tra determinismo tecnologico e sociale: arte e politica nell’era postdigitale
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Università degli Studi di Napoli“Federico II”
Dipartimento di Scienze Sociali
Corso di Laurea Magistrale inComunicazione pubblica, sociale e politica
Corso diComunicazione, marketing e pubblicità
Tra determinismo tecnologico e sociale: arte e politica
nell’era postdigitale
Augusto Cocorullo
Matr. M15000460
Anno Accademico 2012/2013
“La programmazione è il punto di forza ideale di ogni società digitale,
ma se non impariamo a programmare, rischiamo di essere programmati
da qualcun altro. Non è troppo difficile né troppo tardi per apprendere
il codice che si nasconde dietro le cose comuni, o quantomeno capire che
esistono dei codici nascosti tra le interfacce di siti e programmi.
In caso contrario, restiamo alla mercé dei programmatori, di chi li
paga e perfino della tecnologia in quanto tale.”
D. Rushkoff
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Abstract
A partire dalla contrapposizione ideologica che vede schierarsi su fronti diametralmente opposti i
sostenitori del determinismo tecnologico, da un lato, e i fautori del determinismo sociale, dall’altro
- concetti, questi, riferiti in tale contesto all’esistenza dell’individuo in epoca contemporanea -,
viene di seguito sviluppata una disamina della configurazione assunta dalla società in rete tra reale
e virtuale, in una prospettiva post-digitale, in relazione alle sfere dell’arte e della politica, mediante
un’argomentazione della trattazione tesa a dimostrare la necessità di un progressivo spostamento del
focus attentivo dell’individuo verso una visione critica della tecnologia. Al fine di supportare la tesi
sostenuta con riferimenti alle teorie di autori illustri che animano il dibattito attualmente in corso
circa il ruolo di internet nei diversi settori della cultura e della società, ci si riferirà alle elaborazioni
teoriche di autori come Rushkoff, Morozov e Castells.
Tra determinismo tecnologico e sociale: arte e politica nell’era postdigitale
Per “cultura postdigitale” – espressione mutuata dal contesto artistico – si intende «una parte
del postumanesimo, in cui si supera la distinzione di ciò che è on o offline e tutto diventa parte di
un’unica definizione del mondo», e in cui il progressivo proliferare dei new media sociali –
caratterizzantisi per una vigorosa forza pervasiva –, «ha totalmente annullato la distinzione tra la
vita “reale” e quella “virtuale”», pertanto, in tal senso, il postdigitale «richiama il concetto di neo-
umanesimo e della riscoperta dell’individuo come centro e motore delle proprie azioni» (Favaro
2010). In quest’ottica, la rete diviene l’estensione naturale della vita quotidiana, a differenza di
quanto accedeva nella fase embrionale di Internet, in corrispondenza della quale si registrava una
netta demarcazione tra l’identità virtuale e quella reale dell’essere umano. In particolare, «la
tecnologia digitale consente la riproduzione virtuale di contesti altrimenti inesperibili, diffondendo i
luoghi, attraverso una loro estensione online, e la creazione di circuiti itineranti, transitanti
sull’orizzonte ucronico e utopico del Web» (De Feo 2009, 92). Alla luce della nuova configurazione
assunta dalla realtà contemporanea, risulta necessario assimilare nuovi modelli di comportamento
che consentano all’individuo di preservare la sua autonomia, utilizzare con consapevolezza gli
strumenti della rete, acquisire una visione critica che gli consenta di orientarsi nel caotico e
pulviscolare spazio di internet: «La programmazione è il punto di forza ideale di ogni società
digitale, ma se non impariamo a programmare, rischiamo di essere programmati da qualcun altro»
(Rushkoff 2012).
Nel dibattito attualmente in corso tra gli studiosi – in materia di ruolo e funzione del
cyberspazio (Castells 2009) per l’individuo nel suo contesto socio-culturale –, si registrano
differenti posizioni di autori collocabili lungo un continuum ideologico in corrispondenza del quale
possono essere rintracciati punti di vista più o meno rigidi e inflessibili, nonché radicali e
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deterministici, a seconda del grado di distacco e disincanto assunto rispetto alla pratica della
virtualità. Queste visioni opposte sono ispirate da due concezioni riduzioniste del rapporto
intercorrente fra tecnologia e società: «da un lato, il “determinismo tecnologico” (secondo cui la
tecnologia sarebbe la causa principale delle trasformazioni sociali) e, dall’altro, il “determinismo
sociale” (secondo cui la società modella la tecnologia in base alle proprie esigenze)» (Mosca e
Vaccari 2012, 171). Tuttavia, la realtà è palesemente più complessa, e se è vero che le tecnologie
della rete hanno prodotto trasformazioni rilevanti nel modo di intendere e comprendere l’arte e la
politica da parte dell’individuo contemporaneo, è pur vero che la società recepisce in maniera attiva
le innovazioni tecnologiche, appropriandosene e plasmandole in base ai propri bisogni e orizzonti
culturali. Allo stesso tempo, però, per favorire un uso oculato e consapevole del web, è necessario
assumere un atteggiamento critico nei riguardi della cultura tecnologica.
Nello specifico, in campo artistico, si è consumata una diatriba – apparentemente
terminologica, e che ruotava intorno al significato da attribuire ai termini net.art e art on the net –,
fondata, in realtà, su concezioni della rete diametralmente opposte: «Da un lato la Rete come nuovo
mezzo di distribuzione delle informazioni, dall’altro come nuovo modello di relazione sociale. […]
Alla fine del dibattito, la maggior parte degli intervenuti si esprimeva a favore del termine “net.art”,
non solo per la sua sinteticità ed eleganza, ma anche perché, anteponendo il suffisso net, esaltava il
carattere interattivo, processuale e collaborativo di questa pratica. […] La net.art come “arte di fare
network”, dunque, e non solo come arte veicolata e diffusa attraverso Internet. “Art on the net”
avrebbe definito invece la Rete come strumento accessorio, come mezzo di illustrazione e
distribuzione di opere preesistenti e prodotte altrove» (Deseriis e Marano 2003, 16-17). Di
conseguenza, l’arte può esercitare sulla collettività una forza critica atta a favorire un aumento della
consapevolezza da parte degli individui circa i pericoli di una cultura tecnologica pilotata
prevalentemente da meri interessi economici di mercato, e se il proliferare delle reti digitali «ha
alterato irrimediabilmente l’orizzonte sociale, culturale ed economico in cui si trovano a operare gli
artisti, c’è chi non rinuncia al tentativo di forzare dall’interno il dominio delle nuove tecnologie,
senza tuttavia riuscire ad affrancarsi completamente. È il caso degli artisti che decidono di servirsi
di un approccio low-tech, a basso impatto tecnologico, o di chi sconfina nell’analogico: le nuove
forme d’arte che emergono al di là della frontiera, nel post-digitale» (Pisano 2012). In particolare,
nonostante la resistenza al digitale da parte di taluni artisti possa assumere le connotazioni di una
presa di posizione netta e radicale, questa, tuttavia, trova spiegazione e giustificazione nella volontà
di opporsi ai modelli consumistici affermatisi in epoca contemporanea e veicolati, appunto,
attraverso i media digitali (ibidem). In linea con suddetta assunzione, appare utile ricordare la
posizione di Nicolas Bourriaud (2004) in materia di arte della postproduzione come risposta al caos
dilagante e tipico della cultura globale: «Inserendo nella propria opera quella di altri, gli artisti
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contribuiscono allo sradicamento della tradizionale distinzione tra produzione e consumo, creazione
e copia, readymade e opera originale. Il materiale manipolato non è più primario» (Bourriaud
2004).
Un’impronta di radicato scetticismo tinge di grigio il dibattito sul ruolo della rete anche
nella sfera della politica. A tal proposito, sarà utile analizzare la posizione di Evgenij Morozov –
esperto di nuovi media e studioso degli effetti dispiegati sulla società e sulla politica dalla
diffusione della tecnologia –, che, in The Net Delusion: The Dark Side of Internet Freedom (trad. it.
L’ingenuità della rete. Il lato oscuro della libertà di Internet), sviluppa un’accurata disamina dei
rischi connessi all’utilizzo del web nelle tradizionali pratiche della politica, in antitesi rispetto al
dilagante “cyber-ottimismo”. Il politologo bielorusso, si schiera contro la tesi secondo la quale si
starebbe progressivamente diffondendo una nuova forma di democrazia globale scaturita dalla rete:
l’autore scardina le comuni ideologie legate al ruolo salvifico della rete – quale potenziale
alternativa alle pratiche politiche e associative tradizionali –, in favore di una distribuzione
egualitaria degli strumenti di partecipazione resa possibile dalle potenzialità del web. Morozov,
attraverso una minuziosa analisi degli interessi economici e politici che si celano dietro questa
retorica – pur concordando con l’idea dell’eccezionale potenzialità della rete in termini di
comunicazione e vantaggi offerti ai soggetti –, tuttavia sostiene che è necessario sapersi
destreggiare nell’irretito spazio virtuale di internet per evitare di esserne strumentalizzati (Morozov
2011). Pertanto, in quanto fautore e convinto sostenitore di una visione critica e radicale della
“retorica digitale”, Morozov espone il suo punto di vista in materia di movimenti politici nati sul
web, situandosi in uno spazio ideologico diametralmente opposto rispetto a quello di chi, come
Manuel Castells (2012), vede proprio in internet il futuro della democrazia contemporanea.
Nello specifico, il sociologo della rete dedica la sua ultima opera – Reti di indignazione e
speranza. Movimenti sociali nell’era di Internet –, al fenomeno della nascita e della proliferazione
dei movimenti sociali online, evidenziando la forza e la pervasività di questi gruppi di individui che,
proprio nel web 2.0, trovano un punto di incontro ed un’arena di confronto. Castells, al fine di
avvalorare la sua tesi, propone al lettore alcuni esempi emblematici di movimenti sociali online che,
nati a partire da spinte provenienti dal popolo, si sono reificati ed hanno assunto forma concreta
nella rete: «La continua trasformazione delle tecnologie di comunicazione nell’era digitale estende
la portata dei media a tutti gli ambiti della vita sociale in un network che è al contempo globale e
locale, generico e personalizzato, secondo uno schema in continuo mutamento» (Castells 2012,
XIX). Tuttavia, è necessario considerare il limite sostanziale connesso all’effettivo grado di
accessibilità del cyberspazio: non tutti sono in grado di servirsi della rete e il cosiddetto digital
divide comprende forme di esclusione di tipo sociale, politico e comunicativo, legate a diversi
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fattori, tra i quali, ad esempio, il divario generazionale e culturale (Pitteri 2007), nonché il ritardo
nello sviluppo della banda larga, come, appunto, nel caso italiano.
In definitiva, pensare alla rete come un luogo di propagazione naturale dell’arte e della
democrazia appare iperbolico e fuorviante: perché si inneschino processi di cambiamento sociale,
rinnovamento artistico e trasformazione politica è necessario restare ancorati alla realtà: il web si
configura dunque come «un canale complementare e non sostitutivo rispetto agli altri mezzi di
informazione: non è quindi opportuno contrapporre due realtà, quella online e quella offline, che
sono invece strettamente collegate fra loro […]. Adozione e uso massiccio delle tecnologie non
sono sufficienti a superare un dilemma classico delle organizzazioni politiche, ovvero quella
tensione irrisolta fra desiderio di partecipare attivamente alle decisioni da parte della base ed
esigenze di esercitare un controllo ferreo da parte di una dirigenza oligarchica» (Mosca e Vaccari
2012, 193-194). Per muoversi nello spazio di internet con consapevolezza e disinvoltura, occorre
assumere un atteggiamento critico da digital literate, apprendendo «il codice che si nasconde dietro
le cose comuni, o quantomeno capire che esistono dei codici nascosti tra le interfacce di siti e
programmi» (Rushkoff 2012). Solo seguendo suddette direttive si potrà programmare evitando di
essere programmati.
Riferimenti bibliografici
Bourriaud, N. (2004), Postproduction. Come l’arte riprogramma il mondo, Milano: Postmedia Books.
Cascone, K. (2000), The Aesthetics of Failure: “Post-Digital” Tendencies in Contemporary Computer Music, Computer Music Journal, 24:4, pp. 12-18, Massachusetts Institute of Technology.
Castells, M. (2009), Comunicazione e Potere, Milano: Università Bocconi Editore.Castells, M. (2012), Reti di indignazione e speranza. Movimenti sociali nell’era di Internet, Milano:
Università Bocconi Editore. De Feo, L. (2009), Dai corpi cibernetici agli spazi virtuali. Per una storiografia filosofica del
digitale, Catanzaro: Rubbettino Editore.Deseriis, M., Marano, G. (2003), Net.Art. L’arte della connessione, Milano: ShaKe Edizioni.Favaro, S. (2010), Post-digitale: welcome to the real world, 25 maggio,
http://culturapostdigitale.wordpress.com/2010/05/25/post-digitale-welcome-to-the-real-world/.
Menichini, R. (2013), Morozov e la “retorica web” del M5S. “Sono scatole oscure, non democrazia”, La Repubblica.
Morozov, E. (2011), The Net Delusion. The Dark Side of Internet Freedom, New York: Public Affairs.
Mosca, L., Vaccari, C. (2012), “Il Movimento e la rete”, in P. Corbetta, E. Gualmini (a cura di), Il partito di Grillo, Bologna: il Mulino.
Rushkoff, D. (2012), Programma o sarai programmato. Dieci istruzioni per sopravvivere nell’era digitale, Milano: Postmedia Books.
Pisano, L. (2012), Post-digitali senza nostalgia, 2 aprile, Corriere della Sera.it: http://lettura.corriere.it/post-digitali-senza-nostalgia/.
Pitteri, D. (2007), Democrazia elettronica, Roma - Bari: Editori Laterza.
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