«se io avessi previsto tutto questo…» riflessioni storico … · 2017-09-14 · karl engisch,...
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Editore Luca Santa Maria | Direttore Responsabile Francesco Viganò 2010-2013 Diritto Penale Contemporaneo
«SE IO AVESSI PREVISTO TUTTO QUESTO…»*
Riflessioni storico-dogmatiche sulle formule di Frank
di Gianluca Gentile
SOMMARIO: 1. La prima formula di Frank, da von Liszt alla ThyssenKrupp. – 2 Storia editoriale delle
formule di Frank. – 3. Formule di Frank e teoria del consenso: in particolare, il consenso ipotetico. – 4.
Formule di Frank e princìpi dell’imputazione dolosa. – 5. Profili probatori. – 6. Uno sguardo di sintesi.
1. La prima formula di Frank, da von Liszt alla ThyssenKrupp.
Nel 1890, Reinhard Frank pubblica un cospicuo saggio intitolato
«Rappresentazione e volontà nella dottrina moderna sul dolo» (Vorstellung und Wille in
der modernen Doluslehre), con il proposito di «offrire un contributo alla corretta
comprensione del dolo penale» e al «chiarimento delle questioni controverse»1. Due
anni prima, Franz von Liszt aveva gettato il proverbiale sasso nello stagno contestando
all’«opinione comune» che descriveva il dolo in termini di «coscienza e volontà degli
elementi del reato» (Wissen und Wollen der Deliktsmerkmale) di essere imprecisa
(ungenau), pericolosa (gefährlich) e scorretta (unrichtig)2: imprecisa, perché solo il
(*) Il materiale bibliografico necessario per la stesura di questo contributo è stato raccolto presso la
Ludwig-Maximilians-Universität di München e il Max-Planck Institut für ausländisches und
internationales Strafrecht di Freiburg im Breisgau. La mia più profonda riconoscenza per l’ospitalità
ricevuta va pertanto al prof. Klaus Volk, emerito di diritto penale presso la LMU, al direttore del MPI prof.
Ulrich Sieber e alla referente dell’istituto per l’Italia Frau Dr. Konstanze Jarvers. Ringrazio per i preziosi
consigli Flavio Argirò, Gaetano Carlizzi e Gabriel Pérez Barberá. 1 R. FRANK, Vorstellung und Wille in der modernen Doluslehre, in ZStW, 1890, 170. 2 In questi termini, F. VON LISZT, Lehrbuch des Deutschen Strafrechts3, Berlin-Leipzig, 1888, 165 nota 2. Va però
notato che una definizione di dolo incentrata sul profilo conoscitivo traspariva già nella 1a edizione del
manuale (dal titolo Das Deutsche Reichtstrafrecht, Berlin-Leipzig, 1881, 108), e più nettamente nella 2a (1884,
155). Nelle edizioni successive, la critica riferita nel testo subirà numerose modifiche. Nella 4a (1891, 175
nota 3) von Liszt si limita ad affermare che la «debolezza dell’opinione dominante sta nell’oscurità del suo
concetto di volontà», rinviando per il resto alle «convincenti argomentazioni» dell’articolo di Frank,
pubblicato l’anno prima. A partire dalla 5a (1892, 172 nota 2) fino alla 12-13a (1903, 171 nota 2), si sostiene
invece che «l’aspetto pericoloso» della Willenstheorie sta nella scarsa chiarezza del concetto di volontà e
nella conseguente confusione tra dolo e intenzione (Vorsatz und Absicht). Dalla 14-15a edizione (1905, 171
nota 3) abbiamo la versione ‘definitiva’ del pensiero di von Liszt, che resterà sostanzialmente invariata
fino all’ultima, curata da Eberhard Schmidt (Lehrbuch des Deutschen Strafrechts26, Berlin-Leipzig, 1932, 256-
257 nota 9): innanzitutto, la Willenstheorie farebbe violenza al linguaggio comune (eine Vergewaltigung des
Sprachgebrauch), non potendosi definire «voluto» anche l’evento «sgradito» (unangenehmen); poi, sarebbe
impossibile riferire la volontà a tutti gli elementi della fattispecie, dicendo, ad esempio, che il ladro ‘vuole’
2
movimento corporeo potrebbe essere voluto, e non l’evento3; pericolosa, perché
confonderebbe la volontà con lo scopo (Bezwechen); scorretta, perché l’oggetto del dolo
sarebbe costituito dall’evento, e non da tutti gli elementi del reato4.
Frank osservava che l’idea di incentrare il dolo sulla rappresentazione, invece
che sulla volontà, fosse tutt’altro che nuova; anzi, trovava «sorprendente» che gli
antecedenti teorici di tale concezione, etichettata «teoria della rappresentazione»
(Vorstellungstheorie) in contrapposizione all’antagonista «teoria della volontà»
(Willenstheorie)5, fossero passati inosservati6.
Da questa considerazione prende le mosse un approfondito excursus storico-
dogmatico, durante il quale si individuano i progenitori della Vorstellungstheorie7, si
sviluppa la tesi abbozzata da von Liszt sui rapporti tra azione e volontà8, e si conclude
che l’espressione «evento voluto» potrebbe forse servire a descrivere in modo
metaforico e semplificato la struttura del dolo9, ma non a comprenderne l’essenza10. Fin
qui, l’assunto dogmatico centrale dello studio di Frank è che può dirsi voluta solo la
condotta, e non l’evento: idea che, contrariamente a quanto poteva pensare nel 1930
Karl Engisch, non può dirsi «superata»11, mostrando ancora oggi una certa vitalità12.
che la cosa rubata sia altrui. Ma queste sono solo alcuni tra i tanti cambiamenti che le pagine sul dolo
hanno subito nel corso delle varie edizioni del Lehrbuch: per un quadro d’insieme, si rinvia a E. H.
ROSENFELD, Schuld und Vorsatz im v. Lisztschen Lehrbuch, in ZStW, 1911, 479 ss.; cfr. anche E. POMME, Die
“Vorstellungstheorie” und ihre Logik, Trenkel, Berlin, 1908, 3 ss., 20 ss., 30 ss., che però è meno rigoroso. 3 F. VON LISZT, Lehrbuch3, cit., 119 nota 5. La tesi era stata avanzata per la prima volta da E. I BEKKER, Theorie
des heutigen Deutschen Strafrechts, I-2, Leipzig, 1859, 243 ss., come riconoscerà lo stesso von Liszt a partire
dalla 4a edizione del Lehrbuch (1891, 175 nota 3) fino alla 12-13a (1904, 171, nota 2). Nelle edizioni successive
il nome di Bekker apre l’elenco dei «principali esponenti» della Vorstellungstheorie. 4 Per la spiegazione dogmatica dell’assunto, F. VON LISZT, Lehrbuch3, cit., 116-119. Tuttavia, dalla 4a edizione
(1891, 175) fino alla 11a (1902, 152) l’osservazione pare superata dall’idea che il dolo è «realizzazione
consapevole di tutti gli elementi del reato» (wissentliche Verwirklichen sämtlicher Deliktsmerkmale). 5 Si deve proprio a Frank l’invenzione di queste fortunate denominazioni: lo riconoscono, tra gli altri, G.
HEINZEL, Die Vorstellungstheorie, München, 1934, 12; A. LÖFFLER, Die Abgrenzung von Vorsatz und
Fahrlässigkeit, mit Berücksichtigung des deutschen und des österreichischen Vorentwurfes, in ÖZSt, 1911,158; R.
VON HIPPEL, Die Grenze von Vorsatz und Fahrlässigkeit. Eine dogmatische Studie, Leipzig, 1903, 52
(limitatamente all’espressione «Vorstellungstheorie»). 6 R. FRANK, Vorstellung, cit., 170. 7 R. FRANK, Vorstellung, cit., 173-194. Sul punto, cfr. le critiche di R. VON HIPPEL, Die Grenze, cit., 3-4. 8 R. FRANK, Vorstellung, cit., 200-208, con un’ampia citazione da E. I BEKKER, Theorie, cit., 252-253. 9 Secondo R. FRANK, Vorstellung, cit.,205, l’espressione «la morte è stata voluta» sarebbe la sintesi dei
seguenti passaggi: la morte è l’esito di processo fisiologico => determinato da un colpo di pugnale al cuore
=> vibrato da un braccio => mosso a seguito di un atto di volontà. 10 R. FRANK, Vorstellung, cit., 207-208. 11 Così, K. ENGISCH, Untersuchungen über Vorsatz und Fahrlässigkeit (1930), Aalen, 1995, 131. Cfr. anche A.
PECORARO-ALBANI, Il dolo, Napoli, 1955, 124. 12 Ad esempio, colloca la volontà nell’ambito del concetto di azione, W. FRISCH, Vorsatz und Risiko.
Grundfragen des tatbestandsmäßigen Verhaltens und des Vorsatzes. Zugleich ein Beitrag zur Behandlung
außertatbestandlicher Möglichkeitsvorstellungen, Köln, 1983, p, 255 ss. (in part. 265), 495-496. Da noi, cfr. la
nota posizione di M. GALLO, Appunti di diritto penale, II-2, L’elemento psicologico,Torino, 2001, 27 ss., 34 ss., 58
ss. Osserva G. PÉREZ BARBERÁ, El dolo eventual. Hacia el abandono de la idea de dolo como estado mental, Buenos
Aires, 2011, 188 nota 102, che «una buona parte della moderna teoria analitica dell’azione umana darebbe,
3
Deve però riconoscersi che Vorstellung und Wille deve la propria fama ad altro, e
cioè a quelle pagine dedicate all’individuazione dei confini del dolo. Premesso che
«senza dubbio» andrebbero imputate a titolo di dolo le conseguenze sicure della
propria condotta13, Frank affronta il tema delle conseguenze previste come possibili,
respingendo la soluzione estrema di riportare le ipotesi di dubbio sempre nell’alveo del
dolo14 o della colpa15. Nel primo caso (dubbio = dolo) sarebbe ingiustamente
privilegiata la disattenzione, facendo rispondere di incendio colposo chi, fumando a
letto, non sia stato sfiorato dal dubbio di poterlo realizzare, e di incendio doloso il
fumatore «talmente sfortunato» da aver previsto la possibile verificazione dell’evento16.
Nel secondo caso (dubbio = colpa), al contrario, sarebbe incomprensibilmente favorito
il delinquente dotato di maggiore istruzione (Bildungsgrad) ed esperienza, perché la
propensione a considerare ogni possibile contrattempo impedirebbe sempre la
rappresentazione dell’evento in termini di certezza17. Inoltre, tale schema non
consentirebbe di punire per omicidio volontario il bandito che, al fine di provare la
gittata del suo nuovo fucile, abbia sparato in direzione di un uomo, uccidendolo18:
eppure, per Frank il carattere doloso di tale condotta sarebbe incontestabile, anche se il
bandito non conosceva ancora la gittata del suo fucile, e quindi non era affatto sicuro di
colpire l’altro uomo19.
Ma perché il fumatore che ha previsto la possibilità di scatenare un incendio
andrebbe punito a titolo di colpa, mentre il bandito dovrebbe rispondere di omicidio
volontario? La differenza tra i due casi, spiega Frank, è evidente:
il bandito avrebbe sparato, anche se avesse saputo di cagionare la morte – il fumatore
avrebbe spento il sigaro se avesse saputo che una scintilla sarebbe caduta sul letto e
avrebbe mandato in fiamme la casa. La previsione di un evento in termini di possibilità
integra pertanto il concetto di dolo solo quando la previsione di tale evento in termini di
certezza non avrebbe trattenuto l’agente, né avrebbe assunto il significato di un contro-
in un certo senso, ragione a Bekker». Nella nostra dottrina, il tema è ripreso da M. RONCO, Descrizioni penali
d’azione, in Riv. it. dir. proc. pen., 2004, 476 ss. 13 R. FRANK, Vorstellung, cit., 209. Ironico R. VON HIPPEL, Die Grenze, cit., 54: «Senza dubbio – ma anche senza
motivazione». 14 Così, invece, L. H. VON ALMENDINGEN, Untersuchungen über das kulpose Verbrechen, Gießen, 1804, 16 ss.,
239 ss., in polemica con K. GROLMAN, Über die Begriffe von Dolus und Culpa, nebst einer Anwendung auf die
Frage: ob Unmündige dolose Verbrechen begehen können, in Bibliothek für die peinliche Rechtswissenschaft und
Gesetzkunde, 1797 (I-1), 6 ss., 25 ss., che invece aveva limitato i confini dell’imputazione dolosa ai casi di
previsione dell’evento lesivo in termini di certezza. 15 Era la tesi avanzata da H. LUDEN, Handbuch des teutschen gemeinen und particularen Strafrechtes, I ,Jena,
1847, 243 ss., 257 ss. 16 R. FRANK, Vorstellung, cit., 210. Frank riprende l’esempio del fumatore da E. HENKE, Handbuch des
Criminalrechts und der Criminalpolitik, I, Berlin und Stettin, 1823, 359, che a sua volta l’aveva impiegato per
criticare la tesi di von Almendingen. 17 R. FRANK, Vorstellung, cit., 209, e qui il curioso esempio del professore di filosofia che, nell’estrarre il
pugnale, si chiede se la sua vittima è protetta da una cotta di maglia (Panzerhemd) oppure soffre di
destrocardia, e quindi potrebbe sopravvivere all’aggressione! 18 L’esempio è tratto da A. F. BERNER, Grundlinien der criminalistischen Imputationslehre, Berlin, 1843, 187. 19 R. FRANK, Vorstellung, cit., 210.
4
motivo decisivo. Qualora sia possibile stabilire in anticipo con certezza che cosa accadrà
nel futuro, il dolo sussiste quando si sarebbe agito nonostante questa consapevolezza
dell’evento. Quando questa consapevolezza avrebbe distolto dall’azione, il dolo invece
non sussiste20.
Questo criterio, conosciuto con il nome di (prima) formula di Frank21, sembra
apparentemente godere di una rinnovata fortuna nella giurisprudenza italiana più
recente22.
Si consideri ad esempio la sentenza di primo grado sulla vicenda di quel
poliziotto che, per impedire la fuga di alcuni corrissanti, aveva sparato da una lunga
distanza verso la loro automobile, uccidendo uno dei passeggeri [caso Spaccarotella].
Tra i vari argomenti volti a escludere gli estremi del dolo eventuale, la Corte d’assise di
Arezzo ha osservato che la finalità perseguita dall’agente era quella «di contrasto del
crimine e di tutela dell’ordine pubblico», sicché sarebbe stato «veramente arduo
ipotizzare che un risultato del genere il poliziotto in servizio Spaccarotella volesse
perseguirlo con pervicacia e accanimento tali da fargli accettare il rischio che la
condotta a tal fine funzionale potesse cagionare addirittura la morte di taluno degli
occupanti dell’auto»; e ancora, «la morte di taluno dei passeggeri si poneva
palesemente come danno collaterale del tutto eccentrico e alla fin fine in palese
contraddizione rispetto al risultato che col proprio agire» il poliziotto «si riproponeva
di ottenere, quello cioè di far sì che i giovani si fermassero per assicurarli alla
giustizia»23.
In termini più espliciti, le Sezioni unite hanno impiegato la prima formula di
Frank per risolvere la dibattuta questione della compatibilità tra dolo eventuale e
20 R. FRANK, Vorstellung, cit., 211. 21 Il primo parlare di ‘formula’ è stato R. VON HIPPEL, Die Grenze, cit., 55 ss. La ‘numerazione’ (per le ragioni
che si illustreranno nel § 2) si deve invece a H. GROSSMANN, Die Grenze von Vorsatz und Fahrlässigkeit. Eine
neue Beitrag zu einer alten Frage, Hamburg, 1924, 59 ss. Per inciso, anche in tema di tentativo Frank fu
«artefice di non poche formule definitorie di lungo successo» (così S. SEMINARA, Il delitto tentato, Giuffrè,
Milano, 2012, 761 e nota 142). Si pensi alla distinzione tra atti preparatori e atti esecutivi (questi ultimi tali
che «in virtù della loro necessaria affinità con la condotta tipica, in una visione naturalistica appaiono
come parti di essa») e tra recesso volontario («l’agente si dice: non voglio raggiungere il mio obiettivo ma
potrei farlo») e involontario («io non posso raggiungere il mio obiettivo, anche se vorrei farlo»): cfr. R.
FRANK, Das Strafgesetzbuch für das Deutsche Reich nebst dem Einführungsgesetz18, Tübingen, 1931,
rispettivamente 87 e 97. 22 Così, F. VIGANÒ, Il dolo eventuale nella giurisprudenza più recente, in Il libro dell’anno del diritto 2013 (in
www.treccani.it), § 3.4; parla invece di «riesumazione», G. FIANDACA, Sul dolo eventuale nella giurisprudenza
più recente, tra approccio oggettivizzante-probatorio e messaggio generalpreventivo, in Dir. pen. cont.-Riv. trim., n.
1/2012, 154, anticipando così il suo giudizio critico sulla formula. 23 Ass. Arezzo, 14 luglio 2009 (dep. 7 settembre 2009) n. 1, Spaccarotella, in questa Rivista, 14 luglio 2009,
rispettivamente 126 e 130, e in sintesi in Corr. mer., 2009, 1239 ss., con nota di L. BEDUSCHI, Omicidio del tifoso
laziale in autogrill: dolo eventuale o colpa con previsione? Il verdetto è stato riformato nel senso dell’omicidio
volontario da Ass. app. Firenze, 1° dicembre 2010 (dep. 28 febbraio 2011) n. 24, in questa Rivista, 21 ottobre
2011, e in sintesi in Corr. mer., 2012, 394 ss., con nota di A. CILIBERTO, Omicidio del tifoso laziale in autogrill: per
la corte d’appello è dolo eventuale, con sentenza confermata da Cass., Sez. I, 14 febbraio 2012 (dep. 1° agosto
2012), n. 31449.
5
ricettazione [caso Nocera]24. A tal riguardo, la prassi era divisa in due orientamenti che
per certi versi ricordavano le tesi estreme criticate da Frank, perché alcuni riportavano
il dubbio sulla provenienza delittuosa sempre al paradigma della ricettazione, altri
sempre a quello dell’incauto acquisto. Invece, le Sezioni unite hanno distinto tra mero
sospetto, compatibile con l’incauto acquisto, e dubbio qualificato, suscettibile di
integrare l’elemento psicologico della ricettazione nella forma del dolo eventuale
«quando l’agente, rappresentandosi l’eventualità della provenienza delittuosa della
cosa, non avrebbe agito diversamente anche se di tale provenienza avesse avuta la
certezza»25.
Successivamente, un’altra sentenza della Cassazione – stavolta relativa a un
incidente automobilistico letale cagionato da uno spericolato guidatore che, per
sfuggire alla polizia, aveva attraversato la città a più di 100 km/h senza rispettare i
semafori [c.d. caso Ignatiuc] – ha affermato che nel dolo eventuale la realizzazione del
fatto dev’essere stata accettata psicologicamente dal soggetto, «nel senso che egli
avrebbe agito anche se avesse avuto la certezza del verificarsi del fatto», mentre «nella
colpa con previsione la rappresentazione come certa del determinarsi del fatto avrebbe
trattenuto l’agente».26 In quest’occasione, però, il richiamo alla prima formula di Frank
appare sostanzialmente retorico27, perché la Corte affida la distinzione tra dolo
eventuale e colpa con previsione a un altro criterio, e cioè quello dell’accettazione del
rischio nella sua versione ‘comparativa’28.
La sentenza Ignatiuc è stata scelta quale modello concettuale di riferimento
dalla Corte d’assise di Torino nella nota sentenza che per la prima volta ha configurato
una responsabilità dolosa del datore di lavoro per un incidente letale determinato dalla
violazione delle cautele doverose a tutela dei lavoratori [caso ThyssenKrupp]29.
24 Cass., Sez. Un., 26 novembre 2009 (dep. 30 marzo 2010), Nocera, in Cass. pen., 2010, 2548, con nota di M.
DONINI, Dolo eventuale e formula di Frank nella ricettazione. Le Sezioni unite riscoprono l’elemento psicologico.
Cfr. anche G. DEMURO, Il dolo eventuale: alla prova del delitto di ricettazione, in Riv. it. dir. proc. pen., 2011, 308
ss. In precedenza la prima formula di Frank era stata menzionata in Cass., Sez. I, 5 luglio 1976, Salvalajo, in
Cass. pen., 1977, 831 ss., relativa a un caso di omicidio. 25 Cass., Sez. Un., 26 novembre 2009, cit., 2554. Evidente l’influsso di A. PAGLIARO, Principi di diritto penale,
s., III, Delitti contro il patrimonio, Milano, 2003, 490-491. 26 Cass., Sez. I, 1° febbraio 2011 n. 10411, Ignatiuc, in questa Rivista, 21 maggio 2011, con nota di A. AIMI,
Fuga dalla polizia e successivo incidente stradale con esito letale: la Cassazione ritorna sulla distinzione tra dolo
eventuale e colpa cosciente; cfr. anche F. DI FRESCO, Incidente mortale causato da una condotta di guida
sconsiderata: dolo eventuale o colpa cosciente? La Cassazione «rispolvera» la prima formula di Frank, in Foro it.,
2011, II, 533 ss.; PISA, Incidenti stradali e dolo eventuale: l’evoluzione della giurisprudenza, in Dir. pen. proc.,
numero speciale, Dolo e colpa negli incidenti stradali, 2011, 16 ss. 27 G. FIANDACA, Sul dolo eventuale, cit., 158. Analogo richiamo retorico, senza che ciò influisca sulla
motivazione, in Cass., Sez. V, 27 ottobre 2011 (dep. 26 gennaio 2012) n. 3222, Guzinska, in questa Rivista, 18
maggio 2012, con nota di P. PIRAS, il dolo eventuale si estende all’attività medica. 28 A tal riguardo, la Cassazione fa propria la tesi di S. PROSDOCIMI, Dolus eventualis. Il dolo eventuale nella
struttura delle fattispecie penali, Milano, 1993, 32 ss., secondo la quale si ha dolo eventuale quando «il rischio
viene accettato a seguito di un’opzione, di una deliberazione con la quale l’agente consapevolmente
subordina un determinato bene ad un altro». 29 Ass. Torino, 15 aprile 2011 (dep. 14 novembre 2011), Espenhahn e altri, in questa Rivista, 18 novembre
2011, con nota di S. ZIRULIA, ThyssenKrupp, fu omicidio volontario: le motivazioni della Corte d’Assise. La
6
Beninteso, il Giudice torinese ha abbandonato «il pericoloso (dal punto di vista
della possibile condanna per dolo) richiamo alla prima formula di Frank»30: la
condanna dell’amministratore delegato della ThyssenKrupp per omicidio volontario
nella forma del dolo eventuale è stata invece argomentata sulla scorta dell’altro
paradigma concettuale illustrato dalla sentenza Ignatiuc, nel senso che le
macroscopiche violazioni della normativa antinfortunistica sarebbero state il frutto di
un cinico giudizio di prevalenza degli interessi economici aziendali sulla vita dei
lavoratori.
La sentenza è stata recentemente riformata in appello, dove si è optato per la
tesi dell’omicidio colposo aggravato dalla previsione dell’evento proprio sulla scorta
della prima formula di Frank. Riprendendo la strada indicata dalla sentenza Nocera, il
Giudice di secondo grado ha osservato che un incidente di vaste proporzioni, come
quello avvenuto nello stabilimento della Thyssen, non solo mette a repentaglio la vita
delle persone che vi lavorano, ma cagiona all’azienda un danno economico
plausibilmente superiore ai risparmi di spesa ottenuti rinviando l’adeguamento dei
presìdi di sicurezza. Di conseguenza, sarebbe impensabile per «un imprenditore
esperto, abituato a ponderare le proprie decisioni nel tempo» agire «in maniera tanto
irrazionale» da accettare la possibile verificazione di un evento che «non solo non
avrebbe fatto prevalere l’obiettivo perseguito ma avrebbe provocato un danno di tali
dimensioni da annullarlo e soverchiarlo totalmente». Da qui l’assunto che, mentre nel
caso del rapinatore che spara alla guardia giurata pur di spianarsi la via di fuga
l’interesse perseguito [la fuga] e il danno previsto [l’uccisione della guardia] «non sono
fra di loro confliggenti», nella vicenda Thyssen «la verificazione dell’evento
[l’incidente] diventa la negazione dell’obiettivo perseguito» [gli interessi economici
aziendali]: sarebbe «proprio questo tipo di comparazione fra obiettivo perseguito […]
ed eventi dannosi (previsti e non sperati) a risolvere […] in maniera nettamente
negativa la verifica ipotetica» richiesta dalla formula di Frank, e a far escludere la
sussistenza del dolo eventuale31.
In attesa che la Corte di Cassazione si pronunci sulla correttezza logico-
argomentativa di questa sentenza, verificandone la compatibilità con gli orientamenti
di legittimità in materia di dolo eventuale e colpa con previsione, vale la pena di
ritornare a riflettere sul fondamento sostanziale e sul rendimento processuale della
bibliografia su questa importante (e controversa) sentenza è già molto nutrita: da ultimo, D. PIVA, “Tesi” e
“antitesi” sul dolo eventuale nel caso Thyssenkrupp, in Dir. pen. cont.-Riv. trim., n. 2/2013, 204 ss., e qui i
necessari rinvii. 30 Così, G. DEMURO, Sulla flessibilità concettuale del dolo eventuale, in Dir. pen. cont.-Riv. trim., n. 1/2012, 149.
Cfr. anche D. PIVA, “Tesi”, cit., 211. 31 Ass. app. Torino, 28 febbraio 2013 (dep. 23 maggio 2013), Espenhahn e altri, in questa Rivista, 3 giugno
2013, 304-305, con nota di S. ZIRULIA, ThyssenKrupp: confermate in appello le condanne, ma il dolo eventuale non
regge, nonché in sintesi in Dir. pen. proc., 2013, 926, con nota di M. N. MASULLO, Infortuni (mortali) sul lavoro e
responsabilità penale del datore di lavoro: ripristinato il primato del modello colposo? Per un primo commento, R.
BARTOLI, Ancora sulla problematica distinzione tra dolo eventuale e colpa cosciente nel caso Thyssenkrupp, in questa
Rivista, 17 giugno 2013; G. DI BIASE, Thyssenkrupp: verso la resa dei conti tra due opposte concezioni di dolo
eventuale?, in questa Rivista, 7 ottobre 2013.
7
prima formula di Frank, tenendo conto di un dibattito che, iniziato più di un secolo fa,
non accenna a scemare.
2. Storia editoriale delle formule di Frank.
L’idea alla base della prima formula di Frank era già stata espressa circa
cinquanta anni prima da Moritz Breidenbach32 nel commentare l’art. 60 del Codice
penale del Granducato di Hessen (1841), che così recitava: «Se l’intenzione dell’agente
non era diretta esclusivamente a un determinato evento, ma in maniera indeterminata
verso l’uno o l’altro di più eventi possibili, allora gli è imputato a titolo di dolo quello
che si è effettivamente realizzato»33.
Breidenbach, che apprezzava molto la bipartizione in dolus determinatus seu
specialis e dolus indeterminatus34, interpretava tale disposizione in questo modo:
solo ciò che l’uomo vuole può essergli imputato a titolo di dolo, però non si deve credere
che questo riguardi solo i casi in cui qualcuno vuole un evento ben determinato, anche se
ciò sarà comunque la regola; la legge pone sullo stesso piano i casi in cui la condotta
potrebbe portare a diversi risultati e l’agente li ha come sempre voluti tutti, o anche solo
alcuni. Dunque, per imputare a titolo di dolo tra i possibili eventi quello realizzato, è
necessario: a) che l’agente abbia previsto la possibilità di questa realizzazione. Ma ciò
non basta, perché lo stesso si riscontra anche nel caso della colpa cosciente; l’evento
realizzato deve: b) corrispondere all’intenzione (Absicht) che l’agente nutriva al momento
in cui intraprendeva l’azione. In alcuni casi, seppure non sempre, una prova sicura della
sussistenza del dolo eventuale anziché della colpa cosciente si ricava da ciò, che
idealmente si spazza via ogni alternativa o eventualità e si pensa che un potere
soprannaturale avrebbe predetto all’agente, nel momento in cui compiva l’azione in
32 Lo riconosce lo stesso R. FRANK, Vorstellung, cit., 210, e qui un’ampia citazione da M. W. A. BREIDENBACH,
Commentar über das Großherzoglich hessische Strafgesetzbuch, I-2, Darmstadt, 1844, 56 – 57. Ma i precedenti
storici della prima formula di Frank sono ancora più risalenti, come ricordato da F. EXNER, Das Wesen der
Fahrässigkeit. Eine strafrechtliche Untersuchung, Leipzig-Wien, 1910, 126-127. Notevole il seguente passo di
A. F. BERNER, Grundlinien, cit., 248, di un anno precedente al commento di Breidenbach: solo chi «agisce
con dolo eventuale acconsente comunque all’evento lesivo, mentre chi agisce con colpa cosciente non
acconsente affatto. Il primo forse agirebbe anche se dovesse prevedere la tragica conseguenza; il secondo si
asterrebbe dall’agire senza pensarci un attimo». Anche l’esempio proposto da Berner ricorda molto quelli
di Frank: un «servo pigro» sale sul granaio con un lume, conscio del pericolo di incendio, ma allo stesso
tempo agendo nella convinzione di aver adottato le cautele opportune e di saper controllare le fiamme;
ebbene, se quel servo «avesse avuto la certezza che il granaio sarebbe andato in fiamme, sicuramente non
sarebbe salito con il lume». La somiglianza tra l’argomento di Breidenbach e quello di Berner non era
sfuggita a T. GEZLER, Ueber den Begriff und die Arten des Dolus, Tübingen, 1860, 145 nota 2. 33 M. W. A. BREIDENBACH, Commentar, cit., 55. In originale, «War die Absicht des Handelnden nicht
ausschliesslich auf einen bestimmten Erfolg gerichtet, sondern unbestimmt auf einen oder den anderen von mehreren
möglichen Erfolgen, so wird ihm derjenige davon zugerechnet, der wirchlich eingetreten ist». Per un sintetico
commento alla disciplina sul dolo nell‘hessische Strafgesetzbuch, cfr. R. VON HIPPEL, Vorsatz, Fahrlässigkeit,
Irrtum, in Vergleichende Darstellungen des Deutschen und Ausländischen Strafrechts, Allgemeiner Teil, III, Berlin,
1908, 468- 470. 34 Preferendola alla tripartizione del dolo in dolus determinatus, dolus indeterminatus seu generalis e dolus
eventualis proposta da C. G. WÄCHTER, Lehrbuch des Römisch-Teutschen Strafrechts, I, Stuttgard, 1825, 125 ss.
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questione, quale evento si sarebbe effettivamente avuto. Quando ci si domanda, sulla
base delle circostanze accertate, che cosa avrebbe fatto l’agente in un simile caso, e si può
dare la risposta che l’agente non si sarebbe astenuto dall’agire, allora l’evento realizzato
è da imputarsi a titolo di dolo35.
Il passo di Breidenbach aveva attirato le critiche di Ludwig von Bar36, secondo il
quale sarebbe stato impossibile accertare ex post come si sarebbe comportato l’agente
nel caso di sicura previsione dell’evento; poi, anche la previsione di un evento lesivo in
termini di certezza non sarebbe stata di per sé indice di volontà: chi mangia una spezia
difficilmente digeribile conoscendo l’inevitabilità dei disturbi, ma allo stesso tempo
credendo di farla franca, non ‘vorrebbe’ star male37.
Quest’ultimo l’argomento di von Bar è meno ingenuo di quanto possa
sembrare38, se si considera che il dibattito sul valore da attribuire a una ‘presa di
distanze’ di natura emotiva da un evento previsto in termini di sostanziale certezza è
tuttora aperto39. Tuttavia, basti per ora notare che l’obiezione si basa su una nozione
35 M. W. A. BREIDENBACH, Commentar, cit., 57-58. 36 L. VON BAR, Die Lehre vom Causalzusammenhange im Rechte, besonders im Strafrechte, Leipzig, 1871, 34-35
nota 5. 37 L’assunto pare superato in L. VON BAR, Dolus eventualis?, in ZStW, 1898, 550, dall’affermazione che «il
dolo diretto o determinato sussiste sebbene l’evento in questione non piaccia all’agente»; l’A. insiste invece
sull’idea che il dolo sarebbe escluso dalla speranza (dovuta a «scarsa intelligenza o a un’assurda
sconsideratezza») che l’evento non si verificherà, a prescindere da quanto elevata possa essere la sua
probabilità oggettiva (L. VON BAR, Dolus eventualis?, cit., 539; L. VON BAR, Gesetz und Schuld im Strafrecht.
Fragen des geltendes deutschen Strafrechts und seiner Reform, II, Die Schuld nach dem Strafgesetze, Berlin, 1907,
315-316). Anche la nostra dottrina più risalente dubitò che le conseguenze sgradite rientrassero nella
nozione di volontà (cfr. ad esempio M. FINZI, «Previsione senza volizione» nel diritto penale, in Scuola pos.,
1922, I, 166; R. A. FROSALI, L’errore nella teoria del diritto penale, Roma, 1933, 359 ss.), ma nel dibattito
successivo sarebbe prevalsa l’idea «che i risultati previsti come certi devono ritenersi volontari, anche
quando l’agente non li ha avuti di mira» (così, G. DELITALA, Dolo eventuale e colpa cosciente, in ID., Diritto
penale. Raccolta degli scritti, I, Milano, 1976, 446; per un’ampia disamina critica degli orientamenti che
collegavano il dolo alle nozioni di interesse e di desiderio, si rinvia a A. PECORARO-ALBANI, Il dolo, cit., 137-
149). 38 Un esempio analogo a quello di von Bar (chi si ubriaca sa bene che il giorno dopo si sveglierà con il mal
di testa, ma non lo ‘vuole’) è stato formulato di recente da R. MERKEL, Früheutanasie. Rechtsethische und
Strafrechtliche Grundladen ärztlicher Entscheidungen über Leben und Tod in der neonatal Medizin, Baden-Baden,
2001, 177, nel discutere la c.d. teoria del doppio effetto (Doppelwirkungslehre). 39 Infatti, alcuni escludono la necessità di un’adesione interiore all’evento previsto come certo (cfr. ad
esempio, G. JAKOBS, Strafrecht A.T. Die Grundlagen und die Zurechnungslehre, Berlin-New York, 1993, 269),
sicché chi ha sparato a una persona conoscendo le conseguenze letali del suo gesto non potrebbe negare di
aver ‘voluto’ l’evento-morte, perché si tratterebbe di un venire contra factum proprium, ossia di un
atteggiamento contraddittorio: così, J. HRUSCHKA, Über Schwierigkeiten mit dem Beweis des Vorsatzes, in K. H.
GÖSSEL, H. KAUFFMANN (Hrgs.), Strafverfahren im Rechtsstaat. Festschrift für Theodor Kleinknecht, München,
1985, 192. A questa posizione si è obiettato che il comportamento umano non è sempre razionale e
coerente, e che quindi non sempre prevedere un evento come certo significa volerlo (A. GRÜNEWALD, Die
vorsätzliche Tötungsdelikt, Tübingen, 2010, 156). Analogamente, si è sostenuto che sarebbe possibile
escludere il dolo nel caso di chi è «convinto, anche nel modo più alogico e colpevole (ad esempio per
superstizione), di non cagionare l’evento certamente legato alla sua condotta» (così L. EUSEBI, Il dolo come
volontà, Morcelliana, 1993, 53; riconosce che peculiari stati emozionali possano incidere sulla
rappresentazione dei fatti anche D. PULITANÒ, Diritto penale, Giappichelli, Torino, 2011, 316).
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sostanziale di dolo differente da quella sostenuta da Frank40, al quale è agevole
replicare che nella sua concezione non si parla di ‘volontà’ dell’evento41. D’altro canto,
von Bar era un fiero oppositore della categoria del dolo eventuale42, e quindi non
stupisce che, diversamente da Frank, ravvisasse la colpa nel caso, simile a quello del
bandito, di chi, per fare un esperimento pericoloso, intenda colpire il cappello di una
persona, e invece la uccida43; nel contempo, Frank non aveva dubbi nel considerare
dolosa la condotta del sifilitico che, pur consapevole della possibilità di contagiare il
partner, non si astiene dall’avere rapporti sessuali: ipotesi che invece secondo von Bar
sarebbe stata ancora una volta colposa44.
Per quanto attiene invece alla questione processuale sollevata da von Bar,
relativa ai profili probatori della tesi di Breidenbach, la replica di Frank appare elusiva,
perché da un lato egli riconosce la maggiore problematicità della prova relativa ai
processi psichici, dall’altro afferma che negli «accertamenti che ricadono nel campo
psicologico è necessario mettersi nell’animo dell’autore», e che l’esperienza del giudice
dovrebbe limitare quel «certo grado di arbitrio» inevitabilmente presente nei casi più
difficili45.
Questi chiarimenti ‘preventivi’ non sottrassero però la formula di Frank
dall’immediata obiezione che ai fini del dolo conterebbe il reale stato psicologico
dell’agente al momento del fatto – e cioè il non aver previsto l’evento in termini di
certezza –, e non una previsione che non c’è stata e non ci sarebbe potuta essere46. Non
sappiamo quanto la critica abbia influenzato Frank nel momento in cui – era il 1897 –
riprendeva il tema del dolo eventuale nella prima edizione del suo fortunato
commentario al codice penale tedesco47. Fatto sta che Frank conferma che lo stato di
dubbio non è adeguato a integrare il dolo, mostra apprezzamento per la
giurisprudenza del Reichtsgericht orientata in senso conforme48, e commenta:
40 Sul punto si ritornerà alla fine del § 4. 41 R. FRANK, Vorstellung, cit., 212 ss. 42 A partire da L. VON BAR, Die Lehre, cit., 35 ss. e poi nei suoi scritti successivi. 43 L. VON BAR, Die Lehre, cit., 35. Nella nostra dottrina, esempio e soluzione analoghi da parte di un altro
storico avversario del dolo eventuale, ossia A. DE MARSICO, Coscienza e volontà nella nozione di dolo, Napoli,
1930, 152-153. 44 R. FRANK, Vorstellung, cit., 221 (che però in questo caso non polemizza con von Bar); L. VON BAR, Die
Lehre, cit., 36 in nota, osservando che l’agente non ha interesse a provocare l’evento lesivo. 45 R. FRANK, Vorstellung, cit., 212. 46 Così, M. VON BURI, Vorstellung und Wille, in Gerichtssaal, 1890, 244; J. WEISSMANN, Der Thatbestand der
Urkundenfälschung, in ZStW, 1891, 83 nota 189; J. C. W. THYREN, Abhandlungen aus dem Strafrechte und der
Rechtsphilosophie, II, Über Dolus und Culpa, Lund, 1895, 88 e 145. 47 Ipotizza tale influsso, K. ENGISCH, Untersuchungen, cit., 98; cfr. anche J. BELEZA DOS SANTOS, Crimes de
mueda falsa, in Rev. Leg. Jur., 9 giugno 1934, 33 nota 1; L. JIMÉNEZ DE ASÚA, Tratado de derecho penal, V, La
culpabilidad, Buenos Aires, 1963,611; R. RAGUÉS I VALLÈS, El dolo y su prueba en el proceso penal, Barcelona,
1999, 63. L’assunto manca però di referenti testuali, perché in R. FRANK, Das Strafgesetzbuch für das Deutsche
Reich nebst dem Einführungsgesetz1, Leipzig, 1897, 90, non si affronta il tema del carattere fittizio della
formula, e lo scritto di J. C. W. THYREN, Abhandlungen, cit., 145 ss., sarà citato solamente a partire da R.
FRANK, Das Strafgesetzbuch für das Deutsche Reich nebst dem Einführungsgesetz5-7, Tübingen, 1908, 132. 48 Frank si riferisce a RGST 21, 420, che aveva preso le distanze dal precedente orientamento del
Reichtsgericht (già commentato in R. FRANK, Vorstellung, cit., 226) secondo il quale «un semplice dubbio»
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Infatti, il dolo eventuale si presenta come quel peculiare rapporto psichico, sussistendo il
quale l’agente si dice: le cose possono stare così o altrimenti, andare così o altrimenti, in
ogni caso io agisco49.
Tale affermazione, che è conosciuta come seconda formula di Frank50, rimarrà
invariata in tutte le successive edizioni del commentario. Al contrario, Frank tornerà
più volte sul rapporto tra le due formule, e soprattutto sul ruolo da attribuire alla
prima, a volte accostandola alla seconda, a volte conferendole la funzione di strumento
probatorio51. Sulla scia di tali tentennamenti, la dottrina ha proposto le interpretazioni
più svariate della seconda formula di Frank, da alcuni ritenuta un miglioramento della
prima52, da altri un peggioramento53, da altri ancora qualcosa di completamente
diverso54.
Nella prima edizione del commentario, le due formule sono intervallate da una
frase che sarà presente fino alla 5/7a edizione55 (e non assurgerà al rango di ‘terza
formula di Frank’…):
Se invece l’agente si dice: se sapessi che così dovrebbe essere o andare, mi asterrei
dall’agire – allora il dolo eventuale non sussiste, e si può parlare al massimo di colpa56.
La prima formula è impiegata subito dopo per descrivere la «stessa idea»
sottesa alla citata giurisprudenza del Reichtsgericht:
la rappresentazione che potrebbe sussistere una circostanza di fatto o realizzarsi un
evento è sufficiente per il dolo quando si sarebbe agito anche nel caso di sicura
conoscenza della circostanza o di sicura previsione dell’evento – invece non basta,
quando una rappresentazione sicura o una previsione sicura avrebbero distolto il
soggetto dall’agire.
(ein bloße Zweifel) sull’età della vittima era sufficiente ad imputare a titolo di dolo il reato di atti sessuali
con minorenne. 49 In originale, «In der That erscheint der dol. event. als die eigentümliche psychische Beziehung, bei der sich der
Thäter sagt: mag es so oder anders sein, so oder anders werden, auf jedem Fall handle ich»: R. FRANK, Das
Strafgesetzbuch1, cit., 90; sostanzialmente, R. FRANK, Das Strafgesetzbuch18, cit., 190. 50 Così chiamata, come già detto, da H. GROSSMANN, Die Grenze, cit., 61. 51 Sul punto, H. GROSSMANN, Die Grenze, cit., 60-61; K. ENGISCH, Untersuchungen, cit., 98-100; L. JIMÉNEZ DE
ASÚA, Tratado, cit., 611-612, che però presenta diverse imprecisioni. 52 E. KOHLRAUSCH, Die Schuld (Vorsatz, Fahrlässigkeit, Rechtsirrtum, Erfolgshaftung) in F. ASCHROTT, F. VON
LISZT, (Hrsg), Die Reform des Reichsstrafgesetzbuchs, Band I: Allgemeiner Teil, Berlin, 1910, 201 nota 1. Ad
esempio, accolgono la seconda formula di Frank, criticando invece la prima, A. PECORARO-ALBANI, Il dolo,
cit., 337 s.; O. TRIFFTERER, Österreichisches Strafrecht, A.T., Wien-New York, 1994, 169; H.H-. JESCHECK, T.
WEIGEND, Lehrbuch des Strafrechts, A.T., Berlin, 1996, 301. 53 R. VON HIPPEL, Die Grenze, cit., 56-57 nota 1. 54 H. GROSSMANN, Die Grenze, cit., 70-71 e 74; K. ENGISCH, Untersuchungen, cit., 100. 55 La circostanza è notata da H. GROSSMANN, Die Grenze, cit., 61 nota 1. 56 In originale, «Sagt sich dagegen der Thäter: wüßte ich, dass es so sein oder so kommen sollte, so unterließe ich
meine Handlung – so liegt dol. event. nicht und kann höchstens noch von Fahrlässigkeit die Rede sein» (R. FRANK,
Das Strafgesetzbuch1, cit., 90; 2a edizione, 1901, 99; 3/4a edizione, 1903, 104; 5/7a, edizione, 1907, 132).
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Infine, Frank accenna ancora una volta alle «grosse difficoltà» connesse
all’accertamento di «questo particolare stato d’animo», ma ciò non consentirebbe di
rinunciare al concetto di dolo eventuale57.
Fino a questo momento, Frank sembra utilizzare le sue formule (anche la
‘terza’…) come varianti di un medesimo concetto, e cioè che il dolo eventuale è un
«rapporto psichico» che corrisponde a qualcosa in più del mero dubbio, e più
precisamente allo stato d’animo di chi agirebbe anche se fosse sicuro di provocare un
evento lesivo. La natura ipotetica di questo giudizio non sembra costituire un
problema per Frank, che invece è più interessato a difendere la sua tesi sul piano
processuale (anche se, deve ammettersi, senza diffondersi in dettagli).
Le cose cambiano nel 1901. Lo spunto è offerto da alcune considerazioni critiche
di von Bar, secondo il quale la prima formula di Frank avrebbe indotto il giudice a
decidere sulla base delle proprie simpatie personali, e non degli elementi di fatto
effettivamente percepiti dall’agente: da questo punto di vista, la vera ragione per
distinguere il caso del bandito da quello del fumatore distratto è che il primo sarebbe
una «cattiva persona», a differenza del fumatore distratto; ma in questo modo si
utilizzerebbe un parametro del tutto arbitrario, e «nei processi politici» il
«socialdemocratico» potrebbe essere assolto o condannato a seconda delle simpatie
partitiche del giudice58.
Nel replicare, Frank definisce la prima formula uno «strumento essenziale» (ein
wesentliches Hilfsmittel) per superare le «grosse difficoltà» legate all’accertamento di
quel «particolare stato d’animo» descritto dalla seconda formula (e in questa edizione,
anche dalla ‘terza’), con l’essenziale precisazione che non conterebbe la personalità
dell’imputato, ma solo il ‘peso’ da egli assegnato al suo scopo concreto:
la questione può essere risolta nel senso del dolo eventuale solo quando elementi precisi
mostrano che per l’agente raggiungere il proprio scopo era preferibile all’evitare una
condotta punibile (obiettivamente valutata). Dalla formulazione data deriva
specialmente tale principio: l’agente è sempre in dolo quando l’evento è ambìto (erstrebt),
a prescindere dal fatto che egli ne abbia previsto la realizzazione in termini di certezza o
di possibilità59.
57 R. FRANK, Das Strafgesetzbuch1, cit., 90, dove si riprende l’idea, espressa in R. FRANK, Vorstellung, cit., 209,
che nel caso contrario si favorirebbe chi, per esperienza o grado culturale, non è pienamente sicuro della
realizzazione dell’evento. 58 L. VON BAR, Dolus eventualis, cit., 550 e nota 18. 59 R. FRANK, Das Strafgesetzbuch für das Deutsche Reich2, Leipzig, 1901, 99-100. La precisazione che la prima
formula non dovrebbe basarsi sulla personalità del reo sarà ripresa nella 3/4a edizione (1903, 104), ma non
nella 5/7a (Tübingen, 1908), e nella 8-10a (1911), per poi ricomparire dall’11/14a edizione (1919, p, 142) in
poi. L’affermazione finale (presente in tutte le edizioni del commentario: cfr. da ultimo la 18a, 191) sui
rapporti tra intenzionalità e previsione è spiegata da K. ENGISCH, Untersuchungen, cit., 139, nel senso che
l’evento perseguito dall’agente sarebbe sempre necessario in vista della realizzazione del suo scopo, e
quindi si potrebbe sempre dire che egli «avrebbe agito anche nel caso di sicura previsione della
realizzazione dell’evento».
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Sennonché, nelle successive versioni del commentario Frank tornerà a
equiparare le due formule60, e solo a partire dall’8/10a edizione, incalzato da
Kohlrausch61, dichiarerà esplicitamente che la prima «non descrive lo stato d’animo da
contraddistinguere in termini di dolo eventuale, ma è solo uno strumento per la sua
conoscenza»62.
Risale a qualche anno prima, invece, un altro importante chiarimento, relativo
questa volta al fondamento dogmatico delle formule. Robert von Hippel, uno degli
esponenti più autorevoli della Willenstheorie, aveva accolto la prima formula di Frank –
anzi, ne sarebbe diventato «l’apologeta»63 –, rimproverando però al suo autore di non
averne chiarito il «contenuto psicologico»64. Nel suo celeberrimo scritto incentrato
«Sulla costruzione del concetto di colpevolezza» (Über den Aufbau des Schuldbegriffs)65,
Frank ricorda che già in Vorstellung und Wille aveva definito «formale» il contrasto tra
la Vorstellungstheorie e la Willenstheorie 66, dal momento che la prima non aveva mai
preteso di incentrare la nozione di dolo esclusivamente sulla rappresentazione, né di
rinunciare al concetto di azione volontaria67. La differenza tra le due opzioni
dogmatiche consisteva in questo, che mentre la Willenstheorie parlava di volontà
dell’evento, la Vorstellungstheorie studiava il modo in cui la rappresentazione di
quest’ultimo influenzava la condotta (volontaria) dell’agente.
Più precisamente, la forma più grave di rimprovero (Vorwurf)68 si avrebbe
quando l’evento è preso di mira, perché in tal caso la previsione dell’evento, invece di
60 R. FRANK, Das Strafgesetzbuch für das Deutsche Reich3-4, Leipzig, 1903, 104; R. FRANK, Das Strafgesetzbuch für
das Deutsche Reich5-7, Tübingen, 1908, 132. Più precisamente, la prima formula è spezzata in due tronconi, e
la sua declinazione positiva (il dolo sussiste quando «l’agente avrebbe agito anche in condizioni di
conoscenza sicura») è accostata alla seconda, mentre la declinazione negativa (non c’è dolo «quando
l’agente non avrebbe agito in condizioni di conoscenza sicura») è collegata alla ‘terza’. 61 E. KOHLRAUSCH, Die Schuld, cit., 201-202. 62 R. FRANK, Das Strafgesetzbuch für das Deutsche Reich8-10, Tübingen, 1911, 142. Il concetto è ripreso in tutte le
edizioni successive del commentario, da ultimo nella 18a, 192. 63 H. GROSSMANN, Die Grenze, cit., 59 e 79. 64 R. VON HIPPEL, Die Grenze, cit., 55-56; ID., Vorsatz, cit., 500 nota 2. 65 R. FRANK, Über den Aufbau des Schuldbegriffs, in Festschrift für die Juristische Fakultät in Giessen zum
Universitäts – Jubiläum, Giessen 1907, 543 ss. Com’è noto, da tale scritto si fa tradizionalmente partire
l’elaborazione della concezione normativa della colpevolezza (ma sul punto cfr. H. ACHENBACH, Riflessioni
storico-critiche sulla concezione della colpevolezza di Reinhard Frank, in Riv. it. dir. proc. pen., 1981, 844 ss., 852
ss.). 66 R. FRANK, Über den Aufbau, cit., 540; R. FRANK, Vorstellung, cit., 170. Per inciso, anche F. VON LISZT,
Lehrbuch5, cit., 143 nota 2 e Lehrbuch6, cit., 173 nota 2, aveva affermato che la Vorstellungstheorie e la
Willenstheorie erano, sul piano delle conseguenze pratiche, meno diverse di quanto sembrasse a prima
vista. Ma questa osservazione conciliante non sarà presente nelle edizioni successive. 67 R. FRANK, Über den Aufbau, cit., 544; R. FRANK, Vorstellung, cit., 221-222, in polemica con M. VON BURI,
Ueber die Begriffe der Vorsatzes und Handlung, in Gerichtssaal, 1889, 408 ss. 68 Com’è noto, l’equazione colpevolezza = rimprovero diventerà il manifesto della concezione normativa,
anche se secondo R. FRANK, Über den Afbau, cit., 530, la Vorwerfbarkeit andava intesa quale «sintetico
riepilogo» degli elementi della colpevolezza che trovava il suo valore «non in se stesso, ma solo nel
riferimento a ciò che vuole caratterizzare». Sulla natura valutativa della rimproverabilità, come tale
inevitabilmente permeabile alle istanze etico-sociali diffuse in un determinato momento storico, sia
consentito rinviare a G. GENTILE, Un’aggravante per i reati culturalmente motivati? Riflessioni critiche sulla
13
distogliere l’agente dal proposito di agire, costituisce l’elemento determinante della
condotta. Sostanzialmente assimilabile sul piano del disvalore sarebbe anche l’ipotesi
in cui l’agente si propone altri scopi, e non si lascia determinare dalla sicura previsione
dell’evento lesivo collaterale. Invece, nel caso di previsione in termini di probabilità, il
rimprovero a titolo di dolo sarebbe giustificato solo «quando la differenza tra sicuro e
possibile è per l’agente priva di significato, quando egli si sarebbe comportato come ha
fatto in tutte le circostanze»69. A questo punto, conclude Frank, la sua visione del dolo
non sarebbe così diversa da quella di von Hippel, il quale aveva individuato il
fondamento della prima formula nel fatto che «la rappresentazione in termini di
possibilità fonda il dolo quando ha assunto in concreto per il comportamento psichico
dell’agente lo stesso significato pratico di una rappresentazione in termini di
certezza»70. Nondimeno, la Vorstellungstheorie sarebbe preferibile sul piano del rigore
concettuale, non riuscendo l’idea di volontà dell’evento a spiegare in maniera
convincente perché le conseguenze rappresentate come certe devono ascriversi a titolo
di dolo anche se non perseguite intenzionalmente (e quindi non ‘volute’ nel senso del
linguaggio comune)71.
Le idee di Frank sul fondamento dogmatico e sulla distinzione funzionale delle
formule non subiranno altre modifiche di rilievo, e a partire dall’11/14a edizione
assumeranno la loro forma definitiva72: la seconda formula («se l’agente si dice: le cose
possono stare così o altrimenti, andare così o altrimenti, in ogni caso io agisco, allora la
sua colpevolezza (Verschulden) è dolosa») illustra la «condizione psichica» che legittima
un rimprovero a titolo di dolo, e cioè l’ipotesi in cui il livello del coefficiente cognitivo
(in termini di certezza o di possibilità) è indifferente (gleichgültig) per il processo
formativo della volontà; invece, la prima formula («Se si conclude che l’autore avrebbe
agito anche in caso di sicura conoscenza […], il dolo è da ammettere; se si conclude che
in caso di sicura conoscenza l’autore si sarebbe astenuto dall’agire, il dolo è da
escludere») non serve a descrivere «lo stato d’animo da contrassegnare come dolo
eventuale», ma è solo uno strumento di conoscenza (Erkenntnismittel); a tal riguardo,
non si deve guardare semplicemente al carattere del reo, ma innanzitutto a come egli si
pone di fronte al suo scopo concreto73.
Sennonché, nella 18a e ultima edizione del commentario troviamo in coda a
queste riflessioni un esame critico della teoria della probabilità
proposta di legge Sbai, in L. STORTONI, S. TORDINI CAGLI (a cura di), Cultura, culture e diritto penale, Bologna,
2012, 68 ss., e qui altri riferimenti. 69 R. FRANK, Über den Aufbau, cit., 544-545. Nella 5/7a edizione del commentario (1908, 132), la tesi è
sintetizzata in questo modo: chi avrebbe agito anche nel caso di certezza soggettiva «nega anche alla
conoscenza sicura delle circostanze di fatto di influire sulla propria formazione del volere, e nella
mancanza di ciò sta l’essenza del dolo». 70 R. VON HIPPEL, Die Grenze, cit., 55-56; ID., Vorsatz, cit., 500 nota 2; cfr. anche ID., Deutsches Strafrecht, cit.,
313-314 nota 11. 71 R. FRANK, Über den Aufbau, cit., 545. Invece R. VON HIPPEL, Deutsches Strafrecht, cit., 309 ss., insisterà nel
dire che possono dirsi volute anche le conseguenze non desiderate. 72 R. FRANK, Das Strafgesetzbuch für das Deutsche Reich11-14, Tübingen, 1919, 142-143. 73 Così, da ultimo, R. FRANK, Das Strafgesetzbuch18, cit., 190-191.
14
(Wahrscheinlickeitstheorie), secondo la quale i confini del dolo andrebbero ricercati
esclusivamente nel momento rappresentativo, da qualificarsi però in termini di
probabilità74. Invece, Frank ritiene che il dolo potrebbe configurarsi anche in assenza di
un elemento cognitivo così intenso, a condizione che la rappresentazione della possibile
esistenza di un elemento del reato o del possibile verificarsi dell’evento sia per il reo
indifferente.
D’altro canto, il dolo sarebbe comunque da escludersi anche quando l’agente ha
formulato un tale giudizio di probabilità, sicché non dovrebbe rispondere di tentato
omicidio chi uccide con uno sparo il toro che stava per travolgere un’altra persona, pur
essendosi rappresentato la probabilità di colpire anche quest’ultima. Insomma,
l’essenza del dolo eventuale consisterebbe in ciò, «che l’agente si dice: è possibile che
l’evento accada e acconsento alla sua verificazione (der Erfolg kann und mag eintreten»)75.
3. Formule di Frank e teoria del consenso: in particolare, il consenso ipotetico.
Anche se è difficile stabilire con certezza quali delle modifiche apportate da
Frank al suo commentario siano il riflesso di un effettivo mutamento di pensiero e
quali invece rivestano un carattere esclusivamente formale, si può azzardare a questo
punto qualche considerazione ricostruttiva.
Innanzitutto, non è affatto paradossale che il ‘volontarista’ von Hippel avesse
apprezzato la prima formula di Frank, sostenitore della Vorstellungstheorie76, perché tali
teorie non erano quei blocchi monolitici che ci sono stati consegnati dalla successiva
vulgata critica77: ad esempio, von Bar e von Hippel accettavano entrambi l’equazione
74 La formulazione più solida di questa teoria si deve probabilmente a H. GROSSMANN, Die Grenze, cit., 1 ss.,
22 ss., 33 ss. Cfr, anche E. RUNCK, Dolus eventualis. Ein Beitrag zur Schuldformenlehre, Würzburg, 1929, 35 ss.
Sulle versioni più recenti di tale impostazione, per tutti S. CANESTRARI, Dolo eventuale e colpa cosciente,
Milano, 1999, 33 ss.; 75 R. FRANK, Das Strafgesetzbuch18, cit., 191. Sono consapevole che la mia traduzione non rende giustizia né
all’eleganza né alla struttura grammaticale dell’icastico passo di Frank. In ogni caso, mi sento di escludere
che il sintagma kann und mag costituisca un’endiadi da tradurre semplicemente con «può», perché in R.
FRANK, Vorstellung und Wille, cit., 217, il giudizio relativo al dolo eventuale suonava: «der Erfolg kann
eintreten», e quindi bisogna valorizzare l’aggiunta del predicato mag. A questo punto, la difficoltà sta nel
rendere le due diverse accezioni del concetto di possibilità, rispettivamente espresse dal verbo können
(potere nel senso di essere oggettivamente possibile) e mögen, che in effetti nella forma impersonale es mag
vuol dire «è possibile» (con una sfumatura soggettivo-ipotetica), ma che riferito a un soggetto assume il
significato di volere, desiderare, piacere. È chiaro che nel passo tedesco il mag è riferito all’evento, mentre
la mia traduzione lo ricollega all’agente: ma mi auguro di non aver tradito il senso della frase e soprattutto
il pensiero di Frank, ossia che il dolo eventuale richiede non solo la previsione, ma anche un’adesione
interiore alla realizzazione dell’evento previsto come possibile. 76 Così invece R. RAGUÉS I VALLÈS, El dolo, cit., 62. Addirittura, si è detto che «per i sostenitori delle teorie
volitive che adottano la formula» di Frank dovrebbe «risuonare come un campanello d’allarme» la sua
«posizione di fondatore della teoria della rappresentazione»: così, G. CERQUETTI, Il dolo, Torino, 2010, 267. 77 Infatti, capita spesso di leggere l’affermazione, dettata probabilmente da un eccesso di sintesi, che la
Vorstellungstheorie avrebbe preteso di edificare il concetto di dolo esclusivamente sul momento
rappresentativo: cfr. ad esempio M. ROMANO, Commentario sistematico del codice penale, I, Art. 1-84, Milano,
15
dolo=volontà dell’evento, ma la declinavano in modo diverso, tant’è che il primo si
opponeva alla figura del dolo eventuale78, mentre il secondo la difendeva79;
analogamente, uno studioso come von Almendingen poteva essere arruolato da von
Hippel80 tra le fila della Willenstheorie per aver parlato di volontà dell’evento81, e allo
stesso tempo celebrato da Frank come «l’autentico fondatore scientifico della
Vorstellungstheorie»82 per la tesi – tra l’altro avversata dallo stesso Frank – secondo la
quale il dolo consisterebbe già nella previsione dell’evento in termini di possibilità83.
Ebbene, in questo dibattito von Hippel si trovava «spalla a spalla» con Frank84,
dal momento che per entrambi era possibile imputare a titolo di dolo eventuale i casi di
previsione in termini di dubbio, a condizione che quest’ultima, avendo esplicato nei
confronti dell’agente lo stesso ruolo di una previsione certa, esprimesse un analogo
coefficiente di colpevolezza85.
La storia editoriale del commentario di Frank consente anche di dire qualche
parola in merito ai rapporti tra le due formule. Innanzitutto, non pare fondata l’idea
che la seconda sarebbe un correttivo della prima86, dato che inizialmente Frank le
utilizzò per formulare concetti equivalenti. Né sembra corretto dire che tra le due non
2004, 435; S. CANESTRARI, L. CORNACCHIA, G. DE SIMONE, Manuale di diritto penale, G., Bologna, 2007, 389; A.
PAGLIARO, Il reato, Milano, 2007, 89; F. MANTOVANI, Diritto penale, P.G., Padova, 2013, 313. Deve però
ammettersi che tale lettura semplificatoria era già affermata nel dibattito che accompagnò l’emanazione
del codice Rocco (sul quale si veda G. CERQUETTI, Il dolo, cit., 149 ss.). Invece, che le posizioni fossero molto
più sfumate era ben chiaro ai tempi di Frank: basti pensare che W. V. ROHLAND, Willenstheorie und
Vorstellungstheorie im Strafrecht, Freiburg im Breisgau, 1904, 3 ss., individuava ben tre filoni all’interno della
Vorstellungstheorie. Più di recente, parla di teorie rappresentative ‘forti’ e ‘deboli’, G. PÉREZ BARBERÁ, El dolo
eventual, cit., 185 ss. 78 L. VON BAR, Dolus eventualis?, cit., 534 ss.; L. VON BAR, Gesetz und Schuld, cit., 322 ss. Su posizioni
analoghe, C. STOOS, Dolus eventualis und Gefährdung, in ZStW, 1895, 199 ss. Che il dolo eventuale non sia
sempre stato dato per scontato, è un dato da tenere sempre a mente: cfr. J. DE FARIA COSTA, Tentativa e dolo
eventual, in Estudos em homagen ao Prof. Doutor Eduardo Correia, I , Coimbra, 1984, 698 ss. 79 R. VON HIPPEL, Die Grenze, cit., 104 ss.; ID., Vorsatz, cit., 512 ss. 80 R. VON HIPPEL, Die Grenze, cit., 4 e 151. Contra, L. VON BAR, Gesetz und Schuld, cit., 281 nota 14. 81 Cfr. ad esempio L. H. VON ALMENDINGEN, Untersuchungen, cit., 46. 82 R. FRANK, Vorstellung, cit., 177; cfr. anche W. LACMANN, Die Abgrenzung der Schuldformen in der Rechtslehre
und im Vorentwurf zu einem Deutschen Strafgesetzbuch, in ZStW, 1911, 145. 83 Tra l’altro, L. H. VON ALMENDINGEN, Untersuchungen, cit., 18, affermava anche che il dolo era escluso
dall’erroneo convincimento che l’evento non si sarebbe verificato: su questo passaggio, cfr. le
considerazioni di K. ENGISCH, Untersuchungen, cit., 119-120. 84 Così, K. ENGISCH, Untersuchungen, cit., 140, al termine di un istruttivo excursus che relativizza il contrasto
tra Vorstellungstheorie e Willenstheorie. 85 Sui punti di contatto tra Frank e von Hippel, cfr. F. EXNER, Das Wesen, cit., 128; A. BAUMGARTEN, Der
Aufbau der Verbrechenslehre. Zugleich ein Beitrag zur Lehre der Strafrechtsverhältnis, Tübingen, 1913, 140; K.
ENGISCH, Untersuchungen, cit., 139-140; A. PECORARO-ALBANI, Il dolo, cit., 202-203; G. PÉREZ BARBERÁ, El dolo
eventual, cit., 182-183. 86 Così invece G. PÉREZ BARBERÁ, El dolo eventual, cit., 192; A. ROSS, Über den Vorsatz. Studien zu dänischen,
englischen, deutschen und schwedischen Lehre und Rechtsprechung, Baden-Baden, 1979, 87, il quale fa intendere
che Frank avrebbe enunciato la seconda formula dopo aver rielaborato la prima in chiave processuale: ma
le già segnalate differenze tra la 1a e la 2a edizione dello Strafgesetzbuch di Frank mostrano l’esatto
contrario.
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ci sarebbe nessuna differenza87, se si considera la successiva declinazione della formula
ipotetica in chiave processuale. Ma non appare adeguatamente rispettosa delle fonti
neppure la tesi secondo la quale la seconda formula avrebbe «offuscato l’elemento
emozionale-volitivo del dolo eventuale»88, consentendo di imputare a titolo di dolo
tutte le conseguenze previste come possibili89. In effetti, la seconda formula presenta
apparentemente due soli elementi strutturali, e cioè la rappresentazione in termini di
possibilità («le cose possono stare così o altrimenti, andare così o altrimenti…») e
l’azione («in ogni caso io agisco»)90. Ma non appare metodologicamente corretto
estrapolare la frase dal suo contesto91, e cioè dall’idea di Frank che il dolo eventuale
sarebbe qualcosa di più dello stato di dubbio, e che tale stato psicologico potrebbe essere
sinteticamente descritto dalla seconda formula, oppure da espressioni quali «consenso,
approvazione, accordo»92.
Per comprendere meglio quest’ultima affermazione di Frank, va ricordato che a
quei tempi era maggioritaria la c.d. teoria del consenso (o dell’approvazione:
Einwilligungs- o Billigungstheorie)93, secondo la quale nel dolo eventuale la previsione
come possibile dovrebbe essere accompagnata da una peculiare presa di posizione nei
confronti dell’evento: l’agente dovrebbe essere d’accordo con la sua realizzazione,
87 Ipotizza tale identità, M. A. SANCINETTI, Teoría del delito y disvalor de acción. Una investigación sobre las
consecuencias prácticas de un concepto personal de ilícito circunscripto al disvalor de acción, Buenos Aires, 1991,
167. Osserva C. ROXIN, Strafrecht, A. T., I, Grundlagen. Der Aufbau der Verbrechenslehre, München, 2006, 460-
461, che con la sua seconda formula Frank non avrebbe voluto introdurre niente di nuovo rispetto alla
prima: il che, ancora una volta, è plausibile per le prime edizioni del commentario, ma non tiene conto
della successiva distinzione funzionale tra le due formule (tra l’altro non evidenziata da Roxin, secondo il
quale Frank avrebbe conferito la funzione di Erkenntismittel a entrambe le formule). 88 R. RAGUÉS I VALLÈS, El dolo, cit., 64. Invece, più correttamente K. ENGISCH, Untersuchungen, cit., 100 e 134,
osserva che in entrambe le formule di Frank sarebbe sempre presente un elemento (da Engisch definito)
«emozionale» che le distingue dalle teorie rappresentative ‘estreme’. Sul punto, cfr. anche il § 4. 89 In tal senso, A. ROSS, Über den Vorsatz, cit., 88, con grande impegno argomentativo; M. A. SANCINETTI,
Teoría del delito, cit., 167. 90 R. RAGUÉS I VALLÈS, El dolo, cit., 63. 91 Invece, secondo G. PÉREZ BARBERÁ, El dolo eventual, cit., 194, «non sarebbe sbagliato sul piano storico-
dogmatico che un sostenitore della teoria della rappresentazione, anche nella sua tesi forte (non
emozionale) considerasse la seconda formula di Frank come un antecedente del proprio punto di vista»:
ma non me la sento di condividere tale affermazione, nella misura in cui consente di utilizzare la seconda
formula a sostegno di teorie che Frank aveva confutato (come ricorda lo stesso Pérez Barberá nella pagina
citata). Analogo rilievo vale per A. PECORARO-ALBANI, Il dolo, cit., 338, il quale dopo aver osservato che la
seconda formula «è un modo di dire che può ricevere anche altre interpretazioni», afferma di condividerla
«qualora la si intenda come effettivo atteggiamento volitivo in relazione all’evento»: altra tesi alla quale,
come sappiamo, Frank si è sempre opposto. 92 Il collegamento tra la seconda formula e la teoria del consenso si trova in tutte le edizioni del
commentario, a partire da R. FRANK, Strafgesetzbuch1, cit., 90, fino a R. FRANK, Strafgesetzbuch18, cit., 190.
Secondo H. GROSSMANN, Die Grenze, cit., 67, la seconda formula sarebbe stata «un ponte» tra la prima e la
teoria del consenso. Ma a dire il vero già in R. FRANK, Vorstellung und Wille, cit., 211, si era proposto di
sostituire l’espressione «consenso» con la prima formula (all’epoca, nella sua veste ‘sostanziale’). 93 Sul punto, per tutti C. ROXIN, Strafrecht, cit., 452 ss., e qui gli indispensabili riferimenti dottrinali e
giurisprudenziali.
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(einverstanden gewesen sein), ratificarlo (sie genehmigt), accettarlo (in Kauf genommen)94,
consentire ad esso (in sie einwilligt), approvarlo (sie gebilligt), ecc95.
Questa precisazione ci consente di introdurre un’ipotesi ricostruttiva molto
diffusa, e cioè che le formule di Frank sarebbero rispettivamente espressione della
versione «ipotetica» (prima formula) o «positiva» (seconda formula) della teoria del
consenso96.
L’inquadramento del pensiero di Frank tra le teorie del consenso consente di
evidenziarne la differenza rispetto alle concezioni che pretendevano di fondare il dolo
esclusivamente sul momento rappresentativo, declinato a seconda dei casi in termini di
possibilità (Möglichkeitstheorie) o di probabilità (Wahrscheinlichkeitstheorie)97.Tuttavia,
quando si parla di teoria «ipotetica» del consenso si vuole porre l’accento sulla critica
forse più diffusa alla prima formula di Frank, e cioè che ai fini dell’accertamento del
dolo conterebbe il comportamento reale dell’agente in rapporto al suo effettivo stato
psicologico, e non quello che si sarebbe ipoteticamente avuto in presenza di una
certezza soggettiva fittizia98; neppure l’agente stesso sarebbe in grado di dire come si
94 Oppure «si è rassegnato alla sua realizzazione», come proposto da R. RAGUÉS I VALLÈS, El dolo, cit., 61 e
da E. GIMBERNAT ORDEIG, Acerca del dolo eventual (1969-1972), in Estudios de derecho penal, Madrid, 1990, 247
nota 16, e qui interessanti notizie sull’origine dell’espressione in Kauf nehmen. 95 L’elenco di espressioni riconducibili a tale indirizzo è tratto da K. ENGISCH, Untersuchungen, cit., 92; cfr.
anche R. VON HIPPEL, Die Grenze, cit., 98-99. Ampie panoramiche sull’Einwilligungstheorie in H. GROSSMANN,
Die Grenze, cit., 55 ss.; E. RUNCK, Dolus eventualis, cit., 15 ss. 96 La distinzione, introdotta da H. GROSSMANN, Die Grenze, cit., 58 ss., deve probabilmente la sua fortunata
diffusione a E. MEZGER, Strafrecht, Berlin, 1931, 344 ss. (e poi nelle edizioni successive); la riprendono, tra
gli altri, G. BETTIOL, Sulle presunzioni nel diritto e nella procedura penale (1938), in ID., Scritti giuridici, I,
Padova, 1966, 375; H. SCHRÖDER, Aufbau und Grenzen des Vorsatzbegriffs in Festschrift für Wilhelm Sauer,
Berlin, 1949, 233; L. JIMÉNEZ DE ASÚA, Tratado, cit., 610; A. ROSS, Über den Vorsatz, cit., 87; S. CANESTRARI, Dolo
eventuale, cit., 47; G. CERQUETTI, Il dolo, cit., 262 ss. Frequente nella dottrina portoghese la distinzione delle
due formule in ipotetica e positiva (cfr. J. BELEZA DOS SANTOS, Crimes, cit., 33 nota 1; E. CORREIA, Direito
criminal, I, Coimbra, 1963, 379 ss.; M. CAVALEIRO DE FERREIRA, Direito penal português, P.G., I, Lisboa, 1981,
482). 97 A partire dalla 17a edizione dello Strafgesetzbuch, 183 (18a edizione, 191), lo stesso Frank qualificò la sua
impostazione in termini di Einwilligungstheorie per prendere le distanze dalla Wahrscheinlichkeitstheorie di
Grossmann. 98 M. VON BURI, Vorstellung und Wille, cit., 244; J. WEISSMANN, Der Thatbestand, cit., 83 nota 189; J. C. W.
THYREN, Abhandlungen, cit., 88 e 145. Il rilievo è stato riproposto innumerevoli volte: cfr. tra i tanti K.
HAGEN, Der Vorsatz und seine Festellung, in ZStW, 1899, 177 nota 53; L. VON BAR, Gesetz und Schuld, cit., 329;
W. LACMANN, Über die Abgrenzung des Vorsatzbegriffes, in GA, 1911, 158; K. BINDING, Die Normen und ihre
Übertretung. Eine Untersuchung über die rechtmässige Handlung und die Arten des Delikts, II-1, Leipzig, 1914,
397; A. COENDERS, Zur Schuldlehere, insbesondere vom bedingter Vorsatz, in Gerichtssaal, 1920, 306-307; F.
ALIMENA, La colpa nella teoria generale del reato, Palermo, 1947, 115; H. SCHRÖDER, Aufbau, cit., 234; A.
PECORARO-ALBANI, Il dolo, cit., 336; M. GALLO, voce Dolo (dir. pen.), in Enc. dir., XIII, Milano, 1964, 792 (e
successivamente ID., Appunti di diritto penale, II-2, cit., 119); A. ROSS, Über den Vorsatz, cit., 87; I. PUPPE, Der
Vorstellungsinhalt des dolus eventualis, in ZStW, 1991, 4; S. PROSDOCIMI, Dolus eventualis, cit., 12; O.
TRIFFTERER, Österreichisches Strafrecht, cit., 169; S. CANESTRARI, Dolo eventuale, cit., 47-48; G. FORTE, Ai confini
tra dolo e colpa: dolo eventuale o colpa cosciente?, in Riv. it. dir. proc. pen., 1999, 251; R. RAGUÉS I VALLÈS, El dolo,
cit., 64; P. VENEZIANI, Motivi e colpevolezza, Torino, 2000, 142 nota 85; M. ROMANO, Commentario, cit., 443; G.
FIANDACA, E. MUSCO, Diritto penale, p.g., Bologna, 2009, 369 nota 76; G. CERQUETTI, Il dolo, cit., 266; A.
18
sarebbe comportato in una situazione mentale diversa99, sicché la formula porrebbe al
giudice un quesito che solo il «buon Dio» saprebbe risolvere100, con il rischio di
trasformare l’accertamento della colpevolezza per il fatto in una prognosi di
pericolosità del reo101.
Di tali critiche non si fece carico Frank, che si limitò a modificare il suo
commentario nel modo già esaminato102, bensì von Hippel, il quale chiarì che il
compito del giudice sarebbe quello di verificare se lo stato di dubbio ha avuto lo stesso
significato pratico di un’ipotetica rappresentazione in termini di certezza, ma non se
l’agente si è effettivamente posto questo problema al momento del fatto103; che per
esprimere l’equivalenza di significato pratico di tali stati psicologici si potrebbe dire:
«in entrambi i casi la speranza del mancato verificarsi dell’evento non è stata un
motivo decisivo per compiere l’azione»104; che, nonostante la sua configurazione
ipotetica, la prima formula mirerebbe «all’accertamento di relazioni psicologiche
realmente esistenti»105; che il giudizio ipotetico ad essa sotteso non sarebbe tanto
diverso dalla teoria della condicio sine qua non in materia di causalità106; che ai fini della
prova del dolo si dovrebbe eliminare mentalmente la speranza del mancato verificarsi
dell’evento107, e domandarsi se, mantenendo inalterate le altre componenti del
coefficiente soggettivo (ceteris paribus)108, l’agente avrebbe agito ugualmente anche in
caso di sicura rappresentazione dell’evento: una risposta positiva dimostrerebbe che la
speranza non ha assunto un’influenza decisiva sulla dinamica volitiva, e che di
conseguenza può parlarsi di dolo eventuale109.
MANNA, Corso di diritto penale, Padova, 2012, 349; G. DE FRANCESCO, L’enigma del dolo eventuale, in Cass. pen.,
2012, 1984; F. MANTOVANI, Diritto penale, cit., 316. 99 K. HAUSER, Zur Lehre vom strafrechtlichen Vorsatz, in Gerichtssaal, 1897, 178-179; M. E. MAYER, Die
schuldhafte Handlung und ihre Arten im Strafrecht, Leipzig, 1901, 173; L. VON BAR, Gesetz und Schuld, cit., 332;
M. A. SANCINETTI, Teoría, cit., 165-166. 100 A. LÖFFLER, Die Körperverletzung, in Vergleichende Darstellungen des Deutschen und Ausländischen
Strafrechts, Besonderer Teil, V, Berlin, 1905, 368 in nota. 101 K. HAUSER, Zur Lehre, cit., 179; E. KOHLRAUSCH, Die Schuld, cit., 201; M. L. MÜLLER, Die Bedeutung des
Kausalzusammenhanges im Straf- und Schadensersatzrecht, Tübingen, 1912, 49. 102 Cfr. § 2. 103 R. VON HIPPEL, Die Grenze, cit., 57 in nota, 113 nota 2, 136 nota 1; ID., Vorsatz, cit., 505 nota 3. 104 R. VON HIPPEL, Die Grenze, cit., 121; ID., Vorsatz, cit., 506; ID., Deutsches Strafrecht, cit., 315. Se al contrario
tale speranza ha fornito un motivo decisivo all’azione, si ha colpa cosciente (cfr. § 4). 105 R. VON HIPPEL, Die Grenze, cit., 121; ID., Vorsatz, cit., 506 nota 2. Analogamente, J. BELEZA DOS SANTOS,
Crimes de mueda falsa, in Rev. Leg. Jur., 23 giugno 1934, 50; C. S. NINO, Los límites de la responsabilidad penal.
Una teoría liberal del delito, Buenos Aires, 1980, 396; L. EUSEBI, Il dolo come volontà, cit., 181; A. PAGLIARO, Il
reato, cit., 97. 106 R. VON HIPPEL, Deutsches Strafrecht, cit., 316. Il parallelo tra la teoria della causalità e quella del dolo è
ampiamente sviluppato in R. VON HIPPEL, Die Grenze, cit., 137 ss.; ID., Vorsatz, cit., 507 ss. In una prospettiva
affine, W. LACMANN, Wille und Wollen in ihrer Bedeutung für das Vorsatzproblem, in ZStW, 1910, 767 ss. Da
nella nostra dottrina, il tema è ripreso da L. EUSEBI, Il dolo, cit., 142 ss., 107 Sempre presente nel caso di conseguenze possibili e non desiderate: R. VON HIPPEL, Die Grenze, cit., 130;
ID., Vorsatz, cit., 505; ID., Deutsches Strafrecht, cit., 314 in nota. 108 R. VON HIPPEL, Die Grenze, cit., 114; ID., Deutsches Strafrecht, cit., 317 nota 1. 109 R. VON HIPPEL, Die Grenze, cit., 122-123; ID., Deutsches Strafrecht, cit., 316. Non persuasive, da questo
punto di vista, le critiche di K. ENGISCH, Untersuchungen, cit., 195 e A. ROSS. Über den Vorsatz, cit., 89: non c’è
19
Rinviando a un momento successivo l’analisi di questa tesi110, va innanzitutto
sottolineato che nell’impostazione di von Hippel – e probabilmente in quella dello
stesso Frank111 – la prima formula non pretende di integrare la struttura del dolo
eventuale con un ipotetico stato di certezza soggettiva, ma costituisce una regola di
giudizio rivolta al giudice ai fini dell’accertamento del dolo eventuale: da questa
prospettiva112, non si può più affermare che la prima formula trasformerebbe il dolo
eventuale in un dolo diretto113 virtuale114, né tantomeno che porterebbe a individuare
«come requisito del dolo uno stato psichico di decisione ipotetica ex post, solo
immaginato dall’interprete, in sostituzione del reale stato psichico ex ante richiesto
dalla legge»115.
Poi, merita attenzione il paragone instaurato da von Hippel tra l’accertamento
della causalità e quello del dolo. A ben vedere, la prima formula di Frank mostra
dubbio che il ragionamento di von Hippel implichi un’ipotesi (l’agente avrebbe agito anche in assenza
della speranza di provocare l’evento?), ma non è detto che ciò diriga l’interprete verso un dato psicologico
fittizio, come si dirà subito nel testo. Per inciso, già R. FRANK, Vorstellung und Wille, cit., 225, aveva
osservato che «chi pensa di poter evitare l’evento lesivo, e in conseguenza di ciò ha agito, in generale non
avrebbe agito se fosse stato certo dell’evento». 110 Cfr. § 4. 111 Anche prima di chiarire che la prima formula non si proponeva di descrivere la struttura del dolo
eventuale (R. FRANK, Das Strafgesetzbuch8-10, cit., 142), Frank l’aveva comunque spiegata con espressioni –
«consenso, approvazione, accordo» – che «possono riferirsi solo a processi psichici realmente esistenti, e
non simulati ipoteticamente»: così, R. VON HIPPEL, Die Grenze, cit., 117. 112 Osserva a ragione W. FRISCH, Vorsatz und Risiko, cit., 12 nota 42, che l’obiezione del giudizio ipotetico ha
un peso diverso a seconda che la prima formula sia intesa in senso sostanziale o processuale. Cfr. anche R.
BARTOLI, Brevi considerazioni in tema di dolo eventuale, in Dir. pen. proc., numero speciale, Dolo e colpa negli
incidenti stradali, 2011, 31. 113 In questo articolo l’espressione «dolo diretto» sarà intesa, in linea con l’uso linguistico maggioritario,
per indicare il caso in cui la conseguenza accessoria allo scopo perseguito dall’agente è prevista in termini
di sostanziale certezza (per un’accezione più ampia, comprensiva anche del dolo intenzionale, cfr. per tutti
M. ROMANO, Commentario, cit., 440-441; in senso più ristretto, identificando dolo diretto e dolo intenzionale,
cfr. invece A. PAGLIARO, Il reato, cit., 91). 114 Sul punto, G. DEMURO, Sulla flessibilità, cit., 150; G. FIANDACA, Sul dolo eventuale, cit., 156; M. N. MASULLO,
Infortuni (mortali), cit., 932. Osserva correttamente Ass. app. Torino, 28 febbraio 2013, cit., 301, che
l’obiezione confonde «due piani che vanno tenuti distinti: quello della verifica ipotetica cui è chiamato il
Giudice (ove si saggia il grado di resistenza della volontà dell’agente rispetto alla certezza di provocare
l’evento) e quello effettivamente verificatosi, in cui l’agente ha in ogni caso tenuto la sua condotta nella
previsione non certa dell’evento». 115 Così, G. CERQUETTI, Il dolo, cit., 266, citando C. ROXIN, Zur Abgrenzung von bedingtem Vorsatz und
bewußster Fahrlässigkeit – BGHSt 7, 363 (1964), in ID.,Strafrechtliche Grundlagenprobleme, de Gruyter, Berlin-
New York, 1973, 226 nota 55 (l’osservazione non è però ripresa in C. ROXIN, Strafrecht, cit., 460-461). Anche
secondo M. A. SANCINETTI, Teoría, cit., 164, trasformare un dolo eventuale reale in uno di dolo diretto
sarebbe un comodo espediente, «ma non serve a risolvere il caso reale».
20
diverse affinità con lo schema della condicio sine qua non116, e in particolare con il
giudizio «controfattuale di secondo grado» inerente alla causalità omissiva117.
Secondo entrambi gli schemi bisogna innanzitutto capire come sono andate
realmente le cose, nel primo caso individuando il decorso causale che ha
naturalisticamente provocato l’evento118, nel secondo accertando che l’agente si sia
effettivamente rappresentato in termini di possibilità gli elementi del fatto di reato119; in
seguito si formula un periodo ipotetico dell’irrealtà, con una protasi in cui si sostituisce
il dato reale con quello ipotetico (se l’azione doverosa fosse stata realizzata/se l’agente
avesse previsto l’evento come sicuro)120, e con un’apodosi in cui si traggono le
conclusioni, che basandosi su premesse diverse da quelle reali saranno sempre
ipotetiche: sia quando si dirà contra factum che l’evento non si sarebbe verificato o che il
reo non avrebbe agito, sia quando si affermerà il contrario121; quanto alla struttura dei
rispettivi giudizi ipotetici, si richiede una prognosi postuma ex ante122: il giudice si
proietta nel passato per chiedersi se, sostituito il dato reale con quello ipotetico,
l’elemento inserito nell’apodosi si verificherà o meno; con tutto ciò si vuole accertare
qualcosa di distinto dagli elementi ipotetici impiegati nel giudizio controfattuale, e cioè
116 Così, L. EUSEBI, Il dolo come volontà, cit., 181; A. PAGLIARO, Il reato, cit., 97; I. PUPPE, Der Vorstellungsinhalt,
cit., 3-4, seppure in chiave critica, avendo la studiosa tedesca sottoposto la formula della condicio a critica
serrata: cfr. già I. PUPPE, Der Erfolg und seine kausale Erklärung im Strafrecht, in ZStW, 1980, 865 ss., e da
ultimo I. PUPPE, Strafrecht A.T., Baden-Baden, 2011, 29 ss. 117 Sulla natura «doppiamente ipotetica» del paradigma condizionalistico in ambito omissivo,
fondamentale C. E. PALIERO, La causalità dell’omissione: formule concettuali e paradigmi prasseologici, in Riv. it.
med. Leg., 1992, 841-843. Alla tesi ha aderito anche F. STELLA, Causalità omissiva, probabilità, giudizi
controfattuali. L’attività medico - chirurgica, in Cass. pen., 2005, 1078 nota 69, che invece in un primo momento
aveva sostenuto l’idea della totale identità strutturale dei giudizi controfattuali in materia di causalità (F.
STELLA, La nozione penalmente rilevante di causa; la condizione contingentemente necessaria, in Riv. it. dir. proc.
pen., 1988, 1251 ss.). 118 Per tutti, G. MARINUCCI, Causalità reale e causalità ipotetica nell’omissione impropria, in Riv. it. dir. proc. pen.,
2009, 523 ss. 119 Che prima di formulare il giudizio ipotetico si debba accertare il reale stato psicologico dell’agente è
affermato in maniera chiarissima già in R. FRANK, Strafgesetzbuch8-10, cit., 142 (nella 18a edizione, 190). 120 Ma sulla differenza tra i due tipi di sostituzione si tornerà alla fine del paragrafo. 121 Infatti, l’evento si realizzerà/il reo agirà comunque in un contesto diverso da quello reale, in cui l’azione
doverosa è stata compiuta/si aveva la previsione sicura dell’evento. 122 Nel senso che la prima formula di Frank richiederebbe una valutazione «ex ante e dal punto di vista
dell’agente», già F. VIGANÒ, La giurisprudenza, cit., § 3.4. Riprendendo lo schema concettuale di F. ANGIONI, Il
pericolo concreto come elemento della fattispecie penale. La struttura oggettiva, Milano, 1994, 61 ss., 100 in nota, si
può precisare che si tratta di giudizio ex ante, perché non si tiene conto delle circostanze successive al fatto
oggetto del giudizio (la verificazione dell’evento nella causalità omissiva; la realizzazione della condotta,
nella prima formula di Frank); prognostico, perché occorre formulare appunto una previsione su un evento
dannoso futuro, e postumo perché formulato al momento del processo. Per una più compiuta analisi
strutturale, si rinvia al § 5. Su tali problematiche nell’ambito della causalità omissiva, ancora F. VIGANÒ,
Riflessioni sulla c.d. “causalità omissiva” in materia di responsabilità medica, in R. BARTOLI (a cura di),
Responsabilità penale e rischio nelle attività mediche d’impresa (un dialogo con la giurisprudenza), Firenze
University Press, Firenze, 2010, 236-238.
21
la causalità omissiva o il dolo eventuale123; che poi questo quid assuma una consistenza
empirica, oppure funga da criterio normativo di imputazione, è un altro discorso124.
Giova spendere ancora qualche parola sulla prospettiva ex ante che caratterizza
il giudizio ipotetico della prima formula. Dal momento che deve adottarsi il punto di
vista dell’agente al momento della condotta, non conta ciò che egli potrebbe pensare
successivamente, quando riflettendo su come sono andate le cose si dirà che avrebbe
agito diversamente. Viene pertanto a cadere l’obiezione che la prima formula di Frank
esigerebbe «una determinazione potenzialmente addirittura superiore allo stesso dolo
intenzionale» perché «se dovessimo ripercorrere tante decisioni intenzionali tutti siamo
in grado di ricordare vari casi in cui, dopo una scelta, lecita o illecita non importa,
abbiamo pensato che non l’avremmo rifatta una seconda volta»125: nel momento in cui
facciamo una tale valutazione dopo una scelta, non possiamo certo negare che al
momento del fatto la pensavamo diversamente126.
Per impostare correttamente il giudizio ipotetico richiesto dalla prima formula,
è fondamentale tener conto della clausola ceteris paribus. Ad esempio, fu obiettato a
Frank che chi agisce in vista di un obiettivo, raffigurandosi però la possibilità di
cagionare un evento lesivo collaterale, sicuramente non lo farebbe più nel momento in
cui avesse la certezza di realizzare solo il secondo, e non il primo: ma ciò non
basterebbe a escludere il dolo eventuale127. Tuttavia, ragionando ceteris paribus non
123 Mi pare sovrapporre i due aspetti, G. CERQUETTI, Il dolo, cit., 269, secondo il quale «se si riconosce che
indiscutibilmente la formula di Frank utilizza un giudizio ipotetico, essa intende individuare uno stato
psichico che nella situazione reale in cui il soggetto ha agito non era riscontrabile – appunto – come reale». 124 Su tale alternativa nel dibattito sulla causalità omissiva, per tutti F. VIGANÒ, Riflessioni sulla c.d. “causalità
omissiva”, cit., 221-223. Rispetto al dolo eventuale, basti ricordare che secondo A. PAGLIARO, Il reato, cit., 95
ss., la prima formula servirebbe come «criterio per determinare il contenuto del concetto normativo di
dolo», mentre ad avviso di L. EUSEBI, Il dolo come volontà, cit., 181, accerterebbe «un atteggiamento
psicologico particolare». Secondo A. MANNA, Corso, cit., 349, non si dovrebbe confondere un istituto di
diritto sostanziale qual è la causalità omissiva con la prima formula di Frank, che invece fungerebbe da
criterio probatorio (e in quanto tale dovrebbe «dimostrare la sussistenza di fatti reali e non di mere
ipotesi»). Ma, a ben vedere, anche il giudizio controfattuale in materia di causalità omissiva non si
identifica con la causalità stessa, ma funge da criterio di accertamento, proprio come la prima formula di
Frank. 125 M. DONINI, Dolo eventuale, cit., p. 2570. L’A. interpreta secondo la medesima logica ex post anche il caso
di Lacmann (cfr. § 4), ritenendo che quest’ultimo starebbe a dimostrare che il quesito posto dalla protasi
della prima formula sarebbe irrilevante, perché l’ipotetica astensione dell’agente potrebbe «dipendere da
calcoli che non hanno a che vedere col dolo ex ante, ma solo col senno di poi legato a calcoli
opportunistici». Ma se l’efficacia critica del caso di Lacmann (o dell’analogo esempio proposto da D.
BRUNELLI, Il diritto penale delle fattispecie criminose, Torino, 2013, 129, il quale contesta alla prima formula di
Frank di escludere il dolo eventuale quando l’evento realizzato, che implica il fallimento del proposito
criminoso, «con il senno di poi» avrebbe trattenuto il reo dall’azione) si riducesse a questo, basterebbe
adottare la prospettiva ex ante suggerita nel testo per superare l’obiezione. 126 Già R. VON HIPPEL, Die Grenze, cit., 76, aveva sottolineato, in relazione alle conseguenze prese di mira
dall’agente (sostanzialmente, il nostro dolo intenzionale), che «la rappresentazione del fatto come
desiderabile» doveva sussistere al momento della decisione, e non dopo la realizzazione del fatto. 127 Così, J. WEISSMANN, Der Thatbestand, cit., 83 nota 189, secondo il quale stabilire cosa avrebbe fatto
l’agente conoscendo l’esito successivo potrebbe essere addirittura fuorviante. Oltre a quanto riportato nel
testo, l’A. proponeva il caso di colui che avrebbe comunque agito in presenza di una previsione certa, ma
22
bisogna chiedersi se l’agente avrebbe agito anche nella previsione sicura sia dell’evento
lesivo collaterale sia della mancata realizzazione di quello perseguito, ma piuttosto se
l’agente avrebbe agito egualmente raffigurandosi come certo l’evento lesivo collaterale
in connessione con quello perseguito128.
Alla luce di tale precisazione, si può affrontare la più recente critica secondo la
quale la prima formula potrebbe portare a soluzioni arbitrarie, perché sarebbero alcuni
elementi casuali della protasi a influenzare la soluzione del quesito, se per l’agente
sicuro dell’esito della sua azione aveva ancora senso intraprenderla. A chiarimento
dell’assunto, si propone l’esempio di chi spara in direzione di una lepre,
rappresentandosi la possibilità di colpire il battitore che stana la selvaggina: ebbene, se
si ipotizzasse che l’agente al momento del fatto fosse certo di colpire il battitore invece
che la lepre, la prima formula porterebbe ad escludere il dolo eventuale, perché il
cacciatore vuole un arrosto di lepre, e non ha interesse a colpire il battitore (e quindi
probabilmente non avrebbe agito); se al contrario si ipotizzasse che l’agente fosse certo
di colpire, oltre alla lepre, anche il battitore, allora si potrebbe configurare il dolo
eventuale (qui si potrebbe dire che il reo avrebbe agito comunque)129.
Ma a ben vedere la clausola del ceteris paribus indica che l’unica domanda da
prendere in considerazione è la seconda, e cioè se il cacciatore avrebbe agito anche
nella certezza di colpire il battitore pur di ottenere il tanto desiderato arrosto di lepre130.
Insomma, non ci sono ragioni di principio per bandire i ragionamenti ipotetici
dallo strumentario concettuale del penalista131, considerando che sia le scienze
empiriche sia quelle sociali ne fanno utilizzo132. Ciò nonostante, i giudizi controfattuali
non sono tutti uguali133, variando la loro complessità – e la loro problematicità – a
seconda del numero e della tipologia delle formulazioni ipotetiche.
nella speranza di non realizzare l’evento collaterale: in questo caso, sarebbe stata configurabile solo la
colpa cosciente. A tal riguardo, R. VON HIPPEL, Die Grenze, cit., 119-120, rispose che una tale speranza
potrebbe certo esistere, ma difficilmente assurgere al rango di motivo decisivo per agire (e quindi tale da
escludere, secondo la sua concezione, il dolo eventuale). 128 R. VON HIPPEL, Die Grenze, cit., 120 nota 1. 129 G. JAKOBS, Strafrecht, cit., 274. 130 L’esempio del battitore è un ‘classico’ della dottrina del dolo eventuale: lo troviamo già in M. VON BURI,
Ueber die Begriffe des Vorsatzes und der Handlung, in Gerichtssaal, 1889, 427-428; ID., Vorstellung, cit., 245,
secondo il quale ci sarebbe dolo eventuale solo quando il cacciatore si rappresenta la possibilità di colpire
sia il battitore sia l’animale (nell’esempio di von Buri, un capriolo). 131 Del resto, come ricorda A. PAGLIARO, Il reato, cit., 98, anche l’imputazione del reato colposo sottintende
un giudizio controfattuale nel momento in cui si verifica se l’adempimento della regola cautelare avrebbe
consentito di evitare l’evento lesivo (c.d. problema del comportamento alternativo lecito). 132 Cfr. Ma DEL MAR DÍAZ PITA, El dolo eventual, Valencia, 1994, 174; G. PÉREZ BARBERÁ, El dolo eventual, cit.,
191. Secondo S. ALEO, Diritto penale, p.g., Padova, 2010, 286-287, la prima formula andrebbe respinta perché
fondata «fonda su un’ipotesi […] che, come tale, non può costituire dunque un criterio di verificabilità
empirica»: ma come si dirà subito nel testo, il profilo problematico non è costituito dall’ipotesi «come tale»,
ma dalla sua plausibilità assiologica e dai criteri in base ai quali corroborarla in modo convincente. 133 Di ciò non sembra tener conto G. CERQUETTI, Il dolo, cit., 269, nel momento in cui contesta il parallelo tra
la formula di Frank e l’accertamento della causalità, osservando che nel primo caso «le condizioni, gli
anelli causali, l’evento che tale rapporto ‘collega’ – e che non integrano un ‘rapporto’ – sono tutti
certamente da riscontrare nella realtà». Che la prima formula di Frank implichi un maggior numero di
23
Ad esempio, nella protasi del periodo ipotetico relativo alla causalità omissiva
la sostituzione del dato noto con quello fittizio consiste più precisamente nell’aggiunta
dell’azione doverosa omessa, ricavata a sua volta dalla posizione di garanzia (e
dall’obbligo di diligenza nei reati omissivi colposi): il che comporta una serie di
problemi – assenti nella causalità commissiva – relativi alla descrizione dell’azione
impeditiva, alla sua efficacia condizionante, ecc.134. Invece, nella protasi della prima
formula di Frank l’elemento ipotetico è eterogeneo rispetto a quello reale, dal momento
che l’agire in una condizione di certezza e l’agire in una condizione di dubbio sono
situazioni diverse sul piano sia teorico sia pratico135. Da ciò si potrebbe trarre la
conclusione che «se l’agente è capace di fronte a una determinata situazione e quella
situazione pone in essere, non ha importanza il fatto che non sarebbe stato capace di
fronte a una situazione diversa. Ragionare diversamente sarebbe come dire che Tizio
non è capace di fare un chilometro a piedi, sol perché non è capace di farne
cinquanta»136.
Inoltre, non va dimenticato che la prima formula richiede un giudizio ipotetico
di tipo predittivo, orientato verso il futuro (come si sarebbe comportato l’agente se…)137,
e non già esplicativo, rivolto al passato: l’interprete viene pertanto proiettato in una
realtà virtuale, e si sa che «i possibili mondi ipotetici sono tanti, il che ci costringe a
individuare il mondo controfattuale al quale deve riferirsi l’indagine giudiziaria»138.
Tutto ciò fa emergere due filoni d’indagine: innanzitutto, occorre descrivere con
maggiore attenzione i connotati del concetto sostanziale di dolo che la prima formula
di Frank è chiamata ad accertare; poi, bisogna fornire all’interprete gli strumenti per
elementi ipotetici rispetto alla teoria condizionalistica, è senz’altro vero: ma ciò non esclude la possibilità
di includerla nel novero dei ragionamenti controfattuali, considerando che a ben vedere anche le ipotesi
più semplici di condicio sine qua non devono comunque avvalersi di elementi irreali (cfr. M. DONINI, Il
garantismo della condicio sine qua non e il prezzo del suo abbandono. Contributo all’analisi dei rapporti tra
causalità e imputazione, in Riv. it. dir. proc. pen., 2011, 518-519). 134 Ancora C. E . PALIERO, La causalità dell’omissione, cit., p. 843-845. Sui recenti sviluppi del dibattito, la
letteratura è ovviamente sterminata: basti in questa sede il rinvio ai contributi raccolti in R. BARTOLI (a cura
di), Responsabilità penale, cit, 75-278. 135 G. JAKOBS, Strafrecht, cit., 274; G. FIANDACA, Sul dolo eventuale, cit., 156. Ma già F. ALIMENA, La colpa, cit.,
115. Cfr. anche T. BRESLAUER, Über die Abgrenzung der strafrechtlichen Schuldformen, Noske, Leipzig, 1911, 32,
secondo il quale il dolo sarebbe la risultante di almeno quattro fattori (il valore attribuito all’evento
perseguito e alla conseguenza collaterale lesiva; i rispettivi livelli di rappresentazione): di conseguenza,
l’innalzamento ipotetico del coefficiente cognitivo relativo all’evento collaterale comporterebbe, a parità
delle altre componenti, un’inevitabile variazione del grado del dolo. Da ultimo, M. N. MASULLO, Infortuni
(mortali), cit., 932, osserva che partendo dalla prospettiva della prima formula non si comprenderebbe «in
cosa si differenzierebbe l’atteggiamento volitivo nel dolo eventuale e nel dolo diretto - entrambi in
sostanza sorretti da una piena volontà di cagionare l’evento - e soprattutto come sia possibile che la
volontà di cagionare l’evento possa (e debba) restare ugualmente salda e determinata invece che affievolirsi
per effetto del diverso livello di previsione». Si tratta pertanto di spiegare il modo in cui l’equiparazione
ipotetica tra certo e possibile consente di cogliere quel quid che è proprio del dolo, e non della colpa (cfr. §
4). 136 F. ALIMENA, La colpa, cit., 115. 137 L. EUSEBI, Il dolo come volontà, cit., 119 e 179, parla (popperianamente) di previsione. 138 Così F. STELLA, Causalità omissiva, cit., 1079.
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formulare la prognosi sull’ipotetico comportamento dell’agente in condizioni di
certezza soggettiva. Cominciamo dal primo tema.
4. Formule di Frank e princìpi dell’imputazione dolosa.
Come sappiamo, secondo Frank il coefficiente di colpevolezza/rimproverabilità
del dolo consisterebbe nel non essersi lasciati distogliere dalla rappresentazione delle
conseguenze antigiuridiche della propria condotta (o addirittura nell’essersi lasciati
motivare dalle stesse)139. In questa prospettiva, il giudizio ipotetico servirebbe appunto
a verificare se lo stato di dubbio esprima o meno il medesimo disvalore della certezza
soggettiva, nel senso che per il reo sarebbe indifferente la conoscenza sicura o
probabile di un presupposto del reato oppure dell’esito delle proprie azioni, tanto da
dirsi: «le cose possono stare così o altrimenti, andare così o altrimenti, in ogni caso io
agisco»140.
Mentre alcuni hanno espresso il loro apprezzamento per questa seconda
formula, che estirpando «il dente avvelenato ipotetico» della prima141 sarebbe
finalmente riuscita a caratterizzare il dolo in termini di coefficiente psicologico
effettivo142, altri sono stati decisamente più critici. La seconda formula avrebbe
«peggiorato» la prima, perché il giudice dovrebbe non solo accertare un determinato
fatto psichico (ein bestimmter psychischen Thatbestand) – ossia se la rappresentazione del
possibile ha avuto il medesimo significato pratico della rappresentazione del certo –,
ma anche la valutazione di tale fatto operata dall’agente143; ma nella realtà convulsa
delle dinamiche esistenziali quest’ultimo potrebbe non avere il tempo di sviluppare
una riflessione così articolata: di conseguenza, salvo attribuirgli una valutazione che in
realtà non c’è mai stata, «in molti casi della vita, se non nella grande maggioranza, il
reo non dice quello che Frank gli fa dire»144.
Inoltre, in alcune circostanze la seconda formula parrebbe addirittura
contraddire la prima. Per un verso, chi antepone il raggiungimento del proprio
interesse egoistico alla potenziale lesione di un bene giuridico, ritenendo però
quest’ultima assai improbabile, non si dirà «le cose possono stare così o altrimenti,
andare così o altrimenti, in ogni caso io agisco» (seguendo la seconda formula, colpa
cosciente), anche se probabilmente si comporterebbe allo stesso modo in caso di sicura
previsione dell’evento lesivo (seguendo la prima formula, dolo eventuale); per un altro,
139 Non condivisibile, pertanto, la ricostruzione di A. DE MARSICO, Coscienza e volontà, cit., 29, secondo il
quale per Frank l’«essenza del dolo è nell’influsso causale della rappresentazione sull’azione della
volontà». Ciò invece vale per von Hippel, come si vedrà nel corso di questo paragrafo. 140 R. FRANK, Das Strafgesetzbuch18, cit., 190. 141 Per usare l’efficace espressione di H. GROSSMANN, Die Grenze, cit., 67. 142 E. KOHLRAUSCH, Die Schuld, cit., 201; H. GROSSMANN, Die Grenze, cit., 61; RUNCK, Dolus eventualis, cit., 18.
Contra, nel senso che anche la seconda formula conserverebbe un carattere ipotetico, A. ROSS, Über den
Vorsatz, cit., 88-89. 143 R. VON HIPPEL, Die Grenze, cit., 57 in nota. 144 A. COENDERS, Zur Schuldlehere, cit., 306-307; in termini analoghi, A. ROSS, Über den Vorsatz, cit., 89.
25
chi attribuisce maggiore importanza all’evento lesivo collaterale, in misura tale che in
caso di sicura previsione dell’evento non agirebbe (seguendo la prima formula, colpa
cosciente), potrebbe trovarsi in una situazione tale da dirsi: «per me è uguale (Mir ist
alles einerlei)» (seguendo la seconda formula, dolo eventuale)145, comportandosi come
quell’evaso che, braccato dagli inseguitori, esclama appunto: «uccidetemi, non mi
interessa! (Schießen Sie mich tot, mir ist es einerlei)»146.
Da qui la proposta interpretativa di considerare – in contrasto stavolta con
l’opinione ‘ufficiale’ di Frank – anche la seconda formula in chiave processuale, come
indizio dell’indifferenza dell’agente rispetto alle conseguenze della propria condotta147.
Sennonché, tale impostazione non si nasconde che lo schema della seconda formula
potrebbe ricomprendere situazioni psicologiche diverse148, e non tutte portatrici del
medesimo coefficiente di disvalore: quella di chi è davvero indifferente all’esito della
sua condotta; quella di chi ha la capacità di dominare la tensione dovuta all’incertezza;
quella di chi, privo di sangue freddo, si inganna con la speranza (infondata) che
l’evento non si realizzerà; infine, quella di chi non riesce a dominare la tensione, ma
allo stesso tempo è troppo onesto con se stesso per cullarsi in speranze infondate, e
attua in modo inconscio una strategia psicologica di rimozione del problema149.
Insomma, non si può dire che la seconda formula di Frank sia capace di
illustrare con la dovuta chiarezza il concetto sostanziale che la prima dovrebbe
contribuire a provare150. A ben vedere, neppure la transizione della formula ipotetica
145 H. GROSSMANN, Die Grenze, cit., 69-70. 146 L’esempio dell’evaso, che serve ad introdurre il meccanismo psicologico della rimozione, si trova in H.
GROSSMANN, Die Grenze, cit., 65. 147 K. ENGISCH, Untersuchungen, cit., 204-205. 148 Sull’ampiezza degli stati psichici riconducibili alla teoria positiva del consenso, H. GROSSMANN, Die
Grenze, cit., 63 ss. Prezioso lo schema riassuntivo di K. ENGISCH, Untersuchungen, cit., 205-206. 149 Beninteso, il coefficiente di disvalore di tali fatti psichici cambia a seconda del paradigma di
colpevolezza utilizzato. Ad esempio, secondo K. ENGISCH, Untersuchungen, cit., 207, la strategia di
rimozione potrebbe essere indice dell’elevata considerazione dell’agente per il bene giuridico oggetto di
lesione potenziale, e quindi non esprimere quella indifferenza che, secondo l’illustre A., costituisce la reale
essenza del dolo. Ma se invece si parte dal presupposto che «non si ha colpevolezza perché ci sono la
conoscenza degli estremi del fatto tipico e la coscienza dell'illiceità, ma perché manca la fedeltà al diritto»
(G. JAKOBS, Gleichgültigkeit als dolus indirectus in ZStW, 2002, 586), può anche apparire incomprensibile
l’esclusione del dolo nel caso del terrorista al volante che sfonda un blocco stradale senza essere nemmeno
sfiorato dal dubbio di uccidere un poliziotto (esempio simile già in G. JAKOBS, Strafrecht, cit., 259, dove però
– segno dei tempi! – l’automobilista era un ubriaco; cfr. anche H. H. LESCH, Dolus directus, indirectus und
eventualis, JA, 802-803). Con ciò non si vuole certo aderire alla contestata concezione sistemico-funzionale
dello studioso tedesco, ma solo osservare che la colpevolezza può oscillare tra una dimensione empirico-
descrittiva e una normativo-ascrittiva, e quindi non è sempre chiaro quando debba prevalere il dato
psicologico e quando invece quello valutativo (per qualche spunto, volendo, G. GENTILE, Un’aggravante per
i reati culturalmente motivati?, cit., 68 ss.). 150 Sul punto, M. MASUCCI, ‘Fatto’ e ‘valore’ nella definizione del dolo, Giappichelli, Torino, 2004, 40 in nota,
secondo il quale «l’insistenza con cui Frank ribadisce la “dimostrabilità” della nozione da lui offerta del
dolo eventuale sembra avere la funzione di bilanciare la non raggiunta completezza dell’indagine sui
criteri che dovrebbero precisare l’equivalenza tra la rappresentazione della possibilità e quella della
certezza del realizzarsi della fattispecie: nel senso, appunto, che alla nozione sostanziale si affianca quella
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da criterio descrittivo a strumento conoscitivo è perfettamente riuscita, perché se
andiamo a rileggere lo scritto sulla costruzione del concetto di colpevolezza del 1907 ci
accorgiamo che nel dolo eventuale la differenza tra certo e probabile è priva di
significato per l’agente perché in ogni caso egli avrebbe agito (prima formula in chiave
‘sostanziale’), mentre nella colpa cosciente spera oppure è convinto che l’evento non si
verificherà151. Invece nelle edizioni successive del commentario Frank si limita a dire
che nel dolo eventuale il livello del coefficiente cognitivo è indifferente per la
formazione della volontà senza più spiegare il perché, insistendo invece sulla
dimostrabilità di tale dato psichico (prima formula in chiave processuale). Ma in questo
modo abbiamo un concetto sostanziale dai contorni indefiniti, potendo la nozione di
indifferenza ricomprendere stati psichici espressivi di diverso disvalore, e uno
strumento processuale privo di una ratio riconoscibile, non avendo Frank spiegato
perché l’ipotetico agire in condizioni di certezza soggettiva sarebbe indice di quel
«consenso, approvazione, accordo» che costituirebbe l’elemento differenziale tra dolo
eventuale e colpa cosciente. Né ci giunge in soccorso la ‘quarta formula’152, inserita
nell’ultima edizione del commentario («l’agente si dice: è possibile che l’evento accada
e acconsento alla sua verificazione»153): analogamente all’indifferenza154, anche il
consenso, l’approvazione, l’adesione interiore, ecc. sono tutti stati emozionali155
di una situazione suscettibile di prova, la quale, senza sostituirsi alla prima, dovrebbe completarla e
renderla esperibile». 151 R. FRANK, Über den Aufbau, cit., 545. Nella coeva edizione dello Strafgesetzbuch5-7, cit., 133, si legge che lo
stato di dubbio potrebbe avere un «contenuto negativo» e uno positivo, e che sarebbe la prevalenza del
primo a escludere il dolo: come nel caso di chi spara al toro che sta per travolgere un bambino,
consapevole della possibilità di colpire quest’ultimo, ma alla fine convinto che ciò non accadrà. Ma in
questo modo ci si incammina lungo una strada – la tesi della ‘previsione negativa’ di M. GALLO, Il dolo.
Oggetto e accertamento, in Studi urb., 1951-1952, 220-221; M. GALLO, voce Dolo, cit., 792; M. GALLO, Appunti,
II-2, cit., 121 – che può portare ad un esito interpretativo opposto a quanto Frank ha sempre sostenuto, e
cioè l’equivalenza tra dubbio e dolo. Forse è per questo motivo che il passo sarà presente solo nell’edizione
successiva dello Strafgesetzbuch8-10, cit., 142, per poi scomparire. A conferma dell’ipotesi giova riprendere la
variante dell’esempio in esame formulata nella 18a edizione del commentario (cfr. § 2, all’ultimo
capoverso). Nel criticare la Wahrscheinlichkeitstheorie, Frank osserva che chi spara al toro, e riesce nel suo
intento, non deve rispondere di omicidio tentato pur essersi rappresentata la probabilità di colpire anche
l’uomo: qui non si parla più di previsione negativa, e il motivo implicito dell’esclusione del tentato
omicidio è dato dalla Einwilligungstheorie, ossia dalla mancanza dell’adesione interiore all’evento lesivo. 152 Quarta se si considera come terza formula il già ricordato (cfr. § 2) seguente passo, presente solo nelle
prime edizioni del commentario: «Se invece l’agente si dice: se io sapessi che così dovrebbe essere o
andare, mi asterrei dall’agire – allora il dolo eventuale non sussiste, e si può parlare al massimo di colpa». 153 R. FRANK, Das Strafgesetzbuch18, cit., 191 (cfr. l’ultimo capoverso del § 2). 154 Ha ricollegato la prima formula di Frank alla nozione di Gleichgültigkeit, K. ENGISCH, Untersuchungen,
cit., 197 ss. 155 Se davvero di questo si tratta, e non piuttosto di criteri normativi di imputazione: sul punto, L. EUSEBI,
La prevenzione dell’elemento non voluto. Elementi per una rivisitazione dogmatica dell’illecito colposo e del dolo
eventuale, in Studi in onore di Mario Romano, II, Napoli, 2011, 977; I. PUPPE, Strafrecht A.T., I, Die Lehre vom
Tatbestand, Rechtswidrigkeit, Schuld, Baden-Baden, 2002, 295 (ma non nella seconda edizione del manuale,
che ha un taglio più didattico).
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suscettibili di declinazioni diverse, dal vero e proprio compiacimento156 a un
atteggiamento più ‘neutrale’, compatibile persino con un rifiuto emozionale
dell’evento157.
Più articolata, invece, la spiegazione del meccanismo della prima formula
offerta da von Hippel158. Lo studioso muove dalla constatazione che il linguaggio
comune sarebbe impreciso, e quindi l’espressione «volontà dell’evento» non potrebbe
fornire soluzioni chiare nelle questioni ‘di confine’ tra dolo e colpa159. Da ciò la
necessità di procedere in maniera «induttiva»160, analizzando a fondo i casi in cui,
secondo il linguaggio comune, «è sicura» la volontà di un certo evento (ossia quando
quest’ultimo è preso di mira), per poi passare agli altri, più problematici (eventi
sgraditi, indifferenti). Ebbene, quando l’agente prende di mira alcune conseguenze, o le
valuta positivamente161, la rappresentazione di queste ultime eserciterebbe un influsso
causale sulla formazione della risoluzione volitiva (Willensentschluss): nessun dubbio
che tali conseguenze vadano ascritte a titolo di dolo (nella terminologia di von Hippel,
diretto162). Avrebbero un’analoga influenza anche le conseguenze sgradite o
indifferenti, perché seguendo lo schema della causalità omissiva alla rappresentazione
di queste c.d. condizioni non impedienti dovrebbe sostituirsi la rappresentazione di
condizioni impedienti, tali da paralizzare la risoluzione volitiva163.
Ebbene, un tale obbligo sussisterebbe sempre quando le conseguenze sgradite o
indifferenti sono necessariamente collegate a quelle prese di mira o valutate
156 Ma in questo modo il dolo eventuale si trasformerebbe in una sorta di dolo intenzionale: così, tra gli
altri, C. ROXIN, Strafrecht, cit., 453; S. CANESTRARI, Dolo eventuale, cit., 46. 157 Come fu stabilito nel 1955 in BGHSt 21, 369, la celebre decisione relativa al c.d. caso della cinghia di
cuoio (Lederriemenfall), si avrebbe approvazione «in senso giuridico» anche quando l’evento non è
desiderato: che in questo modo si attribuisca al predicato billigen (approvare, appunto) un significato ben
diverso da quello che gli è proprio nel linguaggio comune, è ben evidenziato, tra gli altri, da A. ROSS, Über
den Vorsatz, cit., p. 103 e da W. HASSEMER, Kennzeichen des Vorsatzes, (1989), trad. it., Caratteristiche del dolo, in
Ind. pen., 1991, 491 nota 46. Su tale decisione, oltre al sempre prezioso commento di C. ROXIN, Zur
Abgrenzung, cit., 209 ss., cfr. per tutti R. RAGUÉS I VALLÈS, El dolo, cit., p. 84-88, e qui altri riferimenti. 158 Per un’analisi critica, si rinvia a E. KOHLRAUSCH, Die Schuld, cit., 202 ss.; T. BRESLAUER, Über die
Abgrenzung, cit., 16 ss.; A. LÖFFLER, Die Abgrenzung, cit., 135 ss.; W. LACMANN, Wille und Wollen, cit., 789 ss.;
ID., Die Abgrenzung, cit., 157 ss.; H. GROSSMANN, Die Grenze, cit., 79 ss.; A. DE MARSICO, Coscienza e volontà,
cit., 56 ss. 159 R. VON HIPPEL, Die Grenze, cit., 41-42 e 105. 160 R. VON HIPPEL, Vorsatz, cit., 513. 161 Negli esempi proposti da R. VON HIPPEL, Die Grenze, cit., 77 nota 1; ID., Vorsatz, cit., 492 nota 1, non è
sempre chiara la differenza tra conseguenza dell’azione e motivo (sulla decisione di scalare una montagna
avrebbe un influsso decisivo il godimento della vista, coadiuvante la ricerca di fiori rari; sulla decisione di
accoltellare qualcuno avrebbe un influsso decisivo l’odio per il rivale, coadiuvante la stima degli altri
soldati, ecc.). In ogni caso, la differenza tra le conseguenze prese di mira e quelle valutate positivamente
sarebbe che solo la mancata rappresentazione delle prime farebbe venir meno la risoluzione volitiva. Da
qui la critica di A. LÖFFLER, Die Abgrenzung, cit., 143 nota 32, che le conseguenze coadiuvanti non sarebbero
vere e proprie «condizioni» nell’accezione propria della condicio sine qua non, proprio perché potrebbero
essere eliminate senza che l’evento (qui, la risoluzione volitiva) venga meno. 162 L’espressione comprende in questo caso sia le conseguenze prese di mira, sia quelle rappresentate in
termini di certezza: R. VON HIPPEL, Deutsches Strafrecht, cit., 311. 163 R. VON HIPPEL, Die Grenze, cit, 139-140; ID., Vorsatz, cit, 507-508.
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positivamente 164. Invece, quando le conseguenze indifferenti o sgradite sono previste
come possibili, bisognerebbe distinguere: vi sarebbe dolo eventuale quando l’agente
preferisce alla rinuncia dei propri interessi il verificarsi dell’evento preso di mira
assieme alla conseguenza lesiva collaterale, colpa cosciente quando la speranza che
l’evento non si sarebbe verificato ha fornito il motivo determinante per intraprendere
l’azione165; tale speranza non potrebbe mai essere decisiva nel caso delle conseguenze
indifferenti166, mentre nel caso di quelle sgradite andrebbe utilizzata la prima formula
di Frank, secondo il ragionamento controfattuale già illustrato167; bisognerebbe
pertanto eliminare mentalmente la speranza che l’evento non si verifichi (in una certa
misura sempre presente nel caso delle conseguenze sgradite), e domandarsi se l’agente
avrebbe agito ugualmente pur sapendo di realizzare con certezza gli estremi del fatto
di reato: in caso di risposta positiva, il dolo eventuale sarebbe provato perché la
speranza non avrebbe avuto un’influenza decisiva sulla condotta dell’agente168;
insomma, sia nel dolo eventuale, sia nella colpa cosciente l’agente si rappresenta come
possibili alcune conseguenze sgradite, e ciò nonostante agisce: la differenza starebbe
nel fatto che nel dolo eventuale l’agente antepone i propri interessi all’eventualità di
infrangere l’ordinamento giuridico, e questa scelta esprime egoismo; nella colpa
cosciente, invece, è decisiva la speranza che l’evento lesivo collaterale non si
verificherà, e quindi non si avrebbe più egoismo, ma solo leggerezza169.
Per quanto attiene alle premesse metodologiche, la tesi esposta ha colto
l’ambiguità di fondo che nasconde l’apparentemente univoca nozione di «volontà
dell’evento»170.
Già sotto il profilo semantico171, infatti, si definisce talvolta ‘voluto’ non solo il
risultato preso di mira, ma anche quello che consegue a una situazione rischiosa alla
quale l’agente si sia sconsideratamente esposto172: «Tu l'as voulu, Georges Dandin!»173,
amavano ripetere i colleghi di Frank e von Hippel174.
164 R. VON HIPPEL, Vorsatz, cit., 494; ID., Deutsches Strafrecht, cit., 310-311. Tale connessione necessaria si
avrebbe in tre casi: quando tra la conseguenza sgradita è quella desiderata sussiste un rapporto di mezzo a
fine (per scalare una montagna bisogna affrontare un impervio tragitto); quando la prima è accessoria alla
seconda (la sosta in uno scomodo rifugio); quando la prima è un’ulteriore conseguenza della seconda (il
tragitto di ritorno). 165 R. VON HIPPEL, Vorsatz, cit., 506; ID., Deutsches Strafrecht, cit., 313. 166 R. VON HIPPEL, Vorsatz, cit., 502; ID., Deutsches Strafrecht, cit., 315. Infatti, se per il soggetto la verificazione
dell’evento è indifferente, di certo non spererà nella sua mancata realizzazione. 167 Cfr. § 3. 168 R. VON HIPPEL, Deutsches Strafrecht, cit., 316. 169 R. VON HIPPEL, Die Grenze, cit., 141-143; ID., Vorsatz, cit., 509-501; ID., Deutsches Strafrecht, cit., 317. 170 Un’ampia ricognizione storico-filosofica dei diversi fenomeni ricondotti a tale concetto in C-. F.
STUCKENBERG, Vorstudien zu Vorsatz und Irrtum im Völkerstrafrecht. Versuch einer Elementarlehre für eine
übernationale Vorsatzdogmatik, Berlin, 2007, 211 ss. 171 Pone l’accento sui rischi di una dogmatica appiattita sulla lingua corrente, «meno ricca e meno precisa
del linguaggio giuridico specialistico», W. HASSEMER, Kennzeichen, trad. it. cit., 487 nota 30. Sulle differenze
tra i due linguaggi cfr. anche W. FRISCH, Vorsatz und Risiko, cit., 259 e K. ENGISCH, Untersuchungen, cit., 30. 172 Cfr. ad esempio E. SCHMIDHÄUSER, Strafrechtlicher Vorsatzbegriff und Alltagssprachgebrauch, in Festschrift
für Dietrich Oehler, Köln-Berlin-Bonn-München, 1985, 139; I. PUPPE, § 15/24, in Nomos Kommentar-
29
Se poi consideriamo gli esiti interpretativi diametralmente opposti ai quali sono
recentemente giunti gli studiosi che hanno affrontato il tema del dolo con l’ausilio delle
discipline extragiuridiche175, una chiara nozione di volontà non pare emergere neppure
dalla psicologia e dalla filosofia: da un lato si sostiene infatti che «la consolidata e
dominante psicologia scientifica utilizza il termine ‘volontà’ dell’evento (o delle
conseguenze dell’azione) […] con riferimento sia all’evento intenzionale, sia all’evento
previsto come conseguenza della propria azione certa, o anche probabile e possibile,
purché “secondo l’intenzione”»176; dall’altro, al contrario, che la volontà sarebbe intesa
come «orientamento dell’individuo ad un risultato, nei termini non già di un puro
desiderio, ma di un concreto attivarsi (o di un altrettanto finalizzato ’non’ attivarsi) per
il conseguimento di uno scopo»177.
Insomma, abbiamo a disposizione due possibili accezioni del termine «volontà»,
l’una («psicologico-descrittiva») secondo la quale solo i risultati intenzionalmente
perseguiti sono voluti, l’altra («ascrittivo-normativa») che ricomprende anche le
conseguenze sgradite, purché rappresentate178.
Strafgesetzbuch, Baden-Baden, 2010, 605. Se si ammette l’ambiguità descritta, non si può più dirsi con
certezza che il dolo eventuale sarebbe un’estensione analogica della nozione di volontà (così invece A.
MANNA, Colpa cosciente e dolo eventuale: l’indistinto confine e la crisi del principio di stretta legalità, in Studi in
onore di Franco Coppi, 2011, 206 ss.). 173 MOLIÈRE, George Dandin ou le Mari confondu (1668), Atto I, scena VII, dove si legge: «Vous l’avez voulu,
vous l’avez voulu, George Dandin, vous l’avez voulu, cela vous sied fort bien, et vous voilà ajusté comme il faut; vous
avez justement ce que vous mérite (l’hai voluto tu, George Dandin, l’hai voluto tu, l’hai voluto tu, ti sta bene,
ed eccoti servito come si deve; hai proprio quello che ti meriti)». La battuta, diventata proverbiale nella
forma riportata nel testo, è pronunciata dal protagonista George Dandin dopo che non è riuscito a
dimostrare il tradimento della bella moglie. 174 Cfr. ad esempio C. STOOS, Dolus eventualis, cit., 200; M. FINZI, «Previsione senza volizione», cit., 166 (a
proposito delle conseguenze sgradite, ma necessariamente collegate a quelle perseguite); L. VON BAR,
Gesetz und Schuld, cit., 338 (osservando che solo «nel senso volgare» della celebre battuta si potrebbe
ricomprendere il dolo eventuale nella nozione di volontà); F. SCHAFFSTEIN, Die Behandlung der Schuldarten
im ausländischen Strafrecht seit 1908, Breslau, 1928, 5 (secondo il quale i penalisti italiani di inizio novecento
intendevano la parola «volere» nell’accezione usata da Molière); di recente, I. PUPPE, § 15/24, cit., 605.
Contro l’utilizzo ‘metaforico’ dell’espressione si era già espresso K. ENGISCH, Untersuchungen, cit., 223. 175 Si allude alle già citate monografie di L. EUSEBI, Il dolo come volontà, cit., 13 ss. e di G. CERQUETTI, Il dolo,
cit., 51 ss., 63 ss. Non si include in questo discorso la monografia di E. MORSELLI, Il ruolo dell’atteggiamento
interiore nella struttura del reato, Padova, 1989, 30 ss., 42 ss., 137 ss., nella quale il sapere extragiuridico è
funzionale a superare il «dogma della volontà». Esprime perplessità sul ricorso ad altre scienze per la
definizione dell’essenza psicologica del dolo, G. P. DEMURO, Il dolo, II, L’accertamento, Milano, 2010, 78 ss. 176 G. CERQUETTI, Il dolo, cit., 72. 177 L. EUSEBI, Il dolo come volontà, cit., 27. Cfr. anche M. RONCO, Le radici metagiuridiche del dolo eventuale, in
Studi in onore di Mario Romano, II, cit., 1197. 178 I. PUPPE, § 15/23, cit., 604. In senso conforme, H. OTTO, Der Vorsatz, in Jura, 1996, 470. Nel momento in cui
si accoglie questa premessa, è inevitabile ammettere che già nel dolo diretto siamo di fronte a
un’estensione normativa del concetto (psicologico-descrittivo) di volontà: per questa conclusione, già A.
LÖFFLER, Die Abgrenzung, cit., 140; M. FINZI, «Previsione senza volizione», cit., 166; K. ENGISCH,
Untersuchungen, cit., 230; M. GALLO, Il dolo, cit., 215; più di recente, L. EUSEBI, Il dolo, cit., 56; ID., Appunti sul
confine fra dolo e colpa nella teoria del reato, in Riv. it. dir. proc. pen., 2000, 1087; H. H. LESCH, Dolus, cit., 806.
30
Di fronte a quest’alternativa, non si può raccomandare l’utilizzo della prima
formula di Frank solo perché consentirebbe di escludere il dolo in quei casi (quello di
chi con la propria guida scriteriata cagiona un incidente mettendo a rischio anche la
propria vita, quello dell’imprenditore che viola le norme a tutela della sicurezza dei
suoi dipendenti, quello del marito sieropositivo che ha rapporti non protetti con la
moglie, esponendola a contagio, ecc.)179 in cui il rimprovero di «aver voluto uccidere»
sarebbe incompatibile «con il senso comune – meglio, con il buon senso, dal quale è
opportuno che le soluzioni tecniche non si distacchino mai in misura radicale,
specialmente in una materia densa di implicazioni etiche come il diritto penale»180.
Che il ‘buon senso’ della collettività si opponga all’ascrizione dolosa dell’evento
letale nei casi citati dalla dottrina in esame è, a dire il vero, tutto da dimostrare181. Basti
pensare all’indignazione che ha accompagnato la sentenza di secondo grado del caso
Thyssenkrupp182, ‘rea’ di aver derubricato il fatto da omicidio volontario a omicidio
colposo aggravato (senza che ciò abbia influito in modo determinante sul quantum di
pena inflitto)183. Già i titoli di alcuni giornali184 – rappresentanti e allo stesso tempo
‘ispiratori’ dell’opinione pubblica – evidenziano la distanza che ci separa dai tempi in
cui Franz von Liszt sentiva il bisogno di dire ai suoi colleghi: «probabilmente nessuno
di noi ha mai preso sul serio l’affermazione ricorrente nella stampa dell’ultimo anno
che il dolo eventuale sarebbe un’invenzione di giuristi dottrinari e reazionari»185!
Del resto, considerando che «dolo e colpa sono, inevitabilmente, anche il
risultato di giudizi di ascrizione normativa, per loro natura intrisi — piaccia o non
179 È la casistica presa in considerazione da F. VIGANÒ, La giurisprudenza, cit., § 2 e 3. Per un’analisi critica
delle giurisprudenza ancora più approfondita si rinvia a A. AIMI, Dolo eventuale e colpa cosciente al banco di
prova della casistica, in questa Rivista, 17 giugno 2013; M. RONCO, Dolo, preterintenzione e colpa: fondamento e
struttura, in ID. (a cura di), Commentario sistematico al codice penale, 2-1, Il reato, 2007, 501 ss.; A. MADEO, Il dolo
nella concezione «caleidoscopica» della giurisprudenza, in Riv. it. dir. proc. pen., 2010, 846 ss. 180 Così, F. VIGANÒ, La giurisprudenza, cit., § 3.4. Se non m’inganno, la tesi sottintende l’autorevole
insegnamento secondo il quale i criteri di imputazione della colpevolezza «sono, in larga misura, lo
‘specchio giuridico’ di criteri di attribuzione della responsabilità praticati nella vita di tutti i giorni»: così,
G. MARINUCCI, E. DOLCINI, Corso di diritto penale, 1, Le norme penali: fonti e limiti di applicabilità. Il reato:
nozione, struttura e sistematica, Milano, 2001, 649, riprendendo W. HASSEMER, Principio di colpevolezza e
struttura del reato, in Arch. pen., 1982, 46. 181 Non va dimenticato che i «modelli ed i contenuti dei rapporti interumani possono essere a volte
pericolosi e irrazionali – e ciò è vero soprattutto per quei modelli che riguardano l’attribuzione della
responsabilità»: così. W. HASSEMER, Principio, cit., 47. 182 Cfr. § 1. 183 Osserva condivisibilmente che nelle vicende di grande impatto mediatico sembra contare più la
qualificazione giuridica astratta che non le conseguenze sanzionatorie, D. PIVA, “Tesi” e “antitesi”, cit., 206-
207. 184 A titolo esemplificativo, S. CASELLI, Thyssen, fiamme sulla sentenza: pena ridotta per l'ad, in Il Fatto
Quotidiano, 1° marzo 2013; G. CASO, Dal primo grado passo indietro. Non fu solo negligenza, in L’Unità, 1°
marzo 2013; C. GANDOLFI, Gli sconti per la Thyssen un baratto sulla sicurezza, in La Repubblica, 1° marzo 2013;
F. GRECO, Rogo Thyssen, pene ridotte in appello. Urla e proteste in aula, in Il Sole24ore, 28 febbraio 2013. Toni e
contenuti diversi, non a caso, quando a scrivere è un (grande) giurista: C. F. GROSSO, Le ragioni di una
sentenza, in La Stampa, 1° marzo 2013. 185 F. VON LISZT, Die Behandlung des dolus eventualis im Strafrecht und im Strafprozeß, in Verhandlungen des
Vierundzwanzigsten Deutschen Juristentages, I, Berlin, 1897, 132.
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piaccia — di elementi valutativi e di preoccupazioni politico-criminali»186, non è
neppure detto che il ‘buon senso’ degli stessi giuristi prediliga un’accezione meno
‘normativa’ di volontà: e la diversità di opinioni che a volte sussiste in merito alla
soluzione di singoli casi ne è la prova187.
Appurato che non basta far leva sulla «volontà dell’evento» per spiegare il
fondamento della prima formula di Frank, riprendiamo la pars construens della tesi di
von Hippel.
Indubbiamente, essa non può essere accolta nei suoi termini originari, troppo
legati a una fase del pensiero penalistico in cui i profili psicologici non sono ancora ben
distinti dalle questioni di imputazione. Basti pensare alla macchinosa argomentazione
con la quale von Hippel cerca di giustificare il modo in cui la rappresentazione delle
conseguenze sgradite influirebbe sulla risoluzione volitiva188. Ebbene, invece di
immaginare ipotetiche ‘condizioni impedienti’ che avrebbero dovuto indurre l’agente
ad astenersi, dal punto di vista psicologico è più lineare ammettere che la previsione di
conseguenze sgradite esercita piuttosto una spinta contraria a quella delle conseguenze
gradite o prese di mira189. Ma anche sul piano normativo la tesi non convince, perché
un’efficacia motivante del precetto penale sul comportamento dei consociati deve
postularsi sempre, a prescindere che la conseguenza – ovviamente elemento di una
fattispecie incriminatrice190 – sia gradita o meno191.
Non sono rimasti esenti da critiche neppure il criterio della ‘speranza decisiva’ e
il collegamento tra dolo e egoismo, come dimostrano due ‘casi’ tra i più celebri della
storia dogmatica del dolo192.
Il primo, formulato da Löffler, è ispirato a un fatto realmente accaduto193.
Alcuni mendicanti russi, volendo usare un bambino rapito per chiedere l’elemosina, lo
186 G. FIANDACA, Sfrecciare col «rosso» e provocare un incidente mortale: omicidio con dolo eventuale?, in Foro it.,
2009, II, 419. Da ultimo, conclude che «il dolo non si forma nella testa dell’agente, ma nella testa del
giudice», C. ROXIN, Über den «dolus eventualis», in Studi in onore di Mario Romano, II, cit., 1215 (come aveva
detto giusto un secolo prima E. ROSENFELD, Schuld, cit., 469, a proposito della colpevolezza normativa).
Invita invece a riportare «integralmente il dolo a stati psichici effettivi, interpretabili naturalmente secondo
le massime di esperienza ricavabili in base alla valutazione dell’agire umano», M. RONCO, Commento all’art.
43, in M. RONCO, B. ROMANO (a cura di), Codice penale ipertestuale, Torino, 2012, p. 318. 187 Per limitarsi alla prassi in materia di incidenti stradali, basta confrontare la posizione tendenzialmente
critica di F. VIGANÒ, La giurisprudenza, cit., § 3.4 con quella più favorevole di P. PISA, Incidenti stradali, cit., 18
ss., il quale osserva che l’«unico punto discutibile» della sentenza Ignatiuc (cfr. § 1) sarebbe «costituito dal
riferimento alla cd. formula di Frank», e così commenta l’affermazione di Fiandaca citata nella nota
precedente: «E se questo significa privilegiare la componente conoscitiva del dolo e “oggettivizzarne” la
ricostruzione mi si consenta di dire che non mi pare un’inaccettabile deviazione dai principi, ma un
ragionevole esercizio interpretativo». 188 Per la critica, W. LACMANN, Wille und Wollen, cit., 791-792; L. EUSEBI, Il dolo, cit., 146-147. 189 A. LÖFFLER, Die Abgrenzung, cit., 146 e nota 39; A. DE MARSICO, Coscienza e volontà, cit., 63-64. 190 Ciò che non sempre accade negli esempi formulati da von Hippel: cfr. A. DE MARSICO, Coscienza, cit., 58. 191 Si sofferma sui rapporti tra colpevolezza e funzione motivante del diritto, F. PALAZZO, Corso di diritto
penale, Torino, 2013, 430 ss. 192 Per una rassegna ragionata dei ‘casi’ più discussi in dottrina, cfr. E. MEZGER, Strafrecht, cit., 347 ss. e L.
JIMÉNEZ DE ASÚA, Tratado, cit., 618 ss. 193 A. LÖFFLER, Die Körperverletzung, cit., 368 in nota, dichiara di averlo tratto da un articolo di giornale.
32
avevano accecato e mutilato in modo da suscitare maggiore pietà: ma a causa delle
gravi ferite inferte, il bambino era morto194.
Löffler ipotizza una variante del caso, ossia che i mendicanti riprovino
«l’esperimento» più volte, sempre con il medesimo tragico risultato195. Seguendo il
ragionamento di von Hippel, il dolo eventuale andrebbe escluso in ogni caso, perché a
prescindere dal grado del pericolo i mendicanti agirebbero nella speranza (decisiva)
che l’evento non si verificherà, per il semplice fatto che «non si può utilizzare un
bambino morto per l’elemosina». Conclude Löffler: limitarsi a riconoscere in questi casi
il concorso tra lesioni volontarie e omicidio colposo sarebbe contrario alla «coscienza
giuridica»196.
Il secondo è conosciuto come Schießbuden-fall (caso del tiro a segno), oppure è
legato al nome del suo inventore, Lacmann:
a un giovane sono promessi venti marchi, a condizione che sparando riesca a togliere
una sfera di vetro dalla mano della signorina del tiro a segno senza ferire quest’ultima. Il
giovane sa di non essere un buon tiratore e si dice: «molto probabilmente colpirò la
mano della ragazza, ma allora mi darò facilmente alla fuga; ma se alla fine riesco a
colpire la sfera, allora i venti marchi saranno per me un buon affare». Il giovane spara e
colpisce la mano della ragazza197.
Lacmann osserva che applicando la tesi di von Hippel il fatto andrebbe
imputato a titolo di colpa, perché il giovane non avrebbe sparato se fosse stato sicuro di
colpire la ragazza. Ma a ben vedere il coefficiente di colpevolezza espresso dalla
condotta del giovane non sarebbe quella «leggerezza» che secondo von Hippel è
propria della colpa cosciente. Il giovane si sarebbe astenuto dall’agire perché non aveva
interesse a ferire la ragazza198, e non perché ne avesse a cuore l’incolumità: «non è la
leggerezza che lo spinge a sparare […], ma solo un brutale disprezzo dell’altrui
integrità fisica rispetto alla prospettiva del suo guadagno»; in altre parole, l’egoismo199.
Le critiche, espresse da due esponenti della Wahrscheinlichkeitstheorie200, sono
pertanto rivolte alla prima formula di Frank nella versione rielaborata da von Hippel, allo
194 A. LÖFFLER, Die Körperverletzung, cit., 368 in nota. 195 A. LÖFFLER, Die Körperverletzung, cit., 368 in nota; ID., Die Abgrenzung, cit., 149 ss., dove è ripresa solo la
variante del caso. 196 A. LÖFFLER, Die Abgrenzung, cit., 145. Nel nostro ordinamento, ci sarebbe invece spazio per l’omicidio
preterintenzionale. 197 W. LACMANN, Die Abgrenzung, cit., 159; sostanzialmente, ID., Über die Abgrenzung, cit., 119 (dove è
specificata l’ambientazione del fatto – una fiera – e accentuato il ragionamento utilitaristico del giovane,
che infatti si dice: «mi conviene molto!»). 198 Vale la pena di sottolineare che, a differenza della versione tramandata negli studi successivi (cfr. ad
esempio K. ENGISCH, Untersuchungen, cit., 201; I. PUPPE, Der Vorstellungsinhalt,, cit., 4; H-. H. JESCHECK, T.
WEIGEND, Lehrbuch, cit., 303; C. ROXIN, Strafrecht, cit., 461), il giovane non ha scommesso venti marchi. In
effetti, introducendo quest’ultimo elemento, diventa ancora più facile arguire che il giovane non avrebbe
sparato. 199 W. LACMANN, Die Abgrenzung, cit., 160; ID., Über die Abgrenzung, cit., 119. 200 Cfr. K. ENGISCH, Untersuchungen, cit., 107 e 201; R. RAGUÉS I VALLÈS, El dolo, cit., 68. Si spiega così
l’insistito riferimento, in entrambi gli esempi, al grado di probabilità di verificazione dell’evento.
33
scopo di evidenziarne alcune contraddizioni interne. L’esempio di Löffler vuole infatti
dimostrare che in presenza di un grado elevato di pericolo (i mendicanti hanno più
volte praticato i loro turpi esperimenti)201, il criterio della speranza non porterebbe a
risultati assiologicamente soddisfacenti202. Con lo Schießbuden-fall, invece, Lacmann
vuole evidenziare che la prima formula di Frank entra in contraddizione con la tesi di
von Hippel sui rapporti tra dolo ed egoismo.
Sennonché, il trascorrere del tempo ha fatto dimenticare il contesto di queste
critiche203, e a volte i casi di Löffler e di Lacmann204 sono considerati indiscutibilmente
dolosi205, tanto che la soluzione opposta ricavata dalla prima formula di Frank sarebbe
talmente incongrua da non meritare un’ulteriore confutazione206. Ma l’enfatico appello
di Löffler alla nostra «coscienza giuridica»207 non deve farci dimenticare che «i limiti
del dolo eventuale […] dipendono almeno in parte da una valutazione normativa»,
sicché «non sembrano sussistere ragioni logiche o di razionalità sistematica che
impongano a priori di ricondurre i casi descritti al dolo»208. In altri termini,
l’inquadramento giuridico dei casi proposti da Löffler e Lacmann dipende dal concetto
di dolo eventuale assunto a parametro di riferimento209.
201 Non è chiaro se A. LÖFFLER, Die Körperverletzung, cit., 368 in nota, ravvisi il dolo eventuale anche nel caso
reale. 202 A proposito del criterio della speranza, osserva S. CANESTRARI, Dolo eventuale, cit., 45, che «non appare
invero accettabile un trattamento più mite nei confronti del reo che, pur avendo consapevolmente ‘messo
in conto’ l’esito dannoso della sua condotta illecita, coltiva una semplice speranza, priva di solidi punti di
appoggio, di non cagionare l’offesa». 203 Con la parziale eccezione di G. PÉREZ BARBERÁ, El dolo eventual, cit., 183-184 e di R. RAGUÉS I VALLÈS, El
dolo, cit., 68 (relativamente al caso di Lacmann). 204 In particolare, il caso proposto da L. PHILLIPS, Dolus eventualis als Problem der Entscheidung unter Risiko in
ZStW, 1973, 29, di chi tortura qualcuno per estorcergli un’informazione, provocandone la morte. 205 Ad esempio, E. CORREIA, Direito criminal, cit., 384; H-.H. JESCHECK, T. WEIGEND, Lehrbuch, cit., 303; S.
CANESTRARI, Dolo eventuale, cit., 46; I. PUPPE, § 15/39, cit., 608, secondo la quale il Lacmann’sche Fall
dimostrerebbe che nei pochi casi in cui è possibile stabilire come si sarebbe comportato l’agente sicuro di
realizzare l’evento, la formula di Frank porterebbe comunque a un risultato errato, ossia quello
dell’esclusione del dolo: in questo modo dando per scontato che si tratti di un’ipotesi dolosa (diversa
lettura del caso Lacmann in I. PUPPE, Der Vorstellungsinhalt, cit., 4-5). 206 Cfr. M. ROMANO, Commentario, cit., 443; G. DE VERO, Dolo eventuale, colpa cosciente e «costruzione separata»
dei tipi criminosi, in Studi in onore di Mario Romano, II, Napoli, 2011, 888; ID., Corso di diritto penale, I, Torino,
2012, 490; A. CADOPPI, P. VENEZIANI, Elementi, cit., 310; G. PÉREZ BARBERÁ, El dolo eventual, cit., 191-192
(riferendosi al caso dei mendicanti). 207 A. LÖFFLER, Die Abgrenzung, cit., 145 (e nota 36). In merito, cfr. le perplessità di H. GROSSMANN, Die
Grenze, cit., 79-80. 208 L. EUSEBI, Il dolo come volontà, cit., 185-186; ID., La prevenzione, cit., 981. Osserva C. S. NINO, Los límites, cit.,
136, che risolvere il caso dei mendicanti nel senso della colpa può «contrariare le nostre valutazioni
intuitive, ma è forse la soluzione preferibile alla luce di certi princìpi fondamentali della responsabilità
penale». 209 Ad esempio, ravvisano il dolo eventuale nel caso di Lacmann, P. BOCKELMANN, K. VOLK, Strafrecht. A. T.,
München, 1987, 82 ss. (che individuano il fondamento del dolo nella ‘scorrettezza’ – Fehlerhaftigkeit –
manifestata dall’agente che persegue i propri scopi di fronte alla previsione di realizzare un evento
disapprovato dall’ordinamento giuridico); A. PECORARO-ALBANI, Il dolo, cit., 147 (il quale accenna alla
necessità di riscontrare la «tipica risoluzione del dolo eventuale in ordine alle lesioni della ragazza»); S.
34
Va a questo punto presa in considerazione la concezione di dolo eventuale che
maggiormente rispecchia la logica della prima formula di Frank, e cioè quella proposta
da Luciano Eusebi, che ha sviluppato in termini più raffinati l’intuizione di von Hippel
sui rapporti tra rappresentazione e risoluzione ad agire. La prima formula di Frank
intenderebbe «verificare l’attitudine che avrebbe avuto, nel contesto in cui si è mosso
l’agente, una particolare ragione per non agire, più intensa di quella effettivamente
operativa (la sostanziale certezza, piuttosto che la mera possibilità di cagionare l’evento
preveduto), rispetto alla ragione per agire (la prospettiva di ottenere un certo risultato)
che abbia dato causa alla condotta tenuta dall’agente»210. Tale spiegazione vuole
pertanto valorizzare l’atteggiamento psicologico di chi, «ex ante, non soltanto è
disposto a correre un rischio, dando luogo a un azzardo, ma ha messo in conto che per
l’obiettivo cui mira la sua condotta il prezzo costituito dal realizzarsi dell’evento possa
essere pagato[…], tanto che non desisterebbe dalla condotta neppure ove il prodursi di
un simile evento fosse sicuro»211.
Il succitato atteggiamento psicologico prescinde dalle ragioni – più o meno
apprezzabili – che avrebbero spinto il reo all’astensione in caso di previsione sicura 212.
È chiaro che nel caso di Lacmann o in quello dei mendicanti l’indisponibilità ad agire
in caso di certezza soggettiva dipenderebbe da motivi egoistici, e non dal rispetto per il
bene giuridico offeso213. Ciò sarebbe sicuramente rilevante in una visione valutativa,
mentre sul piano strettamente psicologico ci si dovrebbe limitare a verificare se la spinta
ad agire del giovane o dei mendicanti fosse così intensa da resistere anche alla
controspinta motivazionale di un’ipotetica previsione in termini di certezza. Pertanto, la
critica che la prima formula porterebbe a escludere il dolo eventuale nei casi in cui
l’obiettivo perseguito è in totale o parziale antagonismo con l’evento lesivo
collaterale214 è senz’altro comprensibile in un’ottica politico-criminale215, ma non è così
scontata quando si sceglie di valorizzare il dato psicologico indicato da Eusebi.
Ma a ben vedere anche il ragionamento che si sta illustrando presenta alcuni
profili valutativi216. La stessa scelta del dato psichico da ricondurre allo schema del
dolo eventuale non è infatti neutrale, ma è a sua volta dettata da considerazioni politico-
PROSDOCIMI, Dolus eventualis, cit., 34 (con riferimento all’accettazione del rischio nella versione
‘comparativa’); C. ROXIN, Strafrecht, cit., 461 (menzionando il criterio della realizzazione del piano). 210 L. EUSEBI, Il dolo come volontà, cit., 178. 211 L. EUSEBI, Appunti, cit., 1089. 212 L. EUSEBI, Il dolo come volontà, cit., 186. 213 Spiega infatti G. FIANDACA, Sul dolo eventuale, cit., 156, che per il giovane del caso di Lacmann «le
possibilità di successo» sono «più importanti sul piano motivazionale rispetto al rischio di insuccesso». 214 Tra gli altri, H-.H. JESCHECK, T. WEIGEND, Lehrbuch, cit., 303; S. CANESTRARI, Dolo eventuale, cit., 48; P.
VENEZIANI, Motivi, cit., 142 nota 85; A. CADOPPI, P. VENEZIANI, Elementi di diritto penale, p.g., Padova, 2012,
310. 215 Così come lo è quella di H-. H. JESCHECK, Aufbau und Stellung des bedingten Vorsatzes im Verbrechensbegriff,
in Existenz und Ordnung. Festschrift für Erik Wolf zum 60. Geburtstag, Frankfurt am Main, 1962, 484; H-.H.
JESCHECK, T. WEIGEND, Lehrbuch, cit., 302-303, che la prima formula di Frank limiterebbe eccessivamente
l’ambito operativo del dolo. 216 Il che è inevitabile, perché il dolo consiste pur sempre in un criterio di imputazione della responsabilità
(«pur non riducendosi a pura ascrizione»): così, M. DONINI, Teoria del reato, cit., 321 in nota.
35
criminali, e quindi normative217. Infatti, la posizione di Eusebi muove dalla premessa
normativa che «l’ancoramento alla realtà — anche alla realtà psicologica, non meno
effettiva, nonostante le difficoltà probatorie, di quella fisica —» è essenziale
«all’operatività di una buona politica criminale»218; da ciò l’opportunità politica di
incentrare il dolo su un dato psichico verificabile, da identificarsi nella volontà di cui
all’art. 43, 1° alinea, c.p. intesa in senso empirico-psicologico; a questo punto, mentre la
forma intenzionale sarebbe l’espressione tipica del dolo, quella diretta e quella
eventuale costituirebbero estensioni normative219, che per mantenere un rapporto di
somiglianza con l’ipotesi-base dovrebbero comunque poggiare su dati psichici
assimilabili: nel dolo diretto l’evento, anche se non voluto, si dà per scontato220; nel dolo
eventuale, il soggetto «è disposto a tener ferma la sua condotta a costo del realizzarsi
dell’evento»221.
Ma il fondamento della prima formula di Frank che si è così delineato non
risulta più giustificato se mettiamo in discussione il primo assunto, nel senso che la
dogmatica potrebbe rinunciare all’idea del dolo come dato psichico senza per questo
pervenire a esiti illiberali222; oppure il secondo, osservando che la nozione codicistica di
volontà non è così chiaramente connotata in senso descrittivo-psicologico223; o ancora il
terzo, chiedendoci «se il carattere ipotetico dello schema concettuale di individuazione
del dolo eventuale non renda sostanzialmente fittizia la parificazione di
quell’atteggiamento psichico alla volontà», potendo quest’ultimo essere «qualche cosa
di strutturalmente diverso così dalla volontà come dalla non-volontà del fatto, così dal
dolo come dalla colpa»224.
Insomma, la prima formula di Frank mira ad accertare un dato psichico effettivo,
che però assume rilevanza sulla base di una scelta di carattere normativo; partendo da
diversi modelli di dolo, la condizione psichica di chi sarebbe disposto ad agire anche
nella certezza di realizzare l’evento non è significativa ai fini dell’imputazione dolosa,
perché «sarebbe come dire che Tizio non è capace di fare un chilometro a piedi, sol
217 Lo riconosce lo stesso L. EUSEBI, Il dolo come volontà, cit., 181, il quale osserva che si potrebbe anche non
attribuire rilevanza giuridica allo stato psicologico da accertarsi per mezzo della prima formula di Frank
(beninteso, nel momento in cui si rinunciasse alla categoria del dolo eventuale). Cfr. anche L. EUSEBI,
Appunti, cit., 1055 nota 5: « Altro, del resto, è una definizione nitida, controllabile sul piano politico-
criminale, delle conseguenze che si vogliano riferite ai diversi status psicologici del soggetto autore di
reato, altro è l’ammissione di una manipolabilità descrittiva degli status suddetti, che pregiudica la
coerenza delle conseguenze summenzionate e ostacola, comunque, la lettura delle opzioni politico-
criminali ad esse effettivamente soggiacenti». 218 L. EUSEBI, Appunti, cit., 1053. 219 L. EUSEBI, Il dolo come volontà, cit., 56. 220 L. EUSEBI, Appunti, cit., 1087. 221 L. EUSEBI, Appunti, cit., 1089. 222 È il recente tentativo intrapreso da G. PÉREZ BARBERÁ, El dolo eventual, cit., 635 ss.; ID., Vorsatz als Vorwurf.
Zum Abkehr von der Idee des Vorsatzes als Geistezustand, in GA, 2013, 454 ss. 223 G. CERQUETTI, Il dolo, cit., 53 ss. 224 F. PALAZZO, Corso, cit., 310.
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perché non è capace di farne cinquanta»225. Con ciò non si è scoperto nulla di nuovo:
già dall’articolo di Frank del 1890 emerge chiaramente che la distinzione tra ‘dubbio
doloso’ e ‘dubbio colposo’ non è dogmatica, ma politico-criminale226, e che la prima
formula ‘funziona’ presupponendo determinate nozioni di dolo, e non altre227.
In ogni caso, anche assumendo la concezione di dolo eventuale compatibile con
la prima formula di Frank, si presenta comunque il noto problema della prova: come
dimostrare che l’agente avrebbe comunque agito?
5. Profili probatori.
Frank sa bene che «la prova del fuoco di una teoria giuridica sarà sempre la sua
utilità pratica»228, e nelle ultime edizioni del suo commentario insiste sul fatto che il
dolo eventuale, oltre a dover essere provato (beweisbedürftig), è altresì dimostrabile
(beweisbar). Il procedimento è ormai noto: prima bisogna accertare come sono andate
veramente le cose, e cioè che l’agente si è rappresentato come possibili gli estremi del
fatto di reato; se questa prova è raggiunta, ci si chiede come si sarebbe comportato in
caso di conoscenza sicura. La risposta a tale quesito non deve farsi dipendere
semplicemente dal carattere del reo, ma essenzialmente dal modo in cui egli si pone di
fronte al suo scopo concreto229.
Come sappiamo230, Frank volle subito precisare lo scarso valore probatorio del
carattere del reo per sottrarsi all’obiezione mossagli da von Bar231, e in seguito
ripetutagli molte volte: in mancanza di parametri oggettivi in base ai quali esprimere
una prognosi affidabile sul comportamento dell’agente232, il giudizio ipotetico richiesto
dalla prima formula si incentrerebbe inevitabilmente su elementi estranei alla condotta
225 F. ALIMENA, La colpa, cit., 115. In altri termini: sarebbe come dire che per aversi dolo eventuale si deve
vincere non solo la più debole controspinta rappresentata dalla previsione in termini di dubbio, ma anche
quella della rappresentazione certa. Bisogna riconoscere che se si accetta l’idea di F. ALIMENA, La colpa, cit.,
129, che il dubbio è già dolo, diventa in effetti incomprensibile il motivo per richiedere nel dolo eventuale
una risoluzione ad agire particolarmente ‘resistente’: cfr. in tal senso H. SCHRÖDER, Aufbau, cit., 234 (non a
caso autorevole sostenitore della Möglichkeitstheorie). 226 Cfr. gli esempi formulati da Frank nel § 1. 227 Istruttiva la polemica tra R. FRANK, Vorstellung, cit., 212 ss. e L. VON BAR, Die Lehre, cit., 34-35 nota 5, della
quale si è dato conto nel § 2. Se si parte dall’assunto che chi mangia una spezia poco digeribile non ‘vuole’
star male, allora il peculiare stato psicologico di chi avrebbe agito anche nella certezza dell’evento diventa
irrilevante, perché viene meno il trait d’union con la forma-base del dolo intenzionale, ossia il dolo diretto:
prevedere un evento in termini di certezza non è più ‘come’ volerlo, e quindi non importa sapere cosa
avrebbe fatto l’agente in tale condizione. 228 R. FRANK, Vorstellung, cit., 223. 229 R. FRANK, Das Strafgesetzbuch18, cit., 190. 230 Cfr. § 2. 231 L. VON BAR, Dolus eventualis, cit., 550. 232 A. DE MARSICO, Coscienza e volontà, cit., 76; M. GALLO, Il dolo, cit., 220; M. A. SANCINETTI, Teoría del delito,
cit., 166; P. VENEZIANI, Motivi, cit., 143; F. M. IACOVIELLO, Processo di parti e prova del dolo, in Criminalia, 2010,
465; A. CADOPPI, P. VENEZIANI, Elementi, cit., 310; F. PALAZZO, Corso, cit., 311.
37
realmente tenuta dell’agente, e in particolare sulla sua personalità, in plateale contrasto
con il principio di colpevolezza per il fatto233.
In effetti, la logica del tipo d’autore sembra presiedere agli esempi proposti da
Frank, non comprendendosi bene perché il bandito che prova la gittata del suo fucile
avrebbe comunque sparato se fosse stato certo di colpire l’altro uomo234. Né può
ignorarsi l’apprezzamento mostrato nei confronti della prima formula da parte di Otto
Tesar235, esponente di una concezione ‘sintomatica’ del diritto penale orientata a
considerare il fatto di reato quale chiave d’accesso all’interiorità del reo236.
Ma prima di esprimere valutazioni definitive è opportuno riprendere l’analisi
strutturale della prima formula di Frank237. Sappiamo che si tratta di un condizionale
controfattuale, e che il quesito indicato dalla protasi implica un giudizio prognostico
relativo all’ipotetico comportamento dell’agente238. Momento di tale giudizio ex ante è
quello immediatamente precedente alla condotta, per l’ovvia considerazione che
233 L’obiezione è stata ripresa frequentemente: tra gli altri, W. LACMANN, Die Abgrenzung, cit., 157 ss.; A.
LOFFLER, Die Abgrenzung, cit., 153 ss.; A. DE MARSICO, Coscienza e volontà, cit., 32 nota 1; K. ENGISCH,
Untersuchungen, cit., 193; G. BETTIOL, Sulle presunzioni, cit., 375 (ma in ID., Diritto penale, Padova, 1982, 483,
la formula è esposta senza alcun commento); A. PECORARO-ALBANI, Il dolo, cit., 336; ID., Lehrbuch, cit., 303; E.
GIMBERNAT ORDEIG, Acerca, cit., 253; S. PROSDOCIMI, Dolus eventualis, cit., 14; G. FORTE, Ai confini, cit., 251;
G. CERQUETTI, Il dolo, cit., 267; G. DE VERO, Corso, cit., 490; A. MANNA, Corso, cit., 349-350; G. FIANDACA, Sul
dolo eventuale, cit., 156; G. DE FRANCESCO, L’enigma, cit., 1984-1985. Nel senso che l’indagine sulla
personalità non porterebbe necessariamente a un diritto penale dell’autore, v. invece J. BELEZA DOS SANTOS,
Crimes, cit., 52; R. BARTOLI, Brevi considerazioni, cit., 31-32; G. PÉREZ BARBERÁ, El dolo eventual, cit., 190-191. 234 Ritiene H. GROSSMANN, Die Grenze, cit., 77, che, applicando la prima formula di Frank, il bandito
dovrebbe rispondere di omicidio colposo. Non convince il rilievo di K. ENGISCH, Untersuchungen, cit., 201
nota 43, secondo il quale l’esempio in esame non avrebbe niente a che fare con la prima formula di Frank:
il rilievo accosta impropriamente l’esempio del bandito con quello, riportato in R. FRANK, Strafgesetzbuch17,
cit., 183 (18a edizione, 191) di chi si propone di uccidere una persona sparando da lunga distanza senza essere
sicuro di farcela. 235 Cfr. O. TESAR, Gesetzestechnick und Strafrechtschuld, in ZStW, 1911, 403. 236 Per questa definizione, C. ROXIN, Strafrecht, cit., 180. Anche K. ENGISCH, Untersuchungen, cit., 197 ss.,
aveva inteso la prima formula di Frank quale strumento indiziario per accertare l’indifferenza –
Gleichgültigkeit – dell’agente (da Engisch ritenuta il fondamento del dolo). Nonostante le precisazioni
contenute in K. ENGISCH, Untersuchungen, cit., 463 ss., ritiene E. MORSELLI, Il ruolo, cit., 69, che anche la
Gleichgültigkeitstheorie sarebbe alla fine assimilabile alla concezione sintomatica, «in quanto non riesce a
distanziare adeguatamente l’atteggiamento interiore quale ‘momento del singolo fatto concreto’ da una
‘caratteristica permanente della personalità’». 237 Cfr. § 3. Si adotta, come detto, lo schema di F. ANGIONI, Il pericolo concreto, cit., 100 in nota, ripreso tra gli
altri da G. MARINUCCI, Fatto e scriminanti. Note dommatiche e politico-criminali, in Riv. it. dir. proc, pen., 1983,
1223-1225 nota 124-bis; I. GIACONA, Il concetto d’idoneità nella struttura del delitto tentato, Torino, 2000, 213 ss.,
351 ss.; G. MARINUCCI, E. DOLCINI, Manuale di diritto penale. P.G., Milano 2012, 406 ss. Chiaramente ho
ripreso solo la terminologia, riguardando queste opere la prognosi del pericolo o dell’idoneità degli atti nel
tentativo (ma per un’applicazione nell’ambito delle scriminanti cfr. G. V. DE FRANCESCO, La proporzione nello
stato di necessità, Napoli, 1978, 177 nota 37, e già qui una chiara distinzione tra momento e base del giudizio
ex ante). 238 Ai fini strutturali, non mi sembra rilevante distinguere il caso in cui la protasi riguardi dati fattuali già
esistenti (come nella ricettazione: cfr. § 1) da quello relativo a eventi futuri. In senso contrario, ma sulla
base dell’argomento politico-criminale dei problemi che si presentano nei casi di fallimento del piano, D.
BRUNELLI, Il diritto penale, cit., 129.
38
diversamente la formula di Frank darebbe sempre esito positivo (avendo il reo agito
nella realtà). Trattandosi di un problema di imputazione soggettiva, la base del giudizio
prognostico non potrà che essere essere parziale, e quindi il giudice dovrà prendere in
considerazione le sole circostanze conosciute239 dall’agente storico subito prima della
condotta240.
Il profilo più delicato del giudizio controfattuale attiene ai criteri della prognosi.
A tal riguardo, l’obiezione classica è che la formula di Frank implicherebbe una
concezione deterministica dell’agire umano241: in teoria, per capire come ci si sarebbe
comportati in una determinata circostanza si dovrebbero ridurre a entità misurabili i
sentimenti, le motivazioni, il carattere, ecc.; ma nella realtà ciò sarebbe impossibile,
perché l’uomo non si comporta sempre in modo razionale, né reagisce agli stimoli
esterni sempre allo stesso modo; di conseguenza, il fattore motivazionale potrebbe
essere valutato solo in relazione a una situazione reale, e mai a una ipotetica242.
Sennonché, tali rilievi possono essere ridimensionati individuando i criteri del
giudizio prognostico in massime di esperienza «fondate sull’assunto secondo cui, nelle
medesime condizioni, gli uomini (di un certo tipo) si comportano ordinariamente allo
stesso modo», e funzionali a desumere dal contesto situazionale e personale nel quale si
è realizzata la condotta «l’insufficienza del fattore rappresentato dalla certezza di
produrre l’illecito a controbilanciare la ragione per agire costituita dalla prospettiva che
abbia dato causa alla condotta medesima»243.
Com’è noto, le massime di esperienza consentono di stabilire delle
generalizzazioni relative ai comportamenti umani attraverso paradigmi inferenziali,
senza però atteggiarsi a leggi causali244, soprattutto in un ambito – quello dei processi
psicologici – in cui parlare di ‘causalità’ sarebbe secondo molti improprio245. Inoltre, le
239 Chiaramente non anche quelle conoscibili, trattandosi di dolo e non di colpa. 240 Che «per risolvere problemi di imputazione al soggetto attivo» sia coerente selezionare «le circostanze
esistenti al momento dell’azione e conosciute in quel momento dal soggetto attivo», è autorevolmente
evidenziato da G. MARINUCCI, Fatto, cit., 1224 in nota. 241 L. VON BAR, Gesetz und Schuld, cit., 331; A. LÖFFLER, Die Abgrenzung, cit., 154-155; I. PUPPE, § 15/38, cit.,
608. Per inciso, R. VON HIPPEL, Willensfreiheit und Strafrecht, Berlin, 1903, 6 ss., si era confrontato con il tema
del determinismo. 242 A. LÖFFLER, Die Abgrenzung, cit., 155; in altro contesto, A. DE MARSICO, Coscienza e volontà, cit., 75,
entrambi citando W. WILDELBAND, Über Willensfreiheit, Tübingen-Leipzig, 1904, 37. 243 L. EUSEBI, Il dolo come volontà, cit., 180, il quale in nota 22 precisa che i dati personali potrebbero valutarsi
solo in bonam partem. I motivi di tale precisazione sono comprensibili – in questo modo non si può
obiettare alla prima formula di essere espressione di un diritto penale dell’autore –, ma forse ne andrebbe
precisato il fondamento normativo: non è infatti scontato che il favor rei sia un criterio interpretativo
sempre valido, specie nelle questioni dogmatiche (per una sintesi del dibattito sulla valenza del favor rei,
cfr. L. MASERA, Accertamento alternativo ed evidenza epidemiologica nel diritto penale. Gestione del dubbio e profili
causali, Milano, 2007, 325 nota 24; più di recente, S. SARTARELLI, Sulle “tracce” del favor rei nella discrezionalità
causale, Bologna, 2012, 154 ss.). 244 Sulla differenza tra legge scientifica e regola di esperienza, per tutti P. TONINI, C. CONTI, Il diritto delle
prove penali, Milano, 2012, 54 ss. 245 Cfr. tra gli altri L. CORNACCHIA, Il problema della causalità psichica rispetto ai condizionamenti mentali, in S.
CANESTRARI, G. FORNASARI (a cura di), Nuove esigenze di tutela nell’ambito dei reati contro la persona, Bologna,
2001, 198 ss.; M. RONCO, Le interazioni psichiche nel diritto penale: in particolare sul concorso psichico, in Ind.
39
stesse massime si reggono sul presupposto della razionalità dell’essere umano246,
perché ciò rende possibile affermare la probabilità che una persona, posta in una
determinata situazione, si comporterà allo stesso modo delle altre. Beninteso,
l’applicazione di una massima di esperienza deve tener conto di tutte le circostanze
concrete247, e quindi il giudice «deve applicare quella regola che meglio si attaglia al
caso di specie, e non quella che appare la più probabile in astratto»248: per questo
motivo, è il processo «il luogo in cui si formano dialogicamente, attraverso il
contradditorio tra le parti, i discorsi possibili volti a stabilire inferenze ragionevoli»249.
Si può pertanto replicare al rilievo secondo il quale la prima formula di Frank
non terrebbe conto dell’imprevedibilità e dell’irrazionalità umana: per un verso, le
massime di esperienza non pretendono di spiegare i comportamenti umani in chiave
determinista; per un altro, il presupposto della razionalità dell’uomo sul quale si
basano vale fino a prova contraria, e cioè non deve essere smentito dalle circostanze
concrete della vicenda processuale. Ovviamente, le massime di esperienza «indicano
soltanto che vi è la probabilità che un’altra persona, in una situazione simile, possa
essersi comportata in modo identico»250: trova pertanto conferma quell’intuizione
dottrinale che aveva declinato la misura del giudizio prognostico in termini appunto di
probabilità, e non di certezza251.
A dispetto delle apparenze, il giudizio controfattuale che si è descritto non
comporta, in sede processuale, difficoltà maggiori di quelle che si presentano in ogni
serio accertamento dell’elemento psicologico del reato. Come insegna Frank, bisogna
innanzitutto provare il coefficiente rappresentativo, e cioè lo stato di dubbio252; poi,
pen., 2004, 815 ss., 834 ss.; D. CASTRONUOVO, Fatti psichici e concorso di persone. Il problema dell’interazione
psichica, in G. De Francesco, C. Piemontese, E. Venafro (a cura di), La prova dei fatti psichici, Torino, 2010,
190 ss. ; F. ARGIRÒ, Le fattispecie tipiche di partecipazione. Fondamento e limite della responsabilità concorsuale,
Napoli, 2012, 35 ss. 246 Così, F. M. IACOVIELLO, Processo di parti, cit., 469 ss., il quale individua «i fondamentali criteri di
inferenza» nel principio di normalità, secondo il quale «si parte da ciò che è normale, non da ciò che è
eccezionale», e nel «principio di razionalità» , che innerverebbe «tutto il sistema giuridico: c’è la razionalità
del legislatore (art. 3 Cost.), la razionalità dell’imputato e del condannato (art. 27 Cost), la razionalità del
giudice (art. 111 Cost., che prevede la motivazione)». Cfr. anche A. AIMI, Dolo eventuale, cit.. 47, che
ricollega alcune massime di esperienza (di cui subito nel testo) a un «principio di razionalità elementare, per il
quale le scelte di ciascuno sono, in linea di massima, orientate all’ottenimento del massimo risultato
sperato con il minimo sacrificio, certo o potenziale, dei propri interessi». 247 Per tutti, G. MARINUCCI, E. DOLCINI, Manuale, cit., 309. 248 P. TONINI, C. CONTI, Il diritto delle prove penali, Milano, 2012, 53. 249 M. RONCO, Le interazioni, cit., 842. Nello stesso senso, M. MENNA, Formazione e previsione degli argomenti
giustificativi della decisione, in Dir. pen. proc., 2003, 1549 ss. 250 P. TONINI, C. CONTI, Il diritto, cit., 52. 251 J. BELEZA DOS SANTOS, Crimes, cit., 51 ss. Del resto, si sa che gli accertamenti fondati sull’esperienza non
possono essere sorretti da asserzioni in termini di «certezza oggettiva», ma solo da «giudizi di
verosomiglianza»: così, in altro contesto, V. DE FRANCESCO, Sulla misura soggettiva della colpa, in Studi urb.,
1977-78, 286. 252 Fin qui non dovrebbero sorgere peculiari problemi probatori, considerando che «gli indizi relativi al
conoscere dell’imputato si lasciano trovare più facilmente di quelli relativi al suo volere» (così, H. VEST, Zur
Beweisfunktion des materiellen Strafrechts im Bereich des objectiven und subjectiven Tatbestandes, in ZStW, 1991,
40
l’obiettivo prefissatosi dall’agente, e cioè la prospettiva finalistica che ne ha motivato la
condotta; infine, si deve capire se tale scopo sarebbe per il reo talmente importante da
indurlo ad agire anche a costo di cagionare con certezza un reato; per provare
quest’ultimo passaggio, occorre considerare alcune massime di esperienza253, e cioè che
di solito non si agirebbe quando il fatto di reato che si realizza: a) è sproporzionato
rispetto all’obiettivo conseguito254; b) contrasta con lo stesso255; c) comporta immediate
conseguenze lesive ai danni dello stesso autore256; come sempre, si tratta di massime di
esperienza che devono essere contestualizzate, per verificare la loro compatibilità con
la situazione concreta: non può infatti escludersi che la presunzione di razionalità
dell’agire umano sottesa a questi assunti del senso comune venga smentita dalle
peculiarità del caso di specie.
Come si anticipava, niente di ignoto alla prassi in materia di dolo eventuale,
tant’è vero che le segnalate massime di esperienza possono essere utilizzate a
prescindere da un esplicito utilizzo della prima formula di Frank. Si pensi alla sentenza
di primo grado relativa al caso Spaccarotella257: l’esclusione del dolo eventuale è stata
motivata dalla Corte prendendo le mosse dal fondamento logico delle massime di
esperienza, ossia la razionalità dell’agire umano: «in mancanza di indici inequivoci» il
ricorso a tali regole imporrebbe, «in ipotesi in applicazione del principio in dubio pro
reo, di ritenere che le cose si siano svolte secondo quello che appare il loro corso
normale»258. Nel caso di Spaccarotella, nessun elemento fattuale (le buone condizioni di
visibilità, l’abilità dell’imputato a sparare, la traiettoria di tiro, lo scopo perseguito, ecc.)
si sarebbe posto in contrasto con la spiegazione (ritenuta) più razionale, e cioè che
l’agente non volesse uccidere nessuno dei tifosi, ma solo impedirne la fuga; inoltre, «la
morte di taluno dei passeggeri si poneva palesemente come danno collaterale del tutto
eccentrico e alla fin fine in palese contraddizione rispetto al risultato che col proprio
agire» il poliziotto «si riproponeva di ottenere, quello cioè di far sì che i giovani si
fermassero per assicurarli alla giustizia» [massima sub b)]259.
606, a proposito della semplificazione probatoria che determina la Wahrscheinlichkeitstheorie); si sofferma
sulle ragioni che rendono più agevole la prova dell’elemento cognitivo, R. BARTOLI, Brevi note, cit., 30. 253 Sul punto, si rinvia ad A. AIMI, Dolo eventuale, cit., 49 ss., con ricca esemplificazione casistica (alla quale
ho attinto per gli esempi contenuti nelle note seguenti). 254 Ad esempio, sparare per scherzo in un luogo chiuso e uccidere così la propria figlia (Cass., Sez. I, 26
febbraio 1998, Held, in Riv. pen., 1998, 342 ss., che ha confermato la custodia cautelare dell’imputato per
omicidio volontario). 255 Oltre ai noti casi di Lacmann e di Löffler (cfr. § 4), si pensi al caso Ignatiuc (cfr. § 1), nel quale l’incidente
letale (a danno altrui) pone fine alla fuga dell’imputato e porta al suo arresto. 256 Si pensi al criminale in fuga che, cagionando un incidente stradale, pone a rischio la propria vita. In un
caso di tal genere, ha ritenuto configurabile l’omicidio volontario, G.U.P. Trib. Milano, 21 aprile 2004, A.A.,
in Corr. mer., 2005, 70 ss., con nota critica di F. VIGANÒ, Fuga ‘‘spericolata’’ in autostrada e incidente con esito
letale: un’ipotesi di dolo eventuale? 257 Cfr. § 1. 258 Ass. Arezzo, 14 luglio 2009, cit., 126. 259 Ass. Arezzo, 14 luglio 2009, cit., 130. Sul punto, G. P. DEMURO, Il dolo, cit., 500 ss.; identifica tale massima
con la prima formula di Frank, A. AIMI, Dolo eventuale, cit., 55; evoca invece la seconda formula, L.
BEDUSCHI, Omicidio, cit., 1244.
41
La stessa massima sub b) è stata decisiva per risolvere in chiave negativa il
giudizio controfattuale impostato dal Giudice di secondo grado nel caso
ThyssenKrupp: in quanto «imprenditore esperto, abituato a ponderare le proprie
decisioni nel tempo», l’imputato non poteva agire «in maniera tanto irrazionale» da
accettare la possibile verificazione di un evento che «non solo non avrebbe fatto
prevalere l’obiettivo perseguito ma avrebbe provocato un danno di tali dimensioni da
annullarlo e soverchiarlo totalmente»260.
In dottrina si è acutamente osservato che l’applicazione della massima in esame
«si riverbera dunque sul concetto di dolo eventuale»261. Si tratta in effetti di un parametro
inferenziale che non è compatibile con tutte quelle concezioni – e sono la larga
maggioranza – che nei casi di fallimento del piano riconoscono il dolo eventuale, ma
solo con quelle – minoritarie262 – che identificano quest’ultimo nello stato psicologico
sotteso alla prima formula di Frank, ossia nel «grado di resistenza della volontà
dell’agente rispetto alla certezza di provocare l’evento»263. Ma lo stesso discorso vale
per le altre due massime, che consentono di escludere il dolo eventuale laddove la
prassi tradizionalmente lo ammette264, ossia quando si ottiene un risultato
sproporzionato rispetto al proprio obiettivo o si mettono in pericolo interessi propri265.
A questo punto, si può concludere che le critiche rivolte alla prima formula di
Frank, apparentemente relative al suo funzionamento pratico, riguardino in realtà la
nozione di dolo eventuale che si vuole assumere a oggetto di prova266.
Va però fatta un’ultima osservazione. Nella prognosi relativa all’ipotetico
comportamento dell’agente potrebbero confluire elementi personalistici, potendosi ad
esempio affermare che avrebbe sparato in ogni caso l’agente di polizia che già
precedentemente aveva mostrato di essere ‘dal grilletto facile’. Per evitare che la sempre
incombente logica del tipo d’autore inquini l’accertamento del dato psicologico267,
260 Ass. App. Torino, 28 febbraio 2013, cit., 306. 261 G. DEMURO, Il dolo, cit., 503. 262 L. EUSEBI, Il dolo come volontà, cit., 185 ss.; ID., La prevenzione, cit., 980-981; F. VIGANÒ, La giurisprudenza,
cit., § 3.4; A. AIMI, Dolo eventuale, cit., 54 ss. 263 Ass. App. Torino, 28 febbraio 2013, cit., 301. A dire il vero, A. AIMI, Dolo eventuale, cit., 39 ss., fonda la
distinzione tra dolo eventuale e colpa con previsione sul criterio della decisione come risultato di un
bilanciamento, e interpreta la prima formula di Frank quale espressione della massima di esperienza sub
b). Volendo evidenziare una differenza (di forma, piuttosto che di contenuto) tra la linea argomentativa
prospettata nel testo e quella già sviluppata da Aimi, si potrebbe dire che mentre nella mia ricostruzione le
massime di esperienza a), b), e c) integrano i criteri del giudizio prognostico richiesto dalla prima formula,
in quella di Aimi la stessa è identificata con la massima sub b). 264 Cfr. ancora A. AIMI, Dolo eventuale, cit., 49 ss.; F. VIGANÒ, La giurisprudenza, cit., § 2 e 3. 265 Per usare la terminologia di G. P. DEMURO, Il dolo, cit., 516 -518. ; su quest’ultima massima, criticamente,
R. RAGUÉS I VALLÈS, El dolo, cit., 502. 266 Non a caso, la portata euristica delle massime in esame è molto contestata: per tutti, G. P. DEMURO, Il
dolo, cit., 500 ss., 516 ss.; A. AIMI, Dolo eventuale, cit., 50 nota 182 e 59 nota 205. 267 Basti ricordare la giurisprudenza analizzata da V. DE FRANCESCO, Il ‘modello analitico’ fra dottrina e
giurisprudenza: dommatica e garantismo nella collocazione sistematica dell’elemento psicologico del reato, in Riv. it.
dir. proc. pen., 1991, 111 ss. e da M. MASUCCI, ‘Fatto’ e ‘valore’, cit., 29 ss.
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risulta pertanto prezioso il limite che Frank pone alla prova della prognosi ipotetica,
ossia che quest’ultima non dovrebbe basarsi esclusivamente sul carattere del reo.
6. Uno sguardo di sintesi.
Vale la pena riepilogare in estrema sintesi i punti essenziali dell’indagine.
Sul piano storico, si è visto che la prima formula di Frank nasce per spiegare la
distinzione tra ‘dubbio doloso’ e ‘dubbio colposo’268. Non deve stupirci, allora, che essa
sia stata e sia tuttora criticata da chi ritiene che il dubbio debba in ogni caso riportarsi
alla sfera del dolo. Inoltre, la transizione da criterio strutturale a indice probatorio269
non ha fatto venir meno lo stretto legame che la prima formula presenta con il peculiare
modello di dolo che ne costituisce l’origine270.
Infatti, sul piano sostanziale la prima formula è incompatibile con tutte le
concezioni di dolo eventuale – la stragrande maggioranza – che non mirano ad
accertare la capacità della risoluzione ad agire di resistere anche alla controspinta
motivazionale dell’ipotetica certezza di realizzare un fatto di reato. Si tratta di un
coefficiente psichico che prescinde dai motivi che avrebbero portato l’agente ad
astenersi (sproporzione tra l’obiettivo prefissato e il reato commesso; fallimento del
piano, pregiudizio di propri interessi), e che quindi non corrisponde all’idea più
valutativa di dolo eventuale invalsa in dottrina e in giurisprudenza.
Sul piano concettuale, la prima formula di Frank si articola in un periodo
ipotetico dell’irrealtà composto da una protasi in cui si ipotizza che l’agente fosse
sicuro dell’esito delle sue azioni, e di un’apodosi in cui ci si chiede se in tal caso
avrebbe ancora agito o meno. I ragionamenti ipotetici sono abitualmente utilizzati dal
giurista (causalità, comportamento alternativo lecito), e in questi casi nessuno dubita
della loro funzionalità all’accertamento di dati reali. Attraverso la regola di giudizio
offerta dalla prima formula si vuole pertanto accertare lo stato psicologico effettivo di
chi sarebbe disposto a commettere un reato pur di realizzare il proprio ulteriore
obiettivo271.
Sul piano processuale, il quesito posto dall’apodosi si risolve attraverso l’impiego
di alcune massime di esperienza. Il procedimento probatorio non implica difficoltà
maggiori rispetto al ‘normale’ accertamento del dolo eventuale: la particolarità sta nelle
massime di esperienza utilizzate, le quali presuppongono una concezione di dolo
eventuale diversa da quella dominante. Non a caso, esse conducono allo stesso risultato
della prima formula di Frank, anche quando quest’ultima non è evocata
esplicitamente272.
268 Cfr. § 1. 269 Cfr. § 2. 270 Cfr. § 4. 271 Cfr. § 3. La struttura del giudizio prognostico (base, misura, momento, criteri) è delineata nel § 5. 272 Cfr. § 5.
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A questo punto, si può concludere che il dibattito sulla prima formula di Frank
non riguarda tanto la validità dogmatica di un criterio per accertare il dolo eventuale,
quanto una peculiare concezione di dolo eventuale. Dietro le critiche apparentemente
‘tecniche’ rivolte alla formula si nasconde spesso il dissenso sull’opportunità politica di
incentrare il dolo eventuale su di un dato psichico che non consente valutazioni di
ordine politico criminale. Pare pertanto opportuno che il dibattito si sposti su questi
temi, con la consapevolezza che l’actio finium regundorum del dolo è inevitabilmente
influenza da considerazioni etiche e politiche su ciò che si ritiene meritevole della forma
più grave di rimprovero conosciuta dal nostro ordinamento273.
273 Sul tema, da ultimo D. PULITANÒ, I confini del dolo. Una riflessione sulla moralità del diritto penale, in Riv. it.
dir. proc. pen., 2013, 22 ss.
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