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Appunti di geografia antropica A-L 2011 Parte introduttiva sulla storia della disciplina Il discorso disciplinare di geografia antropica si focalizza sull’analisi delle interazioni tra le comunità umane e l’ambiente in cui vivono. Costituisce un filone di ricerche e metodologie che ha assunto autonomia dalla geografia tout court, ovvero il discorso scientifico che studia le configurazioni dell’ambiente, la morfologia della crosta terrestre, catalogandone le dotazioni di popolamento umano, fauna e flora, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento. Tuttavia, è possibile rintracciare i suoi esordi in tempi più remoti, prima ancora che la geografia assumesse carattere scientifico e disciplinare. Tali esordi ci conducono nel mondo antico, in cui quella di fare geografia era una esigenza costitutiva della cultura, fondata sulla ricerca esistenziale della consapevolezza dell’ambiente da parte dei popoli antichi. Il termine “geografia” proviene dal greco antico ed è costituito da due parole : il sostantivo ghe-ghes, terra, e il vergo grafein, dal molteplice significato di disegnare, scrivere e descrivere. La geografia sin dal suo esordio è un sapere che disegnando e descrivendo il mondo di fatto, poi, lo “scrive” ovvero lo elabora, plasmandolo attraverso pratiche narrative del rapporto tra i suoi scrittori-descrittori, gli esseri umani, e l’ambiente, in modo da permettere ai primi di appropriarsi del secondo attraverso la sua conoscenza, costruendo così una consapevolezza del proprio ruolo al suo interno. Nel mondo antico le pratiche di geografia sono state a lungo incentrate sulla letteratura, in particolar modo quella greca con la sua mitologia e suoi poemi, si pensi alle Argonautiche o ai poemi omerici, e sulla cartografia. Quest’ultima si è configurata dal suo esordio come uno strumento di rappresentazione ma anche di ricerca, dotata di una potente carica simbolica. Le prime pratiche cartografiche risalgono al VII secolo a.C., i primi a formularne sono i Babilonesi che, mutuando le tecniche di osservazione astronomica, le utilizzarono per rappresentare il mondo su cui risiedevano, attraverso un’operazione di riduzione in scala, rappresentazione del mondo in rapporto proporzionale tra le distanze reali e quelle della riproduzione cartografica, costruendo una elaborazione grafica sintetica delle conoscenze sull’ambiente cui erano pervenuti. Nella figura 1 vi propongo la fotografia di una cartografia petrografica di età babilonese che mostra chiaramente la valenza simbolica della rappresentazione cartografica, attinente a un approccio filosofico-religioso. Nella civiltà greca la geografia diventa il discorso che rappresenta, documentandolo, l’ecumene, termine che indica lo spazio abitato, per molti secoli coincidente con l’area limitrofa al bacino del Mediterraneo. Anche in relazione all’approccio greco la rappresetazione cartografia esordisce con una forte carica simbolica e un tensione geometrizzante del mondo, con l’intento di esprimerne la perfezione facendo ricorso alla forma circolare che gli viene attributa. Confrontando le due carte proposte nelle figure 2 e 3, la prima ad opera di Anassimandro (VII-VI secolo a.C)e la seconda di Hecateo di Mileto (VI-V secolo a.C.) si nota facilmente che se nella prima l’intento simbolico appare prevalente nella forma complessiva attribuita all’ecumene, quella della perfetta circolarità che contrasta con la raffigurazione delle coste mediterranee, nella seconda emerge più forte l’intento descrittivo-comunicativo della realtà, recando molteplici informazioni su mari, fiumi, città e regioni.

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Page 1: Appunti di geografia antropica A-L 2011 Parte introduttiva ... Geografia.pdfil discorso di Politische Geografie (1897), la geografia politica da cui in seguito prenderà avvio la geopolitica

Appunti di geografia antropica A-L 2011 Parte introduttiva sulla storia della disciplina

Il discorso disciplinare di geografia antropica si focalizza sull’analisi delle interazioni tra le comunità umane e l’ambiente in cui vivono. Costituisce un filone di ricerche e metodologie che ha assunto autonomia dalla geografia tout court, ovvero il discorso scientifico che studia le configurazioni dell’ambiente, la morfologia della crosta terrestre, catalogandone le dotazioni di popolamento umano, fauna e flora, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento. Tuttavia, è possibile rintracciare i suoi esordi in tempi più remoti, prima ancora che la geografia assumesse carattere scientifico e disciplinare. Tali esordi ci conducono nel mondo antico, in cui quella di fare geografia era una esigenza costitutiva della cultura, fondata sulla ricerca esistenziale della consapevolezza dell’ambiente da parte dei popoli antichi. Il termine “geografia” proviene dal greco antico ed è costituito da due parole: il sostantivo ghe-ghes, terra, e il vergo grafein, dal molteplice significato di disegnare, scrivere e descrivere. La geografia sin dal suo esordio è un sapere che disegnando e descrivendo il mondo di fatto, poi, lo “scrive” ovvero lo elabora, plasmandolo attraverso pratiche narrative del rapporto tra i suoi scrittori-descrittori, gli esseri umani, e l’ambiente, in modo da permettere ai primi di appropriarsi del secondo attraverso la sua conoscenza, costruendo così una consapevolezza del proprio ruolo al suo interno. Nel mondo antico le pratiche di geografia sono state a lungo incentrate sulla letteratura, in particolar modo quella greca con la sua mitologia e suoi poemi, si pensi alle Argonautiche o ai poemi omerici, e sulla cartografia. Quest’ultima si è configurata dal suo esordio come uno strumento di rappresentazione ma anche di ricerca, dotata di una potente carica simbolica. Le prime pratiche cartografiche risalgono al VII secolo a.C., i primi a formularne sono i Babilonesi che, mutuando le tecniche di osservazione astronomica, le utilizzarono per rappresentare il mondo su cui risiedevano, attraverso un’operazione di riduzione in scala, rappresentazione del mondo in rapporto proporzionale tra le distanze reali e quelle della riproduzione cartografica, costruendo una elaborazione grafica sintetica delle conoscenze sull’ambiente cui erano pervenuti. Nella figura 1 vi propongo la fotografia di una cartografia petrografica di età babilonese che mostra chiaramente la valenza simbolica della rappresentazione cartografica, attinente a un approccio filosofico-religioso. Nella civiltà greca la geografia diventa il discorso che rappresenta, documentandolo, l’ecumene, termine che indica lo spazio abitato, per molti secoli coincidente con l’area limitrofa al bacino del Mediterraneo. Anche in relazione all’approccio greco la rappresetazione cartografia esordisce con una forte carica simbolica e un tensione geometrizzante del mondo, con l’intento di esprimerne la perfezione facendo ricorso alla forma circolare che gli viene attributa. Confrontando le due carte proposte nelle figure 2 e 3, la prima ad opera di Anassimandro (VII-VI secolo a.C)e la seconda di Hecateo di Mileto (VI-V secolo a.C.) si nota facilmente che se nella prima l’intento simbolico appare prevalente nella forma complessiva attribuita all’ecumene, quella della perfetta circolarità che contrasta con la raffigurazione delle coste mediterranee, nella seconda emerge più forte l’intento descrittivo-comunicativo della realtà, recando molteplici informazioni su mari, fiumi, città e regioni.

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La descrizione più realistica della linea delle coste deriva dal trasferimento sul carta delle informazioni relative alla nagivazione: il cartografo riproponeva i dati sull’ecumene che gli venivano trasferiti dai naviganti oltre che dai viaggi compiuti personalmente. La carta di Eratostene, riprodotta nella figura 4, mostra come nel III-II secolo a.C. le tecniche cartografiche greche avessero abbandonato la ratio simbolica per abbracciare quella descrittiva di tipo scientifico-funzionale. Questo valore di strumento utile al viaggio e alla pratica del mondo assumerà centralità nella cartografia romana, una civiltà in cui la cartografia e con essa la geografia acquisteranno lo statuto di scienze militari, utili al mantenimento del potere di Roma su tutti i territori dell’impero. La Tabula Peuntingeriana, riprodotta nella figura 4, riproduzione a sua volta di una carta di età romana, IV secolo d.C., costituisce un esempio di topografia stradale: una carta montata su di un rotolo che recava informazioni sulle strade e sui collegamenti tra una città e l’altra, nel comodo formato da portare con sé viaggiando a cavallo. Questa rapida carrellata, lontana dall’essere esaustiva degli sviluppi che la geografia ha avuto nel mondo antico, serve a dare l’idea che a lungo l’esigenza di fare geografia si è espressa attraverso la cartografia, una relazione che proseguirà anche nei nostri tempi. L’evoluzione delle modalità espresive della cartografia sono relative al livello teconologico raggiunto da ciascuna civiltà ma anche dalla specifica atmosfera culturale e dall’approccio scientifico, che ne sta alla base. Il discorso appare più chiaro se incrociamo cartografia e storiografia greca. I numerosi volumi delle Storie di Erodoto (V secolo a.C.) costituiscono un esemplare di operazione geografica, lo storico greco attraverso il racconto mitico, dunque non circonstaziato da una prassi di ricerca diretta volta a stabilire la veridicità dei fatti narrati, (ri)costruisce la sequenza di eventi che hanno determinato l’ecumene in cui si trova a vivere. Diversamente con Tucidide (IV secolo a. C.) la storiografia assume il carattere che l’approccio scientifico attuale riconosce alla storia, con Tucidice la storia deriva la sua prassi dal suo significato etimologico di “sapere ciò che si è visto come testimoni diretti”, ovvero riferire su un evento circostanziato nel tempo e nello spazio in ragione della presenza di un osservatore. L’aderenza tra la narrazione e la realtà fenomenica diventa centrale nella pratica di fare geo-storio-grafia. Con la caduta dell’impero romano e la separazione politica tra Occidente latino e Oriente bizantino muta anche la ratio dell’espressione geografica, che con il procedere verso la civiltà del Medioevo europeo assume sempre di più i caratteri di un discorso in cui l’interpretazione del mondo è incentrata sulla religiosità. I mappamondi a T , di cui un esempio è riportato nella figura 5 quello di Isidoro da Siviglia del VII secolo d.C., rappresentano bene questo tipo di visione simbolica incentrata sul cristianesimo proprio come Gerusalemme viene raffigurata al centro del mondo. A cavallo tra il IX e il XII secolo nei nuovi contesti dell’unità mediterranea sotto la dominazione araba la cartografia si presenterà molto diversa da quella europea, ancora molto incentrata sulle simbologie religiose e poco interessanta a raffigurare le fattezze del mondo. La cartografia araba appare, invece, molto moderna e capace di riferire in maniera molto realistica sull’ambiente, in quanto doveva servire a scopo formativo e informativo della classe dirigente, dei militari, dei commercianti e dei naviganti. Con un rapido balzo in avanti arriviamo all’età delle scoperte geografiche, quella dell’America in primo luogo alla fine del XVI secolo d.C. e, successivamente, dell’Oceania, scoperte che determinano una grande trasformazione sia nella natura tecnica e descrittiva della rappresentazione cartografica che della geografia come disciplina. Le cartografie di Ortelio (1570) e di Hondius (1630), nelle figure 6 e 7, mostrano non solo il mondo nella sua

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completezza per quell’epoca ma la relazione tra i nuovi territori e l’Europa in rapporto gerarchico di mondo dei sudditi, serbatoi di materie prime e di forza lavoro, e di mondo dei potenti, che pensa, disciplina e organizza la vita sul pianeta. Da questo momento in avanti la geografia sarà sempre di più geografia fisica, tesa a descrivere le particolarità dei diversi contesti territoriali, catalogando, elencando, suddividendo e mostrando la distribuzione dei popoli, delle specie faunistiche e floreali. L’approccio verso la concezione delle forme di interazione tra le comunità umane e il loro ambiente, di cui sono connotati gli esordi della geografia nel mondo antico, diventa minoritario, per lungo tempo la geografia sarà prevalentemente geografia fisica non umana, non antropica. La svolta verso il recupero del discorso di geografia umana dentro la geografia riemerge con l’illuminismo. Nella Francia del XVIII secolo la geografia e la cartografia servono a rafforzare il regime monarchico e lo Stato-nazione francese, la redazione della carta della Francia viene finanziata in quanto fondamentale strumento di potere politico mentre l’enciclopedismo illuminista riprende a concentrarsi sul tema dell’interazione tra le comunità umane e l’ambiente in cui vivono secondo una concezione rigidamente determinista, in base alla quale le culture e le caratteristiche biologiche delle popolazioni sono profondamente determinate dal contesto ambientale. Il discorso di geografia antropica si rafforza nel XVII secolo con le ricerche di Alenxander von Humboldt, nobile prussiano, che fonderà il suo approccio alla scienza sulla ricerca empirica compiendo due importanti spedizioni in America centrale e in Siberia, da cui ricaverà materia per la sua opera fondamentale, Kosmos, in cui alle riflessioni sulle questioni climatiche associa ampli studi sulle popolazioni e i processi di popolamento. Nel contesto culturale tedesco proseguono gli sviluppi del discorso antropico in geografia, in particolare con Kant che sostiene la tesi dell’interazione constante tra comunità umane e ambiente, da considerare alla luce di un approccio storico, valutando le trasformazioni avvenute nello scorrere del tempo. Il filosofo tedesco nella sua Geografia fisica afferma che: “La geografia supplisce ai viaggi ed estende considerevolmente le nostre cognizioni. Essa ci mette in correlazione con le nazioni più remote. Senza di essa siamo limitati alla città, alla provincia, al regno nel quale viviamo. Con lei, malgrado tutti i legami, null’altro siamo che figli di natura” (1807, trad. it. Silvestri, Milano). Tale affermazione condensa in sé tutta la carica formativa che Kant attribuisce alla geografia. Altra figura centrale per gli sviluppi della disciplina è Karl Ritter. Egli è un geografo da tavolino, non compirà spedizioni ma come Kant userà la geografia come forma di riflessione sul mondo, come strategie filosofica, concependo una visione del mondo teleologica, in cui la figura umana è centrale in ragione della volontà divina di plasmarla a sua immagine e somiglianza, collocandola all’apice del creato. Ritter ha svolto un ruolo centrale come docente di statistica militare dal 1817 al 1859 formando più generazioni di studenti e di militari. Il suo approccio scientifico si fonda sulle comparazioni e sulle catalogazioni, per cui considera centrale il ricorso alla cartografia, e il rilevamento di leggi generali che regolano i processi naturali, approccio che informa la sua opera più importante l’Erdkunde è pubblicato nel 1817, cui seguiranno altri volumi tra il 1832 e il 1859. Ma è con Friederich Ratzel che possiamo rintracciare l’affermazione scientifica e il consolidamento della geografia antropica, in quanto per questo studioso dell’università di Lipsia la geografia è Antropogeographie. Al centro della ricerca di Raztel c’è la distribuzione dei popoli e le loro caratterisitiche culturali, la rilevazione e intepretazione dei fattori che sottendono al popolamento dei territori e le interazioni reciproche e non rigidamente

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determinsitiche tra comunità umane e ambiente. In seguito nel corso della sua carriera, Ratzel sposterà la sua attenzione dal rapporto uomo/ambinente a quello Stato (come ente e soggetto storico nella concezione di Hegel)/ spazio politico, in chiave organicista ed evoluzionista, considerando lo Stato come un soggetto vitale quasi biologico che nasce, si sviluppa e regredisce, trasformazioni legate all’assetto delle risorse ambientali. Fonda, così, il discorso di Politische Geografie (1897), la geografia politica da cui in seguito prenderà avvio la geopolitica. In Francia, negli stessi anni, ogni riflessione di tipo geografico-politico, come quelle avanzate da Reclus, vengono soffocate dall’affermarsi nel contesto accademico del possibilismo di Paul Vidal de la Blache, lo studioso che focalizza la sua attenzione sui generi di vita e sul paesaggio, inteso come manifestazione visiva delle trasformazioni determinate dalla diversa interazione tra comunità umane e ambiente, producendo diverse forme di territorio, esito della appropriazione dell’ambiente fisico da parte delle comunità umane attraverso i processi di territorializzazione, quali la denominazione, la reificazione e la strutturazione, come sintetizzato da Angelo Turco nella sua riflessione epistemologica sulla geografia condotta a partire dalla fine degli anni Settanta. Tra la fine del XIX secolo e la prima metà del XX secolo la geografia in Italia e in Germania sarà prevalentemente geopolitica, ovvero una tecnica al servizio della volontà espansionistica dei regimi fasciti, interessanti a conquistare Lebensraum, spazio vitale. Ma questo approccio geogolitico, per quanto non così dominante, è presente anche nel Regno Unito e negli USA. Nel primo caso, Makinder aveva coniato il concetto di core area o pivot area con cui concepiva una estensione territoriale controllando la quale si aveva il controllo di un’ampia massa continentale. Lo studioso britannico aveva individuato nella Russia la pivot area che avrebbe consentito alla Gran Bretagna il controllo sulla macro-regione euro-asiatica. Negli USA Spykeman conia invece il concetto di Rimland, margine costiero, inidividuando nei margini costieri della macro-ragione del Pacifico gli elementi territoriali che avrebbero permesso agli Stati Uniti d’America di diventare una grande potenza. Successivamente alla Seconda Guerra Mondiale, la geografia intraprende tutta una serie di trasformazioni che la porteranno a diventare una scienza alla ricerca di leggi che regolano i fenomeni, fondata sul procedimento deduttivo, che dal modello teorico deduce il funzionamento dei fenomeni territoriali, ovvero nomotetica, deduttiva e positivista fondata sul metodo delle scienze dure con cui nel corso degli anni Sessanta condivide linguaggio e metodologie di ricerca. In questi anni la geografia si avvicina alla biologia, all’economia e all’ingegneria, assumendo il linguaggio matematico e i modelli teorici di queste scienze ma anche il risvolto pragmatico e progettuale, diventando una scienza utile alla progettazione e pianificazione territoriale. Questo tipo approccio geografico è noto come quantitativo/funzionalista. Centrale in questa fase sarà il riferimento alla teoria delle località centrali di Christaller, elaborata nel corso degli anni Trenta in Germania, poi sviluppata dai suoi allievi negli Stati Uniti d’America. In base a questa teoria la pianificazione territoriale doveva fondarsi su un calcolo delle valutazioni del soggetto economico, l’abitante-consumatore che decide razionalmente delle sue strategie territoriali in base all’offerta di un bene o di un servizio in relazione alla sua distribuzione nei nodi urbani di vario rango presenti sul territorio. Christaller immagina la pianificazione regolata da un reticolo a maglia esagonale, sui cui vertici sono distribuite le località di rango medio, mentre nel centro di ciascun esagono quelle di rango elevato, qulle centrali, appunto (fig. 8). Dopo aver toccato l’apice alla fine degli anni Sessanta nel mondo anglo-americano, in questo stesso contesto culturale e scientifico emerge la svolta umanistica in geografia, che

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adotta metodologie qualitative tese al rilevamento dei contenuti psicologici e culturali sui luoghi, al riguardo, lo studioso sino-americano Yi-Fu Tuan ha coniato il concetto di topophilia (1974), ovvero di senso del luogo. Parallelamente alla svolta umanistica, che si fonda sulla fenomenologia e sul pensiero di Heidegger, emerge la critica marxista che rilegge le dinamiche dello sviluppo e del sottosviluppo e, quindi, le relazioni economiche tra i paesi ricchi e poveri sulla base del binomio struttura-sovrastuttura (economi e cultura), lotta di classe, e processi predatori dei paesi imperialisti a discapito dei quelli colonizzati, produttivi di dinamiche di sottosviluppo Negli anni Ottanta, con l’affermarsi della svolta postmoderna, si delinea una pluralità di approcci in geografia e di conseguenza molteplici paradigami, assetti toerici e metodologici, diversi come sono diverse le realtà territoriali connotate sempre di più dalle migrazioni internazionali e della differenza economica con il passaggio dall’economia fordista a quella post-fordista dall’affermarsi della globalizzazione nell’economia come nella cultura dal momento che la vita sul pianeta risulta modificata dalla compressione spazio-temporale (fig. 9), il fenomeno determinato dal progressivo miglioramento delle tecnologie della comunicazione e dei trasporti che hanno di fatto ridotto le distanze consentendo relaizoni vitali strette tra individui fisicamente lontani. Sono anni successivi alla grande trasformazione economica determinata dall’aumento del prezzo del petrolio che getta nel panico le economie dei paesi occidentali, producendo l’abbandono delle strategie produttive incentrare sulla grande industria pesante e la grande distribuzione per un asetto produttivo incentrato sull’integrazione tra industria e manifattura, lavoro formale e informale, dislocazione della porduzione in più paesi alla ricerca del più basso costo del lavoro e della produzione. Tra gli anni Novante e l’inizio del nuovo secolo si afferma la svolta culturale che determina il passaggio della geografia nel consesso delle scienze sociali e umane in una dimensione di collaborazione interdisciplinare, in cui approcci culturali ed economici confliuscono e si intrecciano alla luce di una logica sistemica, che concepisce la realtà sociale come un olos, una entità integrata in cui ambiente e società sono intrinsecamente legate.

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Fig. 1: cartografia petrografica babilonese VII secolo a.C.

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Fig.2: carta di Anassimandro VII-VI secolo a.C

Fig. 3: carta di Hecateo di Mileto VI-V secolo a.C.

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Fig. 4: carta di Eratostene III-II secolo a.C.

Fig 5: mappamondo a T di Isidoro da Siviglia 636

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Fig. 6: carta di Al-Idrisi 1154

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Fig. 6: mappamondo di Ortelio 1570

Fig. 7: mappamondo di Hendrik Hondius 1630

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Fig. 8: L’impianto esagonale della teoria delle località centrali di Christaller

Page 12: Appunti di geografia antropica A-L 2011 Parte introduttiva ... Geografia.pdfil discorso di Politische Geografie (1897), la geografia politica da cui in seguito prenderà avvio la geopolitica

Fig. 9: La compressione spazio-temporale