rivista archi 1/2013
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rivista svizzera di architettura, ingegneriae urbanisticaSchweizerische Zeitschrift
für Architektur, Ingenieur-
wesen und Stadtplanung
1 / 2 0 13
L’edificio e il suolo Gebäude und Boden
Testi TexteBerlanda, I & A Ruby
Progetti ProjekteBaserga e Mozzetti + Ingegneri Pedrazzini Guidotti, Bonetti e Bonetti + Bernardoni, Coffari, Gianola,S & R Gmür, Könz Molo
SIA: Il 3 marzo è necessario sostenere la revisione della LPT
Valsecchi SA | Via Galli 22 - CH - 6600 Locarno (Switzerland) | T. +41 91 7511647 | 7516208 - F. +41 91 7516653
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Archi rivista svizzera di architettura, ingegneria e urbanisticafondata nel 1998, esce sei volte all’anno
ISSN 1422-5417, Tiratura REMP: 2668 copie
via Cantonale 15, 6900 Lugano – tel. 091 921 44 55
info@rivista-archi.ch – www.espazium.ch
Direttore Alberto Caruso AC
Coordinamento editoriale Stefano Milan SM
Assistente al coordinamentoTeresa Volponi TV
RedazioneMarco Bettelini MB, Debora Bonanomi DB, Andrea Casiraghi AnC,
Laura Ceriolo LC, Piero Conconi PC, Mercedes Daguerre MD,
Gabriele Neri GN, Andrea Pedrazzini AP, Andrea Roscetti AR,
Enrico Sassi ES, Stefano Tibiletti ST, Graziella Zannone Milan GZM
Redazione online Livia De Domizio LDD
Redazione comunicati SIA Sonja Lüthi, sonja.luethi@sia.ch
Impaginazione Silvana Alliata
CorrispondentiAndrea Bassi, Ginevra; Francesco Collotti, Milano
Jacques Gubler, Basilea; Ruggero Tropeano, Zurigo
Traduzioni italiano-tedescoAlexandra Geese AG
Correzione bozzeFabio Cani
Consiglio editorialeGiuliano Anastasi, ing. ETHZ, Locarno
Nicola Baserga, arch. ETHZ, Muralto
Valentin Bearth, arch. ETHZ, Coira
Marco Della Torre, arch. POLIMI, Milano-Como
Nicola Emery, filosofo, Collina d’Oro
Franco Gervasoni, ing. ETH, Bellinzona
Massimo Martignoni, ing. ETHZ, Lumino
Nicola Soldini, storico dell’architettura, Novazzano
Editore Verlags-AG der akademischen technischen Vereine
Staffelstrasse 12, 8045 Zurigo – tel. 044 380 21 55, fax 044 380 21 57
Walter Joos presidente; Katharina Schober, direttrice;
Hedi Knöpfel, assistente
Abbonamenti e arretrati Stämpfli Publikationen AG, Berna – tel. 031 300 62 57
fax 031 300 63 90, e-mail: abbonamenti@staempfli.com
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OTIA Ordine ticinese ingegneri e architetti, www.otia.ch
Associazioni garanti SIA Società svizzera ingegneri e architetti, www.sia.ch
FAS Federazione architetti svizzeri, www.architekten-bsa.ch
USIC Unione svizzera ingegneri consulenti, www.usic-engineers.ch
A3 Associazione diplomati dell’EPFL, http://a3.epfl.ch
ETH Alumni Ex allievi dell’ETH, www.alumni.ethz.ch
Stampa e rilegaturaStämpfli Publikationen AG, Berna
PubblicitàSvizzera italiana e Svizzera tedesca:
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La riproduzione, anche parziale, di immagini e testi,
è possibile solo con l’autorizzazione scritta dell’editore
e con la citazione della fonte.
Nel prossimo numero
Giardini periferici
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Dello stesso editore
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0 2 139e année / 30 janvier 2013 Bulletin technique de la Suisse romande
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1/ 2 013F E B B R A I O
In copertina: Luca Cof fari, casa monofamiliare a BiascaFoto Filippo Simonetti
Comunicati aziendaliInterni e designLa ricetta di atelier oïa cura di Gabriele Neri
L’edificio e il suoloa cura di Enrico Sassi
EditorialeIl suolo dell’architetturaAlberto Caruso
Groundscapes
Ilka & Andreas Ruby
L’incontro con il suolo nell’architettura ticineseTomà Berlanda
Casa monofamiliare, BiascaLuca Coffari
Autorimessa CMB, CamorinoBonetti e Bonetti architetti, Bernardoni SA
Casa ai Pozzi, MinusioSilvia e Reto Gmür
Casa al Ronco, PregassonaJachen Könz, Ludovica Molo
Villa a VacalloIvano Gianola
Casa Minghetti-Rossi, GordolaNicola Baserga, Christian Mozzetti,
Ingegneri Pedrazzini Guidotti
TIDiario dell’architetto a cura di Paolo Fumagalli
Archivi Architetti TicinesiEdificio commerciale SEPU a Zaragoza
Accademia Architettura MendrisioRiuso e restauro
SIAComunicatiOTIAComunicatiOfferte di lavoroLibri Segnalazionia cura di Enrico Sassi
La traduzione del testo di Ilka & Andreas Ruby è a cura di Mercedes Daguerre
ERRATA CORRIGE
La fonte delle immagini dell’articolo di Martin O. Bachmann nello scorso numero
è Pöyry Infra AG e non Poyly come menzionato.
C O M U N I C A T I A Z I E N D A L I
Stûv : tutti i vantaggi dei focolari a legna «a bassa energia»
Le nuove abitazioni sono sempre me-
glio isolate termicamente, questo è
un dato di fatto. Per ottimizzare il
benessere degli occupanti, si deve
scegliere una soluzione di riscalda-
mento adattata…
Stûv offre una gamma completa di
soluzioni di riscaldamento a legna
«a bassa energia».
Cos’è un focolare «a bassa energia» ?
È un focolare che:
- ha una camera di combustione più
compatta, una potenza adattata
alle esigenze delle nuove abitazioni,
unconsumo inferiore e sempre un
ottimo rendimento,
- ha una gamma di utilizzo più ampia,
- è a tenuta ermetica e provvisto di
una presa d’aria esterna diretta.
Perché scegliere un focolare «a bassa
energia»?
È indispensabile per le abitazioni «a
bassa energia» che hanno esigenze
di riscaldamento limitate, per evitare
surriscaldamenti e disagi. È molto utile
per ridurre il consumo di un sistema di
riscaldamento centralizzato (o di un
sistema di riscaldamento elettrico).
E perché non scegliere un focolare più
potente, che viene fatto funzionare al
minimo?
Perché un focolare a legna, anche mol-
to potente e utilizzato a regime elevato,
funziona male al minimo: si surriscalda,
consuma troppo, il ritorno di fumo è
considerevole, il vetro si sporca.
È possibile installare un focolare «a bas-
sa energia» in un’abitazione tradizionale?
Questo focolare funzionerà a regime
elevato nelle stagioni intermedie, quin-
di nelle migliori condizioni (zona chiara
nello schema sottostante). Solo quan-
do il freddo è più intenso vi sarà anche il
contributo del riscaldamento centraliz-
zato (zona più scura). Si deve pertanto
evitare di installare un focolare che
funziona al minimo per la maggior
parte del tempo e a regime ottimale
solo alcune settimane l’anno.
Stûv in breveStûv è un’azienda belga che progetta,
costruisce e commercializza soluzioni
di riscaldamento a legna (stufe, inserti
e caminetti da posa) destinate ad esal-
tare il fuoco, sia nella sua dimensione
funzionale (riscaldamento) che emotiva
(bellezza della fiamma, piacere, socie-
volezza e comfort termico).
A tale scopo, Stûv si propone di seguire
costantemente un approccio seve-
ro, fondato sulla creatività, il design,
la qualità dei prodotti sviluppati e il
loro adeguamento nei confronti delle
aspettative dei consumatori, ricono-
scendo sempre maggiore importanza
ai valori umani. Stûv impiega diretta-
mente 120 persone, con altrettanti in
subappalto. L’azienda, con un fatturato
di 25 milioni di euro, produce ogni anno
15.000 focolari ed esporta il 75% della
sua produzione.
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6
3°
12°
Variazione della temperatura esterna
Giugno
Maggio
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Febbraio
Gennaio
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Ottobre
Settembre
Agosto
Luglio
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- 5°
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I focolari Stûv sono disponibili in una
quarantina di punti vendita in Svizzera.
Potete trovare l’elenco su
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i-distributori/punti-vendita.html
NOVITÀ: braccio doccia con soffio-ne tondo VOLA – eccezionalmente rinfrescante
Puntualmente, per l’inizio dell’anno
2013 VOLA presenta il nuovo braccio
doccia con soffione tondo. Si tratta di
un nuovo elemento per la progetta-
zione di bagni esclusivi, nei quali viene
assegnato particolare valore all’ele-
ganza sobria e al lusso personalizzato.
L’elemento fondamentale di design
del nuovo braccio doccia con soffione
è l’anello sottile, che gli conferisce un
effetto molto filigranato. La sua effi-
cienza si deve alla piastra del soffione
doccia. L’acqua viene condotta attra-
verso 18 serie di fori che si diramano
a ventaglio dal centro sulla piastra.
Questo assicura anche un’incompa-
rabile esperienza doccia.
La sostenibilità è stata sempre impor-
tante per VOLA. Il principio basilare
è sempre stato quello di mettere a
disposizione la quantità d’acqua ideale,
necessaria, senza tuttavia rinunciare
a nessun comfort di azionamento.
Il braccio doccia con soffione tondo
viene perciò offerto con due diverse
portate di flusso: 24 L/min e 15 L/min.
Come è consueto per VOLA, sussiste
una vasta gamma di possibilità d’im-
piego per il nuovo braccio doccia con
soffione. Esso è disponibile come
modello a soffitto o a parete, cromato
lucido, in acciaio legato massiccio
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Nuovo scanner per dita overto
overto fissa nuovi criteriFeller ha ulteriormente sviluppato il
sistema d’accesso biometrico overto
che aveva già riscontrato successo. Un
nuovo scanner per dita con sensore a
righe capacitivo migliora ancora sensi-
bilmente le capacità di riconoscimento
e valutazione. Questo ricava informa-
zioni non sulla pelle, come accadeva
finora, ma anche all’interno della pelle.
Perciò è più veloce, più preciso e meno
sensibile agli influssi ambientali. Nuovi
processori e memorie contribuiscono
ad aumentare l’efficienza dello scanner
per dita. Una guida per dita ottimizzata
e la scansione multipla migliorano la
qualità della lettura.
Sensore a righe capacitivoMetodo di misurazione tramite segnale
RF fino agli strati cutanei più profondi.
Riconosce meglio le dita che presen-
tano solo poche caratteristiche e le
dita sporche.
Caratteristiche Migliori caratteristiche di lettura
Migliore guida delle dita
Design unitari EDIZIOdue
colore e Umidità
Ripresa multipla delle dita:
almeno 3 scansioni determinano
la migliore immagine delle dita
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I N T E R N I E D E S I G N
Atelier oï è uno studio di progettazione con base a La Neu-veville, sul lago di Bienne. Attivo da più di vent’anni, si è distinto per la capacità di muoversi tra diverse discipline – dall’architettura alla scenografia – mantenendo fissa l’at-tenzione per una dimensione artigianale del progetto. Una dimensione capace però di affrontare anche la produzione industriale e la costruzione di grandi edifici: sul loro curri-culum si passa infatti dagli oggetti per IKEA alle boutique per Swatch, dai tappeti per Ruckstuhl agli «Objets Nomades» per Louis Vuitton, dagli edifici – ad esempio il DYB Centre de compétences a Cormondrèche del 2007, per cui hanno dise-gnato tutto, dalla facciata agli arredi – fino alle barche. Ab-biamo fatto qualche domanda a Patrick Reymond, uno dei tre soci fondatori, per capire meglio quali sono i principi alla base di questo «volare» da un progetto all’altro.
Gabriele Neri: Cosa avevate in mente quando avete aperto il vostro studio?Patrick Reymond: Abbiamo fondato atelier oï nel
1991, dopo aver fatto alcuni concorsi insieme. Alla
base ci sono sempre stati l’idea di lavorare in team –
come eravamo abituati a fare all’École d’architecture
Athenaeum di Losanna – e il modello del workshop,
per mantenere saldo il legame concreto con i mate-
riali e per puntare a sviluppare tutte le componenti
costruttive che definiscono il progetto.
Molte delle vostre creazioni, dagli arredi alle facciate di gran-di edifici, sembrano infatti essere generate dalla ripetizione di un singolo elemento costruttivo: un pezzo di corda, una bac-chetta di legno, addirittura il mangime per gli uccelli…Sì, infatti, è un po’ come quando cucini: prendi alcu-
ni ingredienti e cominci ad aggiungerne altri… provi
a usare il legno, poi il metallo, e continui a testare al-
tre possibilità, sempre seguendo gli stessi principi alla
base del progetto. Credo che la tutta la nostra ispira-
zione derivi da questa assidua sperimentazione con
i materiali. Questa è anche la ragione per la quale il
nostro ufficio è sempre rimasto a La Neuveville, dove
fin dall’inizio abbiamo installato i nostri macchinari e
i nostri materiali… non avrebbe avuto senso spostarsi
altrove. Inoltre qui possiamo sfruttare la vicinanza con
una serie di artigiani e laboratori, che ci aiutano a svi-
luppare piccoli prototipi delle nostre idee. Così abbia-
mo deciso di ristrutturare un vecchio motel degli anni
Sessanta, il Moïtel, per farlo diventare il nostro quar-
tier generale, e abbiamo continuato a sperimentare.
9
A cura diGabriele Neriin collaborazione con VSI.ASAI
La ricetta di atelier oïIntervista a Patrick Reymond, fondatore dello studio svizzero
1.
2.
3.
10
Dalle tue parole mi viene in mente l’attività di Jean Prouvé…In effetti siamo un po’ vicini a quel modo di lavora-
re. L’opera di Prouvé è interessante perché il suo la-
voro sta a cavallo tra quello di un ingegnere e quello
di un architetto, tra la realizzazione artigianale e la
produzione industriale. Nel nostro studio siamo sem-
pre a contatto con le macchine, con i materiali, con i
prototipi… una volta realizzato, ogni progetto viene
archiviato ma rimane sottotraccia nelle nostre menti
e accade che un pezzo venga ripreso, modificato, mi-
gliorato; possiamo cambiarne la scala e il materiale…
È possibile che questa sperimentazione vada avanti
anche per 5-6 anni e che infine conduca a qualcosa di
nuovo. Questo spirito è anche alla base del libro che
abbiamo pubblicato (cfr. la scheda di Enrico Sassi su
questo numero di archi): i progetti non sono infatti
presentati in ordine cronologico, ma rispecchiano il
modo in cui utilizziamo il nostro archivio.
Insomma un archivio open source… nel quale vi muovete senza problemi da un tema all’altro.Ci muoviamo tra scale diverse, contesti diversi, diffe-
renti tematiche; tra design, architettura e scenogra-
fia. Quest’ultima in particolare è molto importante
nei nostri progetti. Abbiamo imparato molto dal pro-
getto Arteplage Neuchâtel per l’Expo 2002…
I famosi padiglioni «a goccia»…È stata un’ottima esperienza per sviluppare un pro-
getto dalla piccola alla grande scala. La cosa più
importante era creare un progetto intorno a una te-
matica: il tema era insomma la cosa fondamentale,
ben più del programma funzionale, e questo ci ha
permesso di sperimentare. Cerchiamo di sviluppare
un linguaggio, e non una «firma»: infatti tra tutti i
nostri progetti puoi trovare alcuni punti di contatto,
ma questi non sono mai lineari o immediati. Non è
come quando vedi il lavoro di molti designer famosi,
nel quale la «firma» è ostentata e si vede chiaramen-
te. Ovviamente ci sono delle costanti nel modo in cui
affrontiamo temi come la struttura o la texture; siamo
ispirati dal mondo naturale, da fotografie e dal lavoro
di molti artisti, ma pensiamo che sia importante an-
che cambiare completamente il nostro linguaggio in
ogni occasione.
Come rispondono i clienti a questo approccio progettuale? All’inizio non era facile capire la filosofia del nostro
atelier, che cambia linguaggio e scala a ogni proget-
to… non era facile né per le aziende né per noi stes-
si. C’è voluto tempo per capire e far capire il nostro
modo di lavorare e per comunicarlo. Ma alla fine in
molti hanno saputo apprezzare il nostro modo di af-
frontare il processo creativo, sul quale continuiamo
ad investire.
I N T E R N I E D E S I G N
1. Cabane des oiseaux (dal 2005) è un piccolo rifugio commestibile
fatto di mangime per uccelli, all’insegna della sostenibilità: una
volta terminato il pasto infatti «l’architettura» si dissolve nella
natura. Foto atelieroï
2. Per Jaquet Droz manufacture a Crêt-du-Locle (2010) atelier oï ha
spostato il problema dalla produzione al paesaggio: l’edificio
sfuma nella vegetazione circostante, ponendosi come un’opera
di land art. Foto Yves Andre
3. Realizzata per il Centro Culturale Svizzero di Milano (2006), la
scenografia A Composition of Cords è uno studio sulla corda
come materiale compositivo e strutturale, da cui deriveranno
diversi arredi. Foto atelieroï
4. La scenografia Oïphorique (2011) si ispira alla danza acquatica
delle meduse, sottolineando la compressione e la dilatazione
dello spazio attraverso l’intensità della luce che proviene dalle
lampade. Foto atelieroï
5. Insieme a Thalassa e a Elara, Pandora (2012) forma una collezio-
ne di lavabi fatti in cemento ad alta densità, disegnati per Beton
Manifactur. Foto creabeton
4.
5.
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Un moderno riscaldamento ad olio risparmia molta energia
La tecnica ad olio a condensazione, la nuova generazione di riscaldamento
Casa non isolataNuova caldaia a condensazioneConsumo annuo: 15 litri/m2
Casa non isolataVecchia caldaiaConsumo annuo: 22 litri/m2
Casa isolataNuova caldaia a condensazione Consumo annuo: 7 litri/m2
Casa isolata / Nuova caldaia a condensazione con impianto solare Consumo annuo: 5 litri/m2
Per la tutela dell’ambiente non occorre passare a un altro vettore energetico. Una buona coibentazione dell’edifi cio e l’installazione di un nuovo riscaldamento ad olio combustibile con tecnica a condensazione, combinato con un impianto solare termico, sono un’eccellente soluzione (riferito al consumo annuo di olio da riscaldamento di una casa tipica).
Foto
: UP
La sua effi cienza è eccellente, è par-simoniosa nei consumi ed ecolo-gica. Non c’è dubbio: la tecnica di riscaldamento ad olio a condensa-zione è la nuova generazione di ri-scaldamento. Rispetto alla tecnica a bassa temperatura vanta segna-tamente valori di raff reddamento dei fumi decisamente migliori. Inol-tre, sfrutta il calore di condensazio-ne dell’acqua contenuta nei gas di scarico. Ne risulta una produzione di calore supplementare del 10% dovuta nella misura del 6% alla condensazione diretta e nella mi-sura del 4% all’ulteriore riduzione della temperatura dei gas di scari-co. L’installazione di un impianto a condensazione di nuova generazio-ne consente di risparmiare denaro, ridurre i consumi di combustibili fossili e tutelare l’ambiente.
In gran parte dei cantoni sono quin-di state varate norme che prevedo-
no che nelle nuove costruzioni e in caso di ristrutturazioni possano esse-re installati solo ancora riscaldamenti ad olio combustibile a condensazio-ne. La durata di un riscaldamento ad olio varia, a dipendenza della sol-lecitazione, tra 15 e 20 anni. Siccome i riscaldamenti ad olio sono molto robusti e duraturi, in Svizzera sono ancora in esercizio molti apparecchi assai più vetusti. Con il risanamento
di un siff atto apparecchio, il che è ra-gionevole sia dal punto di vista eco-nomico sia per motivi ambientali, il ri-sparmio energetico arriva fi no al 35%.
Ancora più signifi cativi sono i risparmi conseguibili mediante un investimento parallelo nel risana-mento energetico dello stabile. Con la posa di nuove finestre per esempio è possibile risparmiare fi no al 20% di energia. Con un buon isola-mento delle facciate, del solaio o del tet-to è possibile ridurre, a dipendenza del-lo standard e del carattere dell’edifi cio, i rispettivi consumi di un altro 10% fi no al 25%. Di regola conviene sostituire il riscaldamento ad olio combustibileesistente con una moderna caldaia ad olio a condensazione per risana-re con il risparmio rispetto a un ri-scaldamento alternativo l’involucrodell’edifi cio. Il moderno riscaldamento ad olio a condensazione è nettamente più conveniente di una pompa di ca-lore a sonda geotermica. Con l’impor-to restante risparmiato è possibile per esempio sostituire le fi nestre. Tramite queste misure si può ridurre sostan-zialmente il consumo di olio combu-stibile per metro quadrato di superfi -cie riscaldata, vale a dire che dopo ilrisanamento i consumi si riduconoda 22 litri a soli 7 litri l’anno al metro quadrato. Combinando il tutto con un impianto solare termico, si arriva www.olio.ch
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a un consumo annuo di 5 litri al metro quadrato.
Un moderno riscaldamento ad olio è economico, pulito e parsimonioso. Può essere installato in ogni edifi cio e può essere facilmente combinato con sistemi per energie rinnovabili come per esempio collettori solari. Inoltre, con l’olio combustibile la sicurezza d’approvvigionamento è molto più elevata che con altri vettori energetici. Basti pensare alle proprie scorte di combustibile depositate nella cisterna.
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E D I T O R I A L EL ’ E D I F I C I O E I L S U O L O
spiazzato gli ascoltatori mostrando due immagini
del palazzo di Versailles di Jules Ardouin-Mansart.
La prima era lo scatto fotografico originale del fronte
classicamente tripartito del palazzo, la seconda
(appositamente modificata con Photoshop da Stefano
Milan) era la medesima immagine dalla quale era sta-
to sottratta la fascia architettonica del basamento, per
dimostrare, con un artificio tanto arbitrario quan-
to didatticamente efficace, come quell’architettura
avrebbe guadagnato in proporzioni se fosse stata con-
cepita in un contesto urbano.
Il suolo, quindi, è il supporto materiale necessario
dell’architettura, è il foglio sul quale essa viene dise-
gnata. Come già sosteneva Hans Bernoulli nel 1945,
è prima di tutto il regime dei suoli con le sue regole
a determinare la stessa forma degli insediamenti. Nei
tentativi finora messi in atto per correggere gli esiti
disastrosi della città cosiddetta diffusa (che non è cit-
tà, è territorio abitato privo di ogni qualità cittadina),
sembra che finalmente si sia compreso che sono inef-
ficaci le misure esclusivamente pianificatorie, e che
bisogna agire a monte, partendo dal regime dei suoli,
costruendo un nuovo sistema di regole giuridiche e
fiscali per governare il suo valore economico. È allo-
ra importante, al referendum del prossimo 3 marzo,
sostenere con il voto la recente revisione della lpt, la
Legge federale sulla pianificazione del territorio, che
prevede misure avanzate, quali la riduzione dei suoli
edificabili inutilizzati e la tassazione del plusvalore
determinato dalla edificabilità. Al referendum se-
guirà la revisione della Legge cantonale sullo svilup-
po territoriale, che prevede analoghe misure. È una
prova generale di civiltà, per non distruggere irrever-
sibilmente il paesaggio di tutti.
Per quanto il suo autore possa contestare le tradizioni
costruttive e ribaltare i canoni architettonici più antichi
o quelli più moderni, ogni edificio costruito stabilisce re-
lazioni con il suolo, e, più in alto, con il cielo. All’esame
critico fondato sul criterio della tripartizione classica ba-
samento-fusto-coronamento non è possibile sfuggire.
La relazione con il suolo, sia che venga praticata let
contrario, che venga negata «liberando», in modo al-
trettanto tematico, l’edificio dall’aderenza al terreno,
rimane una questione determinante della vita pubbli-
ca dell’architettura, del suo ruolo nella città. La for-
za di gravitazione che caratterizza il pianeta impone
l’appoggio della struttura portante nel terreno, i ser-
vizi tecnologici necessari al confort degli abitanti ob-
bligano la connessione verticale con le reti orizzontali
che corrono nel suolo, e la relazione, più in generale,
degli abitanti con il contesto sociale attribuisce al li-
vello di contatto con il suolo il ruolo di «ingresso», di
inizio della sequenza di spazi interni che ogni edificio
offre ai suoi utenti.
Nella sua complessità poetica, la modernità ci ha pro-
posto le soluzioni più diverse ed opposte di relazione
con il suolo, sempre fortemente motivate da un’idea di città da costruire attraverso edifici esemplari. I pi-lotis corbusiani, come anche il tetto-giardino, erano
finalizzati a moltiplicare e rendere continuo il suolo
pedonale verde, per favorire la densificazione. L’e-
sempio realizzato più importante e famoso, l’Unité marsigliese, mostra come la liberazione dal suolo non
abbia comportato, in quel caso, un effetto di lievita-
zione, ma addirittura una rappresentazione figurati-
vamente imponente della relazione tra edificio e ter-
reno. Nella Neue Nationalgalerie berlinese Mies, invece,
appoggia l’edificio su uno zoccolo, la cui dimensione
è molto superiore a quella dello stesso edificio. La Na-tionalgalerie si estende effettivamente nella superficie
espositiva contenuta nello zoccolo, mentre l’edificio
d’acciaio nero funge da ingresso e ospita piccole mo-
stre temporanee. Qui lo zoccolo, come afferma Livio
Vacchini, è una modulazione del suolo urbano e fa ap-
partenere alla città gli edifici costruiti sopra di esso. Per
Vacchini, infatti, è diversa la condizione degli edifici
costruiti nella città, sul grande basamento pubblico co-
stituito dal suolo artificiale, rispetto agli edifici costru-
iti sul terreno naturale, che invece hanno bisogno di
una mediazione con il suolo appositamente progettata.
Nell’ultima conferenza pubblica all’Accademia di
Mendrisio nel 2003 parlando della Ferriera di Locarno,
urbanissimo edificio privo di basamento, Vacchini ha
Il suolo dell’architetturaLo stilobate di marmo, il resto tutto in acciaio. Nero.Lo zoccolo è enorme, non prende il filo delle colonne, è una piazza, appartiene alla città. È il piano della città ad essere modificato, non la crosta terrestre. Tutta Berlino è virtualmente coinvolta e non c’è, come nel Partenone, un punto d’entrata dai Propilei.Livio Vacchini, 2005
Alberto Caruso
E D I T O R I A LL ’ E D I F I C I O E I L S U O L O
16
Der Boden der ArchitekturDer Stylobat ist aus Marmor, der Rest aus Stahl. Schwarz.
Die Sockelplattform ist riesig und richtet sich nicht nach den Säulen, sie bildet einen Platz und gehört zur
Stadt. Nicht die Erdkruste wird verändert, sondern der Plan der Stadt. Ganz Berlin ist virtuell beteiligt, und es
gibt keinen Eintrittspunkt von den Propyläen aus wie im Parthenon.
Livio Vacchini, 2005
An der letzten öffentlichen Konferenz der Akademie von Mendrisio im Jahr 2003 überraschte Vacchini bei einem Gespräch über die Ferriera in Locarno, ein städtisches Gebäude ohne Sockel, das Publikum mit zwei Bildern des Schlosses von Versailles von Jules Ardouin-Mansart. Das erste war eine klassische Frontalansicht der Dreiflügelan-lage des Schlosses, das zweite zeigte die gleiche Ansicht, aus der jedoch (von Stefano Milan, mittels Photoshop) das Sockelband entfernt worden war. Durch einen willkürli-chen, aber didaktisch wirksamen Trick wurde ersichtlich, in welchem Masse sich die Proportionen des Bauwerks ver-bessert hätten, wenn es in der Stadt errichtet worden wäre.
Der Boden ist der materielle Untergrund, den die Archi-tektur braucht, das Blatt, auf dem sie gezeichnet wird. Wie Hans Bernoulli bereits 1945 betonte, ist es die Raum-planung mit ihren Regeln, die die Siedlungsform gestaltet. Die bisher unternommenen Versuche, die katastrophalen Folgen der Zersiedelung zu korrigieren (es handelt sich um Gebiete ohne jeglichen städtischen Charakter), ma-chen deutlich, dass Massnahmen unwirksam bleiben, die allein auf die Bebauungsplanung bezogen sind. Ausge-hend von der Raumplanung muss das Problem auf einer höheren Ebene gelöst werden – wir brauchen ein neues System rechtlicher und steuerrechtlicher Bestimmungen, die den wirtschaftlichen Wert beeinflussen. Aus diesem Grund ist es wichtig, bei dem Referendum am 3. März das revidierte Raumplanungsgesetz (RPG) zu unterstüt-zen, das fortschrittliche Massnahmen wie die Verkleine-rung von ungenutzten Baulandparzellen und die Besteu-erung des Mehrwerts der Bebaubarkeit vorsieht. Auf das Referendum folgt die Revision des Kantonalgesetzes über Raumentwicklung, das ähnliche Massnahmen enthält. Auf dem Prüfstand steht die Zivilisation – sie darf die Landschaft, die allen Menschen gehört, nicht zerstören.
Auch wenn der Urheber die Bautraditionen anficht und die ältesten oder modernsten Regeln der Architektur um-stürzen will, so geht doch jedes Bauwerk Beziehungen zum Boden und – in die andere Richtung – zum Himmel ein. Die kritische Betrachtung, ausgehend von der klassi-schen Dreiteilung Sockel–Schaft–Krone, ist unverzichtbar. Die Beziehung zum Boden mag ausdrücklich praktiziert und explizit thematisiert oder aber ebenso explizit durch «Befreiung» des Gebäudes vom Grund negiert werden – immer bleibt sie ein wesentliches Thema für das öffentliche Leben der Architektur und ihre Rolle in der Stadt. Die Schwerkraft der Erde macht es notwendig, jede tragende Konstruktion auf dem Boden abzustützen. Die technische Infrastruktur, die für den Komfort der Be-wohner erforderlich ist, verlangt eine vertikale Verbin-dung mit den horizontalen Leitungsnetzen im Boden. Die allgemeine Beziehung der Bewohner zu ihrem sozia-len Umfeld verleiht der Ebene im Erdgeschoss, die in Verbin-dung zum Boden steht, die Rolle eines «Eingangs»: Hier be-ginnt die Abfolge von Innenräumen, die jedes Gebäude seinen Nutzern bietet. Mit ihrer komplexen Poetik hat uns die Moderne unter-schiedliche, oft gegensätzliche Lösungen für die Beziehung zum Boden präsentiert. Dahinter steht immer eine Idee
der Stadt, die durch Bauten mit Vorbildcharakter umge-setzt werden soll. Die Pilotis von Le Corbusier dienten eben-so wie Dachgärten dazu, von Fussgängern nutzbare Grün-flächen zu vermehren und zu verbinden, um eine dichte Bauweise zu ermöglichen. Das berühmteste Beispiel, die Unité in Marseille, zeigt, dass die Befreiung vom Boden in diesem Fall keine schwebende Wirkung entfaltet, son-dern eine imposante figurative Darstellung der Beziehung zwischen Gebäude und Boden verkörpert. In Mies von der Rohes Neuer Nationalgalerie in Berlin steht das Gebäude auf einer Sockelplattform, die wesentlich grösser ist als das Gebäude selbst. Die Ausstellungsfläche der National-galerie liegt unter diesem Sockel, während das Gebäude aus schwarzem Stahl als Eingang und für kleine temporäre Ausstellungen dient. Wie Livio Vacchini hervorhebt, ist die Sockelplattform hier eine Modulation des städtischen Bo-dens und stellt die Zugehörigkeit der darauf errichteten Bauten zur Stadt her. Für Vacchini sind die Ausgangsbe-dingungen für Gebäude in der Stadt, die auf dem grossen öffentlichen Sockel des künstlichen Bodens errichtet wer-den, anders als bei Bauwerken auf natürlichem Boden, weil bei ihnen ein Eingehen auf das eigens für dieses Bau-werk geplante Grundstück erforderlich ist.
17
L ’ E D I F I C I O E I L S U O L O
una parte del proprio edificio simbolicamente rialza-
ta. Nel Padiglione di Barcellona, quel terreno artifi-
ciale ancora si evidenzia come uno zoccolo massiccio
che fornisce il suo microcontesto ideale alla struttura
più leggera dei cristalli delle pareti e del tetto. Nella
casa Farnsworth (Plano, Ill., 1945-1950), Mies accen-
tua quell’effetto deterritorializzante mediante la
piattaforma che galleggia tra il livello del terreno e il
piano elevato dell’ingresso, espediente che utilizzerà
anche nell’iit (Chicago, 1950-1956). L’assenza di gra-
vità suggerita con questo gesto elimina ogni impron-
ta della nozione di peso associata tradizionalmente
al suolo. Negli appartamenti di Lake Shore Drive
(Chicago, 1948-1951), Mies esegue la smaterializza-
zione del suolo tramite una sorta di tappeto magico
che copre la superficie del piano terra aperto. Que-
sto tappeto è costituito da sottili lastre di travertino
che fuoriescono dal terreno in tutto il loro spessore
e sembrano levitare alcuni millimetri sopra il suolo.
In questo modo, il suolo pare coperto da una verni-
ce «fenomenologica» che, invece di essere di asfalto
Groundscapes Die Begegnung mit dem Boden in der zeitgenössischen ArchitekturIlka & Andreas Ruby*
L’idea del suolo come un’ecologia dell’architettura
nel senso che le attribuisce Reyner Banham, risulta
oggi talmente familiare che facciamo fatica a imma-
ginare che una volta fosse stata concepita in un altro
modo. E, tuttavia, quest’idea ha appena un secolo.
Nel 1926 Le Corbusier proclamò la «liberazione dal
suolo» nei suoi «cinque punti per una nuova architet-
tura». La «casa sopra pilotis», realizzata prima nella
casa Citrohan (1922-1927) e poi – diventata la tipolo-
gia dominante della modernità – nell’Unité d’habi-
tation (Marsiglia, 1947-1952), rappresenta infatti l’i-
cona della liberazione dal suolo. Senza un contatto
diretto con il terreno, la casa si sottrae al suo contesto
fisico. Il suolo non definisce più l’architettura poiché
l’edificio, mediante la piattaforma appoggiata su pilo-
tis, crea praticamente il proprio terreno. Questa du-
plicazione della superficie stabilisce un nuovo livello
elevato che lascia in ombra – spesso anche in senso
letterale – il suolo materiale del lotto. Dal punto di vi-
sta programmatico, si assegnano al terreno solo fun-
zioni secondarie (circolazione, parcheggi, depositi
ecc.) mentre l’abitazione è riservata esclusivamente al
nuovo bel étage della villa moderna.
Mentre l’architettura decolla come un aereo – tanto
ammirato da Le Corbusier – il suolo continua a rin-
viare alla terra. La «Maison en l’air» di Le Corbusier,
ormai ha bisogno del suolo soltanto come una con-
traddizione forzata per stabilire la dialettica della
sua presenza: quanto più debole sia il suolo, tanto più
forte sarà la figura con cui l’architettura si distanzia
da esso. Risulta impossibile immaginare la Villa
Savoye in un lotto dalla topografia accidentata. L’au-
ra solenne della sua geometria idealizzata ha bisogno
della superficie piana del suolo vergine che circonda
l’edificio nelle fotografie contemporanee, e questo lo
fa apparire come un’isola in mezzo all’oceano. Tra-
mite lo svuotamento fisico, programmatico e seman-
tico del terreno, il contesto si trasforma in una massa
priva di attributi che, in forma di tabula rasa, sarebbe
diventata la materia prima dell’urbanismo moderno.
All’interno dell’architettura moderna, è in Mies van
der Rohe dove più chiaramente si materializza questa
neutralizzazione concettuale del suolo, sebbene sen-
za la didattica propagandistica con cui Le Corbusier
postula questo esito, ma piuttosto in modo poetico.
Seguendo la sua tendenza classica, Mies colloca solita-
mente la costruzione su di un basamento che riman-
da allo stilobate del tempio greco. In qualche modo
costruisce il terreno su cui poggia il manufatto come
GroundscapesL’incontro con il suolo nell’architettura contemporanea**
1. Le Corbusier, Villa Savoye, Poissy 1929. Foto S. Milan
2. L. Mies van der Rohe, Neue Nationalgalerie, Berlino 1965-68. Foto S. Milan
1.
2.
18
L ’ E D I F I C I O E I L S U O L O
care nei moli interni, i quali sono collegati agli spazi
pubblici della parte superiore mediante una rampa a
spirale. Secondo l’idea di Virilio della «circolazione
abitabile», tutte le superfici hanno programmi dif-
ferenti. Così, per esempio, la copertura diventa una
piazza urbana per incontri informali o un palcosceni-
co all’aperto, dove il pubblico può disporsi nelle tri-
bune localizzate nel tratto più inclinato della stessa.
Per Parent e Virilio, il vantaggio decisivo dei piani in-
clinati risiede in questa capacità di stabilire una cor-
rente ininterrotta tra interno ed esterno. Questa idea,
che a malapena trova seguito nell’architettura france-
se, fornisce invece impulsi decisivi al dibattito interna-
zionale, le cui conseguenze architettoniche prendono
corpo, paradossalmente, in Francia.2 Nel 1976 Oscar
Niemeyer riceve l’incarico dal partito comunista fran-
cese di costruire la nuova sede del comitato centrale.
Il suo progetto sembra sviluppare le idee di Parent e
Virilio, il cui sodalizio professionale finì l’anno suc-
cessivo, a causa delle diverse posizioni rispetto alla
rivolta studentesca del maggio del ’68. Tramite una
messa in scena la cui suspense pare degna di un film
di Hitchcock, in questo caso Niemeyer conferisce al
suolo (solitamente continuo e figurativamente inde-
finito) una forma, un’espansione e un luogo concre-
to. In linea di principio, tutto sembra girare attorno
al pannello curvo dell’edificio principale, visibile da
lontano. Tuttavia, esso produce un effetto così poten-
te perché la maggior parte del lotto non è costruito,
almeno in superficie. Dalla Place Colonel Fabien, una
via attraversa una piazza elevata e conduce il visitato-
re verso una cupola bianca che sembra nascondere il
corpo di fabbrica. Siamo guidati verso destra, finché
arriviamo dove immaginiamo di trovare l’ingresso
all’edificio. Sebbene non vi sia un vero e proprio ac-
cesso, sarà un’apertura a forma di fessura, situata nel
pavimento di calcestruzzo della piazza, a indirizzare il
visitatore nelle profondità del terreno. Una volta giù,
egli si trova in un autentico mondo sotterraneo, all’in-
terno di un’architettura invisibile, senza orizzonte:
non vi è nessuna finestra né alcuna comunicazione
con l’esterno, tranne la sala conferenze, che ora si ri-
vela come l’equivalente sotterraneo della cupola bian-
ca del giardino. In questo modo, privo dell’abituale
orientamento nello spazio, il visitatore segue la sua
percezione di movimento per scoprire con stupore
che si muove su un terreno quasi-topologico. In real-
tà, il pavimento dell’atrio non è una superficie piana,
ma è animato da alcune ondulazioni appena percetti-
bili, talmente sottili che prima si avvertono con i piedi
e solo dopo con gli occhi: piccoli ostacoli inattesi che
interferiscono tenacemente il movimento del fruito-
re, correggendolo e, pertanto, anche organizzandolo.
Anticipando in parte le «superfici liquide» del padi-
glione acquatico di Nox, Niemeyer trasforma qui il
pavimento di una superficie in uno spazio configura-
to plasticamente. Questa è un’opera pioniera – finora
oscuro, è di travertino. La pietra chiara gli toglie
dimensione terrena e lo trasforma in una superficie
luminosa che riflette la luce del sole verso la parte
inferiore della copertura dell’atrio, generando così
un materasso luminoso che nei giorni chiari sembra
sorreggere il corpo dell’edificio. Negli anni sessanta,
questa concezione del terreno come terra incognita
incomincia a cambiare poco a poco. Se fino ad allora
lo «spazio del suolo» solo si definiva in senso negati-
vo (come un volume scavato, vuoto, tra l’edificio e il
livello del suolo), ora incomincia a considerarsi come
una «condizione abitabile». È interessante come il
precursore di questa evoluzione sia, ancora una vol-
ta, Le Corbusier. Tra le sue ultime opere costruite,
come il Monastero di La Tourette (Eveux-sur-Arbre-
sle, 1957-1960) e il Carpenter Center for the Visual
Arts (Cambridge, Mass., 1961-1964), è già annunciata
questa nuova valorizzazione del suolo, ma dove essa
si manifesta più radicalmente è nel suo progetto non
realizzato del Centro di calcolo elettronico per l’Oli-
vetti (Milano-Rho, 1963). Sotto i vetri galleggianti del
dipartimento di ricerca, Le Corbusier organizza un
impressionante groundscape a diversi livelli: le sale di
montaggio sono state disposte al piano terra ma sono
accessibili dall’alto tramite una piattaforma inter-
media che si estende dalla strada fino alla copertura
delle stesse, dove si conclude con tre sale a forma di
paravento. Questo edificio-piattaforma diventa un’in-
terfaccia spaziale che permette lo sviluppo di un terzo
ambiente tra gli edifici nel terreno e nell’aria. Questo
terzo spazio diventò concretamente il centro della
ricerca architettonica quando Paul Virilio e Claude
Parent fondarono il gruppo Architecture Principe
nel 1963, anno in cui Le Corbusier progettò l’edificio
per l’Olivetti. Entrambi partono da una critica alle
monoculture rappresentate dall’orizzontalità della
Broadacre City (1935) di Frank Lloyd Wright, così
come dalla verticalità assolutista del grattacielo ame-
ricano, criticando anche le utopie metabolistiche di
Constant, Yona Friedman, Domenig/Huth e altri.1 Mentre il moderno distanziamento dal suolo solo si
accentua con la sovrapposizione di nuove città spazia-
li sulla città esistente, Virilio e Parent inventano con
la loro «funzione obliqua» un modulo concettuale
per la produzione di una continuità urbana: invece di
limitarsi a situare una nuova città su quella esistente,
cambiano la disposizione del suolo presente facendo
in modo che la nuova città sorga «obliquamente» da
quella precedente.
Questa intenzione si rivela nel progetto del centro cul-
turale di Charleville (1966) con più intensità rispetto
alla chiesa costruita di Sainte Bernadette (Nevers,
1964-1966). Si tratta di un gigantesco manufatto
leggermente inclinato, collocato nel letto del fiume
Mosa. All’altezza del livello dell’acqua, il volume si
apre tramite fessure in modo che le barche possano
entrare direttamente dal fiume nell’edificio e attrac-
19
L ’ E D I F I C I O E I L S U O L O
poco valorizzata – per l’architettura degli anni ottanta
e novanta, in cui il suolo diventò finalmente un oggetto
primordiale della ricerca architettonica.
Una continuità diretta con l’«architettura del suolo»
di Niemeyer può essere colta nei progetti dell’archi-
tetto argentino Emilio Ambasz. Eppure, mentre in
Niemeyer la figura dell’edificio continua a prevalere
e solo sonda e palpa il terreno sotto la superficie del
visibile, Ambasz trasforma il suolo nella figura archi-
tettonica visibile e tramuta l’edificio nell’agente se-
greto del paesaggio. Per rendere l’architettura invisi-
bile utilizza essenzialmente due tecniche. Da un lato
copre l’architettura con uno strato di vegetazione in
modo che l’edificio non sembri un oggetto ma una
sinuosità topografica del paesaggio. Dall’altro, af-
fonda il volume nella topografia del terreno. La sua
Casa di Ritiro Spirituale è un monumento alla spari-
zione: due enormi pareti bianche segnano l’ingres-
so alla casa, i cui spazi abitabili sono completamente
ipogei. Il progetto non realizzato per i laboratori di
ricerca Schlumberger avanza un altro passo collocan-
do la massa architettonica esclusivamente sotto terra.
L’edificio non sembra un oggetto appoggiato su una
superficie ma piuttosto delle incrostazioni eseguite in
un materiale. In alcune parti la massa di terra scom-
pare ed espone una serie di facciate vetrate che for-
niscono luce naturale all’interno dei laboratori. Ciò
nonostante, l’architettura di Ambasz continua a essere
un’architettura protagonista; il suolo si utilizza essen-
zialmente come strumento per il camuffamento
topografico dell’oggetto architettonico. Tuttavia, esso
non è ancora concepito come personaggio. Questa
emancipazione dal suolo, da fondamenta architet-
toniche ad architettura per proprio diritto, acquista
forma, forse per la prima volta, nelle «Cities of Artifi-
cial Excavation» di Peter Eisenman. Mentre in Virilio
e Parent, Ambasz e Niemeyer il terreno si definisce
partendo dalla figura, Eisenman tenta di sviluppare
la configurazione architettonica a partire dal terreno.
Con questo lavoro, egli fece una critica alle sue prime
abitazioni, che funzionavano completamente all’in-
terno della tradizione atopica della villa moderna in
quanto oggetto autonomo su terreno neutrale. Tutta-
via, nelle «Cities of Artificial Excavation» Eisenman
si basa sulla Collage City di Colin Rowe, secondo cui
il suolo della città non è una superficie neutrale, ma
soltanto lo strato superiore di una densa sovrapposi-
zione di strati delle più variegate vestigia storiche. Per
svelare queste vestigia e assumerle come materiale
generatore del proprio progetto, Eisenman utilizza il
palinsesto come analogia metodica. Nell’Antichità e
nel Medioevo per palinsesto s’intendeva una pagina
o rotolo di manoscritto che, dato il costo del materiale
(generalmente pergamena o papiro) veniva scritto
più volte. Si raschiava o lavava l’iscrizione precedente
e, in seguito, si scriveva un nuovo testo. Spesso rima-
nevano tracce del testo originale che oggi, mediante
3., 4. Paul Virilio, Claude Parent, Centro Culturale, Charleville 1966.
elementosdecomposicion.wordpress.com
5. Oscar Niemeyer, Sede del Partito Comunista Francese, Parigi 1967
3.
4.
5.
20
L ’ E D I F I C I O E I L S U O L O
Questo spazio vincola la leggerezza dell’architettura
planetaria al peso gravitazionale della Terra e asso-
miglia a quel «denso levitare» dei vecchi film di fanta-
scienza quando la navicella spaziale atterra lentamente.
Poco prima di toccare il suolo, la navicella si ferma
un momento e rimane immobile, fluttuando sopra la
superficie. È proprio in questo momento che lo spa-
zio tra la terra e la navicella spaziale trema in modo
quasi impercettibile, come se l’imminente messa in
contatto lo stesse caricando di energia. La potenza di
quello spazio intermedio che galleggia sopra il suolo
è uno dei temi centrali dell’architettura di Zaha Ha-
did. La scena è sempre la stessa: una massa scende
poco a poco verso il terreno senza arrivare a posarsi
su di esso. Dei pilastri affilati perforano il suolo, e, in
seguito, la terra sottostante incomincia a muoversi
finché la superficie si apre e sotto di essa scaturiscono
spazi non percepiti. Questa emergenza spaziale, che
ricorda la tettonica dei continenti scoperta da Alfred
Wegener, tiene conto di uno spazio prima invisibile
in architettura: le fondazioni. Si configura una sorta
di «fondazione esposta» invece della pianta aperta
propria della prima modernità, ed è precisamente in
questo punto dove Hadid colloca la parte più attraen-
determinati processi tecnici come la fotografia fluo-
rescente, possono diventare nuovamente visibili, in
modo che il testo antico sia leggibile. Nelle sue «Ci-
ties of Artificial Excavation», Eisenman tratta la pro-
pria città come un palinsesto e utilizza l’architettura
come procedimento per rendere ancora visibile le sue
molteplici iscrizioni. Dove più chiaramente egli appli-
cò questa tecnica fu nelle sue abitazioni d’interesse
sociale all’iba (Esposizione Internazionale di Archi-
tettura) di Berlino (1982-1987), nella Kochstrasse,
proprio accanto al Muro. Invece di limitarsi a riempi-
re i vuoti rimasti dopo la Seconda Guerra Mondiale
nell’edificazione marginale di un isolato urbano ber-
linese – cioè, piuttosto che ricostruire pressappoco lo
stato prebellico – Eisenman cercò le vestigia storiche
del luogo localizzate più in profondità, che in parte
erano astratte e artificiali e, in parte, concrete. Rivestì
il lotto con un muro-reticolo corrispondente al grado
di latitudine e longitudine del globo, evidenziando
così l’importanza di Berlino come città di frontie-
ra durante la Guerra Fredda. Sotto questo reticolo
artificiale, egli porta alla luce una parte della trama
barocca della planimetria urbana. In questo modo il
progetto emerge, tramite un’estrusione verticale delle
informazioni spaziali del terreno, come una struttura
tridimensionale la quale fa sì che i resti esistenti dell’i-
solato siano spostati e confusamente contestualizzati.
Questo intreccio sistematico tra storia e contempora-
neità provoca in progetti più recenti, come Romeo e
Giulietta (Verona, 1985) e il Wexner Center of Arts
(Columbus, Ohio, 1982-1989), il fatto che la figura
architettonica dell’edificio vada scomparendo come
oggetto autonomo, mentre il suolo diventa progres-
sivamente protagonista come archivio archeologico.3 Negli anni novanta, Eisenman continua ad analizzare
questa trasformazione nei suoi scritti, in cui stabilisce
concetti come figured ground figure che definiscono ma-
terializzazioni architettoniche del terreno, concetti che
vanno oltre la dialettica classica tra la figura e il suolo.
La ricerca architettonica su questa nuova potenzia-
lità del terreno diventa il punto essenziale del lavoro
di Zaha Hadid. La fase di gestazione di questa ricer-
ca coincide, paradossalmente, con il periodo della
sua architettura planetaria, in cui lei sembra negare
la nozione di suolo. Infatti, nelle sue immagini i volu-
mi galleggiano come navicelle spaziali in uno spazio
infinito e privo di gravità. Non vi è sopra e sotto, né
davanti e dietro, ma soltanto diversi spazi di movi-
mento che si assemblano dinamicamente. Malgrado
ciò, questo non significa che per Zaha Hadid il suolo
non esista: semplicemente esso è concepito dall’al-
to. Poiché le sue navicelle spaziali sono destinate alla
terra, deve comunque porsi la questione del suolo
quando atterrano. In ogni caso, il suolo nell’architet-
tura di Zaha Hadid non è solo il pezzo di terra su cui
si posano le sue navicelle, ma quel peculiare «spazio
di suolo» che si genera nel momento dell’atterraggio.
6. OMA, Kunsthall Rotterdam, Olanda 1992. Foto Steven Ward
7. Zaha Hadid Architetti, Plastico Opera di Cardiff, Regno Unito 1994.
Render Zaha Hadid Architetti
8. FOA, molo Osanbashi, Yokohama, Giappone 2002. Foto Matteasu
9. MVRDV, Metacity/Datatown, Olanda 1998-2000. Render MVRDV
6.
7.
21
L ’ E D I F I C I O E I L S U O L O
te del programma. Vale a dire: uno spazio che prima
era infrastrutturale diventa improvvisamente uno
spazio sperimentale e culturalmente rappresentativo
dell’architettura.
Da qui fino all’infrastrutturalismo di oma degli anni
novanta – dove in linea di massima gli edifici appar-
tengono più al dominio delle infrastrutture che a
quello dell’architettura – vi è solo un passo. Koolhaas
vide nell’infrastruttura un’opportunità per liberare
l’architettura e l’urbanismo dalla loro separazione
categorica e per assemblarli operativamente. Intesa
come parte di un’infrastruttura della città, l’archi-
tettura poteva reclamare per sé una nuova forma di
performance urbana. Nel Kunsthal (Rotterdam, 1992),
questa concezione dà luogo a una doppia program-
mazione dell’architettura: come museo e come luogo
di scambio urbano tra il parco del museo e l’auto-
strada. Una rampa pedonale che attraversa l’edificio
come un passaggio pubblico stabilisce la comuni-
cazione e, allo stesso tempo, fornisce il modello per
circolare. In questo senso, il Kunsthall non è solo un
polemico adattamento della «scatola-museo» di Mies,
né una nuova edizione della promenade architecturale di
Le Corbusier. La sua continua sequenza spaziale, che
interpreta lo spazio di circolazione come ambiente
funzionale e viceversa, è piuttosto un’appropriazione
diretta della funzione obliqua di Claude Parent e Paul
Virilio. Con questo stesso metodo, Koolhaas progetta
un paesaggio infrastrutturale nell’Urban Design
Forum (Yokohama, 1992). Questo progetto urbano
riunisce una grande quantità di programmi (di edi-
ficazione) su di un «piano ondulato» e fa di loro una
coreografia trasformandoli in un ciclo esperienziale
di ventiquattro ore. In entrambi i casi con l’inclusione
del mondo sperimentale circostante si vuole rompere
la monofunzionalità di una tipologia e riempirla di
programmi. Infine, nelle Biblioteche di Jussieu (Pari-
gi, 1992), Koolhaas porta al culmine questa ambizio-
ne trans-programmando l’edificio, il quale diventa
generatore architettonico di spazio pubblico. Lo spa-
zio della strada – il boulevard – continua all’interno
dell’edificio come un passaggio continuo di superfici
piegate che configurano un boulevard intérieur di 1,5
km di longitudine. Sebbene il progetto diventi fa-
moso per aver impiegato per la prima volta una ge-
ometria topologica per l’organizzazione spaziale di
uno spazio interno, l’uso che fa Koolhaas della nuova
forma si basa principalmente su una strategia preci-
sa: fornire un nuovo luogo allo spazio pubblico della
città, sempre più sottomessa alla pressione della pri-
vatizzazione. La principale funzione della superficie
continua consiste nel fatto che questo nuovo ambito
pubblico non costituisca una riserva monadica, ma
che rimanga collegata alla città esistente e influisca su
di essa con effetto retroattivo. Il concetto del suolo in-
frastrutturale è anche sviluppato da alcuni successori
di Koolhaas, in particolare mvrdv e foa. Questi ulti-
mi si occupano di una ridefinizione morfologica del
terreno come edificio. Combinano geneticamente la
geometria topologica di Jussieu con la logica infra-
strutturale del progetto di oma per Yokohama, e tra-
sformano tipologicamente l’edificio in un paesaggio
urbano infrastrutturale. Grazie a questa concezione
ibrida, foa risolve le contraddizioni tipologiche che
ancora caratterizzano i due progetti di Koolhaas. Nel-
la proposta di foa, gli edifici che nel progetto di oma
per Yokohama sono ancora concepiti come entità se-
parate, si fondono definitivamente nel «piano ondu-
lato», nello stesso modo in cui il paesaggio di rampe
piegate di Jussieu scappa – per così dire – dalla scato-
la vetrata. La superficie piegata che in Koolhaas era
ancora un semplice dispositivo strategico, per foa di-
venta un’infrastruttura inclusiva in cui si sopprimono
tutti gli elementi isolati: in questo modo la tecnica del
collage è definitivamente rimpiazzata dal morphing.
Con il suo Osanbashi Pier (Yokohama, concorso: 1995;
8.
9.
22
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Ausgehend von der Freigabe des Bodens, die Le Corbusier mit dem «Haus auf Pilotis» praktiziert, erarbeiten Ilka und Andre-as Ruby einen facettenreichen Diskurs, in dem unterschiedliche Herangehensweisen beleuchtet werden: die Klassik von Mies van der Rohes im Barcelona-Pavillon (1929), in der die konzeptuelle und poetische Neutralisierung des Bodens klar umgesetzt wird; die von Virilio und Parent in den 60er-Jahren propagierte «function oblique», ein Konzeptmodul für ein vollkommen neue städtische Kontinuität; sowie die plastische, «quasi-topologische» Defini-tion, die Niemeyer mit dem Hauptsitz der Kommunistischen Partei Frankreichs (Paris, 1976) realisiert hat und die mit den Projek-ten von Ambasz fortgeführt wird, der den Boden in eine sichtbare architektonische Form verwandelt und das Gebäude harmonisch mit der Landschaft verschmelzen lässt. In all diesen Fällen wird, ausgehend von der Figur, der Boden definiert. Eisenman dagegen definiert in den «Cities of Artificial Excavation» die architekto-nische Konfiguration direkt vom Boden aus. Er lehnt sich me-thodisch an die Idee des Palimpsest an, um historische Überreste der Stadt zu enthüllen und sie als Projektmaterial zu verwenden. Dieses neue Potenzial des Bodens wird zum zentralen Punkt der Architektur von Hadid, dem besonderen experimentellen Raum, der beim Landen der «Schiffe» entsteht. Dann folgt der Begriff des Infrastrukturbodens, den OMA in den 90er-Jahren entwickelte. Hier nimmt die Architektur eine neue Form der städtischen Per-
formance für sich in Anspruch, während das Artefakt öffentli-chen Raum generiert. MVRDV und FOA schliessen den Kreis mit der morphologischen Neudefinition des Bodens als Gebäude. Es handelt sich um ein hybrides Konzept, das das Bauwerk in eine infrastrukturelle urbane Landschaft verwandelt.
Note 1. Prima di lavorare con Virilio, Parent fece parte di un
movimento utopico. Solo il contatto con le idee di Virilio
sulla «funzione obliqua» gli fece prendere le distanze:
«Incominciai ad essere in disaccordo con i miei colleghi
utopici. La spaccatura emerse nel dibattito su un
progetto che proponeva una grande autostrada urbana
–l’Avenue Charles de Gaulle– che partiva da Parigi,
bloccando il movimento pedonale. Pensai che fosse una
follia, ma la mia proposta alternativa –una struttura gra-
dinata accessibile– non trovò consenso tra gli utopici.»
Si veda Irénée Scalbert, Mohsen Mostafavi, «Interview
with Claude Parent», The function of the Oblique. The Architecture of Claude Parent and Paul Virilio 1963-1969, (aa
Documents 3), Architectural Association Press, Londra
1996, p. 54. Successivamente, Parent rifiutò di diven-
tare membro del gruppo degli architetti utopici giap
(Groupement International d’Architecture Prospective)
e fonda insieme a Virilio «Architecture Principe» come
contro-movimento critico.
2. Oltre alla sede centrale del pcf, occorre citare la meno
nota Bourse de Travail, costruita da Niemeyer nel 1973
nei dintorni parigini di Bobigny. Anche qui si utilizza
la «funzione obliqua» in modo sorprendente. Il suolo si
separa dalla strada: un piano scende mezzo livello, pe-
netra nel terreno per configurare un atrio –un volume
inedito simile a una tenda da campagna– all’aperto che
conduce all’edificio d’uffici nella parte retrostante alla
sala cerimonie, da dietro; l’altro piano sale mezzo livello
e, configurando un semicircolo generosamente curvo,
porta al piano d’ingresso dell’edificio d’uffici.
3. Si veda Alejandro Zaera Polo, «Eisenman’s Machine of
Infinite Resistance», in «El Croquis», 83, 1997, pp. 50-63,
in part. pp. 54-55.
realizzazione: 2000-2002), foa crea la struttura di un
suolo che si differenzia e si moltiplica permanente-
mente, ma che in realtà è un’unica superficie: scom-
paiono così le tradizionali gerarchie tra muro, coper-
tura e pavimento.
A differenza di foa, mvrdv abbandona il principio
topologico di Jussieu – l’angolo curvo della villa vpro
era poco più di un ammiccamento manierista a Ko-
olhaas da parte dei suoi ex collaboratori Winy Maas e
Jacob van Rijs – e continua a sviluppare decisamente
i paradigmi della moltiplicazione del suolo nel suo fi-
lone programmatico. Con questo scopo, combinano
la teoria del grattacielo di Koolhaas – di Delirious New York – con la continuità idealizzata del «Monumento
Continuo» di Superstudio. In un certo modo, mvr-
dv applica alla linea verticale la mancanza di scala
orizzontale di quest’ultimo progetto, con lo scopo di
continuare a sviluppare, a modo di piattaforme so-
vrapposte, il principio del grattacielo: generare una
molteplicità urbana impilando i programmi più di-
versi (così la critica culturale distopica di Superstudio
perde – e questo risulta interessante – ogni ambigui-
tà, acquistando una neutralità analitica). Del resto,
l’iperdensificazione della società urbana libera il
paesaggio – sempre più dilaniato dalla società – e lo
dichiara «un nuovo tappeto verde continuo» tra enor-
mi blocchi urbani. Con edifici che sembrano punti
in mezzo allo spazio verde fluido, il palcoscenico del-
la città in tre dimensioni allarga la ville radieuse di Le
Corbusier a limiti fino allora sconosciuti (il progetto
accoglie un milione di abitanti in un singolo edificio).
Considerando che la popolazione mondiale continua
ad aumentare, la grandezza limitata della superficie
abitabile della Terra sembra un problema quantitati-
vo. La mutazione del suolo suggerita da mvrdv, che
da singolarità naturale diventa molteplicità artificia-
le – in realtà un’unica natura creata dall’uomo – può
sembrare esagerata. Tuttavia, il panorama reale che i
climatologi paventano per il nostro pianeta per il XXI
secolo non è meno surrealista: calotte polari che si
sciolgono progressivamente, aumento del livello del
mare, quote di neve più basse sulle Alpi, migrazioni
dalle zone di vegetazione e altri cambiamenti immi-
nenti rendono evidente che il suolo ha smesso di esse-
re la base stabile della nostra esistenza ed è diventato
una topografia dinamica, ai cui mutamenti e oscilla-
zioni dobbiamo adattare la nostra vita.
* Ilka Ruby è architetto e Andreas Ruby critico e storico
dell’architettura. Titolari dal 2001 dell’agenzia berlinese di
comunicazione textbild. Si occupano di architettura contem-
poranea sia tramite l’attività didattica, sia come consulenti e
curatori di eventi culturali e pubblicazioni.
Nel 2008 fondano le edizioni Ruby Press.
** Introduzione al volume: Ilka & Andreas Ruby,
Groundscapes. El reencuentro con el suelo en la arquitectura contemporánea. The rediscovery of the ground in contemporary architecture, edizione originale spagnolo/inglese,
Editorial Gustavo Gili, Barcelona 2007.
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L ’ E D I F I C I O E I L S U O L O
In realtà, gli architetti per i quali la relazione tra co-
struzione e luogo non si basa su analogie e rimandi
geometrici o formali sono ancora una minoranza. È,
però, generalmente condivisa l’idea che il paesaggio
non sia lo sfondo dell’architettura, ma l’oggetto stes-
so della trasformazione. Se le dichiarazioni d’intenti
possono sembrare simili, esse si materializzano in for-
me diverse e riflettono diverse intenzioni e priorità.
In altre parole, ogni attacco al suolo si configura in
funzione della strategia di modificazione del luogo.
Per alcuni, l’aspirazione a costruire senza alterare la
configurazione del sito si traduce nel tentativo di far
sì che l’architettura ne diventi, o ne sembri, un com-
pletamento. Simile a questo approccio, che ricorda
l’idea classica dell’appartenenza dell’architettura alla
terra, perché come diceva Frank Lloyd Wright «la ter-
ra è la forma più semplice di architettura», è quello
che considera l’architettura come estensione del pae-
saggio o in esso vorrebbe farla dissolvere.
Per altri, l’architettura nasce dalle forme naturali, ma
pur non ignorando gli aspetti essenziali della topogra-
fia li trasforma. La capacità di assumere le caratteristi-
che morfologiche come punto di partenza della proget-
tazione, ma nello stesso tempo dar origine a una nuova
entità, e che riecheggia il modo di procedere di Alvar
Aalto, è evidente nella casa Balmelli di Tita Carloni e
Luigi Camenisch a Rovio (1956-1957) che segue l’anda-
mento del terreno, ma crea anche un nuovo profilo.
Il ricorso all’architettura per dare risalto alla topogra-
fia e accentuare ed estendere il sito è un atteggiamen-
to che si manifesta soprattutto quando il manufatto si
colloca su sommità o punti cospicui. La chiesa di San-
ta Maria degli Angeli a Monte Tamaro di Mario Botta
(1992-1996), dove il monte è stato «ampliato di una
piccola sporgenza», e nella sua massa architettonica
è stato integrato di pochi strati di roccia, viene letta
come una «prosecuzione della montagna», una «leg-
gera correzione geometrica della massa rocciosa».2
C’è, poi, chi considera la conformazione esistente
come un dato da accettare, per turbare la terra il
meno possibile. La registrazione degli accidenti del
terreno, la conservazione degli oggetti minerali e de-
gli organismi vegetali presenti, più che un vincolo di-
venta il fulcro dell’intero processo.
Infine, un esplicito intento di contraddizione nei
confronti della configurazione del sito si ritrova nel-
le opere di quegli architetti che non sono indifferen-
ti al luogo, ma rifuggono da qualsiasi integrazione e
mimesi, come fa Aurelio Galfetti con casa Rotalinti
Die Begegnung mit dem Bodenin der Tessiner Architektur. Theorie und PraxisTomà Berlanda*
1. L’ipotesi sottintesa nella scelta di dedicare un nu-
mero monografico al rapporto con il suolo è che sia
possibile individuare nelle opere degli architetti tici-
nesi un comune interesse per il tema, che si traduce
in una molteplicità di soluzioni costruttive.
È una domanda interessante, che lega la discussione
sulla rilevanza teorica della questione - cioè il ricono-
scimento che l’itinerario che traduce un’idea in una
architettura costruita, strutturalmente stabile e ade-
guata nella collocazione spaziale, trova un momento
decisivo nel modo in cui il manufatto tocca la terra -
alle scelte tettoniche di volta in volta inventate.
Negli anni recenti si è sviluppato un discreto corpo di
letteratura che affronta il tema dell’attacco al suolo
da due principali punti di vista. Il primo concentra
l’analisi su un singolo architetto, con l’intento di indi-
viduarne l’evoluzione o la continuità nel modo di rap-
portarsi al terreno. Alcuni esprimono preferenze as-
solute per una particolare soluzione che diventa una
costante nel loro approccio progettuale, mentre altri
sono disponibili a declinarne più d’una in funzione
delle specifiche condizioni del sito. Il secondo parte
dall’individuazione di specifiche categorie o modi ri-
correnti di attacchi al suolo e li analizza attraverso le
opere di architetti diversi.
Il tema, invece, non è stato affrontato con riferimen-
to a specifiche aree geografiche o alle scuole e gruppi
regionali, alla cui produzione architettonica della se-
conda metà del Novecento viene riconosciuto un no-
tevole grado di omogeneità e di riconoscibilità. Il Ti-
cino è una di queste aree culturali. Le caratteristiche
che si trasmettono da una generazione all’altra e che
giustificano l’individuazione di una scuola ticinese
sono la scelta pertinente e la sincera esibizione della
struttura, dei materiali e delle soluzioni tecnologiche,
nonché un rapporto con le preesistenze che rifiuta
qualsiasi storicismo e mimetismo formale.1
2. Topografia è ormai un termine abusato nel dibat-
tito architettonico ed il suo significato originario si è
dilatato per incorporare, oltre alla descrizione delle
caratteristiche geometriche di un sito, preoccupa-
zioni e tematiche nuove rispetto alla tradizionale no-
zione di crosta terrestre. Riecheggiando tale allarga-
mento di prospettiva, è diventata una consuetudine
enfatizzare l’attenzione per l’attacco al suolo e pre-
sentare progetti e costruzioni come risultato di un in-
tenzionale rapporto con il sito, inteso nella sua dupli-
ce e inscindibile connotazione geografica e umana.
L’incontro con il suolo nell’architettura ticineseTeoria e pratica
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L ’ E D I F I C I O E I L S U O L O
a Bellinzona (1960-1961) che si pone in intenzionale
contrasto con il pendio al quale è accostata.
Anche per Livio Vacchini l’ordine nasce dalla distin-
zione dalla natura, e la sua architettura si discosta
dall’intorno rivelando la propria artificialità logica e
tecnica. La palestra a Losone (1995-1997) che lo stes-
so Vacchini ha paragonato ad un tempio arcaico, una
Stohenenge del nostro tempo, appare come un bloc-
co imponente, inaccessibile su una piattaforma posta
sopra un esteso prato verde. La sala rettangolare è un
blocco di vetro cinto da pilastri di calcestruzzo che si
rastremano verso l’alto e sono stati eseguiti in un solo
getto. Al livello del suolo non è visibile alcuna entrata,
perché gli ingressi si trovano alle estremità delle ram-
pe che scendono al sotterraneo e hanno il significato
di scandire il percorso in una fase di discesa all’inter-
no della terra e in una successiva emersione.3
Collegare l’edificio al suolo con un elemento che dal
suolo appare staccato, è un modo per segnalare la di-
versità tra artefatto e natura.
3. L’enfasi con la quale progettisti e critici sottolineano
l’importanza della topografia, che letteralmente signi-
fica scrittura di un luogo, non si traduce meccanica-
mente in architettura. A volte il riconoscimento del va-
lore fondativo dell’attacco a terra si riduce a un retorico
richiamo alla necessità di sviluppare una non meglio
definita sensibilità topografica, mentre la relazione tra
manufatto e contesto viene trattata in termini di visione
poetica o di linguaggio architettonico, senza che questi
elementi si traducano in coerenti scelte costruttive.
Al moltiplicarsi di immagini e metafore che descri-
vono edifici «ancorati, radicati, seduti, in volo, gal-
leggianti» non corrispondono adeguati metodi di
rappresentazione, quali la sezione lunga, o più pro-
priamente detta intersezione, che è lo strumento più
efficace per rivelare e sintetizzare tutti gli intrecci tra
sito e architettura. Consentendo di evidenziare la
configurazione generata dalla solidarietà tra suolo e
manufatto, che è diversa rispetto a quella che la linea
della terra e la costruzione avrebbero se considerate
separatamente, l’intersezione è essenziale per com-
prendere le modalità dell’incontro e ricondurne la
materializzazione ad alcune situazioni di base. A se-
conda che il piano della pianta coincida con la super-
ficie d’appoggio, che il contatto sia limitato a pochi
punti, che l’edificio e il terreno entrino l’uno nell’al-
tro, si parla rispettivamente di aderenza, distacco,
incastro. Tale terminologia deve essere integrata ren-
1. Lio Galfetti, Casa Rotalinti, Bellinzona 1960-61.
Foto Archivio Galfetti
2. Livio Vacchini, Palestra, Losone 1997. Foto Archivio Vacchini
3. Livio Vacchini, sezione della Palestra, Losone 1997.
Disegno dell’autore
4. Rino Tami, autostrada N2, portali delle gallerie di Sciaresc
1963-83. Foto S. Milan
5. Lio Galfetti, Flora Ruchat, Ivo Trümpy, sezione dei Bagni,
Bellinzona 1967-70. Disegno dell’autore
1.
2.
3.
25
L ’ E D I F I C I O E I L S U O L O
fare distinzione tra architettura, land art e landscape
architecture, trattano il suolo come materiale prima-
rio del progetto.
Aurelio Galfetti e Luigi Snozzi sono entrambi attratti
dalla dimensione territoriale del rapporto tra archi-
tettura e suolo, ma la declinano con strumenti diver-
si. Nei Bagni di Bellinzona, che Galfetti ha costruito
con Flora Ruchat e Ivo Trumpy (1968-1970), l’attacco
al suolo, che consiste in una passerella che connette
e articola spazialmente il percorso, non è un accorgi-
mento tecnico pensato a posteriori per garantire sta-
bilità all’edificio, ma il cardine stesso del progetto. Il
luogo dove si fa il bagno è, in realtà, un percorso e la
passerella, cioè l’infrastruttura che crea lo spazio, ha
una dimensione paesaggistica.
Per Snozzi l’interesse per il territorio – sintetizzato in
uno dei suoi aforismi «fino a poco tempo fa gli inse-
diamenti umani erano carte geologiche» – prevale su
quello per il singolo edificio ed abbraccia un ambito
che si estende a tutti gli strati della crosta terrestre, da
quello dove insistono le fondazioni fino al centro del-
la terra. «Ogni casa raggiunge il centro della terra, un
vero prato arriva fino al centro della terra» è un altro
dei suoi aforismi.5 Snozzi è affascinato dal valore simbo-
lico delle fondazioni, dalla loro capacità di comunicare
l’ossatura dell’idea architettonica e di essere, quindi,
una sintesi di tutto il percorso progettuale. «Un edificio
comincia sempre dalle sue fondazioni», dice, ed è con-
vinto che per capire un’architettura basta osservare le
fondazioni, perché «le più belle piante dell’architettura,
le vedi dalle cantine, è li che matura tutta l’idea».6
Inoltre, per Snozzi il progetto è uno strumento di ri-
dendo espliciti i criteri in base ai quali ogni architetto
sceglie una o l’altra modalità.
La decisione di appoggiarsi al terreno semplicemente
consolidato o su una sottile piattaforma, che diventa
una sorta di suolo artificiale, può essere ricondotta
alla ricerca di un rapporto simbiotico tra interno ed
esterno. Può anche coesistere con la convinzione che
un edificio sia un artefatto che non è indifferente al
luogo, ma rifugge da qualsiasi integrazione, come
dimostra la casa Bucerius a Brione sopra Minusio
(1965-1966) – una delle due case costruite da Richard
Neutra in Ticino – collocata su una piattaforma che si
allarga oltre il perimetro dell’edificio.
L’incastro non è mero sinonimo di vano interrato o
di edificio ipogeo, ma una configurazione pensata in
modo che la terra e la costruzione, condividendo uno
spazio definito volumetricamente, siano complemen-
tari; un procedimento ben diverso da quello di chi
manipola e stravolge la terra per realizzare costruzio-
ni indifferenti ai luoghi.
Anche le motivazioni di chi cerca di limitare il contat-
to ad una serie di punti possono essere molto diverse,
come dimostrano le piattaforme appoggiate su sup-
porti spostati verso l’interno di Mies van der Rohe, gli
edifici di Sean Godsell sostenuti da elementi punti-
formi studiati caso per caso e alcune recenti opere di
Peter Zumthor.
Un edificio non può essere completamente privo di
legami con il suolo, ma la limitazione del contatto ad
una serie di elementi discontinui consente di lasciar-
ne il piano orizzontale principale staccato. Lo spazio
interstiziale che ne risulta separa e allo stesso tempo
connette il terreno con l’edificio e consente di leggere
con chiarezza la struttura portante.
Casa Nadig a Maroggia di Rino Tami (1956-1957) è
un parallelepipedo appoggiato su due muri ortogo-
nali di pietra legati da due travi di calcestruzzo. L’ap-
parente distacco dal suolo pone in risalto la ricerca
della soluzione strutturale.
4. Le opere di Tami sono un lascito ineludibile per
la successiva generazione di architetti che pure
hanno posizioni variegate nei confronti del modo
di legarsi al suolo.
Sia i singoli edifici – le case che sempre «cercavano di
essere ben sedute» e per questo in ogni suo lavoro si
preoccupa di «sposare la casa col terreno»4 – che gli
interventi a scala territoriale lungo l’autostrada N2 tra
Chiasso e il Gottardo (1963-1983) nei quali è difficile
5.
4.
26
L ’ E D I F I C I O E I L S U O L O
costruzione del legame con il suolo, la piattaforma –
che secondo Jørn Utzon è l’evento critico dal quale
emerge l’architettura – assolve molte funzioni. Può
segnalare la quota di riferimento principale o stabilir-
ne una nuova, può mettere in relazione la costruzione
con una porzione più o meno ampia di terreno, può
evidenziare una intenzionale separazione tra il suolo
e l’edificio o tra la parte della costruzione adiacente
al suolo e quelle superiori.
Il basamento attira l’attenzione al legame con la terra
e alla soluzione costruttiva che lo sostanzia, esprimen-
do così l’artificialità costitutiva di ogni intervento ar-
chitettonico. La piattaforma rimanda alla concezione
classica, tripartita dell’architettura. Ogni architettura
è sempre «tendenzialmente tripartita, si appoggia
sulla terra, si innalza e si chiude nel cielo», dice Livio
Vacchini, e conformemente a questa visione, colloca
la palestra di Losone su uno zoccolo rialzato.12
Ogni muro è diverso, ma sempre risolve e segnala l’at-
tacco al suolo e ridefinisce il sito. Per Mario Botta la
gravità è la forza che lega l’opera di architettura alla
terra e costituisce la ragion d’essere del principio co-
struttivo nella ricerca dell’equilibrio per trasmettere
i carichi al suolo. A suo giudizio, il gesto primo del
costruire è dato dal «sovrapporre alla terra una pie-
tra» e perciò, «piuttosto che di pietra su pietra si deve
parlare di pietra su terra».13 I suoi muri sono più una
massa che una superficie ed enfatizzano il peso della
terra e il peso dell’architettura che saldano insieme.
Come elemento di raccordo al suolo, la passerella ha
un forte valore simbolico. Ponendo i due elementi
che connette l’uno di fronte all’altro, li lega ma allo
stesso tempo ne evidenzia la separazione.
La cappella di Santa Maria degli Angeli a Monte Tama-
ro, che Botta definisce «una passerella viadotto che
esce dalla montagna»; è un «ponte metafisico» che ver-
tiginosamente lascia la terra per gettarsi nel vuoto.14
6. La ricognizione delle configurazioni alle quali la
solidarietà del manufatto architettonico con il suolo
può dar origine deve essere accompagnata dall’anali-
si di come ogni idea progettuale si concreta in soluzio-
ne costruttiva se si vuole che la modalità dell’attacco a
terra perda la connotazione di astrazione geometrica.
Opere che dal punto di vista tipologico sembrano si-
mili, rivelano intenzioni diverse se analizzate alla luce
delle modalità di attacco al suolo, come dimostra il
confronto fra tre case di Snozzi, Botta e Vacchini.
A prima vista tutte e tre appaiono semplici scatole di
calcestruzzo armato su un pendio, ma ognuna instau-
cognizione e la scoperta del terreno è il momento
decisivo del percorso nel quale intuizione e inven-
zione possono avere un peso diverso, ma comunque
interagiscono.7 Come ha osservato Alvaro Siza, «nelle
sue valli, Snozzi, ricerca meticolosamente ogni traccia
sul suolo e ogni voglia di cambiamento. Tanti sono gli
elementi che attirano la sua attenzione.. filari di viti,
muri, fondazioni di antichi conventi, abitudini anti-
che e in trasformazione».8 Camminare, per misura-
re ed esplorare il sito, è una pratica seguita da quegli
architetti, che Jacques Gubler chiama «architetti agri-
mensori» e tra i quali include Snozzi, che costruiscono
il progetto «con la punta della matita e con i piedi»,
cioè partendo dalle tracce e dai segni scoperti andan-
do a piedi9 e per i quali l’esplorazione del terreno non è
una mera operazione tecnica di raccolta di dati quanti-
tativi e misurabili, ma un processo di selezione e inter-
pretazione inscindibile dal progetto.
Pierre-Alain Croset considera l’orografia qualcosa
che deve essere rivelato grazie all’architettura. È un
concetto che usa nella lettura di molte opere di Snoz-
zi, casi esemplari di promenade architecturale concepita
come «lettura dell’orografia». A suo giudizio, Snozzi
prende le mosse dalla conformazione del terreno e
inventa la topografia per comporre sequenze di im-
magini incorniciate nel paesaggio. Nelle sue case,
mai disposte come prospetti statici10 i valori geografi-
ci del sito sono rivelati attraverso il percorso di avvi-
cinamento e «stupisce il grande rispetto manifestato
nei riguardi dell’orografia naturale: piccoli dislivelli,
minimi spostamenti di terra e terrazzamenti appena
affioranti si dimostrano sufficienti laddove abitual-
mente le nuove costruzioni tendono a cancellare defi-
nitivamente i caratteri dell’orografia originaria».11
5. L’attenzione alla percezione fenomenologica
dell’architettura fa sì che alcuni interpretino le «fi-
gure» architettoniche come strumenti grazie ai quali
l’architetto può leggere e riscrivere la topografia di
un sito. Secondo questo approccio, la piattaforma,
che media l’andamento del terreno o crea un nuovo
piano distaccato, stabilisce e segnala una precisa re-
lazione altimetrica con l’esistente; il muro, oltre che
filtro e supporto, è un elemento di misura del terre-
no; la passerella concentra l’attenzione sulle due parti
che collega sottolineandone la separatezza; la rampa,
prolungando e rallentando il percorso di avvicina-
mento, crea una serie di orizzonti intermedi tra la ter-
ra e la costruzione.
In quanto parte di una consapevole strategia della
6.
27
L ’ E D I F I C I O E I L S U O L O
ra con il sito una peculiare relazione che è possibile
cogliere guardando il modo in cui è stato realizzato il
contatto con la terra.
Casa Kalman a Minusio (1972) è un manifesto costrui-
to dell’approccio di Snozzi che, attraverso la critica in-
terpretazione della geografia e della topografia, iden-
tifica particolari caratteristiche naturali o resti della
storia e della cultura e li riformula per intensificare la
percezione del luogo. Il muro di contenimento segue
la curva di livello – la condizione geologica esistente
che informa l’organizzazione della casa – e collega
l’architettura alla più larga fisica entità del lago. La
contrapposizione tra il ripido pendio e l’andamento
orizzontale del piano della valle è accentuata dalla
passerella che indirizza e sposta l’attenzione dell’os-
servatore dall’oggetto architettonico verso la concreta
esperienza della topografia del sito.
Casa Bianchi di Botta a Riva San Vitale (1973) è una
torre che si erge isolata, come un osservatorio. Ma se la
torre rimanda all’atto di guardare, la passerella d’ac-
cesso rimanda a quello di attraversare. Percorrendola
il terreno diventa parte integrale dell’esperienza di en-
trare in casa e allo stesso tempo, essa articola il distac-
co tra le forme naturali e l’artefatto facendo emergere
l’opposizione tra la casa e il paesaggio suburbano.
La casa a Costa Tenero di Vacchini (1992-1993) è un
parallelepipedo appoggiato perpendicolarmente
sul pendio collinare, ad un’altezza di circa 140 cm ri-
spetto alla quota di accesso. La casa è definita da una
struttura ridotta al limite delle leggi fisiche. Il tetto è
un’ unica trave in calcestruzzo precompresso che, al-
leggerita da tubi in acciaio, poggia su sei pilastri posti
alle estremità del rettangolo di base. Una piccola pen-
silina e una pedana in calcestruzzo rivelano l’ingres-
so ed indicano la separazione tra esterno ed interno.
La soglia, che divide e connette, è il momento signifi-
cativo dell’incontro tra terreno e costruzione, ma non
è parte di un processo di narrazione. La casa ha la sua
logica, la montagna ne ha un’altra, è una «gestalt come
le opere di Donald Judd».15
7. Molti architetti hanno assimilato l’insegnamento
dei maestri, come si evince dagli esempi qui pubblicati.
La struttura portante di casa Minghetti e Rossi a Gor-
dola di Nicola Baserga e Christian Mozzetti (2009-11)
si limita a due appoggi interni che permettono di non
«infierire» sulla terra. Due travi longitudinali appog-
gianti su plinti portano la soletta di copertura, men-
tre la soletta inferiore è appesa tramite tiranti centrali
alle pareti laterali.
È un approccio non dissimile da quello usato per l’au-
torimessa cmb a Camorino da Dario e Mirko Bonetti
(2009), che sollevando un lungo volume chiuso sopra
pochi appoggi puntuali idealmente rafforza l’anda-
mento orizzontale della pianura circostante.
Il rapporto con un sito assimilabile a una linea orizzon-
tale è presente anche nella casa monofamiliare a Bia-
6. Mario Botta, sezione longitudinale Cappella di Santa Maria
degli Angioli, Monte Tamaro 1990-95. Disegno dell’autore
7. Livio Vacchini, Casa a Costa, Tenero-Contra 1991-92. Foto E. Sassi
8. Luigi Snozzi, Casa Kalmann, Brione 1976. Foto S. Milan
9. Mario Botta, Casa Bianchi, Riva San Vitale 1971-73.
Foto Marco D’Anna
8.
9.
7.
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L ’ E D I F I C I O E I L S U O L O
Note 1. Schmertz, Mildred, The Ticino Group: Toward an architecture
of place, in «Architectural Record», n. 175, 1987, p. 110.
2. Oechslin, Werner, Mario Botta: l’architettura sacra, l’espres-sione e la pietra, in Gemin, Mario (a cura di), Mario Botta. Cinque architetture, Skira, Milano, 1996, pp. 126-148.
3. Masiero, Roberto, Prima e dopo il classico. Sull’architettura di Livio Vacchini, in Livio Vacchini. Opere e progetti, Electa,
Milano, 1999, p. 16.
4. Carrard, Philippe, Oechslin Werner, Ruchat-Roncati,
Flora (a cura di) Rino Tami, Segmenti di una biografia architettonica, gta, Zurich, 1992, p. 50.
5. Snozzi, Luigi, Aforismi, in Disch, Peter, Luigi Snozzi, L’ope-ra completa 1958-93, ADV, Lugano, 1994, pp. 104-105.
6. Croset, Pierre Alain, Una conversazione con Luigi Snozzi, in «Casabella», n. 567, 1990, pp.20-22 e Id. Un’architettura aulica e funzionale, ivi, pp. 6-7.
7. Lichtenstein, Claude, Design as recognition, in Luigi Snoz-zi, Birkhauser, Basel, 1997, pp. 7-25.
8. Siza, Alvaro, Impressioni di un viaggio in Ticino, visitando le case di Snozzi, in Disch, Peter, cit., pp. 20-23.
9. Gubler, Jacques, Motions, émotions: notes sur la marche à pied et l’architecture du sol, in «Matières», n. 1, 1997, pp.
6-14, ora in Guerrand, Henri (a cura di), Thème d’histoire et d’architecture, Infolio, Gollion, 2003, pp. 15-30.
10. Croset, Pierre Alain, L’architettura e l’urbanistica di Luigi Snozzi, in Disch, Peter, cit. p. 48.
11. Croset, Pierre-Alain, ivi, p. 46.
12. Masiero, Roberto, cit., pp. 17-65.
13. Botta, Mario, Luce e gravità, in Cappellato, Gabriele (a
cura di), Mario Botta, Compositori, Bologna, 2008, p. 8.
14. Botta, Mario, Il monte e la cappella, in Pozzi, Giovanni e
Botta, Mario, Santa Maria degli Angeli sul Monte Tamaro,
Casagrande, Bellinzona, 2001, p. 5.
15. Lucan, Jacques, Livio Vacchini, L’implacabile necessità del tutto, in Disch, Peter (a cura di), Livio Vacchini architetto,
adv, Lugano, 1994, p. 26.
sca di Luca Coffari (2011). Una pesante piattaforma di
calcestruzzo funge da zoccolo nel quale è incastrato un
involucro che rimane visivamente staccato da terra.
Casa Ostinelli a Vacallo di Ivano Gianola (2007-09)
presenta una tensione creata tra i piani orizzontali del
pavimento e della copertura. L’imponente spessore
della soletta del tetto, quasi a voler sottolineare un pa-
radosso statico è rivestito da alte lastre di pietra verde
che dominano la composizione.
Nella casa ai Pozzi a Minusio, Silvia e Reto Gmür (2007-
11) hanno sfruttato un terrazzamento pianeggiante
per posizionare il basamento dell’edificio che segnala
la separazione della casa dal pendio e allo stesso tempo
fa si che il contesto diventi parte del suo interno.
La casa a Ronco a Pregassona di Jachen Könz e Ludo-
vica Molo (2007) è invece sollevata rispetto al suolo e,
staccandosi dal terreno terrazzato, garantisce la con-
tinuità del prato sottostante.
8. La ricognizione delle opere di tre generazioni di
architetti ticinesi mette in luce una condivisa atten-
zione per l’attacco al suolo che si traduce nella ricerca
di soluzioni costruttive appropriate. Piace qui citare
come esempio la consapevolezza della necessità di
esplorare nuovi percorsi di ricerca riconoscibile nel-
la Capanna Cristallina (2009) di Baserga e Mozzetti
dove la scelta dell’attacco al suolo ha richiesto, prima
che una soluzione tecnica, la ricerca della «giusta col-
locazione» del manufatto. L’ubicazione della capanna
rispecchia la volontà di non costruire sulla fragile to-
pografia del passo e di occupare un terrazzo adiacen-
te ritenuto più adatto alle caratteristiche climatiche.
Il rapporto con il sito è ricercato, più che attraverso
rimandi formali, attraverso l’uso dei materiali. Uno
zoccolo, formato con pietre recuperate dalla vecchia
Capanna e con materiale di scavo, si estende da un
lato per diventare terrazza. Il piano seminterrato in
calcestruzzo, che salda la capanna alla terra, ha la
funzione di isolare la parte abitativa dal terreno, men-
tre l’involucro leggero possiede un’elevata coibenza
termica ed una ridotta inerzia termica.
Se da un lato appare chiaro come, negli anni più re-
centi, la scelta della modalità dell’attacco a terra ten-
de a incorporare nuove preoccupazioni che riflettono
il superamento della tradizionale nozione di topogra-
fia, dall’altro quelli che sembrano essere gli esempi
più interessanti non attingono a un repertorio statico
di soluzioni già sperimentate, ma propongono inno-
vazioni dal punto di vista tecnologico, strutturale e
dell’uso dei materiali, confermando così la vitalità
della scuola ticinese.
* architetto, tra i primi laureati aam, dottore di ricerca. Dal
2010 in Ruanda é professore e titolare di asa studio. La sua
tesi di dottorato Topografie architettoniche: lessico grafico dell’at-tacco al suolo è in corso di pubblicazione presso Routledge.
Auf Grundlage der These, dass das Thema der Befestigung im Boden in der Tessiner Architektur der letzten 50 Jahre eine wichtige Rolle gespielt hat, untersucht der Artikel eine Reihe von klassi-schen Bauwerken unter dem Gesichtspunkt der von den Urhebern beabsichtigte Beziehung zum Boden und der dafür entwickelten baulichen Lösungen. Die Analyse erfolgt im Rahmen umfassen-derer Überlegungen darüber, wie sich die Theoriedebatte zum Be-griff der Topografie entwickelt und wie sich seine ursprüngliche Bedeutung erweitert hat. Heute versteht man darunter nicht allein die Beschreibung der geometrischen Eigenschaften eines Standorts, sondern auch seine vielfältigen materiellen Aspekte, zu denen auch neue Anliegen und Themen gehören, die über den herkömmlichen Begriff der Erdkruste hinausgehen. Soweit möglich werden die be-schriebenen Bauwerke als Schnitte dargestellt – einige stammen vom Autor des Artikels selbst. Wie die Schnitte und der Vergleich zwischen den Erklärungen der Planer und den errichteten Bau-werken zeigen, erfolgt die materielle Umsetzung der Eingebungen und Absichten, die mit Zeichnungen und Modellen erzählt und il-lustriert werden, durch tektonische Knoten – durch eine konstruk-tive Syntax also, die mit der Topografie verbunden ist. Aus dem Überblick, der von den Meistern Rino Tami, Aurelio Gal-fetti, Luigi Snozzi, Livio Vacchini und Mario Botta bis zu den jüngeren Vertretern der Tessiner Architektur reicht, kristallisieren sich wesentliche Elemente heraus, die auf eine Kontinuität hindeu-ten. Zugleich wird offensichtlich, dass das Thema der Befestigung am Boden von einer Generation zur nächsten weitergegeben wird und sich dabei konstant weiterentwickelt.
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L ’ E D I F I C I O E I L S U O L O
foto Filippo Simonetti
Abitare su un piano
Abbiamo voluto lavorare su un progetto che prevedes-
se di abitare su un piano.
Tutte le attività: arrivare in auto, soggiornare, studiare,
mangiare, rilassarsi e dormire, si sviluppano ad
un’unica quota. Una parte di sotterraneo contiene i
locali tecnici, i depositi, la lavanderia e la cantina.
La seconda volontà era quella di abitare in una pianta
a L che permettesse di vedere due facciate della casa e
di usufruire dello spazio esterno allo stesso livello.
La volontà era anche quella di semplificare al massi-
mo le superfici, dando al progetto un’immagine o,
meglio, una forma scultorea, lavorando sui volumi.
Questo atteggiamento ci ha permesso di «dialogare»
con le montagne circostanti e il paese di Biasca.
Il modo più diretto per ricercare la «pulizia» delle
forme è stato quello di utilizzare il calcestruzzo ar-
mato a vista gettato senza giunti visibili, casserato con
cura, pulito e levigato.
La forma dell’edificio si è ottenuta attraverso la lavo-
razione di due volumi iniziali tramite sottrazione e
tagli e la successiva aggiunta di un terzo e un quarto
volume. Il primo volume è estruso dal terreno e de-
finisce un piano di 362 mq che accoglie tutte le atti-
vità. Abbiamo poi «incastrato» sul volume primario
un volume secondario che misura 22.50 x 17.50 x 3.71
m, le pareti hanno uno spessore di 40 cm sui quattro
lati e di 66 cm alla sommità; il volume secondario si
incastra in sospensione sul volume primario, ospitan-
do nei 148 mq di superficie netta interna riscaldata
tutti i contenuti abitativi. Viene poi realizzata un’o-
perazione di sottrazione di una parte del volume se-
condario e l’inserimento di altri due volumi. Il taglio
a 60° permette di rivelare il contenuto del volume. Ta-
gliare «l’esoscheletro duro» per rivelare un contenuto
«addomesticato», dove si svolge la vita famigliare. Le
facciate a L, completamente vetrate, permettono di
godere la casa da tutte le stanze e di accedere al sog-
giorno esterno.
La sottrazione al volume secondario sul lato della
strada forma l’accesso. In questo vano si inseriscono
il terzo volume dalla sezione a L, dallo spessore di 40
cm, che caratterizza l’entrata. La forma è giustificata
dalla necessità statica di sostenere il solaio interno li-
berando l’angolo vetrato da pilastri portanti. Il quarto
volume, inserito nel vano, va a formare «l’approdo»
a forma di rampa che porta alla quota dell’abitato.
Il soggiorno esterno è in contatto diretto col terreno
naturale (non è un tetto), ospita un prato steso a rotoli
Luca Coffari
Casa monofamiliare, Biasca
precoltivati come se fosse un tappeto. I serramenti
sono in alluminio termolaccato antracite perché non
volevamo parti «luminose» che riflettessero la luce
diurna ma che rimanessero in ombra. Il pavimento è
realizzato su tutte le superfici della casa sia all’interno
che all’esterno, in betoncino finito Duratex pigmen-
tato antracite con il 4% di colore nero nella massa, ac-
curatamente lisciato e trattato con una lacca di finitura
indurente, scelto per dare uniformità e rafforzare
l’idea dell’abitare su una quota unica.
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L ’ E D I F I C I O E I L S U O L O
Pianta
Schema compositivo
Sezione soggiorno
Sezione camere
1 Volume primario: estrusione
2 Volume secondario: incastro in sospensione
3 Terzo volume: definizione entrata e struttura
4 Quarto volume: approdo
5 Taglio volume secondario a 60°
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L ’ E D I F I C I O E I L S U O L O
Casa monofamiliare; Biasca
Architetto Luca Coffari; Coldrerio
Collaboratore R. Coffari
Ingegnere Project Partners; Grancia-Lugano
Fotografo Filippo Simonetti; Brunate
Date progetto: 2008-2009
realizzazione: 2010-2011
Modellista Benjamin Marchesoni; Lamone
Impresario costruttore Muttoni SA; Faido p. 12
Elettricista Elettrobiasca 2 SA; Biasca p.12
Sanitario e riscaldamenti Thermonord SA; Biasca p.12
Sistemi costruttivi a secco Knauf SA; Lugano p.6
Serramenti Vitrocsa Design System
Protezioni solari Griesser SA; Cadenazzo
Arredi LaCasa Interior Design; Mendrisio
L ’ E D I F I C I O E I L S U O L O
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L ’ E D I F I C I O E I L S U O L O
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dell’edificio (piano terra) che lungo le sue facciate
(primo piano). Questa scelta strutturale consapevole
e fondamentale, pur se tecnicamente impegnativa,
è scaturita grazie anche al contributo sostanziale
dell’ingegnere civile. La rampa d’accesso come ele-
mento eccezionale è slegata dalla logica strutturale
dell’autorimessa e funge da sfondo al piazzale d’ac-
cesso verso la ferrovia.
Il progetto nasce dalla necessità della committenza
di trovare una nuova collocazione per i posti macchi-
na presenti nell’area del Centro di Manutenzione di
Camorino. L’incarico chiedeva la nuova edificazione
di circa 80 posteggi una parte dei quali chiusi per esi-
genze legate alla sicurezza. Un programma di natura
prevalentemente infrastrutturale che una commit-
tenza avveduta e lungimirante ha saputo, e voluto,
tematizzare in un progetto.
Il terreno, ubicato sul piano di Magadino, fa parte
di un più vasto comparto occupato dal Centro per
la Manutenzione delle strade nazionali. Delimita-
to a nord dalla linea ferroviaria del Gottardo e di
AlpTransit, a sud dalla strada d’accesso al centro di
manutenzione, si presenta come una superficie qua-
si perfettamente orizzontale libera da costruzioni. Il
contesto si connota invece per un’occupazione dif-
fusa di capannoni artigianali, industriali e ammi-
nistrativi. In lontananza le montagne che, in netto
contrasto con il disordine delle immediate adiacenze,
costituiscono il chiaro limite del paesaggio e che re-
stituiscono al luogo la tranquillità di un riferimento a
grande scala.
Un edificio, elementare nella sua semplicità, occupa
l’intera larghezza del sedime a disposizione e tenta,
tramite la sua dimensione e la sua espressione, un dia-
logo con la grande scala del paesaggio e delle infra-
strutture viarie che lambiscono il sedime (autostrada,
ferrovia, ). La sua ubicazione segna, caratterizzando-
lo, l’ingresso al centro di manutenzione. Il volume
progettato è completamente sollevato per liberare lo
spazio orizzontale del piano campagna. Questa solu-
zione genera uno spazio coperto ma aperto sulle su-
perfici adiacenti che divengono così parte integrante
del sistema. Gli spazi residui ed abbandonati sono
così praticamente assenti.
Alla grande continuità ed alla trasparenza del pia-
no terreno si contrappone un piano superiore com-
pletamente chiuso ed introverso che risponde alla
richiesta di posteggi chiusi. Una facciata astratta e
continua, realizzata con un unico modulo di pannelli
in lamiera d’alluminio presso-piegata, azzera ogni ri-
ferimento alla scala ed alla funzione dell’intervento.
La struttura tocca il suolo solo puntualmente ed
evidenzia aggetti significativi grazie anche alla pre-
compressione delle solette. L’edificio pare così librarsi
sul terreno. La cadenza e la disposizione dei pilastri,
arretrati rispetto al filo delle facciate, consentono
la disposizione dei veicoli sia lungo l’asse centrale
Bonetti e Bonetti architettiBernardoni SA
L ’ E D I F I C I O E I L S U O L O
Autorimessa CMB, Camorino
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L ’ E D I F I C I O E I L S U O L O
Autorimessa Centro Manutenzione Camorino CMB
Committente Sezione della Logistica
Cantone Ticino
Architetti Bonetti e Bonetti architetti;
Massagno
Ingegneria e realizzazione Bernardoni SA; Lugano
Ingegnere elettrotecnico Tecnoprogetti SA; Camorino
Consulente costr. metalliche Didier Grandi SA; Rivera
Date progetto: 2005-2008
realizzazione: 2009
Impresario costruttore Bossi e Bersani SA; Bellinzona
Precompressione Stahlton SA; Mezzovico
Metalcostruttore Officine Canova; Chiasso
Impermeabilizzazioni Lotti SA; Lumino
Pavimentazione Consorzio Novastrada SA; Taverne
ATAG AG; Erstfeld
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Pianta piano superiore
Sezione trasversale
Sezione di dettaglio
Pianta piano terra
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foto Helene Binet
Silvia GmürReto Gmür
Casa ai Pozzi, Minusio
è dunque evidenziata anche da questo espediente.
La facciata in vetro non è chiusura ma solo protezio-
ne termica e rappresenta invece l’assoluta apertura
verso il paesaggio. Delle tende traslucide sono dispo-
ste tutto attorno allo spazio della casa. Esse permet-
tono di scegliere la parte di paesaggio che si vuole
accogliere all’interno. Le tende trasformano la casa
in uno spazio intimo di protezione che sembra gal-
leggiare nel paesaggio piuttosto che essere ancorata
al terreno.
Matematica e proporzione sono gli elementi che deter-
minano la forma e la struttura dello spazio. I pochi ma-
teriali conservano la loro espressione arcaica.
L’acqua che scorre attraverso la terra della valle, è stata
catturata e diretta in due bacini che riflettono la luce.
Il nostro obiettivo per questo progetto è stato quello
di riflettere sulle questioni fondamentali dell’archi-
tettura, non certo quello di soddisfare delle esigenze
specifiche dettate dal programma.
«Il progetto, prima che strumento di trasformazione,
è strumento di conoscenza» (Luigi Snozzi).
Tuttavia ogni progetto trasforma sempre il suo autore.
Alcune delle domande che ci siamo posti sono: Qual è
l’essenza di una casa? Come si esprime il rapporto tra
pubblico e privato? Come tocca il suolo la casa? Quale
relazione si instaura col paesaggio? Come si comporta
l’edificio rispetto alla pendenza (cioè, quando non ci
sono né riferimenti orizzontali né verticali)?
La casa è in primo luogo la protezione fisica e psico-
logica dell’uomo e crea un limite tra uno spazio usato
individualmente e il mondo esterno. Il passaggio dal
privato al pubblico simboleggia il rapporto dell’indi-
viduo con la società. Nella casa ai Pozzi, questi spazi di
transizione hanno un carattere integrativo in quanto
ancorano l’edificio al paesaggio.
La casa è sempre un artefatto, non c’è simbiosi tra l’e-
dificio e il terreno. Il carattere del dialogo tra natura
e artefatto determina la specificità del progetto.
La parcella della casa ai Pozzi è di forma triangola-
re, si colloca obliquamente rispetto alla strada ed è
situata su un ripido pendio. È stato dunque sfrutta-
to un terrazzamento pianeggiante per posizionare
il basamento dell’edificio. Da un lato la separazione
della casa dal pendio permette di percepire lo stesso
ordine architettonico su tutti i lati, dall’altro le quat-
tro pareti trasformano la topografia permettendo un
confronto diretto di ogni facciata con il paesaggio cir-
costante. Questo gesto genera una tensione più forte
rispetto all’opzione di integrare l’edificio nel terreno.
L’edificio è indipendente ma allo stesso tempo il con-
testo paesaggistico diventa parte del suo interno.
Due unità identiche formano un tutto. La loro posi-
zione speculare esprime dualità e complementarità
ma anche l’equilibrio nell’asimmetria.
I pochi elementi della casa sono costituiti dalla strut-
tura e dall’involucro. Gli elementi di arredamento ne-
cessari, come ringhiere, cucina e bagno, sono subor-
dinati al tutto e sono realizzati in cemento.
Due pilastri di cemento speculari, che contengono
anche gli spazi di servizio, formano con i tre solai,
sempre di cemento, la struttura dell’edificio e defini-
scono gli spazi della casa. La pianta rettangolare (12 x
24 m) è divisa in spazi interni ed esterni, ognuno dei
quali contiene una porzione di questi pilastri. L’unità
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L ’ E D I F I C I O E I L S U O L O
Casa ai Pozzi; Minusio
Committente Silvia Gmür
Architetti Silvia Gmür, Reto Gmür Architetti;
Basilea
Collaboratore J. B. Machado
Ingegnere A. Basetti, Dr. Lüchinger+Meyer
Bauingenieure AG; Zurigo
Specialista imp. riscaldamento W.Haldemann, Waldhauser
Haustechnik AG, Münchenstein
Specialisti imp. sanitario Gode AG Baden; Dättwil
EE Design; Basilea
Specialista imp. elettrico PPEngineering; Basilea
Architetto paesaggista August Künzel; Binningen
Fotografo foto Helene Binet; Londra
Date progetto e realizzazione: 2007-11
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Pianta piano superiore Pianta piano inferiore
Sezione trasversale
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foto Walter Mair
e Filippo Simonetti
Jachen KönzLudovica Molo
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Casa al Ronco, Pregassona
La casa sospesa
La casa sospesa è l’abitazione per una coppia e si collo-
ca su una collina con una vista magnifica in un quar-
tiere di villette nella periferia di Lugano.
Il lotto, per secoli terreno agricolo, è terrazzato. L’ubi-
cazione delle case unifamiliari adiacenti ha compro-
messo la qualità originaria del terreno introducendo
terrapieni, muri di sostegno e recinti e lasciando spazi
interstiziali indefiniti.
Il progetto crea un mondo a sé stante: tutte le funzioni
si svolgono all’interno di un corpo che, staccandosi
dal terreno, ne garantisce la continuità. Il prato viene
conservato nella sua essenzialità. La messa a dimora
di un ciliegio vicino al nuovo accesso, un orto sul lato
est e un frutteto sul lato ovest costituiscono gli unici
interventi esterni. Il giardino abitato entra all’interno
della casa.
Dentro il volume della casa un paesaggio composto
da terrazze interne che rispondono all’andamento
del pendio e alla vista forma uno spazio continuo
intorno alla grande terrazza. La luce entra attraverso
corpi di varie dimensioni incavati nel volume: la grande
terrazza, una piccola corte che funge da parete diviso-
ria nella zona notte e un lucernario che corre lungo
tutta la zona giorno. La corte presenta un microclima
simile a quello di una serra e consente di penetrare
l’edificio con piante. Il lucernario lungo il soggiorno
svolge anche la funzione di captare il calore, garan-
tendo un basso consumo energetico.
Tutto l’edificio è in legno, costruzione, rivestimenti
esterni e interni compresi. Una costruzione in legno
è vantaggiosa non solo per leggerezza, velocità nella
realizzazione e caratteristiche ecologiche, ma ha
anche una grande qualità statica, che, abbinata alla
necessità di staccare il legno dalla terra e dall’umidità,
ci ha indotto ad optare per una costruzione sospesa.
L’elemento di raccordo con il terreno è il posteggio,
il cui zoccolo contiene i locali tecnici. Si accede alla
casa tramite un piccolo ponte, che si stacca dalla terra
e conduce ad un mondo tutto interno, proiettato verso
l’orizzonte.
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L ’ E D I F I C I O E I L S U O L O
Casa al Ronco; Pregassona
Committente Eliana Fuchs e Renzo Viganò
Architetti Jachen Könz e Ludovica Molo;
Lugano
Statica e costruzione in legno Xilema; Bedano
Ingegnere civile Geo Viviani; Lugano
Specialista elettrotecnico Riva Elettroprogress; Ponte Tresa
Specialista sanitario Copa e Co; Viganello
Specialista VR Aircond Ser vice; Bioggio
Fotografo Walter Mair; Zurigo
Date progetto di concorso: 2006
realizzazione: 2007
Falegname Veragouth SA; Bedano
foto Filippo Simonetti
Sezione longitudinale
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Principio costruttivo-strutturale
Travi parallele
Travi perpendicolari
Assemblaggio
Pianta livello superiore
Pianta livello inferiore
Pianta degli appoggi
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Sezione cavedio
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Villa a Vacallo
foto Siegfried J. GragnatoIvano Gianola
L ’ E D I F I C I O E I L S U O L O
Si tratta di un’abitazione monofamiliare con un pia-
no fuori terra e uno interrato.
Il piano terreno si compone di una rimessa per due
auto, l’atrio entrata con guardaroba e il servizio ospi-
ti, un grande soggiorno da cui si accede direttamente
al portico e al giardino. Il soggiorno mette in contatto
anche lo studio, la cucina e la camera padronale con
guardaroba e bagno. Al piano interrato si trovano i
locali di servizio: lavanderia e stireria, riscaldamento,
deposito, cantina, e una serie di armadi.
Le facciate esterne sono formate da una muratura
doppia isolata, con rivestimento in serpentino verde.
I serramenti scorrevoli del portico-terrazza, pavimen-
tato con la stessa pietra delle facciate, così come la
zona d’ingresso e il garage, ma con un diverso tratta-
mento, sono in alluminio termolaccato. La zona gior-
no è caratterizzata dal volume che contiene il camino
rifinito in stucco veneziano di colore rosso. Tutti i pa-
vimenti del piano terreno sono realizzati in wengé a
doghe, la scala e il pavimento del piano interrato sono
rivestiti in resina.
Villa a Vacallo
Committente Giovanni Ostinelli; Chiasso
Architetto Ivano Gianola; Mendrisio
Ingegnere Giani e Prada; Lugano
Fotografo Siegfried J. Gragnato; Stoccarda
Date realizzazione: 2007-2009
Impresario costruttore Fossati SA; Mendrisio
Impianti RVS Fratelli Branca; Mendrisio
Impianto elettrico Elattro Mastai SA; Riazzino
Serramenti Binetti SA; Canobbio
Particolare cura è stata dedicata alla scelta delle es-
senze del giardino: olivi, ligustrum, osmantus, cor-
bezzoli, lecci, feijoa, melograni, sugheri, callistemon citrinus, gelsomini e philadelphus levisii disegnano il
giardino.
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L ’ E D I F I C I O E I L S U O L O
L ’ E D I F I C I O E I L S U O L O
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Pianta piano interratoPianta piano terra
Sezione longitudinale
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Il terreno si situa nella zona collinare di Gordola ed è
orientato verso il lago e il Piano di Magadino. Il lotto
è caratterizzato dalla preesistenza di due rustici: uno
nella parte piana a valle ed uno in quella in pendenza
a monte, sottostante la strada d’accesso; le due zone
sono divise da una valletta intermedia.
La nuova casa è un volume parallelepipedo posto al
limite del cambio di pendenza; aperto sia a valle che
a monte si relaziona con il paesaggio e con le carat-
teristiche topografiche del sito. La sua collocazione
permette di salvaguardare i rustici e di trasformarli in
spazi accessori. La struttura portante si limita a due
appoggi interni che sospendono la casa dal terreno e
permettono di non stravolgerne la fragile e particola-
re topografia.
Due travi longitudinali poggianti su due plinti portano la
soletta di copertura, la soletta inferiore appesa tramite
quattro tiranti centrali e le pareti laterali. La struttura
portante è l’espressione dell’edificio e al contempo lo
organizza spazialmente. Lo spazio interno ne risulta
così suddiviso: camere agli estremi e spazi giorno e di
servizio al centro.
L ’ E D I F I C I O E I L S U O L O
Nicola BasergaChristian Mozzetti
Ingegneri Pedrazzini Guidotti foto Nicola Roman Walbeck
Casa Minghetti-Rossi, Gordola
Committente Tiziano Minghetti e Monica Rossi
Architetti Nicola Baserga,
Christian Mozzetti; Muralto
Collaboratore R. Arrivabeni
Ingegneri Ingegneri Pedrazzini Guidotti;
Lugano
Specialista SV Studio tecnico Idalgo Ferretti; Pura
Protezione antincendio Giovanni Laube,
IFEC Consulenze; Rivera
Architetto paesaggista Giorgio Aeberli; Gordola
Fotografo Nicola Roman Walbeck; Düsseldorf
Date progetto: 2010
realizzazione: 2011-2012
Consulente Pittsburgh Corning SA; S. Antonino
Sistemi costruttivi a secco Rigips SA; S. Antonino p. 61
Impresario costruttore Marchesini G. SA; Mezzovico
Serramenti General Mast Engineering SA;
Stabio p. 61
Protezioni solari Griesser SA; Cadenazzo
Pittore Luca Stauffer; Ascona p. 60
Impianto elettrico Pedrioli SA, Locarno p. 60
Impianto d’allarme Sicurtech SA; Bioggio p. 12, 61
Falegname e pavimenti Oswald Wyrsch Schreinerei;
Attinghausen p. 60
Casa Minghetti-Rossi, Gordola
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Sezione longitudinale
Pianta abitazione
Pianta struttura
Sezione trasversale
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L ’ E D I F I C I O E I L S U O L O
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D I A R I O T I
Paolo Fumagalli
Diario dell’architettodel 16 gennaio 2013
line sono (salvo i luoghi dorati dei milionari con vista
lago) gli abitanti delle città stesse, costretti a cercare
un’alternativa ad affitti divenuti troppo cari nei centri
delle città. Secondo, gli enti comunali, per nulla pre-
occupati di questa «emigrazione», dilatano le aree
edificabili e asfaltano nuove strade in periferia. Mai
però hanno fatto un «progetto» architettonico di carat-
tere collettivo, anzi di qualità per la collettività. Non si
conta un quartiere, nemmeno uno, degno di questo
nome. Un quartiere vero, come lo definisce l’Enciclo-
pedia Treccani: «Nucleo o settore che, all’interno di
una città, si individua rispetto al restante agglomerato
urbano per particolari caratteristiche geografiche e
topografiche». Quartiere capace di offrire abitazioni
di qualità a costi controllati, con aree verdi in comu-
ne, con strade veicolari divise dai pedoni e percorsi pe-
donali per raggiungere le scuole e le fermate dei mezzi
di trasporto pubblico e i negozi e così via. In assenza
di questi quartieri, il tutto è lasciato all’iniziativa
della proprietà privata, che – per carità, talvolta an-
che bene – ha costruito singoli palazzi su singoli terre-
ni. Nel Cantone Ticino «insomma» le città, come già
si è scritto in queste colonne, le fanno i privati, non gli
enti pubblici: e i privati, come è logico, fanno i loro
interessi. Dalla periferia alle colline il discorso è for-
se più grave, perché lo spezzettamento del territorio è
ben maggiore, non è per niente piatto ma contorto in
mille pieghe e mille pendii, perché i muri di sostegno
la fanno da padrone per tirare orizzontale quello che
non lo è per posarci sopra un tavolo con delle sedie, un
ombrellone e l’immancabile barbecue.
Un effetto inatteso: le nuove emergenze
nel paesaggio
Se da un lato questa evoluzione urbanistica e le conse-
guenze che implica sono un’azione dinamica nella
sua negatività, a fianco emerge un altro effetto – inat-
teso – di carattere invece passivo, non provocato ma
subìto: la sempre maggiore importanza che, per la
qualità del paesaggio, hanno oggi assunto le aree
emergenti e di eccezione dentro il contesto edificato.
Emergenti per il loro valore intrinseco, come ovvio,
ma anche per la loro eccezionalità dentro questo
paesaggio modificato, oppure per il loro ruolo di
equilibrio dentro un’urbanizzazione diffusa. Alcune di
queste aree sono protette a livello cantonale o comu-
nale, ma molte invece hanno acquisito questo ruolo
di «emergenza» in questi ultimi anni: non tanto per
qualità proprie o perché abbellite di recente, ma per-
Le derive estetiche del paesaggio
Paesaggio è in definitiva una definizione generica,
nel senso che ci si può mettere dentro un po’ di tutto, città
periferie villaggi colline montagne boschi radure prati
pianure agricoltura e così via. Tutte componenti che
vanno a configurare il paesaggio. Ma se questo pae-
saggio presenta – come presenta – degli squilibri e del-
le incongruenze e importanti perdite di valori, allora
occorre capire dove e perché. Il dove: i luoghi più
problematici del paesaggio sono le periferie delle cit-
tà, sono le aree circostanti i villaggi, sono le colline che
circondano gli abitati, sono i fondovalle e sono le rive
dei laghi. Infatti: all’interno delle città le normative
pianificatorie sono chiare (pur con molte contraddi-
zioni) e gli interventi pianificatori e architettonici
sono bene o male tesi verso una qualificazione spaziale
dei luoghi della collettività, le piazze, le strade, le zone
pedonali. Nelle periferie invece la dilatazione del co-
struito è avanzata con normative legate in prevalenza
alle quantità, molto meno sulla qualità. Abban-
donati al loro destino (qualitativo) sono soprat-
tutto gli spazi pubblici, dalle strade che si limitano a
incanalare il traffico alle aree verdi che sono piutto-
sto terreni di risulta o alle zone pedonali che sono
inesistenti. Sulle colline la situazione è identica, forse
anche peggio: affastellate le une sulle altre in piccoli
appezzamenti, ville e villette si disperdono lungo viot-
toli e strade tracciate a caso su per i pendii, sopra muri
in pietra, in cemento, in prefabbricati «fai da te», coro-
nati da alte siepi alla ricerca di un’utopica privacy.
E lontane tutte dai mezzi di trasporto pubblico. Nessu-
na area di svago, un parco che sia un parco: tanto
– dicono – i sentieri di montagna sono poco distanti.
Ma se le colline piangono, i fondovalle non ridono: oc-
cupati dalla cacofonia dei capannoni industriali e dei
depositi, lungo strade percorse da camion di giorno e
deserte di notte, su terreni ritenuti di nessun valore
naturalistico o paesaggistico, offrono un quadro deso-
lante nella loro banalità urbana. Non una gerarchia,
un momento di «respiro spaziale», un viale alberato.
Nulla.
Le cause e gli effetti
Premesso che l’evoluzione di un territorio è un fatto
positivo perché traduce un’economia dinamica, vi è
tuttavia da chiedersi come questa evoluzione avviene.
E se di storture si tratta, occorre valutarne le cause e
le conseguenze. Sono riconducibili fondamentalmen-
te a due aspetti. Primo, chi occupa le periferie e le col-
63
D I A R I O T I
ché è il «resto» che sta intorno ad essere cambiato, a
essersi totalmente urbanizzato. E quindi queste aree
sono rimaste come uniche isole di qualità e di identità
e di eccezione dentro la banalità del paesaggio. La di-
latazione del costruito è una realtà preoccupante se si
osserva la spalmatura di ville e palazzine nel Mendri-
siotto o in Capriasca o in sponda destra del Ticino tra
Bellinzona e Gordola, o addirittura drammatica su
per le falde del Brè sopra Lugano o del San Salvatore
sopra Paradiso o a Orselina sopra Locarno. E sempre
più evidente emerge, quale contrappunto, il valore di
quello che resta dei quartieri di primo Novecento a
Minusio o Muralto o Bellinzona o Mendrisio, oppure
singoli edifici grandi o piccoli degli anni Sessanta e
Settanta, oppure ancora le macchie ancora verdi nelle
periferie di Lugano o Mendrisio o Bellinzona o Locarno,
o il ponte in ferro o pietra di fine Ottocento. Oggi in-
somma un terreno non ancora edificato posto dentro
una periferia anonima può avere un’importanza –
per l’equilibrio del paesaggio – ben maggiore rispetto
a cinque o dieci anni fa. Ma questo luogo divenuto oggi
paesaggisticamente importante è ancora edificabi-
le, come lo erano gli altri terreni circostanti. Il Piano
regolatore, nato al minimo un dieci anni fa, ovvia-
mente ne ignorava il ruolo strategico attuale, e ne pre-
vede la sua edificabilità.
Progettare significa scegliere
In estrema sintesi, il paesaggio è afflitto da due fattori:
primo, l’eccessiva dilatazione dell’abitato nelle perife-
rie delle città e sulle colline che sovrastano laghi e vil-
laggi e pianure; secondo, luoghi e spazi edificabili cir-
condati dalla dilatazione diffusa dell’edificato e dalla
sua banalità sono oggi divenuti importanti per la qua-
lità e l’equilibrio del paesaggio. Ma poiché piangere
serve a ben poco, occorre riflettere non tanto su pos-
sibili rimedi, ma piuttosto sulla necessità di «disegna-
re», o se si preferisce di progettare, questo paesaggio
in profonda trasformazione. Poiché progettare signi-
fica in primo luogo scegliere per determinare valori e
gerarchie, queste scelte non possono che essere tre:
primo, arrestare la dilatazione del costruito mediante
una riduzione delle aree edificabili; secondo, per ga-
rantire lo sviluppo (indispensabile) di città e agglo-
merati operare una densificazione del costruito all’in-
terno degli abitati; terzo, salvaguardare edifici e spazi e
aree verdi importanti per la qualità del paesaggio.
Strumenti per progettare il territorio
Di questa rapida evoluzione è cosciente anche il Can-
tone, che in questi ultimi decenni ha assunto un ruolo
attivo e propositivo e si è dotato di strumenti giuridici
per un maggiore controllo del territorio. Alcuni già
da alcuni anni, come il Piano Direttore (un progetto
di organizzazione territoriale per orientare le trasfor-
mazioni dell’insieme del Cantone), altri più recenti
come i Programmi di agglomerato, i Piani di utilizza-
zione cantonale (puc, pianificazioni intercomunali
per aree complesse), i Concetti di organizzazione ter-
ritoriale nelle diverse regioni, gli Inventari dei paesaggi
di importanza cantonale, i Progetti di paesaggio com-
prensoriale (linee guida per comprensori geografica-
mente unitari). Sono strumenti pianificatori e proget-
tuali importanti, alcuni dei quali, istituiti di recente,
non hanno ancora trovato uno sbocco concreto e
sono in fase di gestazione ed elaborazione. Ma stru-
menti comunque indispensabili per gestire l’edificato
in un Cantone che progressivamente si è quasi intera-
mente urbanizzato e che richiede strumenti legislati-
vi capaci di gestire un intero territorio, e non solo il
ridotto limite comunale dei Piani Regolatori.
Legge federale sulla pianificazione
del territorio: la votazione del 3 marzo
Poiché i problemi urbanistici tratteggiati in Ticino sono
in definitiva identici a quelli che si osservano in altri
Cantoni svizzeri, pur nelle loro maggiori dimensioni, a
Berna il Governo e il Parlamento hanno approvato
una revisione della lpt, la Legge federale sulla pianifi-
cazione del territorio. Contro questa revisione è stato
promosso un referendum e si andrà a votare il 3 marzo
2013. Cosa prevede questa revisione? Sostanzialmente
due misure: primo, l’obbligo di ridurre le zone edifica-
bili sovradimensionate. Sono terreni per la maggior
parte ancora liberi da edifici posti all’esterno delle
zone abitate, e che non ha più senso oggi edificare per
non dilatare ulteriormente gli agglomerati. La seconda
misura riguarda il plusvalore: vale a dire la tassazione
dell’aumento del valore economico di un terreno edifi-
cabile se questo viene inserito in una zona edificabile,
oppure quando aumenta l’indice di sfruttamento. Un
bel regalo e un evidente guadagno per il proprietario e
che la Confederazione vuole tassare per un principio
ovvio di parità di trattamento.
Legge cantonale sullo sviluppo territoriale:
plusvalore
Anche il Cantone Ticino si muove in parallelo con la
Confederazione e propone una modifica alla Legge
sullo sviluppo territoriale legata ai vantaggi e svantag-
gi che derivano dalla pianificazione. In concreto, si
vuole tassare il plusvalore di quei terreni che vengono
resi edificabili oppure che beneficiano di un aumento
della loro edificabilità (altezze e indici di sfruttamento).
Il ricavato di questa tassa andrebbe ad alimentare un
fondo a favore del paesaggio, e in particolare per in-
dennizzare quei proprietari i cui terreni o edifici
sarebbero vincolati o addirittura resi inedificabili.
Non credo che le misure proposte dalla Confedera-
zione e dal Cantone siano una rivoluzione o un atten-
tato contro la proprietà privata e il libero mercato,
come si vuol far credere. Ma piuttosto una scelta civile
a favore della qualità del paesaggio, a favore della col-
lettività. Sono strumenti oggi indispensabili per fron-
teggiare la sempre maggiore trasformazione di un
territorio la cui qualità si regge su rapporti estrema-
mente delicati. E, aggiungo, per far sì che i rapporti di
forza tra pubblico e privato ritrovino quell’equilibrio
che in questi ultimi decenni di boom immobiliare
sembra andato perso.
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ministrativi a Lisbona e Lima, in Perù. Non sappia-
mo come sia entrato in contatto con i promotori,
possiamo solo presumere che, oltre all’attività pro-
fessionale nota, sia le ville sul lago realizzate in Ti-
cino per diversi clienti facoltosi che le amicizie e le
conoscenze personali in occasione dei suoi soggior-
ni invernali a Sils e St. Moritz e la signorilità del per-
sonaggio stesso abbiano fruttato i contatti necessari.
Possiamo ammirare a Zaragoza un Mariotta appa-
rentemente diverso da quello che opera negli stessi
anni nel locarnese, un architetto consapevole delle
esigenze contemporanee, delle nuove tipologie ne-
cessarie a coprire i fabbisogni della modernità. L’e-
dificio si erge in verticale oltre i limiti di quelli circo-
stanti, e pur sforzandosi di conservare i tradizionali
portici commerciali della capitale aragonese, parla
un linguaggio innovativo, funzionale e moderno
anche all’interno di questi ultimi. La trama leggera
delle solette in metallo fotografate durante il cantie-
A volte ci si imbatte in progetti inaspettati come
quelli di un architetto, Paolo Mariotta, di cui si co-
nosce vagamente l’attività professionale soprattutto
per i rimandi e le citazioni trovate fra le riviste di
storia dell’architettura.1 Ma è sorprendente scoprire
come un architetto, visto in patria come esempio sì
di eleganza e di rigore, ma anche di attenzione agli
aspetti più storicistici e tradizionali di un’architettu-
ra regionalista, abbia progettato e costruito all’este-
ro edifici moderni e innovativi in paesaggi urbani,
forse sufficientemente lontani da una realtà troppo
conosciuta che non gli permetteva di esprimersi li-
beramente. Ne è un esempio la realizzazione del
grande edificio commerciale per sepu a Zaragoza,
Spagna. Progettato a partire dal 1963 ed inaugurato
nel 1967, è il terzo di una serie di collaborazioni in-
stauratesi a partire dal 1951 fra l’architetto Mariot-
ta e la direzione dei grandi magazzini spagnoli. La
sepu, Sociedad Espanola de Precios Unicos, viene
fondata già nel 1934 da cittadini stranieri, le fonti
citano fra gli altri gli svizzeri di origine ebraica Hen-
ry Reisembach e Alexander Goestschet. Il grande
magazzino popolare entra sul mercato spagnolo nel
1935, istallandosi a Madrid sulla Gran Via in un edi-
ficio che era stato l’emblema dei grandi magazzini
francesi «Paris-Madrid» e proponendo la vendita di
diversi articoli al medesimo prezzo secondo una tec-
nica impiegata dal gruppo americano Woolworth.
Filiali nascono in seguito a Barcellona e Zaragoza e
a Mariotta, dopo una prima trasformazione dell’em-
porio originario di Madrid nel 1951 e una seconda
collaborazione nel 1952 per quello di Barcellona,
viene commissionato un progetto impegnativo per
Zaragoza. Si tratta di intervenire con un nuovo edi-
ficio sul Paseo de la Independencia, in un tessuto
urbano di transito e di commercio già densamente
edificato, partendo dalla demolizione parziale di
uno stabile adiacente ad importanti edifici storici,
sedi rispettivamente della Union Y el Fenix Espanol
(committente del progetto) e del Banco Hispano-
Americano.
Di Paolo Mariotta si conosceva già il nuovo Feld-
pausch di Zurigo, inaugurato nel 1949, e di cui la
Neue Zürcher Zeitung aveva ampiamente riferito;
aveva inoltre lavorato a diversi progetti di empori
commerciali situati nei centri di Lucerna, Ginevra
e Basilea. Dopo la partecipazione al concorso per i
nuovi grandi magazzini Bekas a Malmoe in Svezia
nel 1950, aveva realizzato edifici commerciali e am-
Edificio commerciale SEPU a ZaragozaPaolo Mariotta architetto, 1905-19721
T IA R C H I V I A R C H I T E T T I T I C I N E S I
A cura diAngela Riverso OrtelliFondazione Archivi Architetti Ticinesi
L’edificio della SEPU, Zaragoza 1963-1967
67
re, si ripete nei dieci livelli sopra i portici, separata
da questi ultimi da una sottile fascia completamen-
te vetrata a marcare lo stacco del volume dalla base
e che assumerà maggiore rilievo solo sulla facciata
laterale all’interrompersi dei portici. La verticalità
è accentuata dalla scelta finale di marcare la strut-
tura portante della facciata con leggeri montanti in
metallo e di sovrapporla alle fasce di chiusura oriz-
zontali che marcano le solette e corrono lungo tutto
il perimetro. A chiudere il volume, nei disegni, un
piano attico poi non realizzato. Mariotta collabora
con la direzione sepu e con gli architetti locali che
firmano il progetto, José Jarza e Teodoro Rios,2 si
reca in cantiere e riceve puntualmente rapporti e
fotografie dei lavori in corso. La documentazione
conservata in archivio riguarda soprattutto gli studi
prospettici per le diverse varianti di facciata, le fo-
tografie di cantiere e dell’edificio terminato, poca
corrispondenza e la rivista di costruzione madrile-
na «Obras» del 1968, con la descrizione e diverse
fotografie dell’immobile e in copertina la facciata
principale. Ma un’ulteriore conferma dell’impe-
gno personale di Mariotta e del valore riconosciuto
dell’opera ci viene da un sottile cartoncino bianco,
inserito fra le pagine della rivista spagnola.
È il riconoscimento, i «Complimenti per la bella co-
struzione». La firma: Augusto (Jäggli).
T IA R C H I V I A R C H I T E T T I T I C I N E S I
Vista dei portici. Fondazione A ATVista dal Paseo de la Indipendencia. Fondazione A AT
Paolo Mariotta, ca 1960
Per gentile concessione di Alfredo Mariotta
Note 1. Simona Martinoli in ast, n.133, p. 47
2. «Obras», n. 112, Madrid 1968, p. 20
Bibliografia – Fondazione aat, Fondo 005,
architetto Paolo Mariotta, pr. 124
– http://revisioninterior.blogspot.ch/2010/04/grandes-
almacenesen-espana
68
getico. La ricerca, che si basa su fonti bibliografiche e
archivistiche, è stata effettuata dagli architetti France-
sca Albani, Giulia Marino e Yvan Delemontey, ricer-
catori e docenti nelle rispettive università e da esperti
del settore inviatati a presentare i loro contributi in
giornate studio volte allo scopo di approfondire tema-
tiche specifiche.
Sono state coinvolte molte discipline affini nella sua ricerca CUS, che ne sottolineano il carattere interdisciplinare e la com-pletezza.La tutela del patrimonio architettonico si basa su un
approccio interdisciplinare che coinvolge architetti,
ingegneri (strutturisti e impiantisti), fisici della co-
struzione, chimici dei materiali, restauratori, econo-
misti, giuristi, ecc. All’interno della ricerca questo
aspetto è tenuto in estrema considerazione, sia per
quanto riguarda l’analisi della costruzione dell’edi-
ficio (fase di cantiere) – per esempio lo studio della
Tour Nobel risulterebbe assolutamente superficiale
senza comprendere il contributo di Jean Prouvé – sia
la fase di restauro – come nel caso dell’intervento di
consolidamento della fabbrica Olivetti a Crema rea-
lizzata con strutture in calcestruzzo precompresso.
La ricerca si inserisce all’interno del Swiss Cooperation
Project in Architecture (2008-2012), finanziato dalla CUS, Conferenza Universitaria Svizzera, ed è basata sulla collabora-zione tra USI, EPFL, ETHZ e SUPSI. È strutturata in quattro se-zioni: strumenti critici per la storia, il riuso e il restauro; storia materiale del costruito e il progetto di conservazione; strumenti critici per il restauro urbano; strumenti metodologici per la pra-tica del restauro.
Laura Ceriolo: Le opere del XX secolo non si sono dimostrate così durabili, ma necessitano di una nuova declinazione del restauro. Perché?Franz Graf: Tutti i manufatti architettonici dal mo-
mento della loro realizzazione sono soggetti a proces-
si di invecchiamento, compreso quindi le architetture
moderne e contemporanee che si credeva realizzate
con materiali (quasi) indistruttibili – acciaio, vetro,
calcestruzzo –, ma che in realtà si sono rivelate fragili,
spesso costruite in modo sperimentale ed economico.
Il patrimonio architettonico costruito nel XX secolo
oggi appare il luogo privilegiato di lavoro dell’archi-
tetto sia per la sua dimensione quantitativa sia per le
questioni teoriche che solleva. Il progetto di architet-
tura che si occupa dell’esistente si definisce progetto
di tutela, sia nella sua accezione rivolta alla conserva-
zione sia in quella della nuova realizzazione. La storia
materiale del costruito contemporaneo, che si occupa
della conoscenza dei materiali, dei cantieri e dei siste-
mi costruttivi sviluppati nel XX secolo, è base impre-
scindibile per il progetto. Da qui il ruolo centrale di
questo campo di ricerca all’interno dell’Enciclopedia
critica.
Quali sono dunque i settori di ricerca e gli obiettivi di questa sezione del progetto?La ricerca mira a fornire da un lato conoscenze spe-
cifiche relative alla materialità dell’architettura, ai
sistemi costruttivi utilizzati nel XX secolo, ai fenome-
ni di degrado, alle patologie e alle fragilità che li ri-
guardano, dall’altro individua e analizza in maniera
critica interventi volti alla manutenzione e conser-
vazione oltre che al riuso e alla trasformazione. Tre
sono le tematiche principali: i materiali «moderni»,
con particolare riferimento alle facciate leggere e alle
loro problematiche specifiche; i sistemi costruttivi,
soprattutto i sistemi prefabbricati e industrializzati
e la loro conservazione/trasformazione; i dispositivi
del confort in relazione al progetto tecnologico che
determina un miglioramento dal punto di vista ener-
Riuso e restauro Intervista a Franz Graf* a proposito della ricerca sul riuso e il restauro dell’architettura del X X secolo e sul rapporto fra la storia materiale del costruito e il progetto di restauro.
T IA C C A D E M I A A R C H I T E T T U R A M E N D R I S I O
A cura diLaura Ceriolo
Jean Prouvé, cantiere della Tour Nobel, Parigi-la Défense 1963-1967
69
In che modo la ricerca ha influenzato la didattica dei suoi corsi universitari o viceversa?I temi della ricerca – storia materiale del costruito e
progetto di restauro – sono presenti da sempre nei
nostri corsi. Non si è mai concepito l’insegnamento
come una materia semplicemente tecnica, senza un
panorama culturale, storico e senza una relazione
con il progetto. Questa consapevolezza ha profonda-
mente influenzato il nostro progetto di ricerca. Ov-
viamente i corsi teorici sono stati rinnovati e per certi
versi ristrutturati per quanto riguarda le fonti archivi-
stiche e documentarie, ma anche l’articolazione di te-
orie e metodi di restauro in relazione alla materialità
del costruito.
La ricerca e la didattica devono o dovrebbero andare di pari passo nell’ambito di un insegnamento accademico, per com-pletarsi ed arricchirsi vicendevolmente. Quali sono stati gli insegnamenti, quali i risultati piu’ significativi del vostro progetto di ricerca?I tre temi principali – in cui si articola la ricerca che si
presenta sotto certi aspetti veramente innovativa, ma
T IA C C A D E M I A A R C H I T E T T U R A M E N D R I S I O
sempre intimamente legata alle problematiche della
tutela e restauro – sono estremamente significativi
per comprendere le specificità dell’architettura del
XX secolo e definiscono una conoscenza articolata e
complessa sul tema, la maggior parte della quale ine-
dita. L’obiettivo non è quello di compilare una docu-
mentazione tecnica – sicuramente interessante, ma
probabilmente riduttiva – ma l’intenzione è di porre
le premesse per «un’altra» storia dell’architettura che
si basa sulla materialità del costruito, oltre che pro-
porre un nuovo modo di concepire il progetto di ar-
chitettura capace di relazionarsi in modo complesso
e rispettoso verso i valori di cui essa si fa portatrice.
Gli insegnamenti che possono essere dedotti da que-
sta esperienza sono fin da adesso molteplici e a diversi
livelli. Vanno dall’offerta dell’industria vetraria che
riproduce i vetri mattoni Nevada, tanto amati da Pier-
re Chareau e da Le Corbusier, alle proposte di proget-
ti sostenibili rispettosi dei valori architettonici che il
patrimonio diffuso veicola che rischiano di scompa-
rire sotto i «cappotti» esterni isolanti proposti come
un’unica risposta alle norme vigenti. Importante inol-
tre è sottolineare che una serie di pubblicazioni, rela-
tive alle giornate studio organizzate all’interno della
ricerca,1 sono già uscite e rappresentano quello che
è stato definito come «la primera piedra de esa disci-
plina, aún por construir, que un día nos permitirá re-
pensar nuestras ciudades desde la – tan necesaria ya –
perspectiva de la reutilización».2
* architetto, professore ordinario di Costruzione e Tecno-
logia all’aam dal 2005 e professore associato di Teoria
e Progetto all’epfl dal 2007. È co-responsabile della
ricerca cus «Enciclopedia critica per il riuso e il
restauro dell’architettura del XX secolo»
Note 1. Franz Graf, Francesca Albani (a cura di),
Il vetro nell’architettura del XX secolo: conservazione e restauro,
Mendrisio Academy Press, 2011
Franz Graf, Yvan Delemontey (a cura di), Architecture indu-strialisée et préfabriquée: connaissance et sauvegarde, ppur, 2012
2. ArquitecturaViva 147 2012, p. 85.
1. Esploso assonometrico della
struttura portante in calcestruzzo
armato prefabbricato della
fabbrica Olivetti di Crema
progettata da Marco Zanuso
e Eduardo Vittoria.
Disegno di Bailey Matew Truan
e Farrell Darragh, corso di
«Tecniche costruttive del XX
secolo», prof. Franz Graf,
AAM, a.a. 2011-12
2. Studio dell’elemento di copertura
in materiale plastico della fabbrica
Olivetti di Crema, 1968-72.
Disegno di Robin Bader, corso di
«Tecniche costruttive del XX
secolo», prof. Franz Graf, AAM,
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5 Aggancio del lucernario
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Il 3 marzo 2013 la popolazione svizzera voterà in merito alla revisione della legge sulla pianificazione del territorio. Nella presente intervista, il giurista e Consigliere nazionale Beat Flach spiega in che modo la revisione possa concorrere a supe-rare il «campanilismo cantonale».
Sonja Lüthi: «La pianificazione del territorio si contrappone al federalismo, all’autonomia cantonale, alla proprietà privata – la pianificazione del territorio è un concetto profondamente non elvetico», così Thomas Held in occasione dell’inaugura-zione della mostra itinerante «Idea spazio territorio» tenutasi a Berna. Signor Flach, lei come la pensa al proposito?Beat Flach: Da un lato il signor Held ha certamente
ragione. La pianificazione del territorio aderisce a un
approccio molto poco svizzero, poiché va contro la li-
bertà di pensiero tipicamente elvetica. D’altro canto
però, il desiderio di ordine e l’anelito di giustizia, con-
templati dalla pianificazione del territorio, sono deci-
samente propri del nostro Paese. Direi piuttosto che la
pianificazione del territorio contrasta gli interessi indi-
viduali, ponendo l’interesse comune in primo piano,
il che non è nulla di sconosciuto alla nostra realtà, la
grande sfida è piuttosto insita nel modo in cui realizza-
re tutto questo.
Come valuta la pianificazione attuata finora sul nostro territorio?Dipende dai punti di vista. A mio modo di vedere,
negli ultimi anni la pianificazione urbanistica ha rag-
giunto livelli notevoli. La maggior parte dei problemi
tuttavia non insorge nelle città, dove è possibile piani-
ficare spazi pubblici, trasporti, aree abitative e lavora-
tive con un’unica soluzione calzante, bensì nelle zone
periferiche, negli agglomerati e in campagna, dove
lo sviluppo territoriale dipende per lo più dal siste-
ma stradale. Ed è proprio in tale contesto che si sono
commessi tanti errori. A cominciare dall’idea del
centralismo decentralizzato, dove, a prescindere dal
fatto che sia sensato o no, quasi ogni capoluogo can-
tonale è stato provvisto di un raccordo autostradale.
Le ripercussioni di tale approccio non sono mai state
prese seriamente e affrontate.
Oltre alla pianificazione dei trasporti, spesso si menziona il moltiplicatore d’imposta come il vero e proprio strumento di gestione dello sviluppo territoriale oppure, tra i tanti mali, l’autonomia dei Comuni. Quale strumento di gestione con-trappone la revisione della legge sulla pianificazione del territorio (LPT)?
Immaginare la Svizzera come una cittàIl Consigliere nazionale Beat Flach* si esprime a favore della revisione della legge sulla pianificazione del territorio
In riferimento all’autonomia comunale, la nuova lpt
non segna alcuna cesura, e probabilmente una com-
binazione di questo tipo si presenta necessaria.
Con la revisione della lpt si promuove e consolida
soprattutto il modo di pensare e di agire al di là dei
confini politici. Per riuscire in tale intento occorre
rafforzare il piano direttore cantonale che, sul piano
internazionale, rappresenta uno dei migliori stru-
menti di pianificazione territoriale. I Cantoni sono
chiamati a esprimere con chiarezza, in riferimento al
piano direttore, quale sia lo sviluppo territoriale au-
spicato, in particolare in riferimento a uno sviluppo
insediativo centripeto, il che rappresenta il pilastro di
tale revisione. Vi è inoltre l’obbligo di verificare quan-
te riserve di terreno edificabile siano necessarie per
coprire il fabbisogno dei prossimi quindici anni, e ciò
non ognuno per sé, bensì all’interno di una regione.
L’armonizzazione delle aree edificabili con il fabbisogno pre-visto per i prossimi quindici anni è già contemplata dall’at-tuale LPT. Tra i pianificatori del territorio circola spesso la voce che la LPT sia di per sé una buona legge, ma che sia fallita nell’applicazione. Perché allora la revisione della LPT non fallirà?Anche la revisione della lpt dovrà certamente mi-
surarsi con la sua applicazione. Tuttavia, la nuova legge
comporta un maggiore inasprimento, poiché sancisce
71
Beat Flach (foto: Michael Mathis, SIA)
SIAC O M U N I C A T I
72
in modo più restrittivo e definisce per la prima volta
nero su bianco come sia possibile raggiungere uno
«sviluppo centripeto degli insediamenti». La revisio-
ne prevede vari strumenti: l’ancoramento, in termini
legali, di una tassa sul plusvalore pari ad almeno il 20
per cento, riscossa in caso di nuovi azzonamenti, in
modo da frenare un’urbanizzazione sproporziona-
ta. E poi anche l’impegno a ridurre le aree edificate
sovradimensionate – con particolare riferimento alle
superfici al di fuori delle aree insediative, la cui co-
struzione nei prossimi quindici anni appare del tutto
insensata. Da ultimo, con la nuova lpt i Cantoni pos-
sono far valere l’obbligo di edificazione, naturalmen-
te con lo scopo di utilizzare concretamente il terreno
edificabile disponibile.
Contrariamente a quanto sottolineato da alcuni scet-
tici, la nuova lpt non mira a ridurre artificialmente
il terreno edificabile, bensì a incentivare negli inse-
diamenti l’utilizzo del terreno edificabile disponibi-
le. Il nostro obiettivo non è quello di impedire la co-
struzione, ma di impedire che il terreno edificabile
sia tesaurizzato o che si costruisca sugli «spazi verdi».
Oltre alla critica da lei citata in merito a una «riduzione ar-tificiale del terreno edificabile», l’Unione svizzera delle arti e mestieri e altre associazioni affini considera l’obbligo di edifi-cazione un concetto «discutibile sul piano del diritto fondia-rio e contrario al diritto alla proprietà».Innanzitutto va precisato che l’obbligo di edificazione
concerne esclusivamente i nuovi azzonamenti; secon-
do il legislatore occorre effettuare degli azzonamenti
laddove è sensato farlo, ma poi bisogna anche costrui-
re. Questo approccio non ostacola per nulla la proprie-
tà, al contrario, anche i proprietari ne risultano avvan-
taggiati. Infatti, se si costruisce laddove effettivamente
è sensato che si costruisca, si utilizza in modo ottimale
l’infrastruttura disponibile. Si tratta dunque di un’otti-
mizzazione del sistema, un’ottimizzazione dalla quale
anche i proprietari possono trarre beneficio.
Da un punto di vista giuridico quali sono state le sfide mag-giori che si sono dovute affrontare nell’elaborazione della revisione della LPT?In generale, una grande sfida della pianificazione del
territorio è il lungo termine. Prendiamo per esempio,
a titolo di paragone, la legge sulla circolazione strada-
le. Posso decidere di posizionare un cartello con in-
dicato il limite di velocità 30 km/h ed è chiaro che a
partire da quel momento preciso varrà tale limite, un
limite subito misurabile.
Nella legge sulla pianificazione del territorio invece
fisso un piano direttore con un orizzonte temporale
di dieci-quindici anni. Se l’obiettivo prefissato viene
poi raggiunto posso solo dirlo con il senno di poi.
Ecco perché è così difficile legiferare in materia di
pianificazione del territorio.
Secondo lei che conseguenze ha la revisione della LPT sul lavoro dei pianificatori?Sono fermamente convinto che la nuova lpt porterà con
sé un periodo interessante e stimolante per i pianifi-
catori. Con la revisione della legge si comincia infatti
finalmente a considerare la Svizzera come un tutt’uno,
in modo unitario, e a pensare al nostro Paese come
a una grande «città». Questo scostarsi dal «campani-
lismo cantonale» è fondamentale. Negli ultimi quindici
anni infatti abbiamo provveduto a dotare il nostro
Paese di un’infrastruttura globale e completa, che
in altri luoghi del pianeta è disponibile soltanto nelle
megalopoli. Dovremmo dunque cominciare a sentirci
parte, non tanto di un paese, ma di un quartiere di
una grande città chiamata Svizzera.
In questo contesto sono chiamati a intervenire non
soltanto i pianificatori e gli urbanisti, ma anche gli
architetti: come riuscire per esempio a riempire i nu-
merosi spazi vuoti nei centri dei paesi che si sono pro-
gressivamente svuotati, senza snaturare i luoghi, al
contrario generando un plusvalore?
Che cosa auspica per il futuro della «città Svizzera»?Mi auguro vivamente che riusciremo a strutturare i no-
stri fabbisogni in modo da poter lasciare libertà di de-
cisione alle generazioni future. Mentre per la maggior
parte delle persone è chiaro che una centrale nucleare
non sia facile da smantellare, forse pochi sono consape-
voli del fatto che anche una strada, una volta costruita,
con molta probabilità non verrà più demolita.
* Consigliere nazionale, giurista presso la sia, M Law,
cas eth in Pianificazione del territorio.
Intervista a cura di Sonja Lüthi
SÌ ALLA REVISIONE DELLA LEGGE SULLA PIANIFICAZIONE
DEL TERRITORIO ALLE URNE IL 3 MARZO 2013!
Il 3 marzo 2013 la popolazione svizzera voterà in merito alla revi-
sione della legge sulla pianificazione del territorio (lpt). La sia
appoggia la revisione. La revisione della lpt gode dell’ampio
sostegno delle associazioni dei pianificatori e altri ancora (tra
questi i promotori dell’iniziativa per il paesaggio). Con la revisione
della lpt i piani direttori sono precisati e rafforzati, promuovendo
la pianificazione in spazi funzionali. Tra le novità più importanti vi
sono l’introduzione di una tassa sul plusvalore di almeno il 20 per
cento, l’obbligo di edificazione in caso di nuovi azzonamenti come
pure l’impegno teso a ridurre le aree edificate sovradimensionate.
In questo modo la nuova lpt crea misure in grado di contrastare lo
sviluppo incontrollato degli insediamenti e la tesaurizzazione di
terreno edificabile e garantisce così spazio per la natura e il pae-
saggio, creando il necessario margine di manovra atto a garantire
la possibilità di futuri sviluppi (edilizi ed economici).
Altre informazioni al sito: www.ja-zum-raumplanungsgesetz.ch
(in tedesco e francese) e www.sia.ch (alla voce temi/pianificazione-
territoriale).
73
SIAC O M U N I C A T I
il che lascia spazio a due possibili interpretazioni.
Da un lato si denota, in proporzione, un aumento
maggiore dei salari lordi rispetto alle spese generali.
D’altro canto le spese generali hanno potuto effetti-
vamente essere ridotte. Il rilevamento salariale che
avrà luogo nel 2013 permetterà presumibilmente di
disporre di una valutazione complementare al riguar-
do. I fattori delle spese generali in cui si riscontra una
forte diminuzione sono soprattutto le spese per i locali,
le spese d’ufficio e le spese amministrative, gli interessi
e gli ammortamenti.
Aumentata la produttivitàUno dei principali risultati scaturiti dalla statistica sulle
ore di lavoro è lo sviluppo della produttività aziendale
(cfr. tabella 2). Le ore di lavoro non attribuibili a un
mandato sono leggermente diminuite rispetto all’ulti-
mo rilevamento effettuato, è stato dunque possibile au-
mentare la produttività in tutte le specializzazioni.
La cifra d’affari per onorari di tutte le specializzazioni
corrisponde a circa 174 000 chf per ogni impiego a
tempo pieno. Al proposito si denotano tuttavia diffe-
renze considerevoli: gli ingegneri civili capeggiano
con un onorario di circa 183 000 chf, gli architetti at-
testano cifre attorno ai 162 000 chf.
* avvocato, mba, direzione del progetto sia-Service
È noto il risultato dell’attuale rilevamento statistico effettuato presso gli studi di architettura e di ingegneria. L’obiettivo del rilevamento è di aumentare la trasparenza negli studi di proget-tazione e contribuire a una sensibilizzazione per quanto concerne la pianificazione finanziaria e la definizione degli onorari.
Il rilevamento statistico del 2012 è stato il primo dopo
i dati registrati nel 2006 (con l’allora determinazione
delle spese generali e delle ore di lavoro) e in futuro
sarà effettuato ogni due anni. Con tale strumento la
sia e le associazioni partner (usic, igs, fsai, fas) vo-
gliono richiamare l’attenzione dei membri sull’im-
portanza degli indici aziendali quale strumento per
la pianificazione finanziaria e la definizione degli
onorari. Inoltre, occorre aumentare la trasparenza
nel settore della pianificazione. D’ora in poi i rileva-
menti saranno effettuati mediante un’apposita piatta-
forma online. I risultati attuali sono pubblicati in for-
ma anonima al link https://benchmarking.sia.ch in
un’area protetta da password. Gli studi che non han-
no partecipato al rilevamento hanno la possibilità di
sottoscrivere un abbonamento (cfr. fine articolo). Gli
studi partecipanti possono accedere gratuitamente ai
dati raccolti e mettere a confronto, con un semplice
clic, i propri indici aziendali con i corrispettivi para-
metri settoriali ed eseguire un benchmarking. Sono in tutto 192 le aziende che hanno concluso il rile-
vamento. Per evitare anomalie statistiche, la valutazione
è stata eseguita sulla base di 174 aziende (77 architet-
ti; 45 ingegneri civili; 43 ingegneri rurali e geometri; 9
ingegneri impiantisti). Come in passato, i dati raccolti
sono stati verificati e sottoposti a plausibilizzazione
dall’azienda bdo ag, partner di lunga data della sia. Le
eventuali divergenze riscontrate hanno potuto essere
chiarite telefonicamente con i partecipanti e le infor-
mazioni mancanti sono state completate.
I risultati sono stati rilevati in base a principi statistici e
conferiscono dati affidabili e confrontabili. Per ottene-
re la trasparenza desiderata, in futuro si auspica un’an-
cora più numerosa partecipazione. La bdo garantisce
la confidenzialità e l’anonimato assoluti per quanto
concerne i dati pubblicati sulla piattaforma.
Diminuito il fattore delle spese generaliCome per l’ultimo rilevamento effettuato, la deter-
minazione delle spese generali si basa sui salari lordi
(cfr. tabella 1). Gli indici di supplemento delle spe-
se generali risultano in parte nettamente inferiori,
Rilevamento statistico 2012
David Fässler*
Fattore delle spese generaliin valori percentuali
2012 2005 DifferenzaTutte le specializzazioni 55.1 60.1 -5.0
Architetti 53.0 62.0 -9.0
Ingegneri civili 52.9 56.5 -3.6
Ingegneri rurali e geometri 61.1 63.5 -2.4
Ingegneri impiantistici 54.2 - -
1. Il fattore delle spese generali indica il rapporto tra spese generali in percentua-
le rispetto al salario lordo in percentuale. Il salario lordo equivale sempre al 100%.
Produttività in valori percentuali
2012 2005 DifferenzaTutte le specializzazioni 77.6 76.7 +0.9
Architetti 79.7 77.6 +2.1
Ingegneri civili 77.1 77.0 +0.1
Ingegneri rurali e geometri 75.0 76.7 -1.7
Ingegneri impiantistici 76.7 - -
2. La produttività è calcolata dividendo le ore attribuibili a un mandato e le ore
di presenza ef fettive.
Abbonamento e factsheet
Per disporre dell’analisi dettagliata dei risultati, al link https://
benchmarking.sia.ch è possibile sottoscrivere un abbonamento.
L’abbonamento è valido un anno e conferisce l’accesso al rileva-
mento statistico 2012 e al rilevamento salariale che avrà luogo
nel 2013. Per i membri SIA e le associazioni partner il costo dell’abbona-
mento è di 240 CHF, per i non membri 360 CHF. Inoltre il numero di
gennaio di «Blickwinkel/Aspects» (tedesco/francese), la rivista
aziendale pensata dalla SIA, contiene esaustivi commenti e infor-
mazioni dettagliate sul rilevamento e le funzioni della piattaforma
online. La rivista (18 CHF per ogni numero) può essere ordinata per
e-mail a susanne.schnell@sia.ch. Il factsheet sul rilevamento 2012 è
disponibile gratuitamente e può essere scaricato collegandosi
al sito https://benchmarking.sia.ch
74
SIAC O M U N I C A T I
Concorso e termine di inoltro
Per partecipare a «Umsicht – Regards – Sguardi 2013» l’inoltro
dei lavori deve avvenire dal 15 febbraio al 30 aprile 2013.
Le opere possono essere spedite per posta (timbro postale prima
del 30 aprile) oppure consegnate di persona.
Per posta: Umsicht – Regards – Sguardi 2013, c/o SIA Geschäfts-
stelle, Postfach, 8027 Zürich
Consegna di persona: dal 29 al 30 aprile 2013, dalle 10.00 alle
18.00, c/o trottoir SIA, Selnaustrasse 6, 8001 Zurigo
Riunione della giuria: 6/7 e 28 giugno 2013
Cerimonia di assegnazione: 5 dicembre 2013, Auditorium Maxi-
mum, Politecnico federale, Zurigo
Troverete un elenco di informazioni costantemente aggiornate e
il testo integrale del concorso (incl. composizione della giuria,
requisiti di partecipazione e inoltro, nonché criteri di valutazione)
a partire dal 15 febbraio 2013 sul sito: www.sia.ch/sguardi
Come dovrebbe essere organizzato lo spazio di vita in
modo da soddisfare le esigenze delle generazioni fu-
ture e mantenere nel contempo un elevato valore
qualitativo? Quest’anno si terrà la 3a edizione di
Umsicht – Regards – Sguardi, il più importante ricono-
scimento nazionale per lo sviluppo sostenibile, con
cui la sia rende onore ai lavori che contribuiscono in
modo eccellente all’organizzazione lungimirante dello
spazio di vita.
Il concorso inizia il 15 febbraio e termina il 30 aprile
2013 e si rivolge a tutti gli esponenti attivi in quei set-
tori che svolgono un ruolo di primo piano nell’orga-
nizzazione lungimirante dello spazio di vita. Tra questi
citiamo, a titolo d’esempio, la pianificazione territo-
riale, l’edilizia, i trasporti, il settore dello sviluppo,
l’ingegneria sismica, il settore agrario, l’ingegneria
forestale e ambientale, l’architettura e l’architettura
del paesaggio, la dinamica strutturale, la fisica edili-
zia e la geofisica, l’urbanistica, la costruzione di strade,
ponti e gallerie, l’idrologia e l’ingegneria meccanica,
la tecnica edilizia, la tecnologia dei materiali, la bio-
tecnica, la geotecnica, la microtecnica, la tecnica dei
processi, la tecnica energetica e l’impiantistica, l’illu-
minazione, la geologia, la geografia e la mobilità.
Si ricercano, anche quest’anno, soluzioni complete e
avveniristiche, in linea con le esigenze del futuro.
I partecipanti sono invitati a inoltrare lavori di varie
dimensioni; importante è che impieghino in modo
interdisciplinare le competenze disponibili, ma anche
che si confrontino sapientemente con lo spazio di
vita e con approcci sorprendenti e creativi basati sulla
volontà di creare con spirito innovativo. Inoltre, si
auspica che le opere presentate attestino un valore
durevole ed economicamente performante, contri-
buiscano al bene comune e cristallizzino in sé un
plusvalore culturale.
Una giuria altamente professionale assegnerà il rico-
noscimento a un numero massimo di otto lavori. I ri-
conoscimenti saranno assegnati il 5 dicembre 2013,
in un contesto festoso, segnato dalla consegna di un
simbolico «apriti sesamo» di Sguardi. La sia accompagna l’intero iter per il conferimento
dei riconoscimenti con molteplici misure di comuni-
cazione e garantisce così ai lavori presentati l’atten-
zione pubblica che meritano. I lavori sono documen-
tati e illustrati nelle prospettive più diverse e resi
pubblici attraverso un’esposizione itinerante, in uno
speciale dossier di tec21/Tracés/Archi, nonché
attraverso i supporti elettronici della sia.
Umsicht-Regards-Sguardi 2013Il riconoscimento per l’organizzazione lungimirante dello spazio di vita
Benvenuti ai nuovi membri SIA Ticino 2012!
Membri Filiali
Itten+Brechbühl AG, Lugano-Paradiso
Membri individuali
Aguiar Cristiano, Dipl. Arch. REG A, Mendrisio
Benzoni Patrizia, Dipl. Arch. E TH, Montagnola
Borra Antonio, Dipl. Kultur-Ing. E TH REG A, Sorengo
Botta Giuditta, Dipl. Arch. EPF, Lugano
Carboncini Jacopo, MSc Arch. USI, Origlio
Conti Alessandro, MSc Arch. USI, Serra de’ Conti
Del Fedele Marco, Arch. SUPSI REG A, Sala Capriasca
De Prà David, MSc Arch., Mendrisio
Dellea Loris, Dipl. Arch. E TH, Bellinzona
Hochuli Stefano, Dipl. Arch. EPF, Gudo
Inches Matteo, MSc in Architecture, Vacallo
Magnani Marco, Dipl. Arch. USI, Breganzona
Mauch Mischa, Dipl. Arch. USI, S. Nazzaro
Parola Fabia, MSc E TH, Morcote
Membri associati
Benetollo Marco, BSc Arch. SUPSI, Gnosca
Membri associati studenti
Roncelli Michele, Bellinzona
Informazioni sull’adesione alla SIA
Tel. 044 283 15 01, member@sia.ch
Informazioni e offerte per ditte SIA: www.sia.ch/siaser vice
La collaborazione è d’argento,il partenariato è d’oro.
www.holzbau-plus.ch Il marchio di qualità nel settore della costruzione in legno.
Christian Pagnamenta, Aurelio Pagnamenta SA, 6917 Lugano Impresa insignita 2012– 2014
ww
w.fk
pide
ntity
.ch
FONDAZIONE LOMBARDI INGEGNERIA Avviso di concorso
La Fondazione Lombardi Ingegneria ha lo scopo di promuovere la ricerca nel settore del genio civile, in particolare nei campi delle opere sotterranee e idrauliche.
Per l'anno 2013 il Consiglio di Fondazione ha scelto di sostenere con priorità i progetti che interessano le tematiche seguenti:
- Comportamento a lungo termine delle costruzioni in calcestruzzo armato e delle opere idrauliche,
- Impiego di calcestruzzi ad alta resistenza in galleria, - Nuovi sviluppi per l’utilizzo del potenziale idroelettrico, - Manutenzione di ponti e dighe.
L'importo messo a disposizione dalla Fondazione per il 2013 ammonta a circa CHF 15'000 - 20'000 per progetto.
Le richieste di sostegno dovranno essere inoltrate alla Fondazione entro martedì 30 aprile 2013 e corredate dalla documentazione seguente: - generalità del richiedente - scopo e programma della ricerca - enti o istituti coinvolti - sostegno finanziario desiderato.
Informazioni aggiuntive in merito al presente concorso possono essere ottenute sul sito www.lombardi.ch
FONDAZIONE LOMBARDI INGEGNERIA c/o Lombardi SA - Via R. Simen 19 - 6648 Minusio
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C O M U N I C A T I OTIA
77
La Legge cantonale sull’esercizio delle professioni di inge-gnere e di architetto (LEPIA) definisce le condizioni d’eserci-zio delle professioni di architetto e di ingegnere in Ticino, caso unico in Svizzera. L’evoluzione tecnologica, le aspet-tative crescenti dei committenti pubblici e privati e la presa di coscienza dei politici dell’importanza delle professioni in esame sono fattori che permettono di essere ottimisti e ipotiz-zare a medio termine l’adozione della regola ticinese a livel-lo della Confederazione.
Le condizioni di esercizio della professione in TicinoIn merito alle condizioni di esercizio della professio-
ne di architetto e di ingegnere, la lepia è chiara: sono
abilitate ad esercitare le professioni di ingegnere e di
architetto nel Cantone, nei campi di attività dei gruppi
professionali e nei limiti delle disposizioni delle leggi
speciali, le persone che adempiono i requisiti stabiliti
dalla presente legge e sono in possesso della relativa
autorizzazione rilasciata dall’otia (art. 3 cpv. 1 lepia).
In altre parole, senza autorizzazione rilasciata da otia
non è possibile esercitare le professioni di ingegnere e
di architetto su suolo ticinese. L’autorizzazione è rila-
sciata ai richiedenti in possesso dei requisiti professio-
nali e personali stabiliti agli art. 5 e 6 lepia. I requisiti
professionali si riferiscono al diploma conseguito e/o
all’esperienza pratica acquisita dal richiedente. I re-
quisiti personali concernono lo stato della persona del
professionista dal punto di vista giudiziario e finanzia-
rio (carenza beni e fallimento).
Le condizioni d’esercizio della professione di architet-
to e di ingegnere comprendono pure il rispetto di una
serie di obblighi da parte dei professionisti iscritti all’al-
bo, in particolare svolgere l’attività professionale nel ri-
spetto del diritto e del Codice deontologico otia, non
prestarsi a fare da prestanome e rispettare le regole
professionali per la fatturazione delle prestazioni (art.
17 lepia). Le violazioni sono sanzionate dalla Commis-
sione di Vigilanza (18 lepia).
La validità della LEPIA
La normativa ticinese potrebbe fungere da esempio
per una futura legge federale sull’esercizio delle profes-
sioni di architetto e di ingegnere. La validità della lepia
è stata ribadita dal tram e dal Tribunale federale.
Rispondendo agli argomenti sollevati dal ricorrente/
ingegnere che aveva firmato una domanda di costru-
zione per la realizzazione di un’opera architettonica,
il tram ha constatato che il contenuto della lepia è
compatibile con il diritto costituzionale dalla libertà di
La LEPIA: un esempio valido per tutta la Svizzera
commercio. In effetti, la leggera limitazione d’eserci-
zio posta dalla lepia non pone ai singoli professionisti
alcuna significativa restrizione dello svolgimento della
professione per la quale sono stati formati. Il tram pre-
cisa inoltre che i Cantoni hanno la facoltà di sottoporre
l’esercizio delle professioni di architetto e di ingegnere
ad un regime autorizzativo che permetta di verificarne
le capacità. La Confederazione ha comunque la com-
petenza di legiferare a livello svizzero, adottando una
legge federale di rango superiore. Con tutta evidenza,
sarebbe auspicabile una normativa unificata a livello fe-
derale e non pratiche diverse nei vari Cantoni svizzeri.
La necessità e l’utilità di regole sull’esercizio della pro-
fessione è confermata dal tram, secondo il quale l’e-
sercizio delle professioni di ingegnere e di architetto
«presuppone conoscenze scientifiche che gran parte
degli architetti ed ingegneri acquisiscono in una scuo-
la d’ordine universitario o in un’altra scuola di rango
equivalente e la cui assenza rischierebbe di essere di
nocumento alla collettività». Il tram ha precisato che il
regime autorizzativo instaurato dalla lepia è dettato da
importanti, nonché evidenti interessi pubblici. Eviden-
temente però, affinché questi obiettivi possano essere
raggiunti, è necessario, secondo il tram, che «il campo
d’attività delle persone autorizzate a svolgere la profes-
sione di architetto o di ingegnere sia circoscritto a que-
gli ambiti per i quali esse dispongono di una effettiva e
sufficiente formazione teorica e pratica».
Il sistema istaurato dalla lepia è molto liberale e per-
mette ai professionisti con la necessaria esperienza pra-
tica, ma non in possesso di un diploma accademico, di
poter richiedere l’autorizzazione tramite l’ottenimento
del titolo reg B o reg A (www.reg.ch).
La necessità di una legge federaleLa scelta del legislatore ticinese non si giustifica solo
per la costante evoluzione tecnologica nei settori dell’e-
dilizia e del genio civile e per le aspettative crescenti
dei committenti pubblici e privati. Permettere l’eserci-
zio delle professioni di architetto e di ingegnere unica-
mente ai professionisti che hanno dimostrato di pos-
sedere determinati requisiti professionali e personali
è un’esigenza riconosciuta pure da molti politici eletti
a Berna, non solo per tutelare gli interessi del «consu-
matore», ossia dei singoli committenti pubblici e priva-
ti, ma pure a tutela dell’interesse generale, dell’intera
popolazione Svizzera.
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Die Dr. von Moos AG ist ein gut etabliertes und erfolgreiches Beratungsbüro auf dem Gebiet Geotechnik/ Geologie/Altlasten. Wir sind seit über 50 Jahren als Baugrund-Spezialisten bekannt und bearbeiten in derUmweltgeologie vielseitige Aufträge von Privaten und der öffentlichen Hand (www.geovm.ch).
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Ausdruck in Deutsch, evtl. Fremdsprachen Dr. von Moos AG, Geotechnisches Büro z.H. B. Rick, Bachofnerstrasse 5, 8037 Zürich
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- Beratung von Auftraggebern in abfall-
O F F E R T E D I L A V O R O
T IL I B R I T I
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Roberta Grignolo,
Bruno Reichlin (a cura di)
Lo spazio interno moderno come oggetto di salvaguardia – Modern Interior Space as an Object of PreservationMendrisio Academy Press,
SilvanaEditoriale, Mendrisio 2012
(CHF 49.90, ISBN 978-83-6624-171,
bross., 21 x 25 cm, ill. foto e dis. b/n
e col., pp. 293, italiano e inglese)
Il libro edito dalla Mendrisio Academy
Press raccoglie i contributi presentati
nel corso delle giornate di studio inter-
nazionali tenutesi presso l’Accademia
di architettura di Mendrisio il 6-7 otto-
bre 2011 sul tema Lo spazio interno mo-
derno come oggetto di salvaguardia.
L’evento è stato organizzato nel quadro
della ricerca interfacoltà svizzera inti-
tolata Enciclopedia critica per il restau-
ro e riuso dell’architettura del XX secolo,
finanziata nel 2008 dalla Conferenza
Universitaria Svizzera con l’obiettivo di
promuovere la collaborazione tra le prin-
cipali scuole di architettura svizzere
(Swiss Cooperation Project in Archi-
tecture). La ricerca si articola in quat-
tro sezioni: Strumenti storico-critici
e salvaguardia (coordinata da R. Gri-
gnolo e B. Reichlin), Storia materiale
del costruito (diretta da F. Graf EPFL,
USI), Salvaguardia della città nel XX
secolo (coordinata da V.M. Lampu-
gnani ETHZ), Strumenti metodologici
(diretta da J. Jean, SUPSI). Il volume è
composto da 4 sezioni che raccolgono
complessivamente 24 contributi:
1) Lo spazio interno moderno. Storia
e prospettive di salvaguardia (B. Rei-
chlin, A. Rüegg, E. Garda, R. Grignolo);
2) Musealizzazione di spazi interni
moderni (J. Molenaar, L.S. Waggoner
& J. Gunther, G. Rigone, M. Goutal);
3) Difficile adeguamento di monumenti
fragili (M. Pogacnik, H. Frank, D. De-
schermeier, F. Fiorino & P. Scaramuzza,
A. Canziani); 4) Salvaguardia di interni
a rapida obsolescenza (C. Briolle & J.
Repiquet, R. Grignolo, J-B. Minnaert).
Sergison Bates architectsBuildingscoll. Monografie, Quart Verlag,
Luzern 2012 (CHF 105.– ,
ISBN 978-3-03761-060-2 D,
978-3-03761-061-9 E, ril., 21.6 x 27
cm, 506 ill. foto b/n e col., 113 dis.,
pp. 300, tedesco o inglese)
Il libro è pubblicato nella collana Mo-
nografie dalla casa editrice svizzera
Quart Verlag e documenta l’opera del-
lo studio di architettura londinese
Sergison-Bates (Jonathan Sergison e
Steven Bates), caratterizzata dall’at-
tenzione all’«atmosfericità» e al rigore
formale. L’indice è suddiviso in quattro
sezioni: Texts, Intentions, Impressions,
Catalogue (regesto). Il libro è molto
raffinato, sia per grafica che per con-
fezione; è stampato su tre tipi di carta:
bianca opaca 100 g per la sezione Texts;
opaca color avorio 150 g per la sezione
Intentions; bianca semilucida 150 g per
la sezione Impressions. La prima parte
pubblica tre saggi (testo in tono di gri-
gio): 1) Tectonic presence di Irina Davi-
dovici, London; 2) A raison dêtre of its
own di Martin Steinmann, Aarau; 3)
A kind of picturesque di Dirk Somers,
Antwerpen. La scelta degli autori riflet-
te l’internazionalità della produzione
dello studio del quale sono pubblicate
8 opere realizzate (City Library, Blan-
kenberge Belgio; Urban housing, Hackney
London UK; Care home, Huise-Zingem
Belgio; Applied arts centre, Ruthin Wa-
les UK; Urban housing and crèche,
Genève CH; Urban bolock, Westminster
London UK; House, Cadaqés, Catalonia
E; Garden pavillion, Mereworth Kent UK).
Le opere sono pubblicate con la stessa
sequenza nelle due sezioni Intentions
e Impressions. Nella prima sono illu-
strate le fasi di elaborazione del pro-
getto con schizzi, modelli di studio,
disegni e campioni di materiali; nella
seconda sono pubblicate immagini
fotografiche con alcune sequenze (fo-
tografie piccole, grandi immagini a
colori, tutta pagina). Jonathan Sergison
è professore di progettazione presso
l’Accademia di architettura a Mendrisio.
A cura diEnrico Sassi
Ser vizio ai lettoriAvete la possibilità di ordinare i libri re-
censiti all’indirizzo libri@rivista-archi.ch
(Buchstämpfli, Berna), indicando il titolo
dell’opera, il vostro nome e cognome, l’indi-
rizzo di fatturazione e quello di consegna.
Riceverete quanto richiesto entro 3/5
giorni lavorativi con la fattura e la cedola
di versamento.
Buchstämpfli fattura un importo forfet-
tario di CHF 7.– per invio + imballaggio.
Workshop guide atelier OïAvedition, Ludswigsburg (D) 2012
(CHF 53.90, ISBN 978-3-89986-164-
8, ril., 17.7 x 24.5 cm, ill. foto e dis. b/n
e col., pp. 224, francese, tedesco,
inglese)
Il libro – edito dalla casa editrice tede-
sca avedition – è una sorta di manuale
di istruzioni dell’atelier di design sviz-
zero «oï», fondato nel 1991 a La Neuve-
ville nei pressi del lago di Bienne da tre
soci: Aurel Aebi, Patrick Reymond, Ar-
mand Louis. I primi due si sono forma-
ti all’«École d’architecture Athenaeum»
di Losanna, il terzo era un costruttore
di imbarcazioni. Il nome dello studio è
formato dalle vocali centrali della pa-
rola russa «Troïka» che indica il trio di
cavalli che trainano una slitta, a meta-
fora del modo di lavorare dei tre soci.
Nell’atelier il design è considerato come
processo nella genealogia delle cose
passate e presenti. Il designer è parte
della storia degli oggetti come succes-
sore e predecessore, in contrasto con
la tendenza contemporanea del culto
della personalità che domina nell’indu-
stria del design. La sede dell’atelier si
chiama Moïtel, neologismo che com-
bina «oï» con «Motel», a indicare un
vecchio motel degli anni ’60, comple-
tamente ristrutturato e trasformato,
che accoglie l’atelier. L’ormai ventenna-
le produzione dello studio si basa su un
approfondito studio dei processi di
produzione, sulla concretezza, la co-
noscenza della materia e dei materia-
li; è molto vasta e differenziata, tra le
altre realizzazioni ricordiamo: progetto
dell’infocentro Alptransit a Pollegio;
coperture a forma di gocce d’acqua per
l’Arteplage di Neuchâtel dell’Expo 02;
Lunix, sistema di pavimentazione in
cemento per la Creabeton; lampade
(Allegro e Allegretto, Foscarini 2007-
2009, Tome lamp in carta, Danseuses,
lampade sospese in tessuto la silhou-
ette delle quali si modifica con la fre-
quenza delle rotazioni); tessuti, mobili,
sistemi espositivi, allestimenti.
Bazzi Piastrelle SAVia dei Pioppi 106616 LosoneT +41 (0)91 792 16 02F +41 (0)91 792 18 02www.bazzi.chinfo@bazzi.ch
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