andreatta le grandi opere delle relazioni internazionali

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Capitolo 1 – Norman Angell: il liberalismo e la pace Si parte dalla descrizione del mercantilismo: gli Stati devono armarsi ed essere pronti alla guerra, perché il potere politico – militare comporta vantaggi commerciali e sociali. Chiunque non detenga adeguati strumenti di difesa ed offesa si troverà alla mercé degli Stati più potenti. Perseguire potere economico per ottenere più potere politico il vantaggio economico altrui (anche se alleato) non è mai auspicabile perché comporta una corrosione del potere relativo (rischio per la propria potenza). Secondo Angell il mercantilismo è stato storicamente superato con la crescente integrazione ed interdipendenza economica che si è avuta con il processo di globalizzazione lentamente avviatosi con la Rivoluzione industriale. Critica principale: il seguente assunto, secondo Angell, è falso idea che il potere economico dipenda da quello politico, per cui prosperità e benessere di una nazione dipendono dalla capacità della stessa di difendersi dagli attacchi esterni. Il mercantilismo, un' «illusione ottica». Perché illusione? Cinque ragioni principali: 1 Nessuna nazione può, per via militare, distruggere o danneggiare permanentemente o per un lungo periodo il commercio di un'altra, poiché questo dipende dalla disponibilità di risorse naturali e dalla capacità di una popolazione di lavorarle: l'illusione sta nel credere che un'invasione possa completamente distruggere una nazione, un sistema. 2 L'interdipendenza ha raggiunto, mediante gli innumerevoli sviluppi delle rapide comunicazioni, un tal grado di complessità da far sì che il turbamento causato da una data operazione non leda soltanto l'oggetto dell'operazione, ma anche un numero incalcolabile di altri Stati e soggetti ad esso più o meno direttamente collegati (anche soggetti che, a prima vista, non mostrano alcuna relazione con l'oggetto del turbamento). Visione di Angell della storia è progressista (neo-illuminista): ciò che era possibile in passato risulta inefficace oggi, poiché la storia è evoluta e le condizioni del passato non ci sono più ne mai ritorneranno (evoluzione irreversibile). Per Angell commercio e finanza poggiano sulla fiducia: se manca questa gli attori cessano di rispettare le regole del gioco, e il sistema crolla. In tal caso non ci sono vincitori/ vinti, ma solo perdenti. L'economia così com'è oggi crea una solidarietà forzata tra Stati. 3 La conquista, con il moderno sistema economico, risulta meno vantaggiosa della collaborazione economica: se si conquista un territorio e si impone ai suoi abitanti una tassa, l'afflusso di risorse dal vinto al vincitore fa sì che il secondo raggiunga costi della vita più alti (moneta forte, prodotti e servizi più costosi relativamente al paese vinto) e avvantaggi indirettamente il paese vinto che risulta più concorrenziale offrendo manodopera e servizi a prezzi molto più bassi del paese vincitore – nel lungo periodo lo svantaggio per il vincitore corrode i benefici della conquista. 1

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Capitolo 1 – Norman Angell: il liberalismo e la pace

– Si parte dalla descrizione del mercantilismo: gli Stati devono armarsi ed essere pronti allaguerra, perché il potere politico – militare comporta vantaggi commerciali e sociali.Chiunque non detenga adeguati strumenti di difesa ed offesa si troverà alla mercé degli Statipiù potenti. Perseguire potere economico per ottenere più potere politico → il vantaggioeconomico altrui (anche se alleato) non è mai auspicabile perché comporta una corrosionedel potere relativo (rischio per la propria potenza).

– Secondo Angell il mercantilismo è stato storicamente superato con la crescente integrazioneed interdipendenza economica che si è avuta con il processo di globalizzazione lentamenteavviatosi con la Rivoluzione industriale. Critica principale: il seguente assunto, secondoAngell, è falso → idea che il potere economico dipenda da quello politico, per cui prosperitàe benessere di una nazione dipendono dalla capacità della stessa di difendersi dagli attacchiesterni.

– Il mercantilismo, un' «illusione ottica». Perché illusione? Cinque ragioni principali:

1 Nessuna nazione può, per via militare, distruggere o danneggiare permanentemente o perun lungo periodo il commercio di un'altra, poiché questo dipende dalla disponibilità dirisorse naturali e dalla capacità di una popolazione di lavorarle: l'illusione sta nel credereche un'invasione possa completamente distruggere una nazione, un sistema.

2 L'interdipendenza ha raggiunto, mediante gli innumerevoli sviluppi delle rapidecomunicazioni, un tal grado di complessità da far sì che il turbamento causato da una dataoperazione non leda soltanto l'oggetto dell'operazione, ma anche un numero incalcolabiledi altri Stati e soggetti ad esso più o meno direttamente collegati (anche soggetti che, aprima vista, non mostrano alcuna relazione con l'oggetto del turbamento).Visione di Angell della storia è progressista (neo-illuminista): ciò che era possibile inpassato risulta inefficace oggi, poiché la storia è evoluta e le condizioni del passato non cisono più ne mai ritorneranno (evoluzione irreversibile).Per Angell commercio e finanza poggiano sulla fiducia: se manca questa gli attori cessanodi rispettare le regole del gioco, e il sistema crolla. In tal caso non ci sono vincitori/ vinti,ma solo perdenti. L'economia così com'è oggi crea una solidarietà forzata tra Stati.

3 La conquista, con il moderno sistema economico, risulta meno vantaggiosa dellacollaborazione economica: se si conquista un territorio e si impone ai suoi abitanti unatassa, l'afflusso di risorse dal vinto al vincitore fa sì che il secondo raggiunga costi dellavita più alti (moneta forte, prodotti e servizi più costosi relativamente al paese vinto) eavvantaggi indirettamente il paese vinto che risulta più concorrenziale offrendomanodopera e servizi a prezzi molto più bassi del paese vincitore – nel lungo periodo losvantaggio per il vincitore corrode i benefici della conquista.

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4 Se fosse vera l'equazione «maggiore potere = maggiore benessere economico», allora lepiù grandi potenze dovrebbero essere anche le più benestanti. Angell osserva (basandosi suanalisi PIL pro capite) che nella realtà invece ci sono potenze minori che godono diprosperità commerciale e benessere sociale pari o superiore alle grandi potenze (es.:prosperità Olanda, Belgio, Danimarca e Svezia ≥ prosperità Germania e Inghilterra).

5 Angell scrive quando il colonialismo britannico è ancora attivo: nessuno Stato possiede piùle sue colonie – esse sono divenute comunità autonome, non più sfruttabili come inpassato. Le colonie rappresentano per la madrepatria principalmente un valore comemercato, e una fonte di commestibili e di materiale grezzo, e se il loro valore sotto talriguardo sarà sviluppato al massimo grado, esse diverranno inevitabilmente (in maggiore ominore misura) comunità autonome. Ecco perché le colonie non sono più sfruttabili comeprima: la madrepatria non può imporre tasse o un sistema fiscale svantaggioso per lacolonia che la impoverisca, poiché una colonia che non vende è una colonia che noncompra e blocca il mercato della stessa madrepatria.

– Il progresso della politica secondo Angell: i governanti, in particolare quelli dei regimirappresentativi, hanno come imperativo l'incremento dell'interesse generale, che coincideanche con la prosperità economica. Il benessere materiale, quindi, non assume più solo laforma dell'interesse economico, ma diventa un vero e proprio ideale politico. In questosenso, la storia è per Angell progredita.

– La crescente integrazione e interdipendenza ed il declino dello Stato come attore unitario: loStato non è più la comunità chiusa di un tempo; esso non è una persona omogenea avente lostesso carattere di responsabilità che distingue un individuo. È composto da individui conidee ed interessi differenti, che esso non può mai rappresentare. I confini statali sonopermeabili, attraversati da individui e associazioni transnazionali che rendono non realel'idea degli Stati come entità autonome e ostili tra loro.

– La guerra è superabile in modo definitivo se l'opinione pubblica viene adeguatamenteinformata e sottratta da quel velo di ignoranza che impedisce una presa d'atto della realtà –ne conseguirebbe una società consapevole in grado di giudicare in modo serio e pertinentel'operato dei governi rappresentativi, che non potrebbero più mascherare il propriobellicismo dietro una retorica infingarda e populista.

CRITICHE– Come osserva Carr, il laissez faire non è affatto il paradiso che descrivono i liberalisti. Egli

ritiene che l'armonia del benessere prodotta dal libero scambio sia sempre stata l'«armoniadegli adatti» che escludeva sempre gli “inadatti”, ciè coloro privi sia di potere politico che dipotere economico. La realtà è quindi molto diversa: la politica internazionale non è armoniadi interessi generali, ma è tensione di conflitto d'interessi particolari.

– Solo gli Stati che detengono potere, politico ed economico, hanno interesse a conservare unsistema di libero scambio. Coloro che sono privi di tale potere, invece, devono auto-tutelarsiattraverso politiche protezionistiche. Sono i paesi dominanti che vogliono mantenere lostatus quo. Al contrario, i paesi che lottano per farsi largo con la forza tra i paesi dominantitendono naturalmente ad invocare il nazionalismo contro l'internazionalismo delle grandipotenze.

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Capitolo 2 – Edward H. Carr: utopia e realtà

– La fine dell'utopia e il disincanto: utopismo è per Carr la teoria e la dottrina liberale, nonchéil socialismo umanitario, applicata alla politica internazionale. Utopisti sono coloro che sene fanno tramite nel mondo politico e intellettuale (es. Wilson e Angell). Per affrontare unpassaggio di crisi, è necessario arginare l'assunto utopistico secondo il quale esiste uninteresse mondiale a mantenere la pace. Tale convinzione ha aiutato politici ed intellettuali anascondere la realtà per cui esiste una divergenza d'interessi tra Stati che desideranomantenere lo status quo ed altri che vogliono sovvertirlo. È doveroso essere consapevolidella dicotomia Stati soddisfatti/ Stati insoddisfatti tanto nella teoria quanto nella prassi. Insua assenza non si ha la possibilità di risolvere lo storico dilemma che si pone ciclicamentenella politica interna e internazionale: come realizzare il cambiamento politico in modopacifico?

– Centrale nella riflessione di Carr è il rapporto tra potere e morale.– Analogia politica interna/ politica internazionale: il dilemma è lo stesso (cambiamento

pacifico); la questione identica (evitare il sovvertimento violento – ora la rivoluzione, ora laguerra). Mentre nella politica domestico lo Stato è capace di imporsi con una legislazioneche regoli il cambiamento, nelle relazioni internazionali manca un “super-stato mondiale”che regoli i rapporti tra Stati; ma anarchia non è un impedimento al cambiamento pacifico, èun ostacolo – superabile, volendo. Ma un super-stato è irrealizzabile, secondo Carr.

– L'analogia dunque non è tra “Stato sovrano” e “super-stato internazionale”, bensì tra“società civile” e “società di Stati”. Secondo Carr è pensabile realizzare cambiamentipacifici nella struttura sociale senza ricorrere alla legislazione o ad altre forme di interventostatale (o super-statale). Ancora oggi si esagera il ruolo della legislazione e potrebbe esserevero che i cambiamenti più importanti nella struttura della società e nell'equilibrio delleforze al suo interno vengano realizzati senza un'azione legislativa.

– Analogia tra il conflitto ancora irrisolto a livello domestico “capitale vs. lavoro” ed ilperdurante conflitto tra Stati: così come il primo è spesso stato pacificato tramite laconciliazione senza un ruolo per Stato regolatore e legislazione, similmente senza un organodi controllo è possibile a livello internazionale conciliare gli Stati in conflitto.Si potrebbe sperare, una volta che le potenze insoddisfatte avessero davanti a sé lapossibilità di vedere accolte le proprie istanze attraverso negoziati pacifici (ovviamentepreceduti da una prima “battuta” di minacce di forza), di istituire un regolare processo di“cambiamento pacifico” conquistando la fiducia degli insoddisfatti e di considerare, unavolta accettato il sistema, la conciliazione come un fatto naturale (ricorso alla forza insecondo piano, ma mai eliminato totalmente).

– Disequilibrio di potere e possibilità del cambiamento pacifico: il potere – usato, minacciatoo tenuto in serbo – è un fattore essenziale nel cambiamento internazionale e la “resa difronte alle minacce di forza” costituisce una normale componente del processo dicambiamento pacifico. Per questa ragione, la minaccia di guerra (tacita o palese) apparecondizione necessaria per attuare cambiamenti politici rilevanti nella sfera internazionale.

– Il ruolo della morale: necessità di un sentimento comune tra le parti in conflitto su ciò che èlegittimo e ragionevole nelle reciproche relazioni. Non l'assenza di una legislazioneinternazionale, dunque, bensì lo stato arretrato di questo sentimento comune tra Stati è ilvero ostacolo al componimento pacifico dei conflitti internazionali.

Carr e la critica all'utopia– Punti deboli dell'utopia: la storia è un susseguirsi di cause e effetti, il cui corso può essere

analizzato e compreso, ma non guidato dall'immaginazione; la teoria non crea la realtà,

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bensì la realtà ispira la teoria; la politica non è funzione dell'etica, ma l'etica lo è dellapolitica. La morale è un prodotto del potere, al contrario di quanto affermano gli utopisti. Leteorie intellettuali e i modelli etici degli utopisti sono storicamente determinati, poiché sonosia il prodotto di circostanze ed interessi particolari, sia strumenti messi a punto perl'avanzamento di quegli stessi interessi. Queste idee sarebbero frutto del dominio britannicoottocentesco, ormai terminato.

– L'utopismo maschera dietro la retorica dell'interesse comune e del benessere diffuso senzaun potere predominante, l'effettivo e attuale dominio dell'ideologia interessata almantenimento dello status quo contro gli Stati che ne vorrebbero il sovvertimento. La“dittatura delle grandi potenze” è una dato di fatto (essendo storicamente sempre vero, unasorta di “legge della natura”) ed in quanto tale né buona né cattiva.

– Utopia come vittoria della morale sulla politica, come se le due cose fosseroirrimediabilmente scisse. Per Carr la ri-fondazione di una teoria coerente delle RI passaattraverso la sintesi (non la contrapposizione) tra morale e politica, tra utopia e realismo. Lostesso Carr si contraddice, però, quando afferma che “ogni situazione politica contieneelementi reciprocamente incompatibili di utopismo e realismo, di morale e potere … dueelementi appartenenti a due piani diversi che non potranno mai incontrarsi”.

– Il limite del realismo estremo secondo Carr: contrapposto all'utopismo ingenuo sta ilrealismo sterile. L'ideal tipo “realismo integrale” si rivela impossibile perché non lasciaspazio ad un'azione finalizzata o significativa. Se lo si assume integralmente tutto ciò cheresta all'individuo è la contemplazione passiva del processo storico. Una simile visioneradicale esclude quattro elementi che appaiono essenziali in qualsiasi pensiero politicoefficace: 1) uno scopo definito; 2) un richiamo emotivo; 3) diritto al giudizio morale; 4)terreno di azione.

CRITICHE– Woolf :contesta le tesi di Carr sul destino inevitabilmente fallimentare dell'utopia. Woolf

sostiene che Carr dica che l'utopismo è fallimentare a priori perché in realtà ha fallito nellarealtà. Le teorie realiste sarebbero perciò utopiste: eppure, osserva Woolf, il fatto che unapolitica non abbia avuto successo non prova niente, se non il fatto stesso.Ciò che impedisce di passare dalla “psicologia di potenza” a quella dell'organizzazione“degli interessi comuni” è solo la concreta difficoltà della cooperazione internazionale, nonl'esistenza di una realtà (la “legge di natura” della potenza) apparentemente immutabile.

– Angell : errore di analisi di Carr – liberismo e utopismo non sono la stessa cosa. Il primopromette benessere collettivo se i mercati vengono lasciati liberi di agire. Il secondo diceche la assoluta libertà dell'economia accentua gli egoismo nazionali e i rischi del conflitto.Dunque l'utopismo promuove non individualismo ma collettivismo.

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Capitolo 3 – Hans Morgenthau: la politica di potenzaLa politica, tanto interna quanto internazionale, può essere definita come lotta per il potere.

I sei principi del realismo secondo Morgenthau:1) La politica è governata da leggi oggettive, che derivano dall'immutabile natura umana.2) Il concetto di interesse, definito in termini di potere, permette una comprensione razionale

della politica (sulla quale agiscono comunque anche elementi irrazionali).3) L'interesse definito in termini di potere varia nel tempo, in quanto dipende dalle circostanze

concrete di tempo e di luogo.4) I principi morali non possono essere applicati astrattamente alle relazioni fra gli Stati, ma

devono essere filtrati dalle circostanze concrete di tempo e di luogo. Un governo non puòconcedersi di disapprovare o evitare la violazione di qualche principio morale astratto, seuna simile concessione gli impedisce di compiere una scelta politica di successo, ispirata dalsupremo principio morale della sopravvivenza nazionale. La morale politica, insomma,giudica come giusto o sbagliato un corso d'azione in base alle specifiche conseguenzepolitiche di quest'ultimo (e non ad astratte considerazioni etiche); per questo, la prudenza èla massima virtù politica.

5) Le aspirazioni morali di uno Stato (ad esempio combattere una guerra giusta, ambire allapace fra le nazioni) non possono essere identificate con il bene universale, ma solo con ilperseguimento dell'interesse di quello stesso Stato, definito in termini di potere.

6) Pur reputando l'uomo un essere pluralista (che ad esempio agisce, contemporaneamente,nella sfera economica, sociale, psicologica, ecc.), il realismo politico considera la sferapolitica come la principale tra le molteplici sfere di interesse umano, e la distingue in specialmodo da quella morale per riuscire a studiare in termini oggettivi, scientifici la politica.

Riprendendo il principio n°2, si osserva che in assenza di una società internazionale integrata lapotenza è il mezzo necessario per conseguire qualunque obiettivo: gli Stati non solo sono costretti acercare continuamente potere, ma sono tenuti moralmente a farlo: assurdo sacrificare l'interessenazionale per propositi altruistici, l'interesse nazionale non è una mera necessità della politica, mapossiede una sua “dignità morale” che il teorico realista oppone al vuoto moralismo dell'idealismoliberale.Tre obiettivi della potenzaPolitica dellostatus quo

È indirizzata al mantenimento della distribuzione della potenza esistente in un particolaremomento storico, generalmente la fine di una guerra, ed è spesso codificata da un trattato dipace.

Politicaimperialista

È finalizzata a ribaltare le relazioni di potere esistenti in un determinato sistemainternazionale, mira a rovesciare lo status quo. Morgenthau non assegna al termine“imperialista” una connotazione negativa, ma un mero significato descrittivo inteso adelineare la natura dinamica di una simile politica. Da questo punto di vista, non ognipolitica che intende mantenere un impero è di stampo imperialista, anzi quando si tratta diconservare un impero già esistente, si tratta di una politica dello status quo**.

Politica delprestigio

Ha come scopo principale impressionare e intimorire gli altri Stati attraverso la forza di cuisi dispone o che si vuol lasciar credere di avere. Mezzi: cerimoniale diplomatico, dispiegodella forza simbolico o effettivo. A) Prestigio fine a se stesso: pericoloso, perché chi nonpossiede una potenza appropriata alla sua pretesa reputazione rischia la distruzione; B)Prestigio finalizzato allo status quo: mira a influenzare la valutazione che gli altri Statihanno della propria potenza. La potenza non poggia solo su potere materiale, ma anche sureputazione e rango: la politica di prestigio, quando ha successo, fornisce unaconsiderazione che permette di evitare l'uso della forza, risparmiando così risorse materialie non mettendo a rischio il giudizio di imbattibilità cui essa è spesso associata.

** È fondamentale distinguere tra politica dello status quo e politica imperialista, intendere cioè le vere intenzioni di

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uno Stato. Una sbagliata interpretazione può essere disastrosa: dal momento che le politiche dello status quo edell'imperialismo hanno natura opposta, anche le politiche scelte per contrastarla devono essere diverse.L'imperialismo va affrontato con una politica di contenimento in grado di arginare la volontà revisionista. Ilcompromesso, al contrario, è il mezzo che deve essere adottato con chi intende invece apportare “piccoli”cambiamenti all'interno del quadro esistente.

– L'equilibrio di potenza : la lotta per la potenza non si consegue, secondo Morgenthau,invocando il diritto internazionale o l'opinione pubblica mondiale, ma costruendo un sistemadi pesi e contrappesi in grado di contenere le aspirazioni degli Stati. Il potere può esserearginato solo con altro potere.Se la dottrina “dell'interesse definito in termini di potere” (secondo principio del realismo) èla bussola degli Stati per la loro politica estera (dunque non il diritto internazionale né illibero commercio) allora è l'equilibrio di potenza ad esserne il principale strumento.Se l'unico fine fosse la stabilità, esso potrebbe essere raggiunto permettendo ad un elementodi eliminare tutti gli altri. Essendo invece il fine “stabilità + mantenimento di tutti glielementi del sistema” allora l'equilibrio deve prevenire che uno di essi ottenga il predominiosugli altri.Morgenthau non intende negare la rilevanza del diritto internazionale come sistema di regolegiuridiche vincolanti, dal momento che esso è stato nei casi storici scrupolosamenterispettato. Tuttavia egli sottolinea che, vista la natura decentralizzata del dirittointernazionale, esso deve la sua efficacia proprio all'equilibrio di potenza che è del rispettodel diritto internazionale condizione indispensabile. Quando non vi è identità d'interessi traStati, sono considerazioni relative alla potenza – piuttosto che alla natura legale delle dispute– a determinare il rispetto e l'applicazione del diritto.Equilibrio di potenza: i rapporti di forza tra le unità da esso creati rimangono in uno stato dicontinuo flusso, la stabilità prodotta dall'equilibrio di potenza è necessariamente precaria edeve essere sempre ristabilita dagli attori del sistema – una politica volontariamente messain campo dagli uomini di Stato, che ha origine all'interno di una determinata cultura politica

– La pace attraverso la democrazia : l'obiettivo della diplomazia è la promozione dell'interessenazionale con mezzi e pacifici e i suoi strumenti sono la persuasione, il compromesso e laminaccia dell'uso della forza. Nessuna diplomazia che si affidi unicamente alla minacciadell'uso della forza può pretendere di essere intelligente e pacifica; nessuna diplomazia checonti soltanto sulla capacità di persuasione e sul compromesso merita di essere definitaintelligente.

– La pace attraverso la trasformazione: lo Stato mondiale . Lo Stato è indispensabile per ilmantenimento della pace al suo interno: questo è il messaggio di Hobbes. Tuttavia lo Statonon è in grado, da solo, di mantenere la pace interna; questa è la grave omissione di Hobbes.Il fato che il potere dello Stato sia necessario, ma non sufficiente, per mantenere la pacedella società nazionale è dimostrato dal ricorrere di guerre civili.La pace, secondo Morgenthau, si basa invece su una duplice fondazione (una materiale el'altra non): la riluttanza dei membri della società e romperla e la loro incapacità a farloanche se volessero. Quando un determinato ordine non è ritenuto legittimo dalle forzesociali che lo compongono, esso è privo di sostanza e destinato a venir meno: il consensomorale sta alla base di qualsiasi forma di ordine politico duraturo.Da questa premessa, Morgenthau parla della possibilità di uno Stato mondiale: le condizionipolitiche esistenti negli anni della guerra fredda rendevano irrealistiche l'ipotesi di uno Statomondiale, che poteva avere luogo solo attraverso il progressivo sviluppo di forme dilegittimità sovranazionali. Così come non può esserci una pace permanente senza uno Statomondiale, non può neppure esserci uno Stato mondiale senza la diplomazia, che può aiutarea mantenere la pace e a costruire una comunità.

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CRITICHEÈ stata messa in dubbio l'utilità analitica del concetto di interesse nazionale, dal momento che il suocontenuto non è affatto oggettivo ed eterno, ma al contrario dipende dalle idee: l'interesse nazionaleè semplicemente quello che gli statisti decidono che esso sia.Terzo principio del realismo: se è vero che Morgenthau afferma che l'interesse è l'essenza stessadella politica ed è una categoria universalmente valida, egli è altrettanto puntuale nel sottolineareche interesse e potere hanno significati storicamente mutevoli, i cui contenuti sono influenzatidall'ambiente politico e culturale in cui gli statisti si trovano ad agire. Poiché una definizione cosìindeterminata di interesse e potere è del tutto inutile ai fini dell'analisi empirica ed è, inoltre,infalsificabile, non si può che concordare con le critiche che hanno messo in luce i limiti analiticidel concetto “interesse internazionale”.Eppure, scrive Morgenthau nel guardare alla guerra fredda: «Gli Stati non si contrappongono più gliuni agli altri, come hanno fatto da Westfalia alle guerre napoleoniche, e poi ancora dalla fine diqueste fino alla Prima guerra mondiale, all'interno di uno schema di opinioni condivise e di valoricomuni, che poneva effettivi limiti ai fini e ai mezzi della loro lotta per la potenza. Essi siaffrontano ora come se fossero i paladini etici diversi, ognuno dei quali è di origine nazionale evuole fornire uno schema sovranazionale di criteri morali che tutti gli altri Stati devono accettare, eall'interno del quale devono inserirsi le loro politiche estere».Aspirazione universalitstica dell'ideologia nazionale sia da parte di Mosca che da parte diWashington: secondo Morgenthau, un male! Il compito che Morgenthau assegna all'interessenazionale è dunque quello di moderare la politica estera dal carattere illimitato che l'universalismonazionalistico è potenzialmente in grado di generare. La consapevolezza che il proprio interessenazionale non è universalmente condiviso e assolutamente giusto consente di tollerare e accettare ilegittimi interessi delle altre nazioni e sulla base di ciò costruire un ordine internazionale legittimo.

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Capitolo 4 – Reinhold Niebuhr: la dimensione etica del realismo

– Concezione morale vs. politica: i principi che guidano l'azione individuale non sono glistessi che guidano l'azione collettiva. Questo dualismo spiega anche perché ciò che nellasfera individuale risulterebbe immorale è invece in politica ammissibile. Dualismo tracomportamento individuale e sociale: nella sfera individuale la legge suprema è l'amore; icriteri che debbono regolare la politica e la sfera pubblica sono la giustizia e l'equilibrio tra idiversi poteri contendenti.

– Necessità della coscienza che la democrazia non può assumere la forma di una religione; ilpregiudizio e l'illusione moderna che non ci sia una terra di mezzo tra totalitarismo edemocrazia è un punto di vista assai ristretto. Niebuhr intende criticare la contrapposizioneradicale ideologica tra democrazia e totalitarismo, tra due mondi concepiti astrattamentecome opposti e senza alcuna possibilità di comunicazione.

– Il tentativo di Niebuhr è di distinguere l'impegno politico dalle convinzioni religiose, cheriguardano gli aspetti ultimi dell'esistenza. Una pur giusta convinzione di natura politica nondovrebbe assumere una valenza religiosa: la distinzione tra religiosità e politica è necessariaproprio perché non si possa assolutizzare la politica.

Guerra Fredda: tra tragedia ed ironia– Tragedia come scelta del male per difendere un bene. Nella Guerra Fredda l'aspetto tragico

sta nel fatto che la scelta di fronteggiare un nemico risoluto comporta per gli USAl'eventualità di utilizzare una bomba atomica: qualora ciò accadesse, il mondo noncomunista distruggerebbe se stesso dal punto di vista morale per difendersi fisicamente.

– La situazione dell'America è altresì ironica. Si parta dalla convinzione che l'America sia lapiù virtuosa tra le nazioni: ebbene i sogni di una virtù pura sono dissolti in una situazionenella quale è possibile esercitare la virtù della responsabilità verso una comunità di nazionisolo corteggiando la possibilità colpevole della bomba atomica.

– Altro paradosso: il comunismo è l'esacerbazione di un principio liberale. “Il male èeliminabile attraverso l'educazione dell'uomo”; l'idea che attraverso un'opportuna strategiasia possibile giungere ad un'umanità senza macchia, presente nel pensiero liberale, nelcomunismo viene radicalizzata. Il comunismo sovietico rappresenta la rivelazione dellasuperficialità della cultura moderna di fronte ai problemi dell'esistenza umana: dalmisconoscimento della complessità dell'esistenza, segnata da un'ineliminabile compresenzadi male e bene, dalla convinzione che sia possibile eliminare il male dalla storia. DunqueNiebuhr propone sì un'opposizione decisa alla Russia, ma tenta contemporaneamente dievitare quell'accanimento ideologico che porterebbe a vedere nel comunismo russo il maleassoluto ed evitare pure il rischio di divenire simili ad esso in nome della propria pretesasuperiorità morale.

– Critica al liberalismo: una concezione ottimistica della natura umana oscura quegli aspetti diinteresse personali, di aspirazione alla conquista del potere presenti sia nelle azioniindividuali sia, soprattutto, in quelle collettive. Per Niebuhr l'idea dell'innocenza e della virtùdella nazione americana è uno dei dogmi centrali del liberalismo.

– Critica al comunismo: nell'ideologia del comunismo russo l'abolizione della proprietàprivata riporterebbe gli uomini ad uno stato di innocenza originaria. Le conseguenze di taleconvinzione sono diverse: in primo luogo il proletariato è considerato la classe che ha laprerogativa dell'innocenza; in secondo luogo, il capitalismo è il male assoluto; infine, ileader comunisti sono sollevati da qualunque colpa poiché si assume che loro agiscanosempre e comunque al fine di permettere all'umanità di raggiungere la felicità e la libertà.

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COMUNISMO RUSSO STATI UNITI

Nel comunismo prevale il dogma sui fatti: il dogma è“assoluta libertà dai vincoli materiali; totale dominiodell'uomo sulla storia”. Nei fatti, paradossalmente, ildirigismo statale sopprime la libertà in nome dellalibertà.

Negli USA prevalgono i fatti sul dogma: il dogma è“libertà”. Esso però non viene imposto tramitedirigismo statale, bensì ottenuto nei fatti lasciandoche la storia scorra libera. Si ha dunque uno “Statominimo”; tuttavia il realismo americano porta con séla consapevolezza che il governo non può esseretroppo debole: perciò per dare forza al governo e allostesso tempo evitare la deriva totalitaria sono statiprevisti pesi e contrappesi – bilanciamento,equilibrio del potere nel governo. Nei fatti (sensocomune) c'è un'acuta consapevolezza del potenzialeconflitto di passioni ed interessi in ogni comunità.Niebuhr contrappone il senso comune (la democraziaamericana nella sua effettualità) alle astratte edogmatiche posizioni degli intellettuali americani.

– Secondo Niebuhr la democrazia non è esportabile: una società democratica non richiede unabase culturale e spirituale che manca in Oriente, ma una struttura socioeconomica che leciviltà primitive e tradizionali non possono acquisire velocemente.

Il futuro degli USA– Niebuhr si chiede se e come sia possibile modificare la situazione di fatto, nella quale il

potere degli Stati Uniti è egemone rispetto a quello degli alleati:la strada seguita dallediverse democrazie occidentali nella politica interna, quella cioè della redistribuzione delpotere, gli appare improponibile per ciò che concerne la politica estera. Niebuhr ritiene cheil diverso potere politico delle nazioni sia un fatto da accettare.

– Nessun meccanismo costituzionale internazionale potrà avere la forza per mutare gli assettidi potere tra le nazioni. Maggiore opportunità egli riconosce al giudizio della comunitàinternazionale di limitare gli eccessi del potere. In questo senso il riferimento è all'ONU:non tanto come istituzione capace di superare la separazione tra mondo comunista e non-comunista, ma come un organo nel quale anche la più potente delle nazioni democratichedeve portare le sue politiche sotto l'esame dell'opinione pubblica mondiale.

– Conclusione: Niebuhr giunge a suggerire che il cristianesimo possa svolgere una funzionecritica nei confronti della sacralizzazione di una precisa posizione politica, sia a livello dipolitica interna sia a livello di politica estera. La sua tesi è che la religione cristiana offra lapossibilità di un riferimento ulteriore agli assetti di potere, qualunque essi siano, e quindi lapossibilità di una loro critica.

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Capitolo 5 – Raymond Aron: la sociologia delle RelazioniInternazionali

I quattro livelli concettuali di comprensione nell'opera Pace e guerra

Teoria In questo caso, teoria delle RI, consente di elaborare i concetti fondamentali e di descriverele situazioni tipiche delle relazioni internazionali: chi sono gli attori, cos'è un sistemainternazionale, come si possono differenziare secondo le epoche storiche, ecc...

Sociologia Partendo dallo schema razionale della teoria, con la sociologia si analizzano le determinantimateriali (spazio, popolazione, risorse) e sociali (nazione, regime politico, civiltà, umanità)delle relazioni internazionali. Quale rapporto di causalità esiste tra guerra (e pace) e variabili(quali geografia, popolazione, risorse, regime politico)? La sociologia cerca le circostanzeche influiscono sulle poste dei conflitti tra Stati, sugli obiettivi che si prefiggono gli attori,sulla fortuna delle nazioni e degli imperi.

Storia Analisi, da parte di Aron, di una ben precisa congiuntura diplomatico-strategica (il sistemainternazionale contemporaneo) – unica e irripetibile – cercando di mettere a frutto, sul casoconcreto, i due livelli di concettualizzazione precedenti (teoria e sociologia).

PrasseologiaRiguarda i dilemmi etico-politici, ossia le implicazioni normative della condottadiplomatico-strategica. Qui, secondo Aron, ci troviamo di fronte al problema dell'antinomiatra l'azione politica e l'azione morale: problema dei mezzi legittimi (problemamachiavelliano) e problema della pace universale (problema kantiano). Questa antinomiafondamentale non può essere risolta una volta per tutte; ma resta vero che esistono deimargini per attuare politiche ragionevoli che in caso di conflitto limitino il volume dellaviolenza.

Teoria– Le relazioni internazionali coincidono con le relazioni inter-statali (l'attore principale delle

RI è lo Stato). Vi sono poi dei soggetti che “vivono” e “simboleggiano” tali relazioni:l'ambasciatore e il soldato. Quindi le relazioni internazionali si riducono a diplomazia – gliStati convivono tra loro – e guerra – gli Stati si costringono o combattono a vicenda.

– Secondo Aron, gli Stati non sono ancora usciti dallo stato di natura. Questo fatto comportapiù conseguenze: la prima e più importante è che sono gli Stati, centri autonomi didecisione, che decidono guerra e pace, in base agli scopi che si sono prefissati – scopi chenon sono mai coerenti, univoci e razionali. L'anarchia internazionale non è per Aron laguerra “tutti contro tutti” di hobbesiana memoria. A differenza di Morgenthau, Aron ritieneche la politica interna e la politica internazionale siano tra loro irriducibili: l'azionedell'uomo di Stato non ha lo stesso senso e non si situa nel medesimo universo quando èorientata verso l'interno e quando lo è verso l'esterno. Per lo meno nella politica interna, leminoranze che competono per il potere, più o meno violentemente, non sono l'equivalentedelle unità autonome che si affrontano in un contesto anarchico (infatti contesto nazionale =gerarchico; contesto internazionale = anarchico): in quest'ultimo caso alla lotta per il poteresi affianca la ricerca dell'ordine equo.

– Anche se la potenza è difficilmente misurabile, lo statuto di un'unità politica all'interno delsistema internazionale è fissato dalle risorse materiali e umane che può consacrare all'azionediplomatico-strategica. Inoltre importante è la natura dei vantaggi che gli Stati ricercanonelle relazioni internazionali: sicurezza, potenza, gloria. Questi tre “valori” non sononecessariamente compatibili.

– Da una parte brama di potere e di gloria, dall'altra ricerca di sicurezza (possesso/ conquistadel suolo – spazio; numero dei sudditi – uomini; diffusione della vera fede – anime): la

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pluralità degli obiettivi concreti e di quelli finali impedisce la formulazione di una razionaledefinizione di interesse nazionale, perché la condotta nelle relazioni internazionali èindeterminata. Tra l'altro è inconcepibile definire un interesse nazionale facendo astrazionedel regime politico interno, delle aspirazioni proprie alle differenti classi, dell'ideale politicodella polis. Questa è la maggiore differenza tra Morgenthau e Aron. Quest'ultimo, infatti,considera tra le variabili fondamentali della politica internazionale (oltre ai rapporti di forzae alle caratteristiche del sistema) anche fattori interni quali l'ideologia e la forma del regimepolitico – Aron è un realista eterodosso.

– I sistemi internazionali si distinguono, da una parte, in base al rapporto di forza e, dall'altra,in base a idee e sentimenti. Si ottengono così: A) sistemi omogenei: sistemi nei quali gliStati appartengono al medesimo tipo, obbediscono alla stessa concezione di politica; B)sistemi eterogenei: sistemi nei quali gli Stati sono organizzati secondo principi diversi efanno appello a valori contraddittori.I sistemi omogenei sono più stabili perché i governanti, pur nella diversità dei rispettiviinteressi internazionali, non dimenticano mai gli interessi comuni. L'eterogeneità, alcontrario, comporta di fondo una mancanza di riconoscimento reciproco tra Stati che siaffrontano.

– Il sistema di Stati si divide anche – sempre sulla base dei rapporti di forza – in bipolare (solodue grandi potenze) e multipolare (più di due grandi potenze).

Omogeneo Eterogeneo

Bipolare Mai esistito Post-1945: la Guerra Fredda, conflitto USA vs. URSS

Multipolare Periodo dalla fine delleguerre di religione sinoalla rivoluzione francese(1648 – 1789): sistemaeurocentrico con i paesidominanti aventi la stessacultura politica.

Da 1916-17 fino a fine II guerra mondiale: all'alba della I guerramondiale il sistema era eterogeneo, ma dopo il 1916 gli alleati (furoredi lotta? Volontà di ottenere la vittoria assoluta?) assurgono al ruolodi difensori della libertà scagliandosi contro l'assolutismo in quantocausa di guerra e crimini da parte dei tedeschi. Si avvia un sistema discontro tra ideologie (liberal-democrazia, comunismo, nazional-socialismo) con più di due grandi potenze.

– Qualunque sia l'obiettivo della politica estera di uno Stato, la guerra non è che un mezzo perla pace (intesa come stabilità del sistema). A) Pace di equilibrio – le unità sicontrobilanciano a vicenda; B) Pace di egemonia – le unità sono dominate da una di esse,che però formalmente rispetta l'indipendenza altrui; C) Pace d'impero – le unità vengonoinglobate dall'unità vincitrice e perdono anche formalmente la loro indipendenza.

– Distinzione tra guerre: 1. Guerre inter-statali – tra unità sovrane che si riconoscono; 2.Guerre sovrastatali o imperiali – il cui oggetto sia l'eliminazione totale di certi belligeranti ela formazione di un'unità superiore; 3. Guerre infra-statali o infra-imperiali – la cui posta è ilmantenimento o la decomposizione di un'unità politica (nazionale o imperiale).

– Pace di impotenza (o di terrore): è quella che regna tra unità politiche, se ciascuna di esse hala capacità di colpire mortalmente l'altra.Pace di soddisfazione: esiste se tutte le unità sono soddisfatte del loro statuto, se non ci sonopiù ambizioni/ rivendicazioni su popoli e territori, se non ci sono più conflitti su risorsemateriali, se viene meno la volontà di convertire altri uomini.

Prasseologia– Nell'ammettere che la condotta diplomatico-strategica è in sé promiscua (contiene sia

elementi sociali – Stati si riconoscono a vicenda – che asociali – Stati si riservano il dirittodi ricorrere alla violenza), Aron ne deriva che tutte le costruzioni utopiche o ideali sono di

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difficile realizzabilità. Per esempio, un sistema di sicurezza collettiva presuppone così tantecondizioni (accordo su chi sia l'aggressore, accordo sul mantenimento dello status quo,accordo sulla spartizione di costi e benefici del conflitto, ecc...) che la mancanza di unasoltanto di esse rende tale sistema inapplicabile.

– Aron critica l'idea secondo cui la pace dipenderebbe dal progresso del diritto internazionale:le rivalità di potenza, le contraddizioni di interessi e le incompatibilità ideologiche sonofatti. Un “grande” non accetta ordini né si lascia costringere. Perché sia possibile un dirittocostituzionale internazionale: 1. tutte le costituzioni degli Stati dovrebbero essererepubblicane, fondate sul consenso dei cittadini e sulla prevalenza della legge; 2. il sistemadovrebbe essere omogeneo – repubblicano – e tutti gli Stati dovrebbero essere consapevolidella loro “parentela” e costituire consciamente una “comunità internazionale”; 3. ogni Statodovrebbe rinunciare alle armi e sottoporsi ad un tribunale per le proprie vertenze.

– Il vero realismo oggi consiste nel riconoscere l'azione delle ideologie sulla condottadiplomatico-strategica. L'errore di fondo di Morgenthau e seguaci è di aver voluto definire lapolitica in base al principio della potenza anziché in base all'anarchia. Ma anche di averidealizzato e reso eterno un sistema internazionale, quello multipolare e omogeneo delconcerto delle nazioni, che eterno non è (la teoria dell'equilibrio di potenza è valida per quelperiodo storico, non per sempre). Aron sostiene che la guerra è un evento sociale: finchéesisteranno diverse società esisteranno guerre (e ingiustizie).

– Infine, non si può evadere dalla “storia bellicosa”, ma non si possono nemmeno “tradire gliideali”: morale della prudenza – si deve pensare ed agire con il proposito di far sì chel'assenza di guerra possa continuare fino al giorno in cui la pace (intesa come paceinternazionale, fine dell'anarchia) sarà possibile – se mai lo sarà.

Aron e Waltz a confronto– Il padre del realismo, Waltz, sostiene che Aron abbia confuso fattori interni ed esterni al

sistema politico internazionale. Per Waltz tale sistema deve limitarsi al principio ordinatoredell'anarchia e alla distribuzione di potenza tra Stati. Ogni altro fattore – regime politico,cultura, ideologia, ecc – può servire a comprendere una determinata politica estera, ma non èin grado di spiegare il perché la trama della politica internazionale sia costante lungo ilmillennio (la teoria di Waltz è rigorosa ed universale, vale per tutte le epoche).

– Aron non crede si possa elaborare una teoria formale delle RI nello stesso modo in cui èstata elaborata una teoria economica. La teoria, nella prospettiva di Aron, ha uno scopoeminentemente pratico. Deve essere possibile adattarla ai fatti e, soprattutto, non deve daredi un certo comportamento un significato contrario o differente da quello che aveva per gliattori. Per Waltz, al contrario, una teoria deve essere deduttiva e non deve dare unadettagliata descrizione del mondo della politica internazionale (teoria generale).

– Infine, si può affermare che per spiegare realmente la politica inter-statale – di una datacostellazione diplomatica, di una data epoca, ecc – l'approccio di Aron che tiene assiemel'anarchia strutturale e la natura delle unità sia, anche da un punto di vista euristico(metodologico), più proficuo di quello di Waltz.

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Capitolo 6 – Inis Claude: le soluzioni istituzionali

– Nella sua opera, Claude smentisce anzitutto la (da più parti asserita) preponderanza assolutadelle teorie realiste nel periodo tra le due guerre mondiali: anche in quella fase storica cisono stati pensatori di impronta liberale. In secondo luogo, egli si dilunga sulladimostrazione del fatto che i liberali agli albori della disciplina non erano degli utopisti, eche si ponevano invece con tenace determinazione il problema della guerra e del controllodel potere militare.Abbandonare la ricerca di ogni valore in nome della pace (tra gli uomini c'è chi ha valoriprioritari rispetto alla pace, e questo è un fatto da riconoscere) potrebbe addirittura esserecontroproducente in quanto si potrebbero incoraggiare ricatti ed estorsioni verso chiunquenon concordi con il modello di pace proposto. Il fine della politica è appunto quello ditrovare una conciliazione tra interessi diversi.

– Claude prende una posizione più ottimistica di altri autori realisti, quando afferma che inultima istanza, la maggior parte degli Stati coesiste in una ragionevole armonia, la maggiorparte del tempo. Le eccezioni a questa condizione sono di importanza vitale, ma sonougualmente eccezioni.

– Claude intende esaminare i tre principali meccanismi di controllo del potere degli Stati:l'equilibrio di potenza, la sicurezza collettiva, il governo mondiale. Per l'autore, i tremeccanismi sono ugualmente importanti, in quanto non esiste “la” soluzione al problemadell'ordine internazionale, ma solo ipotesi parziali e non definitive. Dunque i tre meccanismisono punti su un unico continuum, quello della centralizzazione del potere:

L'equilibrio di potenza– Claude attribuisce a Morgenthau parte della responsabilità per la confusione, in quanto nei

suoi scritti è ondivago tra una concezione automatica e una volontarista e a volte ècontraddittorio. Infatti Morgenthau ritiene che gli Stati cerchino sia di accumulare quantopiù potere possibile (violazione dell'equilibrio), sia di mantenere l'equilibrio del sistema.Inoltre, sempre Morgenthau, considera l'equilibrio di potenza una delle “leggi ineluttabili”della politica internazionale, salvo poi critica la politica estera americana per averla elusa.Infine pensa che la guerra sia necessaria per il mantenimento dell'equilibrio, ma cita anchel'equilibrio come mezzo per la pace. Insomma, agli occhi di Claude, Morgenthau èestremamente contraddittorio.

– Secondo Claude per equilibrio di potenza si deve intendere un sistema automatico, poco oper nulla dipendente dalla volontà degli Stati. Gli Stati, desiderino essi preservare unasituazione bilanciata o meno, hanno una forte volontà di sopravvivere che li condurrà perforza a schierarsi contro i più forti, poiché un potere senza vincoli in un sistema è unaminaccia per tutte le unità e l'antidoto più efficace al potere è il potere stesso. Ecco perchéClaude parla di automatismo indipendente dalla reale volontà degli attori.

– Sebbene il mantenimento dell'equilibrio richieda a volte la guerra, l'equilibrio di potenzaresta tuttavia la migliore garanzia di pace in un sistema anarchico. Garanzia precaria: comeafferma Kant, quanto più e preciso un equilibrio (equa distribuzione di potere, tutti hanno le

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medesime possibilità di vincere/perdere) tanto più facilmente può essere destabilizzato daanche minime variazioni.

– Prendendo in considerazione la teoria dell'egemonia secondo Giplin (il quale afferma chel'egemonia sia la migliore garanzia per la pace, l'asimmetria di potere è il miglio deterrentealla guerra che avrebbe in tal caso un esito scontato), Claude ne individua la fragilità,affermando che l'eccessiva asimmetria e conseguente preponderanza produrrebbe unadeterrenza efficace solo verso i deboli, ma una scarsa limitazione ai forti.Dunque, perché vi sia effettiva deterrenza al ricorso alla guerra, la condizione ottimale è chenessuno abbia la certezza di vincere.

– Infine, secondo Claude, il vero limite dell'equilibrio di potenza è la sua inapplicabilitàall'epoca moderna: da un lato il collasso del vecchio ordine europeo e l'avvento della politicadi massa (democratica o totalitaria, comunque “ingabbiata” in ideologie e retorica verso lemasse) hanno ridotto la necessaria flessibilità diplomatica; dall'altro lato, la strutturabipolare della Guerra Fredda e l'assenza di altre potenze cui allearsi, priva le due potenze dipartner (anche potenziali) con cui bilanciare eventuali minacce.

La sicurezza collettiva– L'analisi di Claude prende le mosse dai limiti della teoria dell'equilibrio di potenza. Critica

wilsoniana all'equilibrio di potenza: non è stato in grado di prevenire il conflitto mondiale;anche prima di tale guerra funzionava erraticamente e aveva bassi standard di moralitàpolitica. Lo stesso Wilson propose in alternativa un sistema, con obbligo legale, acombattere l'aggressione ed evitare così non tanto gli squilibri nella distribuzione di potere,quanto lo scoppio di conflitti militari. Due principi-guida: 1) Non-aggressione: impegnodegli Stati a non intraprendere azioni militari; 2) Anti-aggressione: impegno degli Stati adifendere eventuali vittime di un aggressore che abbia violato la prima regola.Secondo un principio di uguaglianza, queste garanzie riguarderebbero tutti gli Stati, forti emeno forti, mentre nell'equilibrio di potenza gli Stati forti hanno un vantaggio su quellideboli.

– Punti in comune e differenze tra le teorie “equilibrio di potenza” e “sicurezza collettiva”:

Similitudini Differenze

Teorie basate sulla deterrenza, quindi sul paradossoche per evitare la guerra bisogna essere pronti acombatterla.

Mentre l'equilibrio di potenza si regge su alleanzecontrapposte, la sicurezza collettiva cerca di superarelo schema delle coalizioni competitive, unendo lenazioni nella difesa dell'ordine anziché dividendolein gruppi antagonistici.

La deterrenza è efficace se sono coinvolte anchepotenze non direttamente minacciate.

Gli Stati rinunciano in qualche misura al diritto diformulare la propria politica estera su una basetotalmente arbitraria.

L'equilibrio di potenza propone una “sicurezzacompetitiva”, mentre la teoria della sicurezzacollettiva parla di una “sicurezza cooperativa”

→ La sicurezza collettiva come punto di arrivologico dell'equilibrio di potenza, l'ideale verso ilquale questo si è mosso nel tempo.

– Equilibrio di potenza, sicurezza collettiva e democrazia: la democrazia, con la sua tendenzaad imporre i vincoli dell'opinione pubblica sulla politica estera, restringe la capacità di fareciò che è richiesto dal sistema in una determinata situazione, e funge quindi da impedimentosia per la realizzazione dell'equilibrio che per quella della sicurezza collettiva.

– Queste difficoltà sono state riconosciute dai fondatori dell'ONU, che hanno previsto unmeccanismo selettivo, e non automatico, di sicurezza collettiva. Lasciando agli Stati la

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facoltà di decidere caso per caso, l'efficacia delle organizzazioni internazionali non è moltodiversa da quella dell'equilibrio più spontaneo e meno istituzionalizzato. Nel caso dell'ONU,il meccanismo del veto assicura alle potenze nucleari non solo la possibilità di astenersidall'intervenire, ma pure quella di bloccare un'azione sgradita da parte di altri. Le particolaricondizioni della Guerra Fredda (durante la quale Claude scrive) hanno reso particolarmentedifficile il ricorso alla sicurezza collettiva, a causa dei veti incrociati di USA e URSS.

Il governo mondiale– Le ipotesi di governo mondiale condividono con le teorie realiste dell'equilibrio di potenza il

presupposto che non esistano rimedi all'anarchia. Per entrambe, l'unica soluzione è quella disostituire alla decentralizzazione di un sistema di Stati un governo centrale sovraordinato adessi e in grado di mantenere la pace con la forza (Morgenthau stesso lo credeva).

– Claude non solo ritiene questa ipotesi irrealizzabile, ma la considera anche sbagliata sulpiano teorico. L'efficacia di un governo mondiale si regge sull'analogia domestica con lapolitica interna – analogia scorretta, secondo Claude. Infatti, non tutti i governi riescono amantenere la pace entro i propri confini, e quelli che ci riescono lo fanno più per abilità nellaricerca del compromesso che per il monopolio dell'uso della forza.

– Per Claude non esiste una realtà dicotomica tra perfetto ordine interno e completa anarchiainternazionale, ma entrambi i livelli si situano su un continuum.

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Capitolo 7 – Hedley Bull: la ricerca dell'ordine internazionale

– Nella politica mondiale non esiste una comunità umana universale – se non nelle dottrine enei progetti ideali. Al contrario, le relazioni inter-statali hanno assunto una rilevanza tale davincolare, in modo imprescindibile, la capacità d'azione delle persone e dei gruppi umanidiversi dagli Stati. Gli interessi dell'umanità sono articolati e aggregati e, tramite unprocesso di socializzazione, danno forma alla politica mondiale, rendendola a suo modoordinata: ciò è vero ed avviene attraverso un sistema di Stati sovrani.

– Da Westfalia in poi gli Stati (e in generale le comunità politiche indipendenti) non hannomai formato una comunità politica loro superiore cui consegnare la propria sovranità. Hannoinvece formato un sistema internazionale (dove il comportamento di ognuno è un fattorenecessario nei calcoli degli altri), e pure una società internazionale, priva di un governo madove i rapporti sono regolati da norme e istituzioni condivise, fondate sull'interesse versoscopi e valori comuni.

– Dal XX secolo, dopo l'espansione e il dominio europeo sul mondo, la “rivolta control'Occidente” di popoli e movimenti per ottenere pari diritti in qualità di Stati sovrani haesteso a tutto il pianeta la logica artificiale della società internazionale di matrice europea.

– Bull ha una concezione anti-formalistica delle regole e istituzioni che reggono il sistemainternazionale. Non tratta delle “pseudo-istituzioni” (es. ONU), non studia cioè leorganizzazioni che sono prodotto diretto e specifico di un processo di pianificazione umanané i regimi internazionali sorti tra XIX e XX secolo. Egli si concentra su istituzioni di lungocorso che sono un insieme di pratiche e costumi più fondamentali per la realizzazionedell'ordine internazionale, per il cui mantenimento sono sorte: l'equilibrio di potenza, ildiritto internazionale, la diplomazia, la guerra e il ruolo dirigente delle grandi potenze.

– Vi è una tensione tra il “mantenimento dell'equilibrio” e la “ricerca di giustizia”(rivendicazioni di giustizia e di giusto cambiamento possono riguardare gli Stati – giustiziainternazionale – le persone – giustizia individuale – o l'umanità – giustizia cosmopolitica).La conclusione cui giunge Bull è che fra le tre forme di giustizia, l'unica compatibile conl'attuale modello di organizzazione politica umana basato sulla società internazionale comeprincipio normativo sia la giustizia internazionale (rivendicazioni a livello individuale –rivoluzionarie – o a livello cosmopolitico – diritti universali – destabilizzerebbero ilsistema).

– Bull nega una preminenza etica dell'ordine sulla giustizia, ma gli attribuisce una precedenzacronologica: infatti la giustizia, in ogni sua forma, è realizzabile solo in un contesto diordine; di conseguenza l'ordine internazionale, ovvero l'ordine della società degli Stati, è lacondizione della giustizia e uguaglianza tra gli Stati stessi.

La tradizione groziana: idea di una società internazionale– Bull appartiene alla scuola inglese, una corrente che per prima ha proposto la tripartizione

per cui la storia del sistema tra Stati è letta nei termini di un confronto tra tre tradizioni eschemi di pensiero1. Hobbesiana o realista;2. Kantiana o universalista;3. Groziana o internazionalistaÈ solo la terza di queste che considera la politica internazionale nei termini di una società diStati o società internazionale.

– Società internazionale = società anarchica. Questo concetto è fondamentale perché prescindedal ragionamento fondato sull'analogia domestica e le categorie interpretative che nediscendono. Rimuove il tipico assunto, tratto dalla comparazione tra vita interna ed esterna

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allo Stato, per cui la vita internazionale sarebbe imperfetta in quanto asociale, mancandoun'autorità di governo dotata del monopolio della forza legittima e dei coerenti organilegislativi e giudiziari. Bull afferma che si tratta piuttosto di una società anarchica come taleordinata analogamente non allo Stato moderno ma a certe società primitive prive di ungoverno, inteso come ente che monopolizzi le risorse coercitive.

– Parlare di una società anarchica non è solo un ossimoro: la sua esistenza è dimostrataanzitutto dall'esistenza di una legge peculiare, il diritto internazionale. È legge di una societàpoliticamente divisa in una molteplicità di Stati sovrani, ma non per questo insignificante oprimitiva per il fatto di essere d'efficacia differente da quella legge statale. A differenza dellesocietà nazionali, i suoi membri si affidano all'auto-tutela, non all'etero-tutela.

L'ordine internazionale e la società anarchica– L'ordine non è una qualsiasi regolarità: è un modello di attività umana volto ad esiti

specifici, funzionali alla sistemazione della vita sociale per alcuni scopi e valori primari edelementari. Tre sono infatti gli scopi che tutti i gruppi umani sociali devono, in qualchemodo, soddisfare: protezione dalla violenza, mantenimento degli accordi, stabilità delpossesso.

Qualità: questi scopi sono …

Protezione dallaviolenza

Elementari: in assenza delloro perseguimento erealizzazione, non si dasocietà bensì condizioneasociale.

Primari: non è possibileperseguire nessun altrofine generale e collettivo,senza aver prima garantitola loro attuazione.

Universali: qualsiasisocietà reale deve tenerneconto; ciò a prescinderedalle soluzioni offerte allaloro realizzazione.

Mantenimento degliaccordi

Stabilità del possesso

– Ordine internazionale: gli Stati limitano la violenza condividendo lo scopo delmantenimento del loro monopolio su di essa e ostacolando il diritto e la capacità dioesercitarla ad altri gruppi. Accettano essi stessi limitazione sia rispetto ai motivi, sia allemodalità del suo impiego. Inoltre danno vita ad accordi informati al principio pacta suntservanda (rispetto degli accordi posto che rebus sic stantibus). Infine, mantengono stabilitànel possesso con il reciproco riconoscimento della sovranità e delle rispettive proprietà.

– È proprio il grado di realizzazione di tali scopi che, a giudizio di Bull, consente didistinguere un sistema da una società internazionale – una società internazionale presupponeun sistema internazionale, ma non vale l'opposto.

– Critiche alla distinzione sistema/società: ad alcuni tale distinzione è parsa senza sostanza,perché non pare possibile concepire l'assenza di interessi comuni, seppur minimi, fra Statiche interagiscono come parti di un complesso e che, avendo contatti reciproci, necessitanosempre di regole e istituzioni, seppur limitate, che ne consentano il corso.

Regole e istituzioni della società anarchica– Le regole e le istituzioni interstatali (come quelle statali) non costituiscono una risposta

definitiva e generale al problema dell'ordine politico, che va in uguale misura a vantaggio ditutti. Sono una risposta precaria e limitata, sempre soggetta al condizionamento del più forte.Anzi, le regole e le istituzioni internazionali rappresentano (anche nel loro funzionamento)un esito storico-culturale specifico dei rapporti di potenza.

– Ricorda: anche la guerra è un'istituzione con regole proprie. Lo sviluppo del concettomoderno della guerra come violenza organizzata tra Stati sovrani è stato l'esito di unprocesso di limitazione e confinamento della violenza – l'artenativa storica alla guerra ra

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Stati è stata una violenza ancor più diffusa. Gli Stati ricorrono alla guerra quando cedono leregole di coesistenza e cooperazione che specificano il tipo di condotta richiesto persoddisfare pacificamente i conflitti d'interesse.

– Norme scritte e non scritte: tra le regole tra Stati (frutto della morale, di prassi consolidate,di semplici pratiche operative) spiccano quelle che ricevono lo status di dirittointernazionale. Oltre a formalizzare certe regole, e con ciò a mobilitare consenso intorno adesse, la prima funzione del diritto internazionale nel mantenimento dell'ordine èl'identificare il principio costituzionale della politica mondiale della nostra era. Si tratta diformalizzare (come principio normativo supremo dell'organizzazione politica umana) l'ideadi una società di Stati.

– La diplomazia simboleggia l'esistenza della società di Stati – è dalla sua esistenza chedipende il dialogo tra Stati. Alla concezione del quadro diplomatico rimanda il disegnoteorico dell'equilibrio di potenza: si tratta infatti di un'istituzione _(la diplomazia) atta apreservare consapevolmente, a livello generale, l'esistenza della società stessa, ovvero lalibertà degli Stati dall'imposizione di un superiore. A livello locale la diplomazia ha pureoperato per preservare l'indipendenza dei singoli Stati.

– L'equilibrio (pratica consapevole volta all'auto-limitazione e al contenimento degli altri) hasvolto un ruolo centrale nella debole architettura istituzionale della società internazionale.Quest'ultima, seppure anarchica, trova nella gerarchia riconosciuta e formalizzata tra Statiun ulteriore e finale contributo al mantenimento dell'ordine. È la disuguaglianza dellecapacità tra potenze, la loro divisione in classi di diverso rango, che permette a poche – legrandi – di svolgere un ruolo dirigente nei confronti di molte.

– Consapevolezza di Bull: svolgendo la propria funzione dirigente, le potenze tendono apiegare gli scopi comuni ai propri, infrangendo spesso i diritti e gli interessi dei più deboli.

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Capitolo 8 – Kenneth Waltz: l'anarchia della politicainternazionale

– Teorie riduzioniste dalle quali Waltz prende le distanze: teorie che si concentrano sulle causea livello individuale o nazionale, ricercandole fra gli attributi delle unità della politicainternazionale (gli Stati o gli attori sub-nazionali). A prescindere da quali attributi delle unitàsiano presi in considerazione (per quanto significativi essi possano essere), per Waltz leteorie riduzioniste offrono spiegazioni necessariamente fallaci della politica internazionale.Infatti, il metodo riduzionista, diffuso nelle scienze esatte, non può applicarsi alle RI perl'impossibilità di isolare le singole unità della vita internazionale dalle loro interazioni, cosìcome di tenere sotto controllo l'influenza che tali unità e interazioni subiscono da fattori loroesterni. Esempio eclatante: costanza dell'occorrenza della guerra nonostante i cambiamentidelle unità (sviluppo economico, istituzioni politiche, strutture burocratiche, ecc) avvenutinel tempo.

– Olismo à la Durkheim: se la variabilità degli attributi delle unità internazionali è maggioredella variabilità degli attributi del sistema internazionale (esiti dell'intreccio dei rapporti traunità) allora è necessario adottare una prospettiva d'analisi che prescinda dalle caratteristichedelle unità permettendo di spiegare come unità diverse possano comportarsi similmente ecome unità simili possano comportarsi diversamente. Waltz sceglie dunque il sistemainternazionale come unità di analisi, potendo così considerare le cause esterne ai singolielementi (gli Stati), le quali, influenzando le cause interne agli elementi stessi e filtrandone iloro comportamenti, riducono la variabilità degli esiti delle interazioni tra gli elementi stessi– nonostante la difformità di partenza.

– Teorie riduzioniste vs. teorie sistemiche: sistemiche sono quelle teorie che tengono separatele unità internazionali dal sistema in cui agiscono; definiscono la struttura del sistematralasciando gli attributi delle unità; individuano i fattori causali che pertengono alle unità oal sistema e ne specificano il peso esercitato nell'influenzare gli esiti della politicainternazionale.

– Costruzione di una teoria della politica internazionale. Waltz si appoggia a Rousseau e nerichiama il famoso esempio della caccia al cervo:

Due uomini possono scegliere in una battuta di caccia se tentare la cattura di un cervo o di una lepre. La lorodecisione dovrà avvenire senza sapere la decisione altrui, e tenendo conto che per catturare un cervo occorre cheentrambi decidano di scegliere quest'ultimo come obiettivo, mentre per la lepre è sufficiente l'impegno di un solouomo. Il gioco specifica inoltre che la lepre costituisce un premio meno soddisfacente rispetto al cervo, checostituisce un pasto migliore, anche se questo verrà diviso tra i due cacciatori che hanno cooperato.Poiché ogni cacciatore ignora quale sarà la decisione dell'altro, si tratta di un gioco non cooperativo. Lasoluzione di equilibrio consiste nello sparare alla lepre: infatti, indipendentemente dalla scelta dell'altrocacciatore, il primo si assicurerà al minimo una lepre intera (che vale però meno di un cervo diviso in due).Viceversa, scegliendo di sparare al cervo, avrà sì la possibilità di guadagnare mezzo cervo, ma rischieràfortemente di tornare a casa a mani vuote.

Di conseguenza, l'interesse individuale di breve periodo porterà al fallimento delle pratichecooperative e disincentiverà la divisione del lavoro con cui i cacciatori si organizzano percompiere l'impresa comune.

– Il punto di partenza del ragionamento waltziano sta nella distinzione fra contesti politicigerarchici (retti da un governo centrale) e contesti politici anarchici (quelli che si reggono,nonostante l'assenza di un governo, attraverso la coordinazione reciproca e decentrata frasoggetti che interagiscono su basi di parità). Contrariamente a quanto si pensa, nel passaggioda contesto anarchico e contesto gerarchico non cambiano frequenza ed intensità del ricorso

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alla violenza (in contesti gerarchici la violenza esiste sia esercitata verso l'alto – ribellioni,rivoluzioni – sia verso il basso – repressione, sterminio). La differenza tra politica nazionaleed internazionale sta nella diversità dei modi di organizzarsi per l'impiego della forza. Neicontesti gerarchici, è il governo a dover mantenere l'ordine e a detenere il monopolio dellaforza legittima (i civili delegano al governo la propria sicurezza e possono dunque dedicarsiad altre attività a tempo pieno – attività economiche). Nei contesti anarchici i soggetti (Stati)non possono delegare a nessuno la questione della propria sicurezza, ogni attore deveperseguirla da sé, devolvendo parte dei suoi sforzi non alla promozione del propriobenessere, bensì all'assicurarsi i mezzi per la difesa contro gli altri.

– Dunque nei contesti anarchici è bene evitare la divisione del lavoro, cioè evitare di delegaread un altro Stato la propria sicurezza per concentrarsi su attività di altra natura (perlopiùeconomica). Infatti, se tale divisione può portare vantaggi nel breve periodo, può peròportare maggiori rischi nel lungo periodo. L'influenza reciproca ma non per forzasimmetrica che la divisione del lavoro comporta si presta ad essere manipolata politicamenteper infliggere danni agli alleati nel momento in cui dovessero essi divenire nemici.Critica di Waltz al liberalismo: la ricerca di maggiori vantaggi assoluti tramitel'interdipendenza economica o una maggiore istituzionalizzazione internazionale è soloapparentemente un calcolo razionale, poiché queste collaborazioni esalterebbero alla lungala vulnerabilità degli Stati.

– Il rapporto specifico che, secondo Waltz, lega gli attori e la violenza nei contesti anarchicista nel fatto che l'anarchia induce al self-help. Ecco perché gli Stai sono gli unici attoririlevanti, perché essi sono i soli ad avere strutture specializzate nell'auto-difesa.

Tre dimensioni analitiche della struttura internazionale:

1. Principio ordinatore Anarchia

2. Differenziazione funzionale Assente, cioè indifferenziazione funzionale: ogni Stato svolge le stessefunzioni degli altri che sono necessarie a produrre sicurezza

3. Distribuzione della potenza Il modo in cui la distribuzione delle capacità individuali di offendere edifendere disegna il panorama potestativo che fa da sfondo aicomportamenti di ciascuna, tracciando il quadro di rischi e minacce cuiesse devono rispondere.

– La struttura internazionale riduce la variabilità degli esiti internazionali. Ciò avviene perl'operare di due meccanismi presenti in ogni campo sociale: la competizione fra le unità (chegenera un ordine a cui le unità adeguano le loro relazioni attraverso atti e decisioniautonome) e la socializzazione tra le unità (che limita e modella il comportamento degliattori). Di conseguenza, fintanto che non avvenga un passaggio da sistema anarchico asistema gerarchico, l'unica componente della struttura internazionale suscettibile dicambiamento è la distribuzione delle capacità tra gli attori. Fondamentale è la distinzione tramutamenti nel sistema (distribuzione di potere senza che la struttura vari) e mutamenti delsistema (variazione della struttura).

– Per Waltz il motore della politica internazionale è l'equilibrio di potenza. L'anarchia induceinfatti a politiche di bilanciamento con cui gli attori prevengono che la crescita di uno di loropossa tradursi in future minacce. Questo meccanismo funzione in modo diverso e producediversi effetti nei sistemi che hanno diversa polarità – tratti strutturali diversi.1. Multipolari: pluralità di grandi potenze di simile peso, sono maggiormente

interdipendenti sia in termini economici che in termini militari. Non hanno dimensioniterritoriali sufficienti a renderle autonome tramite l'accumulo di risorse interne: dunqueil bilanciamento interno non basta e va sommato al bilanciamento esterno (alleanze).

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Inoltre, se ogni potenza è forte abbastanza da poter essere una minaccia per le altre, vi èincertezza sull'effettiva origine della minaccia; l'incertezza strategica riguarda anche larisposta alla minaccia poiché il funzionamento delle alleanze è afflitto dai tradizionaliproblemi di azione collettiva (buckpassing) e rende le politiche meno razionali e piùrigide.

2. Bipolari: solo due grandi potenze. Esse hanno dimensioni territoriali, economiche emilitari sufficienti a garantire l'efficacia del bilanciamento interno, aumentando odiminuendo l'estrazione di risorse al proprio interno secondo necessità. Le super-potenzesono molto meno interdipendenti in termini economici rispetto ai loro alleati. Inoltre, ilquadro strategico nel bipolarismo è semplificato rispetto al multipolarismo, poiché vi ècertezza sull'origine della minaccia. Infine, la politica di bilanciamento interno risultapiù affidabile di quello esterno per la certezza di informazioni sulle risorseeffettivamente disponibili. Nei sistemi bipolari le alleanze sono meno rigide, visto cheanche la perdita di un alleato non pregiudica la sicurezza della super-potenza e dei suoiprotetti.

– Waltz giunge alla conclusione che gli attributi strategici dell'ambiente internazionale e delfunzionamento delle politiche di bilanciamento interno ed esterno contribuiscono a renderepiù stabili i sistemi bipolari rispetto a quelli multipolari.

CRITICHE– Staticità: Waltz tematizza i mutamenti internazionali e le loro conseguenze in modo povero,

poiché confinato alla sola variazione della distribuzione sistemica della potenza, edunilaterale, poiché non tiene conto dei mutamenti che possono incidere su questa variabile,mutandone peso e significato. Perciò Waltz perde di vista la complessità dei fenomeniinternazionali poiché li riconduce ad un'artefatta omogeneità assunta teoricamente nellaconcezione della struttura internazionale.

– Ruggie recensisce l'opera di Waltz e individua due fondamentali errori:1. Idea che la competizione per la sopravvivenza renda necessariamente simili le unità delsistema nelle funzioni che svolgono (principio dell'indifferenziazione funzionale);2. Wlatz non considera la densità dinamica delle transazioni che si verificano in una certasocietà. Nella politica internazionale, questo concetto può comprendere più fattori – es.sviluppi demografici o attributi delle attività produttive. Waltz colloca tali fattori a livellodelle unità e dei processi politici interni alle unità stesse, ed escludendo gli attributi delleunità singole dalla sua analisi, esclude tali fattori. Ruggie suggerisce invece che essi sianoinvece degli elementi che hanno rilevanza sistemica, pur avendo origine individuale.

– Se con il primo argomento Ruggie suggerisce che Waltz non considera i mutamentistrutturali che derivano dalla differenziazione tra le unità internazionali, con il secondoaggiunge che egli non considera i mutamenti sistemici di origine non strutturale (cioè quellidi origine “individuale”).

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Capitolo 9 – Hedley Bull e Adam Watson: dal sistema degli Statialla società universale

L'espansione della società internazionale – note sull'opera– Definizione di sistema internazionale: riferimento all'interazione e alla reciproca sensibilità

tra gli Stati. Definizione di società internazionale: riferimento all'accettazione di regolecomuni. Distinguere tra sistema e società è importante.

– La società internazionale è un punto di riferimento centrale nell'opera di Bull, poiché,rispetto al sistema, solo essa può assicurare la durata e le trasformazioni delle “istituzioni”della vita internazionale, può operare profondamente nel campo dei “valori”, può sostenere(ma pure contrastare) l'ordine esistente dando peso a quelle esigenze umane che vanno oltrel'ordine e che Bull riassume col termine giustizia.

– Metodo di ricerca di Bull e Watson: commistione storia/ teoria. La storia permette dimantenere un contatto con la molteplicità degli avvenimenti, dà il senso di uno svolgimentoricco e concreto. La teoria (secondo Bull, sempre più vicina all'esperienza concreta) giovaad individuare le categorie più adatte per coordinare, per interpretare il flusso degli eventi,per collegare presente e passato. Le categorie principali per studiare il mondo delle relazioniinternazionali restano “sistema internazionale” e “società internazionale”; questesuggeriscono poi altre categorie utili per intendere periodo, questioni, sviluppi diversi.

– Percorso storico dell'opera: la formazione di un sistema europeo, tra XV e XVII-XVVIIIsecolo, acquista un risalto speciale, soprattutto se la si considera, come fa Bull, rispetto allacostruzione parallela – seppure un poco più tarda – d'una società internazionale europea. Gliesempi “classici” che ogni tanto ricorro – uno su tutti, la Grecia antica – al confronto hannomeno rilievo. Il sistema europeo, invece, offre l'esempio straordinario di un sistema chegradualmente si compenetra con una società internazionale, anche se le istituzioni – Statosovrano, diplomazia, grandi potenze, diritto, ecc – possono operare su piani diversi.Nella sua analisi Bull giunge alla seguente conclusione: «Non è così difficile immaginareche il sistema di Stati, mentre continuerà ad esistere come un sistema multinazionale,potrebbe cessare di essere una società internazionale […] Dallo scoppio della Prima GuerraMondiale, nonostantele illusioni di rafforzamento della società intrenazionale createdall'ampliarsi di campi d'applicazione del diritto e dal moltiplicarsi delle organizzazioniinternazionali, all'interno del sistema di Stati il consenso relativo agli interessi e ai valoricomuni è in declino. Le divisioni ideologiche seguite alla rivoluzione bolscevica, la rivoltadei popoli e degli Stati extraeuropei al dominio occidentale e l'espansione del sistema diStati al di là dei suoi originari confini europei (od occidentali) hanno prodotto un sistemainternazionale in cui l'area del consenso, se paragonata a quella presente nel 1914, si ènotevolmente ridotta» – cit. da L'espansione della società internazionale, trad. it. 2005, pag.297

La vita internazionale in età moderna e contemporanea: continuità e discontinuità– La ricerca storica dell'opera parte dal XV secolo e connette lungo e breve periodo, passato e

presente. Questa impostazione d'analisi conferma l'ipotesi di Bull secondo cui il carattere deltema “relazioni internazionali” (al di là delle differenze tra luoghi ed epoche, civiltà eculture) è profondamente unitario.

– Nel libro si presta grande attenzione agli imperi extraeuropei (ottomano, tartaro, indiano,cinese) ed al senso che essi manifestano di autosufficienza; si guarda alla loro esistenza disocietà chiuse per quanto possibile in se stesse, ben lontane comunque dall'ammettere unaqualsivoglia superiorità europea e inclini magari all'opposto nel corso dei vari incontri con i“rappresentanti europei”.

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– Gli autori de L'espansione sono del tutto inclini a sottolineare la lentezza dello svolgimentodell'espansione del sistema europeo (o all'europea): partendo dal XV secolo, la svolta si hatra la fine del XVIII e la metà del XIX secolo, specialmente grazie alla rivoluzioneindustriale e alle possibilità che essa offre. Il nuovo sistema è un sistema di dominio. Gliautori ne mostrano spesso la spietata durezza: gli Stati europei, e quelli che s'inserisconoattivamente nel nuovo ordine, ottengono una supremazia, spesso incurante degli ostacoli,sempre più accentuata ed estesa, mentre la società internazionale europea – o all'europea – sirafforza anch'essa, assume configurazioni nuove, mostra un robusto esclusivismo.

– Il sistema, come “sistema di dominio”, volto a estendersi su scala mondiale, si basa pursempre sull'interazione tra Stati; ma l'interazione ha una portata sempre maggiore ed operasempre più in profondità. Il sistema di dominio che si viene instaurando, inoltre, è mobile,pluralista, concorrenziale.

– L'accordo fra le “grandi potenze” che hanno preso la direzione degli affari mondiali puòanche essere inteso come il simbolo e lo strumento del dominio europeo, ma il giudizio nonpuò andare oltre un certo limite: le grandi potenze troppe volte seguono ognuna la propriastrada. Per descrivere l'idea di un club di Stati “civili” che ammettono discrezionalmentenuovi soci si è utilizzata l'espressione standard of civilization. Questa idea ha uncorrispettivo nel diritto internazionale, con la “clausola del riconoscimento costitutivo” chepermette l'inserimento effettivo tra gli Stati “civili”.

– Lo standard of civilization, un po' paradossalmente, se trasposto sul piano politico-giuridicocon la questione della civiltà, riduce (non accresce) la contrapposizione generale tra le varie“civiltà”.

– La società internazionale tende a mettere in magior rilievo quei criteri “europei” che hanno(possono avere) valore universale. Tra questi, l'ordine basato su Stati sovrani: il sistemaeuropeo in via di divenire mondiale, la società europea – o all'europea – che sta acquistandoun orizzonte universale viene però duramente colpito dalla guerra del 1914. vittima inparticolare è lo stesso rapporto tra sistema e società, che costituisce uno dei lati piùcaratteristici dello svolgimento della vita internazionale del XVIII e XIX secolo.

– Sconvolgimento: dopo il 1945 da qualche decina si passerà a ben duecento Stati sovrani. Il“nuovo” sistema di Stati può apparire irriconoscibile rispetto a quello del pre-1945. Il trattodi continuità sta nel fatto che l'unità base del sistema nuovo come di quello vecchio resta loStato sovrano. La stessa “protesta” contro l'Occidente è incardinata sulla richiesta digiungere all'indipendenza come Stati sovrani.Il giudizio va tuttavia temperato: spesso il nuovo Stato sovrano è tale solo per nome, senzalibertà e autonomia reali – vive d'una vita precaria, è debole economicamente e instabilesocialmente; lo Stato è strumento di pochi per gestire affari e clientele (Stati falliti, Staticanaglia, con elevati livelli di corruzione).

Alla ricerca di una società internazionale universaleSino a che punto c'è una “società internazionale” globale, nel senso di una fede in valori, regole ed

istituzioni comuni – distinta da un “sistema internazionale” globale, della cui esistenza nessunodubita?

– La frammentazione del sistema rende di per sé problematico il richiamo a valori regole eistituzioni comuni, al di là del ricorrente riferimento allo Stato sovrano come patrimoniocomune.

– A conclusione del libro Bull e Watson propongono due diverse visioni del futuro del sistemainternazionale: una pessimista, l'altra più possibilista:

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Futuro pessimista – Adda Bozeman Futuro possibilista – Ronald Dore

Svanita la mediazione europea, le varie società presentinel mondo attuale risentono del peso delle loro culture,del loro tradizionalismo millenario che, in definitiva,tende a renderle pressoché incomunicabili. E variesocietà, per di più, sostengono valori (autosufficienza,rifiuto degli stranieri, guerra, ecc) che si adattano benpoco ad una società internazionale che sia in grado diraggiungere la pace.

Esaltazione delle modifiche in corso nelle società dimolti paesi, sulla nascita di legami transnazionali.Anche se Dore riconosce l'esistenza di ostacoli, èfiducioso in una via d'uscita: anche se le culturetradizionali vivono di stereotipi, esse non sonoimmobili e possono evolvere nel tempo, aprendospiragli di comunicazione verso l'esterno. Anche sel'élite degli Stati emergenti tendono più allastrumentalizzazione delle culture che all'apertura aldialogo, Dore sottolinea come una “cultura mondiale”imperniata sull'esperienza Occidentale sia fatta propriada queste stesse élite e come questo “avvicinamentoculturale” nei fatti possa far sperare nella diffusione diuna nuova società internazionale.

– Bull è più vicino alla tesi di Dore che a quella della Bozeman: a conclusione del libro egliafferma che una nuova società internazionale di Stati e popoli (erede sia del sistemaall'europea che della protesta anti-occidentale) si stia formando, con grandi tendenzeall'estensione di organizzazioni internazionali, all'uguaglianza razziale, alla maggiorgiustizia economica e alla fine d'ogni monopolio culturale.

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Capitolo 10 – George Liska: la rivincita della storia

– Nel suo libro The ways of power, Liska esplora le relazioni fra collettività organizzate cosìcome sono influenzate da spazio (geografia) e tempo (storia). L'ambizione di Liska è diricostruirne sia i processi che i modelli correnti (patterns) di comportamento nei sistemiinternazionali (inter-actor systems).

– Evoluzione: processo che non ha mai soluzione di continuità di trasformazione dei sistemiinternazionali. Liska parla di evoluzione anziché di progresso perché il mutamento storiconon è interporetato come cumulativo o lineare né come passaggio da un assetto ad un altroqualitativamente superiore. L'evoluzione comporta che ci siano delle differenze tra lestrutture e gli stadi di sviluppo che si succedono, ma anche somiglianze, le quali implicanoricorrenze e regolarità.

Gli attributi di un sistema:

Struttura Stadi di sviluppo

Micro-sistemi: imperniati su attori di ridottedimensioni (es.: città-Stato) e quasi sempre dominati damicro-attori (città) a vocazione commerciale (es.:repubbliche marinare italiane).

Proto-sistemi: sistemi in formazione, privi di relazionistabilizzate e prevedibili tra attori. Il proto-sistema oviene inglobato da un attore forte (in genere, un imperocollocato alla periferia del sistema) o autonomamenteevolve in sistema cristallizzandosi edistituzionalizzandosi (di rilievo nel processo diistituzionalizzazione sono la differenziazionesacro/profano e la differenziazione amministrazionecivile/organizzazione militare)

Macro-sistemi: coinvolgono attori di grandidimensioni (Stati territoriali, imperi).

Sistema: si ha un sistema quando gruppi organizzati(attori) interagiscono tra loro in modo continuo.

Relazione macro-micro: in entrambe le strutture operal'equilibrio di potenza, talvolta come esito di politicherazionali, più spesso come prodotto involontario dellacompetizione per risorse scarse tra gli attori delsistema.Passaggio da micro a macro raramente per causeendogene (espansione di uno degli attori interni alsistema che ingloba gli altri attori). Più spesso causeesterne: micro-sistemi inglobati da macro-sistemitramite conquista di stampo imperiale. N.B.: i micro-sistemi esercitano una profonda influenza culturale suimacro-sistemi che li assorbono.

Meta-sistema: possibile evoluzione di un sistema,quando questo si trasforma in una “comunità” perché“catturato” da un impero che impone gerarchia politicae, col tempo, omogeneità culturale oppure quandoquesto è protagonista di una stipulazione di pattifederativi tra gli attori allo scopo di fronteggiareminacce esterne. Passando da sistema a meta-sistema(all'opposto di quando si passa da proto-sistema asistema) gli attori sperimentano processi di de-differenziazione culturale e perdita di specificitàfunzionale.

N.B.: ad ogni fase cambiano le caratteristiche degli attori

– Dimensioni, numeri, spazio, condizionano il funzionamento dei sistemi internazionali e laloro evoluzione. Nei micro-sistemi, dove la ridotta dimensione degli attori si accompagna auna loro elevata coesione (o energia sociale), il potere si aggrega più velocemente, è piùrapido il passaggio da proto-sistema a sistema. Nei macro-sistemi, dove le dimensioni degliattori li rendono meno coesi, con un minor grado di energia sociale disponibile, il tempo peraggregazione del potere e cristallizzazione è più lungo.

Fisica e tragedia nei sistemi internazionali– Per “fisica politica” Liska intende un complesso di leggi (regolarità) relative all'operato di

fattori come la dimensione, il numero degli attori, la distanza spaziale tra essi. Che le

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relazioni inter-statali siano soggette a patterns ricorrenti dipende dal fatto che sono all'operatali leggi.

– Nella visione di Liska, il sistema incide sulla formazione degli attori: l'ambiente fisico esociale, la distribuzione (geografica ma anche sociale) delle risorse scarse, crea vincoli eopportunità che incombono sui costruttori dei gruppi territoriali organizzati. Una volta che ilgruppo territoriale si è formato, la relazione (in parte) cambia: da qual momento in poisaranno gli attori più potenti a condizionare lo sviluppo del sistema.

– Il ruolo del “terzo”: assente nei sistemi uni- e bi-polari, fondamentale invece nei sistemimultipolari.

– La fisica politica non basta a comprendere le dinamiche dei sistemi internazionali: se cosìfosse, le strategie degli attori sarebbero condizionate solo da calcoli di costi-benefici e datentativi di selezionare i mezzi più idonei per il perseguimento di fini razionalmente definiti.Ad un quadro così “chiaro e razionale” va dunque aggiunta la componente “tragedia”: essa èinerente al ruolo svolto dai conflitti tra visioni del mondo incompatibili e dalle passioni cheessi alimentano (ergo: sistema internazionale decifrabile attraverso l'analisi di razionalità &passione).

– I cleavages perenni: Liska li definisce scismi, affermando che essi hanno condizionato lastoria delle civiltà dagli albori ad oggi, poiché essi sono in grado di generare conflitto siaall'interno degli attori che nei loro rapporti reciproci. I grandi scismi sono tre:1. Divisione tra secolare e profano;2. Divisione tra Occidente ed Oriente;3. Divisione tra potenze marittime e potenze coloniali.

– L'azione dei tre scismi condiziona le caratteristiche degli attori: le potenze marittimetendono alla libertà interna e danno vita a regimi oligarchici anziché autoritari. Le potenzecontinentali, invece, tendono all'autoritarismo e impongono al loro interno relazionifortemente gerarchizzate. Poi ci sono i dispotismi orientali, che diversamente daautoritarismi e totalitarismi occidentali non si fondano sulla distinzione Stato/società etendono ad isolarsi dall'esterno.

– Passione: guerra e rivoluzione. In tutti i sistemi internazionali che si susseguono, guerra erivoluzione sono intimamente legate. L'energia passionale alimentata dai tre scismi si scaricasia all'esterno (guerre) che all'interno (ribellioni e rivoluzioni). Inoltre, le rivoluzioniconducono facilmente a guerre e le guerre innescano spesso rivoluzioni.

– Da cosa è minacciato l'equilibrio di potenza: 1. Rivoluzioni; 2. Emergere di una potenzasempre più forte alla periferia del sistema; 3. Sviluppi tecnologici. Il sistema può recuperareequilibrio ricostituendo congruenza tra capacità (potere) e autorità tra attori (gruppi interniagli Stati o tra gli Stati stessi nei rapporti reciproci).

I tre tipi di regime politico nella storia

Regime Caratteristiche

Regime assolutista Basato sull'alleanza trono/ altare.

Regime commerciale In particolare, le potenze marittime sono fondate sul dominio di un'oligarchiacommerciale (Olanda, Inghilterra)

Regime autoritario Combinazione di autoritarismo burocratico e alleanza tra grande industria e proprietàterriera (Germania bismarckiana)

Liska e le altre scuole di pensiero– Liska critica la teoria neo-realista. Se le politiche degli Stati fossero condizionate solo dalle

strutture sistemiche (intese in senso esclusivamente quantitativo – bipolarismo/

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multipolarismo), come vuole la teoria neorealista, sarebbe esclusa la possibilità dicambiamento. Ma l'azione degli scismi, la lotta tra visioni del mondo che continuamentedividono gli attori ed alimentano i loro conflitti conferendo o togliendo legittimità agliassetti internazionali vigenti.

– Critica di Liska al liberalismo: non è l'economia a prevalere sulla politica, bensì è la politicaa vincolare e limitare le possibili azioni economiche.

CRITICHE– Punto debole 1: univocità della spiegazione. È il contesto geopolitico e geostrategico a

plasmare i regimi politici interni agli Stati – la natura di tali regimi è giustificata dallapolitica internazionale. Liska dunque depotenzia l'influenza in senso opposto dalla politicadomestica alla politica internazionale.

– Punto debole 2: sono le strutture internazionali a spiegare le strategie che gli attori possonoporre in essere, non i loro assetti politico-istituzionali interni (ancora una volta, univocitàdella spiegazione).

– Liska non indaga in profondità le complesse interrelazioni fra dinamiche interne(domestiche) e dinamiche internazionali.

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Capitolo 11 – Samuel Huntington: alle radici dello scontro traciviltà

– L'opera, Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale. Nel libro i fattori culturalivengono innalzati al rango di variabile indipendente per spiegare il sistema internazionaledel dopo guerra fredda. La tesi di fondo: da un lato, l'ipotesi che l'equilibrio di potere si stiaprogressivamente spostando dall'Occidente all'Asia, e che la Cina (sul piano economico) e ilmondo islamico (su quello ideologico e demografico) rappresentino una grande sfida perl'Occidente e per la stabilità dell'intero sistema internazionale; dall'altro, la convinzione cheidentità e cultura rappresenteranno nel futuro pericolosi fattori di mobilitazione dei popoli,più di economia e ideologia (che prevalevano come fattori di mobilitazione nel passato). Lacultura e le identità culturali – che a livello ampio corrispondono alle culture delle stesseciviltà – saranno alla base dei processi di coesione, disintegrazione e conflittualità checaratterizzeranno il mondo post-guerra fredda.

– Huntington sostiene che ogni civiltà, nonostante possa sviluppare strumenti per sopravviverepiù a lungo, è destinata infine a morire: è quanto accade oggi alla civiltà occidentale, chemirava a diventare civiltà universale ed ha invece fallito. L'autore parla dunque di unOccidente indebolito e per questo vulnerabile alle sfide che stanno emergendo, cioèaffermazione asiatica e rinascita islamica.1. La prima sfida – potenza economica asiatica (che si è originata in Giappone negli anniCinquanta e che, dopo le Tigri asiatiche, è giunta in Cina) – non è solo pericolosa sul pianomateriale, ma pure su quello culturale, se si considera che il successo economico è percepitoin Asia come prodotto dei valori peculiari della propria società.2. La seconda sfida – risveglio dell'Islam (che pareva assopito dopo il crollo dell'ImperoOttomano e che oggi, dopo decenni di forzato laicismo, torna a mobilitare le popolazionimediorientali) – è sia culturale che materiale e si accompagna alla forse più temibileminaccia demografica. Infatti, Huntington è consapevole che una popolazione moltogiovane è più predisposta ad abbracciare ideologie radicali rispetto ad una popolazione piùmatura.

– Kin-country syndrome: sindrome dei paesi fratelli. Non serve sottolineare come questasindrome possa portare ad una escalation di conflitti “micro” facendoli degenerare inconflitti “macro” tra civiltà: ecco perché Huntington prevede una Terza guerra mondialecome esito sia di una escalation di guerre di faglia (le guerre combattute nel mondoavvengono quasi tutte lungo le faglie, ovvero i confini tra le varie civiltà), sia di unmutamento degli equilibri di potere a livello globale tra le diverse civiltà. Uno scontro,quest'ultimo, che verosimilmente assumerà le sembianza di una guerra anti-egemonica traciviltà dominante e sfidanti. E in questo senso, i primi sfidanti saranno, secondo Huntington,la civiltà confuciana alleata a quella islamica.

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Capitolo 12 – Alexander Wendt: la costruzione sociale dellapolitica internazionale

– «L'anarchia è ciò che gli Stati fanno di essa». Wendt critica la logica per cui la politicainternazionale sarebbe dominata principalmente da forze materiali, e ritiene piuttosto che percomprenderla si debba riconoscerla come un insieme costituito da “idee condivise” create emantenute dagli attori e dalle loro politiche. Come altre istituzioni quali la sovranità e lamoneta, l'anarchia è, a suo parere, una realtà costruita socialmente, ovvero un fenomeno ilcui significato e le cui conseguenze dipendono dalla distribuzione delle idee tra un certonumero di attori situati in uno specifico contesto storico.

– La fissità identitaria dell'anarchia si presenta come l'obiettivo critico principale delcostruttivismo di Wendt. Egli separa il concetto waltziano di self-help e anarchia al fine dimostrare come la competizione aggressiva non sia una proprietà dell'anarchia ma il risultatodi un particolare processo di interazione.

– Una volta creata, una costruzione sociale si presenta come una realtà con la quale gli attoridevono fare i conti e che produce un sistema di vincoli e incentivi a cui gli stessi attori nonpossono facilmente sottrarsi. Dunque, i vincoli creati dalle idee condivise sono oggettivi ecostrittivi come quelli che nella visione neorealista sono imposti dalle forze materiali (lastruttura bi- o multi-polare).

Ontologia del sistema internazionale e critica al materialismo– Definizione di ontologia: studio delle strutture fondamentali e necessarie dell'essere in

generale, a prescindere dalle sue concrete e individuali manifestazioni.– Il realismo descrive la politica internazionale sulla base della distribuzione delle capacità

militari nel sistema. Tuttavia, se il realismo fornisse un'immagine corretta del funzionamentodella vita internazionale non si capirebbe perché per gli Stati Uniti 500 bombe nuclearibritanniche sono meno preoccupanti delle 5 possedute dalla Corea del Nord. A parere diWendt, ciò che dà significato alle forze di distruzione sono le relazioni di distruzione in cuiesse si trovano radicate: le idee comuni, siano esse cooperative o conflittuali, che strutturanol'esercizio della violenza tra Stati.

– Distinzione tra:1. Fatti bruti: fatti che esistono indipendentemente dalle istituzioni umane e quindi non sonocostruiti socialmente;2. Fatti sociali (o istituzionali): sono accordi taciti sul significato della realtà bruta,necessitano di istituzioni umane per esistere e produrre effetti.Wendt non mette in dubbio la rilevanza dei fatti bruti, non solo perché i fatti socialinecessitano di essi per esistere, ma anche perché le condizioni materiali svolgono due effettiindipendenti dalle idee: A) esse definiscono i limiti fisici di ciò che gli attori possono fare;B) gli elementi materiali definiscono conti e benefici delle diverse azioni che un attore puòintraprendere.

– In sintesi, il costruttivismo di Wendt si fonda su due principali assunti: 1. le strutturedell'associazione umana sono primariamente determinate da idee condivise e non da forzemateriali; 2. le identità e gli interessi degli attori, benché fondamentali per comprendere lapolitica internazionale, sono costruiti da queste idee e non sono dati naturali. Poiché il primoassunto è idealista mentre il secondo ha natura strutturale, il costruttivismo di Wendt puòessere definito come idealismo strutturale.

– Infine, Wendt nega che l'anarchia materiale implichi la competizione aggressiva tra Stati: dalmomento che la struttura della politica internazionale è ideazionale, sistemi che contengonola stessa distribuzione delle capacità militari possono avere logiche radicalmente diverse se

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sono caratterizzati da distinte distribuzioni delle idee.

Le tre culture anarchicheLe idee condivise a livello internazionale formano la “cultura del sistema” che, a seconda di comegli Stati si costituiscono mutualmente, può assumere tre principali contenuti:

Tipologia Ruolo dello Stato neiconfronti dell'Altro

Descrizione

Anarchia hobbesiana Nemico Non esistono freni normativi al ricorso alla violenza, cheviene utilizzata in modo illimitato al fine di eliminare dalsistema l'Altro, piuttosto che essere volto a dirimere unconflitto.

Anarchia lockiana Rivale L'uso della forza è considerato legittimo, ma viene utilizzatoin modo circoscritto sia per quanto riguarda i mezziimpiegati, sia per gli scopi perseguiti e soprattutto non è unmezzo per eliminare l'Altro. In questo tipo di sistema lasovranità non è un mero dato materiale, ma è un'autenticaistituzione internazionale che si regge sul riconoscimentoattribuito dagli Stati.

Anarchia kantiana Amico Gli attori non solo si riconoscono come portatori di diritti edoveri ma, pur rimanendo in competizione tra loro, risolvonoi conflitti senza il ricorso alla forza e considerano lasopravvivenza dell'Altro parte essenziale della propria stessasicurezza (comunità di sicurezza).

Sistema internazionale, società anarchica e cultura– Wendt imputa a Waltz e a Bull l'errore di identificare, da un lato, cultura comune e idee

condivise con la cooperazione e la pace e, dall'altro, lo stato di natura con guerra e conflitto.A suo parere, invece, non c'è relazione tra l'estensione della cultura e delle idee condivise inun dato sistema e il grado di cooperazione presente al suo interno. Il costruttivista Wendtsottolinea come anche la guerra hobbesiana di tutti contro tutti possa fondarsi su un insiemedi idee condivise – la cultura può creare o conflitto o cooperazione.

– L'errore di Bull in particolare è stato quello di aver identificato una cultura comune con lasocietà e la cooperazione, quando invece la conoscenza condivisa e le sue manifestazioni –norme, regole, ecc – sono analiticamente neutrali rispetto a cooperazione e conflitto. Lenorme sono “buone” o “cattive”, poiché possono tanto istigare alla pace quanto fomentare laviolenza (ad esempio affermando che fare la guerra è glorioso).

– Wendt afferma che, una volta strutturati i ruoli, l'interazione diviene relativamenteprevedibile nel tempo e genera tendenze “omeostatiche” che stabilizzano l'ordine sociale. Lacultura tende a riprodurre se stessa. Il meccanismo tramite cui l'interazione tra Stati tende aprodurre tale risultato è quello dell'apprendimento complesso (distinto dall'apprendimentosemplice): in questo non solo i comportamenti, ma anche le identità – da cui derivano gliinteressi degli attori – vengono modificate.

– Le forme culturali che si riproducono soprattutto attraverso la coercizione tendono ad esserele meno stabili; viceversa, quelle che lo fanno attraverso la legittimità tendono ad essere lepiù stabili. Wendt suggerisce dunque che il cambiamento strutturale, che dipende da unmutamento nelle pratiche (processo) che sostengono e reificano le culture anarchiche, siapiù semplice in un mondo dominato dalla coercizione, ovvero nel mondo descritto dairealisti.

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Incertezza e mutamento– Da un lato Wendt ammette che ad uno sguardo superficiale alla politica internazionale si

veda che gli Stati conoscono bene le intenzioni altrui, altrimenti la vita internazionalesarebbe impossibile.

– Dall'altro lato egli spiega che ciò accade perché gli Stati non ragionano in modo“possibilista”, sulla base si un'insuperabile incertezza in cui non si hanno informazioni sulleintenzioni altrui e in cui tutto è possibile, ma al contrario ragionano in maniera“probabilistica” su un bacino di conoscenze comuni prodotte dalla passata e presenteinterazione con gli Altri. Secondo Wendt sia l'ostilità che l'amicizia nascono da corretteinformazioni sulle intenzioni degli Stati e non dalla loro assenza o inaffidabilità.

– Pecca dell'opera di Wendt: essa difetta di una teoria del cambiamento. Se Wendt descrivebene la natura mutevole dell'anarchia e fornisce una spiegazione delle ragioni per cui unavolta prodotte le diverse anarchie sopravvivono nel tempo, egli non spiega tuttavia perchégli Stati ad un certo punto inizino a comportarsi diversamente dalla cultura anarchica nellaquale operano. L'autore non dà cioè conto di quelle azioni che destabilizzano le struttureprecedenti e ne generano di nuove (es.: come e perché si passa da una cultura hobbesiana aduna lockiana o kantiana?)

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Capitolo 13 – Bruce Russet e John Oneal: la teoria neo-kantiana della pace perpetua

L'opera: Triangulating peace: democracy, interdependence and international organizations. Èconsiderato un classico delle RI. Anzitutto il volume costituisce una summa delle ipotesi, verificheempiriche e rielaborazioni teoriche della scuola neo-kantiana. Russet e Oneal (da ora in poi R&O)elaborano congiuntamente le ipotesi chiave di tre dei più importanti filoni della riflessione liberalesulla pace, riunendoli sotto l'egida del disegno kantiano: la pace democratica, la pace attraverso ilcommercio e la pace attraverso il diritto.In secondo luogo, Triangulating peace indaga empiricamente molti dei collegamenti reciproci traquei tre ordini di argomentazioni, proponendo un disegno complessivo di ragguardevole portata,secondo cui le tre vie kantiane alla pace si rafforzerebbero vicendevolmente e sarebbero a loro voltarafforzate dal consolidamento di relazioni pacifiche tra Stati.Infine, R&O confrontano direttamente le tre ipotesi kantiane tra loro, valutandone la rilevanzaanche rispetto alle principali ipotesi realiste, culturali e neo-marxiste di spiegazione della guerra.

Il treppiede kantiano– Accanto alle spiegazioni realiste della guerra (per lo più mono-causali), R&O propongono

una spiegazione multi-causale: una pace positiva deve maggiormente fondarsi sui te pilastrikantiani – democrazia, interdipendenza e diritto e organizzazioni internazionali – più chesulla politica di potenza.

– Kant concordava con Hobbes nell'affermare che talvolta la pace poteva essere perseguitacon uno squilibrio di potere, avendo una super-potenza che previene il conflitto: maentrambi ammettono che una simile pace è tenue e precaria. Dunque R&O recuperano dueassunti realisti – in linea con il neo-liberalismo – cioè: anarchia sistemica e ruolopredominante dell'interesse nazionale. Ne scaturisce una politica internazionalepotenzialmente cooperativa, che si differenzia tanto dalla lettura essenzialmente cooperativa(utopismo), quanto da quella sostanzialmente conflittuale (realismo).

La pace democratica: evidenze empiriche e dibattiti– Partendo dal concetto di democrazia – definizione di Dahl: suffragio ampio, elezioni libere,

pluripartitismo, elezione diretta o responsabilità parlamentare – e richiamando il primoarticolo de La pace perpetua (nessuna conclusione di pace, che sia stata fatta con la riservasegreta della materia di una guerra futura, deve passare per tale), R&O indagano lacomplessa rete di relazioni triangolari che porta alla pace. Il rispetto della sovranitàpopolare, della libertà e dell'eguaglianza individuali e del principio di separazione dei poteri– cifre primarie delle democrazie rappresentative (le repubbliche kantiane) – garantisconoun controllo sostanziale sull'uso della forza tra Stati sovrani. Invece, negli Stati a regime nondemocratico la scelta se combattere o meno è riservata ai sovrani, non ai cittadini.

– Le democrazie appaiono più pacifiche nei loro rapporti reciproci rispetto a qualsiasi altrotipo di diadi (coppie) di Stati. In virtù della sua tenuta alla prova dei fatti, l'ipotesi diadica èassurta a tesi (impropriamente definita teoria della pace democratica o pace separata) edeguagliata addirittura a ciò che abbiamo di più vicino ad una legge empirica nelle relazioniinternazionali.

– Spostando il fuoco analitico dai cittadini ai decisori, è stato notato come la naturatrasparente e complessa dei processi di formulazione delle politiche estere nei regimidemocratici ne riduca la conflittualità nei rapporti con le altre democrazie, generando alcontempo una loro pari bellicosità nei confronti degli Stati a regime non democratico. Ileader democratici sono infatti sottoposti a vincoli maggiori rispetto a quelli autocratici,

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segnatamente rispetto alla decisione di imbracciare le armi nei confronti di un alto Stato.– Una critica di stampo realista sostiene che sono gli interessi degli Stati a motivarne la

condotta, non i loro regimi interno. L'assunto fondamentale del realismo è infatti che l'unicoattore del sistema internazionale è lo Stato sovrano self-interested. Ogni mossa dell'attore èdeterminata dal perseguimento di potere e arricchimento per sé nell'ambito del contestointernazionale in cui si trova ad operare – tali mire non cambiano al cambiare del regimeinterno, la politica estera ha una continuità propria indipendente dalle discontinuità diregime domestico. Dunque, secondo questa lettura, la pace democratica è un fenomenoconfinato al periodo della guerra fredda – quando gli Stati democratici avevano un incentivoad allearsi contro il blocco non-democratico per perseguire al meglio i propri interessinazionali indipendentemente dal fatto che fossero tutte democrazie. Sarebbe stata unapreoccupazione per la sicurezza a limitare il conflitto ad ovest, non la democrazia e ilcommercio: le implicazioni per il futuro di una simile tesi sono che la fine della guerrafredda potrebbe essere la fine della pace tra gli Stati liberali. Secondo questa critica la tesi diTriangulating peace per cui la pace democratica sarebbe una “legge generale” è sbagliata.

– R&O si interrogano su questa critica e indagano la realtà empiricamente tramite schemidiadici: controllando l'effetto della convergenza diadica degli interessi nazionali (misuratitramite la similitudine delle preferenze di voto in seno all'Assemblea generale dell'ONU)sulla propensione al conflitto, il modello kantiano rimane valido anche rispetto al caso dellalunga pace. Infatti, pur riscontrando empiricamente il ruolo rilevante degli interessi disicurezza, essi ipotizzano che democrazia ed interdipendenza economica ne influenzinoaddirittura la formazione, avendo quindi sia un effetto diretto sulla pace che uno indiretto,tramite l'azione sulla variabile realista per eccellenza (la ricerca di sicurezza).

Commercio e pace– Secondo R&O Stati che sono sia più interdipendenti dal punto di vista economico a livello

bilaterale, sia più aperti nei confronti di tutti gli altri partner economici, hanno menoprobabilità di scontrarsi violentemente. Quando poi i loro regimi sono democratici, c'è unaulteriore probabilità che i due paesi non si facciano la guerra. In secondo luogo, vieneconfutata la tesi dependencista, secondo cui una relazione commerciale fortementeasimmetrica ridurrebbe l'effetto pacificatore del commercio: la variabile relativa allo Statopiù dipendente entro la relazione diadica (il probabile attaccante, secondo questa lettura) nonè statisticamente significativa.

– Circoli virtuosi: Stati democratici commerciano di più tra loro e tendono ad aderire di piùalle organizzazioni internazionali, le quali favoriscono la diffusione della democrazia e unampliamento delle relazioni commerciali, con un effetto di moltiplicazione dei sentieri checonducono alla pace.

La pace attraverso il diritto– Kant parla non di trattato di pace bensì di federazione di pace: mentre il primo ha lo scopo di

porre fine ad una particolare guerra, la federazione porrebbe fine a tutte le guerre persempre. Aderendo ad una tale federazione (le moderne organizzazioni internazionali) gliStati si confrontano con una serie di incentivi che ne influenzano il comportamento:positivamente se agiscono conformemente ai dettami istituzionali; negativamente (sanzioni)quando si trovano ad agire al di fuori – o contro – tali dettami.

– Alla critica secondo cui l'elevata interdipendenza pre-1914 non è stata sufficiente ad evitareuna guerra sistemica, R&O obiettano che non basta un singolo caso (quello deviante) aconfutare una legge generale che abbia validità statistica, citando dati a favore comunque diun maggiore interscambio tra gli Stati alleati in quel periodo.

– Essi notano altresì come il progetto di Adenauer, De Gasperi e Monnet sarebbe da ricercarsi

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tra i circoli virtuosi di liberal-democrazia, crescita, apertura commerciale eistituzionalizzazione dei rapporti tra Stati sovrani a livello inter- e sovranazionale.Rifacendosi a letture sia neo-funzionaliste che costruttiviste sulle origini del fenomenointegrativo europeo, R&O ipotizzano che processi analoghi possano riguardare anche altrearee che presentino in parte condizioni simili..

ConclusioneLa prescrizione kantiana per la pace perpetua non si giustifica solo sulla base della condivisione divalori liberali quali la tolleranza e la risoluzione non violenta dei conflitti. Piuttosto la visionekantiana è foriera di benefici proprio perché non dipende solamente da elementi intangibili qualivalori, norme e identità condivisa. Essa è egualmente sostenuta dall'interesse individuale di cittadinie decisori politici.

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