morfologia del territorio dell’Etruria Meridionale è il prodotto delle ceneri proiettate dall’attività eruttiva dei vulcani laziali: una spessa coltre di materiale tufaceo e di vene basaltiche depositate su uno strato di terreno sabbioso-argilloso di origine pliocenica. Vasti ripiani tufacei con modestissima altitudine discendono dalle creste dei crateri verso le valli circostanti. Sulla superficie scorrono infiniti torrenti e fiumastri che, lungo il corso del tempo, hanno prodotto profonde incisioni, alla base delle quali, tra il folto della vegetazione ripariale, scorrono silenziosamente tutt’ora. Così quest’antica superficie terrestre, per l’effetto dell’erosione prodotta dai corsi d’acqua, si descrive come fosse una mano dalle dita orientate, da un lato, facendo centro sulle antiche caldere, oggi bacini lacustri, dall’altro, diramate a ventaglio verso ponente sulla costa tirrenica e, ad oriente, sulla piana alluvionale del Tevere. Vasti ripiani difesi naturalmente da alti speroni tufacei rosso-giallastri, precipiti sulle valli sottostanti, un tempo esclusivo dominio delle macchie e delle selve, furono lungo il corso del tempo luoghi mitici di fondazione di villaggi e città oltre a divenire scena di quel lento processo di trasformazione che plasmò il territorio in paesaggio del lavoro umano. Per effetto di questa morfologia la fisionomia del territorio si presenta quindi compresa tra tre caratteri principali: quella dei pianori con andamento orizzontale, espansa profondamente sugli orizzonti fino ad incontrare a Est, i rilievi pre-appenninici ed ad Ovest la costa del mar Tirreno: paesaggio della pastorizia brada e transumante, della coltivazione estensiva del grano e delle colture arboree dell’olivo e della vite; e quella delle forre, caratterizzata da una spazialità maestosamente verticale, dai profondi burroni di roccia vulcanica, bordati da macchia sempreverde, e da un fondo valle piatto, umido, alluvionale, un tempo occupato da oasi di colture irrigue. Infine il paesaggio delle selve tutte aggrappate sulle pendici degli apparati vulcanici e discendenti lungo i crateri fino ad incontrare i bacini lacustri.

Tarquinia

Tuscania

Cerveteri

Norchia

Blera

Barbarano

Veio

Orvieto

Vulci

0 51 10 Km

Luni S.GiovenaleSutri

Falerii VeteresVeio

M o n t i C i m i n i

M o n t i S a b a t i n i

M o n t i d e l l a T o l f a

Progetto di assetto generale dell’area delle necropoli della Tuscia

Cristina Casadei

Bringing back the meaning of the ancient landscape along the Via Clodia is a difficult task. It is a matter of a landscape made by several layers and full of memories, it is not easy to understand all these layers, which were gathered during the centuries in a nonlinear way. Nowadays, in order to fulfill this task and develope a project for a new enjoyment of the territory, it is necessary to begin by identifing and re-connecting the numerous stretches of the Via Clodia. This path has been very important during the centuries and has connected the whole area of the Southern Etruria from North to South. The Via Clodia represents the main component of this territory. This path brings together the complex network that organizes the landscape.In order to develop a project for a new enjoyment of this area, the first step is to systematize the different data that had never been collected before, in a synthetic and organic way.Such systematization analyzes simultaneously the area at a large-scale, which is related to the territory, the Via Clodia and the whole road network, and at a small scale, which focuses on the sites in themselves.One of the main problems noticed at the large scale is the lack of enjoyment of the area. Therefore, it is necessary to find a way to go through this area in order to get aware of it, recognizing and following, whenever it is possible, the ancient paths, complying with the nature of the place.

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non è possibile pensare di prescindere dalla Clodia e di non partire dall’individuazione e riconnessione dei tratti dell’antica strada romana. Anche perché questo tracciato ha la sua identità storica, confermata, chiara e precisa (sebbene il tracciato originario sia lacunoso e non sempre identificato) e, a differenza della rete di infrastrutture che caratterizzava il periodo fiorente della cultura etrusca, che si orientava in modo opposto, dalla costa penetrando nell’entroterra, consente di collegare, da nord a sud, tutta l’area oggetto del nostro studio. La Clodia rappresenta quindi l’elemento costante e caratterizzante di questo territorio, che detiene la capacità di tenere assieme il tutto, quel sistema complesso di dati e aspetti, ovvero, che struttura il paesaggio e che costituisce ora il nostro interesse. Infatti, seppure la ricerca ed il laboratorio trovino inizialmente ragion d’essere nella volontà di indagare le differenti culture, dalla villanoviana a quella etrusca, dalla romana a quella alto e basso-medioevale, che hanno dato identità a questo settore di territorio, andando avanti con lo studio, è emersa in maniera sempre più chiara la necessità di considerare questo paesaggio nella sua totalità, nella complessità delle memorie che vi si sono depositate e stratificate, valutando pure le reciproche influenze, quelle che la strada ha avuto sul territorio circostante e viceversa.

Problematicità, strategie ed interventi.L’obiettivo della ricerca è dunque, in prima istanza, quello di promuovere una sensibilità verso i luoghi, pervenendo alla conoscenza e alla comprensione di un territorio. A tal fine l’indagine parte dalla sistematizzazione della documentazione -dai rilievi topografici e archeologici all’iconografia, dalle carte storiche e geologiche alla letteratura- e mette insieme i diversi dati che strutturano e restituiscono l’ambiente e che fino ad ora hanno difficilmente trovato una lettura sintetica ed organica. Il testo in esame, il paesaggio nel quale tutti questi saperi si sono sedimentati, viene indagato, suddiviso, analizzato, per poi essere ricomposto in tutte le sue parti: i caratteri geomorfologici vengono così messi in relazione con quelli antropici, l’assetto della viabilità e dei villaggi con le risorse dei luoghi e dunque i traffici mercantili: i diversi elementi costituenti il paesaggio nella sua complessità trovano così relazioni ed intrecci, illuminandosi mutuamente. L’analisi e lo studio si muovono simultaneamente

su due scale, sull’una, ovvero, senza mai perdere di vista l’altra: sulla grande scala, che si estende sul territorio e quindi sulla Clodia ed il sistema di infrastrutture in generale, e sulla piccola, che individua episodi puntuali, concentrandosi sui singoli centri (questione, quest’ultima, che è stata affrontata, come si vedrà, all’interno dei lavori prodotti nell’ambito del laboratorio di tesi).

La grande scala.

Il problema della fruizione. Per prendere conoscenza di un luogo è necessario percorrerlo. Si avverte pertanto la necessità di riorganizzare prima di tutto una percorrenza di questo paesaggio, compatibile con la natura dei luoghi, che riconosca e segua, senza dubbio e per quanto possibile, le antiche direttrici. Ciò che infatti ci si propone è di ri-pensare ad un modo corretto di fruire questo luogo, non intendendo con ciò solo la possibilità di percorrerlo, ma anche l’essere in grado di comprenderlo: volontà, questa, più che motivata dal fatto che l’obiettivo preposto è quello di far trovare direttamente e proprio nel territorio la narrazione del tempo, senza rimandarla ad un momento che anticipi o succeda l’esperienza sensibile. Questo territorio appare oggi frammentario, intermittente. Seppure attualmente sia possibile approcciare ai diversi siti oggetto del nostro interesse, ciò avviene attraverso un sistema di percorrenze che non consente più di leggere le relazioni che intercorrevano tra un luogo e l’altro: perse le tracce delle antiche piste è venuto meno anche il senso di questi luoghi e, considerandolo nella sua totalità, questo paesaggio appare oggi come una lacunosa rovina di ermetica interpretazione. Il lavoro parte dunque dallo stato dei fatti e, attraverso il ri-conoscimento degli antichi tracciati e l’avanzamento di una ipotesi di riconfigurazione di ciò che già è presente, propone un disegno organico del sistema delle antiche percorrenze distinguendo assi principali, diverticoli, accessi e mura di città e villaggi.

L’area di intervento. Anche la scelta dell’ambito di territorio si rivela strategica in tale senso: l’area indagata è quella che, secondo le condizioni attuali, si manifesta come la più integra e preservata dalle trasformazioni dovute all’azione antropica

The study area encloses the territory from Barbarano Romano to Tuscania. This area lasted through the transformations of the landscape and for this reason is a good start to tell the story of the ancient history of this territory. The path that during the Roman period will become the Via Clodia developed in this area.Along such path it is possible to identify the several scenarios that coexist within this territory. In the next image, it is clear how the path describes a sprawling diagram: it mainly complies with the Via Clodia, but also deviates towards the main coastal cities, Cerveteri and Tarquinia. This route leads to several archaeological sites which could be isolated, like Norchia, or close to other villages, like Blera. Some of these sites were lying on the Via Clodia while others were lying on the paths which linked the coast with the inland. Some of these sites still remain as they used to be.The degree theses collected in this book deal with these realities. Such works analyze these sites carefully, collecting natural and anthropic data, and develop proposals for an enhancement and a new enjoyment of such archaeological sites.Each degree thesis aims to bring back a meaning to each one of these sites, according to a method that is based on the teaching of a correct interpretation of the phenomena.

Nella pagina precedente: Il ponte sul Biedano.

In questa pagina: il paesaggio antico attorno alla via clodia - orografia, tracciati e centri.Il disegno evidenzia la direttrice nord-sud della via Clodia e quelle che si orientano in modo opposto, andando da ovest ad est, che collegano Tarquinia a Norchia e quindi Orvieto e Cerveteri alla Tolfa e a Veio.

Il piano di assetto generale

tracciato centro abitato interessato dal tracciato

sito archeologico intreressato dal tracciato

Beni della Lista del Patrimonio mondiale dell’UNESCO

area di interesse archeologico (Piano Territoriale Paesistico regionale)

tratturo

tracciato storico coincidente con una Srrada provinciale

tracciato storico (riconosciuto dal Piano Territoriale Paesisticoregionale come “Beni del Patrimonio Culturale - viabilità antica”)

tracciato della linea ferroviaria dismessa Capranica - Civitavecchia con indicazione delle stazioni

Tuscania

Castel d’Asso

Monte Romano

Grotta Porcina

Cerracchio

M o n t i C i m i n i

M o n t i S a b a t i n i

M o n t i d e l l a T o l f a

Tarquinia

Gravisca LuniSan Giovenale

Allumiere

CIVITAVECCHIA

Cerveteri

Pyrgi0 1 5 10 Km Veio

VeioSutri

Civitella Cesi

San GiulianoBarbarano Romano

Blera

Norchia

Orvieto

CAPRANICA

Vulci

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succedutesi nel tempo e rappresenta, dunque, quel brano di territorio maggiormente predisposto al racconto della storia antica di questa terra e dei popoli che vicendevolmente l’hanno costruita ed abitata. Il settore di paesaggio individuato, quello dell’Etruria meridionale che si sviluppa attorno ad un tratto della via Clodia, nell’area compresa tra Barbarano Romano e Tuscania, proprio perché poco alterato nel tempo, mantiene leggibile la coerenza tra caratteri fisici del territorio e modalità di insediamento, di urbanizzazione e di antropizzazione, rappresentando, così, una circostanza peculiare. Una condizione, questa, che ha permesso alla storia di sopravvivere e durare nei segni di quel territorio che si manifestano oggi come rovine disperse in un vasto paesaggio, come “sculture in campo espanso” 1.

Fruire i diversi paesaggi. Una moltitudine di tracce e reperti diffusi caratterizza infatti questo territorio: e ciò fa sì che sia difficile parlarne circoscrivendone delle parti, distinguendo un sito dal suo intorno. Sarà più giusto e naturale parlare di paesaggi, dei diversi dei quali si compone l’immagine stratificata che agli spettatori si presenta. All’interno dell’area scelta se ne possono infatti individuare differenti: esito della geografia, come il paesaggio della costa, quello dell’entroterra e quello dei bacini lacustri; della storia, dell’antropizzazione e delle diverse culture, quindi, come i paesaggi della civiltà etrusca e di quella romana, del sacro e della cristianità, ma anche il più giovane paesaggio del lavoro umano e dell’agricoltura, che tutti assieme, uno sull’altro, restituiscono quella unità paesistica che è il territorio così come oggi ci è dato (il piano paesistico stesso parla di beni culturali, storici ed archeologici, ed ambientali areali, allargando così a tutto il territorio l’attenzione e l’osservazione).Lungo il tracciato individuato all’interno dell’area indagata è possibile restituire una visione completa di quelli che sono i diversi scenari che convivono all’interno di questo territorio. Il percorso arriva a descrivere infatti un diagramma tentacolare, che ricalca per un tratto l’antica via Clodia e dove si evidenziano tre direttrici pressappoco ortogonali alla strada romana: l’una, di memoria più remota, che collega Cerveteri alla Tolfa e a Veio, e le altre che legano i territori di Tarquinia con Norchia e quindi Castel d’Asso ed Orvieto e Taquinia con

l’entroterra di Luni, San Giovenale e Blera. Il tracciato, riconoscendo e ricalcando gli antichi diverticoli, devia dunque dalla Clodia per arrivare ad includere i capisaldi che si attestano lungo la costa, di poco arretrati rispetto a questa, che si rivelano indispensabili per comprendere il ruolo svolto dall’entroterra, in modo particolare nelle vicende che hanno avuto luogo a partire dall’VIII-VII secolo.

La piccola scala.

I casi studio. Il tracciato intercetta, nel suo sviluppo, i differenti siti archeologici, isolati (es. Norchia, San Giovenale, Luni) o a ridosso dei centri abitati (es. Blera), che in origine disegnarono la traiettoria della Clodia o che si innestarono su quelle direttrici più antiche, che dalla costa si spingevano nell’entroterra. Alcuni di questi luoghi, più di altri, per via della loro condizione isolata o di una tutela preposta, sono stati preservati dalle trasformazioni urbane, nei centri stessi e nel loro intorno, e detengono ancora oggi la capacità di narrare del passato, dell’originaria condizione. Tra questi è ricaduta la scelta dei casi indagati e presi in esame, da Norchia, a San Giovenale a Luni sul Mignone; da Cerveteri a Tarquinia; tutti quanti siti emblematici e rappresentativi della cultura etrusca nel suo evolversi nei diversi periodi.Questi siti hanno ognuno un proprio carattere ma possono essere distinti per l’appartenenza a due diverse categorie. Se infatti ci riferiamo a Norchia, a San Giovenale, a Luni sul Mignone , ai siti ovvero che ricadono nell’entroterra etrusco, parliamo di luoghi che nel corso del tempo, dal loro spegnimento, avvenuto pressappoco nel XV, hanno vissuto in uno stato di quasi totale abbandono– e sofferto, proprio per ciò, anche per il degrado delle antiche rovine-. Proprio questa condizione di isolamento, fuori dalle strategie dei piani di trasformazione e di tutela (sebbene la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Etruria Meridionale ha operato nel tempo assicurando, con scarse risorse economiche, minimi interventi di conservazione e protezione dei siti), li ha elusi tanto dalle politiche di sviluppo quanto dalla conoscenza. I loro nomi ri-suonano solo all’orecchio di pochi: e così Norchia non è Norcia, deve premettere Brandi al fine di evitare il facile equivoco che può avvenire proprio per

via della scarsa cognizione che c’è dell’antico sito etrusco, romano e medioevale. Poche, isolate e frammentarie sono state in passato le occasioni di indagine delle aree archeologiche dell’entroterra: gli scavi svedesi, svolti intorno agli anni ‘50 e ‘60 (Luni e San Giovenale) o gli studi portati avanti da famiglie di archeologi (i Colonna su Norchia) rappresentano gli episodi più importanti di approfondimento. E seppure alcuni monumenti, come San Pietro a Norchia, hanno da sempre conquistato l’attenzione di più ed importanti studiosi, il racconto e la memoria di questi luoghi sono sconosciuti a molti, accantonati nell’oblio. Il compito che si pone la ricerca è dunque quello di portare l’attenzione verso queste realtà, sottraendole così a questa condizione di marginalità. Dall’altra parte, al contrario, i nomi di Tarquinia e di Cerveteri, le antiche Tarkna e Caere, che costituiscono gli altri due casi di studio, ri-suonano a molti rimandando subito a quella cultura etrusca di cui sono città rappresentative. Tanto che per queste due aree archeologiche quasi non occorrerebbero presentazioni: sono in molti ad averle celebrate e ad averne ripercorso la storia; le stesse istituzioni le hanno riconosciute come beni di altissimo valore: entrambe sono infatti patrimonio Unesco. Tuttavia la conoscenza e l’immagine che ci viene consegnata di questi luoghi è miope ed ingannevole, distorta e contraffatta rispetto alla reale. Gli scavi e gli interventi a tutela di questi siti, avvenuti per la maggior parte negli anni ‘20, non sono stati in grado di evolversi e svilupparsi assecondando le nuove conoscenze, restituendole ed attualizzandole in un’immagine vera e coerente con quello che era l’originario territorio Tarquiniese o Ceretano.In-scritte e de-scritte da recinti posti a loro custodia, le aree che oggi fruiamo di Cerveteri e di Tarquinia sono percepite in modo limitato rispetto a quella che è la loro vera estensione ed alterate rispetto al modo nel quale dovevano originariamente rivelarsi. Il senso sincero dei luoghi ci è dunque sottratto nella fruizione che possiamo avere di questi siti. In tale circostanza, l’obiettivo è dunque quello di smantellare l’apparato delle conoscenze suggerite da un’immagine corrotta, al fine di rimuovere ogni dannosa abitudine nel leggere le cose, e quindi di ampliare la percezione incoraggiando la comprensione dei luoghi nel loro rapporto col territorio: cogliere le ragioni che li legano ad un’intera regione e quindi agli altri siti,

sottraendoli così da quella condizione che li faceva apparire come fatti isolati, episodici.

Interventi.I lavori di tesi hanno preso in esame questi casi e, partendo da una analisi che mettesse insieme i dati naturali con quelli antropici, l’assetto geo-morfologico e vegetazionale con i fatti della storia, basandosi tanto sulle fonti letterarie che sui sopralluoghi e quindi sulla conoscenza diretta, hanno portato avanti distinte ipotesi per la valorizzazione e la fruizione di questi siti. Valorizzare, in questa circostanza, non significa dar valore ai luoghi, che già ne possiedono, ma riscoprirlo, tutelarlo dal degrado, facendo in modo che il portato e la memoria di questi continuino a durare nel tempo. Non meno importante è il problema della fruizione, che bisogna intendere come capacità tanto di ripercorrere un luogo, di riutilizzarlo, attualizzarlo, quanto di comprenderlo. Questo tema coinvolge inoltre tutto il paesaggio nell’esperienza progettuale: il percorso di visita all’interno di questi siti viene pensato come strumento che guida, orienta ed aiuta a vedere i paesaggi, gli elementi e le qualità che connotano i luoghi.Pertanto ogni intervento pone questi temi al centro delle osservazioni, ai quali fanno da corollario le istanze della conservazione, del restauro, della musealizzazione in situ e della protezione, attuate attraverso precise strategie d’intervento. L’obiettivo è dunque quello di rievocare, di suggerire i caratteri spaziali e le qualità architettoniche ed ambientali, ormai in rovina e dunque di difficile comprensione.

Conclusioni.Sebbene dunque ogni sito abbia una propria storia e delle attuali necessità, alle quali le proposte progettuali cercano di dar risposta, ogni lavoro tenta di ridare senso a questi luoghi, secondo un metodo che pone le radici nell’educazione ad una corretta interpretazione dei fenomeni.

1 “Sculpture in the expanded field”, formula coniata nel 1979 dalla critica d’arte Rosalind Krauss in riferimento alle opere di Alice Aycock.

Nella pagina accanto: un tratto della via Clodia nella campagna presso il sito archeologico di Grotta Porcina,

tra Blera e Norchia.

In questa pagina: la via Clodia sul pianoro di Norchia, vicino al complesso del Castello e del Castelletto.

Il tracciato della via Clodia sopravvive oggi solo per trattiintrappolati all’interno dei borghi o di un paesaggio

selvaggio, addomesticato in parte dall’agricoltura e dalla pastorizia.

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Cerveteri, pp. 30 - 37 Comprensione dei paesaggi sepolcrali e nuova fruizioneElena Caroti

San Giovenale, pp. 38 - 45Protezione e musealizzazione dell’insediamento etrusco del BorgoGiulia Cervini, Ilaria De Vito

Tarquinia, pp. 102 - 109Recupero delle antiche connessioni tra la città dei vivi e la città dei morti.Laura Della Sala

Norchia, pp. 60 - 65L’accesso e il fossato Manuel Giugliano

Norchia, pp. 72 - 79Castello e castellettoStefano Colagrande, Gianmarco Mattei

Norchia, pp. 96 - 101La chiesa di San PietroMarco Frosi

Norchia, pp. 66 - 71Il ponteCarolina Reale

Norchia, pp. 80 - 95Il sistema ipogeo e la chiesa di San PietroSara Antonini, Marta Buccellato, Rusco Castiglia

esperienze progettualiesperienze progettuali

Luni sul Mignone, pp. 46 - 57Analisi ed interventi per la valorizzazione ed una migliore fruizione dell’area archeologicaSilvia Austeri, Guglielmo Bartocci, Roberto Boniventi

30 tesi di laurea in progettazione architettonica 31Elena Caroti

La necropoli di Cerveteri. Comprensione dei paesaggi sepolcrali e nuova fruizione

di Elena Caroti

a.a. 2010-2011correlatrici: Alessandra Carlini, Cristina Casadei, Paola Porretta

VII Biennale del Paesaggio di Barcellona - tesi espostaII Biennale degli spazi pubblici di Roma - tesi e plastico esposti

conferenza a Viterbo, Palazzo della Prefettura, indetta da ArcheoTuscia

La Necropoli di Cerveteri, l’antica Caere, è una delle più importanti testimonianze della civiltà etrusca ad oggi conosciute: un sito archeologico di rilevanza tale da essere stato insignito del titolo di Patrimonio dell’Umanità UNESCO, nel 2004. Alcuni passi dell’Eneide di Virgilio raccontano caratteri peculiari di questi luoghi: da un lato ci restituiscono poeticamente l’orografia del territorio e dall’altro evocano l’origine orientale della potenza politica, frutto di un legame fra civilità del bacino del Mediterraneo, talmente forte da far tramandare una leggendaria provenienza dalla Lidia. Sono invece gli scambi commerciali ad alimentare influssi culturali, come testimoniato dalle architetture sepolcrali, fonti dirette di ispirazione visiva. La rupe antica della città è racchiusa da “concavi colli” che sono le ultime propaggini del massiccio dei monti della Tolfa, i cosiddetti monti Ceriti, i Monti Sabatini, e il monte Abatone. Circondato da forre, il pianoro urbano era separato fisicamente dalle sue necropoli, con le quali conservava invece un forte legame visivo. La più famosa, studiata e soggetta a scavi sistematici è quella del pianoro della Banditaccia. Sul pianoro della città antica invece oggi rimane solo il centro storico di Cerveteri (Caere Vetere) mentre la città moderna si è estesa in direzione della Via Aurelia e del mare. Mare che fu appunto l’elemento fondante della potenza di Cere, grazie ai numerosissimi scambi commerciali. La metropoli cerite, con i suoi tre porti Alsium, Pyrgi e Punicum e la sua flotta marittima, svolge il ruolo di intermediario nei continui rapporti dell’Etruria Meridionale, soprattutto interna, con l’entroterra. Esportando le notevoli risorse, agricole e minerarie, e ricevendone in cambio pregiate lavorazioni greche e orientali sia utensili sia in campo

artistico, la condizione costiera pone Caere (e l’antagonista Tarquinia) in posizione di dominanza e di influenza rispetto ai centri interni. Anche l’architettura funeraria delle necropoli dell’entroterra diventa fondamentalmente un riflesso di tale rapporto, con le dovute rielaborazioni. Dall’apposita ricostruzione cartografica, osservando la posizione dei tumuli di età orientalizzante e delle direttrici viarie che si diramavano in forma stellare intorno alla città, si nota la stretta connessione fra le rotte commerciali di terra e la posizione di queste grandi emergenze sepolcrali di VII sec. a.C. Questi infatti erano dei veri e propri avamposti di ostentazione del potere, ad opera delle ricche famiglie dell’oligarchia dominante, destinate ad una visione, ad una certa distanza, di quanti percorressero le suddette rotte commerciali.Le principali necropoli di Caere sono tre, includendo quelle del Sorbo e di Monte Abatone. La reale estensione delle necropoli non è del tutto nota, ma ciò che è organizzato come “recinto di visita” è certamente solo una piccola parte dell’area sepolcrale che occupa il pianoro della Banditaccia.Le sue necropoli sono uniche al mondo per la varietà di tipologie sepolcrali presenti, in particolare lungo la Via degli Inferi, la via sepolcrale principale, che fungeva da trafficata circonvallazione delle rotte commerciali dal mare all’entroterra e viceversa, evitando il passaggio nell’area urbana: il punto più adatto per rimarcare il proprio potere, e proprio per questo la zona maggiormente stratificata.Questa radicata compresenza rende più difficile la comprensione del luogo da parte del fruitore. Soprattutto all’interno del recinto di visita, il visitatore si imbatte in elementi contigui ma distanziati centinaia e centinaia di anni.

Necropolis of Cerveteri.Understanding the landscapes

and new enjoyment.

The necropolis of Cerveteri, the ancient Caere, was listed in the “UNESCO World Heritage” in 2004. The ancient Caere was located on a large plain, bounded by ravines, surrounded by its necropo-lises and facing the sea.The link with the Mediterranean Sea was the main reason why this city was developed.Its three harbours Alsium, Pyrgi and Punicum were the location for the commercial trading with the eastern population, who brought their culture to Italy.The historic and cartographic analysis proves how the position of the big burial mounds is strictly related with the main commercial routes. Such mounds were built by the richest families in order to show their power, and were supposed to be seen from long distances.Caere had three necropolises, but only a small part of one of them, the Banditaccia necropolis, is nowadays available for visits. Such necropolis is made by several layers of different burial architectural typologies, mainly along the “Via degli Inferi”. This was the main path of the necropolis and the connection to the coast and the inland. The aim of this work is to isolate the several layers that gathered one after another during the centuries.It is possible to define five burial landscapes: the Villanovan, the Orientalizing, the Hellenistic, the Etruscan and the Decline landscape. A small welcome center has been designed on the other side of the necropolis’ plain as a starting point for the proposed new routes.

necropoli della Bufolareccia

necropoli della Banditaccia

necropoli della Cava della Pozzolana

necropoli di Monte Abatone

necropoli del Sorbo

necropoli di Greppe S. Angelo

via degli Inferi

Cerveteri

Caere - Pyrgi

direzione Tolfa - Tarquinia - Luni sul MIgnone

direzione Stigliano - Rota - San Giovenale

direzione Castel Giuliano - Monterano -

Manziana

direzione Bracciano

Caere - Alsium

Háut procúl hinc sáxo incólitur fundáta vetústoÚrbis Agýllinae sédes, úbi Lýdia quóndamGéns, belló praeclára, iugít insédit etrúscis.

Non lontano da qui, posta su rupe antica è la sedeDella città d’Agylla, dove i Lidi una voltaFamosi in guerra presero sui colli etruschi dimora.

Est ingens gelidum lucus prope Ceritis amnemReligione Patrum late sacer: undique collesInclusere cavi et nigra nemus abiete cingunt.

Grande c’è un bosco sacro sul gelido fiume di CaereCon religione dai padri vastamente adorato: concavi colliLo chiudono in cerchio e cingon la selva di nere abetine.

(Virgilio, Eneide, Libro VIII)

“ Pochi gradini conducono fino alle camere nella roccia. Non c’è rimasto niente è come una casa ripulita e svuotata. Ma, chiunque sia stato ad andarsene, ha lasciato dietro di sè una sensazione gradevole.”Paesaggio Decadenza

Paesaggio Villanoviano

“C’è un fascino speciale nelle proporzioni naturali che sono in tutte le cose etrusche dei secoli vergini, non ancora romanizzati. Nelle forme e nei ritmi, nei pieni e nei vuoti di questo mondo sotterraneo, c’è semplicità unita ad una particolarissima naturalezza.”D.H. Lawrence, Paesi Etruschi, 1932

32 tesi di laurea in progettazione architettonica 33Elena Caroti

Quadro villanoviano. Il buco, il pozzo, la fossa, l’orizzonte piano, il rapporto visivo con l’area urbana

Quadro etrusco.I tumuli minori, la crescita della classe intermedia, la protezione delle famiglie dominanti

Quadro ellenistico.Il dado, la necropoli come città, la regolarizzazione, le vie interne alla necropoli

Quadro di decadenza.Le camere, il riuso, la scarsità di suolo, i segnali della fine della civiltà

Quadro orientalizzante. Il tumulo, l’emergenza, l’orizzonte modificato, l’oligarchia, il rapporto col mare, le direttrici viarie

“C’è un fascino speciale nelle proporzioni naturali che sono in tutte le cose etrusche dei secoli vergini, non

ancora romanizzati. Nelle forme e nei ritmi, nei pieni e nei vuoti di questo mondo sotterraneo, c’è semplicità unita a

una particolarissima naturalezza.”da Paesi Etruschi, D.H. Lawrence, 1932

“… E intanto, deposta ogni residua velleità di filologico scrupolo, io venivo tentando di figurarmi concretamente

ciò che potesse significare per i tardi etruschi di Cerveteri, gli etruschi dei tempi posteriori alla conquista romana, la

frequentazione assidua del loro cimitero suburbano.”dal prologo de Il Giardino dei Finzi-Contini, G. Bassani, 1962

▪ Analisi dei paesaggi Percorrendo il pianoro, si incontrano dei punti che più di altri mantengono una visione per fasi, isolando una fruizione dell’archeologia che permette di recuperare le qualità del paesaggio antico e di apprezzarne i rapporti di scala. Esistono quindi aree che, nella visione di insieme, permettono di identificare i caratteri spaziali tipici di una fase storica.

L’impostazione seguita nella definizione dei nuovi percorsi di visita è quella di ribaltare l’approccio tradizionale al monumento antico, ripensandolo all’interno dei rapporti che originariamente stabiliva con il territorio piuttosto che concentrarsi sui singoli reperti. Le principali fasi di sviluppo della necropoli sono state sinteticamente suddivise in cinque periodi

storici: il periodo Villanoviano, dal IX all’VIII secolo a.C., Orientalizzante dal VII al VI secolo, Etrusco dal VI al V secolo, Ellenistico dal V al IV secolo, Decadenza dal III al I secolo a.C. L’obiettivo è quello di monumentalizzare questi cinque differenti tipi di paesaggi sepolcrali che sono giunti fino a noi ripensando la fruizione all’interno di nuove strategie di comunicazione.

34 tesi di laurea in progettazione architettonica 35Elena Caroti

sezione a-a’ sezione b-b’

attuale recinto di visita itinerario etrusco accessi attuali

itinerario villanoviano itinerario ellenistico visuali privilegiate

itinerario orientalizzante itinerario decadenza

Questo sito, ove oggi rimane il rudere di una prima biglietteria, è collegato alla necropoli da un percorso altrettanto ricco di elementi, soprattutto della vita civile e di antiche opere di ingegneria idraulica etrusca. Il punto di congiunzione è pensato in funzione di percorsi turistici che includano le altre aree archeologiche del pianoro urbano, con soluzioni alternative alla viabilità attuale e alle sue problematiche. Il pianoro dell’antica area urbana presenta inoltre ritrovamenti riferiti alla città dei vivi (che sono meno comuni di quelli funerari

poichè, come noto, gli etruschi erano soliti utilizzare materiali deperibili nelle costruzioni civili): le porte di accesso, in alcuni casi perfettamente riconoscibili, in altri percepibili in alcune particolari tracce; i resti di un teatro e le tracce di un anfiteatro; di almeno tre templi; di un santuario e di un complesso termale. Vi sono anche altre due piccole necropoli sull’orlo frastagliato a Sud del pianoro, tuttora non soggette a valorizzazione, quella rupestre di Greppe S. Angelo e quella lungo la discesa verso la valle della Mola.

I cinque paesaggi sepolcrali individuati possono dare luogo a itinerari cronologici alternativi al “recinto di visita” attuale, e di fruizione totalmente pubblica. Gli itinerari proposti seguono criteri tematici o cronologici che coinvolgono l’intera area della Banditaccia, presentata come zona unitaria, in base a quanto già previsto nel piano. L’attenzione è rivolta alla stratificazione nel tempo del territorio, al suo senso paesaggistico e al suo essere parte di un tutto. Infatti la Banditaccia, oltre ad essere un sito archeologico complesso in sé, fa parte di un più vasto sistema di necropoli che si sviluppavano tutt’intorno alla città di Caere, posta sull’alto pianoro centrale. La connessione con la città dei vivi attraverso l’intera percorrenza della Via degli Inferi è un modo di percepire questa continuità. Fondamentale infatti è il ruolo della via degli Inferi tanto come direttrice della necropoli, quanto come collegamento alla città tramite la tagliata che intercetta una diramazione in senso opposto verso il nord, verso il cosiddetto “Ponte vivo”. La riconnessione, oltre che con la vera e propria percorrenza, può anche avvenire in forma “visiva” dalla zona del Laghetto, di uso originariamente villanoviano, grazie al rapporto diretto con l’antistante pianoro della città. Nella tesi l’importanza di questa giunzione è sottolineata tramite l’aggiunta di un “nuovo accesso” alla necropoli, ossia quello inizialmente prefigurato da Raniero Mengarelli, autore degli scavi della prima metà del Novecento. Tale ingresso era filologicamente più corretto ma fu abbandonato a causa della costruzione della cosiddetta Autostrada di accesso alla necropoli, affiancata artificialmente da pini marittimi, voluta da Benito Mussolini, e conicidente con l’accesso proposto dall’Unesco.

_Percorsi di progetto

flusso turistico attuale

deviazione del flusso turistico

parcheggio di scambio Piazza Santa Mariaper proseguimento pedonale o su bus navetta

percorso pedonale per museo

“Sentiero di Lawrence”che collega il Museo alla Necropoli

percorso pedonale Area Archeologica Mola

percorso pedonale/navetta

Scavi Archeologici sul Pianoro dei Vignali

percorso pedonale Accesso Mengarellicon edificio di progetto per proseguimento pedonale

percorso di connessione città dei vivi - città dei morti

via degli Inferi

sentiero naturalistico Ponte Vivo

itinerario attuale Recinto della Banditacciaper proseguimento pedonale o su bus navetta

nuovi percorsi di visita con disboscamentie allargamento all’intera area archeologica

percorso di ritorno/v.v.

_Altre aree archeologiche sul pianoro

Area sacra s.Antonio (VIII - V sec. a.C.)

Porta di S. Antonio (VI sec. a.C.)

Necropoli di Greppe o Ripe S. Angelo (VI sec.)

Santuario e necropoli sulla valle della Mola (V sec.)

Complesso archeologico Vigna Parrocchiale (V sec.)

Tempio del Manganello (IV sec. a.C.)

via degli Inferi

Porta coperta

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via sepolcrale principaleesterna al recinto di visita

area delle Tombe del Comune

Autostrada zona dei Grandi Tumuli esterna al recinto

invaso della via sepolcrale principale interna al recinto di visita

Autostradaattuale recinzione zona dei Grandi Tumuli esterna al recinto

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▪ Strategie di intervento: Itinerari ▪ Strategie di intervento: Percorsi

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36 tesi di laurea in progettazione architettonica 37Elena Caroti

Il progetto vuole preservare la percezione del paesaggio predisponendo, in un punto preciso di osservazione, un’ampia terrazza che si apre sul campo aperto. Per alzare il livello ricettivo dell’aerea archeologica, al di sotto della terrazza viene predisposto un edificio di servizi al turismo che organizza un punto di ristoro e una serie di aule didattiche.

▪ Obiettivi

La proposta finale è un intervento progettuale che rafforzi e renda funzionale il nuovo accesso proposto, con una particolare attenzione a reversibilità e temporaneità in ragione di quella particolarissima naturalezza celebrata da Lawrence.

grande tumulo VII sec. a.C.

tumulo minore VI sec. a.C.

tomba a fossa IX sec. a.C.

tomba a camera IV sec. a.C.

38 tesi di laurea in progettazione architettonica 39Giulia Cervini, Ilaria De Vito

Valorizzazione e fruizione del sito archeologico di San Giovenale in Tuscia.

Protezione e musealizzazione dell’insediamento etrusco del Borgo

di Giulia Cervini, Ilaria De Vito

a.a. 2011-2012correlatrici: Alessandra Carlini, Cristina Casadei, Paola Porretta

San Giovenale come stazione tra la costa tirrenica e l’entroterra laziale

Dai percorsi territoriali ai percorsi interni: gli accessi, gli attraversamenti, le aree archeologiche.

San Giovenale di Blera è un centro dell’Etruria Meridionale che si colloca su un diverticolo della via Clodia, lungo il collegamento tra l’entroterra laziale e la costa tirrenica.Riportato alla luce dagli scavi condotti dall’Istituto di Studi Classici a Roma tra il 1956 e il 1965, presenta tutte le caratteristiche tipiche di un centro dell’Etruria Meridionale: un pianoro centrale su cui si attestano gli insediamenti, “la città dei vivi”, circondato dalle necropoli , “la città dei morti” .L’area d’intervento (dagli scavatori denominata il “Borgo”) si colloca ad est dell’Acropoli, l’altopiano più esteso dell’area di San Giovenale e delimitato da ripidi pendii su tutti i lati, salvo quello che, lambito da un tracciato antico, lo divide appunto dalla sua estensione orientale.Il complesso di case etrusche di cui ci occupiamo s’insedia sul pendio settentrionale del Borgo, dove un’opera di terrazzamento e di riempimento permise di ricavare i piani sufficienti per costruire nuove abitazioni nel periodo più fiorente per il centro di San Giovenale (VII-VI sec. a.C.), quando la superficie dell’altopiano risultava ormai satura. La particolare caratteristica morfologica del sito, avendone impedito nei secoli l’utilizzo per lavori agricoli, è anche la ragione per cui le murature sono rimaste spesso intatte; a volte, soprattutto nelle parti alte del pendio, fino ad un’altezza di due metri. Questo fa di San Giovenale (insieme forse solo ad Acquarossa) uno dei siti arcaici finora più ricchi di architettura domestica in Etruria. Ma il carattere peculiare del sito in questione non consiste solo nella

testimonianza che offre delle tipologie e delle tecniche costruttive delle unità architettoniche che compongono l’insediamento abitativo: il Borgo rappresenta infatti un importante esempio della strutturazione “urbanistica” tipica della fase di passaggio (definibile protourbana) da villaggio arcaico a città etrusca. L’irregolarità delle giaciture dei singoli edifici, tutti orientati diversamente l’uno dall’altro e quasi tutti perimetrati da murature sghembe, si confronta con caratteri di organizzazione generale del complesso urbano che contengono i germi di una vera e propria pianificazione territoriale.Il duplice valore archeologico dell’insediamento (quello delle singole unità abitative e quello dell’agglomerato urbano nel suo complesso) contribuisce alla scelta progettuale di un doppio sistema di copertura: una macrocopertura a tettoia, volta a ricoprire e proteggere l’intera area di scavo (compreso tutti gli elementi originariamente scoperti: le strade, i cortili, le strutture idriche), ed un insieme di singole coperture che mettono invece in evidenza i volumi delle case.

The archaeological site of San Giovenale.Enhancement and new enjoyment.

Protection of the Borgo housing complex.

San Giovenale lied on a deviation of the Via Clodia, along the connection between the inland and the coast. Such village has features similar to the other etruscan villages: it is located on a plain, which hosts the urban settlement, bound-ed by ravines and surronded by its necropolises.The study area, the so called “Borgo” is located at the eastern part of the Acropolis’ plain.An etruscan housing complex lies on the north-ern steep side of the “Borgo” area. In order to gain new housing spaces, such steep side was filled during the VII century B.C., when the plain area was fully urbanized. Such housing complex represents one of the most important samples of the urban development during the switch from the archaic villages to the etruscan city. The project itself wants to underline this duality: it includes a main roofing system and a set of single coverages which recalls the ancient houses’ volumes. The main roof covers and protects the entire ar-chaeological area. It consists of a flat surface hold by steel columns. The main structure is regular and modular making possible to extend the roof system according to the archaeological site expansion. The result is an abstract struc-ture that recalls the sky which was the original coverage of this area. The houses shells recall the lost image of the ancient village. The new architecture allows the ancient one to become architecture again.

Tolfa - Caere

Tarquinia Blera - Sutri

Graviscae

Tarquinia

Norchia

Blera

San Giuliano

SutriBarbarano

San Giovenale

Monti della Tolfa

Luni

San Giovenale

Giulia Cervini, Ilaria De Vito

Accesso all’area

Accesso all’Acropoli

Accesso al Borgo

casa E casa D casa B e C casa A

40 tesi di laurea in progettazione architettonica 41

▪ Fasi di antropizzazione del pianoro ▪ Stato di fattoRestituzione dei rilievi archeologici di San Giovenale

▪ Stato di fattoRestituzione dei resti archeologici del Borgo

1. Fase Appenninica e fase Villanoviana

2. Fase etrusca

3. Dall’eta classica al Medioevo

Casa A Casa B e C Casa D Casa E

Insediamento Protourbano etruscoBorgo di San Giovenale, VII - VI sec. a.C.

▪ Analisi tipologica delle case del Borgo

Villaggio di Capanne VillanovianeAcropoli, San Giovenale, VIII sec. a.C.

2. Fase EtruscaSul finire del VII sec a.C. gli Etruschi fanno la loro comparsa dominatrice a San Giovenale, che da primitivo villaggio di capanne, si trasforma bruscamente in piccola “città” arcaica. E’ il periodo di maggiore fioritura dell’oppidum. La superficie piana dell’acropoli è ormai sicuramente quasi del tutto occupata. In questa fase cambia radicalmete anche la forma dell’abitato, che si trasforma in architettura in blocchi di tufo rettangolari, sistemati ad angoli retti e con tetti di tegole. Contemporaneamente, nelle colline prospicienti nascono le necropoli, dapprima sottoforma di tombe rupestri (Casale Vignale), poi, con lo sviluppo dei rapporti con la città di Caere, di tumuli (soprattutto in località Porzarago). Con l’inizio delle lotte tra Tarquinia e Roma, San Giovenale viene fortificata particolarmente nell’acropoli per opporsi all’avanzata nemica proveniente da sud.

3. Dall’Età Classica al MedioevoDopo la conquista romana San Giovenale perde gradualmente importanza ma riesce a sopravvivere fino al 200 a.C. circa, quando il pianoro resta completamente disabitato. Le popolazione vivono ora nelle campagne attorno alle ville rustiche, dove, con il latifondo romano, si esprimono nuove concezioni di vita rurale. Verso il 900 d.C., nell’epoca carolingia, i proprietrai terrieri abandonano le ville e ritornano sulle alture. Sorge sull’Acropoli un primo villaggio medievale con il castello e la chiesa dedicata a San Giovenale. Un secondo insediamento si sviluppa nel XIII secolo attorno al castello dei “Di Vico”. Nel XV secolo un nuovo e definitivo abbandono.

1. Fase Appenninica e VillanovianaNell’Età del Bronzo tribù appartenenti alla “facies” settentrionale della civiltà tardo-appenninica si insediarono sull’estremità orientale del pianoro tufaceo, dove costruirono un villaggio di capanne. Per alcuni secoli il pianoro fu abbandonato, per tornare ad essere occupato verso il 750 a.C. da un insediamento protovillanoviano che si stabilì sul margine ocidentale dell’altura fino ad estendersi, nel corso degli anni, nella zona est dell’acropoli. Si costruivano ancora capanne ma imponenti e di forma ovale, segnale di un’agiatezza economica proveniente dalla costa, dove si andava formando la potente città di Tarquinia.

▪ Analisi della strutturazione urbana

E’ rilevante constatare che l’insediamento sul Borgo rappresenta una importante testimonianza della fase di transizione tra villaggio arcaico e città etrusca. La sua conformazione infatti ha carattere irregolare e crescita spontanea, ma contiene già i germi di una prima pianificazione e coordinamento sociale: il grande progetto di terrazzamento e riempimento, la preparazione della roccia, i muri di sostegno, il sistema di drenaggio e il grande canale di scarico.

BorgoAcropoli Necropoli di Porzarago

Vignale Necropoli di Casal Vignale

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Giulia Cervini, Ilaria De Vito42 tesi di laurea in progettazione architettonica 43

▪ Obiettivi

pianta +175 m slm e sezione longitudinale

sezione trasversale

I problemi della conservazione: la tettoia

restituzione dell’immagine antica: gli involucri delle case

▪ Strategie di interventoil sistema delle coperture

La prima copertura, una superficie piana sorretta da un sistema puntuale di appoggi, permette di ottenere un risultato visivo il più possibile astratto e dunque in grado di evocare quello che anticamente ricopriva l’intera area: il cielo.La sua regolarità geometrica e la sua struttura modulare ne garantiscono invece l’adattabilità e l’estendibilità, caratteri necessari di una copertura archeologica in luogo di scavi dai confini incerti ed in ogni momento, ampliabili.Si affianca alla più tecnica necessità di protezione del sito, che ne consenta efficacemente conservazione e durabilità, un’istanza di musealizzazione finalizzata ad una più chiara leggibilità ed interpretazione dei resti archeologici. Gli involucri delle case, volti a completare e non a sostituirsi all’immagine antica, suggeriscono una spazialità perduta, ricalcando i perimetri degli edifici, accennando alla forma e alla loro originale dimensione, ricostruendo una gerarchia degli spazi, che distingue ambienti coperti da ambienti aperti, luci ed ombre, o sottolineando le soglie e gli accessi, di cui restano, ad oggi, solo debolissime tracce a terra.

la macrocopertura

le singole coperture

la preesistenza archeologicaAcropoli Abitato del Borgo Tumuli di

Casal Vignale

Abitato del Borgo Necropoli di Porzarago

Giulia Cervini, Ilaria De Vito

▪ Strategie di interventogeometrie di progetto

prospetto nord

prospetto sud

La necessità di sovrapporre una tettoia, costruita su un impianto regolare e modulare, a singolecoperture aventi giaciture tutte diverse, ha richiesto la sovrapposizione di due differenti geometrie e di un terzo elemento che le tenesseinsieme. Il problema è stato risolto su un pianopuramente geometrico, con un sistema di rigateche collega le giaciture sghembe del tessuto archeologico a quelle ortogonali della copertura.L’obiettivo è dunque quello di restituire leggibilitàalla preesistenza archeologica, che oggi si presenta come un insieme di macerie disordinato e difficilmente interpretabile: in un quadro di voluta distinguibilità tra antico e moderno, la nuova architettura consente all’antica di tornaread essere essa stessa tale.

44 tesi di laurea in progettazione architettonica 45

prospetto sud ovest

sezione trasversale

▪ Il sistema costruttivo

La macrocopertura è una struttura reticolare in legno che poggia su pilastri posizionati in modo da non interferire con le tracce archeologiche e non dettare direzionalità nette all’interno di un impianto urbano composto da geometrie irregolari. All’interno della piastra reticolare, in corrispondenza delle sottostanti case del Borgo, coppie di travi continue consentono, attraverso i tiranti che compongono la rigata, di appendere le coperture delle singole case, anch’esse in legno. Agli scheletri delle due differenti strutture si accosta un rivestimento in goretex bianco, materiale in grado di garantire un’opportuna impermeabilizzazione e al contempo una diffusione ottimale della luce. Il rivestimento in tessuto completa anche le coperture delle singole unità abitative, consentendo la distinzione tra spazi aperti, più luminosi, e spazi coperti, maggiormente ombreggiati.

Silvia Austeri, Guglielmo Bartocci, Roberto Boniventi46 tesi di laurea in progettazione architettonica 47

Monte RomanoTarquinia

Allumiere

Blera

Barbarano

San GiovenaleLuni

Luni sul Mignone:analisi ed interventi per la valorizzazione

ed una migliore fruizione dell’area archeologica.

di Silvia Austeri, Guglielmo Bartocci, Roberto Boniventi

a.a. 2011-2012correlatrice: Cristina Casadei

Ci troviamo nel cuore dell’Etruria Meridionale lì dove il territorio è caratterizzato da altopiani tufacei, profonde valli fluviali e una ricca vegetazione boschiva.L’antico insediamento di Luni si trova sulla sommità di un pianoro lambito dal fosso del Canino, il torrente Vesca ed il fiume Mignone, che ne fanno un luogo naturalmente fortificato e di notevole suggestione affacciandosi sull’intera vallata e sul vicino sistema dei Monti della Tolfa. Queste caratteristiche fanno di Luni uno dei principali avamposti, conteso tra la città di Tarquinia e Cerveteri per il controllo del territorio e soprattutto dei commerci lungo il Mignone, utilizzato come collegamento tra l’entroterra e la costa tirrenica. Stessa direzione presentavano numerosi tracciati antichi tutti convergenti nella vicina via Clodia, tra i quali vi è quello che passa per Luni e di cui sono rimasti evidenti segni del passaggio dei carri. Attualmente questo tracciato si interrompe nel punto di connessione tra Luni e Monte Fortino a causa del passaggio del tracciato ferroviario Orte-Civitavecchia realizzato nel 1921. Le quattro campagne di scavo nel 1960, condotte dall’Istituto Svedese degli Studi Classici in Roma, con il diretto sostegno del re Gustavo VI, hanno messo in luce una serie di ritrovamenti databili ad epoche differenti strettamente correlati allo sviluppo dell’insediamento. I primi abitati si concentravano su una porzione ristretta del pianoro con la realizzazione di capanne semi-interrate nel banco tufaceo coperte da una struttura leggera in legno e paglia. In epoca etrusca la città si fortifica con un sistema di mura di cinta e vengono scavati dei fossati che tagliano trasversalmente il pianoro e che sono tutt’ora visibili. L’antropizzazione trasforma il sistema vegetazionale: il bosco arretra per far posto agli insediamenti, mentre nella fase

di abbandono la vegetazione inizia una lenta riconquista dell’altopiano. Per promuovere la valorizzazione del sito di Luni si propone un intervento teso a migliorare l’accessibilità e la fruizione del sito cercando di identificarlo come un’area archeologica riconoscibile. I punti fissi per la redazione del progetto sono: raccontare; evocare; orientare; proteggere. Il piano d’assetto prevede interventi sul sistema vegetale rafforzando il processo di rimboschimento già in atto, al fine di organizzare percorsi e soste alla scoperta dei resti di maggior interesse. Questi ultimi sono evidenziati dall’essere isolati in radure, riproponendo le antiche atmosfere che dovevano presentare; ciò ci ha permesso di distinguere i resti come appartenenti a due fasi differenti e di raccontare due condizioni: una arcaica per quel che riguarda l’abitato appenninico e l’edificio monumentale, l’altra legata al periodo etrusco, ricalcandone l’orientamento e l’ortogonalità degli isolati.

Luni sul Mignone.Enhancement and new enjoyment

of the archaeological site.

The ancient village of Luni is located on a plain bounded by the ravines producted by the ero-sion of the Canino stream, the Vesca stream and the Mignone river.The main cities of Tarquinia and Cerveteri con-tended for Luni, as one of the principal outposts for the control of the inland and overall for the commerce route along Mignone river.Moreover, Luni was located along one of the ancient paths which were connected to the Via Clodia. Nowadays such path stops near Monte Fortino due to the railway Orte-Civitavecchia.The plain was inhabited during the Bronze Age. Initially the villages occupied only a small area of the plain. The thatched huts were partially built underground and were covered with straw and wood. During the Etruscan Age the villages became a fortified city. High walls were built and an artificial moat, still visible, was dug. This ur-ban settlement was in use until the Middle Ages. Then the plain was abandoned.Nowadays it is necessary to improve the acces-sibility of Luni’s area, by the restoration of the physical and cultural identity of the place.To achieve this goal, it is necessary to develop a correct narration of the territory, a safeguard of the ruins and a design of new paths.The masterplan includes a landscape design that aims for define the paths and the stop areas through the ruins.

Luni

abitato appenninico: pianta e sezione

4 5 66 14 3

3 1 2

Silvia Austeri, Guglielmo Bartocci, Roberto Boniventi48 tesi di laurea in progettazione architettonica 49

ACQUAROSSA

MUSARNA

NORCHIA

ROFALCO

SAN GIOVENALE

Fase del Bronzo

Fase del Ferro

Fase Etrusca

Fase Medievale

▪ Fasi di antropizzazione del pianoro

▪ Stato di fattoRitrovamenti archeologici

1. Mura difensive di epoca etrusca 2. Fondamenta di un’abitazione etrusca3. Mura difensive di epoca etrusca4. Macine di pietra dell’età del Bronzo5. Resti di un focolare dell’età del Bronzo6. Ingressi intagliati nel banco tufaceo

tombe a nicchiatombe a camera

insediamento

cava

Nel territorio di Luni non è individuabile un’area prettamente destinata alle necropoli; le tombe etrusche, per lo più a camera, sono diffuse sul territorio circostante e vengono attribuite all’abitato di Luni in base al suo rilevante ruolo di avamposto militare e di controllo sulla valle del Mignone.Le zone interessate dalla presenza di necropoli sono: Pianarola (2), Ponton Spaderna (1), Vignolo (4), Monte Fortino (3).L’oggetto di maggior interesse situato sulla necropoli di Monte Fortino è la Tomba delle Cariatidi: sulla facciata esterna è scolpito il motivo della falsa porta e l’interno è ornato da un ricco apparato scultoreo, costituito da pilastrini addossati alla parete, che sostengono una cornice continua agettante, sulla quale poggiano due teste umane poste a sostegno del soffitto.

Abitato appenninicoEdificio monumentale Fossato etrusco Tagliata etrusca Mura di cinta

Silvia Austeri, Guglielmo Bartocci, Roberto Boniventi50 tesi di laurea in progettazione architettonica 51

Emergenze monumentali

Radure

Percorsi

Sistema della vegetazione “arbustiva”

Città dei vivi e città dei mortistato attuale

Città dei vivi e città dei morti Masterplan

▪ Strategie di intervento▪ Obiettivi

_Città dei morti

tomba a camera tomba a fossa Necropoli di Monte Fortino Necropoli di Monte Santo Necropoli del Vignolo

_Città dei vivi insediamenti tracciati Edificio monumentale Abitato appenninico Porta secondaria Tagliata etrusca Mura di cinta

_Masterplan Copertura edificio monumentale Copertura abitato appenninico Centro servizi Percorso archeologico Percorso ciclo-pedonale Collegamento

123

45678

abcdef

Il succedersi degli insediamenti abitativi nel corso dei secoli ha progressivamente occupato aree in precedenza ricoperte da vegetazione che si è spinta, via via, verso i bordi del pianoro. Dagli inizi del XX secolo il verde ha cominciato ad estendersi nuovamente verso le zone tornate ad essere libere. Il progetto pone l’accento su questo processo, prevedendo zone di radura, che lasciano emergere i ruderi, collegate da percorsi che ricalcano gli antichi tratturi.

1 4 5 6 7 8 2

f a b d e c

Fossato etrusco Mura di cinta

Edificio monumentale Abitato appenninico Tagliata etrusca

Luogo della ierofania

Radura Bosco Bosco sacro

Sistemadegli arbusti

Silvia Austeri, Guglielmo Bartocci, Roberto Boniventi

▪ Il sistema costruttivo: la Capanna

52 tesi di laurea in progettazione architettonica 53

L’invaso dell’edificio monumentale, delle dimensioni di 18x9 metri, scavato interamente nel banco tufaceo, si trova sulla punta occidentale del pianoro. I resti delle murature all’interno evidenziano le varie fasi di trasformazione: l’edificio, da capanna in legno e paglia su due livelli, si contrae per divenire prima un santuario e più tardi una chiesa rupestre, mai completata a causa del crollo di una parte della cappella, ricavata dall’ampliamento dell’antro ipogeo prima utilizzato come focolare.Il progetto di copertura ha lo scopo di evocare e facilitare la lettura delle preesistenze archeologiche, mediante il ripristino delle forme e delle volumetrie antiche, e di rendere

interamente fruibile lo spazio con l’installazione di pedane. Per lasciare inalterate le pareti dello scavo, lungo le quali si distribuiscono tracce di palo e tombe a fossa, si è scelto di fondare la struttura portante all’interno dell’area di scavo. La copertura si articola in più elementi lignei a cui è applicato un sistema di fissaggio del rivestimento. L’organismo varia al variare del materiale di rivestimento che può essere telo, pannelli di lamiera microforata o listelli di legno, a seconda delle necessità funzionali e delle qualità spaziali desiderate. Con l’uso del microforato o dei listelli in legno si ottiene all’interno un effetto di luce filtrata che richiama quello originario della copertura in paglia.

Copertura dell’edificio monumentalea cura di Silvia Austeri

la capanna

la struttura di sostegno

i reperti archeologici

▪ Il sistema costruttivo

Silvia Austeri, Guglielmo Bartocci, Roberto Boniventi54 tesi di laurea in progettazione architettonica 55

prospetto

pianta

sezione

il rivestimento .1le canaline ed il telo .2

le capriate lignee .3le travature secondarie .4

il sistema dei pilastri e delle travi .5 le passerelle .6

le case appenniniche .7

1. pilastro doppio C2. trave primaria doppio C3. piastra di ancoraggio4. trave secondaria doppio C5. nodo acciaio-legno6. capriate lignee

▪ Il sistema costruttivo

▪ Il sistema costruttivoLe tre grandi case a pianta rettangolare furono scavate nel banco tufaceo, completate con palificate lignee e muri a secco, e coperte da un tetto spiovente a due falde, rivestito in paglia. Le case erano disposte lungo una linea curva che taglia trasversalmente l’altopiano e dovevano svolgere la funzione di linea di confine verso Est. Tutti gli ingressi segnati da gradini tagliati nella roccia e preceduti da un portico (come si è potuto dedurre dalle trecce di palo rinvenute a terra) si aprono infatti verso Ovest, ossia verso l’interno del villaggio. Le tre case lunghe vennero abitate ininterrottamente dal Bronzo

Medio al Bronzo Finale. Date le dimensioni (casa nord 30m, casa centrale 7m, casa sud 40m) sembra evidente che le abitazioni fossero plurifamiliari. I frammenti di vasi micenei, databili tra il 1440 e il 1100 a.c., rinvenuti nello strato pavimentale, fanno a pensare ad un commercio con le polpolazioni del mar Egeo, alla continua ricerca di siti ricchi di risorse minerarie.L’abitato venne rinvenuto a seguito della seconda e della terza campagna di scavi tra il 1961 e il 1962 che, con una trincea scavata nella direzione longitudianle (est-ovest) del pianoro, intercettò i solchi dei pali a terra.

Copertura dell’edificio appenninicoa cura di Guglielmo Bartocci

1

2

3

4

5

6

7

6

5

4

3

2

1

Silvia Austeri, Guglielmo Bartocci, Roberto Boniventi

1. Foresteria2. Uffici 3. Laboratori4. Ristoro5. Zona espositiva-museale6. Sala conferenza

1. Orditura secondaria 2. Trave binata in legno lamellare 3. Cavo in acciaio 4. Monaco in legno 5. Travi di collegamento in lamellare 6. Pilastri in legno lamellare 7. Paiolato 8. Travi principali del solaio 9. Pavimentazione in legno 10. Piastra in acciaio 11. Orditura secondaria del solaio

Il centro sevizi è situato sull’antica via di collegamento tra San Giovenale e Luni sul Mignone, nel punto in cui il percorso approda ad una vasta radura, circondata dal bosco che offre un ampio panorama sul territorio, caratterizzato dall’alternarsi di rilievi collinari e valli fluviali. L’edificio si inserisce sul bordo di questo spazio, con una forma compatta e allungata sollevandosi leggermente dal terreno, per garantire continuità

percettiva sul paesaggio circostante. Il progetto si compone di due blocchi asimmetrici nei volumi e nelle strutture, destinati ad usi diversi: l’uno pubblico, di accoglienza ai visitatori di Luni, l’altro privato riservato alla foresteria e a spazi di lavoro per ricercatori. Le due porzioni sono separate da una rampa di accesso che termina in una terrazza panoramica affacciata sulla valle del torrente Vesca.

56 tesi di laurea in progettazione architettonica 57

la copertura

il rivestimento

la sottostruttura

la struttura

i resti archeologici

▪ Il sistema costruttivo

Centro servizia cura di Roberto Boniventi

1 2

56

3 4

1

2

3456

78

91011

58 tesi di laurea in progettazione architettonica 59

Fase Etrusca IX - III sec. a.C.

Fase Romana II - V sec. d.C.

Fase Medioevale VI - XV sec. d.C.

Fase Odierna

Lungo il tracciato della via Clodia, tra Blera e Tuscania, al crocevia con la strada che collegava Tarquinia ad Orvieto, sorgeva l’antica città etrusca denominata Orcla. L’insediamento occupava un pianoro tufaceo allungato in direzione nord-sud, limitato, lungo il suo impervio perimetro, dai corsi d’acqua del Pile e del Biedano. Così difeso già per conformazione orografica, il pianoro si prestava ad essere un ottimo luogo per la fondazione di una città. Abitata già dall’età del bronzo, la piana di Norchia venne ancor più fortificata dall’intervento degli etruschi che realizzarono, sul lato corto a sud, un profondo fossato, una delle più importanti opere difensive prodotte da questa cultura, difendendo così l’unico accesso consentito dalle condizioni naturali. Questa civiltà abitava il pianoro mentre aveva scelto i banchi tufacei, erti dirimpetto e ben visibili dalla città, come luogo della memoria dei morti. La necropoli scolpita sulla rupe, dal IV al II secolo a.C., con le tombe a facciata e a dado delle nobili famiglie, conferì a Norchia la sua immagine più conosciuta e caratterizzante, rendendola uno dei siti più importanti quando si fa riferimento alla cultura delle necropoli rupestri. I corsi storici sono avanzati e, da quando è

stata, Norchia ha cambiato nome ed immagine, potere e cultura: Norchia, fu così preistorica, villanoviana ed etrusca: poi si contrasse, divenne romana e quindi medioevale, per infine, d’improvviso, spegnersi ed attraversare i secoli in una condizione estraniata dal tempo.Il medioevo le donò nuove opere di fortificazione, il castello ed il castelletto, e soprattutto la pieve di San Pietro, elemento di collegamento con l’omonima e più importante cattedrale Tuscanense. Dopo il XII secolo, con la decadenza della diocesi di Tuscania e il declassamento della via Clodia, sulla quale la città si era da sempre strutturata (la via percorreva da nord a sud l’intero pianoro, confluendo a settentrione nella tagliata cosiddetta Cava Buia), decadde pure Norchia.Il 1453 è l’anno dell’epidemia che portò all’abbandono definitivo della città. Dal quel momento questo luogo non fu più abitato da nessuno. Oggi il paesaggio del pianoro di Norchia è dominato dai ruderi delle costruzioni medioevali, mentre le pendici custodiscono ancora il ricordo dell’antica necropoli scavata nel tufo, con finte porte e ricchi fregi ad ornamento delle tombe.

L’area archeologica di Norchia.

The archaeological area of Norchia.

Norchia was an ancient etruscan village which lied along the Via Clodia, among Blera and Tuscania, at the crossroads with the route which connected Tarquinia and Orvieto.The urban settlement was located on a tuff plain bounded by the Pile stream and the Biedano stream. Such plain was inhabited from the Bronze Age. Naturally provided by the ravines, the plain’s fortification was improved by the construction of a deep moat in the southern part.The necropolises were located looking towards the city. The “city of the dead” was carved on the tuff cliffs from the IV to the II century B.C. The necropolises of Norchia represent one of the most important samples of rock-cut necropolis.After the Etruscan Age, Norchia became Roman.After the Roman Empire, during the Middle Ages, the inhabited area became smaller.Then in 1453, it begins to decline.

Norchia

Manuel Giugliano 60 tesi di laurea in progettazione architettonica 61

Fase etrusca - IX- II sec. a.C.

Fase romana - II sec. a.C.- V sec. d.C.

Fase medievale - V sec.- XV sec. d.C.

Fase odierna

Norchia. L’antico fossato etrusco e l’accesso meridionale.

di Manuel Giugliano

a.a. 2011-2012correlatrici: Alessandra Carlini, Cristina Casadei, Paola Porretta

II Biennale degli spazi pubblici di Roma - tesi esposta

Collocata lungo l’antica via Clodia, Norchia è stato il centro attraverso il quale le merci provenienti dalle coste si diramavano verso Tarquinia e Cerveteri. L’insediamento, occupato sin dal XII secolo a.C., ha conosciuto un lento abbandono nel corso del Basso Medioevo. La stratificazione prodotta durante le varie epoche ed il suo successivo abbandono ci permette di comprendere, qui più che altrove, le fasi storiche di occupazione e la morfologia del territorio. Delimitata da corsi d’acqua ad Est e ad Ovest, Norchia è protetta verso Sud dall’imponente fossato etrusco, realizzato scavando il terreno da Est verso Ovest, producendo una discontinuità del pianoro meridionale. Per accedere all’antico borgo era necessario percorrere una tagliata ortogonale al fossato che da Sud verso Nord scendeva alla quota del fossato e risaliva attraverso una tagliata scavata lungo la spalla Nord della parete del fossato. Analizzando l’area del fossato è stato possibile individuare sia l’antico accesso all’area sia l’antica direttrice principale che percorreva l’altopiano da Sud a Nord. Attraverso lo studio della viabilità antica e dell’accessibilità all’area si è potuto localizzare un primo intervento nella zona del fossato.Nell’ambito degli studi sul territorio abitato dagli etruschi, gli storici hanno individuato una serie di centri che esercitavano una forte influenza su una serie di centri minori. L’antico borgo di Norchia conobbe un grande sviluppo nel corso del IV sec. a.C. in quanto collocato al centro del territorio tarquiniese e pertanto tutti i traffici commerciali diretti a Cerveteri e Tuscania passavano attraverso questo piccolo borgo. In seguito alla crescente minaccia di un’invasione romana tuttavia anche i centri minori decidono di dotarsi di dispositivi di difesa sebbene questi si riveleranno poi del tutto inadeguati. Dall’analisi degli insediamenti

si possono notare alcune rilevanti differenze tra i centri che decidono di intervenire sul loro sistema di difesa del XII sec. a.C. e quelli del IV sec. a.C. La progressiva contaminazione con il mondo ellenico infatti introduce alcuni dispositivi nell’ingegneria militare come torrette, posterle e salienti. La classica cinta muraria viene integrata con strutture di avvistamento e difesa. I centri dell’entroterra dunque, progressivamente subiscono una forte militarizzazione tipica dei maggiori centri costieri.Si è deciso di realizzare uno spazio d’accoglienza che valorizzasse gli antichi punti di vista e rievocasse le antiche tecniche costruttive etrusche. Su tutto il pianoro meridionale infatti sono presenti blocchi di tufo con i quali era stato probabilmente edificato tutto l’antico insediamento. Riutilizzando questi blocchi si è riealizzato un muro dietro quello antico, che oltre a delimitare uno spazio semi-ipogeo, contiene le spinte del terreno retrostante. La copertura è realizzata con una serie di elementi in legno che poggiano su una struttura verticale anch’essa in legno. L’alternarsi di elementi orizzontali e verticali delimita lo spazio interno e sostiene la copertura determinando un percorso caratterizzato da suggestive variazioni di luce. Percorrendo la rampa incisa nel tufo si scende verso il limite Ovest della rupe raggiungendo la zona del belvedere. Da questo punto è possibile risalire costeggiando il limite del fossato oppure entrare all’interno della struttura. All’interno, con un lungo corridoio che incide la rupe, si raggiunge una zona in cui è stata collocata una vasca per la raccolta dell’acqua piovana. Da qui si entra in un lungo percorso caratterizzato dalla presenza dei pilastri in legno che ci guidano fino alla sala principale. Questo spazio è caratterizzato dalla luce proveniente da Sud che guida il visitatore verso l’uscita.

The archaeological area of Norchia.The moat and the southern access.

Norchia was located at the crossroads of the commercial routes from the coast to the inland.Its area has been inhabited since the XII cen-tury B.C. and was abandoned during the Middle Ages. Such long occupancy gathered several layers in the territory that make possible to clear-ly understand its historical phases.The plain of Norchia is bounded by ravines cre-ated due to the erosive action of the streams Biedano and Pile. The natural protection of the urban area was improved by an artificial moat which is located in the southern part of the plain. Such moat is dated at the Etruscan Age: the etruscans dug the tuff from East to West in order to interrupt the continuity of the southern plain.The access to the village is located perpendicu-lar to the moat and is through a “tagliata”, whichis a stone-cutted road.Through the study of the ancient route network it is possible to identify the best location for a new touristic reception center.All along the southern part of the plain it is pos-sible to find tuff blocks which have been proba-bly used to build the ancient village. Such blocks are now used to build up a new retaining wall behind the ancient one. The new wall recalls the the ancient construction techniques.The cover is made by a wooden frame system which creates several lights and shade effects. Finally, walkways and viewpoints lead people tothe areas located in strategic positions in order to obtain a specific point of view that enhances the ancient landscape.

TUSCANIA

TUSCANIA

TUSCANIA

CASTEL D’ASSO

CASTEL D’ASSO

CASTEL D’ASSO

TARQUINIA

TARQUINIA

TARQUINIA

TARQUINIA

CERRACCHIO

CERRACCHIO

CERRACCHIO

BLERA

BLERA

▪ Analisi delle percorrenze

Cava buia

San Pietro

Il castello

S.Giovanni

La torre

Il fossato

La via principale

Manuel Giugliano

Il borgo etrusco si estendeva su entrambi i pianori. Mentre su tre versanti il sito è sempre stato naturalmente difeso, a sud l’insediamento era esposto a possibili invasioni esterne.Per questa ragione, tra il III e il II sec.a.C., venne realizzato il fossato, un’enorme incisione nel terreno che, tagliando da est a ovest il pianoro, costituiva un vero e proprio sbarramento. Lo scavo (considerato il fossato più grande d’Italia) fu realizzato asportando 15000 metri cubi di tufo, ottendo così pareti molto alte a cui fu addossata una struttura di contenimento ad emplecton. L’accessibilità all’antico borgo era

garantita dalla presenza di tagliate trasversali che, percorrendo la Via Principale, scendevano alla quota del fossato per raggiungere la porta della città. Il sistema difensivo fu poi completato con dispositivi di derivazione ellenica come torrette, salienti e postierle. Dopo la conquista romana il borgo si ridusse notevolmente contraendosi verso il pianoro settentrionale. In quest’area infatti la presenza di numerose cisterne etrusche assicurava un abbondante approvvigionamento di risorse idriche. Le tracce delle cisterne hanno consentito

di stabilire che, durante la fase etrusca, quest’area fu destinata ad uso agricolo. Il fossato etrusco segna una netta separazione tra la parte settentrionale e il pianoro meridionale, consentendo di identificare con esattezza i confini del borgo etrusco. La lunga tagliata denominata “Via Principale”, attraversa in direzione nord-sud l’intero pianoro e prosegue riallacciandosi all’asse di collegamento tra le città di Blera e Tuscania. Questo importante tracciato percorreva tutto il territorio tarquiniese e viene riconosciuto come precedente della via Clodia.

62 tesi di laurea in progettazione architettonica 63

il Biedano

IL BORGO

▪ Stato di fatto

LA VIABILITA’ L’ACCESSO IL SISTEMA DIFENSIVO

il fossato il pianoro meridionale la via principale

Primi insediamenti Nascita del tessuto urbano Strutturazione della linea difensiva Conquista romana e declassamento

i punti di avvistamento Il Pile

area ad uso agricolo

Tuscania

Tarquinia

BleraCerracchio

Il borgo abitatoConfini dell’insediamento

Il borgoAsse principaleDiverticoliDogana

La porta d’accessoLa torreSan Giovanni

Il borgo

IX secolo a.C. VI secolo a.C. II secolo a.C. II secolo d.C. VI secolo d.C.

Il fossato

La cinta muraria

Torrente Biedano

Via principale

Fosso di Pile

Manuel Giugliano 64 tesi di laurea in progettazione architettonica 65

pianta dell’accesso

sezione longitudinale

piantasezione assonometrica

1.pilastro in legno lamellare dim. 12x36 cm2. finitura in scaglie di tufo a granulometria fine3. malta di calce idraulica4. elemento di contenimento in acciaio corten sp.2 mm5. travetto in legno6. trave in legno lamellare 12 x 36 cm7. intercapedine d’aria

1 2 3 5 6 74

muro in blocchi di reimpiego

pavimentazione flottante

struttura portante in legno lamellare

tetto verde

Nell’area attorno al fossato è possibile individuare l’antico accesso all’area e la direttrice principale che percorreva l’altopiano da sud a nord, lungo la quale è stato localizzato un primo intervento. L’edificio, destinato a spazi per l’accoglienza, intende ripristinare le visuali antiche. Per la costruzione del muro che contiene il terreno e delimita uno spazio ipogeo, si utilizza materiale di spolio.La copertura, realizzata con una sovrapposizione di elementi in legno, poggia su una struttura verticale anch’essa in legno. La serie di elementi orizzontali e verticali che sostiene la copertura, delimita lo spazio interno strutturando un percorso caratterizzato da suggestive variazioni di luce.Percorrendo la rampa tagliata nel tufo si scende verso il limite ovest della rupe fino a raggiungere la zona del belvedere. Da questo punto è possibile risalire costeggiando il limite del fossato, oppure entrare all’interno della struttura. All’interno una sequenza di spazi differenziati conduce progressivamente verso la sala principale, nella quale una luce proveniente da sud guida il visitatore verso l’uscita.

▪ Strategie di intervento ▪ Il sistema costruttivo

Carolina Reale66 tesi di laurea in progettazione architettonica 67

Norchia.L’accesso ovest e il collegamento tra la cava buia

e il pianoro settentrionale

di Carolina Reale

a.a. 2010-2011correlatrici: Alessandra Carlini, Cristina Casadei, Paola Porretta

II Biennale degli spazi pubblici di Roma - tesi esposta

L’area archeologica di Norchia ha rappresentato per lungo tempo il cro cevia dei traffici commerciali che dai lidi tarquinesi si propagavano nell’entroterra. Snodo fondamentale della via Clodia, Norchia viene attraversata da un asse principale Nord-Sud. Questa via, dopo essere uscita dall’abitato ed avere co steggiato il piede della rupe settentrionale della collina, si dirigeva al ponte sul Biedano, di cui oggi restano in vista un pilone nell’alveo del fiume e la spalla impostata sulla riva sinistra.Tale spalla si trova ad una quota più alta rispetto a quella dell’alveo del fiume, a monte di una via che lo costeggiava, tagliata a mezza costa nel masso. Il ponte superava, oltre al fiume, anche questa via secondaria, portandosi alla quota di una bassa dorsale sulla quale corre la via che permette l’accesso al pianoro.Altra caratteristica interessante del sito è la presenza di cinque pestarole molto ben conservate, ricavate nel masso, all’interno di un vasto riparo naturale creato dallo strapiombo della rupe. Queste sono certamente posteriori alla via.La strada principale si innestava, mediante il ponte, nella via cava che risaliva dal fondovalle del Bieda no al pianoro soprastante. Questa strada, nota con il nome di “Cava Buia”, supera con un tracciato artificiale un dislivello di 40 m, sviluppandosi per 370 m di lunghezza. La tagliata è profonda fino 10 m con una sezione larga circa 2,50 m.Rappresenta indubbiamente la più grande opera di ingegneria stradale presente nel territorio orclano. La Cava Buia risulta essere anteriore al ponte, come dimostra il raccordo tra le due opere, realizzato con un brusco gomito che immette in un tratto della via.Anche dal punto di vista stratigrafico si osserva

che l’innesto avviene ad una quota notevolmente bassa della via, corrispondente ad una fase avanzata della vita di questa. Quando il ponte non esisteva, il supera mento del fiume avveniva attraverso una passerella lignea oppure con un guado, dove la via raggiunge il piano di fondovalle, circa 30 m prima del ponte, forse nei pressi delle due pestarole. Nel medioevo il ponte era ormai in rovina ed il guado tornò a funzionare, come testimo nia il nome di Vado del Pisciarello, attri buito alla località nel XlI secolo. L’obiettivo della tesi è quello di ripristinare un colle gamento tra il pianoro settentrionale e la cava buia ad ovest, e quindi il raccordo con la via Clodia.Il ripristino di questi percorsi avviene sfruttando una serie di passerelle lignee che, oltre a collegare le due quote di cui sopra, permettono di raggiungere due quote più basse, riportando in vita gli antichi percorsi di fondovalle. Vengono così a configurarsi una serie di cammini, in quota ed in pendenza, nei quali trova alloggio un piccolo info point con relativi servizi. La struttura, interamente in legno è costituita da una serie di pali molto fitti, a ricordare le antiche palificate di attraversamento dei guadi e per integrare il più possibile il progetto all’interno di una folta vegetazione.

The archaeological area of Norchia.The west access and the link between the

“Cava Buia” and the northern plain.

Norchia was located at the crossroads of the commercial routes from the coast to the inland.The main path of Norchia ran as a North-South axis, it passed through the village, ran along the northern cliff and finally arrived on the bridge lo-cated on the Biedano stream. Only a pillar in the river bed and an abutment remain from the old bridge. The abutment is located at a higher lev-el than the riverbed, on the left river bank over a rock-cutted path which followed the river. The bridge was used to cross such path too, which dates from an earlier time than the bridge.The main North-South axis crossed the bridge to join the rock-cutted path which rises from the Biedano bank to the plain. Such path, known as “Cava Buia”, overcomes an altitude gap of 40 m and runs for 370 m lenght. This path represents one of the most important engineering works in Norchia’s area.The aim of this work is to recover the connection between the northern plain and the “Cava Buia”. In this way it is possible to re-connect the plain with the Via Clodia.The recovery of these paths starts with the re-covery of the bridge.Several wood walkways connect the different heights. Among them there is a new info point.The main structure is a wood frame with several pillars, which aims to recall the ancient structure and to hide the building within the woodland.

cava buia

Tarquinia

Fiume Mignone

Pian de’ Castelli

Tuscania

Blera

Biedano

Pile

ponte romano

Carolina Reale68 tesi di laurea in progettazione architettonica 69

la cava buia: sezioni progressive

1. la cava buia

1

2 3

2. le pestarole 3. il resti del ponte

la cava buia: sezione orizzontale

▪ Stato di fatto

L’importanza della cava buia nel sistema viario gravitante su Norchia è resa evidente, in via indiretta, da alcune epigrafi latine antiche e medioevali, scolpite insieme ad altri segni sulle sue sponde.La via era stata preceduta da un’altra, assai più modesta, via cava che essa ha sostituito incrociandola due volte.Questa via guadagnava il pianoro correndo verso Nord Ovest in un avvallamento naturale per un percorso complessivo di circa 180 m, con una maggiore pendenza.La valle del Biedano non presenta altre vie di uscita nel tratto sottostante la città, se non qualche sentiero nascosto dalla boscaglia.

fase romana

fase paleolitica

fase etrusca tarda

fase etrusca arcaica

fase altomedievale

fase del bronzo

fase bassomedievale

▪ Fasi di stratificazione del paesaggio

Carolina Reale70 tesi di laurea in progettazione architettonica 71

▪ Il sistema costruttivo

la copertura

l’involucro strutturale

la copertura

il sistema di rampe

l’involucro

la fondazione a pali

servizioservizioservizio

▪ Obiettivi

Ripristino degli antichi accessi L’importanza della cava buia nel sistema viario gravitante su Norchia è resa evidente, in via indiretta, da alcune epigrafi latine antiche e medioevali, scolpite insieme ad altri segni sulle sue sponde.

Inserimento di servizi La via era stata preceduta da un’altra, assai più modesta, via cava che essa ha sostituito incrociandola due volte.Questa via guadagnava il pianoro correndo verso Nord Ovest in un avvallamento naturale per un percorso complessivo di circa 180 m, con

una maggiore pendenza.La valle del Biedano non presenta altre vie di uscita nel tratto sottostante la città, se non qualche sentiero nascosto dalla boscaglia.

Stefano Colagrande, Gianmarco Mattei72 tesi di laurea in progettazione architettonica 73

Norchia.Valorizzazione del castello e del castelletto

adiacente al complesso del castrum medievale nel settore occidentale del pianoro

di Stefano Colagrande, Gianmarco Mattei

a.a. 2010-2011correlatrici: Alessandra Carlini, Cristina Casadei, Paola Porretta

II Biennale degli spazi pubblici di Roma - tesi esposta

Il recupero dell’area del castello e della chiesa medievale fanno parte di una serie di interventi simili finalizzati al recupero di strutture che si concentrano sul pianoro nord e che evidenziano la contrazione dell’abitato in età medioevale. Se infatti la Cava Buia, a nord, e l’accesso etrusco, a sud, denunciano i confini ai limiti del pianoro, la chiesa ed il castello, si inseriscono in un sistema più ridotto, circoscritto dalla cinta muraria eretta in epoca alto medievale.La difesa del borgo infatti si sposta dal limite del fossato etrusco all’area dell’istmo, dove il pianoro meridionale subisce un brusco restringimento orografico, maggiormente difeso da uno sbarramento trasversale artificiale da cui scaturisce la costruzione dell’area castellana. Alcuni studiosi sono concordi nell’affermare che la scelta del pianoro settentrionale è stata determinata in primo luogo dal momento che tale parte è chiaramente più difendibile in virtù delle caratteristiche morfologiche. Tuttavia al contempo non è da sottovalutare l’aspetto che la scelta dell’occupazione di questo pianoro sia stata condizionata dalla presenza di cisterne etrusche che garantivano un sufficiente approvvigionamento di acqua. Norchia viene identificata con il nome di castrum, castello circondato da un fossato difeso da un ponte levatoio che in caso di pericolo veniva sollevato dai guardiani. Il castum aveva una spessa cinta muraria intervallata da torri di guardia. Appena all’interno delle mura si trovava la corte bassa. Un’ulteriore cinta muraria serviva per difendere la corte alta, al cui centro era situato il mastio, usato come “casa fortificata”. Le mura erano vigilate giorno e notte da sentinelle fornite di lance da utilizzare in caso di pericolo. Di solito il castello era costruito su alture per veder, già da lontano, gli avversari. Il Signore e la sua famiglia abitavano nel mastio,

la parte più alta del castrum. All’interno delle mura esistevano numerose costruzioni tra cui la caserma delle truppe, i magazzini per le provviste, le stalle con il bestiame dei militari e le abitazioni degli artigiani e dei mercanti. Sul pianoro meridionale vi erano abitazioni, su quello settentrionale coltivazioni. In età altomedievale questo fenomeno è reso ancora più evidente in virtù dell’occupazione delle grotte che ci ha permesso di ricostruire le fasi di incastellamento che si sono succedute a Norchia in tutte le fasi medievali. Il sistema di grotte etrusco viene ad essere rioccupato in epoca medievale, successivamente all’occupazione del pianoro si contrae ulteriormente ad una quota superiore. La realizzazione della cinta muraria sembra suffragare tale ipotesi. Contemporaneamente alla costruzione delle mura viene eretto il primo castello. Un’ulteriore analisi permette di comprendere come il castello che vediamo oggi risalga ad una fase successiva in cui il borgo è già disabitato. Dunque, i ruderi oggi visibili rappresentano ciò che rimane del castello costruito nel 1354 distrutto nel 1435, realizzato sfruttando una precedente edificazione realizzata tra il X e l’XI sec.Il piano di interventi che viene delineato tiene conto di queste emergenze architettoniche e tenta di riconsegnare una visione complessiva dell’area. La strategia pone come obbiettivo il ripristino dell’antica percorrenza nord-sud. In questo modo oltre ad avere una corretta percezione dell’area, si ristabilisce, perlomeno in parte, quell’arteria fondamentale che un tempo fu la via Clodia.

The archaeological area of Norchia. Enhancement of the castle and of the

“castelletto” in the western plain area.

The natural borders of the plain of Norchia are defined by ravines and streams. The anthropic borders are the Cava Buia up North and the etruscan doorway down South.These borders define a main system developed during the Etruscan Age. The medieval castle instead, belongs to a smaller system delimited by the medieval walls.In the Middle Ages in fact the urban area stretched until the isthmus of the plain and the southern border moved up from the moat to the isthmus.The choice to keep inhabiting the northern plain was taken first of all because of the morphology of the territory. The northern ravine’s sides were steeper and the isthmus area was a narrow strip of land easy to defend. In the medieval documents Norchia is called “castrum”. The medieval castle was made by two main structures at two different levels: the castle and the so called “castelletto”.The castle was located at the higher level of the plain, defended by a deep moat with a lift bridge. Heavy walls were built in order to defend the castle. The “castelletto” was located at the lower level, surrounded by lower walls and by a deep moat. Inside the castle was located the “mastio”, the fortified tower where the master used to live.The aim of this work is to offer a better under-standing of the archaeological site.Wooden walkways connect the two levels of the ruins of the castle and the “castelletto” and new walls made by a wood strips frame recall the medieval buildings.

accesso ovest

castello

castelletto

accoglienza

accesso sud

cava buia

ponte

San Pietro

74 tesi di laurea in progettazione architettonica 75

accesso nord

limite della fortificazione medioevale

borgo medioevale (castrum)

castello

castelletto

accesso sud

▪ Fasi di antropizzazione del pianoro

Stefano Colagrande, Gianmarco Mattei

Fase 1 (fino al X sec.) Occupazione di entrambi i pianori con

grotte.

Fase 2 (tra X-XI sec.) Incastellamento: i villaggi sparsi si contraggono in un’area circondata da mura (castrum).

Fase 3 (tra 950 - 1150)Orcla è desertum data la prensenza di altri domini feudali: Respampani, Salce, Petrignano, Vetralla,

Luni e Cassolibrandi.

Fase 4 (1154 - 1159)Adriano IV la riforma

come castrum.

Fase 5 (1354)Il castello viene ceduto all’Albonoz che ne inizia la ricostruzione. Orcla viene classificata come rocca e non

più come castrum.

Fase 6 (1416)Orcla viene classificata

tra le terre distructae et inhabitate.

▪ Stato di fatto

L’antica Orcla è una lingua di terra isolata dal resto del pianoro circostante, per mezzo di stretti solchi, erosi nel terreno tufaceo dalle acque di due torrenti: il Biedano ed il Pile affluenti del Marta. La conformazione geomorfologica di questo sito presenta delle difese naturali ben definite, alle quali si sovrappongono dispositivi artificiali.Quest’analisi ci ha consentito di descrivere conprecisione il sistema degli accessi, e di ricostruire i limiti dell’insediamento nel corso delle sue fasi di occupazione. Lo studio degli accessi mostra quell’asse sud-nord che ad una scala territoriale rappresentava il tracciato della Via Clodia.Ad oggi quest’asse non è più percorribile e visibile, infatti l’accesso all’area archeologica avviene attraverso un improprio sentiero dissestato che supera la forra passando per le necropoli, negando quindi l’originaria direttrice che ci consentirebbe di leggere in maniera chiara i sistemi che la racchiudono.

76 tesi di laurea in progettazione architettonica 77Stefano Colagrande, Gianmarco Mattei

Il castello medievale di Norchia comprende due strutture collegate ma ben distinte: il castello vero e proprio e un recinto fortificato con annessa torre, che è chiamato convenzionalmente castelletto. Entrambi sono difesi da fossati, interni ed esterni. Il borgo fortificato (castrum) si sviluppava dopo il primo fossato, ben più profondo degli altri e controllato da una camera ipogea attraverso cui si accedeva al recinto. Il castelletto si può definire come un recinto murato posto a guardia dell’ingresso. Si possono individuare al suo interno un’area d’ingresso

e una platea più alta su cui si fondava la torre servita da una rampa che correva a ridosso del muro. Al di sotto di tale area vi era una camera ipogea preesistente riutilizzata in età medievale, come punto di controllo del versante del Pile. Attraverso i due fossati interni, oggi facilmente percorribili, si arrivava all’ingresso del castello, protetto da un corridoio laterale in salita. L’accesso da nord invece era preceduto da un ponte levatoio e da saracinesche che miglioravano la difesa in caso di un eventuale assedio. L’area del castello era caratterizzata

da una grande corte che permetteva l’accesso ad un corpo di fabbrica a più piani destinato ad abitazioni, stalle e depositi. Dalla corte si accedeva inoltre al mastio, una torre che dominava tutto il pianoro e che rappresentava l’ultimo baluardo del padrone del castello in caso di assedio. I ruderi visibili ci dimostrano che il lato nord era, per ragioni orografiche, maggiormente difeso e che il mastio costituiva un punto di comunicazione con la torre del castelletto ed un punto di osservazione per gli accessi al recinto interno del castello.

Ipotesi ricostruttiva di E. P. Colonna

mastio

murature conservate

corpo di guardia

torre del castello

saliente fortificazioni

corridoio

abitazioni

ingresso al castello camminamento di ronda

corte

le piattaformei fossati

antica percorrenza medievale

fossato di accesso alla camera di controllo

quota del castelletto

secondo fossato

podio di difesa

terzo fossato

piattaforma del castello

quarto fossato

pianoro settentrionale

- 13.20

quota di arrivo dal pianoro

+142.30 s.l.m. +140.20 s.l.m. +148.00 s.l.m. +147.30 s.l.m. +149.20 s.l.m.

+146.18 s.l.m.

+149.05 s.l.m..

+155.50 s.l.m.

+152.00 s.l.m.

- 15.30

prImo fossato di accesso alla camera ipogea

- 7.50

basamento di costruzione del castelletto

- 8.20

secondo fossato

- 6.90

banco tufaceo

- 9.35

terzo fossato

- 6.45

quota di risalita al castello

+ 0.00

quota di calpestio del castello

- 3.50

quarto fossato

▪ Analisi interpretativa: ipotesi voumetrica

▪ Analisi interpretativa: il sistema topografico

▪ Il sistema costruttivo

Stefano Colagrande, Gianmarco Mattei

▪ Strategie di intervento

78 tesi di laurea in progettazione architettonica 79

Esploso assonometrico

dettaglio costruttivo della porta di accesso al castello

il sistema delle rampe

vista di insieme particolare della porta di accesso al castello

il sistema di risalita e l’attacco a terra

Nell’avvicinarsi a questo luogo si percepisce fin da subito di essere immersi in una vegetazione che domina e sovrasta quasi completamente i resti ancora oggi visibili.Nel corso dello studio progettuale sul contesto nei punti in cui il sito è morfologicamente più ostile si è deciso di mantenere, per quanto possibile, il carattere originario del luogo; mentre laddove il sito si prestava meglio alla realizzazione di opere nuove si è deciso di suggerire dei percorsi per evitare di rendere dispersiva la visita dell’istmo. L’idea

che sta alla base della struttura lignea è quella di voler utilizzare un materiale che si adattasse bene al contesto naturalistico che caratterizza il sito archeologico; il legno con la sua essenzialità e purezza rende migliore la comprensione del luogo agli occhi del visitatore. Gli interventi sono dettati dal desiderio di restituire, a colui che decide di incamminarsi su questo pianoro colmo di storia, le volumetrie, l’immagine, la sensazione e la presenza architettonica di ciò che “viveva” durante il periodo medievale. Entrambi ideati mediante lo stesso

sistema costruttivo, i progetti hanno una duplice funzione: quella di porta d’accesso e di punto di osservazione privilegiato per quanto riguarda il mastio del castello e la torre del castelletto. Tale struttura è costituita da listelli verticali e orizzontali incrociati che, solidali tra loro per mezzo di barre di acciaio, costituisco un vero e proprio telaio strutturale. La struttura per intero vive grazie alla “complicità” di tutti i suoi elementi compresi i gradini realizzati in un unico pezzo, sagomato per incastrarsi perfettamente con i correnti verticali.

listelli in legno di pino

dormiente in acciaio

trave in legno lamellare

Sara Antonini, Marta Buccellato, Rusco Castiglia80 tesi di laurea in progettazione architettonica 81

Norchia.Pianoro settentrionale:

sistema ipogeo e pieve di San Pietrodi Sara Antonini, Marta Buccellato, Rusco Castiglia

a.a. 2010-2011correlatori: Alessandra Carlini, Cristina Casadei, Luca Catalano, Paola Porretta

VII Biennale del Paesaggio di Barcellona - tesi espostaII Biennale degli spazi pubblici di Roma - tesi esposta

L’immagine che attualmente si ha di Norchia è quella di una lunga lingua di terra isolata dal resto del pianoro circostante dove, puntualmente, emergono i resti dell’abitato che un tempo vi sorgeva. Arrivando da est, lo sguardo indugia sull’imponenza dei ruderi che dominano il basso orizzonte dei campi coltivati. Ma procedendo si scopre la profonda valle che gli esili corsi d’acqua hanno inciso nel tufo e che la mano dell’uomo ha magistralmente scolpito. L’unico modo per colmare la distanza, è discendere tra le tombe a dado della monumentale necropoli rupestre, per più di 50 metri per poi riconquistare la quota attraverso la tagliata scavata nel tufo.Raggiunto il crinale, facendosi largo tra la fitta vegetazione si riconosce l’intervento dell’uomo in quelle rovine ormai conquistate dalla natura: il grande fossato etrusco, i resti ormai quasi illegibili della chiesa di San Giovanni, le camere scavate nel tufo, il castello che torreggia dall’istmo del pianoro, l’abside della chiesa di San pietro che domina dal punto più alto la gola del Biedano e la tagliata etrusca che si conclude con la porta medievale per poi dirigersi alla cava buia.Solo percorrendo il dislivello tra il pianoro ed il letto del fiume ci si rende conto della ricchezza della vegetazione che evidenzia il contrasto tra valli incassate, rupi e morbide morfologie collinari: sono queste le forre che caratterizzano il paesaggio dell’Etruria Meridionale, e che rappresentano un sistema botanico di notevole pregio. Nelle profonde valli scavate dai fiumi la presenza di acqua e le forti raffiche di vento concorrono ad abbassare notevolmente la temperatura tanto da essere clima ideale per la crescita di quelle specie proprie di altitudini maggiori;

risalendo, l’esposizione al sole e la base tufacea creano un clima sempre più secco, le pareti scoscese della forra sono conquistate da leccete, per poi lasciare spazio sul pianoro agli elementi tipici della macchia mediterranea con i grandi boschi di cerri e roverelle. In questo luogo, ricco di suggestione e romanticismo, viene proposto un intervento di recupero e rifunzionalizzazione del Pianoro Settentrionale con l’obiettivo di rendere facilmente accessibile e percorribile il sito, rievocando gli spazi che durante la fase medievale ne regolavano la fruizione. Infatti, nonostante gli elementi del pianoro siano i più imponenti, sono anche quelli meno comprensibili in quanto, in mancanza del tessuto edilizio, è difficile immaginarli come appartenenti ad un sistema urbano. Lo strumento tramite il quale abbiamo deciso di rievocare questi spazi è la vegetazione, di cui vengono progettate le fasi di crescita nel tempo, mentre i resti archeologici sono accolti all’interno di radure.

The archaeological area of Norchia.Northern plain: the hypogeic settlement

and the church of San Pietro

Norchia is located on a long plain bounded by steep cliffs and by the three streams Pile, Acqualta and Biedano. Only bits and pieces of the history of Norchia are told by what is still standing: the etruscan moat, the Church of San Giovanni, the chambers that have been dug in the tuff, the castle, the ruins of the Church of San Pietro and the Etruscan “tagliata” that winds until it reaches the medieval doorway and then bends to the Cava Buia.Norchia is a romantic and wild place, but at the same time it represents a very powerful mean to understand the rules of the etruscan urban settlement. The aim of this work is to make Norchia an eas-ily reachable and easily understandable archae-ological site.The natural environment of this place is its stron-gest feature, and therefore is the most effective mean to reach this goal. The trees, the bushes and the clearings define were designed to de-fine a new urban settlement. Dealing with the nature means dealing with time. The growing phases of the new wood were carefully designed. When finally the whole new woodland will grow up, finally will be possible to walk through the paths in the wood, enjoying the ruins within clearings, gardens, shaped bushes. Moreover in the clearing area was designed a descent that leads the visitor to the area of the hypogeic settlement.

Blera

Tuscania

chiesa di San Giovanni

via principale

fossato etrusco

porta medievale

pieve di San Pietro

ponte romano

castello

castelletto

Riforestazione e valorizzazione del pianoro settentrionale

Restauro, valorizzazione e fruizione del sistema ipogeo

radura nord-est, radura nord-ovest

Restauro, valorizzazione e fruizione della pieve di San Pietro

▪ Obiettivi

Sara Antonini, Marta Buccellato, Rusco Castiglia

le tombe rupestri

radura nord-est

radura nord-ovest

Norchia, crinale nord della chiesa di San Pietro, pianta e sezione, rilievo E. Colonna, G.Colonna

tombe monumentali

colombari

funzione autonoma: Sant’ Angelo

funzione autonoma: corpo di guardia

grotte a camere ampie con ingresso autonomo collegate da aperture

4a - uso incerto

4b - collegate da aperture monumentalizzate

Tuscania, località della Grotta Bandita, Insediamento rupestre pianta, rilievo M.Nelli

Ischia di Castro, chiusa del Vescovo. pianta, rilievo S.Picchetto

Civita Castellana colle del Vignale, insediamento rupestre di San Cesareo. pianta, rilievo J. Rapiserra

Il sistema ipogeo.Analisi dell’insediamento rupestre

Altri nsediamenti rupestri nella Tuscia

▪ Analisi tipologica.I sistemi rupestri

82 tesi di laurea in progettazione architettonica 83

Sara Antonini, Marta Buccellato, Rusco Castiglia

Le cripte del corridoio bizantino

1 2 3 4 5 6 7chiesa di San Pietro, prospetto sud

chiesa di San Pietro, abside

chiesa di San Pietro, interno

Rovine della chiesa Tracce dell’impianto originario di progetto della chiesa

Tracce di un’area antistante la chiesa, con destinazione incerta

1. fosse antropomorfe2. pozzo etrusco3. cripta4. chiesa di San Pietro5. impianto originario della chiesa6. fondazioni del campanile7. area con destinazione incerta

insediamenti lungo il percorso matrice

insediamenti lungo i percorsi secondari

insediamenti lungo i percorsi di collegamento

Chiesa di San Pietro pianta, rilievo J.Raspiserra

Barbarano Romano

Vetralla

Tuscania

Blera

Sutri

Vitorchiano

Tuscania, San Pietro:

Nepi, cattedrale

Blera, Santa Maria dell’Assunta

Vetralla, San Francesco

Civita Castellana, cripta

Sutri, cattedrale

▪ Analisi morfologica.Gli insediamenti medioevali nella Tuscia

▪ Analisi storica.La pieve di S.Pietro, la cripta e le chiese del corridoio bizantino

84 tesi di laurea in progettazione architettonica 85

La chiesa di San Pietro rappresenta una delle principali testimonianze della fase di cristianizzazione della Tuscia meridionale. L’impianto è quello di una chiesa basilicale longitudinale, con ampio presbiterio e orientamento est-ovest. La facciata (crollata)

di cui oggi non c’è traccia visibile neanche negli allineamenti murari di fondazioni, è rivolta ad est verso la Via Principale. Anche la copertura e il piano della chiesa superiore sono completamente crollati, obliterando la cripta, oggi solo parzialmente agibile. Il basamento di una torre

campanaria quadrangolare è conservato poco piu a sud del muro meridionale del corpo della chiesa. Sulla zona occidentale del presbiterio rimangono perfettamente integre le tre conche absidali che dal punto più alto del pianoro, dominano la gola del Biedano.

L’analisi dei caratteri urbani, che connotano l’identità della maggior parte dei centri dell’Etruria meridionale analoghi al modello di Norchia, è indispensabile nella definizione degli obiettivi e delle strategie di intervento.L’analogia con altri centri etruschi ha permesso di dedurre un principio insediativo che l’intervento intende recuperare, inserendo le emergenze puntuali all’interno di un sitema che le renda nuovamente identificabili come parti integranti di un tessuto urbano.

▪ Strategie di intervento.Le Percorrenze

Sara Antonini, Marta Buccellato, Rusco Castiglia

Castelletto Rocca Castrum Porta San Pietro

Fosso PileNecropolimonumentale

Castello San Pietro Abitato rupestre Torrente Biedano Poligono militare

Recinti naturali:morfologia e fossati

Recinti artificiali: mura di cinta

Emergenze: presidi militari, presidi religiosi

strade

vicoli

slarghi chiusi

slarghi aperti

FASE I

FASE II

FASE III

▪ Strategie di intervento.Percorrenze e radure

▪ Strategie di intervento.Riforestazione

86 tesi di laurea in progettazione architettonica 87

L’obiettivo è quello di ripristinare i caratteri spaziali dell’antico tessuto, andato quasi completamente perduto. A tale scopo, vengono ricollocati i ruderi all’interno di radure e, con un’operazione di riforestazione, si restituisce la morfologia urbana: i tagli incisi nelle aree di riforestazione, le radure, i giardini ritagliati secondo l’arte topiaria, evocano strade a cielo aperto, vicoli chiusi e piazze, svelando visuali e punti nevralgici del tessuto antico.

Sara Antonini, Marta Buccellato, Rusco Castiglia

Pianoro settentrionale, restauro e fruizione del sistema ipogeo

pianta 153 m s.l.m.

Pianoro settentrionale, restauro e fruizione dell’area sacra

Pianta 170 m s.l.m.

visita alla chiesa visita alla cripta visita alle tombe

▪ Strategie di interventoI percorsi di visita

88 tesi di laurea in progettazione architettonica 89

Attraverso la strutturazione dei percorsi di visita, si intende restituire unitarietà, da un lato al sistema delle strutture ipogee (che cinge il pianoro settentrionale dal versante orientale a quello occidentale), dall’altro all’area sacra, che comprende, non solo l’edificio basilicale, ma anche la necropoli rupestre alle sue spalle. Gli insediamenti rupestri, a carattere religioso

o abitativo, sono una costante del modo di vita nell’alto medioevo. Il sistema delle grotte risulta attualmente non visitabile: le condizioni di abbandono in cui versano le strutture ormai da secoli, hanno prodotto crolli consistenti e le macerie hanno obliterato gran parte degli ambienti. L’intervento ha dunque, come principale obiettivo, il recupero della completa

fruizione degli spazi: vengono predisposti dispositivi di protezione, per quegli ambienti che hanno subito il crollo delle volte di copertura, e dispositivi per l’accessibilità, che collegano la quota del pianoro e quella, più bassa, delle grotte rupestri. Il ripristino degli elementi mancanti (le coperture o i fronti) avviene nell’ottica della reversibilità delle strutture.

Sara Antonini, Marta Buccellato, Rusco Castiglia

Radura nord-est Restauro, valorizzazione e fruizione

del sistema ipogeo

RADURA NORD EST restauro, valorizzazione e fruizione del sistema ipogeopianta e sezione

+ 155

+ 157

90 tesi di laurea in progettazione architettonica 91

Il gruppo di grotte localizzate sul versante nord est, nei pressi della porta medievale, mostra la stratificazione delle varie fasi di antropizzazione del pianoro: il cunicolo e la cisterna etruschi, intercettati dalle grotte altomedievali, obliterate dal muro di cinta bassomedievale.

L’insediamento rupestre, rivolto verso la valle del Pile, offre un punto di vista privilegiato sui versanti occupati dalla necropoli: i percorsi di visita previsti dall’intervento recuperano la possibilità di fruizione dei vani e al contempo restituiscono al sistema il suo rapporto con il paesaggio.

Sara Antonini, Marta Buccellato, Rusco Castiglia

RADURA NORD OVEST restauro, valorizzazione e fruizione del sistema ipogeo

pianta e sezione

la copertura verde la discesa alle grotte

il fronte

Radura nord-ovest Restauro, valorizzazione e fruizione

del sistema ipogeo

+ 151

+ 151

+ 151

▪ Il sistema costruttivo

92 tesi di laurea in progettazione architettonica 93

Sul bordo nord ovest del pianoro si articola un’area della città destinata ad uso religioso, di cui la chiesa di San Pietro rappresenta l’elemento preminente. Alle sue spalle si colloca la necropoli altomedievale con tombe a loggette, attribuibili alla fase longobarda.Più in basso si trova la necropoli romana: un colombario, con segni evidenti di continuità d’uso

(dal rito di sepolture ad incinerazione fino al rito per inumazione) ed un nucleo di grotte identificate come cellule abitative di una comunità monastica.L’intento progettuale è quello di descrivere il carattere sacrale dell’area e di riconnettere, attraverso percorsi di fruizione, il complesso della chiesa con quello sepolcrale sottostante.

il solaio

la discesa alla cripta

il giardino

la coperturaLA PIEVE DI SAN PIETROrestauro, valorizzazione e fruizione pianta e sezioni

Restauro, valorizzazione e fruizione della pieve di San Pietro

▪ Il sistema costruttivo

Sara Antonini, Marta Buccellato, Rusco Castiglia94 tesi di laurea in progettazione architettonica 95

La pieve di San Pietro rappresenta il fulcro dell’area sacra che domina il versante nord occidentale del pianoro. Fatta eccezione per le tre conche absidali della parete ad ovest, che risultano quasi perfettamente integre, della chiesa rimangono pochissime tracce.L’obiettivo è quello di rendere fruibile sia la cripta ipogea che la basilica epigea, rimuovendo, in prima istanza, le macerie prodotte dai crolli che nei secoli hanno obliterato buona parte delle strutture.Le operazioni di ripristino consistono principalmente nel riposizionamento del solaio che separava il piano sotterraneo della cripta

da quello fuori terrra della basilica, e nella ricostruzione della porzione di copertura a ridosso della parete absidale. Questi interventi di ripristino hanno richiesto la messa in sicurezza delle strutture murarie superstiti, mediante minime operazioni di completamento che hanno permesso di ottenere piani di appoggio resistenti per le nuove strutture.In assenza di tracce archeologiche consistenti, si è scelto, invece, di intervenire con linguaggi più astratti ed evocativi: il giardino, ritagliato secondo i parametri dell’arte topiaria, ridisegna il perimetro di uno spazio originariamente confinato, ponendosi in continuità con i caratteri naturali del paesaggio circostante.

Norchia.Recupero della Chiesa di San Pietro

di Marco Frosi

a.a. 2010-2011correlatrici: Alessandra Carlini, Cristina Casadei, Paola Porretta

II Biennale degli spazi pubblici di Roma - tesi esposta

Tuscania

Tarquinia

San Pietro

Sant’Angelo

San Giovanni

Vetralla

Viterbo

1435

fine IX sec. d.C.

1235

940

1164

852 d.C.

▪ Analisi fasi storiche.Popolamento del pianoro

Marco Frosi96 tesi di laurea in progettazione architettonica 97

La chiesa di San Pietro è posta all’estremità settentrionale del pianoro di Norchia. Quella che un tempo era la chiesa dell’antica città medievale, ora è un rudere. Solo una parte del presbiterio con le relative absidi e la facciata nord sono ancora in piedi, essendo ormai 600 anni che la chiesa è in completo stato di abbandono.L’intervento proposto ha quindi l’obiettivo di risolvere i temi legati alla fruizione e alla protezione del rudere all’interno di una strategia in grado di recuperare e al tempo stesso migliorare la comprensione del sito. Questo processo di conoscenza del luogo viene effettuato attraverso tre operazioni fondamentali: il consolidamento di tutti gli elementi murari esistenti con lo scopo di preservarli da ulteriore deperimento; il ripristino di una parte della copertura a protezione delle absidi “sopravvissute” e del solaio del presbiterio, cosi da ricreare l’ambiente della cripta; la creazione di una pavimentazione in grado di portare il fruitore a ripercorrere ed a visitare il rudere attraverso le antiche quote di percorrenza e gli antichi accessi. Per il consolidamento del manufatto, che attualmente versa in totale stato di abbandono, l’approccio è stato quello delle tradizionali tecniche del restauro, innanzitutto procedendo con iniezioni, all’interno delle murature superstiti, di malta di calce mista a pozzolana e contestualmente attraverso la tecnica del “cuci scuci”, sostituendo i blocchi di tufo deteriorati con alcuni nuovi con adeguate proprietà meccaniche. Una volta consolidate le murature esistenti il passo successivo è quello di completare alcune parti del manufatto. Questi completamenti hanno il doppio scopo di garantire la stabilità delle murature e di ripristinare pochi elementi del rudere, strategici per la sua comprensione

architettonica. Il ripristino di una parte della copertura prevede l’inserimento di tre capriate polonceau in acciaio, posizionate tra loro con un passo molto ravvicinato. La scelta di ricostruire solo parzialmente la copertura della chiesa sta nel fatto di non voler alterare completamente la percezione del rudere alla scala del paesaggio, cercando di limitare l’intervento alle superfici necessarie a garantire la protezione delle strutture. Anche per questo sistema costruttivo l’attenzione è stata posta sul posizionamento degli appoggi, che saranno disposti in corrispondenza di quelli antichi che andavano a comporre un sistema di volte a crociera, al fine di restituire condizioni spaziali coerenti con quelle delle cripte.Sarà un sistema di percorsi in pietra a permetterci di fruire ed accedere agli ambienti della chiesa. Uno di questi è connesso al tracciato che, attraverso l’antica porta medioevale, conduceva alla tagliata etrusca di accesso al pianoro. Questo è un percorso rettilineo (est–ovest) che conduce direttamente ad un’antica porta d’ingresso alla cripta che, in una delle fasi evolutive della chiesa, fu murata e che noi avremo cura di ripristinare. L’altro percorso (Nord-sud) proviene dal castello e attraversando tutto il pianoro conduce ad un accesso posto a quota intermedia tra le navate e la cripta. Questo accesso è segnalato da una grande trave in corten che oltre a sostenere e contenere nel suo spessore il peso del solaio del presbiterio, forma assieme alle murature antiche un portale d’ingresso visibile a distanza dal pianoro.

The archaeological area of Norchia.Recovery of the Church of San Pietro.

The Church of San Pietro is located at the far end of the northern plain of Norchia. Nowadays only a small part of the presbytery and the northern facade are still on site.The project deals with the enjoyment and with the protection of the church, with the aim to enhance the comprehension of the ar-chaeological site.To achieve this goal three main steps have to be taken: the reinforcement of the entire wall to avoid additional deterioration; the re-construction of a part of the roof and of the presbytery’s floor slab, in order to recreate the space of the crypt; the design of a new pavement which leads the visitor through the ruins following the ancient floor level.The reinforcement follows the typical restora-tion techniques.The reconstruction of the roof and the floor slab has a double purpose: on the one hand it helps the structural soundness of the walls, on the other hand it helps the comprehension of the ruins. Three steel “polonceau” trusses recreate only a portion of the ancient roof, to avoid a radical change in the landscape view. The supports of the new floor slab are de-signed in the same position of the ancient ones, to recreate the crypt space with the same groin vault system.Stone walkways lead the visitor through the church spaces. The East-West walkway is connected to the path that leads to the an-cient access. The North-Sud walkway starts from the castle, runs through the entire length of the plain and leads to the new entrance of the church, indicated by a corten beam.

Marco Frosi

Tuscania

NorchiaVetralla

Blera

Sutri Nepi

Civita Castellana

Castel S. Elia

Cripta

Imposta della copertura

PresbiterioNavate

Tuscania, San PietroPianta della cripta (fine XI, inizio XII sec.)

Civita Castellana, CattedralePianta della cripta (1183 circa)

Vetralla, San FrancescoPianta della cripta (1207 circa)

Norchia, San PietroPianta della cripta

Tuscania, San PietroPianta della chiesa superiore

Civita Castellana, CattedralePianta della chiesa superiore

Vetralla, San FrancescoPianta della chiesa superiore (1207 circa)

Norchia, San PietroPianta della chiesa superiore

STATO DI FATTOSezione traversale

STATO DI FATTOProspetto sud

Abside ad occidenteAbside ad oriente Principali itinerai antichi rimasti invariati fino ad oggiPrincipali itinerari antichi utilizzati anche nel Medioevo“Itinerario della cripte Romaniche”

SISTEMA IPOGEOPianta 153 m s.l.m.

PIEVE DI SAN PIETROPianta 162 m s.l.m.

Castel Sant’Elia, pianta della cripta

Sutri, cattedrale pianta della cripta

Nepi, cattedrale pianta della cripta

Blera,cattedrale pianta della cripta

Bracciano

Veio

Civitavecchia

Cerveteri

Roma

Tarquinia

Viterbo

Ferento

tuscania

norchia

vetralla

blera

sutri nepicastel sant’elia

civita castellana

Bagnoregio

Orvieto

Orte

▪ Analisi tipologica.Cripte e chiese nella Tuscia meridionale

▪ Analisi territorialeIl corridoio medioevale

RICOSTRUZIONE ANALOGICAM. Salvatori

98 tesi di laurea in progettazione architettonica 99

In epoca alto medievale il tracciato della Via Clodia assume un ruolo di primaria importanza: il suo tracciato, infatti, seguendo il tortuoso andamento orografico, offriva la possibilità di una difesa naturale dagli attacchi esterni. Al tempo stesso era un’importante via di collegamento in direzione nord-sud, parallelo alla via Cassia e alla via Aurelia.Per questo motivo, durante il periodo medievale, Norchia torna ad assumere un ruolo centrale in Etruria e vive una seconda fase di prosperità.

Essa costituiva, infatti, un importante nodo stradale: da qui passava la strada che, collegando Tarquinia a Viterbo, attraversava le grandi arterie Clodia, Aurelia e Cassia, e le strade che, da Blera e Vetralla, volgevano in direzione di Tuscania.

“ ...e’ interessante osservare che le cripte di questo tipo si trovano tutte lungo un percorso viario che, partendo da Tuscania passa per Norchia, Blera con piccola deviazione per Vetralla, Sutri, Nepi, Castel Sant’ Elia ed arriva a Civita Castellana...”

M.Salvatori, La chiesa di S. Pietro, 1976

Dai rilievi di M. Salvatori emerge che la cripta di S.Pietro ha caratteristiche simili a molte cripte delle chiese situate in Etruria meridionale.E’ interessante sottolineare che tutte si posizionano lungo un asse viario che, partendo da Tuscania passa per Norchia e Blera (con una piccola deviazione per Vetralla, Sutri, Nepi e S. Elia) per arrivare a Civita Castellana. Le due cripte di maggiori dimensioni si trovano proprio alle estremità di questo itinerario.

Le ipotesi ricostruttive della Chiesa di S. Pietro, messe a disposizione dalla storiografia, hanno permesso di definire i caratteri architettonici dell’impianto basilicale. L’intervento consiste principalmente nel ripristino delle quote d’imposta e dell’andamento delle falde di copertura.

Marco Frosi

sezione longitudinale

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6 3

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1. Profilo in acciaio a doppia L 120X80 mm2. Tiranti piatti in acciaio 30X12 mm3. Doppio piatto in acciaio con piastre di rinforzo 120X35 mm4. Perno in acciaio f 30 mm5. Corrente in abete 40X40 mm6. Doppio piatto in acciaio 80X35 mm7.Canalina di gronda in lamiera di alluminio8. Pilastrino in acciaio 140X140 mm9. Rifinitura in lamiera

10. Cordolo in nenfro11. Corrimano in acciaio: f 15 mm12. Trave in acciaio corten 420X160 mm13. Trave IPE 14014. Pilastro in acciaio f 100 mm15. Pavimentazione in assi di castagno 80 mm16. Fondazione con doppia piastra in acciaio con barre filettate regolabili

criptanavatepresbiterio

sistema di coperturatre capriate Polonceau

telaio in acciaio travi IPE 140

trave in acciaio corten

telaio in acciaio travi IPE 160pilastri tubolari f100

-iniezioni di malta di calce-recupero delle creste murarie-completamento “cuci scuci”-realizzazione struttura muraria d supporto

Planimetria di progetto

Sezione trasversale giardino

Sezione trasversale chiesa

Prospetto Ovest

Prospetto Nord

Prospetto Sud

Il sistema costruttivo.Struttura in acciaio

▪ Il sistema costruttivo

CONSOLIDAMENTO

100 tesi di laurea in progettazione architettonica 101

Laura Della Sala

COLLEGAMENTI PRINCIPALI DEL TERRITORIO TARQUINIESEcollegamenti trasversalicollegamenti di attraversamento: Aurelia Vetus / tracciati Via Clodiaaltra viabilità

Tarquinia:recupero delle antiche connessioni

tra la città dei vivi e la città dei morti

di Laura Della Sala

a.a. 2010-2011correlatrici: Alessandra Carlini, Cristina Casadei, Paola Porretta

Tarquinia FASE VILLANOVIANA due pianori a confronto

FASE ETRUSCA ARCAICAcontrazione verso la Civita

CONNESSIONI

LIMITI ANTROPICI

LIMITI NATURALI

Paesaggio naturale e paesaggio antropico

FASE ORIENTALIZZANTEmonumentalizzazione

▪ Analisi territoriale.Antropizzazione

VII Biennale del Paesaggio di Barcellona - tesi espostaMuseo della Città e del Territorio di Vetralla - tesi esposta e conferenza

II Biennale degli Spazi Pubblici di Roma - tesi e plastico espostiViterbo al Palazzo della Prefettura - conferenza con ArcheoTuscia

Biblioteca Comunale di Tarquinia “Vincenzo Cardarelli” - tesi e plastico esposti

102 tesi di laurea in progettazione architettonica 103

In “Topografia Estetica” Dimitris Pikionis scrive: “Non esiste nulla di isolato, ma è tutto parte di un’Universale Armonia. Tutte le cose si compenetrano, l’una nell’altra, e l’un nell’altra patiscono, e l’una nell’altra si trasformano. E non è possibile comprenderne una, se non attraverso le altre.”. Per questo motivo, la scelta di lavorare su un centro come Tarquinia, di cui i piccoli abitati dislocati sulla via Clodia rappresentavano avamposti militari e punti di controllo, permette di comprendere a fondo la strutturazione territoriale e viaria del periodo etrusco.E’ perduta al giorno d’oggi quell’Universale Armonia che permetterebbe di comprendere appieno il paesaggio dei grandi centri costieri etruschi, l’importanza degli imponenti tumuli isolati indicatori del potere della città, la vastità degli ampi pianori da cui era possibile dominare il mare e l’entroterra in rapporto al territorio.L’antica Tarkna nella percezione di chi la visita si riduce ai soli ipogei dipinti, attualmente unica piccola porzione attrezzata della più estesa area archeologica.Manca una sistematizzazione che consenta di comprendere e fruire al meglio il sito, inteso non solamente come archeologia, ma anche come paesaggio intriso di storia.Scopo di questo lavoro è stato di superare i limiti vincolistici ed estendere l’intervento alla scala del paesaggio, attraverso l’individuazione di percorsi in grado di testimoniare l’identità del territorio e del paesaggio dell’antico abitato etrusco. I limiti dell’attuale area archeologica di Tarquinia sono molto diversi e molto ridotti rispetto a quelli che in realtà ne determinano il sistema territoriale. Principalmente si sono individuati due sistemi: limiti naturali e limiti antropici. Essi erano sin dai primi insediamenti etruschi naturalmente connessi tra di loro,

attraverso tracciati che seguivano la morfologia del territorio. Recuperare tali connessioni permetterebbe di ritrovare quell’”Universale Armonia” oggi dimenticata. Attraversare la valle lungo questi tracciati e percorrere la viabilità principale dei due pianori, consente di percepire correttamente il territorio e di prendere contatto con quella che era ed è la sua identità.Tre sentieri dall’età villanoviana attraversano la valle del San Savino: ognuno offre una differente percezione dello stesso paesaggio. Particolare attenzione è stata posta al sentiero dei Primi Archi, il più antico e unico attualmente ancora realmente in uso. Tre sono i punti fondamentali del suo tracciato: l’innesto, la valle e la salita all’acropoli che, per tutta la lunghezza del percorso si pone come principale punto focale e meta di arrivo, permettendo di individuare una delle antiche strade etrusche, ancora esistente, che esce dalla città. Attraversando la valle, si conserva una percezione del paesaggio che qui mostra con evidenza il parallelismo tra i due pianori. L’innesto del sentiero nella necropoli, naturalmente individuato nella spaccatura dei Primi Archi, si pone anche come innesto con la viabilità attuale e con quella antica sopravvissuta, e rappresenta una fondamentale cerniera per quelle che si propongono come nuove percorrenze di una visita che vede l’archeologia come parte di un tutto e non più come entità a se stante. L’intervento progettuale trova la sua ragione nelle volumetrie del vecchio lanificio di Tarquinia, che sorge proprio in questa cerniera, creando una nuova centralità che possa essere il punto di partenza di una fruizione del territorio e non solo dell’archeologia.

Tarquinia: recovery of the ancient connections

between the city of the living and the city of the dead

In “A sentimental topography”, Dimitris Pikionis wrote: “ [...] nature wishes to teach us: noth-ing exists on its own; everything is part of a total harmony.[...].”In Tarquinia this total harmony is now lost and this work aims to make it arise again.The painted tombs of Monterozzi’s necropolis of Tarquinia are one of the greatest artistic expres-sions of the Etruscan civilization. Unfortunately, nowadays the global perception of the territory is limited only to such tombs.The modern borders are different from the ones which really define Tarquinia’s territorial system.It is possible to identify two different systems: the natural borders, which are defined by the morphology of the territory, and the anthropic borders of the acropolis and the necropolis.These two hills have been connected since the Bronze Age through three paths which follow the territory’s morphology.The most ancient path is still in use nowadays and features three points of interest: the joint be-tween the path and the necropolis, the valley of San Savino stream and the rise to the acropolis.The project focuses on the first point of interest, which represents a joint between the ancient and the modern road network. Moreover, an ancient woolen mill is located in this joint. It is the perfect location for a new tourist’s reception center which would be the starting point for a new touristic route through the understanding of the whole territory and not only of the archaeo.v

Regae

Vulci

Castro Bisenzio

Volsinii

Ferentum

Surrina

Graviscae

Tarkna

Tuscania

Orcle Castel d’Asso

Grotta PorcinaBlera

San Giuliano

LuniSan Giovenale

Aquae Apollinares

Sutri

Falerii Veteres

Veio

Roma

Alsium

CaerePyrgi

Laura Della Sala

▪ Stato di fatto Aree attrezzate

Necropoli del Calvario .1

Emergenze singole: città dei morti

Necropoli Ellenistica ScataglinI .2 Grandi Tumuli della Doganaccia .3

Tomba degli Scudi .4Tomba del Cardinale .4

Antica viabilità della necropoli e piccoli tumuli .5

Tombe fuori dall’attuale circuito di visita .6

Emergenze singole: città dei vivi

Area sacra .7 Porta Romanelli e quartiere .8

VI sec. a.C. Porta Ovest .9

Ara della Regina .10Decumano .11

6

L’innesto La valle Fosso San Savino La salita

La spaccatura dei Primi Archi

La valle del San Savino

Ara della ReginaPorta Ovest

7 8 10 119

9

1 2 3 4 5

104 tesi di laurea in progettazione architettonica 105

Tre sentieri dall’età villanoviana attraversano la valle del San Savino, seguendo la morfologia del territorio e collegando i due pianori.Ognuno di questi tracciati offre una differente percezione dello stesso territorio.

Il cosiddetto sentiero dei Primi Archi è il più antico e più diretto, identificato da Luigi Canina come percorso verso il mare. Il sentiero delle Arcatelle attraversa la verde valle che da sempre accoglie campi coltivati.Il sentiero dei Secondi Archi si snoda tra i poggi orientali.

“Uno dei paesaggi più straordinari che io abbia mai visto,la vergine essenza di verdi colline.Tutto è grano, ovunque verde e morbido, che corre su e giù a perdita d’occhio,splendente nel verde primaverile, senza neanche una casa.Sotto di noi il declivio si flette, gira nell’incavo della valle e poi su di nuovo, su una collina antistante con il suo manto verde da tempo intonso.”

G. Dennis

▪ Analisi delle antiche percorrenze L’antica Tarkna nella percezione di chi la visita si riduce ai soli ipogei dipinti, attualmente unica piccola porzione musealizzata e accessibile del più esteso sistema archeologico.I limiti dell’attuale area attrezzata - riportati nella

planimetria - sono solo una piccola parte del un sistema archeologico che coinvolge l’intero territorio. di Tarquinia - evidenziati - sono molto diversi e molto ridotti rispetto a quelli che in realtà ne determinano il sistema territoriale.

3 2 1

3. 2. 1.

Laura Della Sala

▪ Strategie di intervento.Nuove percorrenze

TarquiniaGrosseto

Ipogei dipintiSentiero etrusco

per l’acropoli

Roma

Via sepolcraleIpogei dipinti

TumuliSentieri per l’acropoli

Grandi tumulidella Doganaccia

7

▪ Strategie di intervento.Proposta per una nuova fruizione del territorio

106 tesi di laurea in progettazione architettonica 107

“Anche ora […] le due colline sembrano inseparabili come la

vita e la morte, e la terra sembra fresca e misteriosa,

come se fossimo ancora nel mattino del tempo.”

D.H. Lawence “Paesi Etruschi”

▪ Obiettivi

0. Necropoli del Calvario. Nuovi percorsi seguono la cronologia delle tombe

1. Nuova fruizione di tombe ipogee nell’area del Calvario2. Rifunzionalizzazione del vecchio lanificio3. Ripristino delle antiche percorrenze 4. Pedonalizzazione dell’antico decumano5. Nuova fruizione di tombe ipogee nell’area dei Secondi Archi6. Nuovi percorsi di visita dell’acropoli7. Aurelia Bis - viabilità carrabile

321 5 640

Laura Della Sala

Sezione longitudinale

Pianta piano ipogeo

▪ Strategie di intervento.Le fasi costruttive

108 tesi di laurea in progettazione architettonica 109

La volumetria esistente

La connessione trasversale

Lo scavo

La struttura leggera

Il rivestimento

1. profilo gronda in rame 2. isolante

3. scatolare in acciaio 4. profilato a T 5. profilato a L

6. vetro profilato traslucido a doppio strato 7. rivestimento a secco in grigliato di laterizio

8. pilastro a vista HEA 300 9. scatolare in acciaio

10. mensola ad L11. profilato ad L

12. panca in calcestruzzo gettato bocciardato13. pannelli in fibra di legno

14. parete in calcestruzzo gettato a vista15. pavimentazione in calcestruzzo gettato bocciardato

16. soletta in lamiera grecata17. trave principale IPE 30018. pannelli in fibra di legno

19. finitura in intonaco veneziano

Demolendo la parte centrale dei padiglioni, si crea una comunicazione trasversale tra di essi, che permette un dialogo tra le diverse funzioni inserite. L’invaso tra i due padiglioni, stabilisce un rapporto percettivo col paesaggio circostante, orientando lo sguardo del visitatore nella direzione del mare da un alto e dell’acropoli dall’altro.

Una nuova struttura ipogea permette di superare la discontinuità imposta dalla strada provinciale che scorre tra il lanificio e l’innesto tra percorso antico e moderno. I padiglioni longitudinali del lanificio ospitano l’area ristoro e un piccolo museo organizzato su due livelli. Dalla prima sala si scende al livello ipogeo

attraverso un percorso espositivo organizzato lungo una rampa. La sala ipogea che si raggiunge, mantiene il contatto visivo tra il mare e l’acropoli; da una piccola feritoia nella parte alta si intravede il mare, mentre dal lato opposto un profondo canale conduce verso l’esterno a si riconnette all’imbocco del sentiero.

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1819

Strada provincialeCorte esterna verso il mare

Sala espositiva ipogea Ingresso e biglietteria Dromos ipogeo Sentiero dei Primi Archi

Sentiero verso il Calvario e Tomba degli Scudi

Riferimenti bibliografici

AA.VV., Il comprensorio tra la via Flaminia e il mare, Problemi di sviluppo a lunghissimo termine dell’espansione edilizia e della viabilità della capitale, Quaderni di ricerca urbanologica e tecnica della pianificazione, Direttore della ricerca Plinio Marconi, Roma 1970 t. ASHBy, “La rete stradale romana nell’Etruria Meridionale in relazione a quella del periodo etrusco” in Studi Etruschi, vol. III°, Firenze 1929, pp.171-185. F. BOITANI, Strade degli Etruschi: vie e mezzi di comunicazione nell’antica Etruria, Milano 1985G. CAMPOREALE (a cura di), Le città degli etruschi: mille anni di civiltà, Firenze 1990E. COLONNA DI PAOLO, Le necropoli etrusche nel viterbese. Novara 1978G. DENNIS, Itinerari etruschi: da “The Cities and Cemeteries of Etruria” / George Dennis, [traduzione] a cura di Mario Castagnola, Roma 1984A. P. FRUTAZ (a cura di), Le carte del Lazio, Istituto di Studi Romani, Roma 1972G.F. GAMURRINI, A. COZZA, A. PASQUI, R. MENGARELLI (a cura di), Forma Italiae, Serie II-Documenti, Carta archeologica d’Italia (1881-1897). Materiale per l’Etruria e la Sabina, Firenze 1972M. GIACOBELLI, Via Clodia, Antiche strade – Lazio, Roma 1991M. GUAITOLI (a cura di), Lo sguardo di Icaro, le collezioni dell’Aerofototeca nazionale per la conoscenza del territorio, Roma 2003.C. IAIA, A. MANDOLESI, “Comunità e territori nel Villanoviano evoluto dell’Etruria meridionale”, in N. NEGRONI CATACCHIO (a cura di) Preistoria e protostoria in Etruria. L’alba dell’Etruria. Fenomeni di continuità e trasformazione nei secoli XII-VIII a.C. Ricerche e scavi. Atti del nono incontro di studi, Milano 2010, pp.61-78M. PALLOTTINO, Etruscologia, Milano 1977T. W. POTTER, Storia del paesaggio dell’Etruria meridionale. Archeologia e trasformazioni del territorio, Roma 1985G.PUGLIESE CARRATELLI (a cura di), Rasenna, Storia e Civiltà degli Etruschi, Milano 1986J. RASPI SERRA, La Tuscia romana. Un territorio come esperienza d’arte: evoluzione urbanistico-architettonica, Roma-Milano 1972J. RASPI SERRA, “Insediamenti rupestri religiosi nella Tuscia”, in Mèlanges de l’ecole Francaise de Rome, Moyen age, Temps Modernes 88, 1976, pp. 27-256J. RASPI SERRA, “Rinvenimenti di necropoli barbariche nei pressi di Bomarzo e Norchia”, in Bollettino d’arte / Ministero della pubblica istruzione, Direzione generale delle antichità e belle arti, Anno 59, serie 5, fasc. 1-2 (gen.giu. 1974), p. 70-78 A. SOLARI, Topografica Storica dell’Etruria, Roma 1976M. TORELLI, Storia degli Etruschi, Bari 2009M. TORELLI, A. M. MORETTI SGUBINI (a cura di), Etruschi, le antiche metropoli del Lazio, Verona 2008

Cerveteri

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Luni sul Mignone

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San Giovenale

AA.VV., San Giovenale: results of escavations conducted by the Swedish Istitute of Classical Studies at Rome and the Soprintendenza alle antichità dell’Etruria Meridionale, Stoccolma 1972A. BOETHIUS, “Gli scavi a San Giovenale e Luni 1956-1966”, in AA.VV., Atti del convegno di studi sulla città etrusca e preromanica 1966, Bologna 1970M. PALLOTTINO, Ö. WIKANDER, Architettura etrusca nel viterbese: ricerche svedesi a San Giovenale e Acquarossa 1956-1986: Viterbo, Museo Archeologico Nazionale - Rocca Albornoz, dal 19 settembre 1986, Roma 1986

Norchia

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Tarquinia

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