sentenza concorrenza sleale kama europe honda n.89565 del 28 marzo 2007

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REPUBBLICA ITALIANA TRIBUNALE ordinario di ROMA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Sez.IX civile

Sezione Specializzata nella materia della Proprietà Industriale ed Intellettuale composta dai magistrati:

Dott. Tommaso Marvasi Presidente Dott. Marina Meloni Giudice

Dott. Giulia Iofrida Giudice rel. riunito in camera di consiglio ha emesso la seguente

SENTENZA nella causa civile di 1° grado iscritta al N.89565 del ruolo contenzioso generale dell’anno

2004 posta in deliberazione all’udienza del 28/3/2007 (con termine per il deposito di comparse conclusionali e repliche di gg. 60+20) e vertente

tra Kama Europe srl, in persona del legale rappresentante p.t.,

elett. dom. ta in Roma P.zza Sallustio 9 presso lo studio dell’Avv.to Maria Clara Palermo ed al Prof.Avv.to Gianfranco Palermo che la rappresentano e difendono per delega in atti

unitamente agli Avv.ti Maria Prado e Claudio Maria Prado ATTRICE

e Honda Logistic Centre Italy spa e Honda Italia Industriale spa,

in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., elett.dom. te in Roma Via Costantino Morin 45 presso lo studio dell’Avv.to Alessandro

Giacchetti che le rappresenta e difende per delega in atti unitamente agli Avv.ti Margherità Bariè e Marco Troiani

CONVENUTE OGGETTO:Concorrenza sleale.

CONCLUSIONI All’udienza del 28/3/2007 i procuratori delle parti così concludevano:

Per parte attrice: “Piaccia al Tribunale, contrariis reiectis, così giudicare: ritenuta la propria competenza, respinta ogni contraria, domanda ed eccezione, 1) ritenere e dichiarare che la produzione, commercializzazione, distribuzione, promozione dei prodotti Kama Europe

per cui è causa, con le caratteristiche e gli elementi formali e di marchio che essi presentano non costituiscono violazione di nessun diritto della convenuta sotto nessun

profilo di giustizia; 2) condannare le convenute alla refusione, in favore dell’attrice, di tutte le spese di causa. Dichiara di non accettare il contraddittorio in relazione ad eventuali

domande nuove irritualmente e tardivamente formulate”. Per parte convenuta: “Che il Tribunale adito, contrariis reiectis: in via preliminare, dichiari nulla l’atto di citazione ex art.164 c.p.c., essendo assolutamente incerti i requisiti di cui ai nn. 3 e 4 dell’art.163 c.p.c.; accerti e dichiari la litispendenza del presente procedimento

con quello pendente avanti il Tribunale di Vicenza, RG 1130/05, G.I. Dr.Picardi, chiamato all’udienza del 9/5/2008 per la discussione sulle istanze istruttorie e, per l’effetto, disponga

la cancellazione della presente causa dal ruolo o in subordine sospenda il presente procedimento ex art.295 c.p.c. in attesa della definizione del predetto procedimento avanti il Tribunale di Vicenza e/o di quello pendente tra le medesime società Honda e Kama Italia srl avanti il Tribunale di Campobasso per tutte le motivazioni espresse negli atti difensivi;

accerti e dichiari il difetto di competenza delle Sezioni Specializzate in materia di proprietà industriale ed intellettuale del Tribunale di Roma adito in favore del giudice ordinario;

accerti e dichiari il difetto di competenza territoriale del Tribunale di Roma, dichiarando competente, in via alternativa facoltativa, i Tribunali di Verona o di Chieti a norma degli

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artt.18 e ss. c.p.c.; in via subordinata, nel merito: rigetti tutte le domande proposte da Kama Europe srl in quanto infondate in fatto ed in diritto per tutti i motivi esposti negli atti

difensivi; in via riconvenzionale subordinata: accerti e dichiari che la vendita, la distribuzione e la pubblicizzazione da parte della Kama Europe dei motori Kama KB o,

comunque di ogni altro prodotto Kama, con qualsivoglia sigla contrassegnato, che integri, sia singolarmente che assemblato in altri prodotti, un’imitazione servile dei motori Honda

GX, costituisce atto di concorrenza sleale in danno alle convenute e, per l’effetto, inibire la prosecuzione dell’illecito; ordini il sequestro, sia presso la Kama Europe che presso terzi,

di tutti i motori Kama, serie KB, o di ogni prodotto Kama, con qualsivoglia sigla contrassegnato, che integri, sia singolarmente che assemblato in altri prodotti,

un’imitazione servile dei motori Honda GX e dei relativi materiali pubblicitari, in quanto costituiscono imitazione servile e/o contraffazione dei corrispondenti prodotti Honda; ordini la distruzione dei prodotti di cui sopra, nonché del relativo materiale pubblicitario; condanni la Kama Europe al risarcimento dei danni derivanti dalla sleale concorrenza nella misura che sarà dimostrata in corso di causa o in via equitativa; fissi una somma non inferiore ad

Euro 5.000,00 o nella diversa misura che verrà indicata in corso di causa, che Kama Europe sarà tenuta a pagare alle convenute per ogni violazione o inosservanza accertate

successivamente all’emananda sentenza per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione dei provvedimenti contenuti nella sentenza stessa; ordini la pubblicazione della sentenza a cura delle convenute, a spese della Kama Europe, sul quotidiano Corriere della Sera e

sulle riviste specializzate “Gardens & Grill” e “Macchine Edili”. In ogni caso, con vittoria di spese, diritti ed onorari; in via istruttoria, come da verbale.”

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione notificato il 13/12/2004, la Kama Europe srl, in persona del legale rappresentante p.t., con sede in Vicenza, conveniva in giudizio, dinnanzi al Tribunale di Roma, Sezione Specializzata nella materia della Proprietà Industriale ed Intellettuale, le società Honda Logistic Centre Italy spa, con sede in Colognola ai Colli (VR), ed Honda

Industriale spa, con sede in Piazzano di Atessa (CH), in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., per sentire accertare che la produzione, la commercializzazione, la distribuzione e la promozione dei prodotti Kama Europe (specificamente, i motori della

serie KB, oggetto di un procedimento cautelare svoltosi dinanzi al Tribunale di Vicenza, su ricorso delle società del Gruppo Honda del 4/11/2004) non costituiva violazione di diritti delle convenute, in particolare, imitazione servile confusoria, ex art.2598 c.c., dei “diritti,

segni istintivi e marchi”, delle convenute (le quale commercializzavano i motori Honda GX, caratterizzati esteriormente da “un monoblocco centrale sovrastato dal serbatoio

carburante con a lato il filtro dell’aria e le marmitte di scarico”, ed avevano lamentato, nel procedimento cautelare instaurato con ricorso del 17/11/2004, dinanzi al Tribunale di

Vicenza, che essa Kama Europe aveva imitato servilmente i propri prodotti, “dotati di una forma tipica e riconoscibile, individualizzante e non necessitata, tale da renderli

perfettamente distinguibili rispetto a tutti gli altri motori dello stesso tipo presenti sul mercato”).

Si costituivano le società convenute, tempestivamente ai sensi degli artt.166-167 c.p.c., il 17/2/2005, deducendo che, con ordinanza dell’11/1/2005, il Tribunale di Vicenza,

ritenendosi competente per materia, aveva accolto parzialmente il ricorso, inibendo alla Kama Europe la produzione e la commercializzazione dei motori Kama serie KB e di ogni altro prodotto integrante un’imitazione servile dei motori Honda GX, fissando il termine per

l’inizio del giudizio di merito dinanzi a detto ufficio giudiziario, eccepivano, in via preliminare, la nullità dell’atto di citazione ex artt.163 nn. 3 e 4 e 164 c.p.c., il difetto di

competenza delle Sezioni Specializzate in materia di Proprietà Industriale ed Intellettuale, in favore del giudice ordinario, il difetto di competenza territoriale del Tribunale di Roma,

essendo competenti, in via alternativa facoltativa, i Tribunali di Verona o di Chieti, ex art.19

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c.p.c., e, nel merito, chiedevano il rigetto di tutte le domande ed, in via riconvenzionale, accertarsi che la vendita, distribuzione, pubblicizzazione, da parte di Kama Europe, di

motori Kama KB o comunque di ogni altro prodotto Kama costituiva un’imitazione servile dei motori Honda GX (sotto il profilo dell’imitazione della forma, tipica e riconoscibile,

individualizzante e non necessitata), ex art.2598 n. 1 c.c., ed atto di concorrenza sleale parassitaria, ex art.2598 n. 2 c.c., o illecito extracontrattuale, ex art.2043 c.c., in danno delle convenute (stante la comunanza di clientela delle società, costituita sia dai singoli

consumatori, acquirenti di motori e/o prodotti finiti impiegati principalmente nel settore del giardinaggio o del “fai da te” o della piccola industria, sia dalle aziende definite “Original Equipment Manufacturer”, OEM, acquirenti i singoli motori da assemblare), con inibitoria alla prosecuzione dell’illecito, sequestro dei prodotti in questione, ordine di distruzione,

condanna al risarcimento dei danni, fissazione di una penale e pubblicazione della sentenza.

Concessi i termini ex artt.170-180 c.p.c., all’udienza di prima trattazione, ex art. 183 c.p.c. del 7/7/2005, comparivano i procuratori speciali delle due società convenute, mentre non

compariva personalmente il legale rappresentante della società attrice, ed espletati l’interrogatorio libero delle parti presenti, non poteva espletarsi il tentativo di conciliazione

e venivano concessi anche i termini, richiesti dalle parti, ex art. 183 V° comma c.p.c.. Le parti convenute (rilevando che, in fase di reclamo ex art.669 terdecies c.p.c., il

Tribunale di Vicenza, con ordinanza del 1°/4/2005, si era nuovamente ritenuto competente, pur revocando l’ordinanza cautelare, concessa dal giudice di prime cure, per

difetto del periculum) chiedevano rimettersi la causa in decisione sulle questioni pregiudiziali sollevate, mentre l’attrice chiedeva concedersi i termini per deduzioni

istruttorie ex art.184 c.p.c.; Con ordinanza del 16/11/2005, il giudice istruttore, ritenuti insussistenti i presupposti per la

rimessione della causa in decisione, ex art.187 c.p.c., sulle questioni preliminari e pregiudiziali sollevate dalle convenute, “non apparendo fondata l’eccezione di nullità

dell’atto di citazione, essendo il petitum e la causa petendi dell’azione di accertamento negativo esercitata dall’attrice comunque individuati (sia pure attraverso il riferimento alle

istanze cautelari azionate dinanzi ad altro giudice dalle società Honda), così da consentire alle convenute di svolgere compiute difese, ed essendo opportuno rimettere al Collegio, unitamente alla decisione sul merito, la questione sull’eccezione di incompetenza della Sezione Specializzata P.I. di Roma”, anche alla luce, da un lato, dell’entrata in vigore (il 19/3/2005) del Codice di Proprietà Industriale, ove, all’art.1, erano configurati come diritti di proprietà industriale anche i “marchi e gli altri segni distintivi” ed, all’art.134, si attribuiva alla competenza delle Sezioni Specializzate anche la concorrenza sleale interferente solo “indirettamente” “con l’esercizio dei diritti di proprietà industriale” (“con una chiara volontà

del legislatore di scegliere un’interpretazione estensiva e non restrittiva in ordine alla competenza delle Sezioni Specializzate”), e, dall’altro lato, del fatto che, secondo

autorevole dottrina, la tutela contro l’imitazione servile di cui all’art.2598 n. 1 c.c. doveva essere “ricondotta nell’ambito della concorrenza sleale confusoria e quindi al tema dei

segni distintivi” (nella specie, controvertendosi “proprio di forme del prodotto non necessitate e funzionali e che svolgono una funzione distintiva o individualizzante”),

assegnava alle parti termini ex art.184 c.p.c. per deduzioni istruttorie. La causa veniva istruita con l’acquisizione di documenti,respinte dal G.I. le istanze

istruttorie articolate dalle due convenute (le prove testimoniali vertendo su circostanze generiche e/o valutative e/o irrilevanti e non essendovi necessità di disporre CTU sui

presupposti sostanziali dell’imitazione servile invocata dalle società Honda e negata dalla Kama, salva diversa valutazione del Collegio in sede decisoria, anche in ordine alla CTU contabile sul quantum debeatur, in relazione alla riconvenzionale delle due convenute), e,

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sulle conclusioni di cui in epigrafe, veniva trattenuta in decisione all’udienza del 28/3/2007 (con termine per il deposito di comparse conclusionali e repliche di gg. 60+20).

MOTIVI DELLA DECISIONE Preliminarmente, deve rilevarsi che la presente controversia, avendo ad oggetto un

giudizio instaurato successivamente al 1°/7/2003, inerente domanda, in via principale, di accertamento negativo di illeciti concorrenziali e domanda, in via riconvenzionale, di

accertamento positivo della violazione dell’art.2598 nn. 1 e 2 c.c., deve essere decisa dal Collegio ai sensi del combinato disposto degli artt. 2, 3 e 6 del D.lgs. 168/2003, istitutivo delle Sezioni Specializzate nella materia della Proprietà Industriale ed Intellettuale. La

competenza delle Sezioni Specializzate P.I. è stata ribadita, per le materie dell’area della proprietà industriale, nel testo del D.lgs. 30/2005, Codice di Diritto Industriale, entrato in vigore il 19/3/2005, ed agli artt.120, commi 4,5 e 6, e 134, in particolare, con espressa

“esclusione delle sole fattispecie che non interferiscono neppure indirettamente con l’esercizio dei diritti di proprietà industriale” (e con l’inclusione degli illeciti di concorrenza c.d. antitrust, disciplinati dalla legge nazionale n.287/1990 o agli artt.81 e 82 del Trattato

UE). Vanno pertanto respinte le eccezioni di incompetenza, funzionale, per materia, e

territoriale, sollevate dalle convenute, radicandosi il giudizio dinanzi a questa Sezione Specializzata P.I., in forza del combinato disposto degli artt. 120 C.P.I., 3 d.lgs. 168/2003

e 33 c.p.c., avendo una delle società convenute (la Honda Industriale spa, società che distribuisce e commercializza in Italia i prodotti finiti, contenenti i motori Honda in oggetto) sede in provincia di Chieti, ricompresa nel distretto della Corte d’Appello de L’Aquila, il cui territorio rientra, in primo grado, nella competenza della Sezione Specializzata presso il

Tribunale di Roma. Ormai diverse pronunce delle Sezioni Specializzate istituite presso vari Tribunali ordinari hanno ricondotto anche l’imitazione servile confusoria di segni distintivi e la concorrenza parassitaria, per appropriazione di pregi, alla c.d. concorrenza interferente

con l’esercizio di diritti di proprietà industriale, ex art.134 C.P.I. (vedasi, tra le altre, T.Roma 20/7/2004, Le Sez.Spec.ital. P.I., 2004, II, n. 364; T.Roma 27/7/2004, Le

Sez.Spec.ital. P.I., 2004, II, n. 370; T.Torino 25/6/2004, Le Sez.Spec.ital. P.I., 2004, II, n. 415; T.Napoli, 30/9/2004, Le Sez.Spec.ital. P.I., 2004, II, n. 307; T.Napoli, 12/4/2005, Le Sez.Spec.ital.P.I., 2005, n. 134), in una visione allargata (a tutta l’area tradizionalmente

ricompresa nella materia del diritto industriale), fatta propria anche dal legislatore del Codice della Proprietà Industriale.

Al riguardo e sempre preliminarmente, le convenute-attrici in riconvenzionale Honda Logistic Centre Italy spa e Honda Italia Industriale spa, sin dalla memoria di replica ex art.184 c.p.c., hanno eccepito la litispendenza, ex art.39 c.p.c., tra il presente giudizio

(iscritto al n. 89565/2004 RG, instaurato, con atto di citazione notificato il 7/12/2004, dalla Kama Europe srl) e quello pendente tra le stesse parti, dinnanzi al Tribunale di Vicenza

(iscritto al n. 1130/2005 RG), deducendo che giudice preventivamente adito deve ritenersi il Tribunale di Vicenza, in quanto, pur essendo detto giudizio di merito stato instaurato

successivamente al presente, lo stesso era conseguente ad un procedimento cautelare ante causam, previamente attivato da esse società Honda, con ricorso del 17/11/2004, e

definito, in sede di reclamo ex art.669 terdecies c.p.c., con ordinanza collegiale del 1°/4/2005, con la quale era stata revocata l’ordinanza cautelare dell’11/1/2005 (di

accoglimento parziale delle istanze cautelari delle ricorrenti). Come già evidenziato dal giudice istruttore, l’eccezione deve ritenersi infondata in quanto:

1) il disposto di cui agli artt. 39 e 40 c.p.c. opera soltanto in presenza di due giudizi di cognizione ordinaria pendenti davanti a giudici diversi e non anche di un procedimento

cautelare, che per sua natura non introduce già il giudizio di merito, essendo detta introduzione solo successiva ed eventuale, e che è idoneo solo ad assicurare

provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito, e di un giudizio a cognizione

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ordinaria, trattandosi di due procedimenti distinti, per struttura ed effetti, che non possono essere posti sullo stesso piano al fine voluto dalle norme predette (C.C.S.U.7337/1996;

C.C.1862/1979); 2) è pacifico che il presente giudizio di merito è stato instaurato, autonomamente, prima dell’inizio del giudizio di merito relativo al provvedimento cautelare

di cui sopra, dinanzi al Tribunale di Vicenza; 3) non può neppure ipotizzarsi una inammissibilità della domanda per violazione del principio del ne bis in idem, non potendo

attribuirsi all’ordinanza del Tribunale di Vicenza, conclusiva del procedimento cautelare azionato dalle società Honda, natura di giudicato, avendo i provvedimenti cautelari natura

meramente provvisoria e strumentale rispetto ad una successiva decisione di merito (C.C.7337/1996; vedi anche T.Torino, 6/11/1998, G.I. 1999, 1857); 4) il rapporto di

strumentalità tra cautelare e merito non elimina l’autonomia e distinzione dei diversi giudizi e pertanto l’inizio della lite non può farsi risalire alla data di presentazione dell’istanza

cautelare ante causam, radicandosi il giudizio di merito soltanto con la notifica dell’atto di citazione; 5) non può farsi richiamo alle due pronunce della Suprema Corte (entrambe

della Sezione Lavoro, nn. 7883/1997, sent., e 12895/2004, ord.), citate dalle convenute, in quanto, in motivazione, si legge che la tesi (ivi accolta) della individuazione del giudice

preventivamente adito sulla base della data di instaurazione del procedimento cautelare può concernere, al più, soltanto ipotesi di “domanda cautelare accolta e confermata in

sede di reclamo”. Nel merito, in generale, va osservato che l’art.2598 n. 1 c.c. sanziona come illeciti

esclusivamente comportamenti di imitazione servile confusoria, essendo necessario che la stessa sia idonea a creare confusione con i prodotti e con l’attività del concorrente imitato

(C.C. 9387/1994) e l’interesse tutelato, nell’ipotesi di cui al n.1, che pone il divieto specifico di atti confusori inerenti i nomi e segni distintivi o i prodotti, è quello dell’imprenditore

all’identità commerciale, oltre al correlativo interesse dei consumatori contro gli sviamenti dagli stessi atti determinati, dovendosi invece ritenere estraneo alle finalità della norma

l’interesse all’esclusività dell’adozione di forme non distintive o aventi carattere funzionale. Nella clausola generale prevista dall’art.2598 n.1 c.c. (“altri mezzi idonei a creare

confusione”) rientrano dunque tutti i comportamenti atipici dell’imprenditore idonei a creare confusione con i prodotti e le attività del concorrente, quali l’imitazione degli elementi

aventi funzione ausiliaria o accessoria della produzione, come gli involucri e la confezione o gli aspetti esterni degli stessi luoghi di produzione o di commercializzazione, essendo

infatti meritevole di tutela, sotto il profilo della concorrenza sleale, anche l’aspetto caratteristico esteriore (le dimensioni, il profilo, i colori caratteristici, la sagoma degli edifici)

del prodotto e dell’organizzazione aziendale, in quanto comunemente proprio i colori, le misure, i simboli, i profili costruttivi degli edifici, nella loro impressione di insieme, presenti

costantemente e non rispondenti ad esigenze funzionali, esercitano una funzione di richiamo a distanza del consumatore, il quale, quando rinviene uno o più di detti elementi, si attende di rinvenire gli altri o di trovarsi di fronte ad certo prodotto o ad una sede di una data azienda ed è indotto a presumere che il prodotto provenga da quella certa impresa. Rileva la combinazione degli elementi formali decorativi, sempre che il loro impiego da

parte dell’imprenditore concorrente sia idoneo a creare confusione, creando la falsa apparenza che i diversi prodotti provengano dallo stesso imprenditore o che le diverse

ditte appartengano alla medesima organizzazione, e la confondibilità confusoria, in relazione, particolarmente, all’identità o somiglianza dei colori, degli schemi stilistici e

compositivi delle rispettive confezioni dei prodotti può ricorrere anche se sia diversa la, meno immediatamente percepibile, indicazione dei nomi dei fabbricanti (C.C. 1085/1978;

C.C. 1550/1965). Né rileva la differenza di prezzo, in quanto anzi, da un lato, la commercializzazione ad un prezzo inferiore è fatto tipico dell’attività imitativa (non avendo dovuto sostenere il concorrente i costi per l’accreditamento sul mercato) e, dall’altro lato, il

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prezzo più basso non vale ad escludere il rischio confusorio per il pubblico (potendo il consumatore ritenere che si tratti resti di magazzino o di prodotti difettati).

Di recente, la Suprema Corte (n. 1062/2006), con riguardo ad una fattispecie di imitazione servile di confezioni di prodotti, ha osservato che “in tema di concorrenza sleale,

l'imitazione rilevante ai fini della concorrenza sleale, sotto il profilo confusorio della imitazione servile, non si identifica con la riproduzione di qualsiasi forma del prodotto

altrui, ma solo con quella che cade sulle caratteristiche esteriori dotate di efficacia individualizzante e cioè idonee, proprio in virtù della loro capacità distintiva, a ricollegare il prodotto ad una determinata impresa (v., da ultimo, Cass. 27/02/2004, n. 3967). In ogni caso non si può attribuire carattere individualizzante alla forma funzionale, cioè a quella forma resa necessaria dalle stesse caratteristiche funzionali del prodotto. Pertanto, la

fabbricazione di prodotti identici a quelli realizzati da impresa concorrente (che non fruisca, per essi, della tutela brevettuale o, comunque, non la invochi) costituisce atto di

concorrenza sleale soltanto se la ripetizione dei connotati formali non si limiti a quei profili resi necessari dalle stesse caratteristiche funzionali del prodotto, ma investa

caratteristiche del tutto inessenziali alla relativa funzione se, infatti, non ricorre una privativa a tutela di una determinata funzione e di una determinata forma, alla libera

riproducibilità della funzione corrisponde la altrettanto libera riproducibilità della forma che, necessariamente, la realizza (Cass. 26/01/1999, n. 697)”, escludendo così che si possa parlare “di forma individualizzante rispetto ad una forma non visibile esteriormente, quale quella del contenuto di una scatola”, in quanto “il divieto dell'imitazione servile è inserito in

un contesto, quello dell’art.2598 n.1 c.c., che tratta della concorrenza confusoria e nel quale, quindi, è tutelato soltanto l'interesse a che l'imitatore non crei confusione con i

prodotti del concorrente, realizzando le condizioni perché il potenziale acquirente possa equivocare sulla fonte di produzione. Tale interesse, pertanto, quando non sia in

discussione la libera produzione di oggetti (sia perché frutto di idee non brevettate, non brevettabili o cadute in pubblico dominio per scadenza del brevetto sia perché non è

invocata la tutela della privativa) può ritenersi soddisfatto dalla presentazione del prodotto con contenitori differenti, recanti il marchio del produttore o comunque una denominazione diversa, ovvero dalla presentazione del prodotto con la precisa indicazione che lo stesso è

fabbricato da un diverso imprenditore (Cass. 9/11/1983, n. 6625; Cass. 3/08/1987, n. 6682)”. Ancora (C.C. 5243/1999, con riguardo alla imitazione servile di tessuto di moda; C.C. 2578/1998), è stato precisato che “la fattispecie costitutiva della imitazione servile è la confondibilità, ovvero l'equivoco sulla origine del prodotto che si immette sul mercato attraverso l'imitazione degli elementi formali di altro prodotto dotati di efficacia distintiva,

quale ne sia l'eventuale rilevanza brevettuale, con la conseguenza che alla tutela concorrenziale può farsi ricorso sia nelle ipotesi di rigetto della tutela brevettuale, sia in

quelle in cui il prodotto non sia brevettabile, potendo formare oggetto di imitazione servile anche quelle forme del prodotto, che, pur non essendo dotate di particolari pregi di utilità e

quindi non brevettabili, vengono tuttavia usate per difendere l'avviamento, ovvero allo scopo di differenziare il prodotto da quello del concorrente” e che concreta concorrenza

sleale, sotto il profilo della imitazione servile confusoria, “la fabbricazione di prodotti identici nella forma a quelli realizzati da impresa concorrente (che non fruisca più, per essi,

della scaduta tutela brevettuale), allorquando la ripetizione dei connotati formali non si limiti a quei profili resi necessari dalle stesse caratteristiche funzionali del prodotto, ma si

spinga a profili del tutto inessenziali alla funzione, quali, ad es., l'adozione di un particolare colore o di altri particolari formali del tutto indifferenti alla dimensione funzionale del

prodotto”. Laddove poi si sia in presenza di forme funzionali o necessitate o estetiche-ornamentali dei prodotti, poiché, secondo un certo orientamento dottrinale e giurisprudenziale, anche

le forme comuni o standardizzate o indispensabili per riprodurre un certo progresso

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tecnico o estetico creato da un imprenditore possono essere individualizzate ed assumere capacità distintiva del prodotto e del produttore, per originalità e novità, di fronte al pubblico dei consumatori, attraverso, per es., l’uso di colori e di espressioni anche

generiche, ed essere meritevoli di tutela contro il rischio di confusione, ex art.2598 c.c., anche se non brevettate o con brevetto scaduto, il concorrente ha comunque l’obbligo di introdurre quelle varianti che, incidendo su elementi formali non indispensabili (colore,

dimensione e conformazione di determinati elementi strutturali, involucri, segni distintivi) e senza pertanto compromettere gli aspetti necessitati della forma stessa e senza eccessivo

dispendio di energie creative e di spese, siano idonee ad evitare la confondibilità fra i prodotti (c.d. varianti innocue), essendo punita la condotta di chi poteva introdurre

differenziazioni, innocue rispetto alla funzione ma capaci di evitare la totale copiatura, e non lo ha fatto (C.C. 13918/1999; C.C. 2578/1998; C.C. 6237/1988; C.C. 6682/1987;

T.Verona 5/10/1993, D.I., 1994, 59; A.Bologna 8/1/1994, D.I., 1994, 773). In conclusione, per poter applicare la tutela dettata dall’art.2598 c.c. contro l’imitazione

servile, in assenza di diritti di privativa su invenzioni o su modelli, occorre verificare, anzitutto, se il prodotto imitato presenti forme caratteristiche, individualizzanti, idonee cioè a comunicare al pubblico la provenienza dello stesso da una determinata impresa e, poi,

se sussista il pericolo di confusione sul mercato. Ora, nella fattispecie, i prodotti Honda, commercializzati in Italia dalle due convenute (la Honda Logistic Centre Italy quanto ai singoli motori, venduti anche separatamente, la

Honda Italia Industriale, quanto ai prodotti finiti, ad es. motopompe, motozappe, falciatrici, tosaerba, trattorini, decespugliatori), vale a dire i motori della serie GX, destinati ai settore agricolo, giardinaggio e “fai da te”, presenti sul mercato italiano dagli anni ottanta (come

dedotto e non contestato dall’attrice), non brevettati, consistono in motori a benzina, monocilindro, ad albero orizzontale, con cilindro inclinato di 25° e raffreddamento ad aria

forzata ed hanno una forma, che si presenta visivamente come un monoblocco centrale, a tronco di cono, con mascherine di protezione e scanalature laterali, sovrastato dal

serbatoio carburante con a lato il filtro dell’aria e la marmitta di scarico. Kama Europe è una società, costituita nel luglio 2003, che distribuisce e commercializza in

Italia i prodotti realizzati dalla società cinese Wuxi Kama Power Co. Ltd, in particolare, i motori della serie Kama KB, in contestazione, destinati all’agricoltura ed al giardinaggio.

Risulta, dall’esame visivo e sintetico e non è comunque contestato, che i motori Kama KB sono molto simili ai motori Honda GX, riproducendone l’aspetto generale e le forme, salvo

differenziarsi nei colori e nei marchi. Ora, attesa la pacifica e documentata (doc.ti 9/18, 75/77 atti convenute) presenza di

prodotti concorrenti, realizzati da case straniere, con forme e colori diversi, ma stesso tipo di prestazioni e di utilizzo, il carattere non necessitato della forma dei motori Honda in

oggetto è stato già affermato dai giudici di Vicenza e di Campobasso nei provvedimenti cautelari allegati in atti. Deve peraltro rilevarsi che, in questo giudizio, l’attrice ha allegato

fotografie di motori Mitsubishi, Ramnay e Robin (doc.ti 15/17, avendo le convenute contestato la provenienza cinese dei motori raffigurati sub doc.ti 18 e 19), che riproducono la stessa disposizione e forma generale dei motori Honda di cui le convenute invocano la

tutela in via riconvenzionale (“un monoblocco centrale, a forma di tronco di cono, con mascherine di protezione e scanalature laterali, sovrastato dal serbatoio carburante con a

lato il filtro dell’aria e la marmitta di scarico”). Tali produzioni potrebbero essere dunque (utilizzando a contrario lo stesso modo di ragionare) indici di una utilità o funzionalità

tecnica di questa particolare disposizione delle parti obbligatorie del motore a combustione interna, anche perché, pur essendovi diversità nelle dimensioni delle diverse componenti, anche nei motori prodotti da ditte concorrenti indicati dalle convenute, ricorrono le stesse caratteristiche qui rivendicate come forma sopra richiamate (vedasi, in particolare, doc.ti

11,12,14,16,17 e 77 atti convenute).

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Ma, volendo ritenere non utili e necessitate le forme dei motori in oggetto, quanto poi all’indispensabile requisito (ai fini della tutela contro l’imitazione servile confusoria di altrui

segni distintivi) della capacità individualizzante della forma dei motori Honda GX, le convenute hanno prodotto un’indagine demoscopica, del gennaio 2006, della DOXA,

primario istituto di ricerche statistiche, condotta, rispetto al “test monadico”, effettuato per verificare la capacità del consumatore (che frequenta punti vendita di piccole macchine ad

uso agricolo o per edilizia), su un campione di 132 persone, che hanno esaminato il motore Honda GX, e su un campione di 124 persone che hanno esaminato il motore

Kama KB: il 61,4% del campione che ha esaminato il motore Honda ha indicato la marca Honda ed il 32,6% non ha saputo indicare la marca, mentre il 43,5% del campione che ha

esaminato il motore Kama ha indicato quale marca Honda, non avendo poi il 46,8% saputo indicare alcuna marca (doc.to 59 atti convenute).

Il che indica una capacità individualizzante della forma dei motori Honda, presenti in Italia da almeno vent’anni, rispetto a quella dei motori Kama, ma non indica necessariamente l’effetto confusorio, in quanto non è dato conoscere se l’intervistato (colto all’ingresso dei suddetti punti vendita) fosse effettivamente un acquirente esperto del tipo di prodotto in

esame. Occorre, in effetti, che l’imitazione servile dell’aspetto esteriore dei motori Honda, in

contestazione, sia idonea a produrre confusione sui destinatari dei prodotti, in relazione al target di consumatori cui il prodotto si rivolge (gli operatori professionali o aziende OEM,

che assemblano i motori con altre parti, ed i singoli consumatori, dediti al giardinaggio o ad attività agricole, anche per hobby). Ora, il destinatario del prodotto in oggetto deve

qualificarsi come particolarmente esperto ed attento nel settore (T.Modena 5/7/1996; T.Milano 20/5/1996), in quanto, anche il consumatore che acquista il singolo motore (e non il professionista OEM), per montarlo su di un macchinario che ne utilizzi la forza

motrice, proprio alla luce della preminente importanza della componente di motorizzazione rispetto alle altre parti, di infimo valore, degli attrezzi agricoli (evidenziata dalle convenute), non può non avere familiarità con i motori a combustione interna di questo tipo ed essere, per ciò solo, atteso il settore tecnologico, particolarmente esperto ed avveduto e dunque in

grado di non lasciarsi confondere dalla sola somiglianza estetica dei prodotti ma di cogliere le differenze, anche con riguardo ai diversi marchi, tra i due motori.

Va dunque esclusa la sussistenza di un’imitazione servile confusoria, idonea ad integrare l’illecito concorrenziale di cui all’art.2598 n. 1 c.c..

Con riguardo poi alla concorrenza c.d. parassitaria, di cui all’art.2598 n. 2 c.c., pure invocata dalle due convenute, essa consiste nell'imitazione sistematica e durevole

dell'attività del concorrente, con l'adozione e lo sfruttamento di ogni sua iniziativa, studio e ricerca (C.C. 13423/2004, “la cosiddetta concorrenza parassitaria ricorre quando l'attività commerciale dell'imitatore si traduce in un cammino continuo e sistematico, essenziale e

costante, sulle orme altrui, giacché l'imitazione di tutto o quasi tutto ciò che fa il concorrente, ovvero l'adozione più o meno immediata di ogni sua nuova iniziativa, seppure non realizzino una confusione di attività e di prodotti, risultano tuttavia contrarie alle regole che presiedono all'ordinario svolgimento della concorrenza; vedasi anche C.C. 5852/1984;

C.C. 1043/1980) e ricorre, in effetti, quando un imprenditore “in forme pubblicitarie od equivalenti attribuisce ai propri prodotti od alla propria impresa pregi, quali ad esempio medaglie, riconoscimenti, qualità indicazioni, requisiti, virtù, da essi non posseduti, ma

appartenenti a prodotti od all’impresa di un concorrente, in modo da perturbare la scelta dei consumatori” (C.C. 9387/1994; C.C. 6928/1983), peraltro pur mantenendo ferma la

distinzione d’identità tra i diversi prodotti (a differenza di quanto si verifica nella condotta, confusoria, dell’imprenditore che, utilizzando segni distintivi altrui, viene a confondere la

propria attività con quella del concorrente, come descritto dall’art.2598 n.1 c.c., C.C. 1310/1986). Tale comportamento illecito di pubblicità sleale è caratterizzato da una

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tendenza parassitaria di agganciamento alla notorietà altrui e di approfittamento del lavoro e degli investimenti altrui, in quanto con esso il concorrente trae indirettamente vantaggio dalla pubblicità fatta da altri ed evita così di affrontare direttamente i costi e di attendere il tempo necessario ad acquisire autonomamente un analogo affidamento sul mercato e,

trattandosi di un illecito di pericolo, la comunicazione al pubblico del messaggio appropriativo non implica necessariamente un’ampia diffusione, potendo l’illecito

realizzarsi anche con comunicazioni limitate ad una cerchia ristretta di destinatari o addirittura ad un solo cliente.

La giurisprudenza della Suprema Corte (C.C. 5852/1984; C.C.. 9387/1994) ha precisato che: 1) la figura della c.d. concorrenza parassitaria consiste in un comportamento il quale

si realizza, di norma, in una pluralità di atti che, presi nel loro insieme costituiscono un illecito, in quanto rappresentano la continua e ripetuta imitazione delle iniziative del

concorrente e, quindi, lo sfruttamento sistematico del lavoro e della creatività altrui; 2) può considerarsi parassitaria anche un'attività che, in un unico momento, imiti "tutte" le

iniziative prese dal concorrente; 3) non è necessaria la ripetitività nel tempo di più atti imitativi, in quanto la sistematicità e continuità possono anche essere simultanee ed esprimersi nei caratteri "quantitativi" dell'imitazione, nel senso esattamente che “la

creatività, la quale è il valore fondamentale che con il riconoscimento della concorrenza parassitaria come forma di concorrenza sleale si è voluto esaltare e proteggere, è

parimenti vulnerata sia nel caso di una diluizione nel tempo di più atti ripetitivi, sia nella simultaneità di una loro manifestazione esteriore globale” (C.C.13243/2004, ove si è

anche osservato che “tuttavia la creatività è tutelata nel nostro ordinamento solo per un tempo determinato, fino a quando, cioè, può considerarsi originale … nel senso

esattamente che, quando l'originalità si sia esaurita, ovvero quando quel determinato modo di produrre e/o di commerciare sia divenuto patrimonio ormai comune di conoscenze e di esperienze di tutti quanti operano nel settore, essendosi così

ammortizzato, da parte del primitivo imprenditore, il capitale impiegato nello sforzo creativo, imitare quell' attività che, originale al suo nascere e nel suo formarsi, si è poi generalizzata e spersonalizzata, non costituisce più un atto contrario alla correttezza

professionale ed idoneo a danneggiare l'altrui azienda”, cosicché, in entrambe le forme della concorrenza parassitaria, sia in quella che si può chiamare "diacronica", in quanto si estrinseca in una pluralità di atti che si succedono nel tempo, diretti tutti ad una continua e

ripetuta imitazione delle iniziative del concorrente, sia nell'altra, che può invece definirsi "sincronica", dove lo sfruttamento sistematico del lavoro e della creatività altrui viene conseguito attraverso una pluralità di atti o un comportamento globale posti in essere

contemporaneamente, “l'imitazione può considerarsi illecita soltanto se effettuata a breve distanza di tempo da ogni singola iniziativa del concorrente (nella concorrenza parassitaria

diacronica) o dall'ultima e più significativa di esse (in quella sincronica), là dove per "breve" deve intendersi quell' arco di tempo per tutta la durata del quale l'ideatore della

nuova iniziativa ha ragione di attendersi utilità particolari (di incassi, di pubblicità, di avviamento) dal lancio della novità, ovvero fino a quando essa è considerata tale dal pubblico dei clienti e si impone, quindi, alla loro attenzione nella scelta del prodotto”).

Tali caratteristiche non si rinvengono nella condotta dell’attrice, limitata alla riproduzione, non confusoria, negli anni 2000, di alcune caratteristiche dell’aspetto esteriore dei motori

Honda GX, commercializzati in Italia dagli anni ottanta. Del tutto poi generiche sono le prospettazioni delle convenute Honda in ordine all’illecito

extracontrattuale, ex art.2043 c.c., posto in essere dalla Kama Europe (attesa la necessità di fornire in tale ipotesi anche prova dell’elemento soggettivo e del danno), e della

violazione dell’art.2598 n.3 c.c. (avanzata solo in conclusionale). Le domande riconvenzionali delle convenute vanno pertanto respinte ed, in accoglimento, della domanda attrice, va dichiarato che la produzione, commercializzazione, distribuzione

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e promozione in Italia dei motori serie Kama KB, destinati all’agricoltura ed al giardinaggio, non costituisce illecito concorrenziale ex art.2598 nn. 1 e 2 c.c. per

riproduzione pedissequa della forma dei motori Honda serie GX. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM Il Tribunale di Roma, Sezione Specializzata nella materia della Proprietà Industriale ed

Intellettuale, definitivamente pronunciando, sulle domande promosse, con atto di citazione notificato il 13/12/2004, dalla Kama Europe srl, in persona del legale rappresentante p.t., con sede in Vicenza, nei confronti delle società Honda Logistic Centre Italy spa, con sede in Colognola ai Colli (VR), ed Honda Industriale spa, con sede in Piazzano di Atessa (CH),

in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., nel contraddittorio delle parti e sulle domande riconvenzionali delle convenute, così provvede:

I) respinge le eccezioni di nullità dell’atto di citazione e di incompetenza, per materia e per territorio, del giudice adito, sollevate dalle convenute;

II) respinge le domande riconvenzionali delle convenute ed, in accoglimento, della domanda attrice, dichiara che la produzione, commercializzazione, distribuzione e

promozione, in Italia, dei motori serie Kama KB, destinati all’agricoltura ed al giardinaggio, non costituisce illecito concorrenziale, ex art.2598 nn. 1 e 2 c.c., per riproduzione

pedissequa della forma dei motori Honda serie GX; III) condanna le convenute, in solido, al rimborso delle spese processuali in favore

dell’attrice, liquidate in complessivi € 13.991,00, di cui € 8.900,00 per onorari, € 3.711,00 per diritti, € 1.380,00 per esborsi oltre rimborso forfettario spese generali, IVA e CAP

come per legge . Così deciso nella camera di consiglio del 12/7/2007, in Roma.

IL GIUDICE rel IL PRESIDENTE

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