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Trama Una pagina tira l’altra. Eppure la

lettura non può che scorrere conlentezza. C’è troppo dolore, c’è troppadisperazione, nel paesaggio di realtà chesi va ad attraversare. Il mare è diventatouna enorme fossa comune, il teatroacquatile di una immane tragedia dinaufraghi: il quadrante acheronteo diviolenze, lo specchio deformeattraversato dai fantasmi di quanti hannosperato nella salvezza della fuga,sebbene pagata con la spoliazione e congli abusi, con l’urlo raggelato dellemadri e il pianto muto dei bambini che

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non sanno come decifrare l’orrore che siè disegnato nei loro occhi. Con quantavelocità è concesso di leggere lalentezza della sacra rappresentazionedell’esodo di una umanità straziata,tradita dalla storia e offesa dallepolitiche del sospetto e dell’egoismo? AVigàta, Montalbano è impegnato nellagestione degli sbarchi, nei soccorsi aimigranti, nello smascheramento degliscafisti. Ha la collaborazione delcommissariato, di vari volontari, e didue traduttori di madrelingua. Siprodigano tutti. Si sacrificano, tratenacia e spossatezza. Catarella siintenerisce, si infervora, e mette adisposizione delle operazionicaritatevoli la sua innocente quanto

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fragorosa rusticità. Il lettore procede,compunto, con il passo del pellegrino. Enon si accorge che dietro le pagine si staarmando un romanzo perfettamentemisterioso.

Persino Montalbano viene colto disorpresa. L’arrivo felpato del delitto glidà il soprassalto. Si ritrovaall’improvviso con un «gomitolo» inmano, inestricabile, che pretende diinteragire con i suoi sogni abitati in queigiorni da gatti arruffati, pronti allazampata, o che con negligente sicurezzagiocano a liberare il bandolo di unapalla di filo. In questo romanzo, chesempre più illividisce, anche gli oggettistanno in agguato. E i dettagli appaionofoschi; e tali da darsi in associazioni del

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tutto imprevedibili. È stata trucidata unasarta, vedova, che la comunità vigateserispetta per la sua bellezza portata congarbo e semplicità; e per la misuratariservatezza della sua vita. Ha avuto sìamori clandestini, ma placidi esommessi, contornati di tenace amiciziao di domestica cordialità. Lo sgomento ègenerale. Persino l’ispido medicolegale, Pasquano, si ammorbidiscedavanti a un omicidio così inspiegabile.

Montalbano si isola nell’architetturadi silenzio del luogo del delitto. Stentaad afferrare un’intuizione, che scivolosagli serpeggia nel pensiero. Stenografamentalmente le sue sensazioni. Lericompone in uno spettacolo mentale chefa scorrere come un film. Agguanta alla

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fine la supposizione. Le reliquie,sopravvissute al passaggio tumultuosodell’ombra assassina, portanoall’evidenza di quel sudario di memoriedentro il quale la vittima si era cucita incomplicata e generosa solitudine; econducono alla soluzione del giallo.

Salvatore Silvano

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L’altro capo delfilo

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Uno Si nni stavano assittati nel balconcino

di Boccadasse, mutangheri, a godirisi lafriscura della sirata.

Livia era stata tutto il jorno d’umorimalo, le capitava sempre accussì quannoMontalbano era ’n partenza per tornari aVigàta.

Tutto ’nzemmula lei, che era scàvusa,dissi:

«Mi vai a prendere le pantofole? Hofreddo ai piedi. Si vede che comincio ainvecchiare».

Il commissario la taliò ’mparpagliato.

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«Perché mi guardi così?».«Tu cominci ad invecchiare dai

piedi?».«Perché, è proibito?».«No, ma pensavo che per primo

cominciasse a invecchiare qualche altroorgano».

«Non accomenzari a diri vastasate»fici Livia.

Il commissario strammò.«Ma come parli?».«Parlo come mi pare. Va bene?».«Non volevo diri vastasate. Gli

organi ai quali mi riferivo erano che so,la vista, l’udito...».

«Me le vuoi andare a prendere queste

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pantofole, sì o no?».«Dove sono?».«Dove vuoi che siano. Accanto al

letto. Quelle a forma di gatto».Montalbano si susì e s’avviò verso la

càmmara di dormiri.Quelle pantofole dovivano tiniri i

pedi càvudi ma gli stavano ’ntipaticheperché erano precise ’ntifiche a dù gattibianchi e pilusi con la cuda nìvura.Naturalmenti non erano a vista.

Di sicuro s’attrovavano sutta al letto.Il commissario s’acculò, pinsanno:«La schina! Ecco ’n’autra parti del

corpo che t’avvisa delle primevicchiaglie».

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Stinnì il vrazzo e con la manoaccomenzò a tastiare.

’Ncontrò il pilami di ’na pantofola estava per affirrarla quanno un doloriforti lo pigliò di sorprisa.

Arritirò di scatto la mano e s’addunòche supra al dorso aviva un profunnograccioni che gli faciva colareaddirittura tanticchia di sangue.

Possibili che fossi stato un gattovero?

Ma a Boccadasse gatti non cinn’erano.

Allura addrumò il lumi che c’erasupra al commodino, l’agguantò e ficiluci per vidiri cos’era stato a gracciarlo.

Non cridì ai sò occhi.

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Una delle dù pantofole era ristatapantofola ma l’autra era addivintata ungatto gatto che lo taliava minazzoso conle recchie abbasciate e il pilo tuttoaddrizzato.

Ma com’era possibili?Vinni pigliato da ’na gran botta di

raggia.Si susì, posò il lumi, annò ’n bagno,

raprì l’armadietto dei midicinali e sidisinfittò la firuta con tanticchiad’alcool.

Dopodiché tornò nel balconcino es’assittò senza rapriri vucca.

«E le pantofole?» spiò Livia.«Te le vai a pigliare tu, se ne hai il

coraggio».

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Livia lo taliò sdignusa, scotì la testacome a commiserarlo, si susì e si nnitrasì ’n casa.

Montalbano si considerò la firutasupra alla mano. Il sangue si eraattagnato ma il graccioni era profunno.

Livia tornò, s’assittò, accavallò legamme, ai pedi aviva le pantofole.

«Non c’era un gatto?» spiòMontalbano.

«Ma che dici?» fici Livia. «Maientrato un gatto in casa mia».

«E allora questo chi me l’ha fatto?»fici il commissario mostrannole la firuta.

Senonché con grannissimo stuporinotò che supra al dorso non c’era nenti.La sò mano era sana, pirfetta.

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«Questo cosa? Io non vedo nulla».Di scatto Montalbano s’abbasciò e le

sfilò una pantofola:«Questo graffio me l’ha fatto la tua

finta pantofola» fici con voci altirata,ghittannola fora dal balconcino.

A ’sto punto Livia fici ’na vociata taliche...

... che Montalbano s’arrisbigliò.Non erano a Boccadasse ma a Vigàta

e Livia durmiva della bella allato a lui.Dalla finestra trasiva la luci splapita delprimo matino.

Montalbano si fici capaci che dovivaessiri ’na jornata di libeccio.

La rumorata del mari era forti.

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Si susì e si nni annò ’n bagno.Un’orata e mezzo appresso Livia lo

raggiungì ’n cucina indove che ilcommissario aviva priparato lacolazioni per lei e ’na cicaronata di cafèper lui.

«Come restiamo d’accordo?» spiòLivia. «Io alle tredici prendo il pullmanper l’aeroporto di Punta Raisi».

«Mi dispiace non potertiaccompagnare ma non possoabbandonare il commissariato mancoper un’ora. Hai visto tu stessa in chesituazione ci troviamo. Facciamo così,quando sei pronta mi dai un colpo ditelefono, vengo a prenderti e ti porto alpullman».

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«Va bene» fici Livia «però stavoltamantieni la promessa che mi raggiungi aBoccadasse? Non ammetto scuse».

«Ti ho detto che vengo e vengo».«Col vestito nuovo» gli fici Livia.«Va bene. Col vestito nuovo»

arrispunnì Montalbano a denti stritti.Ne avivano discusso almeno dù ure al

jorno per i picca jorni che Livia avivapassato a Vigàta.

Quanno era arrivata, appena scinnutadall’aereo, ancora prima d’abbrazzarlo,Livia gli aviva voluto dari la bellanotizia:

«Lo sai che Giovanna tra pochi giornisi risposa?».

Montalbano aviva sgriddrato l’occhi:

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«Giovanna? Ma quale Giovanna?L’amica tua? E con chi si sposa? E ibambini?».

Livia si era mittuta a ridiri e gli avivafatto ’nzinga di annari a pigliari lamachina.

«Ti racconto tutto durante il viaggio».Appena ’ngranata la marcia il

commissario le aviva fatto la primadimanna:

«E Stefano? Stefano come l’hapresa?».

«E come vuoi che l’abbia presa?Benissimo. Sono più di vent’anni chesono sposati».

Montalbano era sprofunnato nellaconfusioni cchiù totali.

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«Ma come può un uomo dopovent’anni di matrimonio e due figliessere contento che sua moglie si sposicon un altro?».

A Livia le aviva pigliato ’n attacco diridarella tali che, lacrimianno, si eradovuta slacciari la cintura di sicurizzaper riggirisi la panza.

Sulo doppo tanticchia che eraarrinisciuta a calmarisi, aviva finalmentiaccomenzato a parlari:

«Ma che vai a pensare? Ma come tipuò venire in mente? Giovanna sirisposa con Stefano».

«Avevano divorziato? E tu non m’haidetto niente?».

«Non hanno divorziato».

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«E allora perché si devonorimaritare?».

«Ma non si devono “rimaritare”.Tutt’altro. Vogliono fare la riconfermadel matrimonio».

«La riconferma?!?».Montalbano era talmente confunnuto

che si era scantato di continuari aguidari.

Aviva accostato e si era firmato.«Senti» aviva ditto sbottanno «non ci

staio accapenno ’n’amata minchia!».«Non cominciare con le parolacce o

non ti spiego più nulla!».Erano ripartuti e Livia gli aviva

accomenzato a contare il come equalmente della storia di Giovanna e

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Stefano.I dù, che erano felicementi maritati da

vinticinco anni, stavano per celebrari ilrinnovo del loro giuramento.

Alla parola «rinnovo» il commissarionon aviva potuto trattinirisi:

«Rinnovo? Come per il tagliandodella machina? Come la tessera per ilcircolo?».

Livia, doppo essirisi lamintiata per lascarsa romanticheria di Salvo, gli avivaspiegato tutto sulla cirimonia delrinnovo.

«Quando si compiono i 25 anni dimatrimonio si festeggiano le nozzed’argento, vale a dire si fa il rinnovo delgiuramento. Si va in chiesa, con i

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parenti, i figli se ci sono, e gli invitati esi celebra di nuovo la funzione. Siriconferma la promessa fatta: “vuoi tuprendere in sposo...”. È una cosa moltoromantica: c’è la benedizione delle fedinuziali, mi hanno detto che gli sposiprenderanno in mano due candele einsieme accenderanno la terza chesimboleggia la loro unione. E poi unvero e proprio pranzo nuziale con tutti ifesteggiamenti e i confetti d’argento. E tudevi esserci perché ho promesso aGiovanna e Stefano che saresti statopresente. Vieni da me a Boccadasse epoi assieme andiamo a Udine».

E chista era stata la prima botta.La secunna era arrivata la sira stissa,

mentri che si nni stavano a mangiare, e

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aviva fatto passari di colpo il pititto aMontalbano.

«Ho guardato dentro il tuo armadio»aviva ditto seria seria Livia.

«E hai trovato scheletri?».«Più che scheletri, ho trovato i

cadaveri dei tuoi abiti. Non ce n’è unodecente. Stavolta devi fartene fare unosu misura per l’occasione».

A Montalbano erano vinuti i sudorifriddi. In vita sò non era mai stato da unsarto. Tali era lo scoramento che nonaviva avuto manco la forza di rapririvucca.

Sulo doppo tanticchia che si eraarripigliato, era arrinisciuto a parlari,tintanno di cangiari discurso:

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«Livia, domani mattina dovrestivenire in commissariato con me. Ho giàavvisato Beba».

«Per fare che?».«Sai, forse da Boccadasse non puoi

avere chiara la situazione drammaticache c’è qui. Gli sbarchi sulle costeoramai sono più puntuali della corrieradi Montelusa. Arrivano a centinaia, ogninotte, tutte le notti. Con qualsiasicondizione di tempo. Uomini, donne,bambini, vecchi. Arrivano assiderati,affamati, assetati, impauriti. Hannobisogno di tutto. Tutti noi delcommissariato siamo impegnativentiquattr’ore su ventiquattro nelgestire gli sbarchi. E in paese si sonocostituiti diversi comitati di volontari

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che raccolgono generi di primanecessità, preparano pasti caldi,forniscono abiti, scarpe, coperte. Uno diquesti comitati è gestito da Beba. Te lasenti di darle una mano?».

«Ma certo» dissi Livia.Il commissario aviva spirato,

sintennosi un mezzo verme, che forsiaiutanno quei povirazzi Livia potevascordarisi del rinnovo e del conseguentivistito novo.

All’indomani Montalbano avivaaccompagnato Livia da Beba e nonl’aviva cchiù viduta né sintuta per tuttoil jorno.

S’erano arritrovati a sira a Marinellae avanti di contarigli quello che aviva

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fatto, Livia gli aviva voluto dari la terzae difinitiva botta sempre all’ura dimangiare squasi che avissi addiciso difarigli fari ’na cura dimagranti.

«Oggi, nonostante tutto, sono riuscitaa passare dalla sartoria. Purtroppo mihanno detto che domani sonoimpegnatissimi e non potranno riceverti.Sono stati molto gentili e mi hannoassicurato che il vestito sarà pronto intempo, ti aspettano dopodomani, cioè ilgiorno della mia partenza, alle tre delpomeriggio. Mi dispiace, non potròaccompagnarti, però tu mi giuri che civai?».

Montalbano si irritò.«Sunno dù jorni che non fazzo che

jurari. Ti prometto che ci vado. Dammi

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l’indirizzo di ’sta sartoria».«Via Roma 32. Il portone accanto alla

cartoleria. Non c’è un’insegna esternama la trovi su strada, al piano terra.Vedrai che ti troverai benissimo conElena».

«Elena?!».«Sì. Perché?».«Mi dispiace ma io non ci vado» fici

arrisoluto il commissario.«Che vuol dire che non ci vai? Me

l’hai appena promesso».«Io ti ho promesso di andare da un

sarto e non da una sarta».«Questa me la devi spiegare. Che

differenza c’è tra un sarto e una sarta?».

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«C’è differenza, c’è differenza».«E quale?».«Che io non mi spoglio davanti a una

donna. Che non voglio che una donna miprenda la misura del cavallo, che mi giriintorno con un metro contandomi icentimetri delle spalle e della vita.Voglio essere abbracciato da una donnaper altre ragioni...».

«Non so se darti del maschilistaschifoso o del puttaniere da strapazzo!».

«Dammi quel che vuoi ma io non civado».

Livia, furiosa, aviva sbattuto la portadella cucina e si era chiuiuta nellacàmmara di dormiri.

Montalbano per mantiniri il punto si

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nni era annato nella càmmara dimangiari, aviva addrumato la tilevisionie per un’orata bona si nni era stato ataliare ’na fiction di detective dellaquali non aviva accaputo assolutamentinenti. Po’ aviva astutato, si era priparatoil divano letto e pur di non annari apigliari le coperte nella càmmara, eraristato vistuto e si era corcatocummigliannosi con l’accappatoio.

Si era arramazzato a longo senzaarrinesciri a pigliari sonno. Po’ avivasintuto la porta della càmmara di lettorapririsi e la voci di Livia che faciva:

«Non fare il cretino. Vieni adormire».

Senza arrispunniri, si era susuto e conlo sguardo vascio si era recato nella

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càmmara di letto stinnicchiannosi ’npizzo ’n pizzo come a uno di passaggio.

Doppo tanticchia, la mano càvuda diLivia si era appuiata supra al sò sciancoe l’aviva carizzato. E allura era stata laresa totali con la promissa che sarebbiannato dalla sarta.

Nella terza jornata, Livia, quanno eratornata a sira, per fortuna non aviva fattoparola della facenna del vistito novo,accussì Montalbano si era potuto arrifaridelle mangiate perse nelle dù siratepricidenti.

Livia ’nveci non era arrinisciuta aportarisi manco ’na cucchiarata dellazuppa di pisci ’n vucca, pirchì volivaaviri ’nformazioni dal commissariosupra a una pirsona, accanosciuta mentri

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che travagliava con Beba, e che l’aviva’mpressionata assà.

«Ho incontrato un signoresessantenne, alto, magro, elegantissimo,con gli occhiali. Pare che qui a Vigàtasia amico di tutti. Parlava in italianoperfetto e in arabo, immagino, altrettantoperfetto, con tutti i migranti. Lochiamano dottore, dottor Osman. Tu loconosci?».

Montalbano si era mittuto a ridiri.«Certo che lo conosco, è il mio

dentista. È una persona speciale, oltread essere un dottore bravissimo. Haipresente quei vecchi medici conl’occhio clinico che bastava che tiguardassero per farti una diagnosiprecisa?».

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«Sì» arrispunnì Livia. «Ma da doveviene?».

«È tunisino. Pensa che oltre a fare ildentista è anche un grande espertod’arte. Era consulente del Museo delBardo. E non è finita qui, sono diverseestati, ma purtroppo ormai ancheinverni, che il dottor Osman si sveglia dinotte e va al porto per aiutare i migranti,sia come interprete che come medico».

«Mi piacerebbe conoscerlo di più».«La prossima volta che torni lo

invitiamo a cena».«Ma dove ha studiato?».«Si è laureato a Londra».«E com’è che si ritrova a Vigàta?».«Il dottor Osman è molto discreto, e

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non mi ha mai raccontato la sua storia,ma a quanto pare durante gli studi sifidanzò con una vigatese. Poi ilfidanzamento andò a monte ma lui si erainnamorato della Sicilia e soprattutto diquesto mare che lambisce anche la suaterra».

«Io sono stata in Tunisia. In effetti, aparte la lingua, ci sono poche differenzecon qui».

«Sono d’accordo con te, Livia, e noncredo che siano in tanti a pensarla così.E non ci sono differenze neanche nelfatto che loro sono costretti, nel 2016,per sopravvivere a lasciare le loro case,la loro terra, la loro famiglia così comedevono fare i nostri giovani per trovareun lavoro».

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«Sai Salvo» aviva continuato Liviamalincuniusa «mi dispiace di doverpartire domani. Vorrei rimanere sia perstare con te ma anche per continuare adare una mano a Beba».

Salvo l’aviva abbrazzata. E durante lasirata l’abbrazzo era addivintato sempricchiù longo e sempri cchiùappassionato.

Finero di fari colazione. Montalbanosi susì, s’avvicinò a Livia, si calò, lavasò. Ma Livia lo tinni per una mano:

«Non ce la faccio a lasciarti adesso.Puoi restare ancora un po’ con me, soloun pochino?».

Montalbano non se la sintìd’arrefutare. Spostò la seggia e s’assittò

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davanti a Livia. La fìmmina gli pruì lemano, lui le pigliò e si nni stettiroaccussì, muti, a taliarisi occhi nell’occhicome capitava tanti anni prima quannoerano capaci di passare ’n’interamatinata sulamenti a sintirisi il caloridelle mano e a sprofunnare uno dintraall’occhi dell’autra.

Fu a questo punto che il tilefono sonò.Nisciuno dei dù ebbi il coraggio di

sciogliri l’abbrazzo delle mano, però latimperatura chiaramenti calò di colpo.Fu Livia a diri rassignata:

«Vai a rispondere».Montalbano s’aspittava la voci di

Catarella, ’nveci a chiamarlo era Fazio.«Mi scusasse, dottore, ma può venire

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prima possibili in ufficio?».«Perché, che successi?».«Successi che nelle matinate arrivò

’na motovedetta con un carrico dicentotrenta migranti, con tri fìmmineprene e macari quattro cataferi tra cui dùpicciliddri».

«Embè?» fici Montalbano.«Embè, il fatto è che al centro di

raccolta ne sono arrivati centovintinove.N’ammanca uno».

«Siete arrinisciuti ad accapiri sequello che ammanca è mascolo,fìmmina...».

«Sissi, dottore, pari che sia unpicciotteddro di quinnici anni cheviaggiava a sulo».

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In quel momento Montalbano vitti conla cuda dell’occhio a Livia che raprivala porta-finestra della virandina. La lucisplapita addivintò la luci ummirosa diuna jornata grigia. Il rumori del mari sifici cchiù forti.

«Ora» continuò Fazio «il problema èche il questore sta facenno come a ’naMaria pirchì vole che siaimmediatamenti arritrovato. Epperciòsono tri ure che semo tutti ’mpignatinella ricerca e in commissariato non c’ènisciuno».

«Vengo subito» fici Montalbanomentri che pinsava che il picciotto aquest’ura era di sicuro già arrivato, va asapiri come, al confini con la Germania.

Aviva appena riattaccato che il

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tilefono sonò novamenti.«Montalbano!».Arraccanoscì subito la voci

’mperiosa del questori Bonetti-Alderighi.

Gli vinni gana di riattaccari. Po’ ciripinsò arriflittenno che prima o po’avrebbi dovuto arrispunniri, e tiranno unprofunno sospiro fici:

«Scusi, chi è che parla?».«Sono io, perdio!».«Io chi?».La voci del questori s’alzò di volumi,

arraggiatissima:«Sono il questore! Montalbano, si

svegli!».

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«Mi scusi, dottore. Buongiorno».Bonetti-Alderighi ricambiò il saluto.«Buongiorno un cazzo! Lei se ne sta

ad oziare a casa sua invece di recarsi incommissariato e prendere in mano leredini di questa delicatissimasituazione».

«Quale delicatissima situazione?».«Lei non ritiene delicato il fatto che

un terrorista...».«Mi scusi, signor questore. Si tratta

solo di un povero migr...».Bonetti-Alderighi lo ’nterrompì

’nferociuto.«Povero un cazzo. Io ho ricevuto

un’informazione confidenzialedall’antiterrorismo. Pare che in quel

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barcone fosse nascosto unpericolosissimo militante dell’Isis».

«Pare o ne sono sicuri?».«Montalbano, non stia a sottilizzare,

perdio. Noi abbiamo semplicemente ilcompito e il dovere di rintracciarlo e diportarlo e trattenerlo nel centroapposito».

«Mi permetta di contraddirla, signorquestore. Sottilizzare, come lei dice, èfondamentale. Questi barconi sono pienidi poveri migranti, sono per la maggiorparte islamici e se noi non facciamodifferenze tra musulmani e militantidell’Isis contribuiamo solo adaccrescere l’ignoranza scatenando ancorpiù panico e ostilità e facendo il giocosporco proprio di quei terroristi».

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Bonetti-Alderighi si zittì. Ma solo perun attimo.

«Mi trovi quel terrorista, cazzo!» ficiil questori chiuienno la conversazionisenza manco salutari.

Tre cazzi e dù perdio in quattrominuti. Bonetti-Alderighi doviva essiripropio fora dalla grazia di Dio.

Montalbano si susì a lento.S’avvicinò a Livia che taliava il mari

agitato. Le posò un vrazzo supra allaspalla, l’attirò a sé.

«Mi dispiace, Livia, ma devo proprioandare».

Livia non si cataminò.Montalbano annò ’n càmmara di letto

a pigliare la giacchetta e le chiavi della

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machina.Tornò allato a Livia.«Allora d’accordo, aspetto una tua

telefonata».Sulo allura Livia si votò a taliarlo e

con l’indici puntato verso il mare dissi:«Che cos’è quel fagotto?».«Quale?».«Quella cosa nera che galleggia a

sinistra, vicino al braccio del porto».Montalbano fici dù passi avanti nella

virandina e si misi a taliare attentamentiindove Livia ’ndicava.

Si nni stetti tanticchia accussì ’nsilenzio. Po’ scinnì verso la pilaja.

«Tu resta qui» fici.

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Il commissario s’avvicinò fino a dovepotti dato che la libicciata si eramangiata ’na gran quantità di pilaja es’appuiò a ’na varca rovisciata che ilsolito piscatori matutino aviva mittuto ’nsicurizza.

Stetti tanticchia a taliare e po’ tornònarrè lento lento verso la virandina.

I sò occhi erano stracangiati.«No. Non è un fagotto» dissi.

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Due La facci di Livia addivintò bianca

bianca.«È un morto?» spiò.«Sì» fici il commissario mentri che

accomenzava a livarisi la giacchetta e aslacciarisi i pantaluna.

«Che fai?» gli spiò Livia.«Devo andare a recuperarlo prima

che la corrente se lo riporti al largo.Vammi a prendere i sandali e il costumeda bagno».

Livia s’appricipitò e quanno tornòtrovò a Montalbano nudo con la cornetta

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del tilefono ’n mano.«Pronto, Fazio? Senti, sto annanno ad

arrecuperari un catafero ’n mari propiodavanti alla mè casa. Avverti il circoloquestri e cercati di viniri primapossibili». Riattaccò.

Si misi il costumi e i sannali e propioquanno era arrivato alla virandinas’arritrovò ’n facci al piscatori matutino.

«Bongiorno dottori. Lo vitti che ’nmari c’è...».

«Sì, lo so. Stavo annanno a pigliarlo».«Jemoci con la mè varca».In dù misiro la varca addritta,

l’ammuttaro verso la rina vagnata e po’la prima ondata l’agguantò e se lastrascinò ’n acqua.

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Montalbano e il piscatori ci satarodintra. L’omo armò i remi e si misi avocari di gran forza. Passati piccaminuti arrivaro allato al catafero chegalleggiava. Il piscatori abbannunò iremi, si misi allato al commissario etutti e dù, agguantato bono il corpo, se lotiraro dintra alla varca.

Il commissario lo considerò.Il mari non aviva ancora avuto modo

di fari danno. Il corpo nudo era squasi’ntatto. Si vidi che s’attrovava da picca’n acqua. Era un picciotteddro chepotiva aviri sì e no ’na quinnicinad’anni. La morti aviva fatto cchiù’nfantili i tratti della sò facci.

Montalbano ebbi la pricisa coscienzache aviva ’n mano le redini della

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«delicatissima situazione», come l’avivadefinita Bonetti-Alderighi.

Il piscatori mentri che portava a rivala varca dissi:

«Sapi, dottori, è inutile in questigiorni annare a piscari. Si pigliano cchiùmorti che pisci».

Toccaro la riva. Montalbano sicarricò supra alle spalli il catafero e loportò all’asciutto.

Livia ’ntanto era arrivata di cursa conun accappatoio ’n mano. Lo pruì alcommissario.

«Asciugati. Fa freddo» fici la fìmminasenza mai votare lo sguardo verso ilcatafero.

Montalbano pigliò l’accappatoio e

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’nveci d’asciucarisi cummigliò il corpodel picciotto.

Lontano s’accomenzaro a sintiri lesirene delle machine della polizia.

Appena rivistutosi Montalbano vollipigliarisi lo sfizio di tilefonari al signorie guistori:

«Desideravo solo avvertirla che ilcaso del pericolosissimo terrorista èrisolto. L’ho trovato morto in mare».

«Come fa ad essere sicuro che si trattidella stessa persona?».

«Il dottor Pasquano mi ha appenariferito che la morte è avvenuta non piùdi cinque ore fa, proprio quando lamotovedetta si trovava all’altezza delporto. Il ragazzo deve essere

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accidentalmente caduto e nessuno se neè accorto. Quindi vorrei l’autorizzazionea sospendere le ricerche».

Bonetti-Alderighi ebbi un momento diesitazioni:

«Se ne assume la responsabilità?».«Tutt’intera» fici Montalbano

chiuienno senza salutari.«È quasi mezzogiorno» fici Livia.

«Che fai? Vai in ufficio?».«No» arrispunnì il commissario

«stiamo ancora una mezzoretta assieme epoi ti accompagno al pullman».

Pigliò Livia per una mano e se lariportò ’n cucina.

«Abbiamo bisogno di qualcosa dicaldo».

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Priparò ’n’autra cicaronata di cafèper sé e un tè per Livia.

Se lo vippiro ’n silenzio, po’ alla finiLivia annò ’n càmmara di letto, pigliò labaligia, Montalbano si misi lagiacchetta, annò a chiuiri la porta-finestra della virandina e niscero fora dicasa.

Doppo essirisi salutato con Livia, laquali non mancò d’arricordarigli lapromissa promittuta, il commissario sene annò a mangiari.

«Che mi duni oggi?» spiò a Enzo.«Dottori, aio una novità che vorria

che vossia provassi».«Che è ’sta novità?».«La zuppa del migranti. Siccome che

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il comitato della signura Beba ci haaddimannato aiuto per dari da mangiaria ’sti poviri disgraziati, io mi sugno’nvintato ’na speci di zuppa di pisci cheperò è china macari di pasta e di virduridiverse. Accussì è macari nutritivabona. La voli assaggiari?».

«Pirchì no» fici il commissario.Montalbano aggradì tanto la novità

che ne volli ’na secunna porzioni.Arristorava e inchiva la panza tanto chenon se la sintì d’addimannare puro ilsecunno.

Siccome che era ancora presto ed eratempo troppo tinto per annari a fari lapassiata molo molo s’avviò verso ilCafè Castiglione e ccà ’ncontrò a MimìAugello che stava niscenno per tornari

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’n commissariato.Gli vinni di fari ’na pinsata.«Scusa Mimì, tu per caso l’accanosci

a una sarta che s’acchiama Elena?».Mimì sorridì e fici un gesto con la

testa come per diri «eccome sel’accanoscio».

«Pirchì lo voi sapiri?» spiò doppo.«Pirchì Livia mi ha obbligato ad

annarimi a fari un vistito su misura e hapigliato appuntamento con ’sta sarta. E amia mi girano i cabasisi».

«Appena la vidi ti finiscino difirriare» fici Mimì.

«Pirchì?».«Pirchì è ’na fìmmina bellissima,

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straordinaria. Avi da picca passato laquarantina ma, cridimi, Salvo, la sò dotecchiù ’mpressionanti è la simpatia’mmidiata che subito si prova per lei.Vedrai che per tia sarà lo stesso».

«Macari tu ti sei fatto fari un vistitoda ’sta sarta?».

«Figurati se mi pirdiva l’occasioni,ma Beba, appena lo seppi, mi minazzòche non mi avrebbi fatto cchiù trasire ’ncasa con un vistito di ’sta fìmmina».

Mentri che si viviva il cafèMontalbano considerò che le parole diMimì non l’avivano per nenti rassicuratopirchì per lui ogni fìmmina che gliviniva a tiro gli pariva sempribellissima e da non perdiri.

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Davanti al nummaro trentadù, lasaracinesca era isata. Montalbano sifirmò e dovitti fari ’no sforzo granni pernon votari le spalli e ghirisinni alcommissariato.

Po’ s’addicidì, tentò di trasire ma lamaniglia della porta a vetri arresultavachiusa e alla fini sonò. Il trillo delcampanello gli arresultò piacevoli.Vinni a rapriri ’na trintina sottili, brunadi pelli con i capilli raccogliuti sutta aun velo bianco, dù occhi nìvuri profunnie un sorriso cordiali:

«Buongiorno, sono Meriam. Siaccomodi, prego».

Il sò taliàno era pirfetto ma tradiva’n’inflessioni straniera.

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Montalbano seguì la picciotta in uncorridoio longo longo. Le pareti eranoscure, di un russo pompeiano càvudo,accoglienti. A mancina ci stavano ’nafila di mobili, armuàr, tavolinetti,scaffalature, vitrinette, ’na piattera, chein origini erano stati fatti per la cucinama che ora ’nveci erano stipati ditessuti, maglie, camicie, cravatte, tuttarobba coloratissima che a momenti ’narcobaleno si sarebbi vrigognato.

Sul lato destro ’nveci ci stava unlongo ramo d’àrbolo tutto bianco forsipirchì era stato arrecuperato dal mariche l’aviva travagliato assà. Da ’storamo pinnuliavano ’na quantità di gruccecon abiti da omo, cappotti,’mpermeabili. Alla fini del corridoio

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votaro per dù vote a mano dritta e ilcommissario si vinni ad attrovare dintraa un cammarone grannissimo.

«Bongiorno» l’accogliero ’na para divoci mascoline.

«Bongiorno» replicò.«Si sieda» fici Meriam ’ndicannogli

un divano blu. «La signora arriverà amomenti».

E si annò ad assittari davanti a ’namachina di cusiri.

Montalbano s’accomidò e accomenzòa taliarisi torno torno.

La càmmara era aperta, luminosa.Allato al divano ci stavano dù poltrune eun tavolinetto vascio. Le voci chel’avivano salutato appartinivano a dù

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lavoranti, uno cchiù vecchio e l’autrocchiù picciotto, che travagliavano darrèa un granni tavolo da sarto.

Avivano un fari antico, stinnivano lestoffi supra al piano di ligno, lemisuravano con un vecchio metro egiravano torno torno come a fari ’naspeci di balletto. I dù si sinteroosservati. Si giraro, ’ncontraro losguardo di Montalbano e si sorridero’stintivamenti.

Alle loro spalli la pareti erainteramenti cummigliata da ’nascaffalatura china china di stofficolorati.

Il commissario si perse.Non accapiva cchiù se s’attrovava

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nella piazza Jemaa el Fna di Marrakech,al bazar di spezie del Cairo, in unnegozio di Beirut, ma comunqui di certosi sintiva come a la sò casa.

Po’ dalla porta trasì la signura Elenacon la mano tisa verso il commissario eun gran sorriso supra alla vucca:

«Commissario Montalbano, chepiacere averla qui!».

In un lampo Salvo accapì che Mimì,stavota, aviva pirfettamenti raggiuni.

Il commissario si susì, le stringì lamano. Elena sempre tinennola s’assittòallato a lui e po’ gliela lassò.

«La gradisce una tazza di tè?».A Montalbano il tè lo faciva

vommitari, però ascutò con sò massima

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sorprisa le sò labbra che dicivano:«Perché no? Grazie».

A ’sti paroli Meriam si susì e niscìdalla càmmara.

Elena accomenzò a parlari:«La sua compagna, che tra parentesi

me lo lasci dire è una donna bellissima emolto elegante, mi ha detto che habisogno di un vestito da cerimonia.Pensavo ad un completo non moltopesante data la stagione, magari infresco lana però di un colore non tropposcuro, tipo fumo di Londra, un colorepiù autunnale, che ne dice di un ruggine?Ho un tessuto nuovo, una stoffa morbida,quasi una flanella, che mi piacerebbeche lei potesse sentire. Potrebbe ancheriutilizzarlo come spezzato. Una camicia

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classica per la cerimonia ma i pantaloniandrebbero bene anche su una giaccadestrutturata...».

Mentri che la fìmmina parlava,Montalbano non arrinisciva a staccarel’occhi dalle gamme di lei.

Quanno Meriam posò supra altavolinetto il tè alla menta con lazuccarera, la taliata del commissario eraarrivata ai ginocchi nodosi di Elena. Fula sarta a calarisi verso il tavolinetto, apigliari la tazza e a pruirla alcommissario il quali accussì fu costrettoa malincori a scollari l’occhi dallegamme e a taliarla ’n facci.

Non ci persi assà: Elena era biunna,un viso aperto, accoglienti, sireno,sorridenti come a un cuscino soffici e

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confortevoli quanno uno è morto distanchizza.

Montalbano notò strammato che peròle supracciglie della fìmmina eranonìvure. S’addimannò allura se erafàvuso il biunno dei capilli o il nìvurodelle supracciglie. Po’ s’arrisolvì che inuna fìmmina accussì, tutto era naturali,autentico, vero. Com’era naturali il sòcorpo sottili dalle curve ginirose.

Montalbano addicidì di nonsorseggiare il tè, non ce l’avrebbisicuramenti fatta. Accussì tirò un lungomuccuni che svotò a mità la tazza.

Il sapori che gli ristò ’n vucca non gliparse però tanto malo.

Elena intanto si era susuta ed era

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annata verso la scaffalatura.Montalbano la taliò. Si moviva con

eleganza spontanea. Tornò doppotanticchia con dù longhi rotoli di tissuto.S’assittò novamenti allato a Montalbano,gli pigliò ’na mano e guidannogliela glifici accarizzari il primo rotolo.Fettivamenti era ’na stoffa morbida,càvuda. Montalbano attrovò macariquesta confortevoli. Elena gli ficitastiare il secunno rotolo e chisto eraancora cchiù soffici e gradevoli delprimo.

«Questo» fici Montalbano.Il colore della stoffa era ruggine.«Sono contenta! Hai scelto proprio

quello che mi sembrava più adatto a te».

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Po’ la fìmmina s’addunò che gli avivadato del tu.

«Oh, mi scusi, mi è venutospontaneo».

«Ma si immagini, diamoci pure del tu.Ne sono onorato».

Elena gli sorridì e pigliannolo per unamano lo fici susiri e s’avvicinaro altavolo.

«Levati la giacca».Montalbano mentri che se la livava e

la posava, pinsò ’mbarazzato che orasarebbi arrivato il momento crucialidella misurazioni del cavallo.

Elena ’nveci toccò la spalla del cchiùvecchio dei lavoranti:

«Nicola, per favore accompagna il

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signore nel camerino».Nicola si misi il metro attorno al

coddro, ’nforcò l’occhiali, pigliò ’namatita e un pezzo di carta e fici:

«Vinisse con mia».Niscero dal cammarone e tornaro

verso il corridoio. Stavota giraro amano manca sulo ’na vota. Si firmaro.Nicola spostò ’na tenda di villuto chepariva un sipario e fici ’nzinga alcommissario d’avanzari. Il cammarinoera spazioso assà e illuminato da farettia luci càvuda. Ci stavano ’na specchieraa tri ante, dù seggie, ’n appendiabiti dimitallo e un tavolinetto.

Nicola accomenzò a pigliarigli lemisure velocementi e aviva appena

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finuto quanno da oltre la tenda si sintì lavoci di Elena:

«Posso entrare?».«Trasissi» fici Nicola.«Hai fatto tutto?».«Sissignora» dissi il lavoranti

scostanno la tenda e niscenno.La fìmmina si misi con le spalli allo

specchio centrale e dissi:«Puoi arretrare per favore di due

passi?».Montalbano ’mparpagliato eseguì.Elena si misi a taliarlo, lentamenti. I

sò occhi passaro dalle spalli al toraci,dalla panza alle gamme.

«Ora voltati».

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A Montalbano gli parse d’attrovarisiin un gabinetto medico mentri che glistavano facenno i raggi icsi.

Sintì l’occhi di Elena rifari lo stessopircorso di prima supra al sò corpo.

«Grazie» dissi la fìmmina «possiamotornare di là».

Nel cammarone Montalbano annò arecuperari la giacchetta e se la misi.

«La tua compagna mi ha detto che ilvestito ti occorre in pochi giorni. Homolto lavoro ma cercherò di trovare unacorsia preferenziale per te. Va bene se laprima prova la facciamo fra tre giornialla stessa ora?».

«Per me va benissimo» fici ilcommissario. «Salvo imprevisti».

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«Restiamo con la prova fissata»replicò Elena «ti lascio il numero dellasartoria e del mio cellulare e in casocontrario mi avverti. Ti accompagno».

Montalbano salutò, ebbi un coro dirisposta.

Rifici il longo corridoio avennostavota allato Elena, la quali gli raprì laporta a vetri, gli pruì un biglietto, lovasò supra alle guance e gli dissi:

«Mi ha fatto piacere conoscerti. Seiun uomo davvero simpatico».

«Il piacere è stato tutto mio» ficisincero Montalbano.

Appena che la porta a vetri si chiuìdarrè alle sò spalli il commissario tiròun profunno sospiro. Per tanticchia di

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tempo si era venuto a trovari in unaspeci di paradiso. Ora, incommissariato, sapiva che l’aspittaval’inferno.

Trasenno, s’addunò subito cheCatarella aviva l’occhi russi e gonfi etiniva un fazzoletto ’n mano col qualis’asciucava il naso.

«T’arrifriddasti?».«Nonsi, dottori» fici Catarella come

per troncare quel discurso.Montalbano ’nsistì.«Dimmi che ti capitò».«Nonsi, dottori».«È un ordine. Parla».L’angoli della vucca di Catarella

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accomenzaro a trimari come se stissi perchiangiri.

«Capitò che stanotti quanno che ci fula sbarcata di ’sti sfollati...».

Montalbano l’interrompì:«Non si chiamano sfollati, Catarè, ma

migranti. Gli sfollati erano chiddri chenell’ultima guerra scappavano in unautro paìsi a scascione dei continuibummardamenti».

«Scusassi dottori, ma chisti nonscappano dalle bumme allo stissomodo?».

Montalbano non seppi come replicari.La logica di Catarella era pirfetta.

«Continua».«’Nzumma, tra ’sta folla di sfollati

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m’attrovai tra le vrazza a ’na picciottaprena di novi misi che pariva come a ’nagiarra e che manco potiva cataminarisidi un passo. Accussì arriggennola con unvrazzo torno torno alla vita principiai adaccompagnarla alla tombulanza. Silamintiava ’n continuazioni. Allura io cispiai comu s’acchiamava e iddram’arrispunnì che s’acchiamava Fatima.Finalmenti quanno arrivammo allatombulanza...».

«Scusami Catarè» l’interrompì ilcommissario «ma non c’eranol’infirmera?».

«Sissi, dottori, ma dovivano abbadaria un firuto gravi. ’Nzumma, iu l’aiutai adacchianare dintra a ’sta tombulanza equanno stava per ghiriminni iddra mi

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dissi in pirfetto taliàno “non milasciare”. Iu addimannai si potivaarristari con iddra ma mi dissiro di no.Accussì pigliai la mè machina e annaifino allo spitali di Montelusa. Quannoche arritrovai a Fatima chi stava ghittatasupra alla stissa varella nel corridoio lepigliai ’na mano e gliela tinni strittastritta fino a quanno non se la portaro ’nsala del patto e po’ mi nni sugno turnatoccà, in loco».

«Hai avuto notizie?».«Sissi, dottori. Mi tilefonaro ’na

mezzorata passata. Mascolo era. Mamorse».

E ccà Catarella non si tinni cchiù. Lelagrime accomenzaro a colariglidall’occhi.

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«Coraggio» gli fici il commissario estava per avviarisi verso il sò ufficio,quanno Catarella lo richiamò:

«Dottori, ci pozzu pruiri ’naprighera?».

«Dimmi».«Pozzu essiri assentato da ’sto

sirvizio al porto? Pir favori, dottori, simi succedi ’na secunna cosa accussì, lumè cori, ce lo giuro, non mi reggi em’acchiappa un sintòmo».

«Va bene» dissi Montalbano «vedròcosa posso fare».

Si era allura allura assittato che trasìMimì Augello.

«Come è annata con la sarta?».«Benissimo» troncò Montalbano «ma

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parlamo di cose serie».«Pirchì, secunno tia ’sta fìmmina non

è cosa seria?» ribattì Augello.«Ti devo fari ’na dimanna» fici

Montalbano. «Perché stanotte haichiamato anche Catarella per il servizioal porto?».

«Ha dovuto sostituire uno che s’eraammalato».

«Fai in modo che la cosa non siripeta».

«Pirchì?».«Nuautri a ’ste scene ci abbiamo fatto

il caddro. Ma Catarella è come a unpicciliddro e non arrinesci a capacitarisidi quello che sta succidenno, e forsi aviraggiuni».

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«D’accordo» fici Augello.In quel priciso momento s’apprisintò

Fazio. Aviva la facci stanca e nìvura.S’assittò davanti alla scrivania e po’dissi:

«Mi è arrivata ’na voci, che spero nonsia vera. Pari che stanotti devonoarrivari squasi quattrocento dispirati».

Mimì reagì.«Sì, come l’autra notti che nni

dovivano arrivari milli e ’nveci erano sìe no centotrenta. Non capiscio pirchìalla genti gli piaci sparari minchiate».

Squillò il tilefono.«Dottori, ci sarebbi che c’è il dottori

Sileci che voli parlari con vossia dipirsona pirsonalmenti».

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«Passamillo».«Non pozzu dottori in quanto che non

trovasi supra alla linia ma in loco».«Allura fallo trasire».Sileci era un cinquantino collega di

Montalbano, grassotteddro e baffuto, cheil questori aviva mittuto a capo dellasquatra per l’emergenza sbarchi.

Trasenno fici un saluto circolari es’assittò supra alla seggia che Fazio gliaviva ciduto.

«Arrè nella merda semu» dichiarò.Tutti lo taliaro ’nterrogativi. «Ho avuto la comunicazione

ufficiale» continuò Sileci «che sono inarrivo due navi. La prima ha raccoltoduecento naufraghi. La seconda

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duecentododici. Si trovano a sette ore dinavigazione da qui» taliò il ralogio econtinuò: «’N parole povire, verso lamezzannotti accomenzerà un novogrannissimo bordello».

«Allura vedete che stavota nellamerda» fici Montalbano «arrischiamod’affocarinni».

«Esatto. Epperciò forse bisognerebbepensare un piano speciale. Ma quale?».

Calò pisanti silenzio.Tutti accomenzaro a taliarisi ’n facci

uno con l’autro spiranno chequalichiduno avissi una qualisisiasisoluzioni.

Doppo tanticchia Montalbano fu ilprimo a parlari:

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«Io ’na mezza idea ce l’avrei. Peròprima aio bisogno di sapiri dù cose.Fazio, fammi un piaciri, tilefona subitoal dottor Osman e vedi se è disponibili adarinni ’na mano d’aiuto. Se sì, diglid’attrovarisi ’n commissariato stanottiall’unnici e mezza».

Fazio si susì e niscì dalla càmmara dicursa.

«La secunna cosa» continuò ilcommissario arrivolto a Sileci «è chista:tu, tilefonanno alla capitaniria, puoi fari’n modo che la secunna navi attracchialmeno con una mezzorata di ritardo?».

Sileci si susì, tirò fora dalla sacchettail cellulari, s’avvicinò fora dallafinestra. Parlò brevimenti e tornò.

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«Pozzono farlo. Volevo aggiungereche prima di venire qui, sono statochiamato dal questore che mi hadiffidato. Mi ha detto che stavolta, sonoparole sue, non deve sfuggirci nemmenouna spilla».

«Cos’è?» fici Montalbano. «La solitastoria del terrorista ’nfiltrato tra imigranti?».

«Esattamente. Da quando Cusumano èstato nominato capo dell’antiterrorismo,pare che la sira avanti di corcarisi taliasutta al letto per vedere se c’èammucciato un terrorista. Tu non cicredi?».

«È possibile che un pazzo esaltato sinasconda tra i profughi. Ma perchédovrebbe affrontare un viaggio in mare

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rischiosissimo e in più i controlli aiquali sarebbe sottoposto una voltaarrivato? Secondo me il terrorista, se equando arriverà, sbarcherà da un aereocon tanto di passaporto in regola el’esplosivo gli verrà fornito da qualchesuo complice che già si trova qui».

Tornò Fazio.«Osman si è messo a completa

disposizione».«Allora dicci il tuo piano» spiò

Sileci.

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Tre «Mi sono fatto pirsuaso di qual è il

punto cchiù critico dello sbarco» dissi ilcommissario «quello nel quale la nostrasorviglianza si fa difficili assà e lemaglie della riti addiventano accussìlarghe che qualichiduno può pigliari ilfujuto».

«E sarebbi?» spiò Sileci.«Sarebbe il momento nel quale la

passerella della nave tocca la banchina.Allura a bordo succedi il virivirì, amalgrado dei tentativi dei marinari ditiniri tanticchia d’ordini. I migrantivenno pigliati dalla smania irresistibili

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di posari subito pedi supra allaterraferma. Nun ne ponno cchiù d’acquadi mari. E non sulo chisto: ’sta poviragenti ha mittuto nella travirsata tutte lespranze d’una vita, tutti i piccioliarrisparmiati o pristati dalle famiglie inun’esistenza ’ntera. Sanno benissimo chela navicazioni può arrapprisintarimacari un piricolo di morti e quindi tuttele loro possibilità di vita sunnoconcintrate nel dari il primo passo supraalla terraferma. E allura che succedi?Succedi che s’appricipitano tutti perscinniri per primi, ammuttannosi,cadenno ’n acqua, arrampicannosi unosupra all’autro. Quanno arrivano allabasi della scaletta nuautri nni trovamo adoviri sostiniri l’impatto violento di

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vinti, trinta pirsone che non arrinescinoa controllarisi: fanno voci, si lamentano,chiangino, ridino, ma soprattutto cercanodi mittirisi a corriri verso non si sapiindove. Gli veni di fari accussì d’istinto,alla cieca. E nuautri semo troppo piccaper continiri ’sta massa d’urto.Chiaro?».

«Chiarissimo» fici Sileci «ma cheproponi?».

«Ora te lo dico» arrispunnìMontalbano.

E glielo dissi. Po’ spiò:«Siete d’accordo?».«Sì, e spiramo che funziona»

arrispunnì Sileci, susennosi.La prima cosa che fici quanno arrivò

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a Marinella fu, come ’u solito, di taliarenel frigorifiro.

L’attrovò vacanti.Allura s’appricipitò verso il forno.

Non ebbi bisogno di raprirlo. Ilmiraviglioso sciauro della pasta’ncasciata di Adelina gli arrivò’mmidiato alle nasche.

Addrumò il forno per quadiare lapasta e dato che il libeccio era cadutosì, ma la sirata ristava fridda, si conzò latavola ’n cucina.

Nell’aspittanza annò a taliarisi latilevisioni. C’era un servizio supraall’arrivo di ’na navi a Lampidusa cheaviva sarbato ’n mari a sissanta pirsone.Setti ’nveci erano morte. Prifirì non

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arrovinarisi la mangiata e astutò.Propio allura sonò il tilefono. Era

Livia. La sò prima dimanna fu:«Come è andata con Elena?».«Quale Elena?» fici Montalbano.«Non mi dire che non ci sei andato...»

partì subito ’n quarta Livia.Sulo allura il commissario

s’arricordò che era accussì ches’acchiamava la sarta.

«Certo che ci sono andato. Iomantengo le promesse».

«E allora? Come ti sei trovato?».«Come mi dovevo trovare? Bene».«Ne ero sicura».«Ma piuttosto, Livia, levami una

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curiosità: quando sono stato in sartoria,ho visto che Elena aveva due lavoranti euna sarta che stava dietro alla macchinada cucire. Uno dei due aiutanti mi hapreso le misure. Lei mi ha fatto scegliereun tessuto e poi si è limitata solo aguardarmi davanti e dietro».

«Embè?».«Embè, sembrava più la padrona di

un caffè elegante che una sarta».Livia si misi a ridiri.«Lo sguardo che ti ha dato le è

bastato».«Le è bastato a cosa?».«A capire la conformazione del tuo

corpo per tagliare il vestito».Alle parole di Livia, a Montalbano

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vinni, va a sapiri pirchì, lo stissoimbarazzo che aviva provato sutta allataliata penetranti di Elena.

Doppo tanticchia Livia gli dissi:«Allora buonanotte».Montalbano arricambiò la bonanotti,

pur sapenno che per lui la nuttata tuttosarebbi stata, tranne che bona.

A ’sto punto la pasta era di certocàvuda a doviri. La tirò fora dal forno,la virsò in un piatto funnuto e accomenzòa godirisilla.

Quanno finì di mangiare, s’addunòche erano passate le deci. Allura annò ’ncàmmara di letto per sciglirisi unmaglioni pisanti.

Arrivò puntuali ’n commissariato alle

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unnici e mezza.«Ah dottori! Ci sarebbi che c’è il

dottori Cosma che l’aspetta nellacàmmara d’aspittanza».

«E Damiano unn’è?» fici Montalbano.Catarella strammò.«Aspittava macari a lui? Ancora non

è apparuto, appena che apparil’avverto».

«Va bene. Arricordati, Catarè, cheCosma e Damiano caminano sempri’nzemmula» arrispunnì il commissario.

In effetti, Catarella non avivasbagliato il nomi cchiù di tanto. ’Nfunno ’n funno, il dottor Osman qualichicosa di santo ce l’aviva.

Montalbano annò in salottino, il dottor

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Osman si susì, si strinsero la manosorridennosi.

«Lei non sa quanto io le sia grato diavere accolto la mia richiesta» fici ilcommissario.

«Allah è Clemente e Misericordioso»arrispunnì il dottor Osman «e anch’io,goccia nel mare, cerco di seguirnel’esempio».

Annaro nell’ufficio di Montalbano.S’assittaro.

«In cosa posso esserle utile?» spiò ildottori.

«Stanotte è previsto uno sbarcoeccezionale. Su due navi arriveranno piùdi quattrocento persone».

Il dottor Osman si misi le mano

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letteralmenti nei capilli.Montalbano ripigliò:«Quindi è probabile che possano

succedere incidenti anche seri. Bisognaevitarli a tutti i costi. Per questo hobisogno del suo aiuto».

«Mi dica che devo fare».«Ho pensato che sarebbe meglio se

salissimo sulle navi prima del loroattracco. In modo che lei possa fare unpreciso discorso a questa gente epersuaderli che uno sbarco ordinato ecomposto renderà più facile e celere iltrasporto presso il centrod’accoglienza».

«Mi dica secondo lei cosa devodire».

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«Dovrebbe spiegare che le regolesono cambiate e chi non rispetta gliordini della polizia verràimmediatamente arrestato, dichiaratoindesiderabile, clandestino, e quindirispedito in patria».

«Ma davvero!?» fici stupito Osman.«No, dottore, non è vero. Però è una

bugia necessaria».«Va bene. Mi fido di lei».Il commissario gli spiegò ’n’autra

poco di cose che doviva diri e quindi simisiro ’n machina e s’avviaro verso ilporto.

Quanno arrivaro c’erano ’na decina dipullman e tri ambulanze parcheggiatibastevolmenti distanti dal punto

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d’attracco.I pullman erano lucitissimi, puliti,

pariva che aspittassiro ’na diligazioni diricchi sceicchi arabi venuti a visitare laValle dei Templi. L’autisti, che si eranoarreuniti in circolo, fumavano echiacchiariavano, erano tutti in divisachiuttosto aliganti.

Montalbano pinsò che supra a’st’appalto di pullman ci dovivamangiari genti assà.

I vinti òmini della polizia cchiùSileci, Mimì e Fazio erano ’nvecipropio supra al bordo della banchina.Sileci s’avvicinò a Montalbano e aOsman, li salutò e po’ dissi alcommissario:

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«Dalla navi ci hanno segnalato che cisunno dù mascoli e ’na fìmmina daportari subito allo spitali».

«Ci sunno morti a bordo?» spiòMontalbano.

«Per fortuna pari nisciuno».«E nell’autra navi?».«Non hanno né firuti, né malati, né

morti».«Meglio accussì» fici il commissario.In quel momento arrivò un tinenti

della guardia costiera. Tiniva untilefonino all’orecchio.

«La prima nave è all’imboccatura delporto. Che devo dirgli?».

«Di fermarsi e di aspettarci. Tra dieci

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minuti saremo a bordo».Po’ arrivolto a Fazio spiò:«La pilotina è già pronta?».«Prontissima. Venga con me».«Aio bisogno che venno macari dù

òmini nostri con nuautri».«Va bene» dissi prontamenti Fazio, e

po’ a voci àvuta chiamò: «Macaluso,Gianni Trapani!».

Dù poliziotti si staccaro di cursa dalgruppo e raggiungero a Fazio.

«Andate con il dottor Montalbano».Acchianaro supra alla pilotina che

partì ’mmidiata.Montalbano dissi ai dù agenti:«Appena salite a bordo raggiungete

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subito la poppa e mettetevi accanto alloscalandrone».

Dal fianco della pilotina pinnuliavauna problematica scaletta di corda.Montalbano s’addimannò se cel’avrebbi fatta ad acchianare. Siscantava di fari ’na malafiura davanti atutti.

Si armò di coraggio.«Salgo prima io» dissi.Accussì, pinsò, se mittiva un pedi in

fallo e cadiva ’n mari qualichidunol’avrebbi tirato di sicuro fora.

Intanto la navi aviva addrumato tutti ifari e uno era puntato propio supra allascaletta per favoriri l’acchianata.

Montalbano isò il pedi, lo posò supra

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al primo passanti di corda, chiuì l’occhipirchì la luci l’abbacinava, es’arraccomannò, tanto per essiri alsicuro, quanto a Dio tanto ad Allah.

Procidiva agevolmenti quanno’mproviso si sintì trattiniri da qualichicosa che lo tiniva bloccannogli lasacchetta dei cazùna. Di certo si era’mpigliato a un gancio. Si scantò alassari la mano per libbirarisi e accussìsi isò con violenza per continuari adacchianare. E fu allura che sintì ilcracche dello strappo sui pantaluna.

Appena a livello del ponti vinnipigliato dalle robuste vrazza di unufficiali e tirato a bordo.

«Sono il comandante De Luca» ficil’omo abbasciannosi la maschirina di

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carta.A malgrado la prima pulizia ricevuta

a bordo il tanfo di merda, piscio,mestruo ’mprignava ancora l’aria.

«Piacere, Montalbano».Aspittaro che l’autri li raggiungissiro.

Il commissario e il dottor Osman foroguidati al ponte di comanno mentri i dùpoliziotti s’addiriggivano verso lapuppa.

Quanno s’affacciaro dal ponti vittiro a’na massa ’nformi, pirchì tutti si nnistavano ’ncuponati sutta alle copertetermiche che avivano arricivute a bordo.Si vidivano sulo occhi, sparluccicanti,sgriddrati, attenti come a quelli dei caniche aspettano l’osso.

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Il commissario non ce la fici a reggiria quella mitragliata di taliate dispirate eabbasciò lo sguardo.

Il dottor Osman si portò alla vucca ilmigafono che De Luca gli aviva pruiutoe accomenzò a parlari in arabo.

Montalbano fu sicuro che il dottorestava arripitenno priciso ’ntifico quelloche lui gli aviva addimannato. Amalgrado che non sapiva l’arabo glipariva di capiri certi parole. Mentri cheascutava s’arricordò che ’na vota tutti ipiscatori del Mediterraneo parlavano’na lingua comuni, il «sabir». Va a sapiricom’era nasciuta e va a sapiri comeaviva fatto a moriri, ora che sarebbistata accussì utili per tutti.

Po’ il dottori dovitti finiri il sò

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discurso con ’na dimanna, pirchì sintìducento voci che arrispunnivano ’n coro.

«Sono d’accordo» fici Osman«possiamo scendere».

De Luca detti l’ordine di ripartiri.Quanno Montalbano e il dottori

scinnero dal ponti di comanno, subitos’attrovaro davanti alla folla che sirapriva a lento mentri che loropassavano. Il commissario sintì chequalichi mano l’accarizzava liggera equalichi voci diciva vascia:

«Shukran».A puppa, davanti alla scaletta ancora

isata, Montalbano notò che c’erano tripirsone stinnicchiate ’n terra con allatodù marinari che li conortavano. Tirò

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fora dalla sacchetta il cellulari, chiamòa Sileci e gli dissi di fari avvicinari letri ambulanze.

Appena la navi si firmò e calò lapasserella, nisciuno si cataminò.

Tutti erano stati di parola.I barellieri accussì pottiro acchianare

di cursa, pigliari i firuti e portarisilli.Allura il dottor Osman dissi qualichicosa in arabo e subito, mittennosiaffiancati a dù a dù, la filera deimigranti accomenzò a scinniri supra allabanchina in pirfetto ordini, senza farivociate. Si sintiva sulamenti qualichilamintio leggio come a ’na litania,qualichi parola sussurrata.

Quanno i primi quaranta foro a terra,

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Osman ordinò all’autri di ristari supraalla navi. I migranti sbarcati vinniroscortati dai poliziotti e accompagnati alpullman. Subito appresso fu la vota di ’nautro gruppo di quaranta.

Appena che l’ultimo migranti scinnì,l’ufficiale della guardia costiera dissi aMontalbano e al dottor Osman che lasecunna navi li aspettavaall’imboccatura del porto.

Tornaro a ’mbarcarisi supra allapilotina.

Macari il secunno sbarco si svolgìsenza ’ncidenti. Si vidi che la farfantariadi Montalbano, di arristari e rimpatriarisubito a chi faciva scarmazzo,funzionava alla pirfezione.

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Dato che scinnivano quaranta migrantia vota, l’ultimo gruppo spariggio eracomposto da sulo dodici pirsone.Appresso a loro si misiro Montalbano,Osman e i dù agenti.

Appena che il commissario fu supraalla banchina gli s’avvicinaro Fazio eAugello.

«Dottore» fici Fazio «avi i pantalunacompletamenti strazzati. Si vidinomacari le mutanne».

«Pirchì, ti scannalii?» spiò sgarbatoMontalbano.

«Nonsi. Ma vuliva sulo avvertirla»fici arrisentuto Fazio.

A ’sto punto arrivò Sileci per salutarii sò colleghi. Ma le stringiute di mano

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vinniro ’ntirrotte da dù voci altirate cheprovenivano dall’ultimo grupposbarcato, oramà arrivato vicino alpullman. Si votaro a taliare.

Un agenti diciva a un migranti:«Levati ’sta coperta. Levatilla

subito!».«No! No! No!» replicava dispirato

l’autro, stringennosilla sempre di cchiù.A ’sto punto l’agenti affirrò la coperta

e circò di livargliela.Allura capitò ’na cosa stramma: il

migranti gli lassò la coperta tra le manoe si misi a corriri alla dispirata. Eravistuto all’occidentali, con un paro dipantaluna di villuto, ’na speci digiubbotto e scarpi che stonavano tanto

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erano aliganti.«Fermatelo! È armato» gridò l’agenti.A ’sti parole Fazio scattò come a ’na

lepri. Seguitato da Mimì Augello. In unvidiri e svidiri, i dù acchiapparoall’omo, lo ghittaro ’n terra e quannomacari Montalbano e Osman liraggiungero vittiro che Mimì circava dirapriri le mano dell’omo artigliate alpetto con tutta la forza che aviva mentriche tirava càvuci e faciva voci:

«No! No! No!».Finalmenti Augello arriniscì a farigli

lassari la presa. Gli ’nfilò ’na manosutta al giubbotto e tirò fora un oggettolongo e nìvuro.

«Ma è un flauto!» fici, completamenti

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strammato, mostrannolo all’autri. Allavista di quello strumento musicali tuttiristaro ’mparpagliati.

In quella situazioni il flauto pariva ’nacosa accussì estranea come se fossicaduta direttamenti da Marte.

Privato del flauto l’omo era ristato ’nterra con le vrazza spalancate, la testa’nclinata a mano manca.

Pariva un crocifisso.Chiangiva silenziosamenti.«Tiratelo su» dissi Montalbano a

Fazio ed Augello.Quanno l’omo, sostinuto dai dù, si

ritrovò addritta Osman fici un passoavanti e lo taliò attentamenti, po’ dissiqualichi cosa in arabo.

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Ma l’omo l’interrompì subito:«Parlo bene l’italiano».«Mi scusi, ma lei non è Abdul

Alkarim?».«Sì» fici l’omo con un filo di voci.«L’ho sentita suonare due anni fa al

Maggio Fiorentino. Mi pare fosseL’après-midi d’un faune di Ravel».

«Sì» arripitì l’omo con voci semprecchiù vascia. «È stato il mio ultimoconcerto in Italia. Posso avere unasigaretta?».

Montalbano tirò fora il pacchetto,quello se ne pigliò una, il commissariogliel’addrumò.

«Se lo tenga pure con l’accendino».

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«Grazie» fici l’omo aspirannoavidamenti.

«Ma perché si è venuto a trovare inquesta situazione?» spiò Montalbano.

«Poco dopo quel concerto» arrispunnìl’omo «sono venuto a sapere che miofratello era stato arrestato dagli uominidi Assad e che sua moglie e la figlia diundici anni erano rimaste senza risorseed erano a rischio di vita. Ho sentito ildovere di tornare in patria,clandestinamente però, perché anche iomi ero espresso contro il regime. Cosìsono riuscito sei mesi fa a mettere insalvo mia cognata e mia nipote e poi misono imbarcato anche io».

Mimì Augello gli pruì il flauto chel’omo pigliò e riportò al petto

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carizzannolo a leggio.«Potrà servirle ancora» fici Osman.«Non credo» dissi l’omo. «Se mi

daranno l’asilo politico e avrò fortuna,spero di avere un lavoro comeraccoglitore di olive».

Sileci, che si era avvicinato e avivaviduto la scena, fici:

«Sarebbe l’ora di andare».«Grazie» dissi l’omo arrivolto a tutti.Lo vittiro tornari verso il gruppo.

L’agenti gli riconsignò la coperta, l’omose la misi supra alle spalli e acchianònel pullman. Montalbano dissi a Fazio dicongidare l’òmini del commissariato.

Sileci si misi con la sò machina intesta alla fila. Partero. Il corteo era

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chiuso da ’na granni camionetta coperta,dintra alla quali ci stavano l’òmini diSileci.

Di colpo la banchina parsi addivintatadiserta.

Montalbano taliò il ralogio. Erano letri e mezza.

Troppo presto per i piscatori matutinie troppo presto per il rientro deimotopiscaricci che avivano passato lanuttata a travagliari.

«Dove ha lasciato la macchina?» spiòad Osman.

«Nel parcheggio del commissariato».«Venga con me».Si salutaro con Fazio e Augello e

ognuno si nni annò per la sò strata.

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In machina Montalbano e Osman nonsi scangiaro parola.

Arrivati al posteggio il commissarioscinnì con il dottore.

Si stringero la mano.«Io la ringrazio per la sua

grandissima generosità».Osman fici un gesto come chi voli

scacciari a ’na musca.«Ci sarò sempre, inch’Allah, quando

ne ha bisogno. Cerchi di riposare».E trasì nella sò machina.A malgrado che fusse stanco,

Montalbano non se la sintì di annaresubito a corcarisi. Raprì la porta-finestra, si armò di whisky e bicchieri,annò a circari un pacchetto di riserva e

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un accendino che sempre tiniva nelcascione del commodino e s’assittò fora.

Sapiva che la notti era fridda ma nonl’avvertiva forsi pirchì l’adrenalinacontinuava ancora a fari effetto.

Ripinsò al sonatori di flauto.La dignità, la compostizza di

quell’omo l’avivano ’mpressionato assà.E subito lo pigliò un pinsero: quante,

tra ’sti poviri miserabili, erano pirsonecapaci di arricchiri il munno con la loroarti? quanti tra i tanti cataferi che oramàerano nell’invisibili cimitero marinosarebbiro stati capaci di scriviri ’napoesia le cui parole avrebbiroconsolato, ralligrato, inchiuto il cori dichi stava a liggirla?

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Ma, macari, a parte ’staconsiderazioni, quanto altruismo, quantaginerosità dell’omo verso l’omo annavapirduta in quella tragedia ches’arripitiva ogni notti?

Il sonatori di flauto aviva arrenunziatoa ’na vita commoda, fora da ognipiricolo, aviva arrenunziatoall’applausi, aviva arrenunziato alla sòarti per corriri ’n soccorso dei sòfamiliari, arrischianno lui stisso di finiri’ncarzarato come a sò frati.

’Nzemmula a quei morti, stavanaufraganno macari il meglio dell’omo.

Si susì, annò ’n cucina, si levò ipantaluna, li ghittò nella munnizza e sinni annò ’n bagno con la ’ntinzioni distarisinni sutta alla doccia per almeno

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’na mezzorata.Dormì nello scuro cchiù profunno per

tri ure di seguito e s’arrisbigliò nellastissa ’ntifica posizioni nella quali si eraaddrummisciuto.

Era stato come a un piso mortoghittato supra al matirasso. Però si sintìpirfettamenti arriposato e lucito. Eranole novi passate.

Stavota si priparò dù cicaronate dicafè.

Quanno arrivò ’n commissariatoattrovò a Catarella che durmiva assittatosupra alla seggia con la testaarrovisciata narrè.

Allungò ’na mano e detti ’na granbotta supra al tavolino.

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Catarella satò in aria. Sgriddròl’occhi scantato.

«Chi fu? Chi fu?».Po’ arraccanoscì al commissario. Si

susì addritta sull’attenti.«Addimanno compressione e

pirdonanza, dottori, ma ebbi ’na botta diaddrummisciatina».

«Levami ’na curiosità. Ma tu stanottesei andato a dormire?».

«Nonsi, dottori. Aspittavo a vossiapir farlo».

«Fatti sostituiri ’mmidiato e se tracinco minuti ti trovo ancora ccà tighietto fora a pidate».

«All’ordini!» fici Catarella.

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Annò nell’ufficio di Mimì per vidirise era arrivato. Ma era vacanti. S’assittòalla sò scrivania e vitti che le carti dafirmari erano addivintate dù montagnole.

E stavota non le taliò con odio, forsistarisinni dù ure a mittiri firme l’avrebbifatto svariare dalla pisantizza dellanuttata passata.

Ma doppo cinco minuti tuppiaro allaporta.

«Avanti!».Era Fazio, aviva l’occhi a

pampineddra e ’nfatti appena s’assittòsupra alla seggia davanti alla scrivania,non potti trattiniri ’no sbadiglio.

«Dottore» fici «forse è nicissariostabiliri i turni per ’sti sbarchi. Se per

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caso capita qualichi cosa mentrinn’attrovamo tutti al porto, ccà ’ncommissariato resta sulo Catarella».

«Va bene» fici il commissario«appena arriva Augello stabilemo ’stiturni».

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Quattro Mimì Augello s’apprisintò ’n

commissariato che erano le unnicipassate. Se Fazio era morto di sonno,Mimì si cataminava come a unsonnambulo.

Era letteralmenti ’n catalessi.Montalbano gli spiò se era ’n grado di

intendere e volere.Augello non gli arrispunnì a voci ma

agitò la mano mancina a significarisquasi.

«Fazio ha proposto di fare dei turniper gli sbarchi. Sei d’accordo?».

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Augello fici ’nzinga di sì con la testa.«Allura» continuò il commissario «se

stasira ci arriva genti, ci sta Fazio. Iljorno appresso ci staio io e la terza nottite la fai tu, Mimì».

Augello arripitì il gesto di prima. Po’isò un dito e dissi:

«Ma non c’è spranza che passi ’nanotti senza ’no sbarco?».

«’Nca certu! Vacci tu in Siria aparlari con il califfato!».

Po’ il commissario continuò:«Hai notizie di novi arrivi?».«Ancora no» arrispunnì Fazio «le

novità tinte le sapemo sempre neldoppopranzo».

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«Se non avemo autro da dirinni» ficiMimì «io mi nni vaio nel mè ufficio».

«La riunione è sciolta» ficiMontalbano «salvo imprevisti, nnirividemo ccà alle quattro».

Stranamenti aviva gana di continuari amittiri firme. Aviva la ’mpressioni chetuffarisi nel mari magno della burocraziaavissi su di lui ’n effetto terapeutico. Mafu di brevi durata pirchì macari stavotavinni ’nterrotto dallo squillo deltilefono.

«Ah dottori! Ci sarebbi che c’è ildottori Cosma supra alla linia».

«Passamillo».«Buongiorno commissario. Le volevo

dire che purtroppo stasera, se ce ne sarà

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bisogno, io non potrò esserci».Montalbano si sintì moriri il cori.«E perché?».«Perchè ho la febbre alta. Ieri sera

avevo già qualche linea, si vede che ilfreddo che ho preso stanotte...».

«E io come fazzo?» gli scappò di diri.«Ho già provveduto» lo rassicurò il

dottori. «Ho parlato con una mia amica.Si chiama Meriam. Vedrà che misostituirà benissimo. Le ho detto comedovrà comportarsi coi migranti».

Quel nome non sonò novo alcommissario.

«Mi scusi, ma questa Meriam lavora,per caso, in una sartoria?».

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«Sì, sì. È lei».«La conosco. Pensa che potrà

farcela?».«Glielo posso assicurare. Parla

quattro lingue perfettamente».«Mi dà il cellulare della ragazza?».Quanno se lo scrissi, chiuì la

comunicazioni e chiamò a Fazio. Glidissi la novità, Fazio sturcì la vucca.

«Non ti sta bene?».«Nonsi dottore, a mia mi sta bene. Ma

starà bene macari ai migranti? Dottore,facemo ad accapirinni, è ’na fìmmina...».

«Io mi fido del dottor Osman. Ma sehai dei dubbi ti fazzo ’na proposta:invertiamo i turni: stasira ci vaio io».

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Fazio si risintì.«Dottore, volivo sulamenti esporre

’na possibili complicazioni. Se si fidadel dottor Osman, si fidassi chiossà dimia».

La trattoria era diserta, sulo che itavoli erano stati mittuti tutti ’n fila finoa formari ’na sorta di ferro di cavaddro.

Un tavolo era ’nveci stato conzatotanticchia cchiù lontano.

«Che c’è? Banchetto?» s’allarmò ilcommissario.

«Nonsi dottori, festeggiano inovant’anni del cavaleri Sciaino» ficiEnzo.

«E pirchì non m’hai priparato nellacammareddra?».

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«Mi scusassi dottori, ma stannoripittanno i mura».

Montalbano fu costretto a fari bonviso a cattivo joco. S’assittò.

Aviva la sigreta spranza di finiri lamangiata prima che arrivassero ipartecipanti al festeggiamento.

«Che mangio?».«Spaghetti e vongole?».«Come no! Portamilli e di prescia».Enzo sparì ’n cucina e ’n compenso,

dalla porta, accomenzaro a trasire ’napoco di pirsone che parivano gli ’nvitatia ’na veglia funebre.

Sissantini, cinquantini, mascoli efìmmine, tutti con ’na facci compunta,smunta, da dù novembri. Pigliaro posto

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mentri che autre pirsone trasivanoaltrittanto tristi e malincuniuse.

Po’ di fora si sintì ’na voci potenti,allegra:

«Ccà sugno, picciotti!».E trasì un vecchio aliganti, sorridenti,

rusciano, tinuto suttavrazzo da dùpicciotti, forsi i nipoti, ma pariva ’nveciche fusse il cavaleri, con il sò passosicuro e svelto, a sostiniri all’autri dù.

E finalmenti con la prisenza delnovantino la tavolata potti animarisitanticchia.

Per tutta la durata della mangiata,Montalbano non fici che sintiri la vocidel vecchio che cuntava barzelletti unaappresso all’autra, una cchiù vastasa

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dell’autra, mentri che mangiava e viviva’n continuazioni, brindanno alla salutidei comminsali.

Il commissario niscì dalla trattoriacon la pricisa convinzioni che ilnovantino li avrebbi stinnicchiati a tuttiprima di chiuiri l’occhi.

S’annò a fari la solita passiata molomolo.

Notò che le dù navi non c’eranocchiù. Erano sicuramenti ripartute allacerca di autri migranti ’n mari.

Come aviva prividuto Fazio, la tintanotizia arrivò che erano le quattro emezza attraverso la voci di Sileci.

Nell’ufficio del commissario c’eranomacari Augello e Fazio.

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Appena che Catarella gli fici il nomidel collega, misi il vivavoci.

«Montalbano, ti devo comunicare cheverso la mezzanotte, al solito, arriveràuna motovedetta. Fortunatamentestavolta ci sono solo trentacinquemigranti, salvati tutti da un barcone chestava affondando. Quindi sarà ’na cosaliggera».

«Bene. Io stasera non ci sarò. Al mioposto verrà Fazio».

«Lo aspetto alle undici e mezza allabanchina. Credo che stavolta basterannocinque dei vostri uomini».

«D’accordo» dissi il commissariotalianno nell’occhi Fazio per aviri la sòapprovazioni.

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Quello fici ’nzinga di sì con la testa.Il commissario chiuì la comunicazioni

con Sileci.Prima di ghirisinni a Marinella passò

nell’ufficio di Fazio.«Forsi sarebbi bene che tu pigliassi

contatto con la picciotta che sostituisce aOsman».

«Già fatto» fu la risposta.Montalbano soffocò la botta di raggia

che l’assugliava ogni vota che sintivadiri quelle parole e addimannò:

«Che impressione ne hai avuta?».«Mi è parsa ’na picciotta dicisa. Con

le idee chiare».«Meglio accussì» fici il commissario,

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salutanno e niscenno.Siccome che era arrivato presto a

Marinella, gli vinni la gana di farisi ’napassiata, ma la libicciata aviva allordatotutta la pilaja inchiennola di buttiglie diplastica, sacchetti della spisa, e macari,vai a sapiri como, ’na vecchia lavatriciscassata. Era addivintata litteralmenti unmunnizzaro.

«Pirlomeno stavota nenti cadaveri»pinsò il commissario arricordannosi delpicciotto attrovato il jorno avanti.

Passò ’na sirata tranquilla. Arriniscìmacari a liggirisi qualichi bella paginadi un romanzo che aviva comeprotagonista a un viciquestori romanomannato tra le nivi d’Aosta. Il solopinsero d’attrovarisi al posto di quel

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collega gli fici veniri un bripito difriddo lungo la schina.

Prima d’annarisi a corcare chiamò aLivia. Le contò lo sbarco della nuttatapassata, Livia s’arraggiò pirchì lui nonle aviva ditto nenti prima, po’ ficiro lapaci, si dettiro la rituali bonanotti chealmeno stavota sarebbi stata bona dicerto.

E macari ccà si sbagliò.S’arrisbigliò di colpo pirchì aviva

avuto la pricisa sensazione che iltilefono aviva sonato.

Appizzò l’oricchi.Nenti.Silenzio assoluto. Addrumò la luci

supra al commodino e taliò il ralogio.

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Era l’una spaccata. Astutò, si rimisi ’nposizioni di sonno e il tilefono squillò.

S’appricipitò allo scuro. Di sicuroper chiamarlo a quell’ura doviva essiricapitata qualichi cosa durante lo sbarco.

Era Fazio.«Dottore, mi scusasse ma Sileci

vorrebbe che vossia venisse ccà».«Che successi?».«Dottore, è complicato spiegariccillo

ma si vossia non arriva non potemocataminarinni».

Annò ’n bagno, misi la testa sutta alrubinetto, si vistì alla sanfasò e niscìfora di cursa.

La luna china, leopardiana, chel’accompagnò fino alla banchina,

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l’arrinfrancò. Quanno arrivò, lasituazioni non pariva drammatica.

Fazio e Sileci l’aspittavano sutta allascaletta del pullman, indove avivanopigliato già posto tutti i migranti, i cincoagenti del commissariatochiacchiariavano mentri che l’òmini diSileci stavano già nella camionetta.Erano tutti pronti a partirisinni. DiMeriam non c’era traccia.

«Che succedi?» spiò Montalbano aFazio e Sileci che gli erano annati’ncontro.

«Lo sbarco» fici Fazio «è avvenuto intotali tranquillità».

E taliò a Sileci come a passarigli laparola.

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«Il casino» fici nirbùso quello «ècominciato proprio mentre stavo dandol’ordine di partire. Dal pullman è scesaurlando, gridando e piangendo unaragazzina che i suoi genitori cercavanodi trattenere. Allora è intervenuta quelladonna... come si chiama?».

«Meriam» dissi Fazio.«Allora, questa Meriam ha

cominciato a parlare con la ragazzina.Ci è voluto un po’ perché la calmasse. Sisono appartate e poi Meriam è venuta dame spiegandomi che durante latraversata era successo qualcosa ditremendo e che la ragazzina non volevarisalire sul pullman».

«E che cosa è successo?».

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«No, Meriam non ha voluto dircelo.Ma Salvo, cosa vuoi che sia potutosuccedere?» arrispunnì Sileci.

«Non lo so. Dimmelo tu» fici ilcommissario che accomenzava macarilui a essiri pigliato dal nirbùso.

«Le avranno toccato il culo» dissiSileci «e per una stronzata così stiamoperdendo un sacco di tempo».

«Ma dove sono Meriam e ’stapicciotta?» spiò Montalbano a Fazio.

«Nella mè machina, dottore».Montalbano non pirdì tempo, annò

nella machina di Fazio, raprì la porteraanteriore e s’assittò nel posto di guida.

Nel sedile darrè arraccanoscì nelmezzo scuro il sorriso di Meriam. La

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ragazzina, a malappena ’na quattordicinache pariva essirisi addrummisciuta, eradistisa supra alle gamme della fìmminamentri che questa le accarizzava a leggioi capilli.

Meriam gli fici ’nzinga di parlari avoci vascia.

Montalbano l’interrogò con l’occhi,senza rapriri vucca.

Allura Meriam accomenzò asussurrari:

«Questa bambina, che si chiamaLeena, mi ha confidato che è stataviolentata da due uomini durante latraversata. Non ha potuto dire nullaperché sennò avrebbero buttato lei e lafamiglia in mare».

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«Quindi mi pare di capire» ficiMontalbano «che gli stupratori sitrovano sul pullman».

«Esattamente, e per questo Leena nonha voluto salirci. Teme che possarisuccedere. Ho parlato anche con igenitori, che non si sono accorti di nullae che non sanno niente e li ho rassicuratidicendo che Leena è troppo provata dalviaggio e che resterà un pochino con me.A malincuore hanno acconsentito».

Montalbano pigliò ’na rapitissimadecisioni.

«Torno subito» dissi, e scinnìaccostanno adascio adascio la porteradella machina.

A picca passi c’era Fazio che

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l’aspittava.«Allura?» gli spiò.Montalbano non gli arrispunnì e

seguitò a caminare verso Sileci.«La ragazzina ha confessato a Meriam

che sul barcone, durante la traversata, èstata violentata due volte. Chiamala unastronzata! Perciò non c’è che unasoluzione: fare scendere dal pullmantutti i migranti».

«Cosa?!» dissi Sileci sempri cchiùnirbùso.

«Non ti preoccupare, ci penso io enon c’è bisogno manco di scomodare ituoi uomini. Dammi pochi minuti».

«Va bene» dissi Sileci.Montalbano s’arrivolgì a Fazio:

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«Dì ai nostri di fari scinniri tutti e difarli mittiri allineati. Facemo ’na primadivisione tra mascoli e fìmmine».

Tempo deci minuti, i trentaquattromigranti s’attrovaro tutti in fila per unoschierati davanti al commissario chedissi a Fazio:

«Taliali uno per uno e fa riacchianaretutte le fìmmine».

Ristaro ’n terra sulo unnici mascoli.Sei erano vecchi e malandati, eMontalbano, macari a iddri, li rimannòsupra al pullman.

Po’ s’arrivolgì a Sileci:«Puoi farli partire. Questi cinque e la

ragazza li tratteniamo in commissariato.Stanotte stessa ti faccio mandare copia

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del fermo».A Sileci non parse vero di stringirigli

la mano e partirisinni di cursa.L’òmini del commissariato, all’ordini

di Fazio, ficiro acchianare nelle dùmachine di servizio a dù migranti a vota.Montalbano, ’nveci, scortato da unagente carricò un picciotto sidicino chenon sapiva lui stisso se stava morennocchiù di scanto o di sonno.

Fazio si nni tornò a la sò machinaportannosi a Meriam e a Leena.

Doppo picca che Montalbanoguidava, Fazio lo chiamò al cellulari:

«Dottore, Meriam dici che ora comeora la picciliddra non è in grado diarrispunniri alle dimanne. Dici che

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sarebbi meglio se se la porta prima a lasò casa, le duna qualichi cosa di càvudo,la lava, la cangia visto che c’è con lei’na nipoteddra squasi della stissa età epo’ verranno ’n commissariato».

«Forsi avi raggiuni» fici Montalbano«ma quanto tempo ci voli?».

Doppo ’na brevi pausa, Fazioarrispunnì:

«’N’orata al massimo».«Vabbeni» dissi il commissario.

«Allura dici all’autre dù machine cheportino i migranti ’n càmmara disicurizza, e po’ metti l’agenti in libbirtàfatta cizzioni di dù che devono ristariancora ’n servizio».

Arrivato davanti al commissariato

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frinò, fici scinniri all’agenti con ilsidicino e proseguì currenno versoMarinella.

L’arrisbigliata a primo sonno l’avivastorduto, sintiva la nicissità di darisi ’nabella rinfriscata che gli schiarissimacari la menti.

Trasì ’n casa che pariva unpirsonaggio delle comiche mute quannosi cataminano a vilocità accellerata. Sispogliò, si misi sutta alla doccia, niscì,si priparò il cafè, s’asciucò, si vistì, sivippi ’na cicaronata, si pigliò dùpacchetti di sicarette di riserva e si limisi nella sacchetta del giubbotto, po’niscì fora di casa e mentri che stavachiuienno la porta il cellulari squillònovamenti.

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«Dimmi, Fazio».«Dottore, c’è ’na complicazioni».«Cioè?».«Meriam, lavanno la picciliddra,

s’addunò che avi tracce di sangue.Allura chiamò la sò ginicologa e ladottoressa vosi che la picciliddra fossiportata ’mmidiato nel gabinetto che avinella sò stissa casa. Le ho accompagnateio e ora sugno fermo sutta allo studdioche aspetto notizie. Appena le aio ce ledugno».

«D’accordo» fici Montalbano.Raprì novamenti la porta di casa, si

nni annò ’n càmmara di dormiri, si levòle scarpi, si stinnicchiò supra al letto esi ripigliò in mano quel romanzo indove

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il sò sfortunato collega si nni stava acongelarisi.

S’appassionò a leggiri e persi il sensodel tempo. Stavota a squillari fu iltilefono di casa.

«Dottore, sugno da Meriam. Vidissiche la dottoressa ha visitato la picciotta,le ha dato ’na pinnola per non ristariprena e po’ voliva che fossi portatanello spitali di Montelusa, ma Meriam èarrinisciuta a convincirla. Ora lapicciliddra è stata mittuta a letto pirchì èmeglio che non si catamina. Chefacemo?».

«Vegno io da voi. Dammil’indirizzo».

«Via Alloro 14, c’è scritto Choukri».

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Meno mali che sapiva indove ches’attrovava ’sta via, perciò non ebbibisogno di perdiri tempo per firriare acircarla.

Parcheggiò, sonò, gli vinni aperto,ammuttò il portoni, trasì e si fici i dùpiani a pedi senza pigliari l’ascensori.La porta era aperta. Meriam l’aspittava.

Lo fici trasire in un salottino. Fazio,che si nni stava assittato supra a ’napoltruna con la testa tra le mano, si susìdi scatto.

Po’ s’assittò quanno che macari ilcommissario s’accomidò supra a’n’autra poltruna.

«La dottoressa ha detto che perfortuna le lesioni sono superficiali.

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Leena è nel mio letto, ho svegliato mianipote che le sta tenendo compagnia»dissi subito Meriam.

«Ma suo marito?» spiò Montalbano.«Mio marito torna alle sette. Fa il

guardiano notturno».«Senta» principiò il commissario

«vorrei rendere l’interrogatorio menogravoso possibile per questa bambina.Quindi se Leena le ha detto qualcosa diquello che è avvenuto sul barcone,potrebbe riferirmelo? Eviterei di farlerivivere la scena, di riaprire la ferita».

«Sì» fici Meriam. «Purtroppo sì. Miha detto che poche ore dopo la partenzadel barcone, mentre lei dormiva accantoalla madre, si è sentita mettere una mano

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sulla bocca ed è stata presa di peso dadue uomini che l’hanno trascinata versola poppa. Erano tutti spossati dall’attesaper l’imbarco, non mangiavano nédormivano da giorni e nessuno della suafamiglia si è accorto di qualcosa, anchela stessa Leena mi ha detto che pensavadi stare in un sogno, o meglio in unincubo. I due che l’avevano portata via,sempre tenendole una mano sulla bocca,l’hanno a turno violentata,costringendola a stare seduta su di loro.Dopo l’hanno presa come un fagotto eriportata accanto alla madre, non primadi averla minacciata di buttare lei e igenitori in mare se avesse dettoqualcosa. Ci ho messo un po’ anche ioper farla parlare ma poi, non ce la

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faceva più a trattenere tutto dentro di sé,e si è finalmente confidata...».

«Grazie» fici Montalbano. «Le hadetto qualcosa di più di questi dueuomini?».

«No».«Crede che possiamo andare da lei?».«Sì. Seguitemi. A proposito, si

chiama Leena Marrash».Supra al granni letto matrimoniale, ci

stava corcata a mezzo Leena con tricuscini darrè alle spalli. ’Nzemmula allanipoteddra di Meriam taliava uncellulari dal quali viniva fora ’namusica miricana.

«Anna, per favore, puoi andare nellatua camera?» dissi Meriam.

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La picciotteddra si susì e niscìportannosi il cellulari.

Montalbano e Fazio s’assittaro supraa dù seggie. Meriam ’nveci si misi supraal letto allato a Leena. La picciliddraaviva un velo sulla testa e ora che potivataliarla in piena luci, il commissario sirinnì conto di quale dolore, qualesoffirenza fossi signata supra a quellafacciuzza.

Macari Fazio la taliò ma po’ abbasciòla testa per evitari i sò occhi.

«Procediamo così» dissi Montalbano«io faccio le domande, lei Meriam, letraduce e mi riferisce la risposta».

«D’accordo».«Le può chiedere se ha avuto modo di

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vedere in faccia i due uomini?».Meriam non aviva finuto la dimanna

che Leena si fici sciddricari fino a suttaal linzolo. La sò testa e le sò spalliscomparero alla vista dei prisenti.

Meriam le dissi qualichi cosa. Larisposta fu che dù manuzze niscero foradalla coperta e ne agguantaro il bordo,non per sollivarla, ma per tinirla cchiùstritta, per ristari macari cchiù’ncuponata.

«Forse è meglio se tornate in salotto»fici Meriam «provo a parlarci da sola».

Montalbano e Fazio niscero dallacàmmara.

Quanno foro nel salotto, Montalbanos’addunò che Fazio era giarno come a un

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morto.«Sei stanco?».«Nonsi».«Ti senti male?».«Nonsi».«Che hai? Dimmelo! È un ordine!».«Dottore, aio ’na gana spavintosa e

tirribili di scuglionari a pedate a tutti ecinco, colpevoli e ’nnuccenti».

Montalbano allucchì, mai avivasintuto a ’na frasi accussì violenta supraalla vucca di Fazio, il quali però, mentriche parlava, era arrinisciutoevidentementi a controllarisi.

«Mi scusasse» dissi a voci vascia.Montalbano sintì il bisogno di

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fumarisi ’na sicaretta. Annò alla finestra,la raprì, se l’addrumò, facenno ’n modoche il fumo niscissi fora.

Quanno la finì, l’astutò supra aldavanzali, si misi il muzzicuni ’nsacchetta e dissi:

«Fazio, tilefona al commissariato efatti dire come vanno le cosi».

Fazio doppo picca arrifirì aMontalbano che Catarella gli aviva dittoche i cinco si nni stavano boni ’ncàmmara di sicurizza e che i dù agentierano in aspittanza.

Il salottino di Meriam era pulito,ordinato. Stipate supra a dù mobili cistavano fotografie di nicareddri. In unagranni cornici d’argento vitti la foto di

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un diploma ’nglisi di un picciottodall’occhi nìvuri, evidentementi figlio oparenti di Meriam. Supra altavolineddro tra le dù poltrune, eraposata ’na copia rilegata del Corano conallato riviste di moda taliàne.

’Nzumma ’na casa pricisa ’ntifica atante autre.

Mentri che Montalbano si nni stava ataliare perso nei sò pinseri, trasìMeriam.

«Commissario, credo che Leena nonce la faccia a parlare con voi, ho capitocosa lei voleva sapere e mi sonopermessa di rivolgerle io alcunedomande».

«Ha fatto benissimo» dissi

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Montalbano. «Cosa le ha detto?».«Non è riuscita assolutamente a

vederli. Ma io le ho chiesto se questidue avessero qualcosa di particolare perpoterci aiutare a identificarli».

«E allora?».«E allora Leena mi ha detto che al

primo dei due è riuscita a mordere undito con tutta la forza che aveva. Ilsecondo invece si è difeso, ma siricorda che mentre la stringevaindossava un piumino morbido. Altronon è in grado di dire».

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Cinque Ristaro d’accordo che in matinata

Meriam avrebbi portato la picciottanello spitali.

S’arricamparo ’n commissariato cheerano le quattro passate.

Catarella era profunnamentiaddrummisciuto con la testa appuiatasupra al tavolino. Montalbano lo lassòdormiri e annò nel sò ufficio, mentredava l’ordini a Fazio di tilefonare alcentro d’accoglienza per avvirtiri igenitori di Leena che la picciliddrasarebbi stata arricoverata per uncontrollo nello spitali ma che comunqui

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sarebbi stata ’na cosa ràpita.Mentri che Fazio stava a tilefonare, a

Montalbano ci vinni un dubbio: sinisciuno dei cinco spiccicava ’na paroladi italiano, come avrebbi fatto ainterrogarli? Di chiamare il dottorOsman non era cosa. L’unica era didistrubbare ancora la povera Meriam.Capace che a quest’ura si era giàcorcata. Circò il foglio con il sònummaro, l’attrovò, la chiamò. Quellaarrispunnì al primo squillo.

«Mi scusi Meriam, sempreMontalbano sono. Mi dispiace, sonomortificato ma ho ancora bisogno di lei.Può venire in commissariato a farmi dainterprete?».

«Certo, le bambine dormono già

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profondamente nel letto matrimoniale. Iltempo di preparare una caffettiera e unpo’ di macco per mio marito e arrivo».

Al solo pinsero a Montalbano ci vinni’na speci di mappazza alla vucca dellostommaco. Macco e cafè? Alle setti dimatina?

Tornò Fazio.«Tutto fatto» fici assittannosi «e ora

come procedemo?».«Aspettiamo che arriva Meriam».Fazio s’imparpagliò:«Ma come? L’ha chiamata?».«’Nca certu! Io l’arabo non lo parlo.

Per caso tu te lo studiasti a scola?».«Nonsi dottore! Studiai l’inglisi,

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capace però che l’arabo mi sarebbisirvuto chiossà».

«Ho fatto ’na pinsata» ficiMontalbano. «Tu l’hai viduto comearrivano ’sti povirazzi. Macari se sonopicciotti, sunno stremati, senza forze.Aspettano jorni sulle coste il loro turnodi partenza, senza mangiari, senzadormiri. Allura mi sono addimannato:come ti pò spirciari di violentari a ’napicciliddra, e macari se ’sto pinsero cipassa per la testa, come ponnofisicamenti attrovare la forza di farlo,quanno a malappena arrinescino arespirari? E allura capace che ’sti dù’nfami sunno propio gli scafisti.T’arricordi che Sileci nni dissi che lamotovedetta li aveva pigliati da un

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barcone che stava affonnanno? Si vidiche i dù scafisti non hanno avuto iltempo di mittirisi ’n salvo e quindi orasono ’nzemmula ai migranti nellacàmmara di sicurizza».

«Vero è!» fici Fazio.«Fa ’na cosa, va a taliare dallo

spioncino che succedi e dimmi sequalichiduno avi un piumino ’ndosso».

Doppo picca Fazio s’arricampò.«Dottore, tri dormino stinnicchiati ’n

terra, dù ’nveci sunno assittati supra alpagliarizzo e parlano fitto tra di loro.Uno di chisti dù avi un piumino russo».

Ristaro a taliarisi e doppo piccaFazio proponì:

«Nnu facemo un cafè?».

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«Amonì» dissi il commissario.Passanno per annare nella

cammareddra indove c’era ’na cucinettada campeggio, vitti a Pasanisi ePagliarello, i dù agenti, che dormivanodella bella supra alle poltrune dellacàmmara d’aspittanza.

Il cafè l’arricriò.Tornaro in ufficio e in quel momento

squillò il tilefono.Catarella aviva la voce ’mpastata dal

sonno:«Pronto! Pronto!» fici. «Pronto!».«Catarè, che ti piglia?».«Dottori, voliva aviri la cirtanza che

vossia era vossia ed era in loco!Siccome che non lo vitti passari...».

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«Vabbeni, vabbeni. Che c’è?».«Ci sarebbe che c’è la signura

Marianna Ucria che dici che vossial’acchiamò».

Che bello! pinsò il commissario,Catarella era addivintato un littirato!

«Accompagnala nni mia».«Buongiorno di nuovo. Ho fatto prima

che potessi» fici Meriam trasenno.«Grazie e mi scusi ancora, ma la sua

presenza è assolutamenteindispensabile».

«Capisco» fici la fìmmina.Fazio la fici accomidare davanti alla

scrivania, lassanno libbira l’autraseggia.

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«Ho l’impressione» esordìMontalbano «che il ragazzo sedicenneche ho accompagnato qui con la miamacchina fosse troppo impaurito diquello che stava succedendo. Credo chesul barcone abbia visto qualcosa chenon doveva vedere e che non parliperché secondo me quelli che hannoviolentato Leena sono i due scafisti».

«Come i due scafisti?» fici sorprisaMeriam. «Di solito, avvistata lamotovedetta, buttano i poveri migranti inmare e sono i primi a mettersi alsicuro».

«Ha ragione, ma stavolta non neavranno avuto il tempo perché ilbarcone stava affondando».

Po’ Montalbano s’arrivolgì a Fazio:

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«Sveglia a Pagliarello e digli diannare a pigliare al cchiù picciotto, alsidicino che stava ’n machina con mia, edi portarmelo ccà. E tu torna subito».

Fazio annò e tornò.«Sei armato?» addimannò il

commissario.«Sissi» fici sorpriso Fazio.«Dammela».Fazio gli pruì la pistola e il

commissario la posò supra al tavolino aportata di mano.

In quel momento trasì Pagliarello cheammuttava avanti a lui al sidicino chetrimava visibilmenti per lo scanto.

«Aspetta» dissi Montalbano.

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I dù si firmaro davanti alla porta.Il commissario si susì a lento con la

pistola ’n mano, s’avvicinò e con l’armafici ’nzinga al picciotto di annarisi adassittari nella seggia d’infacci aMeriam.

Quanno il picciotto si fu assittato, ilcommissario dissi a Pagliarello:

«Ammanettalo».Il picciotto calò la testa e si misi

silenziosamenti a chiangiri.Montalbano si riassittò.«Per favore» fici arrivolto a Meriam

«gli dica che è stato riconosciuto da unabambina violentata durante lanavigazione come uno dei due stupratori.Non solo, la bambina ci ha detto che lui

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è uno degli scafisti. Perciò si trova instato d’arresto e domani stesso saràimmediatamente rimpatriato eincarcerato».

«Commissario, mi pare che stiaesagerando!» fici Meriam scantata diquello che stava videnno e sintenno.

Allura il commissario la taliò e leparlò con l’occhi, e dalla facci che ficiMeriam ebbi la cirtizza che la fìmminaaviva accaputo che stava facenno tiatro.’Nfatti, con ’na voci duci ma ferma, simisi a traduciri le paroli di Montalbano.

Alla fini della sò parlata, ilpicciotteddro sciddricò dalla seggia, simisi agginucchiuni, si portò le manoammanettate davanti alla testa esbattennosille con forza contro la fronti

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accomenzò a fari voci. Le lagrime gliscorrivano oramà a sciumi supra allafacci.

«Che dice?» spiò il commissario.«Dice che è innocente, che lui non

c’entra niente. È disperato,commissario» fici Meriam.

«E allora ci dica se ha assistito allaviolenza e chi sono gli stupratori».

La risposta del picciotto fuletteralmenti un torrenti di paroli e allafini s’accasciò raggomitolato ’n terra.

Montalbano taliò ’ntirrogativo aMeriam.

«Ha detto che se parla lo uccidono.Che di sicuro se va al centrod’accoglienza con i suoi compagni di

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cella, verrà ammazzato. Giura espergiura che è innocente ma non se lasente di rischiare ancora una volta lapelle».

«Fazio, portagli tanticchia d’acqua efallo assittare» dissi Montalbano, po’arrivolto a Meriam fici: «Gli chieda sese la sente di rispondere solo con uncenno. Gli dica anche che farò le stessedomande a tutti e cinque i fermati equindi non si saprà mai se e chi haparlato».

Meriam eseguì. Po’ il commissariofici:

«La prima domanda è questa: lui havisto chi ha commesso lo stupro?».

Il picciotto fici ’nzinga di sì con la

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testa.«La seconda domanda è: uno dei due

indossava un piumino rosso?».Il picciotto arripitì il gesto

affirmativo.«La terza e ultima domanda: gli

stupratori sono gli stessi scafisti?».Con l’ultima calata di testa il

picciotto si rimisi a chiangiri dispirato.Allura il commissario addimannò a

Pagliarello di livarigli le manette, diportarlo nell’ufficio di Augello e diristari di guardia, appresso spiò a Faziod’arrisbigliare a Pasanisi e con luiportarigli l’omo che parlava con quellocon il piumino russo.

Nell’aspittanza avvirtì Meriam che

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avrebbi cambiato completamenti tatticae che perciò traducissi paro paro ognicosa che diciva.

Appena che l’omo comparse tra Fazioe Pasanisi, Montalbano si stampò unsorriso cordialissimo supra alla facci.Si susì, annò ’ncontro all’omo, gli pruìla mano e gliela stringì vigorosamenti.L’omo non potti trattiniri ’na smorfia didolori.

«Mi scusi, le ho fatto male?».Meriam ’mmidiatamenti traducì.

L’omo arrispunnì.«Dice di no, solo che ha una ferita che

si è fatto durante la traversata».«Oh, mi scusi! Mi faccia vedere» fici

Montalbano riacchiappannogli la mano.

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Tra il pollici e l’innici aviva ancorastampati i denti della picciotta.

«Si accomodi» dissi Montalbano «edeclini le sue generalità».

Mentri l’omo le diciva, Fazio nepigliò nota.

Montalbano gli arrivolgì ’na suladimanna:

«Durante la traversata lei ha notatoqualcosa di strano avvenuta a bordo?».

L’omo fici ’nzinga di no con la testa.«Lei ha intenzione di chiedere asilo

politico?».L’omo arripitì il gesto nigativo e

aggiungì qualichi cosa.Meriam traducì:

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«Io no. Io vengo solo per lavoro».Per Montalbano la risposta vinni a

significare che quell’omo spiravaardentementi di essiri rispiduto ’npatria. Sulo accussì avrebbi potutocontinuari a fari il sò sporco misteri.

«Mi basta» fici Montalbano. «Speroche tra poco potrà raggiungere il centrodi accoglienza. Pasanisi, per piacere,riaccompagnalo in camera di sicurezza epoi portatemi tutti gli altri».

Quanno arrivaro il commissario se lifici mittiri addritta davanti allascrivania. I dù che Fazio aviva vidutodormiri, stavano ’n posizioni virticalisulo pirchì arriniscivano a puntillarisiuno con l’autro. L’omo con il piuminorusso, ’nveci, aviva l’occhi vivi puntati

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supra al commissario ed era tantonirbùso che non arrinisciva a trattiniri ilpedi mancino che sbattiva continuamenti’n terra.

«Declinate le generalità» ficiMontalbano.

Meriam traducì e Fazio pigliò notadei nomi d’ognuno.

«Rivolgo a voi» continuò ilcommissario «la stessa domanda che hofatto ai vostri compagni. Durante latraversata, avete notato se è accadutoqualcosa di strano?».

La risposta fu un no corale.Po’ Montalbano s’arrivolgì all’omo

con il piumino.«Come si sono comportati con voi gli

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scafisti?».Prima d’arrispunniri l’omo accentuò

visibilmenti il sò nirbusismo, il pedimancino sbattì cchiù lesto sul pavimentoe fici ’na speci di isata di spalli.

Meriam traducì quello che aviva dittol’omo, e cioè che erano stati come sunnosempre in questi casi.

«Un’ultima domanda» fici ilcommissario. «Avete intenzione dichiedere asilo politico?».

La risposta dei dù che si sorriggivanouno con l’autro fu ’mmidiata e in taliàno:

«Sì!».Evidentementi sapivano chi viniva a

significari «asilo politico».«E lei?» spiò il commissario all’omo

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con il piumino.Meriam traducì la risposta:«Io no. Io vengo solo per lavoro».Evidentementi i dù scafisti avivano

già concordato le risposte da dari.Montalbano detti l’ordini a Pasanisi

di riportari tutti ’n càmmara di sicurizza.Taliò il ralogio, tra ’na cosa e ’n’autraerano squasi le setti.

«Se non ha più bisogno di me, iotornerei a casa per portare Leena inospedale».

«Grazie Meriam, lei è stata di enormeaiuto e sono sicuro che lo sarà ancora dipiù con la bambina. Un’ultima cosa,visto che dovrà riposarsi, se ha bisognoposso avvertire io la sartoria che oggi

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non andrà».«La ringrazio ma penso di riuscire ad

andare a lavoro. La signora Elena èestremamente comprensiva. Sono sicurache quando saprà di questa storia sarà laprima a voler regalare un vestito nuovoa Leena».

«Grazie ancora» fici Montalbanosusennosi e pruiennole la mano.

Meriam niscì.«E ora» dissi il commissario a Fazio

«accomenzamo con le tilefonate. Tuchiama Sileci e spiegagli la situazioni.La picciliddra si nni va nello spitali.Che manni ’na machina per portari i trimigranti al centro. I dù restano in statodi fermo ccà nni nuautri. E ora io

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arrisbiglio al piemme e gli cunto tutta lafacenna».

Dù ure appresso, i dù scafisti vinniroprelevati e portati ’n càrzaro aMontelusa. La facenna non arriguardavacchiù al commissariato.

«Mitto ’n libertà a Pagliarello ePasanisi?» spiò Fazio.

«Sì, e macari tu vatti a fari qualichiorata di sonno».

«E pirchì non se la va a fari macarivossia?».

«Pirchì non crio che arrinescirei adormiri» fici Montalbano.

«Come voli» arrispunnì Fazioniscenno.

Ma non supportava l’idea di ristari

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ancora ’n commissariato.Sintiva la nicissità, il bisogno di

allontanari dalla sò menti le scenedell’ultimi jorni: il picciotteddroannigato, il flautista crocifisso, lapicciliddra violentata, tutti quell’occhiche l’avivano taliato supra allamotonavi.

La sò disciplina di sbirro gliconsintiva di fari quello che doviva fari,ma la sò anima d’omo non ce la faciva acontiniri tutta ’sta tragedia.

Continuari a mittiri firme per distrarsinon avrebbi giovato, passiari sullabanchina del porto indove oramà vidivafantasimi non lo avrebbi aiutato.

Allura fici ’na cosa che non avrebbi

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mai pinsato di fari.Niscì dal commissariato a pedi e

s’avviò verso la chiesa cchiù vicina.Trasì.

Era completamenti vacanti.Annò ad assittarisi supra a un banco,

si misi a taliare le statue dei santi, eranotutte di ligno, facci di viddrani, facci dipiscatura e cchiù granni di tutti la statuadel nìvuro San Calò. Va a sapiri chemacari Calogero era arrivato fino a ccàsupra a un barconi.

Po’ ’mproviso esplosi un sono,qualichiduno si era mittuto all’organo.

La riconobbi, era la Toccata e Fuga inre minore di Bach.

Chiuì l’occhi e con la testa ghittata

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narrè gli niscì dalla vucca un respiroprofunno che gli slargava il petto e ilcori e si lassò trascinari luntano luntanodalla musica.

Aspittò che l’organo finissi.Po’, com’era trasuto niscì, e si nni

annò al Cafè Castiglione.«’Na bumma con la crema e un cafè

doppio».Ora potiva tornari ’n commissariato a

mittiri firme.’N ufficio attrovò a Augello frisco

come a ’na rosa di primo matino.L’invidiò e si augurò mentalmenti che ilturno di Mimì allo sbarco sarebbi statocomplicato e difficoltoso.

Il commissario gli contò con

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precisioni tutto quello che era capitato eallura Augello gli spiò se in caso dibisogno l’avrebbi potuto chiamariduranti la nuttata.

«Come no!» fici Montalbano, mentriche pinsava che avrebbi non sulostaccato il tilefono fisso ma macaritinuto astutato il cellulari.

Rassicurato, Mimì si nni tornò nel sòufficio. Il commissario aspittò che sifacissi l’ura di mangiare mittenno nonmeno di ducento firme e po’ si nni annòalla trattoria da Enzo. A malgrado dellabumma di mità matino tiniva pititto.

«Dottori, voli la zuppa delmigranti?».

«Enzo, per favore no. Non mi parlare

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di migranti. Che hai di bono, di bonovero?».

«Si vossia arrenunzia al primo con ilpisci, aio ’na cannicciola squisita!».

«E che è ’sta cannicciola?».«Sunno maccaroncini trapanisi con

cavuli e patati. È ’n’invenzioni di mèmogliere».

«E io ho avuto sempre fiducia in tòmogliere».

La cannicciola era da livari il sciato.Compinsò il tradimento fatto al pisci,

facennosi portare per secunno un piattodi trigli al sali. Ottime macari queste.

Niscì dalla trattoria tanticchiaaggravato per cui si rese ’ndispinsabili,a malgrado dei possibili fantasimi, la

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passiata al molo.Arrivò a passo lento, un pedi metti

l’autro leva, sutta al faro.S’assittò, s’addrumò ’na sicaretta e

taliannosi torno torno s’addunò diquanto fosse cangiato il porto.

Tanto la banchina quanto il vrazzo dimolo indove lui s’attrovava erano statidivisi in tante sezioni tutte transennate.Taliati da lontano, parivano ’na speci dilabirinto. Gli vinni logico pinsare cheerano meglio ’sti transenne mobilichiuttosto che mura e filo spinato comestavano pinsanno di fari tanti paesieuropei.

«Chi nni pensi tu dell’Europa?» spiòal grancio che dallo scoglio allato lo

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stava a taliare.Il grancio non gli arrispunnì.«Prifirisci non compromittiriti?

Allura mi compromitto io. Io penso chedoppo il granni sogno di ’st’Europaunita, avemo fatto tutto il possibili el’impossibili per distruggirinni lefondamenta stisse. Avemo mannato acatafottirisi la storia, la politica,l’economia ’n comuni. L’unica cosa cheforsi restava ’ntatta era l’idea di paci.Pirchì doppo avirinni ammazzati persecoli l’uni con l’autri non nni potivamocchiù. Ma ora ce lo semu scordati,epperciò stamo attrovanno la bella scusadi ’sti migranti per rimittiri vecchi enovi confini coi fili spinati. Dicino chetra ’sti migranti s’ammucciano i

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terroristi ’nveci di diri che ’sti povirazziscappano propio dai terroristi».

Il grancio che non voliva esprimiri lasò pinioni prifirì sciddricari nell’acquae scompariri.

Quanno arrivò ’n commissariato,Catarella l’avvirtì che gli avivatilefonato il dottori Cosma. Lo chiamònon appena s’assittò.

«Le volevo dire semplicemente chesto bene e stasera, se ci sarà bisogno dime, sono a disposizione».

Fazio e Augello s’arricamparo piccadoppo.

Montalbano rifirì ad Augello quelloche gli aviva ditto Osman.

«E mannaggia!» fici Augello.

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«E pirchì?».«Pirchì Fazio m’ha arriferuto di

quant’è beddra e brava ’sta Meriam».«Mimì, che fa? t’allisciavatu già i

baffi?».A ’sto punto si fici sintiri la solita

tilefonata di Sileci:«Abbiamo in arrivo, sempre verso

mezzanotte, più di trecento persone. Hogià avvertito tutti. Più uomini dei vostrici sono, meglio è. Ci vediamo al portostanotte».

«A quanti òmini potemo arrivari almassimo?» spiò Montalbano a Fazio.

«Dottore, chi voli ca ci dica?Sprimenno sprimenno arrivamo a ’nadozzina, di cui ’na mità sulo nell’ultima

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simana hanno dormuto ’na notti sì el’autra no».

«Vabbeni, pacienza Fazio, stringemo identi e annamo avanti».

«Allura, ristamo ’ntisi che se aiobisogno ti chiamo».

«T’aio già ditto che non c’èproblema, Mimì, chiuttosto pensa adavvirtiri a Osman».

La reunioni si scioglì.Appena misi pedi a Marinella, il

primo pinsero di Montalbano fu ditilefonare a Livia.

Livia vosi contato per filo e per segnotutta la facenna della picciotteddraviolentata.

Montalbano ne avrebbi fatto volanteri

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a meno, però sapiva che la sò zita nongli avrebbi dato scampo.

Finuta che ebbi la conversazioni,staccò la spina del tilefono e astutò ilcellulari. Po’ annò ’n cucina per vidiriquello che gli aviva priparato Adelina.

Raprì il frigorifero: vacanti.Spiranzoso currì al forno, lo raprì, si

sintì moriri il cori: vacanti.Ma Adelina era nisciuta pazza?Si era scordata di pripararici il

mangiare?E ora come faciva?Non aviva nisciuna gana di nesciri

fora di casa per tornare da Enzo. L’unicaera farisi ’n ovo fritto e tanticchia dipane e tumazzo.

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Fu quanno, santianno e con la faccinìvura, misi il padeddrino con l’ogliosupra ai fochi della cucina che s’addunòdi ’na pentola ’ncuperchiata dalla qualiproviniva un gradevoli sciauro.

Si bloccò, allungò un vrazzo a lento,affirrò il coperchio e lo isò tanticchia, ilsciauro si fici cchiù forti.

Era sciauro augurioso di baccalà.Livò il padeddrino e isò il coperchio,

taliò: baccalà con i passuluna.La vita tornò a sorridergli.Lo misi a quadiare a foco lento. Annò

a rapriri la porta-finestra, la sirata lopirmittiva epperciò conzò il tavolinetto.

Po’, ’nveci di mittiri il baccalà nelpiatto prifirì portarisi fora tutta la

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pentola.Ci misi un sacco di tempo a finiri

pirchì si godì ogni muccuni.Sconzò, annò ’n bagno, si corcò, chiuì

l’occhi, li raprì.Gli era vinuto un pinsero. Si lo livò

’mmidiato dalla menti e richiuì l’occhi.Ma le palpebre parivano essiri

carricate a molla. Immediatamenti siraprero. Il pinsero di prima gli tornò.

Cangiò posizioni e arriniscì a chiuirinovamenti l’occhi.

Un secunno doppo li sbarracòtalianno nello scuro e accapì che maisarebbi arrinisciuto a pigliari sonno senon faciva quello che doviva fari.

Si susì, annò ’n càmmara di mangiari,

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rimisi la spina del tilefono.Deci minuti doppo durmiva

profunnamenti.

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Sei Trasenno, spiò ’mmidiato a Catarella:«Ci sunno novità dello sbarco di

stanotti?».«Nonsi, dottori. Ma sapi comu si dici:

nisciuna novizia bona notizia».«Chi c’è in loco?».«Sulamenti Fazio».«Mannamillo».Parsi che il tilefono avissi aspittato

l’apirtura della porta del sò ufficio permittirisi a sonare.

«Ah dottori, ci sarebbi che c’è supraalla linia la signura Marianna Ucria la

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quali vorrebbi parlari di pirsonapirsonal...».

Montalbano l’interrompì:«Passamilla».«Buongiorno Meriam, mi dica».«Buongiorno dottore, telefono da

parte della signora Elena. Vorrebbeconferma per l’appuntamento di oggi».

«Certo. Come sta Leena?».«Sono passata a salutarla stamattina e

mi hanno detto che la dimetteranno amezzogiorno. Il dottor Sileci verrà conuna macchina a prenderla per portarla alcentro».

«Come l’ha trovata?».«Fisicamente bene, ma la notte è stata

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difficile. Pare che abbia avuto incubicontinui e non sia riuscita a riposare. Lesaprò dire meglio nel pomeriggio perchéle ho promesso che tornerò a salutarlaprima di mezzogiorno».

«Grazie».Chiuì la comunicazione e in quel

momento trasì Fazio che annò adassittarisi davanti alla scrivania.Montalbano notò che aviva la faccicchiù sbattuta del solito.

«Hai l’aria di chi ha perso la nuttata.Insonnia?».

Fazio sbottò:«Ma quale ’nsonnia e ’nsonnia! M’ero

appena addrummisciuto della bellaquanno che il dottor Augello mi chiamò

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per aviri ’na mano d’aiuto».«E che era successo?».«Dottore, ’sta motovedetta pariva ’n

asilo ’nfantili. C’erano ’na quinnicina dipicciliddri. Po’, appena lo sbarcoaccomenzò vinni a mancari la luci. ’Napoco di carusi scinnero ’n terra nelloscuro, ’n’autra poco ristaro supra allanavi. Quanno cinco minuti doppo tornòla luci, fatta la conta, ne ammancava unodi quattr’anni. Sò matre si misi a faricome a ’na Maria. Allura mentri che lostavano circanno ammatula banchinabanchina, il dottor Augello mi tilefonòper annare di prescia al porto e mittirimia capo di ’na squatretta per arritrovarlo.’Nzemmula con il dottor Osman persimo’n’orata senza arrinesciri a capiri

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indove si fusse ammucciato, quanno unmarinaro dalla motovedetta nni chiamò enni dissi di sospinniri le ricerche.Avivano attrovato a ’sto picciliddro che,nentidimeno, era annato a finiri nellasala machine. Quanno tornai a la mècasa non ce la fici a pigliari sonno».

«Beh» dissi Montalbano «meno maleche tutto si è risolto per il meglio».

«Dottore, però c’è un problemagrosso!» continuò Fazio.

«E qual è?».«Il problema è che i nostri picciotti

addetti allo sbarco si murmuriano.’Nzumma c’è molto malumori, e nonhanno torto, pirchì non si pò obbligari a’na pirsona a fari di jorno il servizio ’n

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commissariato e pirdiri macari la nuttataper aiutari a Sileci».

«Ma» obiettò il commissario «macarii sò òmini sunno nelle stissecondizioni».

«E ccà si sbaglia!» fici Fazio. «Sileciavi vinti agenti. ’Na notti decitravagliano e l’autri dormono, la nottiappresso travaglia chi ha dormuto.L’òmini di Sileci ponno fari un cambio.Nuautri semo sempre gli stissi».

Montalbano si nni stetti muto, ’nsilenzio.

Po’ affirò la cornetta e dissi aCatarella di chiamarigli al signori eguistori.

«Io pirsonalmenti» continuò Fazio

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«tanto per fari ’n esempio, ora come ora,non sarei ’n condizioni d’addistinguiriun catafero da ’n omo vivo».

Sonò il tilefono.«Montalbano! Sono il questore, mi

dica».«Un momento, mi scusi» fici il

commissario.Posò la cornetta, si susì addritta e

accomenzò a parlari a voci altirata.«E basta, perdio, con questa

discussione! Non voglio sentire unaparola in più! Via tutti e chiudete laporta!».

Mentri che Fazio lo taliava conl’occhi sgriddrati senza accapiri quelloche stava capitanno, Montalbano ci misi

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il carrico da unnici, detti ’na granmanata supra alla scrivania e continuò:

«Chiudete questa cazzo di porta!».Po’ s’assittò, pigliò la cornetta e

dissi:«Mi scusi signor questore ma...».«Ma che succede?» spiò allarmato

Bonetti-Alderighi che aveva ascutatoogni cosa.

«Succede che i miei dieci uomini disupporto a Sileci sono ormai allostremo. È da notti e notti che nonchiudono occhio. Sono venuti aprotestare».

La parola «protesta» allarmò ancorachiossà al questori.

«Senta Montalbano, se vuole posso

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venire io a Vigàta per parlare con...».Il commissario l’interrompì di colpo.Ci ammancava sulo Bonetti-Alderighi

pedi pedi!«Ma no, signor questore, non si

disturbi, è una cosa che posso risolvereda solo. Però così, mi creda, non si puòcontinuare ad andare avanti».

«Me ne rendo conto» fici il questori.«Lei non ha idea di quello che stofacendo per ottenere dei rinforzi, ma alMinistero fanno orecchie da mercante.Però forse uno spiraglio comincia adintravvedersi».

«Cioè?».«Pare che da qualche giorno gli

scafisti abbiano cambiato rotta. Ora

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sembra che puntino verso le isolegreche. Se ciò dovesse essereconfermato, la pressione su di noi siallenterebbe di molto».

Poveri greci, pinsò Montalbano,all’annegato petri d’incoddro. Si tinniperò ’sto pinsero per sé e spiò:

«E se non viene confermato?».«Se non sarà così, tra due, tre giorni

facciamo una riunione e vediamo cosa sipuò fare. Buon lavoro» e chiuì lacomunicazioni.

Fazio che aviva sintuto laconversazioni attraverso il vivavociallargò sconsolato le vrazza:

«Spiramo che i picciotti tenno ancoraper dù jorni, ma a mia mi pare sempre la

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solita storia: sàvuta ’u trunzu e va ’nculu all’ortolano».

Stava per susirisi e annari a mangiareda Enzo quanno quel mallitto tilefonosquillò:

«Ah dottori, ci sarebbi che c’è la sòzita, la signurina Livia, che...».

«Passamilla».Si squietò, non era cosa di Livia

chiamarlo in ufficio.«Livia, che c’è?».«No, niente, non ti preoccupare. Ti

volevo ricordare che oggi alle tre...».Montalbano s’abbuttò.«Me l’hanno già ricordato. Grazie».Livia ebbi il torto di ’nsistiri.

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«Allora posso stare tranquilla?».E ccà il commissario addicidì di farle

scuttari la tilefonata:«D’altra parte non c’era bisogno di

ricordarmelo. È impossibile dadimenticare una donna come Elena».

«Sei il solito stronzo» dissi Livia, cheaviva accaputo la sisiata.

Arrivò da Enzo che non c’era squasinisciuno.

«Dottori, mè mogliere ha fatto ’napasta che è ’na cosa...».

«Nenti primo piatto!» dissi arrisolutoil commissario.

E subito appresso strammò. Ma pirchìaviva ditto quelle parole? E tutto’nzemmula accapì che le aviva ditte per

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pura e semplice vanità. ’Na botta digiovinezza ma accussì stolita chel’illudiva che sarebbi abbastato unpiatto di pasta in meno per farlo arrivarida Elena senza la panza di quelsissantino che era.

«Allora che le porto?» spiò Enzo.«La pasta di tò mogliere» s’arrinnì

Montalbano.Enzo sorridì e spiò:«E doppo la pasta?».«’Na virdurina sconnita» dissi il

commissario che evidentementi nons’era arrinnuto del tutto.

Po’, siccome che s’era fatto tardo,’nveci d’annari a farisi la solita passiatamolo molo, s’addiriggì verso il bar, si

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vippi ’n espresso doppio e s’avviò, unpedi leva l’autro metti, verso la sartoria.

Gli vinni a rapriri come la prima votaMeriam.

«Leena era contentissima di rivedere isuoi genitori» fici mentri chel’accompagnava lungo il corridoio. «Ah,la sa una cosa: il dottor Sileci mi hadetto che i due violentatori, che comediceva lei erano anche gli scafisti, sonostati accusati di stupro e difavoreggiamento all’immigrazione. Latestimonianza del ragazzo è statafondamentale».

La prima cosa che notò Montalbano,trasenno nel granni salone, foro dùgrossi pacchi ’ntorno ai quali il vecchioe il picciotto stavano trafichianno.

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Elena gli si fici ’ncontro sorridenno.’Ndossava un vistito verdi oltremari.

«Buongiorno commissario, chepiacere averti di nuovo qui. Ti ho fattopreparare il tè».

«Grazie» fici sfoggianno un gransorriso fàvuso «ci speravo» e s’assittònella poltruna che la sarta gli ’ndicò.

Po’ Elena s’accomidò allato a lui e glipruì la tazza di tè.

Montalbano addicidì di usari la stissatecnica dell’autra vota e di migliorarla:svacantò la tazza in un solo muccuni.

Elena equivocò:«Ne vuoi ancora?».«No, grazie. Basta così».

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Po’, tanto per parlari, ’ndicanno i dùgrossi pacchi che oramà erano squasidel tutto rapruti, spiò:

«Nuovi arrivi?».«Sì» fici Elena «e sono curiosa di

vedere se mi hanno mandato tutto».«Fai pure» dissi Montalbano.«Grazie» arrispunnì lei, susennosi e

avvicinannosi al tavolo.Da un pacco accomenzò a tirari fora

’na gran quantità di rotoli di stoffi cheallineò supra al piano. Po’ uno dei dùaiutanti pigliò le scatole oramà vacanti ese le portò fora dalla càmmara.

Montalbano era affatato daimovimenti di Elena: le sò manocarizzavano a leggio i tessuti, chiuttosto

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che toccarli pariva che li sintissi contutti e cinco i sensi. Socchiudiva l’occhie si portava la stoffa supra alle guance,la sciaurava, la riposava e poi laripigliava ’n mano strofinannolaripetutamenti tra il pollici e l’innici:

Tutto ’nzemmula Elena si firmò.Po’ fici:«Toh! Guarda che bella grisaglia, se

fosse arrivata prima poteva essereperfetta per il tuo vestito». Pigliò ilrotolo, s’avvicinò a Montalbano, glielofici vidiri e toccari. «Non credi?» spiò.

Ma prima che il commissario avissipotuto arrispunniri continuò:

«Ma no, ma no, vedrai che il frescolana ruggine ti piacerà di più».

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Po’ ripigliò a rapriri e chiuiri i rotoli.Ad un certo punto l’occhi le

sbarluccicaro chiossà.«Finalmente! Erano anni che non

riuscivo più a trovare questo cotone!».Po’ isanno la voci chiamò: «Meriamcorri, è questa la mussola di cui ti avevoparlato».

Meriam s’avvicinò ’ncuriosuta.«Senti» continuò Elena tinenno la

stoffa ’n mano «sembra cotone, omeglio, sembra la pianta di cotonequando la guardi muoversi al sole».

E allura ci fu come un fermo ’mmaginisupra di lei mentri che ’ntorno tutticontinuavano a cataminarisi. Elena si nniristava ferma ’mmobili con l’occhi

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pirduti darrè a un pinsero lontano.Appresso, come se uno avissi fatto

ripartiri l’immagini, Elena si scotì eaccomenzò a raprire i rotoli di stoffauno appresso all’autro fino acummigliare tutto quello che c’era supraal tavolo.

Avivano i colori del diserto: i beigedella rina, i luminosi virdi delle oasi,l’azzurri sconfinati dei celi e i blu nottidei turbanti dei Tuareg.

Meriam intanto sfiorava i tessutisquasi che avissi scanto di danniggiarli:

«Elena, che meraviglia! Mi ricordanole bende che mia nonna usava perfasciare i bambini. Dobbiamo fareattenzione, è una stoffa traditrice, molto

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delicata e facile agli strappi» eaccomenzò a ripiegarli con estremadilicatizza.

«Vieni Salvo» fici Elena.Montalbano si susì e le si misi allato.«Senti, senti che morbidezza. Io non

capisco come questa mussola possarestare così leggera pur avendo, adifferenza di tutti gli altri cotoni simili,una trama tanto spessa e complicata».

Montalbano, per non sapiri leggiri néscriviri, toccò la stoffa. Fettivamentipariva di aviri tra le dita l’aria, ma’n’aria frizzantina e bellissima.

«Non puoi immaginare da quantotempo vado cercando questo tessuto. Neebbi due rotoli una vita fa, quando

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avevo la mia sartoria al nord. È uncotone libanese, che viene chiamato, nonci crederai, “Principessa Sicilia”».

«E come mai?» spiò sorridenno ilcommissario.

«Non mi ricordo bene tutta laleggenda, pare che questa principessalibanese che si chiamava Sicilia, erastata costretta ad una navigazionesolitaria e lunghissima per raggiungerequeste coste allora deserte».

«Non ne avevo mai sentito parlare»dissi Montalbano.

«Tocca» continuò Elena.S’interrompì, taliò il commissario, vinnicome pigliata dalla prescia: «Ti stofacendo perdere troppo tempo».

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«Ma no, figurati».«Nicola, per piacere, andiamo a fare

la prova». Elena, con passo spidito, lopriciditti nel corridoio verso ilcammarino, seguitata dal vecchio sartoche tiniva ’n mano ’na gruccia supra allaquali ci stava della roba appisa.

Oramà pratico della cosa,Montalbano si livò la giacchetta mentriche il sarto gli faciva ’nfilare il latomancino di ’na mezza giacca.Gliel’aggiustò bona supra alla spalla epo’ lassò campo libero a Elena.

Elena si misi a taliare come cadiva.S’avvicinò a Montalbano e piglianno lagiacchetta per l’orlo ’nferiori, gli detti’na tirata, po’ arritrò novamenti e ristò ataliare. S’avvicinò daccapo, ripiegò

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tanticchia l’orlo della manica. Doppoprigò a Montalbano di isare e abbasciariil vrazzo, si fici dari dal sarto il gessettoe signò tutto torno torno alla manica ’naspeci di circolo. Appresso accomenzò ataliare attentamenti l’attaccatura dellamanica, fici ’na smorfia, gliela sollivòdù o tri vote e po’ fici ’n autro signosupra alla spalla con il gesso. Infini, conun colpo secco, gli staccò la manica etaliò l’interno di quella speci di mezzogilecco che ristava supra a Montalbano.

Macari ccà fici dù o tri signimisteriusi e dissi:

«Nicola, aiuta il commissario atogliersela. La prova è finita».

Il sarto l’aiutò macari a rimittirisi lasò giacchetta.

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«Nicola, secondo te quando possiamodare l’ultimo appuntamento al dottore?»fici Elena.

«Tra tre giorni» arrispunnì l’aiutanti.«Allora ti aspettiamo qui alla stessa

ora. Faremo la prova del vestitocompleto, anche dei pantaloni».

Niscero dalla càmmara e s’avviarotutti verso il saloni.

Montalbano s’avvicinò al tavoloindove che Meriam stava ripieganno tuttii rotoli.

«Meriam, volevo ancora ringraziarlaper il suo aiuto e grazie anche a te,Elena, per la tua comprensione».

Mentri che parlava tiniva la manomancina appuiata supra al tavolo e tutto

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’nzemmula sintì qualichi cosa che gligracciava il dorso e ’na nuvola biancache si cataminava supra al tavolo.

«Ahi!» fici, cchiù per la sorprisa cheper il dolori.

«T’ha graffiato?» spiò Elena.«No» dissi Montalbano «non è niente,

è un graffietto superficiale».«Brutto cattivo!» dissi Elena alla

nuvola bianca che ’ntanto eraaddivintata un gatto.

«Scusami, ma è tutto il giorno cheRinaldo è strano e fastidioso. Non mi siscolla di dosso. Forse sente unterremoto in arrivo».

«O forse gli sono semplicementeantipatico io» fici Montalbano,

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accomenzanno a nesciri dal salonidoppo aviri salutato l’autri lavoranti.

Elena lo seguì con il gatto ’n vrazzo e,all’altizza del cammarino, raprì ’naporticeddra indove che si vidivano dellescali.

Posò il gatto ’n terra, gli detti ’naliggera botta al culo:

«Rinaldo torna su» dissi,ammuttannolo verso i primi gradini.«Come vedi» fici chuienno la porta«faccio casa e bottega. Io abito quisopra».

Avivano fatto appena tri passi nelcorridoio quanno il commissario’nciampò in qualichi cosa.

Taliò e vitti che quel qualichi cosa era

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Rinaldo.«Ma è il tuo gatto?» sclamò. «Come

ha fatto ad aprire la porta?».Elena sorridì:«È un gatto molto intelligente. Fa un

salto, si appende alla maniglia e cosìl’apre!».

Si calò a pigliarisillo novamenti ’nvrazzo.

«Stai buono Rinaldo, ma che cos’haioggi? Mamma non sta uscendo, sta quicon te, non va via».

E po’ arrivolta a Montalbano:«Non so proprio che gli succede. È

così irrequieto e non fa che aumentare ilmio nervosismo».

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«C’è qualcosa che non va?» spiò ilcommissario.

«No, no, lasciamo perdere».Per un istanti la sò facci cangiò. ’Na

nuvola liggera oscurò per un attimo laluci dei sò occhi.

Po’ Elena l’accompagnò, lo vasò, maa Montalbano parsi che avissi la testapigliata da tutt’autri pinseri.

Era appena nisciuto dalla sartoriaquanno ’na pirsona gli si parò davanti:

«Buongiorno commissario, chefortuna! Avrei proprio bisogno discambiare qualche parola con lei».

Montalbano, che l’avivaarraccanosciuto ’mmidiato, fici ’na facci’ncuriosuta pirchì quella pirsona gli

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stava profunnamenti ’ntipatica:«Scusi, ma lei chi è?» spiò brusco.«Sono Filippo Zirafa» fici l’omo «del

“Gazzettino Siciliano”. Ci siamo giàparlati altre volte...».

Zirafa era cognito per i sò articoliviolenti contro ai migranti. Propio perquesto stava supra ai cabasisi delcommissario.

«Non mi ricordo di lei. Cosa vuole?».«Vorrei farle due domande su...».«Non concedo interviste» tagliò

Montalbano.Ma l’autro non s’arrinnì:«Allora solo un commento. Mi è

giunta voce che presso l’ospedale di

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Montelusa è stata ricoverata unagiovanissima migrante vittima di unostupro avvenuto durante la traversata».

«Ah, sì?!!» fici Montalbano cadennodalle nuvole.

«Sì. Ora io vorrei sapere da lei cosane pensa di questi cosiddetti migrantiche si spacciano per dei poveridisgraziati in cerca di salvezza e cheinvece violentano una ragazza. Misembra chiaro che questi siano solo deidelinquenti, dei terroristi che vengonoprima a rubarci il lavoro e poi astuprare le nostre donne. È d’accordo?».

«Pienamente» dissi Montalbano. «Ledirò anche di più. Solo che mi devepromettere di non rivelare la fonte».

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«Certo. Glielo prometto».«Pare che durante la traversata ’sti

migranti si abbandonino a vere e proprieorge. Una volta mi è stato riferito chehanno addirittura organizzato una festadi compleanno con tanto di musica,canti, luminarie e balli».

Il giornalista lo taliò con la vuccarapruta, ma subito dopo s’arripigliò:

«Lei mi vuole prendere in giro?».«Me ne guardo bene» fici il

commissario «io ho il massimo rispettoper la stampa».

Allungò un vrazzo, spostò a Zirafa eripigliò a caminare mentre quello ristavamuto e strammato a taliarlo.

Alla solita reunioni delle quattro con

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Augello e Fazio, Mimì contò, con tutti idettagli, la facenna del picciliddro chela notti avanti era scomparuto per essiripo’ arritrovato nella sala machine.

«Il problema» fici Montalbano «è chebisogna evitare in tutti i modi che cisiano contrattempi di ’sto tipo durantegli sbarchi».

«E come si può fare?» fici Fazio.«’Na mezza idea ce l’avria».In quel momento trasì Sileci. Fazio gli

cidetti la sò seggia.«Comu semu cumminati stanotti?» gli

spiò il commissario.«La situazione seria è».«Cioè?».

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«Cioè: verso l’una sono previste duenavi per un totale di quattrocentoventimigranti con almeno quattro morti edieci feriti gravi».

«Maria!» sclamò Fazio. «Avvertosubito al dottor Osman».

«Quanti uomini hai a disposizione?»spiò Montalbano a Sileci.

«I soliti dieci».«Eh no!» fici Montalbano. «Stavolta

te ne porti appresso almeno quindici. Imiei sono sfiniti e io non posso darti piùdi cinque uomini».

Sileci accapì di aviri tirato troppo lacorda, allargò le vrazza e s’arrinnì.

«C’è un’altra cosa» dissi Montalbano«i pullman sono troppo distanti dalla

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nave. I migranti scendono quaranta allavolta, facciamo che da ora in poi ilpullman si trovi già ai piedi dellascaletta mentre quelli cominciano asbarcare in modo che resti loropochissimo spazio per eventuali fughe.Inoltre volevo chiederti che tutti gliautisti dei pullman restino a bordo e sidispongano a semicerchio in modo che,in caso venisse a mancare la luce,possano accendere tutti i fari per averevisibilità. Chiaro?».

«Chiarissimo» fici Sileci.La reunioni si scioglì. Montalbano si

firmò tanticchia ’n ufficio. Prima dinesciri chiamò a Livia, le dissi che erastato alla prova e che avrebbi avuto lanuttata ’mpignata dallo sbarco, po’ niscì

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e si nni annò a Marinella.Nel frigorifiro c’era un piattoni di

sarde marinate con oglio e aranci.Montalbano se le mangiò fridde davantialla tilevisioni.

Quella sira davano «Chi l’ha visto?»,e a lui quel programma l’intiressavapirchì gli capitava ’na cosa curiosa: dicerti casi di scomparsa o ammazzatinelui subito pinsava a quali sarebbi statala pista migliori d’assicutare e ’nveci,puntualmenti, i sò colleghi ne pigliavano’n’autra.

E po’, come mai, pur disponenno ditecnologie avanzatissime, che ai sòtempi sulo James Bond possidiva, ’stinovi mezzi finivano per complicari lecose ’nveci di farle cchiù facili?

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’Nzumma, era come per la midicina: idottori avivano pirduto l’occhio clinicoe s’affidavano all’analisi, la poliziastava pirdenno l’intuizioni e accittavapassivamenti i risultati scientifici.

E questo in un paìsi indove tuttis’improvvisano poliziotti, medici ligali,giudici e piemme dividennosi incolpevolisti e innocentisti con la stissa’ntensità dei tifosi che vanno alla partitadi calcio.

Po’ fattasi l’ura, astutò e accomenzò apripararisi per la nuttata.

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Sette La prima cosa che fici fu di pigliari

dall’armuàr dei vecchi jeans, non volivaspardare ’n autro paro di càvusi boni,però gli vinni difficili assà arrinesciri a’nfilarisilli, quindi si stinnicchiò supraal letto, arritirò la panza e po’trattenenno il respiro e contannomentalmenti uno, dù e tri, finalmentichiuì la lampo.

La secunna cosa fu di vivirisi ’nacicaronata doppia di cafè con tanticchiadi correzioni di whisky.

Appresso ’ndossò il solito giubbotto,niscì, chiuì e si nni partì.

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S’addunò, appena arrivato supra allabanchina, che Sileci aviva mittuto ’npratica il sò consiglio: i pullman eranoassistimati in semicerchio e gli autisti sinni stavano ognuno al posto di guida.

Stavota, in aggiunta all’ambulanze,c’erano macari delle camionette consupra ’na poco di sacchi per cataferi.

Il dottor Osman e Sileci gli annaro’ncontro:

«Naturalmente» dissi il dottore«siamo d’accordo che scendono prima iferiti, poi i migranti e alla fine facciamorecuperare i morti».

«Va bene» fici Montalbano.«A che distanza dalla passerella si

deve fermare il primo pullman?» spiò

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Sileci.«Mettiamo tre uomini ad ogni lato

della passerella che fanno come uncorridoio che porti i migrantidirettamente allo sportello del pullman.Se questo metodo funziona, è chiaro chepotremo in seguito ridurre notevolmenteil numero degli uomini impegnati neglisbarchi. Che ne dite?».

«Proviamo» arrispunnì Sileci che eravisibilmenti morto di stanchizza.

Po’ il sò cellulari squillò. Sileciascutò, chiuì la comunicazioni e dissi:

«La prima nave è fermaall’imboccatura del porto».

«La pilotina dov’è?» spiòMontalbano.

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«Aspetta al solito posto».«Allora andiamo» fici il commissario

arrivolto ad Osman.Non aviva fatto manco tri passi che

sintì arrivare a ’na machina ad altissimavilocità sgommanno. Po’, ’na frinatalacirante.

L’autisti dei pullman, va a sapiripirchì, addrumaro contemporaneamentitutti i fari.

Dalla machina scinnì Catarella cheera completamenti alluciato eriparannosi l’occhi con le mano facivavoci:

«Dottori Montalbano! DottoriMontalbano! Pir carità si firmasse, pircarità non s’imbaccasse!».

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Montalbano strammò. Ma che stavacapitanno?

«Spegnete quelle luci» gridò, mentriche corriva verso Catarella. «Ccà sugno,Catarè. Che fu?».

«Ah dottori, dottori. ’N’ammazzatinatirribilissima ci fu!».

Il commissario si vitti perso.Iniziò a trafichiare per pigliari il

cellulari dalla sacchetta dei jeans cheristavano troppo stritti. Ghittò ’nabiastemia, il cellulari niscì e ordinò aCatarella:

«Arrisbiglia a Fazio e digli di annare’n loco».

Montalbano intanto aviva composto ilnummaro di Augello:

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«Mimì, vieni subito al porto».«’N mutanne sugno».«E veni ’n mutanne. Io mi nni devo

ghiri e tu devi abbadari allo sbarco. Giàa bordo ci sunno quattro morti e si nonarrivi in tri minuti addiventano cinco.Chiaro?».

«Scusami» spiò Mimì. «Ma perché tene vai?».

«Mi vinni ’na botta di pititto» ficiMontalbano e chiuì la comunicazioni’nterrompenno la litania di santioni cheAugello aviva ’ntonato.

«Ma che successi?» spiò a Catarella.«Dottori, attilefonò al tilefono ’na

guardia notturna di sicurizza notturna, laquali dissi che aviva scopruto un

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tirribilissimo dilitto mentri che faciva lasicurizza e che ristava ’n loco inaspittanza di nuautri».

«Lo sai l’indirizzo?».«Sissi dottori. Via Calibardo 62».«Ora ci vaio» fici Montalbano «e tu

tornatinni ’n commissariato».Il dottor Osman gli tagliò la strata:«Potrei sapere che...».«Sì, dottore. È avvenuto un delitto.

Sta arrivando Augello per sostituirmi.Mi scusi ma devo proprio scappare».

Stringì la mano al dottore e partì pervia Garibaldi che era una parallela divia Roma.

’Ndividuò subito la guardia notturna

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che si nni stava addritta allato a unportoni mezzo aperto. Scinnì.

«Montalbano sono. Che è successo?».«Dottore, io stavo facendo il solito

giro quando ho notato questo portoneche in genere è chiuso, lasciato aperto.Mi sono affacciato e dalle scale ho vistola porta dell’appartamento spalancata.Era tutto illuminato. Mi sonopreoccupato e sono entrato in casa. Hochiesto se c’era qualcuno, ma niente. Poimi sono affacciato nelle varie stanze e inbagno ho visto degli asciugamani buttatia terra. Nel corridoio, alla fine, c’è unascaletta. L’ho scesa e, mi scusi, dottore...non riesco a parlare. Lì ho vistol’orrore».

Ma Montalbano non lo stava a sintiri

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cchiù. Di colpo le gamme gli eranoaddivintate di ricotta. Ebbi ’na speci divirtigini che l’obbligò ad appuiarisi conuna mano al muro, po’ addimannò:

«Ma... è... la sartoria... la sarta...Elena?».

«Sì, sì, commissario. L’hannoammazzata nel salone. Dottore, non puòimmaginare... che mattanza!».

Fu in quel priciso momento che arrivòFazio ’n machina. Scinnì, rinnennosisubito conto dello stato di Montalbano:

«Dottore, che fu? Non si sentebene?».

Montalbano gli fici ’nzinga diaspettari un momento. Aviva nicissità diripigliari sciato.

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Po’ finalmenti raprì la vucca:«Hanno ammazzato a Elena. La

sarta».Stava lentamenti ripiglianno il

controllo supra a se stisso. S’arrivolgìalla guardia notturna:

«Per favore, lasci il suo nome enumero di telefono all’ispettore Fazio»fici e sempre appuiannosi al muro, trasìdintra al portoni e accomenzò adacchianare la scala, tinennosi forti almancorrenti.

Se le gamme erano di ricotta i pedis’erano fatti di chiummo.

Fazio lo raggiungì supra alpianerottolo.

«Dottore, avverto il circolo questri?».

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«No, prima damo ’n’occhiatanuautri».

Trasì nell’appartamento ma non sifirmò a taliare le càmmare.

Arrivò alla fini del corridoio eaccomenzò a scinniri la scaletta cheportava al piano di sutta. S’arritrovòdavanti al cammarino di prova es’addiriggì verso il salone, ma allatrasuta si firmò.

Aviva bisogno di un momento dipriparazioni prima di essiri ’n grado diaffrontari l’orrore, come aviva ditto ilguardiano notturno. Ma per lui l’orroreera doppio.

Sintiva assurdamenti ’n’intimità conquel luogo. Aviva visto Elena sulo dù

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vote in vita sò, ma era come se fossiaddivintata ’n’amica. Era bastato piccaper sintirla squasi come una di famiglia.

Po’ arrisoluto fici dù passi. Trasì e sifirmò novamenti. Il corpo di Elenas’attrovava ’n terra allato al grannitavolo. Aviva ’ndosso un vistito diversoda quello del doppopranzo, che ’na votaevidentementi era stato chiaro e ora nons’accapiva cchiù di che colori fossipirchì il sangue l’aviva completamentiassammarato.

E sangue c’era macari tutto tornotorno sui tappita di cocco e ’na poco dischizzi erano ghiuti a finiri macari sullestoffi dintra allo scaffali.

Elena giaceva supina, la manomancina supra alla panza, il vrazzo

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destro stinnicchiato fino a sutta altavolo. Arriniscì a fari ancora tri passiavanti, con Fazio sempri muto alle sòspalli.

Po’ si calò a taliare meglio.Era stata ammazzata con una gran

quantità di colpi d’arma da taglio. Esubito appresso accapì che forse l’armadel delitto era ’na grossa e longa forficida sarto che stava supra al tavolo mache però appariva senza tracce disangue.

A ’sto punto non riggì cchiù e sintì ilbisogno di annarisi ad assittare supraalla poltruna.

Si nni stetti accussì ’n silenzio fino aquanno Fazio arripitì la dimanna:

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«Dottore, posso avvertire...».«Sì».Fazio tirò fora il cellulari e

s’allontanò nel corridoio. Appena ristòsulo Montalbano, sempri assittato,accomenzò a taliare torno torno.

La prima dimanna che gli venni ’nmenti fu:

«Come mai con tutto questo sanguenon ci sono impronte delle scarpedell’assassino?».

Allura si susì, ’ncrociò Fazio nelcorridoio che stava ancora parlanno eannò a controllari. La porta a vetri erachiusa con la chiave dall’interno. Laraprì. La saracinesca era abbasciata etinuta ferma da un catinazzo. Richiuì e

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tornò nel cammarone.Per nesciri da quella casa, l’assassino

doviva di nicissità essiri riacchianatonell’appartamento. Ma come? Volanno?

«Ho avvirtuto tutti» dissi Fazio,mentri che lui si riassettava supra allapoltruna.

Fazio s’avvicinò alla morta, stannoattento a indove mittiva i pedi. Po’s’acculò e pigliò a taliarla da vicino.

Appresso si susì e annò ad assittarisinella poltruna allato a Montalbano che sinni stava con la testa pigliata tra lemano.

«Dottore» spiò a voci vascia «che fa?Per caso l’accanosciva?».

«Sì, era un’amica. La vitti oggi».

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Fazio, notanno che il commissariocontinuava a essiri particolarmentistravolto, azzardò:

«Ma era ’n’amica amica o sulo’n’amica?».

«Era ’n’amica. Ed era macari la mèsarta. Proprio oggi, nel doppopranzo, mifici la prova del vistito».

Fazio accapì che ’na parola sarebbistata picca e dù sarebbiro state assà.

Cangiò argomento.«La notò macari vossia la cosa

stramma?».«Quali cosa?» fici Montalbano supra

pinsero.«Il corpo è tutto lacirato da colpi, nel

collo, nella panza, nella facci, nelle

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vrazza, però il petto è ’ntatto».«Sarà stato un caso» dissi il

commissario.«Eh no, dottore. Se l’arma del delitto

è la forfici supra al tavolo, la facennanon è stata primiditata, è stato un delittod’impeto. E allura come si spiega cheuno che duna colpi all’urbigna nonpiglia mai, macari pir caso, la particchiù ampia del corpo?».

«Fazio, fammi un favuri. Parlamonecchiù tardo. Ora non ce la pozzo fari».

E tutto ’nzemmula gli tornò ’n menti ilgatto.

«Rinaldo!».Fazio sgriddrò l’occhi.«Cu è Rinaldo?».

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«Il gatto» fici Montalbano. «Perpiaciri, riacchiana nell’appartamento.Vidi se ci sta un gatto. Un gatto bianco,di quelli pilusi».

Fazio niscì.Montalbano non arrisistì al bisogno di

fumarisi ’na sicaretta.Isò l’occhi a lento e li posò supra al

catafero di Elena.Per un attimo, ma sulo per un attimo,

se la rivitti addritta, sorridenti, che sicarizzava la facci con la sò stoffaspeciali... come s’acchiamava... laprincipessa... la principessa di Sicilia!

... e fu in quel priciso momento chevitti che, allato alla forfici, ci stava unpezzo di stoffa ’nsanguliato. Si susì di

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scatto, lo annò a taliare da vicino senzatoccarlo e accapì che si trattava di unoscampolo granni del tissuto che Elenagli aviva fatto carizzare. Sulo che eraripiegato come se fusse stato ’na specidi fasciacollo e po’ tirato con violenza,tanto che s’era strazzato a mità.

Il fumo della sicaretta gli dettifastiddio, l’astutò con la mano e si misiil mozziconi ’n sacchetta. Tornò adassittarisi.

«Dottore» dissi Fazio trasenno«circai il gatto ma non l’attrovai. Va asapiri indove si può essiri ammucciato.Capace che sta supra a un armuàr omacari se n’è nisciuto di casa».

Non aviva finuto di parlari cheMontalbano notò un liggerissimo

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movimento nello scaffali delle stoffidarrè al tavolo. Po’, ogni cosa tornò’mmobili. Ma il commissario non staccòcchiù l’occhi da ddrà. E la sò pacienzavinni primiata pirchì picca appresso ilmovimento s’arripitì.

Fu sicuro: era Rinaldo. A costo difarisi gracciare ’n’autra vota, si susì,annò allo scaffali e chiamò a vocivascia:

«Rinaldo».Allura capitò ’na speci di miraculo.

Dal funno della scaffalatura spuntò lafacci del gatto che lo taliava fisso.

«Rinaldo, vieni qua».Il gatto niscì ancora cchiù fora.Montalbano, senza parlari, allungò un

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vrazzo e posò la mano supra al piano diligno. Rinaldo avanzò a lento,s’avvicinò fino a sciaurarigli la mano,po’ gli detti ’na liggera liccata supra aun dito.

Montalbano lo pigliò con le dù mano,il gatto non fici resistenza, anzi, ma fu inquel momento che s’addunò che tutto ilpilo da bianco era addivintato rosa delsangue della sò patrona. E notò macariche tutte le zampe del gatto erano cchiùrusse del pilo, forse Rinaldo si eraavventato contro l’assassino. Quindi, loriposò con sdilicatizza supra alloscaffali. Gli grattò tanticchia il musso egli dissi:

«Stattene buono ccà, Rinà!».Da fora s’accomenzaro a sintiri le

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sirene della polizia.«Devi essiri la scientifica» fici Fazio.«Vagli ’ncontro. Io acchiano a dari

’na taliata».Volli subito accanosciri la

disposizioni dell’appartamento,epperciò raprì la prima porta a manodritta.

Era ’na cucina ampia, che ricordavale vecchie cucine siciliane con lemattonelle colorate supra al forno, c’era’na porta che dava in una càmmara dimangiari, spaziusa.

Niscì, tornò nel corridoio es’addiriggì nell’urtima càmmara a manodritta: un gran saloni aligantissimo chinochino di libri.

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Annò a rapriri la porta d’infacciindove che c’era ’na cammareddra perl’ospiti con un lettino, allato trovò unbagno granni e colorato e po’ a seguiri cistava la càmmara di Elena con unaporticeddra che dava nel bagno interno.Come aviva ditto la guardia notturna, cistavano degli asciucamani ghittati ’nterra.

Sintì arrivare quelli della scientificache accomenzavano ad acchianare lascala, allura s’appricipitò nella cucina eaccostò la porta con la punta del pedi.

Non voliva vidiri a nisciuno.Accomenzò a taliarisi torno torno.La cucina era in un ordini pirfetto.

Scopirchiò il portamunnizza e si fici

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pirsuaso che Elena aviva mangiato conqualichiduno.

A ’sto punto sintì la voci del dottorPasquano che, passanno per il corridoio,santiava pirchì era stato arrisbigliato ’nmezzo alla nuttata. Montalbanos’ammucciò darrè alla porta.

Passato Pasquano, tornò nellacàmmara appresso.

Era un saloni grannissimo ecuratissimo: tappita preziusa a terra, ’nadormusa antica ricoperta all’orientali,un lettino da fumatori d’oppio cangiatoin divanetto e tantissimi enormi cuscinaper assittaricisi supra. I mura a manomanca e a mano dritta erano cummigliatida mensole stipate di libri e statuette.Libri e po’ vasi di Caltagirone, piccoli

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oggetti tutti d’oro, casette greche,terrecotte del Maghreb, ceramichetunisine, pariva ’na speci di bazar delMediterraneo.

’Na vitrinitta, simili a una di quelledei cabinetti medici, continiva ’na granquantità di rivisti di moda maschili.

Niscì daccapo nel corridoio e trasìnella cammareddra dell’ospiti con unarmuàr nico e un letto singolo che erastato priparato per la notti.

Supra alla coperta ci stavano degliasciucamani ripiegati.

Appresso il bagno spaziuso e’mmaculato.

Infini trasì nella càmmara indove chedormiva Elena. Era enormi,

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bianchissima, e il sò letto, a tri piazze,era cummigliato di lini bianchi.

Allato ai dù commodini, ’nvecidell’abat-jour, tiniva dù lampade a stelodai cappelli enormi e sempri candidi.Un armuàr colossali, sempri color luna,ricopriva tutta ’na pareti. L’unica notacolorata della càmmara era ’nascrivania blu notti con tri cascioni amano dritta e tri a mano manca. Allatoalla scrivania, la trasuta per il bagnoindove ci stavano tanto ’na docciamoderna e tutta di vitro, quanto ’navecchia vasca coi piduzzi di lionirimittuta a novo.

Montalbano si calò a tastiari i dùasciucamani ghittati ’n terra tra la vascae la doccia. Erano ancora umidi.

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Allura fici scorriri la porta delladoccia.

S’addunò che era stata usata di recentipirchì supra alle pariti di vitro c’eraancora qualichi guccia d’acqua.

Evidentementi Elena, prima o doppoaviri mangiato, si era fatta ’na doccia, siera vistuta diversa per ’ncontrarisi conla persona che l’avrebbi ammazzata.

D’altronde non potiva essiri statol’invitato della cena a usari la doccia,masannò avrebbi adopirato il bagnodell’ospiti.

Sempri faticanno, tirò fora il cellularidalla sacchetta e, parlanno a vocivascia, chiamò a Fazio:

«A che punto è il dottor Pasquano?».

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«Ha quasi finuto, dottore».«Allura quanno sta per ghirisinni,

portamillo supra. Accompagnalo nellaprima càmmara a mano dritta appenaacchianate le scali. Ma non gli diri chelo voglio vidiri».

«Va bene, dottore».Tornò nella cucina e mentri che si

stava assittanno il sò cellulari sonò.Meno mali che aviva la porta mezzo

chiusa.«Salvo» era Augello con ’na voci

lamintiusa «ccà sta succedenno uncasino della malavita. Non potissilasciari cinco minuti e viniri...».

«No» tagliò Montalbano.Po’ sintì la voci di Pasquano mentri

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che acchianava:«Ma com’è che non abbiamo avuto

all’illustre commissario tra i cabasisi?Date le vicchiaglie non ce la fa a susirisidal letto?».

«Ccà sugno» fici Montalbanoraprenno la porta e parannoglisi davanti.

Per la surprisa il dottore sfagliò. Ficiun passo narrè e annò a sbattiri contro aFazio:

«Ma come? Ce l’ha fatta arisorgere?».

«Ho bisogno di farle qualchedomanda» fici Montalbano ritrasennonella cucina.

Pasquano e Fazio lo secutaro.«Secondo lei da quanto tempo è

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morta?».«Facemo ’n accordo preventivo: tri

dimanne sule e poi basta pirchì io staiomorenno di sonno».

«D’accordo».«Secunno mia da non chiossà di tri

ore. Dicemo verso le unnici passated’aieri a sira».

«La secunna dimanna voli essiri ’naconferma: è stata ammazzata con laforfici?».

«Crio di sì. Le firute sono troppolarghe e profunne. Compatibili con laforfici da sarto. Io nni ho contatevintidù, delle quali almeno quattromortali. Avanti con l’urtima!».

«Quanto ha perso a poker?».

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«Bonanotti» fici Pasquano, taliannolosdignuso, votannogli le spalli e niscennofora.

«Accompagnalo, Fazio» dissi ilcommissario.

«Non aio bisogno diaccompagnamento. Contrariamenti a leiancora ce la fazzo» fici Pasquanoallontanannosi, cimianno per ilcorridoio.

Fazio e Montalbano si taliaro.«È arrivato il piemme Tommaseo?».«Nonsi, dottore, sarà annato a sbattiri

contro qualichi àrbolo. La scientificadici che sarà ’na facenna longa. La sapi’na cosa? Hanno pigliato il gatto el’hanno mittuto dintra a un sacco».

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«E pirchì?».«Pirchì dicino che le unghie del gatto

sono tutte chine di sangue,probabilmente non si tratta sulo delsangue dell’ammazzata, capace che hagracciato all’assassino».

«Facemo ’na cosa» dissi Montalbano«io ccà non aio cchiù nenti chi fari. Minni vaio ’n commissariato. Appena chehanno finuto mi raggiungi. Avemo daavvirtiri ai famigliari. Puoi’nformariti?».

«Vabbeni» fici Fazio.Si misi ’n machina ma ’nveci d’annari

verso il commissariato puntò al porto.Appena arrivò notò che non c’era cchiùnisciuno.

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A distanza vitti a Mimì Augello ches’addiriggiva solitario verso la sòmachina.

Accomenzò a lampeggiari e a sonariil clacson.

Mimì si firmò e si votò.Arraccanobbi la machina di

Montalbano e battì la mano destra supraal ralogio come a diri:

«A chist’ura ti prisenti?».Montalbano frinò. Scinnì.«Mimì, non mi scassare la minchia.

Lo sai a chi ammazzaro? A Elenaammazzaro. Alla sarta».

Augello parsi addivintare ’na statuadi sali:

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«Alla bella Elena...» murmuriò.«Ma ccà allo sbarco che successi?»

spiò Montalbano.«Non mi scassare tu la minchia! Ma

come ammazzaro a Elena? Ma che fu?Ma che successe? Le spararo? ’Nincidenti? Ma come cazzo è possibile?».

«Mimì, non lo saccio. L’hannoattrovata dintra alla sartoria sconciatada minimo vintidù forficiate».

«Con ’na forfici?».«Sì. ’Na forfici da sarto di quelle

longhe e grosse».«Sarà stato qualichi amante arrefutato.

Pirdiri ’na fìmmina come quella non ècosa facili da supportari».

«Non lo saccio Mimì. Saccio sulo che

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chi l’ha fatto, l’ha fatto con tutto l’odio ela ferocia possibili. Ma me lo vuoi diriche è successo ccà sì o no?».

Mimì però parsi aviri pirduto ogni’ntiressi a quello che era capitato nellosbarco.

«Salvo, che ti pozzo diri? Il tuo pianofunzionò a doviri. Il casino scoppiò nelmomento nel quali i parenti dei quattrocataferi s’arrefutaro di acchianare supraal pullman. Volivano ristari allato ailoro morti. Sulo che Sileci era contrarioe accussì finì a sciarriatina. Tri o quattromigranti si nni approfittaro per tintari discapparisinni. Fu a ’sto punto che io titilefonai».

«E po’?» spiò Montalbano.

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«E po’ finalmenti il dottor Osmanarriniscì a mittiri paci. E a ’sto punto tisaluto, mi nni vaio a dormiri».

«Addio!» fici Montalbano isanno latesta e tornannosinni verso la sòmachina.

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Otto Posò la mano supra alla maniglia per

rapriri la portera ma cangiò idea. Sisintiva la testa pisanti come se avissi ipinseri tutti arravugliati nel ciriveddro.Forsi tanticchia d’aria di mari gliavrebbi giovato.

Si misi a caminare e arrivò sul bordodella banchina.

Ccà si firmò e accomenzò a respirariprofunno e a ogni muccuni d’aria delsciauro della notti che gli trasiva neipurmuna, sintiva scioglirisi i pinseri.Avvirtiva che il sò ciriveddro tornavaliggero e pronto.

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Allura si nni trasì ’n machina, misi ’nmoto ma non partì.

Turciuniannosi con tutto il corpo esantianno arriniscì a tirari fora ilcellulari dalla sacchetta.

Chiamò a Fazio:«A che punto siti?».«Dottore, ccà n’avemo per ’n’autra

orata, orata e mezzo».«Va bene. Ce l’hai sotto mano il

numero di Meriam?».«Sissi, dottori. Ho il cellulari e il

fisso».«Dammilli tutti e dù».Posò il tilefono supra al posto allato

al sò e non trovanno un foglietto pulito si

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scrissi i nummari sul darrè del librettodella machina e finalmenti si nni partìdiretto in via Alloro.

Davanti al nummaro 14 firmò. Pigliòil cellulari e chiamò il fisso di Meriam.Il tilefono squillò a longo prima che lavoci assonnata della fìmminaarrispunnissi:

«Pronto! Ma chi è?».«Il commissario Montalbano sono».Nitidamenti sintì che il respiro di lei

si firmava. Po’ subito appresso spiòallarmata:

«È successo qualcosa a Leena?».«No».«Devo venire al porto?».

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«No. Ho bisogno di parlare con lei».«Va bene. Tra mezz’ora...».Montalbano l’interrompì:«Sono sotto alla sua casa. Appena lei

è pronta mi apra».Scinnì dalla machina. La chiuì.

S’addrumò ’na sicaretta e s’avvicinò alportoni.

Doppo tanticchia sintì la voci di lei:«Commissario, è lì?».«Sì».Il portoni fici clic, Montalbano

l’ammuttò, trasì e si fici le scali a lentopinsanno a quali paroli adoperari perdari la tinta notizia a Meriam.

Lei l’aspittava davanti alla porta

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aperta.I sò occhi ’ncontraro subito a quelli di

Montalbano e fu come se gli avissiliggiuto nel pinsero pirchì la sò facci sistracangiò di colpo ma non dissi nenti.Si scostò quel tanto che abbastava perfari passari al commissario. Chiuì laporta, lo priciditti nel salottino, gli fici’nzinga d’assittarisi.

Lei ’nveci ristò addritta, muta, senzastaccarigli l’occhi di supra.

Po’ dissi:«Glielo faccio un caffè?».«Volentieri» fici il commissario che

non sapiva ancora da indoveaccomenzare.

Meriam niscì di cursa come se fossi

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sollivata da non ristari chiossà nellastissa càmmara con lui. O perlomeno eraquello che pinsò Montalbano.

Troppe vote si era sintuto ’n aceddrodel malagurio, troppe vote era statocostretto a trasire nella vita della genticon le sò malenove che avrebbirodistrutto l’esistenza a quella stissa genti.

E nonostante ’ste troppe vote, ancoranon aviva attrovato la manera giusta perportari ’ste notizie o perlomeno per fariaddivintarle meno gravose per lui stisso.

Meriam ci misi tempo assà prima ditornari con la guantera e il cafè eMontalbano, taliannola, vitti che avival’occhi russi e che si era annata a lavarila facci.

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La fìmmina s’assittò senza parlari.Montalbano si vippi il cafè e stava

per raprire la vucca quanno Meriam lopriciditti:

«Si tratta di Elena, vero?».Per picca il cafè non gli annò di

traverso, come aviva fatto a ’ndovinari?Era perplesso ma nello stisso tempo sisintiva sollivato pirchì la fìmmina glistava arrisparmianno la peggio parti delsò travaglio.

«Sì» fici.Lei si pigliò la facci tra le mano e

accomenzò a chiangiri silenziusa, ilcorpo scosso dai singhiozzi che circavad’assufficari, po’ dissi:

«Mi scusi» si susì e niscì novamenti.

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Doppo picca minuti Meriam ritrasìnella càmmara. Tornò ad assittarisi estavota fu Montalbano che parlò perprimo:

«L’hanno ammazzata» dissi.«Quando?» spiò lei, ma cchiù che per

la voci, Montalbano accapì la dimannadal movimento delle sò labbra.

«Verso le undici di ieri sera».«Come?».«Con una grossa forbice da sarto».«Ma chi può essere stato?» spiò

Meriam cchiù a se stissa che alcommissario.

«Non so risponderle. Ora mi dicaperò perché ha pensato ad Elena».

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«Commissario, non lo so... ieripomeriggio quando siamo andati via,io... io ho avuto una strana sensazione. Inverità, la signora Elena poco dopo chelei aveva finito la prova ci haletteralmente cacciati dal negozio. Hadetto che aveva bisogno di stare da sola.Ma era evidentemente nervosa, moltonervosa, tanto che mentre parlavastrappava con le mani le stoffe che eranoarrivate. Io non l’avevo mai vista così.È stata quasi sgarbata, maleducata.Perfino con Nicola».

«Perché con Nicola?».«Sa, commissario, Nicola si

considera un po’ il papà di Elena. Suamoglie è morta e i suoi figli vivono alnord. Passa gran parte della sua giornata

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al negozio e spesso, anche quando Elenachiude, lui resta lì, a lavorare, a metterea posto, a pulire, insomma per lui lasartoria è casa. E ieri sera Elena hadovuto quasi mandarlo via a maleparoleperché Nicola voleva restare».

«Lei ha qualche idea sul motivo delnervosismo di Elena? Qualchesospetto?».

«Elena è molto riservata. Non parlaspesso delle sue cose».

«Sa se ha parenti?».«I suoi genitori non ci sono più ed era

figlia unica. Non so se abbia parentiprossimi ma conosco bene sua cognatache è qui in paese».

«Elena ha un marito?».

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«Sì, un vigatese, ma è morto tanti annifa e lei, vedova giovanissima, ha decisodi venire a vivere qui perché va moltod’accordo con sua cognata Teresa».

«Mi potrebbe dare l’indirizzo?».«Certo, via della Regione 18, ma

quando ci andrà vorrei essere presente.Temo che Teresa non regga...».

«Sì, va bene. In mattinata, prima diandare la avvertirò».

«Sì, grazie».Calò silenzio. Po’ Meriam, quasi

vrigognosa, addimannò:«Dov’è adesso?».«Credo ancora nel salone della

sartoria. È lì che l’abbiamo trovata».

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Meriam fici ’na facci strammata:«Pensavo» dissi «che fosse... fosse

nel suo appartamento».«Perché?».«Non so. Sa... la sartoria è solo per i

clienti... Quando ci ha cacciato via hopensato che lei aspettava qualcuno chenon voleva che noi incontrassimo».

«Forse ha ragione: pare che Elena nonabbia cenato da sola. E poi, non soperché, è scesa giù con l’assassino.Devono avere avuto una discussione...».

Ma a ’sto punto Meriam non ce la ficicchiù.

Accomenzò a dondolarisi avanti enarrè, sempri assittata, mentri che dallelabbra le nisciva ’na speci di cantilena

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lamintiusa. Le paroli erano in arabo ma isoni parivano pricisi ’ntifichi a quellidelle procissioni del vinirdì santo.

«Meriam...» la chiamò a voci vasciail commissario.

Ma lei manco lo sintì.Allura Montalbano si susì, le

s’avvicinò, le fici ’na liggira carizzasupra alla testa, niscì dalla càmmara,scinnì le scali, raprì il portoni, si rimisi’n machina e s’avviò verso ilcommissariato. Ma si limitò a passaricidavanti pirchì aviva addiciso d’annari aMarinella e di livarisi quei mallitti jeansche gli pariva di stari dintra a ’nagaggia.

Quanno che trasì ’n casa s’addiriggì

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sparato ’n càmmara di dormiri.Si stinnicchiò supra al letto. Stavota

contò fino a cinco, tirò narrè la panza efinalmenti arriniscì a calarisi i jeans cheperò s’arristaro all’altizza delle scarpi.Se le livò e santianno della mala si calòe con ’na mossa da fachiro potti sfilari’na gamma del pantaloni ches’arrovisciò e con quella agguantò l’orlodell’autra gamma come se fossi il jocodel tiro alla fune.

Finalmenti libero s’annò a scigliri,per la leggi del contrappasso, un paro dicazùna che gli stavano larghissimi e sinni niscì di cursa.

Al posto di Catarella dormiva ’nautro agenti che gli arrisultòscanosciuto. Ci passò davanti senza

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arrisbigliarlo e annò a rapriri la portadella càmmara di Fazio.

C’era e macari lui dormiva dellabella, si nni stava appuiato con la testasulle vrazza che a loro vota stavano’ncrociate supra al tavolino. Gli posò’na mano supra alla spalla e lo scotì.

«Ehh!» fici Fazio raprenno l’occhi.«Veni di là».Fazio in un vidiri e svidiri si scrollò

di dosso la faticata e il sonno e lo seguìnel sò ufficio.

«Dottore, prima di tutto ci vorrei diri’na cosa stramma che capitò».

«E dimmilla».«Mentri che il circolo questri si nni

era ghiuto e avivano mittuto i sigilli alla

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porta, arrivò di cursa un vecchio con unpacchetto ’n mano e quanno mi spiò cheera successo, io gli contai la facenna.Matre santa, dottori! Io non m’aspettavoalla reazioni ch’ebbi! Si misi a chiangirisubito come a un dispirato. Io miscantavo che cadiva ’n terra el’agguantai, po’ siccome non si riggivaaddritta me lo portai nella mè machina elo fici assittare. Doppo, quanno arriniscìa calmarisi tanticchia mi spiegò che eraun lavoranti della sartoria e che avivaduranti la notti cucinato ’na ciambellaper portarilla alla signura Elena. Esiccome accapivo che forsi potivadirinni qualichi cosa me lo sono portatoccà. È di là nel salottino».

«Devi essiri Nicola. Vallo a pigliari».

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Il vecchiareddro trasì, tinutopraticamenti addritta da Fazio, e quannoche Montalbano s’avvicinò gli si ghittòfra le vrazza.

«Coraggio, Nicola!» gli fici ilcommissario facennolo assittari.

Nicola posò il pacchettino supra altavolo.

«Lei» fici Montalbano «era solitofarlo ogni matina?».

«Chi cosa?».«Portarle la colazione».«Nonsi. Ogni matina no. Qualichi

vota».«Elena s’arrisbigliava sempre accussì

presto?».

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«Nonsi dottore, verso le setti. Peròio...».

E ccà si firmò.«Vada avanti».«Però io ebbi ’na mala nuttata».«Pirchì?».«Pirchì non arrinisciva a livarimi

dalla testa quello che era capitato aieridoppopranzo».

«Che capitò? Me lo può contare?».«Sissi. Appena che ficimo la prova

del sò vistito, Elena vosi che ni nnighissimo tutti fora dalla sartoria. Esiccome io voliva ristari pirchì c’eraancora assà da fari, mi pigliò amaleparole. Non l’aviva mai fatto.M’arricordò che io non ero autro che un

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semplici lavoranti e che era lei che daval’ordini. Dottore, ma io lo so che nonera quello che pinsava, lo diciva suloper farimi arraggiare e farimi nesciri.Allura macari se io lo sapiva che nunera vero, misi tutte le stoffi nelloscaffali, po’ con l’autri sgombrammo iltavoloni e ni nni niscemmo. Io mi nnitornai a la mè casa apprioccupato assàassà».

«E lo sapi quali potiva essiri ilmotivo di tutto ’sto nirbùso di Elena?».

«Nonsi dottore, nonsi. Lei sel’arricorda com’era mentri chefacevamo la prova? Sorridenti comesempri, sirena, e po’ cangiò di colpo.Volli che tutti ni nni annassimo via pirchìera chiaro che vuliva ristari da sula.

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Però...».«Vada avanti».«Però, dottore, io scantato ero. Allura

dato che Elena aviva chiuiuto lasaracinesca della sartoria, mi nni annaiin via Garibaldi e mi misi vicino alportoni. M’ero fatto pirsuaso cheaspittassi a qualichiduno e che fusseproprio ’sta visita a farla addivintareaccussì nirbùsa. Mi nni stetti ddràun’orata, nisciuno niscì, nisciuno trasì, eallura mi nni tornai a la mè casa».

«Mi ascolti attentamente» ficiMontalbano. «Quando io me ne sonoandato, Elena è salita nel suoappartamento?».

«Nonsi, dottore. Tornò ’mmidiata nel

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saloni».«’N’autra dimanna: poco prima che

lei vi dicesse di andare via, ricevette’na chiamata al cellulare o al fisso?».

«Nonsi, dottore. Non ci fu nisciunatilefonata. Dottore, m’avi a cridiri, aierinenti capitò. Si qualichi cosa capitò fusulamenti nella testa di iddra. E io nonmi nni daio paci».

«Nicola, Meriam mi ha accennato alfatto che Elena ha una cognata, ma nonmi ha detto altro. Lei la conosce?».

«Certo, Teresa Messina! Sapi, sunnocchiù che cognate, parino soro! Teresaavi dù picciliddri che sunnoaffezionatissimi a Elena. Maria! MatreSanta! E ora chi ce lo dici! Teresa avi

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perso il frati, ’u patre, la matre, e oramacari Elena! Nonsi, dottore, non c’ègiustizia! Cu è che potiva voliri mali a’na fìmmina accussì bona, ginirosa, digran cori! Vero è, i meglio si nni vannosempre prima!» e ripigliò a chiangiri.

Montalbano lo lassò sfogari tanticchiae appresso gli dissi:

«Senta, Nicola, avrò sicuramenteancora bisogno di lei...».

Fazio l’interrompì:«Aio già nummaro e indirizzo».Nicola si susì. Montalbano gli pruì la

mano, po’ l’attirò a sé e tornò adabbrazzarlo.

«Si faccia forza» gli dissi.Nicola lo taliò nell’occhi e fici:

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«E pirchì?».«Perché purtroppo la vita continua»

fici Montalbano e po’ arrivolto a Fazio:«Fallo accompagnare a casa».

Fazio tornò squasi subito.«Dimmi della scientifica» dissi il

commissario.«L’assassino, siccome si era sporcato

di sangue, si è certamente tolto lescarpe, ha evitato accuratamente dilasciare sue tracce, è salito al piano disopra, è andato nel bagno della signoraElena e si è fatto la doccia. Lascientifica ha trovato del sangue nellacabina. Quasi sicuramente della vittima.Lo hanno prelevato per l’esame.Un’altra cosa: sulla porta scorrevole

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della cabina non ci sono improntedigitali e nemmeno sui rubinetti. Segnoche l’assassino ha cancellato leimpronte con gli asciugamani. Nessunatraccia, nemmeno sulle forbici.Probabilmente sono state ripulite con ilpezzo di stoffa che c’era accanto».

«Tu come la pensi?» spiò ilcommissario.

«Dottore, chista è ’n’ammazzatinapassionali secunno mia. ’Na cosa’mprovisa scaturita forsi da ’nadiscussioni. Resta però il fatto chel’assassino le ha risparmiato il petto».

«E che dice la scientifica aproposito?».

«Dicino che è praticamente

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’mpossibili che sia un caso. Che c’è ’napricisa ’ntenzionalità di aviri scansato ilseno».

«E che verrebbe a significari?».«Boh!».«Tu lo sai che devi fare ad

accomenzari da stamatina stissa?».«Sissi, dottore».«E cioè?».«’Na fìmmina accussì aviva

sicuramente a qualichi omo appresso».«Sugno d’accordo con tia. Allura

bongiorno» fici il commissario.«Bongiorno» arrispunnì Fazio,

susennosi e niscenno dalla càmmara.Montalbano taliò il ralogio. S’erano

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fatte le setti.A chist’ura Livia si stava sicuramenti

piglianno il primo cafè del matino. Ficiil nummaro di Boccadasse.

«Livia?».«Che c’è Salvo?» arrispunnì sorprisa

e prioccupata.«Ho una brutta notizia: Elena, la sarta,

è stata assassinata stanotte».«Ma quanto sei stronzo!» fici Livia e

riattaccò.Montalbano s’arraggiò.Ma lo faciva tanto cinico da babbiare

supra a ’na cosa come la morti?Era accussì nirbùso che sbagliò dù

vote a rifare il nummaro.

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Po’ risintì la voci di lei:«Senti, Salvo, non ti facevo così

cretino da...».«Stammi a sentire, Livia, parlo sul

serio».Dal tono lei accapì che Montalbano

non babbiava.«Oddio! È vero?».«Verissimo, purtroppo. L’hanno

trovata assassinata nella sua sartoria».Sintì che Livia si era mittuta a

chiangiri.«Mi dispiace, Livia. Ti richiamo in

serata» fici il commissario.E ora viniva la cosa cchiù pesanti:

l’aceddro del malagurio doviva ancora

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’na vota fari il misteri sò, ma macari sipotiva alliggiriri tanticchia il volo,epperciò tilefonò a Meriam:

«Come sta?».«Così. Deve andare da Teresa?».«Sì. Ma ho saputo che ha dei figli.

Sono ancora piccoli? Vanno a scuola?».«Sì. Li accompagna lei tutte le

mattine».«Poi va a lavorare?».«Sì. Ma lavora da casa».«Che ne dice se ci andassimo verso le

nove?».«Va bene» dissi Meriam «se vuole

passo io in commissariato, qui nonriesco più a stare».

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«Va bene».Tutto potiva aspittarisi meno di

vidirisi compariri davanti a MimìAugello.

«Ma non eri morto di sonno? Chi fici?Ti passò?».

«Mi passò, sì».«E come fu?».«Per dù motivi: in primisi pirchì ho

pinsato che se tu ti ghietti cavaddro ecarretto supra a ’st’indagine portannotiappresso a Fazio veni a significari cheresto io sulo, lo strunzo, che ogni notti sinni devi annare al porto per l’inevitabilisbarchi. Ti pare giusto?».

«No, Mimì, non mi pare giusto. Ma atia ti pare giusto che abbiano ucciso a

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forficiate a ’na povera fìmmina?».«No. E chisto è il secunno motivo di

cui ti parlerò tra ’n attimo».«Allura dimmi tu come s’arrisolve

’sta situazione».«Tilefona al questori e digli che semo

’mpossibilitati a travagghiare ancoraaccussì».

Montalbano attrovò giusta l’idea.Sollivò la cornetta e dissi a Catarella:«Chiamami al signori e guistori e

appena ce l’hai me lo passi».L’ebbi in linea ’mmidiato.Il questori annava ’n ufficio di prima

matina e quella era l’ura giusta perattrovarlo ancora concilianti col munno

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esterno. Misi il vivavoci.La prima dimanna del questori fu:«Montalbano, come sta?».«Bene, lei?».«Non mi posso lamentare. Mi hanno

appena riferito del delitto di questanotte».

«Appunto di questo le volevo parlare,signor questore. Non credo che saràun’indagine facile. Come le avrannoriferito, risulta da un primo esame chel’assassino non abbia lasciato alcunatraccia. Io con l’ispettore Fazio saremoseriamente impegnati in questainchiesta».

«E quindi?» spiò il questori.«E quindi agli sbarchi rimane solo il

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vicecommissario Augello. Lei capisceche se già prima la situazione erainsostenibile, adesso... Augellodovrebbe teoricamente ogni nottepresenziare agli sbarchi e trovarsi inufficio anche durante il giorno».

«E quindi?» rispiò il questori.«E quindi la chiamo per chiederle di

poter essere esonerati da questoservizio».

«Non è possibile» fici diciso ilquestori.

«Ma signor questore, Augello è unessere umano non un robot...».

«Montalbano, faccia come fa Sileci».«E che fa Sileci?».«È stato esonerato da me dal servizio

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diurno. Mi faccia una richiesta perAugello e io gliela firmo».

«Va bene. Buongiorno».«A lei commissario. Aspetto sue

notizie» fici il questori riattaccanno.Mimì parsi pigliato dal diavolo.«E che sugno? Un guardiano notturno?

E poi io per come sono fatto nonarrinescio a dormiri di jorno».

«Mimì, che vuoi che ti dica. Veni adiri che non dormi né di jorno né dinotti».

«Tu sì ’na carogna. Lo sai che ti dico:che da stasira ’n poi, si tu mi vuoi diriqualichi cosa mi veni ad attrovari doppola mezzannotti supra alla banchina» sisusì e fici per nesciri.

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Montalbano lo firmò:«Aspetta, prima d’annari, dimmi qual

era la secunna raggiuni che non ti ficipigliari sonno».

«Pinsavo all’ammazzatina di Elena.Era ’na fìmmina che si faciva voliri benida tutti, aviva dato travaglio a tanta genti’n paìsi. Non è che avissi scassatofamiglie, moglieri giluse, rotture dicabasisi. Però è altrittanto evidenti chechisto è stato un dilitto passionali. Ora,se pirmitti, io sugno la pirsona cchiùcapaci per accapiri come vanno ’stecose. Di ’sti storie di fìmmine io nnisaccio chiossà di tutti. Ma oramà robapassata è. Vaio a fari il guardianonotturno e ti saluto».

Montalbano non lo firmò.

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Mimì raprì la porta e niscì nelcorridoio.

Non passaro chiossà di dù minuti chela porta si raprì novamenti e Mimìricomparse tinenno suttavrazzo a ’napirsona che il commissario nonaccanosciva.

«Ho l’onore di presentarti ilceleberrimo Salvo Montalbano.Commissario, ti presento il mio amicocarissimo Diego Trupia».

Ma Diego Trupia non sorridì. Ristò’mmobili sulla porta.

Augello si lo livò da suttavrazzo e lotaliò:

«A proposito, Diego, ma che faiqua?».

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Trupia, che era a malappenaquarantino, àvuto, con tutti i capilli ’ntesta, ’na varvuzza ben curata, vistuto dapicciotto e con un corpo evidentementisportivo, arrispunnì con ’na voci flebiliflebili:

«Avrei bisogno di parlare con ilcommissario».

«Ma pirchì, Decù? Che successi?Ammazzasti a qualichiduno?».

«Io no. Ma ammazzaro a la mèElena».

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Nove A ’ste paroli, Augello sfagliò come a

un cavaddro. Fici ’na speci di nitrito,taliò con l’occhi sbarracati all’amico:

«Che significa “la mè” Elena?».«Significa quello che ho detto».Montalbano accapì subito che Trupia

non aviva nisciuna gana di parlaridavanti ad Augello. Epperciò dissi:

«Per favore, lasciatemi solo con ilsignore».

Mimì lanciò ’n’occhiata sdignusa aTrupia e niscì fora dalla càmmarachiuienno la porta.

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«Si accomodi» fici il commissario’ndicannogli la seggia davanti allascrivania.

Trupia s’assittò. Non appariva nénirbùso, né scantato. Era forsi in undisagio profunno, e ’nfatti taliò aMontalbano e dissi:

«Non so da dove iniziare».«Allora comincio io» fici il

commissario. «Come ha saputo deldelitto?».

«Dottore, io vivo da solo e hol’abitudine di andare a fare colazione inun bar sotto casa mia e lì, stamattina, hosentito due che parlavanodell’assassinio di Elena. Per poco nonsono svenuto. Poi, facendomi forza, mi

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sono precipitato in via Garibaldi e hovisto i sigilli. Allora sono corso dinuovo a casa mia. Avevo bisogno di starsolo, di ragionare, di capire il modomigliore per...».

E si firmò, non sapiva come annareavanti.

«Per venire ad illustrarci la suaposizione?».

«Sì».«Lei stava con Elena?».«Sì».«Da quanto tempo?».«Meno di due anni. Non era una storia

alla luce del sole ma ho pensato che erameglio che venissi io perché tanto primao poi il mio nome sarebbe saltato fuori».

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«Ha fatto benissimo».«Voglio subito dichiarare che non ho

ammazzato Elena».«Ha saputo al bar come è stata

uccisa?».«No».«A forbiciate».Trupia ebbi un sussulto. Fici ’na facci

sdisolata e addolorata. Si portò ’namano davanti alla vucca ma non dissinenti.

«Quand’è stata l’ultima volta che l’havista?» addimannò Montalbano.

«Tre giorni fa, commissario. Non lasentivo e non la vedevo da allora»arrispunnì l’omo circannod’arripigliarisi.

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«Come mai?».«Avevamo litigato».«Perché?».«Le avevo chiesto di sposarmi».«Ed Elena ha detto di no?».«Non solo. Era offesa e molto

arrabbiata. Mi ha giurato che se avessiinsistito, il nostro rapporto si sarebbechiuso lì».

«Le diede qualche spiegazione delrifiuto?».

«No, mi disse soltanto che era statasposata una volta e che le era bastato».

«Quindi quando lei ha affermato chela vostra non era una storia alla luce delsole, significava che era Elena a volerla

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tenere segreta?».«No, in verità anche a me è andata

sempre bene così. Quando l’hoconosciuta non avevo altri legami eanche lei, almeno spero, non aveva altrestorie. Ci piaceva stare insieme eabbiamo sempre fatto in modo che inostri fossero incontri speciali.Avevamo tutti e due pauradell’assuefazione e della routine».

«E allora perche le ha chiesto disposarla?» dissi Montalbano, che queltipo di scanto l’accanosciva bono.

«Ora, sembrerà ridicolo, io nonvolevo sposarmi ma negli ultimi tempi,in diverse occasioni, ho come intuito chea Elena non bastassero più questifuggevoli incontri notturni. Che avesse

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bisogno di, come dire, di una presenzapiù assidua, di protezione, dirassicurazione. Era una donnagenerosissima che non chiedeva mainulla agli altri, sempre disposta a dare,senza pretendere niente in cambio. Maera stanca. Ho sentito che non ce lafaceva più a reggere da sola tutto il pesodella sua vita e allora mi è parso giustochiederle di condividere questo peso.Mi creda, la mia proposta di matrimonioveniva da un bisogno che avevoavvertito in lei e non da una mia vogliadi accasarmi».

«Forse si è sbagliato, visto il rifiutodi Elena».

«Commissario, io non vorreisembrarle presuntuoso ma credo che il

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rifiuto sia stato provocato dalla suaincapacità di aprirsi fino in fondo. Perquello mi ha cacciato con violenza fuoridi casa ed è per questo che io mi eroripromesso di non chiamarla. Ma noncredo che avrei resistito ancora. Giàstamattina mi ero svegliato con unpensiero fortissimo di lei. Ma mai avreiimmaginato che la forza di quel pensieroera legata alla sua morte».

A Montalbano piaciva comeragionava quell’omo.

A prima vista pariva un liccato figliodi papà, ma ’nveci tiniva cori eciriveddro e li faciva funzionare bono.

«Lei che fa?».«Ho una piccola casa editrice. Mio

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nonno mi lasciò tanti soldi, mi eroappena laureato in lettere. Potevoviaggiarci, girare il mondo, insommaavrei potuto vivere di quell’ereditàsenza mai lavorare. Invece ho seguitol’insegnamento di nonno: condivideretutto con tutti. Allora, essendo stato luiun forte lettore, ed io un grande amantedella letteratura contemporanea, hodeciso di fare dei libri. Pochi,sceltissimi, benissimo stampati. Non èche rendano molto ma ho la pretesa chepossano giovare a chi li compra».

La considerazioni che Montalbanoaviva di Trupia aumentòvirtiginosamenti. Ma c’era ancora ’nazona d’ùmmira:

«Mi scusi, e com’è che è amico di

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Augello?».«Conosco Mimì da una vita. Si figuri

che m’ha aiutato anche a distribuire lemie prime edizioni in giro tra le nontantissime librerie siciliane».

«Torniamo all’argomento» dissiMontalbano. «Devo purtropporivolgerle la domanda di rito».

Trupia l’interrompì:«Vuole sapere dove mi trovavo ieri

sera?».«Me lo dica».«Questo è un problema. Ieri sono

andato a mangiare al solito ristorante.Potevano essere le nove, sono uscitoalle dieci e mezza e sono tornato a casaa vedere la televisione. Siete riusciti a

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stabilire a che ora è stata assassinataElena?».

Fino a ’sto punto era statocalmissimo, ma quanno ripronunciò ilnome della fìmmina, di colpo glispuntaro le lagrime.

Montalbano si susì, annò a pigliaritanticchia d’acqua, inchì il bicchieri,glielo pruì mentri che diciva: «Non piùtardi della mezzanotte».

Trupia finì di viviri. Posò il bicchierisupra alla scrivania, allargò le vrazza:

«Allora non ho nessun alibi».Fu a ’sto punto che il tilefono squillò:«Dottori, dottori, ci sarebbi che c’è la

signura Marianna Ucria che...».«Va bene. Falla trasire».

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«Dottori, non ce la fazzo a trasirglielain quanto che non attrovasi in loco masupra alla linia».

«E allura passamilla».Montalbano s’arrivolgì a Trupia

addimannanno scusa per l’interruzioni.Po’ sintì la voci di Meriam:«Commissario, mi ha or ora chiamato

Stefano, il marito di Teresa, che mi hachiesto di raggiungerlo subito a casaperché ha bisogno d’aiuto».

«Che è successo?» fici allarmatoMontalbano.

«Teresa, dopo aver accompagnato ibambini a scuola, è andata al mercato elì ha saputo tutto...».

Si dispiacì assà per il modo in cui

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Teresa era vinuta a canuscenza dellamorti di sò cognata ma ’n funno ’n funno,arringraziò il caso che gli avivaarrisparmiato per ’na vota di fari la partidell’aceddro del malagurio.

«Quando pensa che potrò vederla?».«La chiamo io appena arrivo da

loro».«D’accordo, aspetto la sua chiamata».Montalbano posò il ricevitori e dissi:«Torniamo a noi. Elena era

particolarmente nervosa ultimamente?».«No. Come le ho detto non l’ho vista

negli ultimi tre giorni, ma fino ad alloraera normale, come sempre».

«Sa se aveva avuto qualche contrasto,qualche dissidio, qualche lite?».

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«Che io sappia no. Elena,commissario, era estremamenteriservata. Lei ha avuto modo diconoscerla?».

«Sì. Credo di essere stato il suoultimo cliente» fici Montalbano.

«Forse avrà notato che era moltosocievole, facile all’amicizia. Manonostante questa sua apparentedisponibilità era assai discreta edifficilmente creava rapporti di intimità.Anche con me, non è mai entrata in unavera confidenza».

«Strano, a me aveva fattol’impressione opposta».

«Probabilmente era una facciata.Questa sua apparente socievolezza era

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un modo di proteggere la sua vera naturasolitaria e schiva».

«Mi è stato raccontato del suorapporto stretto con la cognata Teresa.Lei la conosce?».

«Sì, la conosco, ci siamo vistiqualche volta a cena con altri amici, manon credo che Teresa sapesse dei mieirapporti con Elena».

«Posso sapere i nomi di questi amicie amiche di Elena?».

«Sì commissario, non credo che nesapranno più di me, ma qualche nomeposso farglielo».

«Le parlò mai del suo matrimonio?Della sua famiglia? Della morte delmarito?».

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«Ci crede che ho saputo del maritosolo pochi mesi fa?».

«E che le ha detto?».«Poco. Mi raccontò che erano due

giovani stilisti in Veneto, mi sembra.Che si conobbero all’Accademia dellaModa, si sposarono quasi subito e che ilmarito morì poco dopo. Forse per unamalattia? Non ho avuto il coraggio dichiederglielo, commissario. Elena misembrava già troppo provata da quelbreve racconto».

«Grazie» fici Montalbano «per ora mibasta».

Si susì, annò alla porta, dissi qualichicosa, tornò ad assittarisi.

Fazio s’apprisintò subito.

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«Signor Trupia, la prego di seguirel’ispettore che verbalizzerà tutto quelloche mi ha detto. Gli dica anche i nomi egli indirizzi degli amici della signoraElena e da quando e come l’haconosciuta. Le chiedo la cortesia dipoter essere rintracciato in qualsiasimomento e quindi di non muoversi daVigàta».

Gli pruì la mano, Trupia la stringìseguitanno a Fazio.

Appena che la porta si chiuì, ebbi ’nabotta di stanchizza ’mprovisa e’mmidiata.

’Na nuvola nìvura densa e pisanti glicalò dintra alla testa, s’appuiò sulle sòvrazza che s’erano ’ncrociate supra allascrivania.

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Chiuì l’occhi e, a lento a lento,accomenzò a sciddricari all’interno di’na speci di tubo chino chino di ovattanìvura come l’inca e alla fini non avvirtìcchiù nisciun movimento. Erasprofunnato nel Gran Nulla.

Po’, dal silenzio di quel Nulla,accomenzaro a proveniri echi primalontani, po’ sempre cchiù vicini, di soniumani che via via addivintaro frammentidi paroli:

«ori... ori!... chi?... Maria!... aiut...ori... ori... chi fa?».

Avvirtì che le sò spalli vinivanoviolentementi scotute e, scossa doposcossa, ripigliò a riemergirifaticosamenti alla superfici.

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’Na scossa cchiù forti dell’autra glifici sbattiri la fronti supra al ligno dellascrivania.

Santiò, raprì l’occhi, sollivò il bustoe vitti a Catarella allato a lui, giarno,scantatissimo.

«Bono, Catarè!» arriniscì a diri.«Allura vivo era! Maria! Che scanto

mi pigliavo dottori. Le gamme tutte conil trimolizzo tenno. Morto mi pariva,dottori!».

«Ma che fu?» dissi Montalbano.«M’ero solo appennicato, Catarè. Chesuccesse? Che volivi?».

«Siccome che tilefonò supra la liniala signura Marianna Ucria e che citilefonavo a vossia e che vossia non

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m’arrispunniva, dissi all’Ucria ditilefonari sulla linia doppo. Vinni inloco a circarla e l’acchiamai e vossianon m’arrispunniva, e allura accominzaia scotinzolarla tutto con le mè mano mavossia continuava a non arrispunnirimi.Maria, che scanto!».

«Vabbeni, vabbeni» fici Montalbano.«Ma che ore sunno?».

«Le deci passate assà, dottori».Aviva durmuto un’ora e mezza!«Mi vaio a lavari la facci. Tu

tornatinni al centralino» dissi aCatarella.

Si nni annò ’n bagno e ccà si livò ilgiubbotto, la cammisa e si misi a torsonudo. Si fici ’na grannissima lavata. Po’

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s’asciucò, si rivistì e annò a diri aCatarella di farigli un cafè triplo. Ma giàsi sintiva meglio assà epperciò fu lui achiamare al cellulari a Meriam.

«Mi scusi per poco fa, ero fuoristanza. Lei dov’è?».

«Sono a casa di Teresa».«Posso venire lì?».«Sì, dottore, ma non so quanto

Teresa...».«Va bene, ci provo».Si vippi il triplo cafè, pigliò la

machina e doppo picca arrivò in viadella Regione.

A rapriri la porta fu un bell’omocinquantino:

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«Piacere, sono Stefano Messina».Lo fici accomidari in un salottino.Montalbano s’armò di coraggio e gli

addimannò se, ’n caso di nicissità,potiva annare a fare il riconoscimento diElena.

«Certamente» arrispunnì Messina.«La signora come sta?».«Cosa vuole che le dica,

commissario. Per Teresa è come seFranco fosse morto un’altra volta».

Franco doviva essiri il nome delmarito di Elena.

«Potrei vederla?».«Mi scusi un attimo» fici l’omo

susennosi e niscenno.

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Tornò doppo tanticchia.«Se vuole seguirmi».Nella càmmara di dormiri, vitti a

Teresa stinnicchiata supra al letto,pariva un sacco vacanti posato supraalla coltri.

Era vistuta di tutto punto, aviva’ndosso il cappotto, tiniva perfino lescarpe ai pedi e con la mano drittaaffirrava ancora la borsitta che avivausato per fari la spisa. Stava con l’occhi’nsirrati.

Allato a lei, Meriam era assittatasupra a ’na seggia.

«Dorme?» addimannò a voci vascia ilcommissario.

«È sotto sedativi» fici Stefano.

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Il commissario accapì che era statanuttata persa e figlia fìmmina.

Senza rapriri vucca, votò le spalli e sinni tornò ’n salottino.

Subito appresso arrivò Stefano.Taliò il commissario e dissi:«La ringrazio per la sua

comprensione».Un attimo doppo trasì macari Meriam.«Anche se l’avessimo svegliata» fici

Montalbano «non credo che avrebbepotuto rispondere alle mie domande.Questo succede solo nei film».

«Facciamo così» dissi Meriam,accinnanno a un sorriso, «se Teresa nelpomeriggio si riprende, le faccio unatelefonata. Va bene?».

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«Grazie Meriam, lei è veramente unapersona rara».

Stringì la mano a tutti e dù e si nnitornò verso il commissariato.

Era appena trasuto nel sò ufficio cheMimì Augello arrivò a baddra allazzata.

«Liggivo il verbali di Fazio con ledichiarazioni di Trupia» ficiassittannosi.

«Embè?».«Che grannissimo cornuto!».«Scusa, pirchì?».«Ma tu ti rendi conto che Elena

gliel’ho presentata io! E gli avivomacari ditto che ci avivo messo l’occhisupra. E lui m’ha tradito. Me l’haarrubbata, non m’ha detto nenti e capace

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che l’ha macari ammazzata!».«Ma non dire minchiate, Mimì».«Ma pirchì sei così sicuro della sò

innocenza?».«A ’sto momento non saccio se è

innocente o colpevoli però non è chetutti quelli che t’hanno fottuto ’nafìmmina addiventano perciò assassini. Epo’ ’sto Trupia non era carissimo amicotuo?».

«Bono dicisti. “Era” ’n amico. Unoche tradisci a ’sto modo è capace ditutto».

«Ma ti rendi conto che stai parlanno amuzzu?».

«No, Salvo, ragiona. È l’ultimoamante. Veni ccà spontaneamenti a

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dirinni che da tri jorni sunno azzuffati. Ildilitto d’impeto è. Io sugno cchiù chepirsuaso che Trupia sia andato amangiari, po’ ha raggiunto a Elena, sisunno sciarriati ed è finuta come èfinuta».

«Alla facci dell’amicizia, Mimì!Certo, è ’n’ipotesi possibili, anche sesecunno mia l’assassino aviva cenatocon Elena. Ma tu, a ’sto Trupia,l’accanosci come a un omo violento?».

«No, però tu mi ’nsigni che èl’occasioni che fa l’omo latro. Se iofossi al posto tuo farìa ’na cosa».

«Dimmilla».«Basterebbi controllari se nella

jornata in cui è stata ammazzata, Elena

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ha arricivuto chiamate di Trupia sulcellulari. O il contrario».

Non era ’n’idea sbagliata.Montalbano sollivò il ricevitori e dissi aCatarella:

«Mannami a Fazio».Fazio arrivò.«Il cellulari di Elena ce l’ha la

scientifica?» spiò Montalbano«Nonsi dottore, non ce l’ha in quanto

non è stato arritrovato. L’abbiamocercato dappertutto, perfino dintra alfreezer. Secunno mia e secunno quellidella scientifica se l’è pigliatol’assassino».

«Che ti dicivo!» fici trionfante Mimì.«Evidentementi Trupia le ha tilefonato e

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quindi ha dovuto fari scompariri iltilefono».

«Fazio, appena puoi, vidi di ottiniri itabulati del cellulari di Trupia. Io, ve lodico senza dubbi, a ’sta pista non cicrio».

Mimì Augello si susì arraggiato:«E po’ veni a rimproverari a mia che

sugno privinuto. Ti saluto».Niscì dalla càmmara sbattenno la

porta.L’eco della rumorata annò

trasformannosi fino ad addivintari losquillo del tilefono.

«Dottori, ci sarebbi che c’è supra allalinia il dottori Pasquano».

Montalbano strammò. Possibili che

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Pasquano avissi già fatto l’autopsia? Eche fusse accussì gentili da premurarisidi chiamarlo per arrifiririgli i risultati?Ad ogni modo, misi il vivavoci per farisintiri la tilefonata macari a Fazio.

«Dottore buongiorno. Sono ai suoiordini. Ha bisogno di un compagno dipoker?».

«Io da lei non aio bisogno di nenti.Chiuttosto il contrario. È lei cheabbisogna di mia».

«E allura a che devo il piaciri disintiri la sò voci?».

«Pinsavo che lei fossi ’ntirissatoall’assassinio della bella sarta».

«Certo che lo sono».«E non voli sapiri nenti

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dell’autopsia?».Allura veramenti il munno stava

annanno a riversa.«Sì, gra... grazie» tartagliò

Montalbano che si stava ripigliannodalla sorprisa.

«In primisi, la signura aviva appenacenato ed è stata ammazzata che nonaviva ancora principiato la digistioni».

«E questo conferma quello che avivogià pensato io».

«E allura se lei ha un pinsero accussìlungimiranti, accussì acuto, io mi nniresto muto, non dico cchiù ’na parola elei pò ascutari ’n paci i sò pinseri».

«Dottore, mi scusasse, ma chestamatina è ’nzitato sull’agro? Non

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l’interromperò cchiù. Sugnotutt’orecchi».

«L’arma del dilitto» proseguìPasquano «è quella forfici da sartoattrovata supra al tavolo. Le firute sonoassolutamenti compatibili. Devoaggiungere che ci vuole molta forza perfar penetrare a fondo una forbice di queltipo come l’assassino ha fatto».

Montalbano non seppi tinirisi:«Quindi lei pensa a ’n omo chiuttosto

robusto?».«No. No, lei non rispetta le regole. È

lei che pensa, non io. Giuro che sem’interrompe ’n’autra vota...».

«Mi scusi, mi scusi, mi scusi...».«Il primo colpo l’ha evidentemente

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colta di sorpresa. Non ci sono segni diferite da difesa sulle sue mani.L’assassino, che stava dietro di lei, hamirato al collo e le ha tranciato di nettol’arteria giugulare, provocando unaferita mortale. La donna, teoricamente,sarebbe dovuta cadere bocconi, ma deveavere fatto qualche movimento in seguitoal quale si è venuta a trovare supina.Ora mi scuso con lei per la mè dimanna:date le sò avanzate vicchiaglie, pozzocontinuari a parlari? ha capito tuttoquello che le dissi fino a ’stomomento?».

Era chiaramenti ’na provocazioni, maMontalbano prifirì ’gnorarla:

«Spero di sì. Vada avanti».«A questo punto l’assassino si è

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chinato e ha cominciato a infierire sulcorpo. È così che ha potuto evitare dicolpire la zona del seno».

«Quindi» fici Montalbano«risparmiarle tutta la zona del petto nonè stato casuale?».

«No! Certo che no. È una cosachiaramente voluta».

«E secondo lei perché ha agitocosì?».

«Finalmenti può rimittirisi a pinsari evedrà che cogitando cogitando,lentamenti lentamenti ci arriverà macarilei».

«Perché lei ha già qualche idea?».«Io no, ma i poeti sì. Non ha che

l’imbarazzo della scelta. Possiamo

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partire da Ariosto: “le poppe rotondetteparean latte”. E lei se l’arricorderàl’amore doloroso di D’Annunzio quannodici: “trovare in quell’ombra giacendosu quel seno, come in fondo a unsepolcro, l’Infinito”. E a Cardarelli, nnilo vulemo scordari? “Misera donna dalturgido seno, tu non sei ricca d’altro chedel tuo latte...”».

Montalbano era ristato ’ngiarmato, avucca aperta. Mai avrebbi pinsato aPasquano come accanoscitori di poesia.

«Si pò spiegari ’n paroli povire?»azzardò.

«No» fici Pasquano chiuienno lacomunicazioni.

«Minchia!» dissi Fazio. «Sugno

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curioso di sapiri si la conoscenzapoetica del dottore si ferma sulo alleminne o a qualichi autro particolari delcorpo fimminino».

«Fazio, che t’aio a diri? ’Sta botta dipoesia mi fici smorcare un pititto chenon reggo cchiù».

E per ’na vota, sarà stato per lastanchizza, per le vicchiaglie, per loscanto d’addrummiscirisi mentri chemangiava, che ’nvitò a Fazio ad annarecon lui da Enzo.

«E a una condizioni» concludì: «chementri che mangiamo non parlamodell’indagini. Anzi meglio, non parlamoper nenti».

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Dieci Mentri che la machina del

commissario travirsava il corso, Faziofici:

«Firmassi un momento che scinno».«Vabbeni, t’aspetto. Ti scordasti

cosa?».«Nonsi, voglio fari un controllo.

Vossia isse avanti, io la raggiungo».Montalbano ripartì per il ristorante,

parcheggiò, trasì e dissi a Enzo:«Pripara per dù».«Che è? Fìmmina o mascolo?» spiò

Enzo.

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«È sulamenti Fazio».Enzo s’allontanò tanticchia sdilluso,

ma fatti tri passi si votò e tornò narrè dalcommissario:

«Dottori, mi pirdonassi la dimanna.Ma che mi pò diri dell’ammazzatinadella povira signura Elena?».

«L’accanoscivatu?».«Sissi, dottori. Macari ce ne fussiro

di fìmmine accussì!».«In che senso?».«In primisi era ’na criatura alligra,

aperta, ridanciana. ’N’amiciunara. Eaviva un pititto! Sapi dottori che oramàle fìmmine non mangiano cchiù.’N’insalateddra, ’na cicoria con olio elimoni. La signura Elena no. S’assittava

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e si faciva serviri antipasto, primo,secunno, duci e ammazzacafè. Tuttoralligrato da un vino bono. E siccomeche certe vote viniva sula e non lepiaciva mangiari senza cumpagniam’addimannava d’assittarimi con lei echiacchiariavamo. La sapi ’na cosa?Spisso, quanno viniva tardo la sira, chenon c’erano cchiù clienti e io stava perchiuiri, alla fini della mangiata nnijucavamu il cunto a trissetti. Si vincivaiddra, nun pagava».

«Che vuoi che ti dica» tagliòMontalbano. «Siamo ancora ai primipassi. Ti terrò ’nformato».

In quel momento s’arricampò Fazio.S’assittò.

«Prifirisci qualichi cosa?» gli spiò il

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commissario.«Lo sapi? Aio spinno di pasta con la

buttarica».A solo sintiri la parola, macari a

Montalbano gli vinni ’na gran botta didisiderio di bottarga.

Alla loro richiesta Enzo dissi che nonc’erano problemi e che ci avrebbiaggiunto ’na grattatina di scorcia dilimoni del sò àrbolo.

Duranti tutta la mangiata, che oltrealla buttarica comprinnì macari trigghifritti ca cipudda, Fazio fu di parola enon raprì mai la vucca se non per fari’sclamazioni di apprezzamento e digranni maraviglia per la qualità deipiatti. Sulo doppo che si ebbi vivuto il

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cafè, tirò fora dalla sacchetta ’na rivistaripiegata.

La posò supra al tavolino e ci misi’na mano a cummigliarla, in modo che ilcommissario non potissi vidiri lacopertina.

Aviva un sorriseddro furbo ecompiaciuto che a Montalbano gli fici’mmidiata ’ntipatia.

Addicidì di non darigli sodisfazioni,si susì senza diri ’na parola e si nni annò’n bagno.

Fici a tempo a vidiri il sorrisoscompariri dalla vucca di Fazio.

Quanno tornò, ristò addritta e dissisbrigativo:

«Iamoninni».

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A questo punto Fazio dissi:«Scusassi dottore, m’ascuta un

momento? Ci devo fari vidiri ’na cosa».«E videmola!» concesse il

commissario assittannosi di malagrazia.«Mentri che passavamo con la

machina vitti esposta ’sta rivista e miparsi di leggiri un titolo. Per questoscinnii».

Senza diri ’na parola Montalbanoallungò un vrazzo, sfilò la rivista dasutta alla mano di Fazio, se la portòdavanti e la taliò.

La copertina arrapprisintava unbellissimo paro di minne e sutta ci stavascritto:

Il seno femminile nella grande poesia

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italiana.«Ecco da indove il dottor Pasquano

pigliò tutta la sò scienza!».«Che grannissimo cornuto!» sclamò il

commissario.Però si sintì rassicurato, tanto da diri

a Fazio:«T’arringrazio pirchì stanotti

arripinsanno alle citazioni di Pasquanocapace che non avrei potuto pigliarisonno. T’accompagno ’ncommissariato».

«Non ce n’è di bisogno» fici Fazio«se vossia voli farisi la solita passiataal porto, io mi nni torno a pedivolanteri».

Aviva appena accomenzato a caminari

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supra al molo diretto allo scoglio chiattoquanno il sò cellulari squillò. Propio nelmomento in cui stava pinsanno al mododi ripagari lo sgherzo a Pasquano, ebbila conferma dell’antico modo di diri:persona trista nominata e vista.

’Nfatti a chiamarlo era propio ildottori.

«Montalbano, mi scusi d’averlasvegliata durante la pennichellapostprandiale».

«E chi glielo dice che io dormo? È leiche ha bisogno di dormire, non io. Io stobenissimo e mi sto godendo l’aria dimare. Piuttosto, che aria tira dentrol’obitorio?».

«Ecco, appunto. Dentro all’obitorio,

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nella mè càmmara, la solita aria fetida eputrefatta, ma nel corridoio l’aria è pejoassà».

«Pirchì?».«Pirchì da dù ore ci sta un signori

assittato ’n terra, senza scarpi, che silamintia, chiangi, canta, prega e che volividiri all’ammazzata».

«E io che ci pozzo fari?».«’Sto signori m’ha detto che è ’n

amico sò. E se lei non veni adarripigliarisillo io ammazzo macari a luie lo metto nel lettino ’nzemmula allasignura Elena e accussì finalmenti lavidi».

«E come si chiama?».«Ha un nome di turco: Ossiman,

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Osman, ’na cosa accussì... Pronto,pronto...!».

Ma Montalbano aviva già chiuso lacomunicazioni e stava correnno verso lasò machina.

Mentri che procidiva a vilocità perMontelusa, non fu capace di mittiri ’nfila un pinsero che avissi un minimo dilogica.

Gli pariva che dintra al sò ciriveddrofossi all’improviso spuntata ’na granforesta di punti ’nterrogativi ’n mezzoalla quali egli si cataminava all’urbigna,sbattenno dall’uno all’autro, come dintraa un labirinto senza possibilità dinisciuta.

Arrinisciva sulamenti a formulari

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frammenti di dimanne.Osman? Che ci trasiva? Che ci faciva

all’obitorio? Pirchì chiangiva? Pirchìera scàvuso? Aviva sintuto bono? Nonpotiva essiri un turco che s’acchiamavaOssiman? Ma se aviva ditto che eraamico sò... allura...

E po’, per come l’accanosciva lui,sempri di picca paroli, riservato,controllato, pirchì si era arriduttoaccussì?

Finalmenti firmò la machina nellospiazzo dell’Istituto, corrì dintra edavanti a lui s’apprisintò il corridoiodiserto.

Però, a mità strata, ci stava ’na specidi grossa palla di pezza arrutuliata che

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non pariva cosa umana ma era da ddràche proviniva ’na speci di lamintiocantato.

S’avvicinò, si firmò.Gli vinni difficili arraccanosciri al

dottori pirchì si nni stava assittato ’nterra con le spalli appuiate al muro, latesta completamenti ’nfilata ’n mezzoalle gamme, i gomiti che abbrazzavanole ginocchia e il commissario pircipìnitidamenti dal picca sciato assufficatoche proviniva da quel palloni umano laparola «Elena».

Gli s’agginocchiò davanti.Si calò fino a quanno la sò facci annò

squasi a toccari i capilli del dottore.Accomenzò a chiamarlo a voci vascia:

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«Osman, Osman. Montalbano sono.Osman, coraggio. Sono qui con lei».

Non ci fu nisciuna reazioni.Montalbano continuò ad arripitiri il

sò nomi ’ntonannosi squasi alla milodiadell’autro.

E la cosa fici effetto. La nenias’interrompì.

Osman sollivò a lento a lento la testa.A vidirlo, Montalbano si sintì un

serpenti di friddo che gli corriva lungola schina. La facci di chiddr’omo,l’espressione dei sò occhi parivanoappartiniri ad una persona assà cchiùanziana del dottori. Il dolori avivastracangiato i sò tratti.

Murmuriò qualichi cosa che

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Montalbano non accapì:«Eh?» spiò.«Voglio vedere Elena».«Farò il possibile, glielo prometto.

Intanto l’aiuto ad alzarsi».Osman, sostinuto dal commissario,

arriniscì prima a mittirisi agginucchiuni,e po’ facenno forza potti fari scivolari laschina lungo la pariti fino a quanno sivinni ad attrovari addritta.

«Riesce a reggersi in piedi?».«Sì» fici Osman.Montalbano annò ad arraccogliri un

paro di scarpi che stavano piccalontano, tornò narrè e agginocchiatosigliel’infilò una appresso all’autra con lapacienza di ’na matre.

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Lo accompagnò fino alla seggia cchiùvicina.

«Mi aspetti qua. Non si muova pernessun motivo».

S’appricipitò verso la portadell’ufficio di Pasquano, la raprì e trasìsparato.

Il dottore fici un sàvuto supra allaseggia:

«E che minchia di modo di trasireè?».

«Non ho tempo da perdere» ficiMontalbano. «Mi dica: è assolutamenteproibito per i non parenti vedere lasalma?».

«Assolutamente proibito. Ci volil’autorizzazioni del judici. Che cosa

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crede che sennò non l’avrei fatto trasireall’amico sò? È da dù ure che misfracassa i cabasisi con ’sta canzoneche, tra l’autro, secunno mia portajella».

«E se le dicessi che l’amico mè è ilfratello dell’ammazzata?».

«Le direi che è una minchiatasullenni. Ma visto che a sparare leminchiate è bravissimo, faccio finta dicrederle. Se ne assume lei tutte leresponsabilità?».

«Sì, garantisco io».«Benissimo, allora l’accompagno».Mentri che percorrivano il corridoio

verso Osman, Pasquano dissi sottovoci:«Aspettatemi ccà. È meglio che prima

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traso io. La cummoglio con un linzolo, a’sta povira fìmmina, e lasso scopertasulo la facci che è fortunatamentiillesa».

S’addiriggì verso a ’na porta, la raprì,trasì lassannola aperta.

Montalbano s’avvicinò a Osman.«Ancora pochi minuti e la vedrà».«Grazie» arriniscì a diri il dottore.Doppo picca Pasquano s’affacciò:«Venite».Osman si susì. Montalbano se lo misi

sutta al vrazzo, lo guidò fino a dintraalla càmmara. Una delle celle frigorifireera rapruta. Pasquano aviva tirato forala lettiga con supra il catafero e si nnistava allato tinenno sollivato un lembo

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del linzolo.A ’sto punto, Osman con un

movimento brusco si livò da suttavrazzoe dissi:

«Vado da solo».Montalbano pinsò che avrebbi

camminato barcollanno, ’nveci il dottorifici quei cinco passi sicuro, priciso.

Arrivato all’altizza di Pasquano, sifirmò e si misi a taliare la facci dellamorta.

Ora supra al sò volto non c’era cchiùnisciuna espressioni. Le sò labbra sicataminaro senza che si sintissi nisciunsono. Po’, a lento, si calò fino a quannola sò vucca si posò supra alla fronti diElena. Stetti accussì picca secunni, po’

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si raddrizzò e senza diri nenti s’avviòcome se fussi un sonnambulo fora dallacàmmara.

«Grazie» fici Montalbano a Pasquano.Osman ora stava puntanno dritto verso

la porta di nisciuta.Appena che s’attrovaro fora, il

dottore dissi:«La ringrazio di tutto».«Ma lei pensa di tornare a Vigàta con

la sua macchina?».«Sì» fici Osman.«Se lo levi dalla testa. La macchina la

verrà a prendere un’altra volta.L’accompagno io. Piuttosto, le andrebbedi venire a casa mia a Marinella?».

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«Sì» arripitì quello.Mentri che stavano acchiananno ’n

machina, squillò il cellulari diMontalbano:

«Pronto!».«Commissario, mi scusi. Sono

Meriam. La chiamo perché sono moltopreoccupata. Le spiegherò meglio. Leinon lo sa... ma Elena... Mi scusi, mainsomma... è da stamattina che nonriesco a rintracciare il dottor Osman...».

Prima di arrispunniri, niscì fora pernon farisi sintiri dal dottore:

«È qui con me».«Come sta?» spiò subito Meriam.«Male».

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«Siete in commissariato?».«No. Pensavo di portarlo con me a

Marinella per dargli un po’ di tempo perriprendersi».

«Non sarebbe meglio accompagnarloa casa sua?».

«Non me la sento di lasciarlo dasolo».

«Non si preoccupi, sono già sottocasa di Osman, vi aspetto qui».

«Va bene» fici il commissariotrasenno ’n machina.

Po’ dissi al dottore che l’avrebbiportato a casa. Osman era ancoraaccussì perso che manco addimannòspiegazioni del cangiamento di rotta.

Appena che Osman vitti a Meriam

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sutta al portoni della sò casa, raprì lamachina, scinnì e corrì verso di lei es’abbrazzaro forte.

Montalbano misi ’n moto e ripartì.Voliva addiriggirisi verso Marinella

ma si vinni ad attrovari senza sapiri néper come né pirchì davanti alcommissariato.

Oramà era accussì stanco che nonarrinisciva a pinsari con la testa sò elassò decidiri alla machina. Quindiparcheggiò e trasì.

«Ah dottori, dottori! Ora oratilefonaro dalla scientifica pirchìvolivano assapiri da vossia di pirsonapirsonalmenti a chi dovivano mittiri ’nconto il vissicassi».

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«E che minchia è il vissicassi?».«Come dottori?! Nella tilevisioni lo

dicino e lo fanno vidiri».«E che si vidi, Catarè?».«Si vidino gatti che s’arricriano e

arridano grazii al vissicassi».«E quindi ’sto vissicassi è ’na cosa

che servi a fari contenti ai gatti e che noidovemo pagari per fari contenta lascientifica?».

«Sissi dottori. Ci ’nzirtò. Il vissicassiè un mangiari che doppo i gatti sunnocontentissimi».

«Ho capito, Catarè. Ma ora cerca dispiegarmi perché dovremmo pagare ’stovissicassi e per chi soprattutto?».

«Dottori, trattasi del gatto della

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signura sarta. Quindi del gattotestimonio».

«Rinaldo!» sclamò Montalbano.«Vabbeni. Dì alla scientifica che il cuntolo pago io ma sulo se alla finuta dellatistimonianza mi portano il gatto ccà. Miscanto che lo lassano moriri di famipirchì il vissicassi se lo mangiano loro».

«Raggiuni avi, dottori! Quante coseche sapi! Subito ora ’mmidiato citilefono!».

Trasì nel sò ufficio e ci attrovòassittato a Fazio il quali stava ’mmobilifisso con il busto eretto, con l’occhisgriddrati. Era chiaro che durmiva conl’occhi aperti.

«Fazio!» gridò il commissario.

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Quello sussultò dalla seggia earrispunnì:

«All’ordini!».Po’ finalmenti arriniscì a pigliari un

respiro e dissi:«Dottore, ma che fini fici?».«Poi te lo conto. Tu hai novità?».«Sissi, dottore» dissi Fazio, subito

esaltato. «Vinni a sapiri ’na cosa chepuò essiri ’mportantissima».

«E dimmilla».Fazio pigliò ’n’ariata cospirativa.«Pari, ma dico pari, stasse attento,

che in passato tra il dottor Osman eElena ci fu ’na... mi spiegai?».

«No» fici Montalbano che

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accomenzava ad addivirtirisi.«’Nzumma, pari che tra i dù ci fusse

’na cosa cchiù stritta di ’n’amicizia».Montalbano squasi si commovì. Ma

com’era possibili che un picciotto comea Fazio, che aviva visto tante cose laidenella sò vita, ancora s’affruntava aparlare d’amori?

Ma la commozione non gli ’mpidì difirriare ancora tanticchia il ferro nellapiaga:

«E quindi?» ’nsistì.«E quindi crio che sarebbi opportuno

sapiri se ’sta storia è vera o fàvusa».«È vera. Già saputo» dissi

Montalbano, con lo stisso tono che Fazioadopirava spisso e volanteri per diri

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«già fatto».Fazio sgriddrò l’occhi:«E come fici?».«Ho lassato cinco minuti fa il dottor

Osman davanti alla porta della sò casa».E qui gli raccontò tutto quello che gli

era capitato dopo che si erano lassatialla trattoria.

«Perciò non ha avuto ancora modo diinterrogarlo?» spiò Fazio.

«No. Tu tra un’orata gli telefoni acasa e gli dici che domani mattina allenove e mezza l’aspetto incommissariato. Naturalmenti venimacari tu. Ora però io ti annunzio chesugno stanco morto e aio bisogno diannarimi a riposare. Mi nni vaio a

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Marinella. Ti auguro ’na bona sirata enni videmo dumani a matina».

Passanno davanti a Catarella, fici:«Catarè, vaio a Marinella e non

intendo essiri distrubbato manco setilefona il signori e ministro».

«All’ordini, dottori! Ci voliva spiariche la scientifica mi spiò si macari illetto del gatto lo paga vossia?».

«Letto? Quali letto?».«Dottori, ci giuro che ci provai ma

non ci accapii bona. Parlavano di ’nacosa tra il letto e la lettera».

«La lettiera?».«Sissi dottori! Propio ’na parola

accussì».

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«Non scassassero la minchia. La pagoio. E digli che pago anche la sabbia».

«Non si scomidasse, dottori. Lasabbia, si ce n’è di bisogno, la ’nsabbioio con la paletta alla pilaja. Ce n’è tanta,non c’è bisogno di pagarla».

Arrivò a Marinella che erano squasile sei di sira. Era un bellissimotramonto. Montalbano sintì che latensione nirbùsa gli s’allintava appenache s’assittò supra alla virandina.

Ristò ’mmobili a respirari, senzaaviri manco la forza di ’nfilari ’na manoin sacchetta e tirari fora il pacchetto disicarette. Era accussì ’mmobili che ’napalumma si vinni a posari supra allaringhiera della virandina. Passiòtanticchia avanti e narrè, po’ si firmò a

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taliarlo.«Non aio gana di parlari» fici

Montalbano mentri che sintiva chel’occhi accomenzavano a fariglipampineddra.

La palumma si nni volò via.Montalbano chiuì l’occhi.Quanno li raprì torno torno a lui era

notte funna. Si scantò. Taliò il ralogioalla luci dell’accendino. Erano le novidi sira.

Trasì dintra, addrumò la luci di casa.Vuoi per la stanchizza che aviva

d’incoddro, vuoi per la durmuta all’ariaaperta, fatto sta che ora era pigliato difriddo.

Allura si nni annò ’n bagno, si spogliò

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e si misi sutta alla doccia.Subito si sintì meglio assà e appresso

al miglioramento gli smorcò un pitittolupigno.

Si ’nfilò un paro di mutanne e corrì ’ncucina. Fu la fami a guidarlo a colposicuro al forno. Lo raprì. Oh meravigliadelle meraviglie!

Timballo di riso che ’u sapi Dio daquann’è che non si nni mangiava!

Non conzò manco la tavola,stinnicchiò supra alla cirata ’na grossasarvietta, ci misi supra un bicchieri, ’nabuttiglia di vino, pigliò la forchetta dalcascione e attaccò il timballo senzalivarlo dalla teglia.

Arriniscì a fari ’na speci di miraculo,

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vali a diri quello di non farisi passariper la testa nisciun pinsero. Il ciriveddrogli era addivintato come a ’na lavagnanìvura indove comparivano sulamentiespressioni elogiative per il sapori chesi partiva dalla vucca e che gliarricriava tutto il corpo fino alla puntadei pedi, per poi riacchianare.

Il ritmo del sò mangiari rallintò viavia che la teglia si annava svacantando.L’urtime dù o tri furchittate foroaddedicate a raccogliri i chicchi di risosuperstiti.

Finuto che ebbi di mangiare si nniristò assittato sulla seggia sciddricannocon le natiche ’n avanti, osservanno conattenzioni estrema il disigno dellemattonelle della cucina.

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Passata l’estasi accapì che era vinutal’ura di tilefonare a Livia.

Si susì, annò nella càmmara dimangiari, s’assittò, fici il nummaro.

Ma riattaccò subito pirchì si sintivaancora il riso a livello del cannarozzo.Abbisognava di nicissità farisi ’napassiata.

Accussì si ’nfilò i jeans, la cammisa,il giubbotto e scàvuso si nni scinnì nellapilaja.

Toccò col pedi l’acqua: era gelida.La sensazione gli piacì, allura si

rivotò l’orlo dei pantaluna all’altizza delpolpaccio e trasì ’n acqua fino a farisillaarrivari supra al malleolo.

Qualichi cosa gli accarizzò i pedi, si

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calò a taliare. C’era ’na speci difosforescenza nell’acqua e vitti che ’nagran quantità di pisciteddri nichi nichi,che parivano d’argento, si cataminavanotorno torno alle sò gamme come sefacissiro ’na speci di slalom.

Fu come si fossi stato un signalipirchì ’mmidiatamenti gli tornò allamenti tutta la facenna di Osman. Faziogli aviva dato la conferma che il dottoree la sarta avivano avuto ’na storiad’amori.

E doviva essiri stata ’na cosa seriaassà si un omo accussì controllato comea Osman s’era lasciato annare a quellaspeci di profunna, ’nconsolabilidisperazioni. Totalmenti diversa daldolori che aviva visto sulla facci di

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Trupia. E, a pinsarici bono, Osman eElena dovivano essiri stati macari ’nagran bella coppia pirchì avivano facci emodi complementari: tanto lui erariservato quanto lei ridanciana, tanto luiera chiuso quanto lei solare.

Macari fisicamente dovivano essiristati belli assà da vidiri.

E allura, se le cose stavano accussì,pirchì, quali ostacolo si era frapposto’nterrompenno la loro relazione?

Nisciuno dei dù aviva ’na mogliere,un marito, un legami che gli ’mpediva distari ’nzemmula.

Per quale scascione si erano lassati odovuti lassare?

Pirchì non si erano maritati?

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Alla parola maritati, gli vinni di fari’na semplice considerazioni cheriguardava a lui stisso e a Livia.

Preferì tagliare corto e si nni tornòverso la casa per tilefonare aBoccadasse.

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Undici «Salvo! Finalmente! Non vedevo

l’ora che mi chiamassi!».«Scusami Livia, ma tu capisci bene

che...».«L’hai preso?».Montalbano non accapì:«Che cosa dovevo prendere?».«L’assassino! L’hai preso?».«Ma Livia, non dire sciocchezze! Non

so neanche da che parte cominciare.Anzi, ti dirò, persino tu puoi essermiutile».

«E come?».

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«Dimmi di Elena. Tu per esempioquando l’hai conosciuta? In cheoccasione?».

«Mi trovi preparata, oggi non ho fattoaltro che pensare a lei. La prima voltache l’ho vista saranno stati due anni fa.Passavo davanti al suo negozio e notaidelle bellissime sciarpe in vetrina. Sonoentrata e credo di essere poi rimasta lìper più di due ore. Non te l’ho mairaccontato?».

«No. Vai avanti».«Mi ricordo che abbiamo

chiacchierato come se ci conoscessimoda tempo. Io che di solito parlo poco dime mi sono ritrovata a raccontarle ditutto. Le dissi di te, di come ci eravamoconosciuti, da quanto tempo stavamo

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assieme».«E lei che ti disse di sé?».«Salvo, in realtà poco. Era Elena a

condurre la conversazione, a sceglieregli argomenti. Io forse ho provato achiederle di lei, ma a rifletterci, lasensazione era quella che fosse aperta ecordiale sì ma fino a un certo punto».

«Spiegati meglio».«Come posso dirti... tra donne, per

esempio, si finisce sempre a parlare diuomini e lei riuscì abilmente a nonraccontarmi nulla del suo privato. Midisse che era stata sposata con unvigatese ed era per quello che si eratrasferita da voi. Io le chiesi se eraancora sposata e mi ricordo benissimo

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la sua risposta: no, è morto. Ma me lodisse con un tono così perentorio chenon me la sentii di chiedere altro. Ecco,a ripensarci bene direi che Elena nonvolesse oltrepassare una certa soglia.Che la conversazione le andava benefinché si parlava di me o di lei in modosuperficiale».

«E poi l’hai rivista?».«Sì, altre volte. Sempre con la

promessa che avremmo magari preso unaperitivo. Ci siamo anche scambiate ilnumero di telefono, ma era chiaro chenon ci saremmo mai viste fuori da quelnegozio».

«Quindi tu non sai nulla di Osman?».«Osman? Il dottore dei migranti?».

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«Sì. A quanto pare hanno fatto coppiaper diverso tempo».

«Che mi dici! Saranno stati bellissimiinsieme! Ma... ma...».

«Che ti piglia?».«Ma tu pensi che lui possa essere

implicato?».«Livia, ma che dici! No,

assolutamente no. Osman ieri notte eracon me mentre ammazzavano Elena».

«E ci sono dei sospetti?».«Sì, Livia. Anche se nessun movente.

Il suo amante più recente non hapraticamente un alibi».

«Tu quindi pensi che sia un delittopassionale?».

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«Io non penso niente. Sono confuso estanco morto, non dormo nel mio letto dadue giorni...».

«Che stai dicendo? In quale letto haidormito?».

E ccà la discussione pigliò ’n’autrapiega.

Montalbano s’arraggiò. Livia chiossà.S’auguraro ’na bona notti che tradotta initaliano stava a significari ’na notti malamala, e chiuiero la comunicazioni.

Era ’na speci di veglia funebre. Tuttisi nni stavano assittati ’n fila nelcammarone della sartoria. C’era ildottor Osman che tiniva un vrazzo supraalle spalli di Meriam, allato allafìmmina ci stava il sarto vecchio Nicola,

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allato al sarto vecchio, il sarto picciottosuttavrazzo a Enzo, l’ultimo di tutti eraTrupia.

Montalbano si nni stava assittatosupra alla poltruna e li taliava vivennosia lento ’na tazza di tè alla menta.

Erano chiaramenti in aspittanza diqualichiduno. Po’ sulla porta comparsePasquano che tiniva a Rinaldo tra le sòvrazza. S’avvicinò al granni tavolo ditravaglio. Ci posò supra l’armàlo e annòa mittirisi ’mpalato sull’attenti vicinoalla poltruna del commissario.

«Possiamo cominciare!» fici a vociàvuta Montalbano.

Trasì Fazio con un gomitolo di lanablu che annò a mittiri davanti al gatto.

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Tutti trattennero il respiro comeaspittannosi qualichi cosa distraordinario, ’nveci il gatto Rinaldoaccomenzò a jocari con il gomitolo,facennolo rotuliari fino all’orlo deltavolo ma senza mai farlo cadiri ’n terra.

A un certo punto pigliò ’n vucca uncapo del gomitolo e satò sul pavimento.Po’ accomenzò a cataminarisi verso laporta di nisciuta scomparenno alla vista.Ma che continuasse a jocari nelcorridoio tutti l’accapero dal fatto che ilgomitolo girava supra al tavoloassottigliannosi sempre di cchiù. A uncerto punto del gomitolo ristò sulol’autro capo.

Allura Montalbano si susì eaccomenzò a secutare il filo. Niscì nel

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corridoio. Il filo ora scompariva oltre laporta che conduciva al piano di supra.Seguitò a caminare. Il filo acchianavasupra agli scalini e lui se li fici a uno auno. Ora era arrivato nell’appartamento.Il filo proseguiva lungo tutto il corridoioe po’ girava scomparenno dintra allaporta della càmmara di letto di Elena. Citrasì. Il filo finiva propio al centro delpavimento, pariva un signali tracciatocon il gesso blu.

Rinaldo era scomparuto.S’arrisbigliò addimannannosi che

stava a significari quel signali, ma tinivaancora troppo sonno e non aviva gana dispardarlo in interpretazioni junghiane ofreudiane.

Quanno comparse ’n commissariato,

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Catarella l’avvirtì che il dottor Cosmaera già arrivato e s’attrovava nellacàmmara di aspittanza.

«Fazio è in loco?».«Sissi dottori, in lochissimo è».«Digli che vada nel mio ufficio».Montalbano annò a pruiri la mano a

Osman.«Come sta?».«Alla meno peggio».«Se la sente di...».«Certo, come no».Montalbano se lo pigliò suttavrazzo e

se lo portò in ufficio.Fazio, che s’era assittato, si susì e

annò macari lui a dari la mano a Osman.

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«Accomodatevi» fici il commissario.Il dottore pigliò posto nella seggia

davanti alla scrivania, nell’autra siriassittò Fazio.

«Voglio fare una premessa» esordìMontalbano «lei, dottor Osman, è quicome persona informata dei fatti. Su dilei non grava nessuna imputazione, népotrebbe essere possibile formulare unaqualsiasi accusa dato che al momentodel delitto era con me. Ciononostantepuò avvalersi dell’assistenza di unavvocato. Se vuole possiamo quindiinterrompere subito il nostro discorso erimandiamo l’incontro al momento in cuilei potrà venire assistito».

«Non ho bisogno di nessun avvocato»dissi Osman «e sono pronto a rispondere

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a tutte le sue domande».«Grazie» fici Montalbano «non ne

dubitavo. Vorrei comunque che Fazioprendesse nota delle sue dichiarazioni».

Al cenno positivo di Osman, Fazioraprì il computer.

«Mi vuol dire, dottore, quali erano isuoi rapporti con la vittima?».

«Ho conosciuto Elena otto anni fa.Venne da me come paziente, il mio nomegliel’aveva fatto Meriam che già daqualche tempo collaborava alla suasartoria. La cosa che mi colpì quandoentrò nel mio studio, e me la ricordocome fosse oggi, fu il suo sorriso. Alprimo incontro dal dentista sono tuttipiuttosto nervosi. Lei no. Lei rideva,

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chiacchierava, si accomodò sulla sediae fece domande su tutti i pulsanti chevedeva, toccandoli uno appressoall’altro. Fu proprio grazie a Elena, allasua spontaneità, alla facilità che avevanel mettermi a mio agio, che io, musonee musulmano come sono, trovai ilcoraggio di invitarla a cena fuori.Cominciò così».

«Cosa, dottore, cominciò?».«Una bellissima, appassionata,

autentica storia d’amore».«Quant’è durata?».«In un modo diverso dura ancora».«Si spieghi meglio, per favore».«Così come dal nostro primo incontro

era cambiato il rapporto paziente

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medico, altrettanto rapidamentediventammo amanti dopo pochissimigiorni. Ed entrambi eravamo stupiti efelici della forza del nostro sentimento.È stato un amore travolgente e maturo.Una storia che ti puoi permettere solo sesei libero e aperto alla vita. E questoforse è stato, e continua ad essere, il piùgrande insegnamento di Elena. Esserepronti alla vita. Essere in grado diaccettare quello che la vita ti offre».

«E il successivo cambiamento come èavvenuto?» spiò Montalbano.

Osman lo taliò ammirato.«Il passaggio di nuovo dall’amore

all’amicizia, dice?».«Sì».

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«È successo con la stessa rapidità enaturalezza del primo mutamento. Ungiorno, dopo cinque anni, ci trovavamoa letto e ci sorprendemmo a non sentirepiù l’urgenza dei nostri corpi ma soloquella di un abbraccio di tenerezza. Eallora capimmo che dovevamo accettarequesta nuova situazione. Spesso mi sonochiesto cosa avremmo fatto se avessimoavuto dei figli».

«E perché non li avete avuti?».«Elena non ha mai voluto».«E perché non vi siete mai sposati?».«Anche qui Elena era irremovibile.

Era già stata sposata e non eraun’esperienza che voleva ripetere. Cosìcome quella della convivenza».

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«E lei che sa di quel matrimonio?».«So solo quello che mi ha voluto dire

Elena, ed è pochissimo. Lei avevaquesto marito, si erano sposatigiovanissimi e vivevano entrambi alnord. Facevano lo stesso lavoro einsieme avevano aperto una sartoria. ARovigo, a Treviso. Non ricordo. Lui sitolse la vita. E il motivo Elena non mel’ha mai voluto dire fino in fondo. Anchequando capitava di vedere la cognata,Elena era sempre molto attenta a non farcadere il discorso su quegli anni. Io horispettato il suo desiderio di silenzio.Ma adesso voglio vederci chiaro. Nonmi capacito che sia stata ammazzata».

«Per riuscire a capirci qualcosa» ficiMontalbano «è necessario che sappia il

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maggior numero di dati sulla vita diElena. Io l’ho incontrata solo due volte.Lei è vissuto praticamente con Elena percinque anni. Quindi quello che le chiedoè questo: uno sforzo di memoria,un’estrema concentrazione che possariportare alla luce un qualche scarto, unaqualche, anche minima, alterazione dellacondotta normale e quotidiana diElena».

«Commissario, io non ci ho dormitosu. E, durante la notte, ho provato aconcentrare tutti i ricordi di cinque anni.Anche nei minimi dettagli. E devo dirleche solo due volte mi sono trovato adomandarmi perché Elena non avessevoluto mettermi al corrente di qualcosache le stava succedendo e che io non

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sapevo».«Mi spieghi meglio».«Noi ci vedevamo da me o da lei.

Una sera stavamo cenando a casa sua,Elena era impegnata in cucina, io stavopreparando la tavola, squillò il telefono.“Rispondi tu” mi disse lei. Quando alzaila cornetta, una voce femminile michiese se era casa di Elena, alla miaaffermazione la donna mi attaccò iltelefono in faccia. Elena mi chiese chiera stato a chiamare e quando leraccontai cosa era successo, leiammutolì. La seconda volta capitò ilgiorno seguente. Allo squillare deltelefono Elena si precipitò a rispondere.Sentii che diceva: “ora non possoparlare, tu non chiamare più, ti chiamo

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io domani mattina”. E poi si sedette atavola, ma era visibilmente scossa».

«E lei non le chiese niente?».«Certo. Ma Elena mi rispose che non

erano fatti miei. Ma come posso dirle,non voleva essere scortese, mi volevaproprio dire che io con quella storia nonc’entravo».

«E lei non sa da dove provenissero letelefonate?».

«No, commissario. Ricordo bene chedopo queste due chiamate Elena cambiòd’umore. Era irritata, nervosa. C’eraqualcosa che la turbava profondamente,qualcosa che io non sapevo e che nonpotevo sapere. Ma nonostante il nostrorapporto così stretto, io ho rispettato la

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sua volontà e non le ho mai più chiestonulla».

«C’è altro che può dirmi?».«Ora no. Ma spero di ricordarmi

qualcosa che possa aiutarci».Montalbano si susì:«La ringrazio per la sua

collaborazione. Ci rivedremoprestissimo. Ora, la prego, vada ariposarsi».

Osman lo taliò squasi sorridennogli, isò occhi dicivano: provaci tu a riposartinella mia condizione!

Fazio era tornato dall’aviriaccompagnato al dottore che il tilefonodiretto sonò. Contemporaneamentis’apprisintò macari Mimì Augello.

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Era quella gran camurria del piemmeTommaseo. Montalbano misi ilvivavoci.

«Sono sinceramente molto sorpresoper il suo modo di agire».

In una frazione di secunno, ilcommissario pinsò che ’n funno ’n funnoil piemme non aviva tutti i torti di essiriarraggiato con lui.

«In che cosa ho mancato, signorgiudice?».

«In tutto, Montalbano, in tutto. Lesembra corretto che io debbaapprendere solo dai rapporti che mi hafatto avere a che punto è l’omicido diquella meravigliosa, splendida donnache faceva la sarta?».

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Montalbano s’immaginò l’occhisparluccicanti di morboso disiderio diTommaseo che, quanno si trattava difìmmine beddre ammazzate, pirdivaletteralmenti la raggiuni, datosi che, aquanto pariva, non era arrinisciuto adaviri tra le mano ’na fìmmina viva invita sò. Addicidì di mittirici il carricoda unnici:

«E oltretutto, signor giudice, lei l’hapotuta vedere solo in fotografia. Ah, seavesse potuto vederla da viva!».

«Ah! Davvero?».«Ma adesso mi dica in cosa ho

sbagliato».«Ha sbagliato nel non venire a

parlarmi personalmente del caso. Veda,

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a me è bastato pochissimo per metterel’indagine sulla giusta strada».

«E quale sarebbe questa giustastrada?».

«Ho appena spiccato un avviso digaranzia nei confronti di Diego Trupia,il suo amante».

«Signor giudice, mi permetta, ma misembra un atto avventato perchéancora...».

«Ma che ancora e ancora!Montalbano, non mi faccia ridere. Siamoadulti e vaccinati, no? La soluzione èlampante. Il Trupia litiga con l’amante.Dopo due, tre giorni la va a trovare neltentativo di riannodare il rapporto conrichiesta di amplesso appassionato e

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pacificatorio. La donna naturalmente sirifiuta e il Trupia in un raptusirresistibile la stringe a sé con violenza,e, continuando la donna a sfuggire allasua richiesta, l’uomo obnubilato dallapassione agguanta la forbice e strazia ilcorpo tanto anelato. E le dirò di più: leha risparmiato il seno perché non haavuto la forza di offendere quella partedel corpo tanto amata, tanto bramata,tanto desiderata».

«Signor giudice, se mi èconsentito...».

«No, Montalbano. Questa volta nonintendo cedere alle sue tortuoseelucubrazioni. La verità è assai piùchiara e limpida di tutte le suefantasticherie».

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Montalbano addicidì di troncare ladiscussioni.

«Allora mi dia le istruzioni».«Mi segua: lei deve mettere entro le

ventiquattr’ore il Trupia sulla graticola.Appena avrà confessato, e lo farà,questo glielo garantisco, io procederònegli atti con la richiesta e la convalidad’arresto al gip».

«Come vuole lei, signor giudice. Apresto» dissi il commissario chiuienno.

«Per una volta» fici Augello «sugnopirfettamente d’accordo conTommaseo».

«Ah, sì?» fici Montalbano. «Peccatoche non sei libbiro, masannò avreiaffidato a tia l’interrogatorio di Trupia».

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«Ma io sugno libbiro» fici con unsorriso a tutta vucca Augello, econtinuò: «Stamatina ho ricevuto unatilefonata dal questori, il quale mi hacomunicato che da oggi in poi il nostrocommissariato è esentato dal dari aiuto aSileci. Salvo casi eccezionali chedovissiro verificarisi».

«Meglio accussì» dissi Montalbano.«Allora convoca il tuo ex amico Trupia,assicurati che sia assistito da unavvocato e mittilo supra alla graticola,come dici il piemme».

«Con piaciri!» fici Augello susennosie niscenno fora dalla càmmara.

Fazio sturcì la vucca:«Che c’è che non ti persuade?».

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«Dottore, se l’avvocato difensori venia sapiri che il dottor Augello è amico diTrupia, le pari che non approfittadell’occasioni? Diventa ’ninterrogatorio facilmenti oppugnabili».

«Pirchì secunno tia io non ci hopensato?».

Fazio lo taliò ’mparpagliato:«Allura vossia non crede che Trupia

ci trase?».«Dicemo che io non ci crio al novanta

per cento».«Ma se non avi nisciun alibi?».«Appunto per questo. Si è presentato

spontaneamenti sapenno benissimo chesarebbi stato il primo ’ndiziato e chenon avrebbi avuto arma di difisa».

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«Dottore, però potrebbe essere ’namossa ’ntelligenti».

«Certo, e questo riguarda il ristantedeci per cento. E io se non sonopirsuaso fino ’n funno, non ce la manno a’na persona ’n galera, macari per un sulojorno».

«E quindi? Come lo tiramo fora a ’stoTrupia?».

«Pirchì l’avemo a tirari fora?Aspittamo l’esito dell’interrogatorio diMimì. Il quale farà le umane e divinecose per fotterlo. E se Trupia arrinesci,malgrado tutto, a dari un minimo ’ndizioa sò favori, sarà propio su quello chedovemo travagliare».

Ci fu ’na pausa.

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Fazio accomenzò a taliarisi coninsistenza la punta delle scarpe. Facivasempre accussì quanno aviva pigliatoqualichi iniziativa e si scantava dicomunicarla a Montalbano.

«Coraggio. Dimmi tutto» fici ilcommissario.

«Dottore. M’avi a cridiri ma oggi percaso ’ncontrai a Nicola. Se l’arricordail vecchio sarto che travagliava conElena?».

«Sì, certamenti».«Allora ’sto Nicola, tra un lamintio e

’na botta di chianto, mi contò ’na pocodi cose sulla vita quotidiana nellasartoria e come erano annati sempre tuttid’amore e d’accordo fino a dù misi

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prima».«Che successi?».«Capitò che Lillo Scotto, il sarto

picciotto, s’innamorò dall’oggi aldomani di Elena. E pejo ancora, si ficipirsuaso di doviri essiri ricambiato. Eaccussì accomenzò la camurria».

«Cioè?».«Dintra alla sartoria non la mollava

manco un minuto, l’assicutava per tuttoil negozio e non si staccava ’n attimo daElena. Quanno la fìmmina era nella sòcasa, lui attrovava tutti i pretesti peracchianare e stare tanticchia con lei.All’inizio la signura la pigliò a ridiri echisto non fici che fari ’ncaniare chiossàa Lillo. Il quali, a quanto pari, arrivò

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persino una o dù notti ad annare atuppiare al portoni. A ’sto punto lasignura non ne potti cchiù, ne parlò conNicola e Meriam e addicidì dilicinziarlo».

«Quanno avrebbi dovuto annarsene?».«Tra deci jorni, alla fini del mese».«T’arringrazio» fici Montalbano.

«Allora sai benissimo cosa fare».«Sissi, dottore» dissi Fazio.

«Accomenzo da subito». E niscì.Si nni ristò sulo ad arriflittiri.Ma non ce la fici. Con un fracasso

’nfernali, la porta si sbalancò, sbattìcontra al muro e con la stissa violenzatornò a chiuirisi.

«Mi scusasse dottori, il pedi mi

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sciddricò» fici la voci di Catarelladall’autro lato della porta.

«Va bene, trasi».«Dottori, ’mpossibilitato sono. Se

arripeto la stissa mossa che feci, capaceche succedi chiossà catunio».

Montalbano si susì e annò a rapriri.Catarella aviva la facci tutta

’nsanguliata e pariva parato come a ’nàrbolo di Natali. Nella mano mancinatiniva un trasportino con dintra aRinaldo che aviva ’na taliata assassina.Sempri al vrazzo mancino all’altizza delgomito, pinnuliavano dù sacchiteddri dinylon, mentri che portava sutta al vrazzodestro ’na lettiera e tiniva nella stissamano un secchiello da picciriddro chino

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chino di rina.Il commissario si scostò per lassarlo

passari.Catarella avanzò quatelosamente, ma

mentre stava per posari il trasportinosupra alla seggia davanti alla scrivania,gli sciddricò il secchiello e tutta la rinas’arrovisciò supra al pavimento.

Montalbano santiò.Catarella con l’occhi di cani

vastuniato, mentre che posava a terratutte le decorazioni, lo rassicurò:

«Non s’appriocupassi dottori, vaio etorno».

Scomparì.Montalbano tornò ad assittarisi darrè

alla scrivania mentri che Catarella

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ricompariva con la scopa e ’na paletta.Ci misi picca a rimittiri la rina dintra alsecchiello, po’ s’impalò davanti allascrivania tinenno la scopa ’n mano comese fusse a pied’arm.

«Che ti facisti ’n facci?».«Nonsi dottori è stato che quanno che

mi portaro il gatto io cercai di farlonesciri dalla gaggia felina e lui ’nvecinon volli nesciri e mi gracciò».

«Catarè, fammi un favore, vatti alavare e a disinfettare e po’ torni. E perpiaciri chiui la porta che ccà pare ’nozoo».

Catarella bidì.Pigliato dalla curiosità Montalbano si

susì e annò a taliare che ci stava dintra

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ai sacchiteddri.Catarella non aviva abbadato a spisi:

’na busta continiva le crocchette per ilgatto, nell’autra oltre alle vaschette permittirici l’acqua e il mangiare, cistavano macari un surciteddro di pezza,un ciuffo d’erba gattigna e un gomitolodi lana.

Un gomitolo!Un gomitolo blu priciso ’ntifico a

quello che lui si era già ’nsognato.Montalbano s’acculò davanti alla

gaggia. Taliò a Rinaldo e Rinaldo lotaliò. Montalbano accapì che nonavrebbe corso piricoli.

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Dodici Raprì la porticeddra e doppo picca

secunni Rinaldo avanzò, niscì fora eannò a mittirisi supra alle sò gamme.

In quel priciso momento la portasbattì con violenza. Catarella comparse.Il gatto, scantato, affunnò i sò artiglinella gamma di Montalbano, ilcommissario, santianno, lo staccò dallacoscia con violenza e ghittò Rinaldoverso Catarella, quello si scansò e ilgatto pigliò il fujuto fora dal corridoio.

Ci vosi l’intervento di almeno triagenti per arrinesciri ad arristari al gattoe a rimittirlo dintra alla gaggia.

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Catarella avanzò ’na proposta:«Dottori, datosi che il gatto ’n ufficio

non avi compitenzia, potrebbiportarmelo io cummia nella mè casa?».

«Catarè, ma questo non è un gattorandagio. Bisognerà restituirlo aipropietari».

«Dottori avi raggiuni, ma la patronamorta ammazzata fu!».

«Va bene, ma macari ci sarà lacugnata...».

Catarella pigliò ’na facci tantosdisolata che fici cangiare pariri alcommissario:

«Senti, facemo accussì: portatillo a latò casa per qualichi jorno e po’ si vidi».

«Grazii. M’ascusassi ancora dottori,

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pozzu fari dù o tri viaggi per latraslocazioni di tutta ’sta robba?Masannò capace che succedi ’n autrocatunio».

«Va bene. Fai tutti i viaggi che vuoi».Montalbano aspittò che Catarella

avissi sgombrato l’ufficio, po’ macarilui si susì e si nni annò a mangiare.

Era stato forsi eccessivo nelsoddisfari il sò pititto attrassato, pirchìla passiata molo molo si fici non solonicissaria ma macari urgenti.

Arrivato allo scoglio chiatto, pinsòche forse era l’ora giusta per fari ’natilefonata:

«Meriam, come va?».«Dottore, buongiorno. Come vuole

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che vada...».«Crede che io possa vedere la signora

Messina nel pomeriggio?».«Proprio in queste ore le hanno ridato

indietro il corpo di Elena. Teresa èall’obitorio con il marito e non credoche si muoverà da lì. Domani alle 11 cisaranno i funerali».

«Va bene, non c’è fretta. Le andrebbedi vedermi? Ho bisogno di chiederlealcune cose».

«Certo, ma ora non posso. Che nedice se ci vediamo dopo le sei?».

«Può venire in commissariato?».«Sì».«E allora d’accordo. La aspetto».

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Mentri che si fumava ’na sicaretta,arriflittì che, sino a quel momento, luiera stato ’na speci di ricevitore dinotizie.

Aviva ’mmagazzinato passivamenti’na quantità di ’nformazioni ma nonaviva ancora pigliato nisciuna iniziativapersonali.

Provava ’na speci di disagio, come senon arriniscisse a pistiare supra i tastigiusti.

Il problema vero era che non ce lafaciva a mittiri a foco la figura di Elenadintra a la sò vera cornici. Era come se’na poco di parti di lei s’attrovassero inuna speci di chiaroscuro che ’mpidiva dividirinni esattamente i contorni.

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La descrizioni che tutti ne facivano, eche lui stisso aviva avuto modo diconfirmari di pirsona, e cioè di ’stagranni apertura di Elena verso il munno,verso le pirsone, potiva macari essiri’na speci di paravento.

O meglio, potiva ammucciari qualichicosa che arresultava, a secunna delpunto di vista, tanto vera quanto fàvusa.

Forsi la strata cchiù giusta era quelladi seguiri la procidura abituali. Tentandodi non lasciarsi condizionare da questoeccesso di notizie, di dati, diinformazioni e soprattutto di giudizi suElena.

Da ’sto momento in po’ si sarebbicataminato sulamenti su fatti accertati econcreti. Epperciò addicidì di fari

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subito ’na cosa che avrebbi dovuto fariprima.

Tilefonò alla scientifica.Da qualichi misi a capo c’era

Fernando Leanza, un collega con il qualisi facivano reciproca simpatia.

Leanza gli arrispunnì che avivaqualichi cosa d’interessanti da diriglima che non potiva arricivirlo prima diun’orata.

Dato che aviva tempo, dù cose potivafare: ristarisinni al molo o mittirisisubito ’n machina e annare a taliarisi itempli che era da assà che non li vidiva.

Si misi ’n machina e partì.Contrariamenti a quello che

s’aspittava ci stavano diversi gruppi di

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turisti, vistiti da turisti, che s’aggiravanotra le maestose rovine, con mezza facciammucciata o da ’na machina fotograficao da un cellulari.

Scoprì con gioia che dintra al parcoavivano ricintato un pezzo di terra e neavivano fatto ’n allevamento di capregirgentane.

Si firmò a taliarle.Quant’erano belle!Appartinivano a ’na razza ’n

estinzioni e, forse propio pirchì stavanoscomparenno, a Montalbano gli parseche fossero tra le cchiù belle che avissimai viduto. Avivano il mantello di pilolongo, marrone chiaro, il musso gentile,allungato e fimminino, le minne grosse e

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rosee, e ’ste meravigliose e lunghissimecorna ’nturciniate e dritte.

Vuoi vidiri, pinsò, che Borromini siera ispirato a ’ste corna per il campaniledi Sant’Ivo?

Po’, tutto ’nzemmula, con unarumorata fastiddiosa, l’ala di unaciddrone gli passò fulminea davantiall’occhi, Montalbano si scansò mentriche ’na picciliddra, che era allato a lui,si mittiva a fari voci e chiangiri.

Ebbi il tempo di vidiri che si trattavadi un gabbiano che aviva arrubbato unviscotto dalle mano di ’sta picciliddrastraniera.

Il patre e la matre tintaro diconsolarla.

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Il commissario s’allontanò pinsannoche non sulamenti i gabbiani avivanooramà pirduto la loro dignità marina maerano addivintati macari latri di passu.

Sdisolato addicidì che era tempo diannare alla scientifica.

Alla basi della simpatia cheMontalbano provava per Leanza ci stavauna scascione tutta personali.

Quanno Leanza era stato trasferitodalla scientifica di Palermo a quella diMontelusa, il giornalista di «Televigàta»Pippo Ragonese, quello con la vucca aculo di gaddrina, l’aviva accogliuto conun saluto che propio benevolo nonpoteva dirisi.

Ragonese, va a sapiri pirchì, l’aviva

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voluto presentari con tutta ’na sequela disupposizioni per quel trasferimento chefinivano con il fari nasciri ’na quantitàdi sospetti supra alla condotta privata epubblica del novo vinuto.

Accanoscenno ’nveci Montalbano lacondotta privata e pubblica delgiornalista, non si era fatto dubbio cheLeanza era, di conseguenzia, ungalantomo e pirsona degna d’amicizia.

E ’nfatti, il capo della scientifica, cheoramà si trovava a Montelusa da setti,otto misi, si era addimostrato pirsona’ntelligenti, ragionevoli, e che non avivaassolutamenti nenti da ammucciare.

E quindi appena che lo vitti trasirenell’ufficio, Leanza gli annò ’ncontro avrazza aperte:

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«Ti saluto, Fernà» fici Montalbano.«Assettati, assettati. Ti pozzo offriri

qualichi cosa?».«A chist’ura avria gana d’un whisky,

ma certamenti ccà ’n ufficio...».«E chi te lo dice?» dissi Leanza

susennosi. Annò all’armadio ’n funnoalla càmmara, tornò con una buttiglia diwhisky e dù bicchieri. Li inchì a mità,nni pruì uno a Montalbano e po’ tutti edù, contemporaneamenti, li isaro a farisiun brindisi muto.

Stettiro tanticchia ’n silenzio agustarisi il whisky e taliannosinell’occhi. Po’ Montalbano tirò un longosospiro, che Leanza giustamente’nterpretò come segnali d’inizio della

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discurruta.«Facenna laida, eh?» spiò.«Laidissima. E io non sugno ancora

capace di fari dù cchiù dù ugualiquattro».

«Non crio che quello che abbiamoscoperto potrà aiutarti molto. Ti dicosubito che da quell’appartamentol’assassino ha portato via il computer eil cellulare della vittima. Il che sta asignificare, a mio parere, che,evidentemente, c’erano tracce di contattitra la vittima e il suo assassino. Quindisicuramente si conoscevano da prima,tant’è vero che hanno cenato’nzemmula».

«Come stiamo a impronte?».

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«Salvo, nell’appartamento tutte quelleche vuoi. Una cosa è sicura però:l’assassino ha usato la forbice da sartoe, dopo l’ammazzatina, si è preoccupatodi ripulirla, tant’è vero chesull’impugnatura e sulle lame non cisono impronte».

«Con che cosa l’ha ripulita?».«Con quel pezzo di stoffa che c’era

sul tavolo e che ha lasciato lì».«Continua» fici il commissario.«Dopo l’omicidio è salito

nell’appartamento. Certamente erasporco di sangue. Allora si è spogliato esi è fatto la doccia nel bagno dellacamera della vittima. All’interno dellacabina abbiamo trovato tracce di sangue

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della signora Elena ma non abbiamotrovato nessuna impronta dell’assassinocosì come sui rubinetti. Anche questierano stati attentamente ripuliti. E quisorge una domanda».

«Se l’assassino aveva i vestitisporchi di sangue come ha fatto aduscire in strada? È questa la domanda?»spiò Montalbano.

«Sì, è questa».«Stabiliamo un punto fermo: si tratta

anche per te di un delitto d’impeto?».«Certamente» arrispunnì Leanza.«Allora se la nostra supposizione è

giusta, l’assassino non si è portatoappresso niente di ricambio. Quindi unaspiegazione possibile è che sia venuto in

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macchina, abbia parcheggiato vicino, edopo l’ammazzatina s’è fatto la doccia,si è vistuto alla meno peggio e si èinfilato velocemente nell’auto. Oppurec’è un’altra ipotesi: trattandosi diqualcuno che veniva da fuori, ospite diElena, poteva avere con sé una valigiacon altri indumenti. Fernà, a proposito,ti ricordi com’era la stanza degliospiti?».

«Certamenti. Il letto era conzato perla notti. Ma non è stato usato».

«Così come lindo e pinto era il bagnodella camera degli ospiti» rimarcòMontalbano.

«Comunque sia, in tutti e dù i localinon abbiamo trovato impronte estranee».

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«Si vidi che l’assassino aviva tutto iltempo che voliva per fari scompariri lesò tracce. E che mi dici di Rinaldo?».

«E cu è Rinaldo?» spiò strammatoLeanza.

«Scusami, il gatto di Elena».Il capo della scientifica fici un

sorriseddro:«Ma levami ’na curiosità, fratuzzo

mè, per caso quel lettino è stato conzatoper tia?».

«Raggiuna, Fernà, se era per mia nonci sarebbi stato bisogno di conzare illetto dell’ospiti. Chiaro, no?».

E dato che Leanza continuava ataliarlo maliziuso, il commissario sisintì ’n doviri di spiegare:

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«Conoscevo Elena, ma l’ho vista sulodù vote pirchì mi stavo facenno fari unvistito...».

«Ma quanto vi pagano alcommissariato di Vigàta che sitiaddivintati accussì schicchittusi?».

«Fernà, per favori, cangia discurso.’Sto vistito è nato sutta a una stiddralaida» tagliò Montalbano. «Dimmipiuttosto del gatto».

«Il pelo del gatto era tutto impregnatodel sangue della vittima. Magari avràattaccato l’assassino e l’avrà graffiato.Ma è stato impossibile isolare un dnasotto le unghie dell’animale perchéevidentemente dopo si è ripulitoaccuratamente sul tappeto accanto allavittima. E questo è quanto».

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«Ti sei fatto un’idea di perché abbiarisparmiato il seno?» spiò ilcommissario.

«Certamente è un segnale, una sceltaprecisa. Ma, mi dispiace, io non sono ingrado di interpretarlo».

Si taliaro.Leanza allargò le vrazza.Montalbano si susì, ringraziò, salutò

l’amico e si nni ripartì per Vigàta. Stratafacenno taliò il ralogio, sarebbi arrivatopuntuale all’appuntamento con Meriam.

La prima cosa che lo colpì ful’evidenti stanchizza della fìmmina.

Era provata assà. Supra alla sò faccierano comparse rughe niche niche cheMontalbano non aviva mai notato.

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’Ntelligenti com’era, la picciottaaccapì il senso della taliata delcommissario:

«È stato un colpo tremendo. Ancoranon riesco a farmene una ragione».

«Mi perdoni» fici Montalbano «miperdoni se ancora la costringo a soffrire,ma ho necessità di avere alcuneinformazioni».

«Per quanto posso aiutarla, sono a suatotale disposizione» fici Meriam,sforzannosi d’accinnare a un sorriso.

«Mi hanno parlato dell’aiutante delnegozio, Lillo Scotto. Lei lo sapeva cheElena aveva intenzione di licenziarlo?».

«Sì, certo. Ne parlò con me e conNicola. Mi creda commissario, Elena ha

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cercato di evitarlo fino alla fine, ma lasituazione si faceva di giorno in giornosempre più insostenibile».

«Mi spieghi meglio».«Lillo lavora in sartoria da un paio

d’anni. È un bravissimo sarto ed èsempre stato un ragazzo perbene, un granlavoratore, puntuale, educato e chesapeva stare al suo posto. Poi...».

Si firmò, come per raccogliere megliole idee e appresso continuò:

«Poi, e non ce ne siamo mai spiegatila ragione, cambiò completamente mododi fare. Capimmo subito che avevaperso la testa per Elena».

«Che cosa poteva essere successo perfar nascere questa passione? Forse

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Elena aveva assunto un atteggiamento,come dire, più affettuoso verso di lui?».

«Commissario, assolutamente no. Micreda, non c’è stato un motivoscatenante. Lillo si era perso dietroElena. Non lavorava più, voleva uscireper ultimo dal negozio, trovava sempreuna scusa per starle appiccicato.All’inizio l’abbiamo presa a ridere,anche Elena. Abbiamo pensato a unproblema ormonale, poi magari ad unadelusione d’amore che Lillo volevacurarsi attraverso la passione per Elena.Ma questo innamoramento, questa cottanon si affievoliva. Anzi. Lillo diventavasempre più ossessionato. Pensi chequando rispondeva lui al telefono eall’altro capo del filo c’era un uomo che

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chiedeva di Elena, lui gli riattaccava iltelefono in faccia. Elena provò a parlarecon lui, prima dolcemente, con affetto,come una madre. Poi è stata sempre piùdura, imperiosa, ma niente. Lillo non sene faceva una ragione. Voleva Elena e,chissà perché, era convinto che leiavrebbe prima o poi ceduto».

«Ma c’è stato un episodio per cuiElena ha deciso di licenziarlo?».

«Un episodio preciso non glielosaprei raccontare, ma pochi giorni fa lisentii discutere, io ero in sala prova e daallora la decisione di Elena è statairrevocabile. Lillo doveva esserelicenziato».

«Le faccio una domanda precisa»tagliò Montalbano. «Lo ritiene capace di

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un gesto violento? Pensa che, peresempio, trovandosi solo con lei,davanti ad un rifiuto ancora più decisodei precedenti, avrebbe potuto perderela testa?».

Meriam non ci pinsò supra manco unmomento:

«No, commissario. Visto quello che silegge sui giornali non ci posso metterela mano sul fuoco. Però, in coscienza, edè per questo che non gliene ho maiparlato, non lo ritengo capace di quelloche lei suppone. Lillo si è semprelimitato ad una corte serrata ma sonocerta che non abbia mai messo una manoaddosso a Elena».

La domanda di Montalbano era ’nadimanna retorica, pirchì l’assassino

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aviva cenato con la sò vittima e, standoa come stavano le cose, Elena nonavrebbe mai ’nvitato a Lillo Scotto disira, da sula, nel sò appartamento.

Passò all’autro argomento:«E che mi dice di Diego Trupia? Lei

sapeva della loro storia?».«Sì commissario, certo. Passava

spesso a salutarla e qualche volta siamoanche usciti insieme».

«Mi scusi Meriam, ma io so cheavevano una vera relazione».

«Commissario, come posso dirle, iol’ho vista Elena innamorata. E quellacon Trupia non era una storia d’amore.Certo, la faceva stare bene, le facevacompagnia, hanno fatto qualche bel

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viaggio insieme, ma niente di più. Nonera Trupia l’amore di Elena».

«Era Osman?».«Lo era stato. Io non ho mai visto una

coppia così bella. E ugualmente bello èstato il loro rapporto di amicizia dopo».

In quel priciso momento tuppiaro allaporta e comparse Mimì Augello, coicapilli ’mpiccicati supra alla fronte dalsudore.

«Scusami, ma ti devo dire una cosaimportante».

Montalbano si susì, dicenno aMeriam: «Mi perdoni, torno subito» eniscì nel corridoio, chiuienno la porta.

«A Trupia l’ho arrivotato come a unparo di quasetti» l’assugliò Augello con

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una taliata nìvura. «’Sto garruso m’hafatto faticari, sudari, ma non ha volutoconfissari».

«E allora?».«E allora la situazioni oggettiva è che

non avi un alibi. Sostiene di essererimasto a casa per tutta la sirata e di nonaviri arricivuto manco ’na tilefonata.Però è l’unico ad aviri un seriomovente».

«Quale?» l’interrompì Montalbano.«Per sò ammissioni si era sciarriato

con Elena. E probabilmente quello chelui non dice è che quella sciarriatina eraforse difinitiva».

«Mimì, hai detto “probabilmente”?».«Sì».

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«Mimì, supra a un “probabilmente”non si spedisce ’na pirsona ’n càrzaro».

«E allora mi dispiace comunicarti chenon è il parere di Tommaseo. Ora oraarricivii l’ordine di pigliari a Trupia edi portarlo a Montelusa davanti a lui. Esugno sicuro, pirchì me l’ha giàanticipato, che stanotti il fituso nondormi nelle sò linzola».

«Bon viaggio» fici Montalbano.Girò le spalli, ritrasì nel sò ufficio,

s’assittò.«Mi scusi» dissi a Meriam «le va di

continuare a parlarmi di Trupia?».«Commissario, non ho molto altro da

aggiungere».«E mi dica: Lillo Scotto sapeva di

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Elena e Trupia?».«Sì, anche a lui ha attaccato il

telefono in faccia diverse volte. MaLillo era sospeso in una bolla tutta sua epareva non volerne uscire».

«Sa come ha reagito alla notizia dellamorte di Elena?».

«Sì, mi ha chiamato al telefono manon è riuscito a spiccicare parola.Singhiozzava come un bambino e allafine mi ha passato sua mamma. Dovreirichiamarlo per sapere come sta».

«Un’ultima cosa, quando Lillo Scottoha saputo che sarebbe stato licenziato, ilsuo contegno è mutato?».

«Guardi, Elena lo licenziò in presenzamia e di Nicola. Lillo impallidì e uscì di

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corsa dal salone. Io gli andai dietro.Fortunatamente in quel momento nonc’erano clienti. Andò di corsa achiudersi nel camerino di prova e io lotrovai lì, steso per terra, tremava tutto epareva in preda a una crisi epilettica.Questa è stata la sua prima reazione. Mala cosa strana è che poi continuò acomportarsi con Elena come se nonfosse successo nulla. Non cercò innessun modo di salvare il suo posto dilavoro e non chiese mai a Elena diripensare alla sua decisione...».

Montalbano si nni stetti un momento’n silenzio ripensanno alle paroleappena ditte da Meriam.

Stava succidenno ’na cosa curiosa:che appena s’apprisintava supra alla

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scena un possibili colpevoli che avivascascione di contrasto con Elena, incontemporanea questo stisso indiziatoviniva scagionato come ’ncapace diusare violenza.

Lui non cridiva che Trupia avissiammazzato a Elena, lo stisso pinseroaviva Meriam nei riguardi di LilloScotto. Osman era fora discussione.

E allura?Forsi la pirsona da circare era strania

al munno quotidiano di Elena.Fu ’st’ultima riflessioni che lo portò a

fari ’na pricisa dimanna alla fìmmina:«Ho saputo dal dottor Osman che,

quando stavano assieme, Elena avevatalvolta ricevuto delle telefonate che

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l’avevano scossa e turbata. E, alledomande incuriosite di Osman, lei nonaveva voluto rispondere. Nicola mi hadetto che il giorno in cui è stataammazzata, Elena non ha ricevutotelefonate private. Lei conferma?».

«Adesso che mi ci fa pensare... certo,Nicola non lo sa: prima di pranzo Elenami chiese di accompagnarla in banca.Doveva fare dei prelievi e non volevaperciò andare da sola. Appena fuoridalla filiale, squillò il suo cellulare equando vide la chiamata si allontanò dame. Cosa che non faceva mai. Volevache non ascoltassi la telefonata».

«Ma lei riuscì a sentire qualcosa lostesso?».

«Mi ricordo: “va bene, allora a

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dopo”, o qualcosa di simile. Ma non nesono sicura. Forse sì, si era innervosita.Poi, dopo la sua prova, ci mandò tutti acasa. Ma non penso che ci sia unarelazione tra la telefonata e il suocacciarci fuori».

«E in precedenza? In tutti gli anni incui le è stata vicina, le è mai capitato divederla sconvolta dopo unatelefonata?».

Meriam chiuì l’occhi. Corrugò lafronti. Stava pinsanno ’ntensamenti.

Po’ dissi, pisanno ogni parola:«Io non so se sono suggestionata da

quello che è accaduto a Elena e daquello che mi sta chiedendo, ma mi sista disegnando una scena che si è

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ripetuta più volte negli anni e alla quale,fino ad ora, io non avevo mai datoimportanza».

Chiuì novamenti l’occhi, come perconcentrarisi meglio, e continuò aparlare:

«È successo, ogni tre, quattro mesi,quasi con una scadenza stabilita, Elenaverso le dieci del mattino riceveva unachiamata e in modo sbrigativorimandava l’appuntamento telefonicoper la serata. Non si facevanoconvenevoli, non ricordo saluti. Ecco, aseguito di queste telefonate, Elena eraper un po’ distratta, nervosa. Ma nondirei sconvolta. Questo glielo possoassicurare».

«È quindi da escludere che si trattasse

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di telefonate di lavoro?».Meriam sgriddrò l’occhi:«Lo escludo nel modo più assoluto».«Lei mi ha detto che negli ultimi mesi,

a rispondere alle telefonate era spessoLillo Scotto. Capitò mai che Lillochiamasse Elena annunciandole chi eraal telefono?».

«Certo dottore, ma erano telefonate dilavoro. Invece quelle di cui stavamoparlando, mi scusi ho dimenticato didirglielo, erano sempre sul cellulare diElena».

A ’sto punto a Montalbano vinni’n’idea.

Era ’na cosa, macari chista, cheavrebbi dovuto fari da tempo.

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Tredici Sollivò la cornetta, chiamò a Fazio.«Ce l’hai tu le chiavi della sartoria?».«Sissi, dottore».«Hai provviduto a livari i sigilli?».«Sissi».«Allora piglia le chiavi e dalle a

Catarella. Ah! ’N’autra cosa: convocamiper domani mattina alle 9 a LilloScotto».

«Va bene» arrispunnì Fazio.Posò la cornetta, taliò a Meriam senza

parlare. E il bello fu che non ebbibisogno di raprire la vucca, pirchì

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Meriam lo priciditti:«Mi dica quello che ha in mente».«Se la sentirebbe di accompagnarmi

in sartoria?».La facci della fìmmina cangiò di

colpo, pigliò ’n’espressioni squasiscantata e arrispunnì d’impeto:

«No, no, no».«Capisco benissimo» dissi

Montalbano susennosi. «A presto».Concludì pruiennole la mano.Meriam tintò di giustificarisi:«Cerchi di capirmi dottore, per me

tornare a...».Montalbano l’interrompì:«Va bene così».

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Meriam gli stringì la mano, s’avviòalla porta, la raprì, niscì fora, la richiuì.

Il commissario ristò a taliare la portachiusa.

Certo, Meriam gli sarebbi statad’aiuto ma potiva macari farinni a meno.

In quel priciso momento, sintìtuppiare a leggio.

«Avanti» fici.La porta si raprì e comparse Meriam.«Credo di poterla accompagnare»

dissi.Senza diri ’na parola Montalbano si

misi la giacchetta. Passanno davanti aCatarella si fici dari le chiavi dellasartoria.

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«Vengo con lei?» spiò Meriam.«No» dissi Montalbano «è meglio

andare ognuno con la propria macchinaperché io credo che mi tratterrò un po’».

In via Garibaldi c’era un posto liberoe Montalbano fici ’nzinga di pigliarisillolei. Lui proseguì tanticchia avanti efinalmenti potti parcheggiare.

Tornò narrè, s’affiancò a Meriam epercorrero la decina di passi che civolivano per arrivare al portoni.

Ma tutto ’nzemmula Montalbano sifirmò addivintanno di colpo ’mmobilicome a ’na statua. Tanto che Meriam cheera tanticchia darrè di lui gli annò asbattiri alle spalli.

«Che c’è?» spiò.

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«Guardi» dissi sottovoci ilcommissario.

Supra al gradino del portonidell’appartamento di Elena, dritto supraalle dù zampe anteriori, fermo chepariva ’na statua giziana, c’era un gattobianco.

«Rinaldo!» fici sbalorduta Meriam.Doviva essiri fujuto da indove l’aviva

mittuto Catarella e aviva saputoarritrovare la strata, seguenno lamisteriosa pista degli odori che hanno igatti, per tornari alla sò vera casa.

Quanno Montalbano s’avvicinò,Rinaldo non si scansò di un millimitro.Il commissario si calò, gli fici ’nacarizza ’n testa e lo spostò leggermenti.

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Allura ’nfilò la chiavi nella serratura eaviva appena scostato il portoni chedintra a quella fissura scomparì il gattoa grannissima vilocità, tanto che quannoMontalbano e Meriam trasero lo vittirogià ’n posizioni davanti alla portadell’appartamento e quanno macarichista vinni rapruta, il primo a trasire funovamenti Rinaldo che scomparsi va asapiri unni.

La cosa che colpìcontemporaneamenti Meriam eMontalbano fu un fetu di putrefazioni’nsopportabili. Mentri la fìmminacircava un fazzoletto per portarisillo alnaso, il commissario corrì ’n cucina espalancò la finestra. La scientifica avivataliato dintra al secchio della munnizza

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ma non l’aviva svacantato.«Andiamo giù» fici il commissario

«qui non c’è niente da vedere». Mentriche scinnivano le scali, Montalbanoaddimannò:

«Dov’è che teneva il computerElena?».

«Ora glielo faccio vedere» fici lapicciotta.

Ficiro tri passi e po’ Meriam ’ndicòun tavolineddro appuiato al muro delcorridoio indove supra ci stava untilefono.

«Ne aveva uno nella scrivania dellasua camera e un altro più piccolo dentroa questo tiretto. Aveva anche unacassetta di sicurezza dove metteva il

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denaro per i pagamenti da fare o perquelli ricevuti».

Montalbano s’arrisirvò di darici’n’occhiata doppo.

Quanno trasero nel cammarone dellasartoria foro assugliati da ’n autro odori:quello duciastro del sangue. Macari ccàMeriam fici ’na facci disgustata ma, perfortuna, non accapì di che cosa sitrattava. ’Nveci sbiancò e barcollòquanno vitti le grosse macchie scuriallato alla sagoma del cataferoaddisignata ’n terra con il gesso.

Montalbano la sorriggì e la portò adassittarisi supra a una delle poltrune. Luipigliò posto nell’autra.

Lassò passari tanticchia di tempo

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nicissario a Meriam per ripigliarisi. Po’le spiò:

«Se la sente di rispondere ad una miadomanda?».

«Sì, me la faccia».«Guardi attentamente il salone,

soprattutto la zona del tavolo e dellescaffalature. Vede qualcosa di diversorispetto a come l’ha lasciata?».

Meriam taliò attentamenti e dissi:«Sul tavolo c’era una grossa forbice e

nient’altro».«È sicura che non ci fosse quel pezzo

di stoffa?» spiò Montalbano.«Avevamo rimesso tutto a posto prima

di andare via».

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«Mi fa un piacere? Può andarlo avedere da vicino senza toccarlo?».

«E perché?».«Voglio sapere se è uno scampolo

delle stoffe che erano arrivatel’altroieri».

La fìmmina si susì, annò al tavolo, dalcapo opposto a quello indove c’era lasagoma, Montalbano le si affiancò.

Meriam stetti tanticchia a taliare iltissuto e po’ dissi:

«Posso prendere una cosa dalmobile?».

«Sì».La fìmmina si votò, fici il giro cchiù

longo per non mittiri i pedi supra aldisigno di gesso e po’ col corpo calato

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’n avanti ’nzeccò ’na mano dintra alloscaffali, pigliò un rotolo di stoffa e tornòal tavolo.

«Guardi. Questo è il più simile alloscampolo ma non è lo stesso. Sonoentrambi blu ma di una tonalità moltodiversa».

Montalbano notò che la parti inizialidel rotolo era stata tutta strazzata:

«Meriam, perché la stoffa è rotta?».«È stata la signora Elena. Le avevo

detto che era molto nervosa quelpomeriggio e aveva strappato con lemani alcuni rotoli nuovi. Peròcommissario, si può fidare, questoscampolo non appartiene ai nuoviordini. Anzi le dirò di più: questa stoffa

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è, come dire, già usata. Mi dàl’impressione di qualcosa di vecchio».

«Grazie» fici Montalbano «a me bastacosì».

La fìmmina rimisi a posto il rotolo eappena lo posò scoppiò in un piantodispirato che non le pirmittiva manco distari addritta.

Montalbano la abbrazzò e squasiforzannola se la portò fora dalcammarone. Reggennola per la vita, lefici acchianare le scali, la guidò nelsalotto, la fici assittare. Corrì ’n cucina,inchì un bicchieri d’acqua, tornò dicursa, glielo pruì. Meriam se lo vippicome ’n’assitata.

«Ora mi passa» dissi la fìmmina.

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«Non ho fretta» arrispunnìMontalbano ripigliannosi il bicchieri.

Quanno tornò dalla cucina, Meriamera addritta.

«Se non ha ancora bisogno di me...».«La accompagno» dissi Montalbano.

«Lei non ha idea di quanto mi sia statautile».

«No grazie, commissario».«Meriam, un’ultima cosa: dove si

svolgerà il funerale?».«Domani alle 11 alla Matrice».Montalbano la seguì con l’occhi

mentri che scinniva le scali, e ristòdavanti alla porta dell’appartamentofino a quanno sintì il rumori del portoniche si chiuiva.

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Allura, a passo lento, si nni scinnìnovamenti nel cammarone. S’assittò allasolita poltruna con la taliata fissa supraal pezzo di stoffa.

’Na poco di dimanne gli accomenzaroa passari per la testa. Da indove eranisciuto quello scampolo se nonappartiniva ai novi ordini? E in lineasecunnaria, pirchì era stato tirato fora emittuto supra al banco?

Si susì, s’addiriggì al tavolone e raprìi dù granni cascioni allocati sutta alripiano. Ci stavano ’na gran quantità diforfici di ogni tipo, di aghi, di fili, dispallini, di metri, ma non c’eranoscampoli di stoffi.

Allura niscì fora e annò nel corridoio.Si firmò al tavolinetto, raprì il cascione.

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Notò subito che il computer non ci stava,mentri allato c’era la casciteddrablindata che non era stata rapruta.Probabilmenti all’assassino non’ntirissava il dinaro.

Fu a ’sto tempo che ’na rumorataprovenenti dall’appartamento lodistrassi. Era un rumori liggero, filpato,ma costante, che tutto ’nzemmula si’nterrompì e, distintamenti, potti sintiriun miagolio lamintioso.

Era di certo Rinaldo. Ma che stavafacendo?

Si susì, acchianò nell’appartamento disupra.

Il gatto stava davanti alla porta chiusadella càmmara di dormiri di Elena,

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gracciava con le unghie supra al ligno esi lagnusiava.

Voliva trasiri dintra.Montalbano raprì, Rinaldo travirsò

viloci la càmmara, satò supra al letto eci ristò addritta talianno al commissariocome a ’nvitarlo a trasire.

Montalbano avanzò di qualichi passofino a trovarisi al centro del pavimento.

Ora il gatto stava talianno verso’n’autra direzioni.

Il commissario seguì la sò taliata e isò occhi si firmaro supra alla scrivaniablu. Il ripiano di supra eracompletamenti vacanti.

Pigliò ’na seggia, s’assittò, raprì ilprimo cascione a mancina. Era chino di

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ricivuti, di pagamenti fatti, di note, difatture, di bolle d’accompagno, tuttarobba d’amministrazioni.

Richiuì e aprì il secunno cassetto: lastissa cosa, sulo che stavota si trattavadi documenti dell’anni passati raccoltiin tante carpette.

Raprì il terzo e ultimo cascione amanca: ancora documenti di travaglio.Passò a mano dritta. Il primo cascioneàvuto continiva ’na raccolta didocumenti stavota personali: passaportiscaduti, carte d’identità, tesserinisanitari, libretti d’assegni vecchi,estratti conto di banca e via di ’stopasso.

Lo richiuì e aprì il secunno. Taliò tratutte le carti, macari ccà ci stava robba

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personali: cartoline, littre, foto sparse esoprattutto dù granni buste tinute chiuiuteda elastici. Le raprì e s’attrovò davanti a’na sorta di documentazioni minutadell’amore di Elena e Osman.Montalbano squasi vrigugnoso gli detti’n’occhiata superficiali, si sintiva di nonaviri il diritto di trasiri nella vita privatanon tanto della vittima, che sarebbi statodoviri sò, quanto del dottor Osman.

Raprì il terzo e ultimo cascione.Era completamenti vacanti. Il

computer non stava macari ccà.Allura tirò del tutto fora il cascione,

arretrò con la seggia e se lo posò supraalle ginocchia.

Elena aviva cummigliato il funno con

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un pezzo di carta da rigalo. Lo sollivò.Sutta c’era sulo un minuscolo triangolodi carta spissa. Lo pigliò, lo taliò davicino. Era sicuramenti carta dafotografia. Arrapprisintava qualichi cosache non accapì. Lo taliò meglio e alongo e si fici pirsuaso che quella cosache si vidiva era la scarpa con dintra ilpedi di un picciliddro. Lo riposò, cimisi supra la carta, rinfilò il cascionenella scrivania e ristò assittato a pinsari.

Arrivò a ’na conclusioni che però nonaviva nisciun supporto e cioè che macariquel cascione aviva continuto carti efotografie pirsonali di Elena e che, se ciaviva ’nzirtato, l’assassino se le eraportate via.

Stava per susirisi quanno Rinaldo gli

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satò ’mproviso supra alle gamme come asuggerigli che era troppo presto percataminarisi da ddrà.

Allura Montalbano pigliò il gatto e loposò supra alla scrivania, si ricalò dilato e ritirò completamenti fora ilcascione vacanti. Si susì, s’agginocchiòe taliò dintra al pirtuso lassato dalcascione. ’N funno, propio ’n funno,c’era qualichi cosa di bianchizzo.

Si calò chiossà, allungò il vrazzo,tastiò, affirrò il pezzo di carta con dùdita e lo tirò fora. Era un fogliettoarrutuliato per il rapriri e chiuiri delcascione. Doviva essiri un brano di ’nalittra. Ci stavano scritte picca parole:«ora la febbre è passata. Il pediatra diceche...».

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Era ’na grafia chiaramenti fimminina.Si ’nfilò ’n sacchetta il foglietto.

Rimisi tutto a posto e ristò ancora apinsare.

Possibili che in quell’appartamentonon ci fossi nisciuna traccia della vitapassata di Elena? Abbisognava circareancora.

Si susì, annò a rapriri il granniarmuàr. Era chino stipato di vistiti. Suttaperò ci stavano sei granni cascioni. Liraprì a uno a uno. Non trovò autro chebianchiria intima, quasette, cammisette.Nenti autro.

Vinni pigliato da ’na speci di frenesia.Agguantò ’na seggia, la spostò vicinoall’armuàr, ci acchianò, tastiò supra al

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mobili, e le sò dita non incontraro chepruvolazzo.

Scinnì dalla seggia, annò a rapriri tuttie dù i commodini. Nenti.

Passò nel salotto ed ebbi un momentodi scoramento pirchì ci stavano tropperiviste, libri indove taliare. Ancora ’navota ristò a mano vacanti. Non avivaattrovato nenti.

Si rifici le scali e scinnì nelcammarone. Taliò in tutti i postipossibili e ’mmaginabili e alla finiaccapì che ddrà dintra stava pirdennosulo tempo.

Riacchianò le scali, travirsò ilcorridoio, scinnì, raprì il portoni, niscìfora, chiuì e s’addiriggì verso la sò

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machina.Stava raprenno lo sportello quanno il

cellulari squillò. Era Fazio che gli davala conferma per l’appuntamento conLillo Scotto.

Si calò per trasiri e si bloccò.Matre santa! Si era scordato di

Rinaldo!Chiamò il commissariato per parlare

con Catarella. Arrispunnì ’na voci chenon accanosciva.

«Montalbano sono. Chi sei?».«Sono l’agente De Vico».«E Catarella dov’è?».«Dottore, mi spiace ma Catarella è

ripassato nel pomeriggio a casa per

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andare a vedere il gatto ma non l’hatrovato. È praticamente impazzito e losta cercando paese paese».

«Va bene» dissi il commissario.Chiamò a Catarella sul cellulare.«Nonsi, nonsi, nonsi» fici subito

Catarella. «Dottori non mi chiamassi,non sugno digno che vossia mi parlassi».

«Catarè...».«Dottori non mi parlassi pir carità, io

commisi ’n’infamità! A Rinaldo mi ficiscappari e non lo saccio cchiùarritrovari. E io fino a quanno nonarrecupero il gatto e l’onori sugnotroppamente sdisonorato per mittiri pedi’n commissariato».

«Catarè! Che semo all’opra dei pupi?

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A Rinaldo l’attrovai io».Dall’autro capo provinni ’na sorta di

vociata che stava tra l’urlo di Tarzan e ilnitrito di un cavaddro.

«Ma vossia Mago Mirlino è, dottorimio!».

E po’ con voci rotta e gioiosa:«Davero dottori l’attrovò?».«Sì».«Vossia magico è! Vossia sapi fari la

magaria! E indov’è che l’attrovò?».«Si nni era tornato a la casa».«Ma io lo circai per mare e per terra

dintra la mè casa. Macari dintra allosciacuone taliai. Macari dintra al fornotaliai. Macari dintra alla lavandatrici

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taliai...».«Catarè, fammi parlare. È tornato

nella sò casa, dalla signura Elena».«In via Calibardo?».«Sì».«Talè la furtuna! A dù passi sugno.

Arrivo subito».Montalbano tornò narrè, annò a

mittirisi davanti al portoni, s’addrumò’na sicaretta. Era arrivato alla mitàquanno vitti compariri di gran cursa aCatarella che tiniva ’n mano iltrasportino del gatto.

«Ccà sugno» fici firmannosi ansantedavanti al commissario.

Montalbano gli pruì le chiavi dellacasa e dissi:

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«Vattillo ad arrecuperari. Io mi nnivaio a Marinella».

La prima cosa che fici trasenno ’ncasa fu quella di spogliarisi eannarisinni a mittirisi sutta alla doccia.

Non è che fossi particolarmentiallordato, però si sintiva ’mpiccicusosquasi che supra alla sò pelli fossiristato l’alone della vita di Elena che luiaviva profanato mittenno le mano nei sòricordi e nei sò pinseri.

S’arrivistì alla meglio e dato che lasirata era accoglienti, s’assittò nellavirandina e si misi a fumari ’na sicarettaripinsanno a tutti i movimenti che avivafatto nella sartoria sia in prisenza diMeriam e macari quanno la fìmmina sinni era iuta.

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Nel sottofunno del sò ciriveddro c’eraun particolari che lui aviva viduto, esupra al quali per un momento ci avivafatto un pinsero, e che po’ gli era passatodi menti.

Vitti a se stisso cataminarisi ddràdintra come se taliassi un film.

Gli ristava sempri quell’impalpabilesenso di disagio.

Addicidì d’arrividiri la pillicula’n’autra vota e finalmenti la scascione ditutto il sò malessiri gli apparsi chiara e’mprovisa.

Taliò il ralogio.Sicuramenti Leanza a quell’ora non si

trovava cchiù nel sò ufficio. Avrebbidovuto chiamarlo sul cellulari e forsi

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era troppo tardo, ma l’urgenza di aviri’na risposta alla dimanna che gli firriavatesta testa fu cchiù forti.

Lo chiamò.«Montalbano sono. Scusami, Fernà,

se ti disturbo».«Lassa perdiri. Dimmi».«Senti, te l’arricordi che supra al

tavolone della sartoria ci stava ’napezza blu?».

«Sì, quella con la quale l’assassino hapuliziato la forfici».

«Bene, l’aiutante di Elena mi ha dettoche si tratta di un pezzo di stoffavecchio. Te l’arricordi tu che c’è unostrappo?».

«Sì, benissimo».

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«Allora la domanda è questa: sarebbepossibile per la scientifica stabilire sequello strappo è recente o vecchio comela pezza?».

«Certo. Immagino di sì. E unaspiegazione logica potrebbe esserci».

«A che cosa?».«Allo strappo. Se risultasse recente

potrebbe averlo fatto l’assassino mentreripuliva le forbici».

«Certo, è una probabilità» ficiMontalbano. «Ti ringrazio e mi scuso diaverti disturbato».

«Che minchia significa?» dissiLeanza. «Comu ristamo d’accordo? ’Stopezzo di stoffa mi lo vaio a pigliari io ome lo manni tu?».

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«Te lo porto io di pirsonapirsonalmenti».

«Allora t’aspetto domani. Bonanotti».Dato che c’era, addicidì di chiamare

a Livia.Stava per fari il nummaro quanno il

tilefono squillò.«Dottor Montalbano, dottor

Montalbano...» fici la voci stravolta diMeriam.

«Meriam, che fu? Che è successo?».«Ho saputo or ora da Nicola che Lillo

ha tentato di suicidarsi. L’hannotrasportato all’ospedale di Montelusa».

«Ma come è stato?».«Oggi pomeriggio Nicola ha ricevuto

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una telefonata dalla madre di Lillo chelo supplicava di recarsi a casa loro.Lillo era fuori di sé: urlava, dava latesta nei muri, sbavava! Sembrava chefosse in preda ad un attacco di epilessia.Si ricorda che poi lei ha chiesto a Faziodi convocarlo?».

«Certo».«E da allora la situazione, se

possibile, è peggiorata. Quando Nicolaè arrivato, la madre è uscita per andarein farmacia a farsi dare un tranquillante.Nicola non è riuscito a vedere Lilloperché il ragazzo si era chiuso nel bagnoe non voleva aprire».

«E quindi?».«E quindi ha cercato di parlarci

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attraverso la porta, poi quando Lillo hasmesso di rispondergli, e la mamma ètornata, insieme hanno sfondato la portae l’hanno trovato dentro alla vasca chesi era tagliato le vene dei polsi. Eraancora in sé, tanto che ha potutosussurrare a Nicola “senza di Elena lamia vita non ha più senso”».

Montalbano aviva ascutato ’ngiarmatole parole della fìmmina. Era ’na svoltache non s’era manco lontanamentiimmaginato.

Non sapiva che diri.«Grazie, Meriam. Se ha altre notizie

mi chiami a qualsiasi ora. Non abbiascrupoli».

Non sapiva che pinsari.

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Certo, il gesto di Lillo poteva essere’n’ammissioni di colpevolezza comeugualmenti il contrario.

Aviva fatto il primo passo verso laporta-finestra, quanno il tilefono squillòarrè.

«Dottore, mi scusasse l’ora ma èsuccessa ’na cosa laida».

«Dimmi, Fazio».«Sono stato appena avvertito che in

serata Lillo Scotto ha tentato il suicidio.Ora è ricoverato all’ospedale diMontelusa».

«Già fatto» fici Montalbano.«Eh?» addimannò strammato Fazio.«No, scusa. Volevo dire che lo sapevo

già».

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«Che nni pensa se faccio un sàvutoallo spitali e po’ ci telefono dicennolecome stanno le cose?».

«Va bene».Riattaccò, si cataminò verso la

virandina e il tilefono, cheevidentementi si era mittuto a camurria,si fici sintiri novamenti:

«Salvo! Che novità?».A ’sta semplici dimanna, Montalbano

si sintì assugliare da ’na raggia canina,cchiù che parlari, abbaiò:

«Novità??? Te le dico subito: l’ultimoamante di Elena è in galera perché ilpiemme, in combutta con Augello, hadeciso che è senz’altro lui il colpevole.Lillo, il ragazzo che avrebbe voluto

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esserne l’amante, ha appena tentato ilsuicidio ed è all’ospedale. Io sono nellamerda fino al collo: i computer sonoscomparsi, il cellulare non si trova, nonci sono tracce di niente. Gli unici indizisono: un pezzo di stoffa strappato, unpezzo di una foto con un piede dibambino e un pezzo di una lettera conuna frase che non mi significa niente. Ilcorpo di Elena è all’obitorio, i funeralisi fanno domani alle 11 precise allaMatrice. E poi? Ah sì, Catarella haperso il gatto e io l’ho ritrovato».

«Buonanotte» fici Livia chiuienno laconversazioni.

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Quattordici La sfuriatina gli fici beni, tant’è vero

che doppo cinco minuti che si nni stavaassittato nella virandina, gli smorcò ilpititto.

Annò a fari la solita ispezioni ’ncucina. ’Na vota tanto Adelina si eraaddicisa a farigli lo sfincioni con lacarni. Mannava un sciauro da’mbarsamari. Se lo quadiò al forno e selo portò fora. Non conzò manco latavola, gli abbastò mittiri supra altavolinetto ’na buttiglia di vino e unbicchieri. Di posate non ne aviva dibisogno.

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Come sempri, Adelina era stataginirosa, lo sfincioni sarebbi bastato perquattro pirsone, ’nfatti il commissariocon grannissimo dispiaciri arriniscì amangiarisinni sulo la mità.

Allura annò a pigliari un foglio dicarta oliata, ci avvolgì con dilicatizza ilresto del mangiare e l’infilò nelfrigorifiro.

Stava addiriggennosi verso lacàmmara di dormiri quanno sintì ilcellulari squillare.

Era Meriam.«Mi scusi commissario per l’ora

tarda ma volevo farle sapere che sonoandata all’ospedale e lì mi hanno dettoche Lillo Scotto è fuori pericolo e che

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pensano addirittura di dimetterlo domanipomeriggio».

«La ringrazio» fici Montalbano«spero che adesso possa riposare unpochino».

«Grazie, buonanotte a lei».Lassò il cellulari allato alla

tilevisioni, s’addiriggì verso la sòcàmmara, si corcò con soddisfazioni,chiuì l’occhi, e stava tiranno un profunnorespiro che vinni ’nterromputo a mitàdallo squillo del cellulari.

Annò ad arrispunniri, santianno. EraFazio.

«Dottore, staio tornanno daMontelusa, Lillo Scotto è fora piricoloe...».

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«Già saputo» dissi Montalbano squasivrigognuso, si stava piglianno troppirivinciti supra al poviro Fazio.

«Lo sapi che vogliono dimittirlodomani doppopranzo?».

«Saccio macari chisto».«Allora dato che vossia sapi l’arca e

la merca, io la lasso dormiri ’n paci,macari se ci voliva spiari ’na cosa.Bonanotti!».

«Aspetta!!!» urlò il commissario. «Achist’ura di notti m’addiventi’ncazzuso?».

«Sissi dottore, mi scusassi. Quannovossia m’arrispunni sicco che già lecose le sapi a mia mi piglia il nirbùso».

«E figurati a mia!» arrispunnì

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Montalbano. «Parla, che mi volevispiare?».

«Se il picciotto s’arripiglia, lo pozzoconvocari per doppodomani matina».

«Fallo veniri per le nove» ficiMontalbano. «T’arringrazio ebonanotti».

Si stinnicchiò e s’addrummiscì dicolpo per arrisbigliarisi ’mmidiatamentiappresso con l’occhi sgriddrati e susutoa mezzo.

Gli era passato per la testa un pinserocome a una sorta di sirpenti luminoso,vilocissimo, che non arriniscì manco adagguantare per la coda. Porca miseria!Che cos’era ’sto pinsero? Nenti, scuroassoluto.

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Si ristinnicchiò, chiuì l’occhi e sulo inquel momento gli tornò a menti che quelpinsero arriguardava in qualichi modo letilefonate di Elena e macari qualichicosa che lui non aviva fatto in proposito.Cos’è che s’era scordato di fare?

«Mannaggia alle vicchiaglie fottute!»’mprecò.

Ma non potiva farici nenti. Accussì siperse un’orata ’ntera prima che potissiarripigliari sonno.

E raprì l’occhi sulo quanno la matinaera già àvuta.

Addicidì che potiva ristarisinnicorcato pirchì non aviva nenti d’urgentida fare ’n commissariato.

Po’ cangiò pinsero.

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Si susì, misi il cafè supra il foco, sifici la varba, si vippi la cicaronata, annòa ’nfilarisi sutta alla doccia.

’Nveci di vistirisi ’ndossò un costumeda bagno e principiò ’na lunghissimapassiata a ripa di mare che gli alliggirìil ciriveddro e gli puliziò i purmuna.

Quanno si nni partì per Vigàta eranole novi del matino.

Trasenno ’n commissariato, si firmòdavanti allo sgabuzzino di Catarella egli spiò:

«Che mi conti di Rinaldo?».Catarella fici ’na smorfia, come a

diri, di dispiaciri:«Dottori, ’ntipatico gli staio. Chiangi

di continuo continuamenti. Si nni voli

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scappari. Mischino! Era bituato con ’nafìmmina e io sugno un mascolopurtroppamente. Quanno arrinescio atinirlo fermo e a carizzarigli la testa inmezzo alle grecchie, iddro ’nveci di fariron ron ron, mi fa sgniffi sgniffi sgniffi,che è il signali che mi voli aggrampare.M’arrefuta pirsino il vissicassi».

«Catarè, sai che ti dico: siccome devovidiri prima o po’ a Meriam, le dirò dipigliarisillo iddra».

«Ma io a Rinaldo mi ci affezionai».«Ti pigli ’n autro gatto bianco dalla

strata e fai ’n’opira di beni. Senti ’nacosa: ce l’hai ancora tu le chiavi dellasartoria?».

«Sissi dottori».

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«Dunamille».Catarella raprì un cascione e gli pruì

il mazzo di chiavi.«Procurami» dissi Montalbano «un

sacchiteddro di plastica».«Per la spisa?».«No, Catarè, uno di quelli indove ci

si mettino i reperti».Catarella si calò novamenti, raprì ’n

autro cascione e gli detti ’na bustinatrasparenti col sigillo aperto.

Montalbano se l’intascò e si nni niscìfora dicenno:

«Torno tra ’na mezzorata».Si rimisi ’n machina e s’addiriggì

verso via Garibaldi. Fortunatamenti

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c’era posto propio davanti alla bitazionidi Elena.

Parcheggiò, raprì il portoni, acchianòle scali, travirsò ràpito il corridoio,scinnì nel cammarone, annò a posari labustina supra al tavolo, pigliò la stoffablu tinennola per dù dita e ce la ’nfilòdintra.

Po’ si rifici all’inverso la caminataper nesciri fora.

Misi ’na mano supra alla maniglia delportoni per raprirlo ma si firmò dicolpo. C’era qualichi cosa che lodistrubbava profunnamenti. Era daccapoquel sirpenti luminoso che nella nuttatapassata lo aviva fatto susiri a mezzo delletto. Provava di novo la nettasensazioni che stava trascuranno di fari

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qualichi cosa che avrebbi assolutamentidovuto fari.

Ma che cosa?Si nni stetti tanticchia accussì fermo

ma non gli vinni nenti ’n menti.Allura raprì, rimontò ’n machina e si

nni tornò ’n commissariato.«C’è Fazio?» spiò a Catarella.«Sissi dottori».«Mannamillo».S’assittò e trasì subito Fazio.«Buongiorno dottore».«Assettati e parlamo tanticchia. Che ti

nni pari del tintato suicidio di LilloScotto?».

«Dottore, che vole che ci dica? Ne ho

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discusso macari con il dottor Augelloche esclude nel modo più assoluto che sitratti di un’ammissione di colpevolezza.Lui è amminchiato che l’assassino èTrupia e da lì non si catamina».

«Ma tu come la pensi?».«Io ’nformazioni supra a ’sto picciotto

le pigliai. E non c’è stato uno, dico uno,che ritiene a Scotto capace d’ammazzaria ’na furmica. Secunno mia Lillo hatintato il suicidio propio a causa dellaperdita della signura Elena».

«Che bravi che semo!» fici amaroMontalbano. «Avemo suttamano a dùpossibili assassini: uno sta ’n galera,l’autro ’n ospitali, e, ’n funno ’n funno,semo persuasi che non ci trasino pernenti».

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«Macari pirchì sapemo ancora lamizza missa» fici Fazio.

«Spiegati meglio».«Dottore, dico che forsi ’n’idea ce la

potemo fari sulo doppo l’interrogatoriodel picciotto. Vossia si fici laconvinzione che non è stato Trupiaquanno che ebbi parlato con lui. Capaceche quanno ’nterroga a Scotto, vossia sifa ’n’idea opposta».

«Vabbeni. Lassamo piccamora laquestioni ’n sospiso».

«Vossia ci va al funerali della signuraElena?» spiò Fazio.

«Sì».«Voli che ci vegno macari io?».«No».

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Fazio accapì che ’sto sì e ’sto nostavano a significari che laconversazioni era finuta.

«Mi nni torno a travagliare» dissisusennosi e niscenno.

Montalbano pinsò a come avrebbipotuto ’mpiegari quell’orata che gliristava prima di annari ’n chiesa.

S’arricordò del sò collega di carta,quello Schiavone mannato ad Aosta, chela prima cosa che faciva la matina,arrivanno ’n ufficio, era di fumarisi ’nospinello.

No, no, non potiva principiare con ledroghe liggere alla sò eta!

Malinconicamenti allungò un vrazzo,pigliò il foglio che stava supra alla

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catasta delle carte e, sdisolato,accomenzò a firmare.

La Matrice era stipata di pirsone.Elena aviva fatto scasare mezzo paìsi.

La cascia stava posata ’n terra davantiall’altare maggiore.

Nel banco di sinistra ci stava Meriamche tiniva abbrazzata a Teresa, tuttavistita di nìvuro. Darrè alle dù fìmminec’era Stefano che circava di fari stari ’nsilenzio ai dù picciliddri decini cheaviva allato.

Nel banco di destra s’attrovava ’nacoppia perlomeno ’nsolita: il vecchioNicola che si nni stava accasciato con latesta tra le mano, e che chiaramentichiangiva, e, allato a lui, eretto, fermo,

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’mpassibili, cchiù eleganti del solito,c’era il dottor Osman.

Tra la genti, Montalbano arraccanobbia Enzo, al barista del Bar Castiglione, aAugello, al fruttivendolo e al tabaccaro.

‘Nzumma tutti l’abitanti di viaGaribaldi e dintorni erano ddrà.

Il commissario ascutò ’n silenzio tuttala missa, po’ doppo la benedizioni ildottor Osman si susì e s’avvicinò allacascia.

Lo raggiungero tri portantini, si calaroe, ’n contemporanea, isaro la bara che ildottore si posò supra alla spaddra destramentri che con la mano mancinacarizzava liggermenti il ligno.

Montalbano aspittò che la genti

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niscisse e po’ s’accodò all’ultimi. Matutto ’nzemmula vinni affirrato per unvrazzo. Era ’na fìmmina cinquantina,trasandata, coi capilli in disordini chechiangiva:

«Mè figlio ’nnuccenti è!».Doviva trattarisi della matre di Lillo

Scotto.«Dottori m’avi a cridiri, ’nnuccenti è!

Ci lo dico io che sugno sò matre e losento nel profunno del cori mè».Chiangenno e singhiozzanno continuò:«’U sciato do mè sciato non è capace difari ’na cosa accussì laida! ’U sangu domè sangu prifirisci ammazzarisichiuttosto che ammazzari».

«Signora, si calmi. Vada all’ospedale.

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Lillo ha bisogno di lei. Poi vedrà chechiariremo tutto con suo figlio».

Livò con sdilicatizza la mano dellafìmmina che era ancora aggrampata al sòvrazzo e s’avviò fora.

Il carro funebri si stava giàcataminanno con tri o quattro machineappresso.

Montalbano annò verso la sò machinaper tornarisinni ’n commissariato, maappena appuiò le mano al volanti,d’istinto si misi appresso al corteofunebre.

Arrivato al camposanto, accapì che latumulazione s’apprisintava longa,epperciò s’addrumò ’na sicaretta eprincipiò a caminare tra i vialetti,

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sempre tinenno d’occhio, a distanza, lacirimonia.

Alla quinta sicaretta si pirsuadì cheera arrivato il momento dellecondoglianze.

Abbrazzò a Osman che era venuto asalutarlo e si misi ’n fila come ultimo.

Meriam era sempre allato a Teresa efu lei a presentare Montalbano, il quale,senza diri ’na parola, stringì forte lamano della signura. E stava per lassarlaquanno lei gli dissi:

«Grazie commissario, so che stafacendo tanto per Elena».

«Mio dovere. Quando se la sentirà,avrei bisogno di parlarle».

Teresa isò la veletta. Montalbano

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s’aspittava di vidiri a dù occhi spenti,addulurati, arrussicati dal chianto,’nveci la taliata della fìmmina era quelladi ’na vestia feroci, con le pupillestringiute, nìvure, che mannavano lampi.

«Per me anche adesso. Voglio saperechi ha ammazzato la mia Elena. Puòaspettarmi un momento?».

«Certamente» fici Montalbanoalluntanannosi.

Vitti che Teresa parlava con sòmarito, vasò i picciliddri e po’ scangiòqualichi parola con Meriam.

S’avvicinò novamenti versoMontalbano e dissi:

«Andiamo pure».«Dove?».

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«A pochi passi dalla tomba difamiglia c’è una panchina. Se vuole...Mi scusi, ho bisogno d’aria e cosìstiamo ancora un po’ vicini a Elena».

«Va bene» dissi il commissario.S’assittaro e si nni stettiro per

tanticchia senza rapriri vucca. Forsipirchì si sintivano disagiati dal silenzioche gravava torno torno a loro.

C’era ’n’aria rarefatta, chestranamenti attutiva persino la rumoratache facivano le machine passanno sullastrata al di là del muro di cinta.Montalbano osservò che nel cielo delcamposanto non volavano mancol’aceddri.

Ci stava un sulo essiri viventi a ’na

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trintina di metri da loro. Era ’na vecchiache cangiava l’acqua dei sciuri davanti a’na funtaneddra.

Dal posto in cui s’attrovava,Montalbano aviva davanti a ’na tomba’nterrata surmontata da ’na granni crocidi ferro. Supra alla lapidi ci stavano dùfotografie rotunne che ammostravano dùpicciotteddri ’n divisa. Montalbanoarriniscì a leggiri le littre mitallichesutta alle foto: si trattava di dù fratelli,Antonio e Carmelo, morti nella missioniin Afghanistan.

Il commissario pinsò che con ogniprobabilità quella tomba e quelle scrittel’avivano fatte fari i genitori dei caduti.

Rapprisintava ’n’inversionidell’ordini naturali delle cose.

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A seppelliri chiddri ca morinodevono essiri i figli e non i patri e lematri.

I sò pinseri vinniro ’nterrotti dallavoci di Teresa che evidentementi non cela faciva cchiù a reggiri a tutto quelsilenzio:

«Siete sicuri che l’assassino di Elenasia Diego Trupia?» fici la fìmmina,aggressiva.

«Lei no?».«No. O almeno non ne sono così

sicura».«Perché?».«Perché conosco Trupia e conosco il

rapporto che aveva con Elena. Eranoamanti sì, ma non avevano un legame

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veramente intimo. Come posso dirle,erano entrambi consapevoli che il loroincontro non sarebbe andato oltre aquello che era. Avevano una buonaintesa fisica che è sempre rimasta a quellivello. Voi avete qualche prova, avetequalche indizio per arrestarlo?».

«L’unica prova è che non ha un alibiper quella sera» fici il commissario,sorprinnennosi per la sò stissa sincerità.

«Non mi sembra molto. Anche io nonavrei un alibi per quella sera».

«A parte il fatto che a lei nonoccorre» ribattì Montalbano «leconfesserò che c’è una certa diversità divedute tra me e i miei colleghi».

Teresa pigliò come la menta:

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«Allora lei avrà una qualche idea dichi può essere stato?».

«No signora» fici il commissario.«Altrettanto sinceramente devo dirle dino. Ed è per questo che sono seduto quicon lei. Ho la necessità di sapere tutto ilpossibile su Elena».

Fu come rapriri la diga di un sciume’n piena.

«Lei non ci crederà ma è su questapanchina che io ho parlato per la primavolta, con Elena, della morte di miofratello. E oggi sono sulla stessapanchina a parlare, con lei, della mortedi Elena. La conobbi perché venne aVigàta ad accompagnare la salma diFranco e qui nacque l’amicizia, vera, trame e lei. Non era un legame dato dalla

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parentela, io e Elena eravamo veramentesorelle. E credo che proprio quelgiorno, su questa panchina, Elena, solacom’era, decise di venire a vivere aVigàta».

«Per la prima volta? Durante ilmatrimonio con suo fratello non vieravate mai viste?».

«Sa dottore, in quegli anni io eroancora molto giovane e non mi davanola possibilità di viaggiare da sola. Nonsono mai riuscita ad andare al nord atrovarli e non sa quanto avrei voluto, maanche i miei genitori non si spostavanofacilmente. Franco durante gli anni conElena venne a trovarci, da solo, duevolte. Però ci sentivamo spesso altelefono, mi mandavano cartoline,

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lettere, foto... sa, avevano il loro sognoda realizzare e non trovavano tempo peraltro».

«Che sogno?».«Franco e Elena volevano diventare i

più importanti stilisti italiani. Siincontrarono in una rinomata scuola dimoda, a Vicenza. Franco aveva sempreavuto quella passione. Me lo ricordo, dapiccolo passava le serate con mia nonnaa fare la maglia, a cucire, a rammendare.Era lui che mi faceva i vestiti per le miebambole. Ha sempre avuto le ideechiare, voleva fare il sarto, e appenafinito il liceo, con il massimo dei voti,chiese ai miei genitori di pagarglil’Accademia in Veneto. Lì incontròElena, si riconobbero immediatamente.

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E si sposarono poco dopo senza dirlo anessuno. Lo venimmo a sapere da unafoto che ci mandarono. Sicuramente laprima cosa che li legò fu il talento di leie la maestria di lui. Erano una coppiacosì perfetta sul lavoro, che poi, comemi raccontò Elena, fu inevitabile che laloro intesa divenisse anche unarelazione intima. Si bilanciavanoperfettamente: lui nella tecnica, nellamanifattura, lei nell’ideazione, nellaricerca stilistica. Appena preso ildiploma, trovarono subito lavoro. Elenain un’azienda di prêt-à-porter e Francodisegnava borse per un grande stilista.Ma questo era per loro un lavoroprovvisorio. Il loro sogno era dimettersi in proprio. Elena mi raccontò

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che vivevano in trenta metri quadri,facevano gli straordinari apposta perpoter risparmiare i soldi necessari. E igiorni festivi li passavano in macchina agirare per i paesini di provincia in cercadel posto ideale dove mettere su il loroatelier. Elena, nel frattempo, eradiventata così brava che fu messa a capodi una linea importantissima.Guadagnava molti soldi tanto che Francosi poté licenziare per avere più tempoda dedicare alla ricerca del luogo e atutto quello che occorreva per mettere sula loro azienda. Alla fine si decise per ilpaese di Bellosguardo».

«Bellosguardo!» pinsò Montalbano,arricordannosi di ’na poesia di Montale.

«Dove si trova?» spiò.

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«In provincia di Udine» arrispunnìTeresa proseguenno: «ChiaramenteElena non si poté trasferire subito,doveva terminare il suo contratto esoprattutto finire di disegnare la sualinea e quindi Franco, per i primi mesi,si sistemò da solo».

«Dopo quanto tempo Elena loraggiunse?» spiò Montalbano.

Teresa lo taliò ’mparpagliata e nonarrispunnì subito.

Po’ dissi lenta lenta:«Perché insiste a farmi domande su

questa storia vecchia di quattordicianni?».

«Non capisco» arrispunnì Montalbanotaliannola ’ntirrogativo.

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«Lei mi sta facendo raccontare unastoria che non c’entra niente conl’omicidio di Elena. Mi dica la verità:non sapete in che direzione muovervi?».

«No, signora, no. Semplicementeritengo che in questo momento qualsiasiinformazione su di lei possa essermiestremamente utile».

Teresa non parsi persuasa, peròcontinuò a contare:

«Elena lo raggiunse dopo sei mesi, sericordo bene. Franco aveva già trovato ilocali per l’atelier e si era trasferito inuna casetta molto carina a pocadistanza».

«E poi che successe?».«Successe che mentre piano piano i

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clienti cominciavano ad arrivare el’atelier iniziava ad andare bene, il loromatrimonio mostrava le prime crepe.Elena mi raccontò che la vita in un paesecosì piccolo le pesava. Non riusciva adintegrarsi e dato il suo carattere, nesoffriva molto. Oltretutto aveva ricevutoun’ottima offerta dall’azienda nellaquale aveva lavorato. Franco riuscì aconvincerla nel continuare a tener fedeal loro sogno ma Elena non era piùfelice. E poi...».

S’interrompì. E doppo picca dissi:«Mi sento estremamente a disagio».«Perché?» spiò Montalbano.«Perché mi ero ripromessa di non

raccontare queste cose a nessuno. Ancor

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di più ora che Elena e Franco sonomorti. Mi sento di violare un’intimitàche loro non sono più in grado didifendere».

«Signora, la capisco benissimo. Tengapresente però che io non sono ungiornalista, ma un poliziotto. Le miedomande servono solo edesclusivamente all’indagine».

«Capitò che a un certo momento Elenasi rese conto che Franco cominciava aconsiderarla più come un sociodell’atelier che come sua moglie. Midisse anche che da quando si eratrasferita a Bellosguardo lui eracambiato. Era distante, assorbito dallavoro e poco coinvolto nel loromatrimonio. Sentiva che lo stava

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perdendo e allora reagì nel modo piùnaturale per una donna: disse a Francoche voleva un figlio. Mi raccontò cherimase quasi spaventata dalla violentareazione di lui. Sostenne che avere unfiglio in quel momento sarebbe stata unafollia, che avrebbe limitato lepossibilità del lavoro di Elena, chesarebbe stato un peso e che quindi nonera il caso nemmeno di parlarne. Laaggredì, questo me lo raccontòpiangendo, lo ricordo benissimo. Lacrepa si allargò ogni giorno di più.Ecco, credo che sia stato questo l’iniziodella loro crisi».

«Mi perdoni» fici il commissario «seentro in un campo per lei dolorosissimo.Elena le disse mai quale fu, secondo lei,

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la causa del suicidio di Franco?».«Sì. Fu in seguito a una lite

violentissima in cui Elena gli diede l’autaut: o facevano un figlio o lei avrebbelasciato l’atelier. Quella sera Francouscì di casa sbattendo la porta e venneritrovato l’indomani mattina, con le manilegate, annegato nel fiume vicino ilpaese».

«Come con le mani legate?» ficistrammato Montalbano.

«Era un bravissimo nuotatore, Franco,e la polizia disse che per non cedereall’istinto di sopravvivenza si era legatoda solo e si era gettato nel fiume».

Per un attimo parsi che le mancasse ilrespiro. Dù lagrimi le sciddricaro

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silenziose lungo le guance.Montalbano aviva gana di passarle

’na mano supra alle spaddre ma si tenne.«Però...» fici Teresa, ’nterrompennosi

subito.«Però?» l’incitò il commissario.«Però voglio essere sincera con lei

sino in fondo. Ancora oggi non sonoconvinta che Elena mi abbia dettol’intera verità».

«E che ragione poteva avere per nondirgliela?».

«Non saprei, forse Franco l’avevaoffesa come donna. O forse Elena nonvoleva provocarmi un nuovo doloreraccontandomi altri dettagli. Ho sempreavuto questo sentore, che Elena volesse

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proteggermi da qualcosa. Avevo da pocoperso i genitori, e anche Franco se n’eraandato in quel modo così orribile.Elena, forse, voleva risparmiarmiun’altra ferita».

«Alcuni testimoni» dissi ilcommissario «mi hanno riferito cheElena certe volte riceveva delletelefonate che la lasciavano moltoturbata e scossa. È capitato qualchevolta in sua presenza?».

«No. Mai».Po’ fici un sorriseddro amaro.«A dirla tutta, mi sta tornando in

mente che una telefonata “amara” laricevette Franco l’ultima volta chevenne a trovarci».

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Quindici «Perché amara?».«Me lo ricordo furibondo. Mi

accennò ad una lavorante dell’atelierche si era comportata male o qualcosa disimile. Ma nonostante abbia tagliatocorto rimase di pessimo umore per tuttoil soggiorno a Vigàta».

«Che lei sappia Elena è rimasta incontatto con qualcuno diBellosguardo?».

«No. In questi giorni mi sonodomandata più volte chi dovevoavvisare della morte di Elena. Estranamente non mi è venuto in mente

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nessun nome che appartenesse al suopassato. Il suicidio di mio fratello èstato per lei un fatto così traumatico edevastante che ha chiaramente volutochiudere con quel periodo».

Tirò un respiro funnuto.«Si sente stanca?».«Sinceramente sì».«Allora, se vuole, la accompagno a

casa».«Grazie» fici Teresa susennosi.Caminaro nel vialetto che portava

all’uscita. Tutto ’nzemmula Teresa sifirmò pigliata da un pensiero ’mproviso.

«Ma Rinaldo?» dissi. «Che fine hafatto Rinaldo?».

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«Attualmente ce l’ha in custodia unnostro agente» arrispunnì ilcommissario. «Pensavo di chiedere aMeriam di prenderselo».

«No» fici arrisoluta Teresa. «Lovoglio io».

«Non c’è problema. Glielo faccioportare a casa in giornata».

Erano fora dal camposanto, ilcommissario s’addiriggì secutato daTeresa verso la sò machina parcheggiataa picca distanza.

Raprì lo sportello del passeggero e sicalò per livari dal sedili il sacchiteddrotrasparenti con la pezza blu. Po’ siscostò per fari trasiri Teresa ma lafìmmina era ristata ’mmobili con l’occhi

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fissi supra alla busta.«Che cos’è?» spiò con voci

trimulianti.Montalbano sul momento non seppi

arrispunniri pirchì la virità su cos’eraquel tissuto sarebbi stata troppo brutali eviolenta per Teresa. Allura la pigliò allalarga:

«È un pezzo di stoffa che ho trovatonella sartoria e che voglio fareesaminare dalla scientifica».

«Me lo dia» dissi Teresa dura. Erasquasi ’n ordini.

E Montalbano bidì.Teresa pigliò il sacchiteddro, se

l’avvicinò all’altizza dell’occhi, lotaliò. Po’ dissi:

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«Io lo so che cos’è».Il commissario ristò ’n silenzio

taliannola nel funno dell’occhi e con unavoci che squasi si stava spizzanno,Teresa continuò:

«È la sciarpa con la quale Franco silegò le mani prima di buttarsi nel fiume.Elena la teneva in un cassetto con tutte lealtre cose del suo matrimonio».

«In quale cassetto?».«Quello della sua scrivania. In

camera da letto. Il terzo a destra inbasso».

Quello che aviva attrovatocompletamenti vacanti.

Teresa continuava a tiniri ’n mano ilsacchiteddro sempri osservannolo

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attentamenti e il commissario non se lasintiva di ripigliarisillo. Mentri chetaliava, la fìmmina accomenzò a scotirila busta per potiri osservari meglio lastoffa.

«Ma mi pare che ci sia uno strappo»fici.

«Sì» dissi Montalbano.«Ma l’ultima volta che l’ho vista era

intatta. E non era così sporca. Cosa sonoqueste macchie?».

Montalbano le livò di mano ilsacchiteddro:

«È per questo che lo sto portando allascientifica».

E mentri che si congratulava con sestisso per la bella farfantaria, chiuì lo

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sportello a Teresa che finalmenti si eraarrinisciuta a cataminare e si misi alposto di guida per addiriggirisi verso lacasa della fìmmina.

Montalbano parcheggiò, annò arapriri lo sportello, Teresa scinnì, sifirmò davanti a lui.

«Lei mi deve fare una promessa».«Gliela faccio».«Voglio essere la prima a sapere il

nome dell’assassino».«Lo sarà» dissi Montalbano «e si

ricordi che io voglio essere il primo asapere qualsiasi cosa le possa tornare inmente che riguardi il passato e ilpresente di Elena. Anche se la cosapotrebbe non apparirle rilevante».

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«Promesso».Si stringero la mano, Montalbano

aspittò che lei trasisse nel portoni, po’riacchianò ’n machina e prima di mittiri’n moto taliò il ralogio.

Erano le dù. Partì a grannisimavilocità verso la trattoria di Enzo.

Durante il tragitto arriniscì ascancillarisi dalla menti tutta ladiscorruta fatta con Teresa.

Voliva mangiare pinsanno sulo almangiare.

Sulla porta della trattoria squasi siscontrò con Beba che nisciva tinenno trale mano un grosso pentoloni fumanti,secutata da ’n’autra fìmmina con unpentoloni uguali.

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Non ebbi bisogno di fari dimanne peraccapiri che il piatto del jorno sarebbistato novamenti la zuppa del migranti.

Beba lo salutò di cursa, lui arrispunnìcon un’isata di testa e annò ad assittarisial solito tavolo.

«Non hai bisogno di parlare» dissi aEnzo, appena quello gli s’apprisintò.«Portami ’sta zuppa».

Enzo l’arringraziò con l’occhi e annò’n cucina.

Niscì appisantuto, pirchì come avivafatto la prima vota, si nni sbafò dùporzioni e supra ci misi macari unpiattoni di purpiteddri e gammari fritti.

La passiata molo molo fubastevolmenti faticosa e quanno s’annò

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ad assittari allo scoglio chiatto aviva ilrespiro pisanti.

Aspittò che l’ariata di mari gliportassi ’na vintata frisca nel ciriveddroe accomenzò ad arriflittiri supra a tuttoquello che gli aviva contato Teresa.

Dalle sò paroli emergiva soprattutto’na cosa chiara e lampanti: che Elenadel sò periodo di maritata parlava piccae nenti, e quanno era costretta ’nqualichi modo a farlo, si limitavasicuramenti a contare la mezza missa.Perfino Teresa aviva notato ’sto modo difari della cognata.

Che c’era nel passato di Elena chedoviva ristari seppelluto ’nzemmula colmarito?

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E quelle tilefonate non potivano essiriun’eco sgradevoli di quel passatostisso?

E se le cose stavano accussì chi era lamisteriusa pirsona che stava all’autrocapo del filo?

Po’ arriflittì che aviva adopiratomalamenti la parola filo, pirchì letilefonate, tanto di Elena, quanto diFranco, erano state sul cellulari.

Comunque, filo o no, ’sta facenna erada approfunniri pirchì potiva arresultaririsolutiva, ma quello che l’aviva colpitochiossà era la storia della sciarpa con laquali Franco si era legato le mano pernon mittirisi ’stintivamenti a natarequanno si era ghittato nel sciume.

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Come avivano fatto la polizia locali oi carrabbineri a stabiliri con cirtizza cheFranco si era legato da sulo le mano?

In autri termini: come avivano fatto ascartari l’ipotesi di un omicidio? Macarichisto era ’n argomento fondamentali.

Allura tirò fora dalla sacchetta ilcellulari e chiamò a Catarella.

«Catarè, ti devo diri dù cose: laprima è che devi portari a Rinaldo acasa della cognata della signura Elena,in via della Regione 18...».

«Maria che duluri di cori! Propiostamatina che ’nveci di farimi sgniffisgniffi per la prima vota, pinsassidottori, mi fici ron ron...».

«Mi dispiace, Catarè. Po’ mi devi

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trovare ’mmidiato il nummaro ditilefono del guardiano del camposanto eme lo dici».

«Vabbeni dottori, ora glielo circo a’sto Gaetano del Camposanto!».

«Catarè, ho detto guardiano, nonGaetano, e il camposanto è il cimitero,non un cognome».

«Mi scusassi dottori. Che fa attacca onon riattacca?».

«No, aspetto all’apparecchio».«Subitissimo dottori».Stavota Catarella veramenti non persi

tempo.Dù minuti appresso il commissario

chiamava al custodi.

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«Il commissario Montalbano sono».«Mi dicissi dottori. Propio stamattina

ebbi il piaciri di vidirla ccà».Sulo un custodi del cimitero potiva

adoperari la parola «piaciri» a vidiri auno al camposanto!

«Le vorrei chiedere un favore.Dovrebbe andare alla tomba dellafamiglia Guida e dirimi la data di mortedi Franco Guida».

«Nca certu! Dottori, glielo telefono omi richiama vossia?».

Montalbano gli detti il nummaro delsò cellulari.

Ristò tanticchia a taliare unmotopeschereccio che trasiva lento lentonel porto.

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Squillò il cellulari.«Dottori, il signori Franco Guida

arresulta morto il 19 febbraio del 2002.Avi bisogno d’autro?».

«Nenti. L’arringrazio. Bongiorno».Si signò la data supra a un pezzetto di

carta che aviva trovato ’n sacchetta.Po’ chiamò novamenti a Catarella:«Aio bisogno che mi fai ’na ricerca».«A disposizioni, dottori» fici con voci

entusiasta.«Trovami tutte le notizie sulla morte

di Franco Guida, ripeto Franco Guida»dissi il commissario scannenno bono lelittre «avvinuta il 19 febbraio del 2002sui giornali del Friuli, ripeto Friuli. Emacari se trovi qualichi cosa sui jornala

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delle nostre parti».«Vabbeni dottori, con la reti di

internetti ’sta cosa è bastevolmentifacilissima».

Si nni tornò, un pedi leva e l’autrometti, verso la sò machina, ma pinsò chela meglio era di farisi pricidiri da ’natilefonata.

«Ciao Fernà, se vegno ora aMontelusa mi puoi dari cinco minuti?».

«Vabbeni, t’aspetto. È per quel pezzodi stoffa?».

«Sì».«Dammi subito ’sto tissuto» fici

sgarbato Leanza, senza manco salutarlo«che lo porto a Micheluzzi».

«Aspetta un momento» dissi

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Montalbano sorpriso. «Che ti piglia? Tifici offisa?».

«No Salvo, tu non mi fai offisa. Sugnosolo ’ncazzato con i mè òmini».

«E pirchì?».«Perché non avemo dato nisciuna

’mportanza a ’sto straccio, ma ’nvecil’importanza ce l’aviva si tu ora me loveni a sbattiri sutta al naso».

«No, Fernà, le cose non stannoaccussì, pirchì voi, come me del resto,allura non sapevate il valori che puòaviri questo strappo».

«Va bene» fici Leanza. «Assettati easpettami. Se vuoi ti offro tanticchia diwhisky per fariti passare tempo».

«No grazie» arrispunnì Montalbano

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«ma me la potissi fumari ’na sicaretta?».«Facemo accussì» dissi Leanza. «Io ti

chiuio dintra a chiavi accussì non trasinisciuno».

Di sicarette Montalbano si nni dovittifumari tri prima che Leanza comparissinovamenti.

«Micheluzzi dici che lo strappo èrecentissimo. Mentri che la stoffa èvecchia chiossà di deci anni. Ora dimmipirchì ’sto strappo è accussì’mportanti».

«Secondo te questo può essere dovutoalle forbici?».

«È una domanda per la quale ho giàuna risposta: Micheluzzi dici che sefossiro state le forfici i tagli sarebbiro

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netti. No, è stato lacerato con le mano.’N’autra cosa: dicino che su tutto iltissuto ci stanno delle lunghe pieghe,come se fossi stato compresso,ripiegato, dintra a ’na scatola per moltotempo. Ti torna?».

«Mi torna» fici Montalbano susennosi«e t’arringrazio».

«E come? Mi lassi con ’na manodavanti e una darrè? Non mi dici nenti ’nproposito?».

«Mi devi perdonare, Fernà, ma io aioancora idee confuse e vaghe. Capace chese ti spiego qualichi cosa dicominchiate».

Si salutaro, Montalbano si ripigliò ilsacchiteddro e si nni ripartì per il

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commissariato.«Lo portasti il gatto alla signora?».«’Mmidiato ce lo portai, dottori.

Maria, che dolori di cori che provai. Lasignura quanno che lo vitti, accomenzò achiangiri e se lo abbrazzò, vasannolotutto. Accussì mi fici pirsuaso cheRinaldo sarebbi stato trattato bono em’accunzulai».

«Talè, si ti voi consolari meglio,propio allato a indove ho parcheggiatola machina ci sta ’na gatta madre con dùgattareddri».

«Sapi chi faccio?» arrispunnìCatarella. «Siccome che mi è restatomangiare di gatti, ora ce lo porto».

«La ricerca dei jornala me la stai

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facenno?».«E come no, dottori! Già ne attrovai

dù longhi. Ma cerco infessamenti,dottori, senza pirdiri un minuto».

«Grazii. Senti ’na cosa, c’èqualichiduno?».

«Sissi dottori. In loco c’è il dottoriAugello».

«Mannamillo».Appena che Mimì trasì e s’assittò

silenziuso, dalla facci scura che avivaMontalbano accapì che portava qualichimala nova.

«Che c’è?».«C’è che c’è una grannissima rottura

di cabasisi».

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«Vali a diri?».«Vali a diri che cinco minuti fa mi

tilefonò il questori per dirimi dimittirimi stanotti con deci òmini adisposizioni di Sileci...».

«Arrè accomenzò ’sta camurria?»spiò Montalbano.

«Il questori dici che è un fattocizzionali. Ma ’nzumma, è sempri lasolita storia: sàvuta ’u trunzu e va ’nculu all’ortolano. Pari che stanottiarriveranno circa setticento povirazzi...E chista è la prima rottura».

«E l’autra sarebbi?».«Sarebbi che il signor gippi è

orientato a non convalidare l’arresto diquella gran merda di Trupia».

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«E pirchì?».«Pirchì l’avvocato difensori è stato

abili assà, è arrinisciuto a convinciri algippi che la mancanza di alibi non èsigno di colpevolizza e che non c’ènisciuna prova contra di lui. Quindi ilgippi si è pigliato ventiquattr’ure perdicidiri. Ma sugno sicuro che lo rimetti’n libertà».

«E levami ’na curiosita» ficiMontalbano con un sorriseddro «se cifusse stato un processo contra, ti saresticostituito parti civili pirchì Trupia tifuttì la fìmmina?».

«Quanto sei stronzo, Salvo. Io sonoprofondamente convinto che l’assassinosia lui e, anche se sarà rimesso inlibertà, non gli lascerò un attimo di

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respiro. Non troverò pace fino a quandonon avrò provato la sua colpevolezza».

Montalbano si misi ad applaudiri.«Che ti piglia?» fici strammato Mimì.«Che bravo! Ottima ’ntepretazioni!

Mi pari di sintiri ’na pillicula miricana.Se me l’arripeti con la stissa enfasi tifrisculio la musica di sottofunno».

«Ma vaffanculo!» fici Mimì susennosie sbattenno la porta.

La quali porta, un minuto secunnodoppo, si raprì per fari compariri aFazio, il quali assittannosi notò ilsacchiteddro con la tila blu e ristò ataliarlo ’n silenzio con la facci scurusa.

«Ti vinni ’na botta di mutangheria?».«Nonsi dottore, è vossia che devi

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parlari».«E di che?».«Per esempio di ’sto tissuto che io

l’ultima vota che lo vitti stava supra altavolo della sartoria».

«Sì, ti conto tutto. Te l’arricordi cheera macchiato di sangue pirchìl’assassino ci aviva puliziato la forfici eche c’era macari ’no strappo?».

«Sissi».«Ora, sàvuto i dettagli, mi vinni la

curiosità di sapiri se ’sto strappo erarecenti, accussì annai alla scientifica chemi dissi che la strazzatina è nova novama il tissuto è vecchio assà».

«E che veni a diri?» spiò Fazio.«Veni a diri quello che mi spiegò la

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signura Teresa».«Lo spiegassi macari a mia».«Stammi a sintiri bono: Franco, il

marito di Elena, morsi suicidannosi,ghittannosi nell’acqua di un sciume. Eper ’mpidiri all’istinto di sopravvivenzadi entrari in joco, si legò le mano.Propio con questa sciarpa».

La sbirritudini di Fazio ebbi lameglio:

«Ma come hanno fatto a essiri sicuriche le mano non gli foro legate daqualichi autro? Per esempio da quellostisso che lo voliva ammazzare, fingennoun suicidio?».

«E questo me lo devi diri Catarella».«Come Catarella?».

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«Sì, gli ho dimannato di raccogliritutte le notizii dei jornala arriguardanti a’sto suicidio. Ma c’è un fatto che milassa pensari assà. Ed è questo: lasciarpa si nni stava conservata’nzemmula ad autri carti nell’ultimocascione della scrivania di Elena. Iol’ho aperto e l’ho trovato completamentivacanti. Il che, in parole povire, veni asignificari che l’assassino s’è portatovia tutto quello che stava dintra alcascione. La dimanna ’nquietanti che neconsegue è chista: pirchì Elena tirò forala sciarpa e se la portò nel cammaronedella sartoria? L’unica risposta che m’èvenuta sino a ora, è che voliva farlavidiri all’assassino».

«E a che scopo?».

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«Boh, questo, per adesso, lo sapi soloDio». Po’, doppo ’na pausa continuò:«Novità del picciotto?».

«L’ho convocato per domani a matinoalle novi».

«Bene. Allura, avemo fatto tardo e ninni potemo iri a la casa».

Squillò il tilefono.«Ah dottori, ci sarebbe che c’è supra

alla linia il signori L’Avaricella che civoli parlari di pirsona pirsonalmenti».

«Catarè, ma che è contagioso?».«Oddio dottori! Nun ci lo saccio diri.

Vossia dici che è scontagioso? Macariper tilefono! Matre santa, dottori, io dapicciliddro ci pigliai i ricchioni ma mail’avaricella».

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«Fai ’na cosa: passamillo e vatti adisinfettari la recchia con tanticchia dialcool».

«Grazii dottori. Quante ne sapivossia!».

«Montalbano sono. Signor, signor...».«Sono Aurelio Auricella» fici ’na

voci gravi, profunna e sintenziosa divecchio.

«Mi dica».«Un quarto d’ora fa tornai da

Palermo».Silenzio.«Grazie dell’informazione» fici

Montalbano.Po’ tappanno il microfono sussurrò a

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Fazio:«Mi pari che con ’sto signori nni

potemo addivertiri. Ascuta macari tu» emisi il vivavoci.

E visto che l’autro continuava astarisinni zitto, lo provocò:

«E intende trattenersi qua a Vigàta?».«Io già trattenuto sono. Vivo ccà in

via Giosuè Cusumano 22, e macari lamia famiglia ci ha bitato dagenerazioni».

«Complimenti» fici Montalbanoammiccanno verso Fazio. «Ha altre coseinteressanti da dirmi, signorAuricella?».

«Sissi. Tilefonai a vossia pirchì aiobisogno di fari sgravari a mè mogliere».

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«È incinta?».«Nonsi dottori, non babbiassi,

sittant’anni avi. E avemo quattro niputidai dù figli mascoli che si chiamanoAntonio e Filippo».

«Congratulazioni vivissime. E ora lasaluto pirchì...».

«Aspittassi un momento, abbisognaassolutamenti fari sgravari aConcittina».

«Che sarebbe sua moglie?».«Sissignori, abbisogna che si libbira

da chisto piso che lei si porta dintra alcori e che non ebbi il coraggio disgravari da sola pirchì io attrovavami’m Palermo».

«E qual è ’sto piso?» spiò

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Montalbano.«Il piso sarebbi che la mè signura la

notti soffri d’insonnia, e passa tempo ataliare».

«La tilevisioni?» suggirì Montalbano.«Nonsi, dottori. La tilevisioni le fa

veniri i pupipupi nell’occhi».«E quindi che talia?».«Talia la casa che sta d’infacci».Al signor Auricella abbisognava

tirarigli fora le paroli con le tenaglie.«E che ci vidi nella casa d’infacci?».«Per esempio ci vidi a Diego

Trupia».Montalbano e Fazio cangiaro

d’espressioni.

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Il sorriso che avivano supra allelabbra scomparì.

«E che faciva?».«Nenti, dottori. Stava assittato a

taliare la tilevisioni».«Ma questo quando?».«Bravo, dottori. Si capisci che è un

grannissimo sbirro, come mi dissi ’upurtinaro della mè casa. Proprio dichisto Concittina si vuliva sgravari: lanotti che ammazzaro alla povira signuraElena, Diego Trupia la passò a taliare latilevisioni fino alle dù del matino. Po’astutò e passò ’n càmmara di letto, maappena che lo vitti accomenzarisi aspogliari, mè mogliere che è fìmminaonesta e pudica, si misi a taliare la

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finestra di dù piani supra indove che c’èil signori Anzalone che joca con l’amicia carti fino a quanno spunta ’u soli».

E accussì l’alibi per scagionare aTrupia era vinuto fora!

«Senta, signor Auricella» fici ilcommissario «la sua signora sarebbedisposta a venire in commissariato acontare a noi quello che ha contato alei?».

«Certamenti. Ora che sugno tornato ioda Palermo e che ce la pozzoaccompagnari».

«Allora le chiedo un favore: potetevenire subito?».

«Vabbeni, dottori, tra ’na mezzorataarrivamo».

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«Grazie mille e per piacere, quandosarete in commissariato, chiedete deldottor Augello che vi aspetta perregistrare la vostra testimonianza.Grazie, c’è stato veramente utile» echiuì la comunicazioni.

Po’ chiamò l’ufficio di Mimì Augello.«Mimì, senti, ho ricevuto ora ora ’na

tilefonata di un tali che si chiamaAuricella, la cui mogliere avi notizie’mportanti supra a Trupia. Spero che tipozzano essere bone per incastrarlo.Arrivano tra ’na mezzorata».

«Grazie Salvo, sei ’n amico» ficiMimì.

Il commissario si susì, si fici tri giritorno torno alla scrivania, canticchianno

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e saltellanno ora su un pedi orasull’autro, sutta all’occhi di Fazio chedicivano chiaramenti «che gran figlio dibuttana che è il mè capo!».

«Ora mi nni torno a Marinella».«Vabbeni» fici Fazio «ma io la scena

non me la voglio pirdiri».«Accussì domani me la conti» dissi

Montalbano.

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Sedici Mentri che s’addiriggiva verso

Marinella, gli smorcò ’na grannissimasiti. Tintò di farisi viniri tanticchia disaliva dintra alla vucca ma era comecircari l’acqua in un diserto. Addiritturagli viniva difficili agliuttiri, perciò laprima cosa che fici trasenno ’n casa fudi appricipitarisi ’n cucina.

Raprì il cannolo, inchì il bicchieri, losvacantò con una sula muccunata e po’chiuì il rubinetto. O meglio, la chiusuras’avvitò, ma l’acqua continuò a nescirilo stisso. Evidentementi la guarnizioni siera spanata, allura lo raprì e lo richiuì

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con forza: ottinni l’effetto contrario, ilfiotto d’acqua si fici cchiù grosso eforti. Matre Santa!, capace che nel girodi ’na mezzorata la cucina si sarebbiallagata. Annò a bloccari il rubinettogenerali dell’acqua e s’appricipitò acircari il nummaro del funtaneri.

L’aviva sicuro scrivuto supra alla sòdecennali agendina rossa.

Ma indove l’aviva mittuta?Principiò a circarla nelle vicinanze

del tilefono e tutto ’nzemmula si bloccò.Quel sirpenti luminoso che di tanto in

tanto compariva ’mproviso nel sòciriveddro si rifici vivo, sulo chestavota il pinsero da confuso e incertoche era, addivintò chiaro e priciso.

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Che grannissima testa di... dicemoaccussì, vecchio rincoglionito che era!Si era completamenti scordato di circarila rubrica tilefonica di Elena!

Non volli perdiri un attimo di tempo,si rimisi la giacchetta, controllò se aviva’n sacchetta le chiavi della sartoria e ilcellulari e, lassanno tutte le luciaddrumate, si nni partì per viaGaribaldi.

Datasi l’ura c’era scarso trafico,parcheggiò, scinnì, raprì, acchianò lescali. S’arricordava che telefoni fissi cinni erano dù: uno supra al commodinodella sò càmmara di dormiri e l’autronel tavolineddro del corridoio.

Principiò dalla càmmara di letto. Nonc’era nisciuna agenda, raprì il cascione

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del commodino, ci attrovò dintra un parod’occhiali fimminini, un libro, ’naconfezioni di sonniferi e un fazzoletto.Chiuì.

Scinnì nel corridoio, spostò iltavolineddro, dell’agenda non c’eramanco l’ùmmira. Per scrupolo, annò arapriri i casciuna del tavolo delcammarone, circò tra i ritagli di stoffama nenti.

Allura s’assittò supra alla poltruna adarriflettiri.

E la riflessioni lo portò ad unaconclusione nigativa: probabilmenti,com’era addivintato d’abitudini, inummari tilefonici non vinivano cchiùscrivuti supra all’agenda ma registratisul cellulari.

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Per un attimo si persi d’animo. Po’pinsò che c’era ancora ’na possibilità,quindi si nni riacchianò al piano disupra e annò ad assittarisi alla scrivaniablu.

Raprì il primo cascione a manomanca, lo tirò fora del tutto, lo pigliòcon le dù mano e se lo posò davanti.Accomenzò a pigliari le carti a pienemano e a tirarle fora, alla secunna livatada ’n mezzo a quella massa di foglisciddricò qualichi cosa di russo checadì ’n terra: era ’n’agendina pricisa’ntifica a la sò. Era di tri anni avanti. Lapigliò, la raprì appena, era fitta fitta dinomi e nummari. La richiuì, se la ’nfilò’n sacchetta, rimisi ogni cosa a posto esi nni ripartì per Marinella.

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Si era sgravato, come dicevaAuricella, di un pinsero.

Era accussì contento che si sorprinnìa canterellare un motivetto dei Beatlesin un inglisi azzardato: Lov, lov mi du.

Trasuto ’n casa, annò a posaril’agenda vicino al tilefono e siccomecolori chiama colori, apparsi sulloscaffali davanti a lui la sò rubricuzzarussa.

Non persi tempo a chiamarel’idraulico, si misiro d’accordo chesarebbi vinuto l’indomani verso leunnici, quanno che c’era Adelina, earricivitti il consiglio di comearrisolviri momentaneamenti lasituazioni.

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Annò ’n cucina, pigliò un tappo disugaro, con un cuteddro lo travagliò finoa quanno arriniscì a ’nfilarlo con forzadintra alla vucca del cannolo. Po’ pigliòuno straccio e lo misi sutta al tappoligannolo con un nodo strittissimo. Annòa rapriri il rubinetto generali e vitti cheil meccanisimo riggiva.

La trovatura insperata dell’agendinagli aviva fatto smorcare un pitittolupigno, allura dato che c’era detti ’nataliata al frigorifiro.

E ccà la secunna trovatura: sartù diriso con pisci, ’n’invenzioni suprema diAdelina. Lo misi nel forno a quadiare,annò a taliare se mangiare nellavirandina era cosa, accapì che era cosa,epperciò si misi a conzare. Quanno si

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fici pirsuaso che il sartù si erabastevolmenti quadiato, se lo portò fora,s’assittò, gli niscì dal cori un lungosospiro di soddisfazioni e accomenzò amangiare. ’Na vota sconzato, s’assittò ’npoltruna con l’agendina di Elena supraalle ginocchia, po’ pinsò che era megliose chiamava lui a Livia accussì nonsarebbi stato distrubbato:

«Livia scusami, ho pochi secondi, staper arrivare una nave con settecentomigranti... molti bambini... molti feriti.Farò nottata».

«Salvo!, mi dispiace caro. Chetragedia!».

«Lo so, Livia. Ma questo è il miolavoro. Buonanotte».

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«Buonanotte, amore mio».Raprì la pagina con la littra A e

principiò: Adamo Salvatore e relativonummaro, Almirante Rosalinda cheaviva tri nummari, dù fissi e un cellularie macari l’indirizzo di casa.

Arrivato nei paraggi della N si ficipirsuaso che l’agenda continiva nummarie ’ndirizzi sulamenti siciliani: prifissi diMontelusa, Catellonisetta, Palermo,Trapani e via dicenno.

Alla littra S aviva squasi perso lespranze, c’erano solo tri nomi: SavatteriErnesto, Sirch Nevia, Siracusa Valerio.

Stava per votare pagina, ma tornònarrè.

Sirch Nevia.

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Non era nomi siculo.C’erano dù nummari, un cellulari, un

fisso e l’indirizzo.Via Orta 3, Bellosguardo.E subito s’arricordò che Teresa gli

aviva parlato propio di quel paìsi, inprovincia di Udini.

Epperciò non era vero che Elenaaviva completamenti tagliato i ponti conil sò passato.

Ebbi ’na forti sensazioni alla qualinon seppi resistiri.

Si susì, annò al tilefono e componì ilnummaro udinisi.

«Pronto».Era ’na voci di fìmmina con ’na calata

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nordica che faciva spavento.«Pronto, chi parla?» arripitì quella.Montalbano che non se l’aspittava non

seppi che diri e riattaccò la cornetta.Po’ fici ’na bella pinsata. Rifici il

nummaro:«Pronto, ma chi è?».«Ma allora mi hanno dato il numero

sbagliato! Non è casa del signorSiracusa?».

«No, mi spiace, questa è casa Sirch».«Mi scuso per il disturbo» fici

Montalbano chiuienno la conversazioni.Aviva ottinuto quello che voliva sapiri.Sirch Nevia non aviva cangiatonummaro e stava ancora a Bellosguardo.

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Si fici ’na ràpita ripassata dell’amiciche potiva aviri nelle questure o neicommissariati di quelle parti. Ma non glivinni ’n menti nisciuno.

Era troppo tardo per farisi viniri’n’idea su ’sta Nevia, la meglio eraparlarinni l’indomani con Fazio.

Addicidì di annarisi a corcare,agguantò il primo libro che gli capitòsuttamano e si nni annò ’n bagno.Doppo, appena corcato, raprì il libro es’addunò che s’era portato appresso ilcodici di avviamento postali, chiuttostoche susirisi novamenti accomenzò aleggirisillo addivertennosi a vidiri qualinomi strammi avivano certi paesuzzitaliàni. Po’, arrivato ai paìsi coi ponti:Ponte a Bozzone, Pontecuti, Ponte Ete, a

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picca a picca le palpebre gli calaro es’addrummiscì.

Quanto tempo aviva dormuto quannoil sono del tilefono l’arrisbigliò? La lucil’aviva lassata addrumata. Taliò ilralogio. Erano le dù e mezza di notti, disicuro doviva essiri capitato qualichicosa di grosso alla banchina. Annò adarrispunniri santianno e dalla vociprioccupata d’Augello accapì che la sòprevisioni non era sbagliata.

«Salvo, mi devi scusare ma c’èbisogno che tu vada ’n commissariato».

«E pirchì?».«Propio mentri che stavano

sbarcanno, dù fìmmine accomenzaro afari voci e una tirò fora il cuteddro e ferì

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gravementi all’autra. Successi unburdello, Salvo mio, che non te lo pozzoraccontari, pirchì l’amici dell’una el’amici dell’autra s’azzuffaro tra diloro».

«E la situazione ora com’è?».«Ora la fìmmina firuta è stata portata

allo spitali di Montelusa e l’autri stannotutti supra ai pullman pronti a partire».

«E io che minchia ci traso?».«Ci trasi pirchì l’accoltellatrici è ’n

commissariato. Perciò se la voi lassaritutta la notti ’n càmmara di sicurizza,fatti tò. E visto che tu sei stato accussìsolerte e pronto ad apprioccupariti perTrupia, ho pinsato che era meglio che iom’appriocupassi per tia».

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Accussì Mimì aviva fatto pari e patta.Montalbano chiuì la comunicazioni

senza aggiungiri parola.Ci sarebbi annato ’n commissariato,

ma questo comportava un problemaserio: doppo la jornata che avivanoavuto, non avrebbi mai attrovato ilcoraggio d’arrisbigliari a Meriam o aldottor Osman.

E quindi? Come faciva a parlare con’sta fìmmina? Nenti. L’unica eratornarisinni a corcare e attrovarisi ’ncommissariato massimo massimo allesetti e mezza dato che alle novi sarebbiarrivato Lillo Scotto.

Prima di chiuiri l’occhi gli tornaro amenti le parole di Mimì: dù fìmmine

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accomenzaro a fari voci e una tirò fora ilcuteddro e ferì gravementi all’autra.

Non ebbi gana mancod’addimannarisi pirchì aviva ripinsato a’ste parole. ’Na scascione dovivaessirici ma tiniva troppo sonno e non era’n condizioni di raggiunarici supra.

La prima cosa che fici Catarella fu dipruirigli quattro fogli di carta.

«Dottori trattasi di tutto quello che hoattrovato stampato sulla stampa a meritodi quello che vossia mi aviva spiato».

«Ottimo travaglio» fici Montalbano,mittinnosilli ’n sacchetta. «Chi c’è inloco?».

«In loco ci sarebbi che c’è Fazio».«Mannamillo».

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S’assittò, tirò fora dalla sacchetta ifogli. Tri jornala erano del nord. Unosulo, il «Giornale dell’Isola»,addidicava ’na dicina di righe alsuicidio di Franco. Ebbi il tempo diliggirle, assolutamenti gineriche, che nonportavano nisciuna novità.

Fu a ’sto punto che trasì Fazio.«Come mai accussì matinero?».«Dottore, stanotti mi tilefonò il dottor

Augello, doppo che aviva parlato convossia, contannomi la facennadell’accoltellamento, e non sugno cchiùarrinisciuto a pigliari sonno».

«Vabbeni» fici Montalbano «oratilefono a Osman pirchì aio bisogno dilui per ’nterrogari a ’sta fìmmina».

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«Già fatto» dissi Fazio.Montalbano si trattinni a stento da

satari attraverso la scrivania e affirarloper il cannarozzo. Per calmarisi si ficiviniri ’n attacco di tussi.

«Che significa “già fatto”?» spiò.«Significa che stamatina taliai dalla

spioncino a ’sta fìmmina che si nni stavaa chiangiri come a ’na dispirata. Alluraraprii, la confortai, e dato che parlavataliàno, l’interrogai. Lei mi ha contatoche l’autra fìmmina aviva tintatod’arrubbari a sò figlio, che avi tri anni,un pezzo di pani. La prima vota sulbarcone, la secunna sulla motovedetta ela terza vota, mentri che stavanoscinnenno sulla banchina. Allura non ciaviva visto cchiù di l’occhi e aviva dato

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mano a ’u cuteddro».Montalbano si nni stetti tanticchia

silenziuso. Po’ spiò:«Hai notizie di quella ricoverata allo

spitali?».«Sissi, dottore. È fora piricolo».«Allura facemo accussì, tra mezz’ura

massimo, tilefona al piemme, esponiglila situazioni e rimetti tutto nelle sòmano. Io aio autro da pinsari. Quannoche arriva Lillo Scotto torna ccà, deviverbalizzari l’interrogatorio».

«Vabbeni, dottore» fici Fazioniscenno.

Montalbano doppo tanticchia si susì,travirsò il corridoio e annò a taliare lafìmmina dallo spioncino, come aviva

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fatto Fazio.Era ’na povirazza trintina, minuta,

vistuta con una gonna longa, unfazzuletto ’n testa e ’na speci di pullovertutto sformato e tutto pirtusa pirtusa che’na vota doviva essiri stato di colorivirdi.

Richiuì lo spioncino, si nni tornò ’nufficio e chiamò al dottore Pasquano.

«Buongiorno dottore».Pasquano ne arraccanobbi la voci:«Buongiorno un cazzo! Ma che

minchia le sàvuta ’n testa di tilefonare a’st’ura!».

«Che fici? Persi a poker stanotti?».«Cazzi miei. Che voli sapiri?».

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«Vorrei sapere se ’na fìmmina armatadi forfici può ammazzari a ’n’autrafìmmina».

«Se ’sta fìmmina è qualichiduno cheha l’abilità di scassari la minchia, comece l’ha lei, pirchì no? La rabbia, l’odiocentuplicano le forze di chiunque, questolei lo sapiva beni ’n giovintù ma oramàle vicchiaglie le hanno scancillato lamemoria. E con ciò la saluto».

E questo viniva a cangiaricompletamenti il quatro della situazioni.Capace che si doviva sostituiri l’ultimalittra dell’assassino e farla addivintaril’assassina.

Allura ripigliò a leggiri i jornala. Dùarticoli erano del «Gazzettino»,pubblicati però a distanzia di cinco

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jorna l’uno dall’autro.Nel primo si dava la notizia della

misteriosa morti di Franco Guida,giovane promissa della moda taliàna, ilcui corpo era stato arritrovato nelleacque del sciume vicino a Bellosguardo,con le mano legate da ’na sciarpa.Questo aviva fatto pinsare subito ad undelitto, ma po’ la polizia era arrivata a’n’autra conclusioni e cioè che ilpicciotto si era legato da se stisso lemano per ’mpidirisi di natari, come gliaviva già contato sò soro Teresa.

Il secunno articolo sostanzialmentiriportava il risultato dell’autopsia:Franco prima di ghittarisi nel sciumes’era voluto stordiri con dei midicinaliche squasi sicuramenti gli sarebbiro

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bastati per portarlo alla morti. Quindi,secunno la polizia, il risultatoavvalorava macari il fatto che s’eralegato le mano, cioè a diri Franco avivafatto di tutto per essiri sicuro di toglirisila vita.

Il terzo jornali, s’accodavapraticamenti alla tesi del «Gazzettino» eaggiungiva un particolari notevoli: unjornalista era arrinisciuto in qualichimodo a parlari con la vidova, la qualiaviva ammesso che la sira della sòscomparsa Franco era nisciuto di casadoppo che avivano avuto ’na litichiuttosto pisanti. Ma la signura nonaviva voluto in nisciun modo arrivilarila scascione di quella sciarriatina.

Tuppiaro alla porta e trasì Fazio:

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«Tutto fatto. Sta arrivando il cellulariper il trasporto della fìmmina al càrzarodi Montelusa».

«Al càrzaro? Oramà le nostre patriegalere sono chine solo di ’stidisgraziati».

«Dottore, ma si tratta di un tintatoomicidio!».

«Certo Fazio, ma tintato omicidiodittato dalla fami e dalla disperazioni.Te l’addimanni mai indove stanno imandanti di ’ste stragi di povirazzi?Tutti alla comunità europea a proponirilinee guida sull’immigrazioni durante’na bella mangiata di linguate nostrane».

Fazio s’azzittì.Squillò il tilefono:

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«Ci sarebbiro che ci sono in loco isignori Scottato, matre e figlio».

«Accompagnali ccà».Trasì ’na strana procissioni ’n fila

indiana. Il primo a comparire alla portafu Lillo che a malappena s’arriggivaaddritta, appresso, che lo tiniva per lespalli squasi ammuttannolo, c’era lamatre, chiuiva la fila Catarella chemacari lui riggiva per i scianchi lasignura che palesementi cimiava.

Fazio si susì di scatto e per evitari ilderagliamento del trenino affirrò a Lilloe lo portò ad assittarisi nella seggiadavanti alla scrivania.

La matre vinni accompagnata daCatarella all’autra seggia.

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Po’ Catarella si nni niscì chiuienno laporta.

A Montalbano Lillo fici ’mpressioniin quanto che la sò facci non era cchiùaccussì picciottisca come sel’arricordava.

Aviva i pusa fasciati e ’n’ariata dafantasima.

Fu lui a parlare per primo e a diri:«Non fui io ad ammazzari alla signura

Elena».«Non fu iddro, non fu iddro!»

’ntirvinni con voci avutissima la matre.«Ce lo pozzo giurari supra alla vita mè.Quella sira mallitta stetti sempri dintraalla sò càmmara!».

«Calma, calma. Fino a ’sto momento

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nisciuno ha pronunziato ’n’accusa contraa sò figlio. Quella sira arricivittiqualichi tilefonata o la visita di ’napirsona stranea alla famiglia?».

«Come no!» fici subito la signura.«Era da ’na simanata o chiossà che,finuto il travaglio, Lillo si chiuiva ’ncàmmara e non voliva mangiari, dormiri,taliare la tilevisioni con nuautri. Epropio verso l’unnici di quella mallittanotti nella quali la povira signura Elenavinni ammazzata, iddro era addivintatoaccussì agitato, nirbùso, accussìstrammo, squasi che sintiva quello chestava capitanno nella sartoria, che ioacchiamai al dottori Camilleri per dariciqualichi cosa per farlo stari almenotanticchia meglio».

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«E il dottori venne?».«Certo che vinni. Galantomo è! E

stetti con mè figlio minimo minimo triquarti d’ura a parlarici e a convincirlo apigliarisi ’na pastiglia per farloarriposari».

E questo scancillava ogni dubbiosull’innocenza di Lillo.

Dato che duranti la parlata dellamatre non aviva rapruto vucca, ilcommissario s’arrivolgì direttamenti alpicciotto:

«Da quanto tempo lavorava insartoria?».

«Tra ’na simanata avrebbi fatto dùanni» arrispunnì la matre.

Montalbano spostò tanticchia la

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poltruna in modo di essere direzionatomeglio verso il picciotto.

«E mi dica, Lillo, si trovò subito asuo agio con gli altri lavoranti?».

«Tornò ’ntusiasta già dal primo jorno,dottori. Vidissi che tutti gli voglionobeni al figliuzzo mè...».

A ’sto punto Montalbano isò l’occhi e’ncontrò quelli di Fazio.

S’accapero a volo.«Signora» fici Fazio «dovrebbe

aspettare fuori. L’accompagno».«E pirchì? E pirchì?» s’arribbillò la

fìmmina. «Io la sò matruzza sugno. Evoglio sintiri tutto quello che volitisapiri da ’u mè Lilluzzo».

«La prego signora, Lillo è

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maggiorenne» fici duro il commissario.«S’accomodi fuori».

La fìmmina si susì, annò a vasari aLillo ’na vota ’n frunti, dù vote sulleguance, arrè sulla frunti e po’ sullavucca fino a quanno che Faziol’aggrampò per un vrazzo e se la portòfora.

«Ho domandato a sua madre di uscireperché devo rivolgerle alcune domandestrettamente personali. Lei si innamoròsubito della signora Elena?».

Lillo arrussicò. Si portò le mano acummigliarisi la facci e ristò tanticchiaaccussì prima d’arrispunniri:

«Non subito».«E quando allora?».

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«Un jorno la signura, che s’attrovavanel sò appartamento, m’acchiamò peraviri ’na mano d’aiuto ’n bagno pirchì siera fatta un profunno taglio a un dito conun ferro arruggiuto e siccome che ilsangue le colava abbunnanti, iostintivamenti pigliai la sò mano e sucaiil sangue. Lo stavo per sputari nellavandino quanno mi parsi malo e allurame l’agliuttii. Po’ raprii l’armadietto deimidicinali, ce lo disinfittai tutto e ci misila garza e il cerottino. Però duranti tutta’st’operazioni avvirtivo che Elena mitaliava, mi taliava, mi taliava. E io ficitutto ’sto mutuperio a lento a lento pirchìm’accomenzava a piaciri assà a sintiri isò occhi pusati supra di mia. Po’ quannofinii, Elena m’abbrazzò, mi tinni stritto e

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mi dissi “grazie, grazie Lillo”. Ma me lodissi alla recchia, con ’na voci che nonle aviva mai sintuto prima e chem’arrisculiò tutto. Non saccio che micapitò, forsi fu il sò sangue che ancoranni sintiva il sapori nella vucca. Da quelmomento persi la testa. Non ero cchiùcapace di stari luntano da iddra, tinivasulo a iddra nella mè testa e nei mèpensieri. E da allura non fui cchiù io.Ero come un pupo dell’opra dei pupi,che si è vivuto la pozioni d’amuri.Affatato ero...».

E ccà s’interrompì mittennosi achiangiri.

Il buon samaritano Fazio s’appricipitòa pruirigli un bicchieri d’acqua.

«Le faccio un’ultima domanda» dissi

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Montalbano «e poi lei potrà andare via:ho saputo che pochi giorni avanti la suamorte, la signora Elena l’avevaaspramente rimproverata e aveva decisoche non avrebbe più lavorato nellasartoria. Mi dice esattamente che cosa èsuccesso?».

«Dottore, come le dissi, io erocompletamenti fora di testa, epperciò miera vinuta ’na speci di spaventusagilosia e quindi facivo ’n modod’arrispunniri io a tutte le tilefonate chearrivavano per vidiri si aviva a qualichiamanti o a qualichi ’nnamurato. Queljorno, io ero sulo nel saloni pirchìNicola era annato a portari un vistito aun clienti, Meriam era nel cammarino diprova e la signura era supra nel sò

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appartamento. Tutto ’nzemmula sintiisquillari un cellulari e m’addunai che lasignura l’aviva lassato supra al tavolo»s’interrompì novamenti. «Pozzo aviriancora tanticchia d’acqua?».

Fazio si susì e gli portò ’n autrobicchieri.

«Si figurassi» ripigliò il picciotto «simi potiva perdiri ’st’occasioni.Agguantai il cellulari, compariva unnomi che non accapii se era nomi ocognomi...».

«Fermo ccà!» dissi Montabano. «Cirifletta meglio, cerchi di ricordarsiquesto nome...».

«Mi dispiace, dottore, scuro assoluto.Però ci pozzo dire che era ’na voci

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fimminina che...».«Aviva ’n accento delle nostre parti o

era forastera?».«Forastera di certo, dottore. Aviva

’na calata stramma».«Lillo, quel nomi potiva aviri

qualichi cosa a chiffari con la nivi?».«Non lo saccio, dottore. Ma

m’arricordo che m’addimannò pirchìnon era Elena ad arrispunniri, io ce lostava dicenno, quanno nel saloni trasìElena come a ’na furia, mi si ghittò disupra, agguantò il cellulari tirannomelocon forza dalla mano. Mai l’aviva vidutaaccussì arraggiata! Taliò il tilefono edissi “ti richiamo”. Po’ m’affirrò per lagiacchetta e scutuliannomi come se

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voliva fari nesciri qualichi cosa dal mècorpo, m’addimannò con vocistracangiata: “Che t’ha detto? Che t’hadetto? T’ha detto che viene? T’ha dettoquando? Parla, parla, imbecille!”. Iotintai d’arrispunnirle che non m’avivadetto nenti. Ma la signura non mi stavacchiù a sintiri. Mi votò le spalli e si nnitornò di supra con il cellulari e io ristaiintordonuto».

«E doppo?».«Commissario, quanno la signura

scinnì deci minuti doppo, mi dissidavanti a Nicola e Meriam che alla finidel misi non mi sarei dovuto cchiùapprisintari ’n sartoria».

«Vabbeni» fici Montalbano «lei mi èstato molto utile, la ringrazio».

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Diciassette Dal corridoio gli arrivò la vociata

della matre di Lillo.«Figliuzzo mè, che t’addimannaro?

Tutto ci devi diri alla matruzza tò!».Montalbano pinsò che essiri orfano di

’na matre del sud potiva, certe vote, nonessiri ’na maledizioni.

Fazio tornò subito doppo, chiuì laporta, s’assittò, taliò fisso ilcommissario:

«Non m’arraccanosci? Vuoi che mipresenti? Il commissario Montalbanosono».

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«Vossia avi gana di babbiare e io no».«Che ti piglia?».«Mi piglia che non m’ha contato tutto

quello che avi ’n testa. Pirchì fici a Lilloquella dimanna sulla nevi?».

«Fazio, non è che avemo avuto tutto’sto tempo. Comunque eccomi ccà. Tidico le conclusioni alle quali sonoarrivato e come ci sono arrivato».

’Mpiegò ’na mezzorata a contarigliogni cosa e alla fini gli spiò:

«Ti pirsuadi?».«Dottore, mi pirsuadi bastevolmenti.

Ma ci sunno ’na poco di cose che sonoappinnute a ’na filinia. Per esempio, nonè ditto che ’sta Nevia sia l’assassinasulo pirchì il sò nomi è l’unico forastero

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supra a ’n’agendina di tri anni fa».«Ragione hai» fici il commissario.

«Però qualichi cosa che non quatra cista: la cognata ha dichiarato che Elenaaviva ’ntirrotto ogni contatto con il sòpassato di maritata. Però, evidentementi,aviva contato ’na farfantaria pirchìalmeno fino a tri anni fa un rapporto conuna pirsona ce l’aveva avuto».

«C’è ’n’autra cosa» ripigliò Fazio «sel’assassina, come dici vossia, s’allordòtalmenti che dovitti farisi la doccia,come fici a nesciri fora da quella casacon tutti i vistiti assuppati di sangue?Essendo ’na stranea per forza dovivasirvirisi di un mezzo pubblico. Epperciòsarebbi stata notata».

«A meno che non fossi vinuta con la

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sò machina».«Dalla quali non sarebbi mai dovuta

scinniri fino alla sò casa in Friuli. Tuttaassammarata di sangue non potiva annariin un autogrill a fari pipì, a faribenzina...».

L’osservazioni di Fazio era cchiù cheragionata e nello stisso momento aMontalbano vinni di fari ’na pinsata.Circò qualichi cosa supra alla scrivania,attrovò un pizzino e pistiò sulla tasteradel tilefono.

«Meriam, mi scusi, ho bisogno ancoradi lei».

«Mi dica, commissario».«Può trovarsi tra mezz’ora davanti al

portone di via Garibaldi?».

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«Senz’altro» fici Meriam.«Che vuole annari a circari?» spiò

Fazio.«Te lo dico quando torno» dissi

Montalbano.Arrivò davanti al portoni di Elena,

parcheggiò, scinnì dalla machina, sitaliò torno torno. Meriam ancora nonc’era. S’addrumò ’na sicaretta. Ebbiappena il tempo di tirari tri vuccate chel’atomobili di Meriam si firmò davanti alui.

«Cerco un posteggio».«L’aspetto su» fici il commissario.Lassò il portoni mezzo aperto,

acchianò le scali e s’addiriggì nellacàmmara di letto di Elena.

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Si firmò nel mezzo della càmmaradavanti all’armuàr bianco.

«Dov’è?» fici la voci di Meriam.«Sono qui. Nella camera di Elena».«Buongiorno commissario. Ha

scoperto qualcosa?».«Forse sì, ma solo lei può aiutarmi:

saprebbe dirmi quale vestito mancadall’armadio di Elena?».

Meriam lo taliò ’ntirrogativa:«Commissario, lei vive da solo?».«Sì, ma perché?».«Perché sennò saprebbe che nessuna

donna è in grado di conoscereesattamente il contenuto del proprioarmadio. Si figuri se io posso dirle che

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abito manca al guardaroba di Elena chene possedeva una quantità infinita».

«Allora mettiamola così» fici ilcommissario. «Il giorno della morte diElena, quando io venni nel pomeriggio,lei indossava un vestito verde, di unverde, di un verde...»:

«Oltremare» dissi Meriam.«Però quando venne ritrovata morta, e

questo lei non lo sa, aveva un vestitodiverso. Mi può ritrovare quelloverde?».

«Certo. Elena era ordinatissima».Raprì l’armuàr e Montalbano notò che

Elena tiniva i vistiti divisi per colori. Cinn’erano tanti virdi, di virdi diversi.

Meriam accomenzò a taliarili a uno a

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uno. Doppo tanticchia dissi:«Manca. Non c’è. Forse è a lavare».

Mentri che lo diciva annò a taliare ’nbagno nel sacco della bianchiria lorda.«No, non lo trovo».

«Forse l’avrà portato in lavanderia».«Controllo subito» fici la fìmmina,

tiranno fora il cellulari dalla sacchetta.Un minuto doppo ebbiro dalla

lavanderia la risposta negativa.«E dove può essere andato a finire?»

si spiò Meriam.Montalbano prifirì non arrispunniri.«Devo chiederle un altro favore.

Venga con me» fici mentri ches’avviavano per scinniri le scali cheportavano nella sartoria. «Ricorda che

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l’altra volta io le indicai un pezzo distoffa che c’era sul tavolo?».

«Sì. La stoffa vecchia».«Io le chiesi di andarla a guardare da

vicino e lei eseguì. Può farlo dinuovo?».

Meriam, tanticchia strammata, bidì.«Poi io la raggiunsi» dissi il

commissario mentri che s’avvicinava alei «e a un tratto lei fece un movimentoper prendere un rotolo nuovo di stoffa.Me lo vuole ripetere ora?».

«Certo» fici la picciotta.Gli passò davanti, gli votò le spalli e

allungò le mano verso lo scaffali.«Grazie, basta così» dissi

Montalbano.

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Rificiro le scali ’nzemmula, ilcommissario la seguì fino al portoni epo’ dissi:

«La ringrazio, è stata preziosissima,come sempre. A proposito, ha notiziedel dottor Osman?».

«Si è preso un periodo di riposo.Dice che andava in Tunisia, in un campodi ricerca archeologica dove ha unvecchio amico».

Montalbano stavota chiuì la porta, sirifici la strata alla riversa, riscinnì nelsaloni e s’assittò alla solita poltruna.

Accomenzò a pinsari ai movimentiche aviva fatto con Meriam e mentri cheli ripinsava, se li rapprisintava.

Vitti a se stisso trasiri nel saloni

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secutato da Meriam, po’ Meriam ches’annava a posizionari darrè al tavoloper taliare la stoffa.

Vitti a lui stisso che s’avvicinava allapicciotta, po’ Meriam che gli passavadavanti e allungava le vrazza verso loscaffali.

Stop.Le dù immagini scomparero.Ricomparero daccapo, rificiro gli

stissi movimenti pricisi ’ntifici.Stop.Daccapo.E stavota la prima a trasiri nel saloni

fu Elena che stava parlanno, ma il sononon gli arrivava.

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Parlava a ’na fìmmina àvuta quasiquanto a lei, che le stava darrè.

Po’ Elena si firmò, ’ndicò il tavolo, lasecunna fìmmina annò a posizionarisinello stisso priciso posto indove piccaprima ci stava Meriam. Elena les’avvicinò, parlò ancora ’na vota, lafìmmina ci arrispunnì, Elena ribattì, lafìmmina parlò ancora con un sorrisosfuttenti, Elena isò la voci e però stavotanon fici la stissa cosa pricisa ’ntifica diMeriam, non passò davanti alla fìmminama le votò le spalli e allungò le vrazzaverso lo scaffali.

Stop.Chiuì l’occhi, si concintrò

profunnamenti. Sintiva che stavasudanno assà, era lo sforzo al quali si

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sottoponiva. Po’ si sintì pronto, e tinennol’occhi ’nsirrati per non farisi distrarrida nenti, si rapprisintò daccapo la scena.

Trasì Elena.Parlò alla fìmmina che la secutava:«... per farti vedere...».Montalbano arriniscì a capiri sulo ’ste

dù parole.L’autra fìmmina annò al tavolo, si

calò a taliare la stoffa.Dissi qualichi cosa che potiva essiri

«m’arricordo».Elena parlò a longo. Ma stavota non

arrivò nisciuna voci. E manco arrivaro isoni delle parole dell’autra fìmmina cheaviva ripigliato l’ariata sfuttenti.

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Elena allura, sempre parlannole, votòle spalli e s’allungò verso lo scaffali.

Scuro.Montalbano vitti sulo ’na forfici

nell’aria che viniva calata con violenzaverso il bascio.

Scuro daccapo.Ora il corpo ’nsanguliato di Elena

adiriva pirfettamenti al contorno trazzatodal gesso.

Le immagini scomparero.Raprì l’occhi.Sì, la cosa doviva essiri annata

accussì.Si susì, astutò la luci del saloni,

acchianò le scali, si fici il corridoio,

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astutò la luci del corridoio, niscì fora,chiuì il portoni a chiavi.

«Lo scoprì quello che era annato acircare?».

«Sì» fici Montalbano. «T’arrisolvo ilbusillisi: l’assassina, perché ora non c’èdubbio che si tratti di una fìmmina,doppo essirisi fatta la doccia si è mittutaun vistito che Elena aviva ’ndossatoquel jorno e che probabilmenti avivalassato supra al letto»

«E allura ora che pensa di fari?» spiòFazio.

«Se la mia ipotesi è giusta» dissi ilcommissario «’sta fìmmina è arrivatadal nord. Può essiri che sia venuta conla sò machina, può darisi che abbia

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pigliato un treno opuro un aereo. Questome lo devi dire tu».

«Commissario, se è vinuta ’n machinao col treno semo fottuti» dissi Fazio«l’unica spranza che ci resta è che hapigliato un aereo e macari ha affittato’na machina».

«Partemo dall’aeroplano» dissiMontalbano. «Ti dugno deci minuti ditempo per ’nformariti».

Fazio partì a baddra allazzata.Ritrasì doppo setti minuti con la facci

accussì sorridenti che pariva avissivisto passari all’angileddri:

«Commissario, ci ’nzirtò. Nevia Sirchpigliò un volo da Triesti a Trapani iljorno della morti della signura Elena.

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Arrivò nel doppopranzo e già avivaprinotato ’na machina all’autonoleggiodell’aeroporto che riconsignò la matinaappresso, dù ure avanti di ’mbarcarisinovamenti per Trieste».

Era fatta.«Ora t’addimanno ’n autro favori».«All’ordini».«’Nformati di ’sti voli: a che ora

partono, a che ora arrivano...».«Ma chi voli annari ’n loco?».«Mi scasserò i cabasisi, ma la

risposta a tutto la pozzo aviri suloddrà».

Fazio si susì e niscì.Montalbano taliò il ralogio.

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Matre santa! Si erano fatte le dù emezza. Agguantò il tilefono.

«Enzo! Lassami un muccuni di pani».«Nuautri ora ora nni stavamo mittenno

a tavola. L’aspittamo».Montalbano partì a furgarone.Mentri che si stava a mangiare ’na

sontuosa ’nsalata di mari, ilcommissario arriflittì che quello non eraun piatto che compariva nel menù. Po’gli capitò di mangiarisi un secunno cheera ’na speci di muzziata di tutti iresiduati di pisci che erano stati rifriuti’n padeddra, ’na cosa da liccarisi le ditafino a farile arridducire a scheletri.’Nzumma, ’n conclusioni la famiglia diEnzo trattava meglio se stissa che i

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propi clienti. Era ’na cosa da tiniriprisenti. Forsi sarebbi stato meglio, daquel momento in po’, arrivari cchiùspesso ’n ritardo alla trattoria.

Niscì decisamenti appisantuto, tantoche per raggiungiri lo scoglio chiattosutta al faro ci ’mpiegò il doppio deltempo che d’abitudini ci mittiva.

S’addrumò la solita sicaretta.«Come va?» spiò al grancio che lo

taliava da sutta allo scoglio.Il grancio parsi non gradiri la

dimanna, non sulo non arrispunnì maaddirittura scomparì sutta al pilodell’acqua.

Montalbano si sintiva come se avissivivuto un bicchieri di vino chiossà.

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Sapiri d’attrovarisi a dù passi dallasoluzioni del caso gli faciva scorriricchiù veloci il sangue nelle vine.Arriflittì che se l’assassina non avissifatto lo sbaglio cchiù grosso della sòvita, vali a diri quello di scordarisisupra al tavolo la sciarpa nella qualiaviva puliziato le forfici, forsi l’indaginisarebbi stata ancora in alto mari.

Quella sciarpa era la chiavi di tutto.Ma se era stata macari il moventi

dell’omicidio questo viniva a significariche la fìmmina scanosciuta, o meglio cheforsi s’acchiamava Nevia Sirch, avivaavuto a chiffari con la morti di FrancoGuida.

Ma questa secunna ipotesi era tutta daverificari.

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Epperciò non aviva autra strata diquella già annunziata a Fazio: annare ’nloco e parlare con Nevia.

La cosa non gli procurava nisciunpiaciri, ma era doviri sò farlo.

Addicidì di fumarisi ’na secunnasicaretta, la jornata era bona, e si inchì ipurmuna d’aria di mari pinsanno, giàmalincuniuso, che dalle parti indovedoviva annare di mari non ce n’eramanco l’ùmmira.

Accomenzò a dirisi che se avissiattrovato tanticchia di neglia sicuramentisi sarebbi perso, quelle dù o tri vote cheera stato dintra a un banco di neglia, erastato addirittura pigliato dallo scanto,provanno la sensazioni di essiri l’unicoomo sopravvissuto supra alla facci della

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terra.Doppo tanticchia sospirò a lungo, si

susì e tornò ’n commissariato.«Dottore, ho tutti gli orari» fici Fazio.

«Come ci dissi c’è un volo la matinaalle deci che parti da Trapani Birgi perTriesti e lo stesso aereo riscinni aTrapani nel pomeriggio».

«Fazio, ma quanto ci s’impiega daTriesti a Bellosguardo?».

«Dottori, senza neglia, circa dù ure».Alla parola «neglia» Montalbano

rifici un longo sospiro.«Quindi mi devo affittare ’na machina

all’aeroporto di Triesti?» spiòsommessamenti.

«Certamenti» fici Fazio.

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Fu allura che a Montalbanos’apprisintò la scena di lui dintra a’n’atomobili che fitiva di deodorantid’atomobili, perso, senza possibilitàd’arritrovarisi, supra a un passo dimontagna, macari propio quello indoveavivano arritrovato a Otzi, l’omo venutodal ghiaccio.

«Con autista» dissi il commissario.«Cosa?».«La machina. La voglio con autista.

Casomà lo pago di sacchetta mè».«Penso a tutto io» fici Fazio. «Mi

metto ’n contatto coi colleghi di Trapani.Quanno voli partiri?».

«Dumani stisso. Ora vaio dal questoria spiegarigli ogni cosa, nni ritrovamo

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ccà tra dù orate».«Ho poco tempo, si sbrighi» fici

brusco Bonetti-Alderighi.«Sarò telegrafico» dissi Montalbano.

«Scoperta probabile assassina ElenaBiasini. Stop. Chiedo autoriz...».

Il questore parsi muzzicato da ’navipira:

«La smetta, Montalbano, non è ilmomento di scherzare».

«Ma io non scherzavo, signorquestore, volevo appunto non farleperdere tempo...».

«Non faccia lo spiritoso e mi raccontitutto per filo e per segno».

Allura il commissario si misi acontari.

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Il questori stetti a sintiri senza’nterrompirlo mai. Alla fini spiò:

«Ora vada a riferire tutto al piemme».«No» dissi Montalbano «ancora non

mi sembra il momento».«E quindi che intende fare?».«Vorrei avere l’autorizzazione per

andare a parlare personalmente con lasospettata in provincia di Udine. Tra lanebbia».

«Eh?» fici strammato il questore.«Che c’entra la nebbia?».

«No, niente. Parlavo di una nebbiametaforica».

Il questori ci pinsò supra tanticchia,tanto che Montalbano si sintì ’n doviri didarici ’n ammuttuneddru.

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«Ci sono ostacoli?».«Carissimo, la cosa si profila come

uno sconfinamento territoriale. Se nonho una richiesta scritta avvalorata su unminimo di prove non posso chiedere ilrimborso delle sue spese di viaggio,soggiorno, noleggio...».

«Facemo accussì» dissi ilcommissario «pago tutto io e bonanotti».

«Io non posso permetterlo» dissifermo il questori.

«E allora le chiedo due giorni diferie» arrispunnì altrettanto fermamentiMontalbano.

«I due giorni di ferie glieli concedo.Però attento a come si muoverà. Se sitratta di eseguire un arresto deve fare

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agire l’autorità locale al posto suo».«D’accordo» fici il commissario.«Ho fatto tutto» dissi Fazio. «Quelli

di Trapani hanno già le prenotazioni. Semi passa l’autorizzazioni del piemmegliela giro subito».

«No, Fazio. Nisciuna autorizzazioni.Vado per diporto, mi vinni gana di irimia pigliari un cafè nella chiazza diBellosguardo».

«Quindi le devo accattare ilbiglietto?».

«Bravissimo. Sula annata. Che capaceche trovo puro ’na bona trattoria e mitrasloco a Bellosguardo».

«Vabbeni. Gallo lo veni a pigliaridumani a matino alle setti e mezza».

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Fazio stava per nesciri quandoMontalbano lo firmò:

«Tutto a posto con l’autista?».«Sissi. M’addimannaro addirittura si

volivo un mascolo o ’na fìmmina».«E tu che ci arrispunnisti?».«Fìmmina, dottore».«Bono facisti».D’altronde le fìmmine triestine

avivano fama di essiri bellissimeepperciò pirdirisi con lei nella negliasarebbi stato macari piacevoli.

Fazio non lo lassò nesciri dalcommissariato se prima non avivafirmato ’na poco di carti urgenti.

Quanno arrivò a Marinella erano le

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otto di sira.Addicidì di tilefonare a Livia per

’nformarla che doviva assintarisi per dùjorni da Vigàta per annare ’m Palermoper ’na riunioni di funzionari di polizia.

«Quindi escludi proprio di potervenire da me?».

«Livia, sono addolorato ma nonsaprei come fare...».

«Va bene, allora buon viaggio ebuonanotte» fici Livia sgarbatachiuienno la comunicazioni.

La mangiata fatta nel mezzojornoattrassato non gli ’mpidì di annare ataliare cosa potiva avirigli priparatoAdelina.

Per fortuna attrovò un piatto

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bastevolmenti liggero. La cammarerastavota aviva votato le spalli al mare es’era arrivolta alla campagna: pitaggiodi favi, piseddri e cacoccioli.

A giudicari dall’odori Adelina si erasuperata!

E cchiù tardo, quanno si portò ilprimo muccuni alla vucca, consignòmentalmenti ad Adelina ’na midagliad’oro grossa quanto il piatto che avivadavanti.

Finuto ch’ebbi di mangiare, si nniscinnì supra alla pilaja e accomenzò apassiare a ripa di mari.

Per un’orata circò d’organizzarisinella testa il primo incontro conl’assassina. Era meglio accusarla subito

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o lassarla a longo cociri nel sò brodoprima di passari alle dimanne dirette?

Concludì, alla fini, che avrebbi agitoa secunna della reazioni che la fìmminaavrebbi avuto appena che si fusseprisintato come il commissarioMontalbano di Vigàta.

A ’sto punto si firmò di botto pirchìera stato assugliato da un pinseropriciso: e se arrivanno a Bellosguardo,sempre che ci fossi arrivato, la fìmminanon c’era? Capace che s’era pigliataqualichi jorno di vacanza e va a sapiriindove si nni era juta, capace chetravagliava fora dal paìsi...

La meglio era pigliari ’nformazioni.Prima di tutto sapiri se ci stava un postodi polizia o di carrabbineri.

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Si nni tornò a la casa, s’assittòdavanti al tilefono e subito la prima cosache s’attrovò suttamano fu l’agendinarussa di Elena.

Senza manco rennirisinni contocomponì il nummaro di Nevia Sirch.

«Pronto, chi parla?».Arraccanobbi ’mmidiato la stissa

voci dell’autra vota.«È la signora Nevia Sirch?».«Sì, ma chi parla?».«Il commissario Montalbano sono.

Telefono da Vigàta».E ccà si firmò, aspittanno la sò

reazioni«Vigàta? A Vigàta ho una cara amica»

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fici la fìmmina senza ammostrare laminima sorprisa.

«Appunto. Volevo proprio parlarle dilei».

«Perché? Che è successo?».«Purtroppo devo darle una brutta

notizia».«Oddio!» fici la fìmmina.«La signora Elena Biasini è stata

assassinata».Fu come se all’autro capo del filo la

pirsona fossi scomparuta nel nulla. Perquanto appizzassi le recchie,Montalbano non arrinisciva a percepirneil respiro. Si persuasi che lacomunicazioni era caduta.

«Pronto!» dissi. «È ancora lì?».

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«Sì» arrispunnì la fìmmina squasi inun mormorio. E subito appresso dissi:«Mi scusi un momento».

Montalbano si misi a contari. Eraarrivato a vinticinco quanno quella tornòe fici ’na sula dimanna:

«Chi è stato?».«Non lo sappiamo ancora. È appunto

per questo che le telefono. L’assassinoha agito senza un movente plausibile».

«Come... come... come l’hannoammazzata?».

«A forbiciate».Stavota il chianto della fìmmina lo

sintì distintamenti.«Si faccia coraggio» dissi.

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«Mi perdoni, commissario, ma è uncolpo tremendo. Non mi reggo in piedi.Aspetti un attimo, prendo una sedia».

La voci tornò doppo tanticchia.«Cosa vuole da me?».«Sto sentendo tutte le persone vicine

ad Elena e quindi...».«Scusi, il mio numero di telefono chi

gliel’ha dato?».«L’ho trovato in una vecchia agenda

di Elena...».«Ah» fici la fìmmina e non aggiungì

autro.«Volevo sapere se possiamo

incontrarci domani a Bellosguardo, nelprimo pomeriggio. Alle tre. Le andrebbebene?».

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«La aspetto in via Orta 3. Ora miscusi, non riesco più a parlare» fici lafìmmina e chiuì la comunicazioni.

Aviva avuto un comportamento cchiùche normali, tanto che a Montalbanovinni il dubbio che forsi stavasbaglianno tutto.

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Diciotto Prima d’annari a corcarisi si priparò

’na baligetta mittennoci dintra ’nacammisa, un paro di mutanne, un paro diquasette, tanto prividiva di stari forapaìsi ’na sula jornata. Puntò la svegliaper le sei e mezza del matino.

Si fici ’na dormuta sirena e profunnatanto che quanno s’arrisbigliò si sintì inuna forma pirfetta. Rapruta la finestra,s’addunò che c’era qualichi cosa distrammo, l’aria era chiuttosto lattiginosae come ùmita. Annò a pripararisi lasolita cicaronata di cafè, se la scolò, sifici la doccia, la varba e si misi il primo

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paro di pantaluna che gli capitò suttamano e ’nveci della giacchetta ’ndossòun giubbotto. Po’ ’nfilò spazzolino,pettini e tutto quello che gli sirvivadintra a un sacchiteddro di plastica chemisi nella baligetta ’nzemmula a unromanzo di spionaggio che gliconciliava il sonno dato che, come glicapitava quanno che li vidiva ’ntilevisioni, non ci accapiva mai nenti.

Gallo arrivò puntualissimo e appenacarricato il commissario partì al solitosò, come se si fusse attrovato supra allapista di Indianapolis. Montalbano nonfici a tempo a protestari che dallo Statodell’Indiana trasero di colpo in un limbodantisco. Il commissario, pigliato disorprisa, non accapì pirchì oltre al

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parabrezza non si vidiva cchiù nenti.«Mannaggia!» fici Gallo.«Ma che succede?».«C’è che c’è un banco di neglia»

arrispunnì quello rallentanno. «È laprima vota che mi ci trovo da ’ste parti».

Se l’era chiamata!Montalbano s’arricordò di un verso

che faciva: principio sì giolivo benconduce ed ebbi la subitanea gana didiri a Gallo di tornare narrè. Se laneglia era vinuta ad attrovarlo fino allaporta di casa, figurarisi quella chel’avrebbe accogliuto su nel nord.

Accomenzaro a marciari a passod’omo, con un carretto tirato da uncavaddro avrebbiro di certo viaggiato

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cchiù di prescia.Ad un certo punto Gallo squasi si

firmò.«Mi deve fare un favore, dottore».«Dimmi».«Dovrebbi scinniri dalla machina e

caminarimi davanti pirchì io nonarrinescio a leggiri i cartelli stratali ecapace che ’nveci di annare a Trapaninn’arritrovamo a Palermo».

Santianno dintra di se stisso come unpazzo, scinnì. Si misi al mussodell’atomobili e la lenta procissioniebbi inizio.

Po’ all’improviso come per unamagaria la neglia spirì, il soli trionfantirifici la sò apparizioni e Gallo potti

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finalmenti arritrovari la pista diIndianapolis.

Arrivò a Birgi che già l’altoparlantechiamava i passeggeri.

Appena in volo, vinniro avvirtuti dinon livarisi le cinturi a causa diperturbazioni. La solita hostess si misi afari gesti strammi ’ndicanno a destra,’ndicanno a sinistra, mentri che ’na vocimitallica dava ’struzioni di quello che sidoviva fari ’n caso di emergenza, cheera un modo gentili di diri: ’n caso dimorti certa. Squasi per scaramanziaMontalbano si ’mparò a memoria ilfoglietto coi disegnini per ’ndossari ilsalvagenti quanno che l’aereo è caduto’n mari e ti fanno cridiri che con unfrisco ti ponno arrecuperari; per mittirisi

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davanti alla vucca l’ossigeno quannoche se ti manca l’aria l’urtima cosa cheti veni ’n menti è di ’nfilariti ’namaschira; per livarisi i tacchi àvuti eghittarisi supra allo scivolo ’n mezzo almari indove di sicuro t’aspettano ipiscicani a vucca aperta.

E s’impressionò talmenti che quannosintì che stavano accomenzanno lascinnuta per Triesti, s’affirrò forti aibracciola della poltruna e chiuì l’occhiaspittannosi il pejo. ’Nveci l’atterraggiofu morbito.

S’apprisintò all’autonoleggio e doppoaviri firmato ’na ventina di fogli, glidettiro le chiavi dell’atomobili.

«C’è un equivoco. Avevo chiesto unamacchina con autista».

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«Ah sì, mi scusi» fici la ’mpiegata,mittenno il vrazzo sutta al tavolo etiranno fora ’n aggeggio mitallico.«Ecco il navigatore».

«Il navigatore? M’avevano assicuratoun’autista donna!».

«Non c’è problema, imposto una vocefemminile. Dove deve andare?».

«A Bellosguardo. In provincia diUdine» fici il commissario sdisolato.

La ’mpiegata trafichiò con lamachinetta.

«Ecco, ora basta seguire la voce diEster che la condurrà fino alla suadestinazione».

Cchiù confuso che pirsuasoMontalbano annò al parcheggio, circò il

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numero J44, e si ’nfilò nell’atomobiliche fitiva di deodoranti d’atomobili.

Pigliò il navigatori e l’appizzò supraal cruscotto.

«Proseguire dritto fino alla rotonda»parlò l’aggeggio.

Fettivamenti la voci fimminili eragradevoli. E non sulo, era macariestremamenti pricisa nell’informazioniche dava, tanto che il commissarios’arritrovò cchiù vote ad arrispunniri:

«Grazie, Ester».Di neglia non ne vitti manco un filo,

’n compenso era tutto d’un virdilussureggianti con montagne luntane esplendenti di nivi.

Po’ tutto ’nzemmula Ester gli dissi di

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girari a mano dritta e, come per ’namagaria, sul cartello ci stava scrittoBellosguardo.

Brava veramente, Ester!Quanno parcheggiò nella chiazza

principali e forse unica del paìsi, gliparsi di essiri trasuto dintra alla poesiadi Palazzeschi:

Tre casettine dai tetti aguzzi,un verde praticello,un esiguo ruscello...Montalbano taliò il ralogio. Era ora

di mangiare. Macari se Palazzeschi nonl’aviva ditto, ’na trattoria dovivaessirici di sicuro. E ’nfatti gli bastò dari’na taliata torno torno per leggiri: AlLeon d’Oro. Un nome che dava

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sicurizza. Trasì. Era un ristoranticasaligno, picca tavolini e tutti vacanti.Appena che s’assittò s’avvicinò uncammareri:

«Oggi abbiamo jota e frico» dissi.«Eh?» fici Montalbano sintennosi

pigliato dai turchi.«Jota e frico» arripitì l’autro.Dato che non aviva scelta, il

commissario dissi di portarigli tutti edù.

Si sbafò con granni soddisfazionicipuddra, burro, patate, crauti, nelsilenzio del ristoranti indove continuavaa ristari l’unico clienti.

Pagò picca e spiò al cammareri se lavia Orta era vicina.

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«Dieci minuti a piedi. Uscendo adestra, sempre dritto la seconda asinistra» arrispunnì il picciotto.

Niscì fora e prima di annare indovedoveva annare, si firmò al bar, si ficifari un espresso triplo per mittiritanticchia d’ordini a tutto quello che sistava mutuperianno nella sò panza.

Trovò facili via Orta. Al nummaro trici stava ’na palazzina a tri piani.

Il portoni era ’nsirrato. S’avvicinò alcitofono e sonò al campanello di casaSirch. Non arrispunnì nisciuno. Riprovò.Nenti.

Addicidì di aspittari fumannosi ’nasicaretta. Po’ sintì ’na rumorata di tacchie vitti spuntare a ’na fìmmina quarantina

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che caminava con passo viloci. Spiròche si firmasse al numero tri, ’nveciquella proseguì. S’avvicinò novamenti,stava isanno la mano per citofonariquanno il portoni si raprì.

Si trovò facci a facci con un signoricinquantino bono vistuto che gli spiò:

«Cerca qualcuno?».«Sì, la signora Sirch. Avevo un

appuntamento».L’autro fici ’na facci ’mparpagliata:«Credo che oggi non la troverà. L’ho

vista partire stamattina presto con tantibagagli. La signora de Amicis del terzopiano forse sa come contattarla».

Montalbano sprofunnò dintra a unpozzo nìvuro, però si volli aggrappari a

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un filo di spranza. Senza salutari, si ficidi cursa le tri rampe di scali. Arrivatoall’ultimo piano sonò alla porta a manomanca.

«Chi è?».Provò a parlari ma aviva la vucca

accussì asciutta che gli niscì fora unsono strammo.

«Chi è?» arripitì la voci darrè laporta.

«Il commissario Montalbano sono».«Ah sì!» fici ’na fìmmina raprenno.

Era ’na sissantina col tuppo.«Io avevo» fici Montalbano «un

appuntamento alle tre con la signora...».«So tutto» l’interrompì la fìmmina.

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«Ma sa dove è andata?».«No. Non me l’ha detto».«Un signore che ho incontrato qui

sotto mi ha riferito che lei sa comerintracciarla».

«No, no. Mi spiace, non mi ha dettonulla».

Il filo di spranza si rompì di colpo eMontalbano ripigliò a sprofunnari.

«Però» continuò la fìmmina «mi halasciato una lettera per lei».

La caduta del commissario si firmò amezz’aria. Di colpo accapì che latilefonata fatta la sira avanti era stata ’naminchiata sullenni.

«Eccole la lettera» fici la signurapruiennogli ’na busta chiusa.

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Montalbano la pigliò, era pisanti. Sela ’nfilò ’n sacchetta.

«Grazie» murmuriò. «Buongiorno».E si misi a scinniri le scali che le

gamme squasi non l’arriggivano, tantoche se le fici appuiannosi almancorrenti.

Nella testa gli firriava ’na sula parolaarrivolta a se stisso:

«Strunzo. Strunzo. Strunzo».Tornò al bar della chiazza. Cadì

pisanti supra a ’na seggia e ordinò unwhisky doppio senza ghiaccio.

«Strunzo. Strunzo. Strunzo».Tirò fora la littra dalla sacchetta, la

posò supra al tavolino e la taliò.

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No, non ce la faciva a raprirla senza’n’autra bona spinta.

«Me ne porti un altro» dissi alcammareri.

Se lo vippi a lento. Senza staccari mail’occhi dalla busta.

Po’, quanno l’ebbi finuto, allungò lamano, pigliò la littra, strazzò la busta,tirò fora il contenuto. Erano cincopagine scrivute fitte, senza data e senzamanco un saluto iniziali. Accomenzò aleggiri:

Se lei è riuscito, per un mio errore, arintracciarmi, questo significa che ha giàscoperto in qualche modo come è andatala vicenda.

Credevo di avere eliminato ogni

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traccia del mio rapporto con Elena maevidentemente no. So che volevaincontrarmi, non per avere chiarimenti,ma per mettermi con le spalle al muro.In un primo momento ho anche pensatodi aspettare il suo arrivo ma poi mi sonodetta che, incontrandola, avrei persoquella libertà che mi spetta di diritto. Lasua telefonata ha avuto su di me uneffetto straordinario, vale a dire farmiriconquistare in un istante quella luciditàsmarrita in anni trascorsi sotto unacappa di odio e di desiderio di vendetta.Questa lucidità mi permette anche diconfessarle la mia storia che racconteròper la prima e unica volta.

Ho conosciuto Franco a Udine unpomeriggio di luglio, erano le 17,22.

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Entrò nell’agenzia immobiliare dove iolavoravo e subito ebbi la certezza chelui sarebbe stato l’uomo della mia vita.

Franco mi espose subito le suerichieste, che erano piuttosto complesse.In primo luogo voleva individuare unpaese nella provincia dove in seguitotrovare un’abitazione e un ampio spazioper la sartoria. Possibilmente attigui. Lasua idea era di sistemarsi non in unalocalità turistica ma in un paesino nellevicinanze di essa, e far sì che il nomedell’atelier potesse diffondersiattraverso un’accorta pubblicità e unpassaparola pilotato. Cominciammo lanostra ricerca. E io decisi diaccompagnarlo sempre. Girammo pergiornate intere in macchina nei paesini

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limitrofi ad Udine. Ci impiegammo duemesi per fermarci infine suBellosguardo. E in quei due mesi ciinnamorammo, anche se Franco hasostenuto fino alla fine che lui non miamava e che ero stata io a sedurlo. Maio mi accorgevo dei suoi sguardi sullemie gambe, dei suoi sorrisi teneri neimiei confronti. È che era timido e quindidoveva essere aiutato.

Sapevo che aveva una moglie chelavorava lontano e che un giornol’avrebbe raggiunto, ma la cosa allorami importava poco.

Appena si trasferì nell’appartamentoa Bellosguardo e iniziò i lavori perl’allestimento della sartoria io andavo atrovarlo quasi tutti i giorni. Talvolta lui

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mi diceva che non voleva vedermi,faceva finta di non desiderarmi. Ma eratimido ed io sapevo che in fondo anchelui mi amava.

Le mie continue assenze dal posto dilavoro provocarono il miolicenziamento. Decisi di trasferirmi aBellosguardo per stare accanto a Francoe quando glielo dissi lui non feceobiezioni. Io ero incinta, Franco miaveva supplicato di abortire ed io avevorifiutato. Quando arrivò Elena, suamoglie, io patii giorni di autenticasofferenza perché i nostri incontri sidiradarono e assunsero un aspetto disegretezza che mi era impossibilesopportare. Così i nostri rapportis’inasprirono ancora di più. Io

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pretendevo che dicesse tutto alla mogliee venisse a vivere con me, ma mi resisubito conto che Franco era incapace diprendere una decisione così estrema. Ilcaso ci venne incontro. Ero andataall’ospedale di Udine a fare deicontrolli per la gravidanza e quandoentrai nella sala d’aspetto sentii chechiamavano il nome di Elena Guida. Erauna bella donna, elegante e sorridente.Seppi poi che stava facendo delle cureper aumentare la sua possibilità dirimanere incinta. La aspettai all’uscita,mi presentai come l’agente immobiliareche aveva aiutato Franco e la invitai aprendere un caffè. Eravamo sedute ad untavolino del bar e mentre Elena giravalo zucchero nella tazzina le dissi che ero

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incinta. Che aspettavo un bambino daFranco. Mi guardò quasi non credendoalle mie parole, infine si alzò di scatto ese ne andò. Provai una certasoddisfazione a pensare che da quelmomento la loro vita in due sarebbediventata impossibile. Quando nacque ilbambino, che chiamai Franco, lui nonvenne neanche a trovarmi. Gli scrissiuna lettera, che mandai in copia anchead Elena, nella quale gli chiedevo chericonoscesse almeno la paternità delbambino. Per tutta risposta me lo vidiirrompere in casa su tutte le furie. Nonsembrava più lui. Mi ingiuriò, mi disseche l’avevo intrappolato e che milevassi dalla testa l’idea che avrebbericonosciuto il bambino. Addirittura non

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riteneva di esserne il padre. Non lo vidipiù per un lungo tempo. IntantoFranchino non cresceva, piangeva dicontinuo, non dormiva mai, stavaevidentemente male. Lo portai dalmedico, mi disse che aveva una bruttamalattia genetica e che aveva bisogno dicure costose ed io, che ormai mi trovavoin ristrettezze economiche, non sapevocome fare. Finché mi decisi a chiedere,sempre per iscritto, del denaro a Franco.Dopo pochi giorni si presentò a casaElena. Non mi guardò nemmeno infaccia, entrò e si precipitò alla culla delbambino. Lo prese in braccio, senzaneanche chiedermi il permesso. Siaccorse che era piccolo, troppo piccolo,e istintivamente se lo portò al seno.

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Scostò la maglia e l’attaccò alcapezzolo. Il piccolo Franco in braccioad Elena appoggiato ai suoi seni siaddormentò immediatamente. E dormìper ore, per tutto il tempo che servì permetterci d’accordo sul suomantenimento. Elena mi disse cheavrebbe pensato lei al piccolo Francoma che io non avrei dovuto dirlo pernessun motivo a suo marito.

Il 17 febbraio portai mio figlioall’ospedale e lì venne trattenuto. Versola mezzanotte del giorno 18, che io erogià andata a letto, sentii bussare allaporta. Andai ad aprire. Era Francostravolto, credo che avesse anchebevuto. Doveva avere avuto unaviolentissima discussione con Elena e

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rivoleva indietro i soldi che lei miaveva dato a sua insaputa. Sentiimontare in me contro di lui una rabbiainsostenibile. Cercai però ditranquillizzarlo, gli proposi un altrobicchiere di vino dentro al quale versaitutti i sonniferi che possedevo in casa.Ma non bastò, perché Franco continuò aurlarmi che gli avevo rovinatol’esistenza rivelando a Elena la nostrarelazione. E aggiunse che era colpa miase non riusciva a metterla incinta. Vistoche il suo stato psicologico peggiorava,mi vestii e gli proposi di fare unapasseggiata. Appena fuori, iniziammo acamminare verso il fiume. Era una notteda lupi e per fortuna non incontrammonessuno. Franco barcollava e mi urlava

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che appena arrivati al fiume mi ciavrebbe buttato dentro. Arrivati sullasponda crollò. Siccome pioveva datempo il fiume era molto ingrossato. Fua quel punto che tutti i sonniferi cheavevo sciolto nel vino fecero il loroeffetto. Franco si addormentò. Gli levaila sciarpa che portava al collo e glilegai le mani, per evitare che il contattocon l’acqua fredda lo risvegliasse e chelui istintivamente cercasse di nuotare.Franco era un ottimo nuotatore. Lasponda era tutta fangosa e scivolosa el’aiutai, mi bastò spingerlo con un piede.Voltai le spalle e me ne tornai a casa.Nel pomeriggio del giorno seguentevenni interrogata dai carabinieri.Raccontai quasi tutto, non accennai alla

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nostra passeggiata, dissi solo che Francose n’era andato via sbattendo la porta eminacciando il suicidio. Evidentementela mia posizione di donna abbandonatacon figlio malato e oltretutto nonriconosciuto dal padre legittimo miaiutò. I carabinieri si convinsero earrivarono alla conclusione del suicidio.Elena si trasferì definitivamente aVigàta, liquidando casa e atelier pochimesi dopo la morte di Franco,promettendomi tuttavia che avrebbecontinuato ad aiutarci. Il mio bambinonon riuscì a superare il primo anno divita.

Ma questo Elena non lo seppe mai.Quei soldi mi spettavano.

Continuai ad inviarle le foto del

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piccolo Franco che invece erano quelledi un mio nipote quasi coetaneo. Elenaprovò tante volte a chiedermi di vederloma io le ho sempre risposto che ilbambino non era ancora pronto a saperela verità. Andammo avanti così per anni,poi un mese fa ricevetti una lunghissimalettera di Elena, mi proponeva una sortadi cessione di Franco a fronte di uncongruo compenso e la concessione diun vitalizio a mio favore. Sarebbe statobello accettare, ma come fare?Franchino non c’era più. E allora, perprendere tempo, le dissi che la questioneforse era meglio trattarla di persona eche sarei andata a Vigàta. Ovviamente aspese di Elena che accettò la proposta enon so ancora spiegarmi perché le dissi

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così. Il giorno convenuto arrivai aTrapani, affittai una macchina eraggiunsi Elena poco prima dell’ora dicena. La trovai diversa da come me laricordavo. Era preoccupata, di pocheparole, la nostra cena si svolse quasi insilenzio. Non mi domandò neppurenotizie di Franchino. Alla fine dellacena mi chiese se potevo accompagnarlagiù nella sartoria. La seguii. Ciavvicinammo al grande tavolo sul qualec’erano solo un pezzo di stoffa e unaforbice. Mi disse di guardare bene lasciarpa, la riconobbi subito: era quelladi Franco.

Alle mie parole, Elena cominciò adinveire contro di me, mi disse cheFranco non avrebbe mai potuto legarsi

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le mani con quella stoffa, era troppodelicata e fragile, non avrebbe resistitoad uno strappo e così dicendo la presetra le mani, la tirò e subito la stoffa siruppe.

Allora provai ad obiettare che magarila sciarpa era diventata fragile per viadel tempo passato e per il fatto che erastata in acqua.

«No» mi disse Elena sempre piùalterata. «Mi è arrivata la stessa stoffaieri mattina. Te la faccio vedere. Tu seiun’assassina». Si voltò verso lo scaffaleper prenderla. Ma quella parola«assassina» mi aveva proiettato indietronel tempo. Mi ritrovai per un momentosull’argine del fiume mentre legavo lemani a Franco, e ripigliando quasi

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coscienza di me afferrai la grossaforbice che c’era sul tavolo e la colpiicon rabbia. Le risparmiai il seno perchéera lì che Franchino aveva trovato unattimo di pace. Mi ero tutta imbrattata disangue, mi spogliai, mi feci la doccia,indossai un vestito che trovai sul letto,misi in un sacchetto tutti i miei pannisporchi e intrapresi il viaggio di ritorno.

Non riceverò più denaro da Elena mami sento finalmente libera.

Questo è tutto.E po’ appresso c’era la firma scrivuta

bella e chiara: Nevia Sirch.A malgrado che la fìmmina l’avissi

pigliato per fissa, Montalbano non pottitrattiniri ’na certa soddisfazioni.

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L’intragnisi del sò ciriveddro avivanofunzionato bono, era la vilocità chefagliava.

Quella littra gli era sirvuta peraccanosciri ’na poco di dittagli ma lalinia principali dell’indagini era stataquella giusta.

Rimisi la littra dintra alla busta echiamò il cammareri. Pagò il whisky epo’ spiò se ’n paìsi ci stava ’na stazionedei carrabbineri o un commissariato dipolizia.

C’erano i carrabbineri.Si fici ’ndicari la caserma e ci annò.

Si qualificò e vinni arricivuto da unmarisciallo che lo taliava strammato peril finomino mai successo di un

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commissario di polizia che viniva adaddimannari qualichi cosa all’Arma.

Montalbano gli contò ogni cosa e allafini gli consignò la littra.

Aspittò che il marisciallo se laliggissi tutta e po’ gli spiò:

«Che intende fare?».«Troppo tardi» arrispunnì il graduato.

«Troppo tardi per disporre posti diblocco. Ma mi metto subito all’operaper cercare di trovarla. Mi lascia il suocellulare?».

«Perché?» spiò Montalbano.«Non è interessato a sapere gli

sviluppi?».Potiva diri al marisciallo che oramà

degli sviluppi di quella facenna non

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glien’importava cchiù nenti? No, nonpotiva. Glielo detti.

E ora che fari?Circarisi subito ’n albergo ddrà stisso

o mittirisi ’n machina e tornari a Trieste’n cumpagnia di Ester? Ma Bellosguardogli faciva simpatia e accussì addicidì dipassari ddrà la nuttata.

Gli dettiro ’na bella càmmaraall’albergo che s’acchiamava macariiddro Leon d’Oro.

Ora accomenzava ad accusari lastanchizza della jornata.

S’accomidò supra a una beddrapoltruna di villuto e addrumò latilevisioni tanto per passari tempo.

Manco ’n’orata appresso arricivitti la

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tilefonata del marisciallo chel’informava che Nevia Sirch era statafirmata per un controllo, e malgrado chenon avissi l’assicurazioni della machina,l’avivano lasciata annare. E quella sen’era annata.

Montalbano pinsò che almeno non erasolo lui a fare le minchiate.

«A questo punto» aggiungì ilmarisciallo «se ne sarà andata inSlovenia».

«Perché?».«Perché pare abbia dei parenti lì.

Vedrà che la troveremo».Montalbano arringraziò e doppo dù

minuti il cellulari sonò novamenti.Era Livia:

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«Salvo! Io voglio che tu ci sia e tu mel’hai promesso. Ho pensato ad unasoluzione che ti farà risparmiaretempo».

«Tempo per cosa, Livia?».«Vedi, sei il solito. L’hai dimenticato.

Dopodomani c’è la riconferma delmatrimonio».

«Maria, beddra matre!» ’sclamòMontalbano senza dirlo.

«Giovanna e Stefano» proseguì Liviacome un sciume ’n china «ti aspettano etu ci sarai. Ho visto già tutti gli orari,domani mattina pigli un aereo daTrapani a Trieste. Poi all’aeroporto tiaffitti una macchina e ci incontriamodirettamente a Udine».

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«A Udine?» l’interrompì Montalbano.«Perché a Udine?».

«E vedi, certo, ti eri dimenticatoanche questo. La riconferma è a Udinedove io arriverò domani alle 15 con iltreno da Genova».

Udine?«Udine?!» fici strammato

Montalbano.«Sì, Salvo, ci troviamo alla stazione

di Udine domani alle tre».Il commissario potti finalmenti

pigliarisi la sò rivincita.«Ci sono già».«Non fare il cretino, dai» fici Livia.«Mi correggo» dissi il commissario

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«fai conto che già ci sia».Livia gli mannò ’na vasata accussì

forti che gli si ’ntronò la recchia e chiuìla comunicazioni.

Montalbano s’assistimò meglio sullapoltruna. Si sintiva ’n paci con se stissoe col munno. Ora l’unico problema cheaviva davanti era quello d’annari asciglirisi un vistito bell’e fatto.

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Nota Come al solito i personaggi e le

situazioni di questo romanzo non hannonessun rapporto con fatti accaduti epersone realmente esistenti.

Desidero ringraziare Valentina Alferjche mi ha aiutato a scrivere quest’opera,non solo materialmente ma intervenendoanche creativamente nella sua stesura. Inaltre parole, data la mia sopraggiuntacecità, questo libro (e spero gli altri cheseguiranno) senza di lei non avrei potutoscriverlo.

A. C.

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Indice L’altro capo del filoUnoDueTreQuattroCinqueSeiSetteOttoNoveDieciUndici

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DodiciTrediciQuattordiciQuindiciSediciDiciassetteDiciottoNota dello stesso

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LE INDAGINI DEL COMMISSARIOMONTALBANO

La forma dell’acquaIl cane di terracottaIl ladro di merendineLa voce del violinoLa gita a TindariL’odore della notteIl giro di boaLa pazienza del ragnoLa luna di cartaLa vampa d’agostoLe ali della sfingeLa pista di sabbia

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Il campo del vasaioL’età del dubbioLa danza del gabbianoLa caccia al tesoroIl sorriso di AngelicaIl gioco degli specchiUna lama di luceUna voce di notteUn covo di vipereLa piramide di fangoMorte in mare aperto e altre indagini

del giovane MontalbanoLa giostra degli scambi

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DELLO STESSO AUTORE La stagione della cacciaIl birraio di PrestonUn filo di fumoLa bolla di componendaLa strage dimenticataIl gioco della moscaLa concessione del telefonoIl corso delle coseIl re di GirgentiLa presa di MacallèPrivo di titoloLe pecore e il pastoreMaruzza Musumeci

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Il casellanteIl sonaglioLa rizzagliataIl nipote del NegusGran Circo Taddei e altre storie di

VigàtaLa setta degli angeliLa Regina di Pomerania e altre storie

di VigàtaLa rivoluzione della lunaLa banda SaccoInseguendo un’ombraIl quadro delle meraviglieLe vichinghe volanti e altre storie

d’amore a Vigàta