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Publius - per u'alternativa europea. Numero 4, dicembre 2009 Giornale degli studenti dell'Università di Pavia

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pag.1  EditorialePublius

pag.2 Nobel a Obama?Giulia Spiaggi

pag.4 Compendio del    politico europeo (part II)

Davide Negri

pag.5 Il nuovo governo tedesco e il “nodo di Gordio”

Luca Lionello

pag.6 Storiche elezioni in Giappone

Gabriele Felice Mascherpa 

PubliusPer un’ Alternativa Europea

Universitari per la Federazione EuropeaNumero 4 - Dicembre 2009

distribuzione gratuita

Giornale degli studentidell’Università di Pavia.

Informazione, riflessioni e commenti sull’Europa di oggi

e di domani

Siamo  ormai  vicini  al  primo compleanno  di  Publius! Tanti argomenti  sono  stati  trattati in  quest'anno,  cercando  di proporre  spunti  e  analisi  da una  prospettiva  diversa  dal solito,  per  provare  a  trovare quelle  risposte  che  la  sola ottica nazionale non può dare. In questi giorni,  per  esempio, non  si  può  non  parlare  del vertice mondiale di Copenha‐gen sui cambiamenti climatici. Finalmente le questioni legate al  surriscaldamento  globale incominciano  ad  essere  tenu‐te  in  conto  dai  potenti  della terra  e ad avere un maggiore risalto  mediatico.  Potrebbe essere  però  troppo  tardi  per invertire la tendenza in atto e sicuramente, man mano che il tempo  passa  e  non  vengono messe  in  opera  signiBicative contromisure,  i  costi  per  le future  generazioni (sia  Binan‐ziariamente,  sia  in termini  di qualità  dell'ambiente)  salgo‐no vertiginosamente. La vera novità di questo verti‐ce,  tuttavia,  è  rappresentata dal nuovo rapporto tra gli Usa e  la  Cina  che,  come  già  si  è potuto  vedere  nel  recente viaggio  di  Obama  in  Oriente, 

si sta delineando in termini sia di confronto  sia  di  ricerca  di  posi‐zioni comuni tra la prima poten‐za mondiale  degli ultimi  sessan‐t’anni  anni  e  quella  emergente che  ben presto  le  si  afBiancherà. La maggior parte delle decisioni, purtroppo  inconcludenti,  sono state  prese  proprio  al  vertice dell’Association  of  Southeast Asian  Nations  tenutosi  a  Singa‐pore  e  al  quale  ha  partecipato anche  il  Presidente  americano. Questo spiega perché  il  risultato del vertice di Copenhagen, anche se  il  summit  si  sta  ancora  svol‐gendo mentre  viene  scritto  que‐sto  articolo,  sarà  sicuramente insoddisfacente.  Gli Usa,  tra  l’al‐tro, come ricordava recentemen‐te  un articolo    apparso  sull’Eco‐nomist, in questo momento  sono impegnati in importanti e delica‐te  riforme  interne  (prima  tra tutte  quella  del  sistema  sanita‐rio)  che  hanno  la  priorità  sui temi ambientali, e d’altro canto la Cina  rimane  in  attesa  delle  pro‐poste  dei paesi  industrializzati e non  è  disposta  a  rinunciare  al proprio sviluppo. In un simile quadro  l'unica solu‐zione  per  affrontare  concreta‐mente  questi  problemi urgentis‐simi  sarebbe quella di un gover‐

no mondiale capace  di  prendere le decisioni adeguate e di impor‐re le relative politiche per realiz‐zarle. Tuttavia si tratta ancora di un progetto utopico, e l'ONU non è  certo  in  grado  di  adempiere  a questo  compito. Ma esiste  anche un'altra  possibilità  per  dare  un nuovo  slancio  alla  ricerca  di  so‐luzioni  e  per  dar  vita  a  qualche iniziativa  forte:  se  gli  europei portassero a  compimento  il pro‐cesso di uniBicazione e creassero uno  Stato  federale,  capace di de‐cidere  politiche  continentali, questo  potrebbe  incidere  negli equilibri  mondiali  favorendo delle soluzioni concordate con le altre  potenze.  E'  innegabile  che l'Europa  abbia  una  predisposi‐zione  ad  affrontare  concreta‐mente  i  problemi  climatici  sia per  una questione di valori, sen‐sibilità  e  cultura,  sia  anche  per una  questione  di  interessi  eco‐nomici.  Se  si  vuole  rimanere competitivi  a  livello  mondiale, infatti,  la  riconversione  verso uno  sviluppo  sostenibile,  verso tecnologie  rispettose  dell'am‐biente  e  il  potenziamento  della ricerca  sono  gli  elementi  fonda‐mentali  per  il  rilancio  dell'eco‐nomia europea. 

Publius

Indice

pag.1 EditorialePublius

pag.2 Come va la ricerca in Europa?

Laura Filippi

pag.4 Compendio del politico europeo

Davide Negri

pag.6 Le elezioni in Afghanistan: chi sarà il nuovo sindaco di Kabul? 

Nelson Belloni 

pag.7 Nuovi equilibri in Africa tra Europa e Cina 

Matilde Oppizzi &Giovanna Albonico

2

Siamo ormai giunti al 2010, l’anno  in cui, secondo  gli  obiettivi  della  Strategia  di Lisbona, promossa dal Consiglio europeo e  avviata  nel  2000,  l’Europa  doveva  di‐ventare  “l’economia  basata  sulla  cono‐scenza  più  competitiva  e  dinamica  del mondo, in grado di realizzare una cresci‐ta economica sostenibile con nuovi e mi‐gliori posti di lavoro e una maggiore coe‐sione sociale”.Per  conseguire  tali  obiettivi  il  Consiglio europeo  aveva  adottato  una  strategia dettagliata  deBinendo  interventi  in  nu‐merosi  settori,  quali  la  ri‐cerca  scientiBica,  l'istru‐zione, la formazione pro‐fessionale,  l'accesso  a Internet  e  il  commercio on‐line,  la  riforma  dei sistemi  di  sicurezza  so‐ciale.  In  particolare,  per quanto  riguarda  la  pro‐mozione  della  ricerca scientiBica, la Strategia di Lisbona doveva rappresentare  il  quadro  di  riferimento principale  sia  dell’Unione  europea  che degli Stati membri.Siamo  ormai  arrivati alla  scadenza della Strategia di Lisbona, ma appare purtrop‐po certo  che il Vertice conclusivo, se vor‐rà occuparsene, non potrà che constatare che  nessuno  degli  obiettivi  del  piano  è stato  raggiunto.  In  questi  ultimi  dieci anni  l’economia  e  le  società  europee hanno  al  contrario  subito  pesantemente gli effetti negativi della globalizzazione e 

l’attuale  crisi  Binanziaria  ed  economica rischia  di  affossare  deBinitivamente  gli ambiziosi ed irrealistici progetti dei Capi di Stato europei.Per  quanto  riguarda,  in  particolare,  la ricerca  scientiBica  a  livello  continentale, la Commissione europea è stata incarica‐ta di gestire gli  strumenti di cui l’UE si è dotata  per  promuoverla.  Tra  questi,  i principali  sono  la  serie  di  programmi quadro pluriennali (è attualmente in cor‐so  il  7° Programma), con cui  la Commis‐sione  ha  realizzato  le  sue  politiche  nel 

campo  dello sviluppo tecno‐logico  e  della ricerca ap‐plicata,  e  le  Piattaforme Tecnologiche  Europee, che  riuniscono  aziende, istituti di  ricerca, mondo Binanziario  e  istituzioni per deBinire un’agenda di ricerca  comune  per  sin‐gole  aree  tecnologiche 

con  l’obiettivo  di  mantenere  la  leaders‐hip  globale  in  tali  settori. Ma  il  grosso limite  di  queste  politiche  consiste  nella scarsa  presenza  della  ricerca  di  base,  il cui  Binanziamento  ed  indirizzo  sono  re‐stati saldamente  nelle mani degli Stati.  I Binanziamenti  della  Commissione  sono infatti diretti quasi esclusivamente verso la  ricerca  applicata,  Binalizzata  al  rag‐giungimento di obiettivi pratici nel breve e medio  periodo,  senza  considerare  che questa  viene  alimentata  dai  progressi delle conoscenze  e  dell’innovazio‐

ne prodotti dalla ricerca di base.Il  risultato  è  che  l’Europa  sta  perdendo terreno in modo preoccupante rispetto ai suoi  vecchi e nuovi competitori  interna‐zionali.Le  statistiche  rilevano  che  l’interesse degli  scienziati  a  trasferirsi  in Europa  è in  netto  declino  e  che  abbiamo  sempre più difBicoltà a trattenere i nostri ricerca‐tori. Il  calo  vistoso  del  numero  di premi Nobel  assegnati all’Europa è  l’indicatore più  di  sintomatico  di  questa  tendenza. Parallelamente,  sebbene  l’Unione  euro‐pea  produca  più  laureati  in  discipline scientiBiche  e  in  ingegneria  degli  USA  o del  Giappone,  non  riesce  a  fornire  loro sbocchi professionali adeguati.Inoltre  i  rapporti  pubblicati  dalla  Com‐missione  europea  rilevano  sistematica‐mente che  il gap di  innovazione tra USA ed Europa continua a crescere.E’  semplicemente  irrealistico  credere  di poter  competere  con  gli  Stati  Uniti,  il Giappone ed i giganti asiatici, come India e  Cina,  con gli strumenti di cui  l’Unione europea ed i singoli Stati  sono dotati. Al giorno d’oggi la ricerca scientiBica  e tec‐nologica può essere organizzata in modo efBicace solo dai grandi Stati, come mette in  evidenza  in  un  suo  articolo  Alberto Mantovani, ricercatore dell’Istituto Mario Negri e dell’Università degli  Studi di Mi‐lano:  “la  ricerca  richiede  sempre  più massa  critica  ed  investimenti  in  una di‐mensione  continentale.  L’attuale  dimen‐sione  europea  della  ricerca  invece è  in‐

Come va la ricerca in Europa?

Le statistiche rilevano che

l’interesse degli scienziati a trasferirsi in Europa è in netto

declino

3_ 

sufBiciente  e  asBittica,  frammentata  e addirittura lillipuziana quando  la si con‐fronti  con  i  nostri  competitori.  L’entità dei  fondi  che  la  Commissione  gestisce è inoltre di ordini di grandezza inferiore se paragonata  ad  esempio  con  il  National Institute of Health statunitense”.La  Commissione Europea  e  la  comunità scientiBica  hanno  caldeggiato  la  costitu‐

zione dell’European Research Council sul modello  delle  agenzie  americane  che sostengono  la  ricerca  di  base.  Devono però  ancora  dimostrare  all’opinione pubblica  europea  come  questa  agenzia potrà  essere efBicace nell’attuale quadro delle  istituzioni  europee.  Riconoscere  a livello  politico  ed  istituzionale  l’impor‐tanza della scienza,  incrementare i fondi destinati  alla  ricerca  e  razionalizzarne l’utilizzo  attraverso  l’istituzione  di un’Agenzia  indipendente  non  basta  a garantire  che  tali  fondi  siano  ben spesi. L’European Research Council potrà forse fornire un po’ di ossigeno ad una comu‐

nità scientiBica europea sempre più asBit‐tica,  ma non  servirà  ad arrestare  il  suo declino se gli europei non affronteranno il problema fondamentale: la presenza in America ‐ e  l’assenza in Europa  ‐ di uno Stato  federale  che possa  raccogliere au‐tonomamente  le  risorse  necessarie  a Binanziare la ricerca a  livello continenta‐

le, che sia in grado di aggregare centri di ricerca,  istituzioni  Binanziarie  ed  im‐prenditori  attorno  a  grandi  progetti  di interesse  comune  e  che  risponda  dei risultati  direttamente  ai cittadini,  senza condizionamenti da parte degli Stati.

Laura Filippi

I rapporti pubblicati dalla Commissione

Europea rivelano che il gap di innovazione tra

USA ed Europa continua a crescere

Di libro in libro. Segnalazioni bibliografiche

”L’Unione Europea. Una storia non ufficiale” di Riccardo PerissichIl processo d’integrazione europea è la più grande  innovazione politica della seconda metà del Novecento. Un processo  storico non ancora giunto alla sua Bine viene raccontato dall’interno, da chi è stato protagonista per ventiquattro anni presso la Commissione eu‐ropea. Quando un uomo si accinge a raccontare una storia, deve aver chiara una visione, un progetto verso cui debba procedere il tre‐no del divenire storico una volta conclusa la narrazione.  In Perissich vi è l’adesione profonda all’ideale originario dei Padri fondatori, ossia il superamento del nazionalismo statuale per la costruzione di una Europa unita politicamente in funzione di un grande obiettivo politico di pace,  nella libertà e nella democrazia. L’autore prende atto che  il progetto di uniBicazione si è arenato per un fatto molto semplice: nell’Europa a 27 non c’è una visione di progetto europeo. Il libro, con una lucida analisi storica e illuminanti aneddoti, inten‐de rendere consapevoli dell’importanza capitale dell’uniBicazione politica dell’Europa: perché la posta in gioco è “essere” – o rinuncia‐re a essere – “soggetto e non solo oggetto della storia”.[Edizioni Longanesi, 2008]

”L’ultimo miliardo” di Paul CollierIl libro "L'ultimo miliardo" dell'economista inglese Paul Collier affronta  il problema del miliardo di persone dell'ex Terzo Mondo che non ha ancora imboccato la strada della crescita. Le cause che ne ostacolano lo sviluppo, quali il rischio di conBlitti e il malgoverno del‐le risorse,  hanno  costi elevatissimi per tutta la comunità internazionale,   di cui incrementano l'instabilità, e necessitano pertanto di strategie globali. A questo proposito, Collier si propone di redigere un'agenda per il  G8, che considera l'organo adeguato per coordina‐re le politiche dei paesi più sviluppati. Il libro propone strategie che sfruttano oltre agli aiuti economici, che vanno aumentati e gestiti meglio, strumenti quali le politiche commerciali,  l'adozione di Carte  internazionali o gli interventi militari (quando  aiutino  effettiva‐mente le popolazioni). Riguardo all'Unione europea Collier sottolinea come la Commissione non controlli l'uso dei fondi erogati (che spesso Binanziano la spesa militare) e non sfrutti altre possibilità come la proposta di standard politici. La lettura del libro è sti‐molante perché sottolinea come il cambiamento possa venire solo dall'interno e gli aiuti devono sostenere gli sforzi di quanti già cer‐cano di introdurre le riforme nei loro paesi.[Edizioni Laterza, 2007]

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1)  Dopo  il  processo  di  riconciliazione, avviato a partire dalla costruzione comune della  prima Comunità europea,  la  Francia e la Germania sono passate, a partire dalla presidenza  di  De  Gaulle,  ad  un  rapporto 

privilegiato.  Dopo  l’uscita  di  scena  di quest’ultimo come proseguì tale rapporto? 

Nonostante  l’uscita di scena del generale, il  suo  messaggio  era  penetrato  talmente in profondità nel tessuto politico francese che  nessuno  dei  suoi  successori  ebbe  il coraggio  di  contestarne  apertamente  i principi. Nel ’69 Georges  Pompidou successe a De Gaulle  mentre  in  Germania  divenne cancelliere  il  social‐democratico  Willy Brandt. Il suo avvento e la sua politica di apertura  verso  l ’Unione  Sovietica indussero  Pompidou  ad  allargare  la Comunità  alla  Gran  Bretagna  per compensare  la  crescente  forza  e  la presunta  inaffidabilità d e l l a  G e r m a n i a . N o n o s t a n t e  c i ò Pompidou  e  Brandt mantennero il rapporto p r i v i l e g i a t o  t r a  i rispettivi paesi.Nel  ’74  alla  coppia  Pompidou‐Brandt successe  la  coppia  Giscard‐Schimdt. Costoro erano pragmatici e interessati più all’economia  che  alla  politica:  portarono in  porto  le  prime  tre  importanti innovazioni  del  periodo  gollista,  ossia 

l’istituzione  del  Consiglio  europeo, l ’elezione  a  suffragio  diretto  del Parlamento  e  la  creazione  del  Sistema monetario europeo (SME).Nel 1981 a  Giscard successe  il  socialista 

Mitterrand  mentre  l’anno  dopo  in Germania  tornarono  al potere  i  democristiani con  Helmut  Kohl.  Il presidente  francese, dopo  aver  condotto l’economia in un vicolo cieco  con la sua politica dirigista ,  operò  un cambiamento  sostanziale  sia  in  politica estera (favorendo  l’installazione di missili Pershing  in  Germania)  che  in  politica interna  (espellendo  i  comunisti  dal governo). Da quel momento ebbe iniziò  il cosiddetto  “periodo magico” del rapporto franco‐tedesco,  poiché  il   triangolo costituito  da  Mitterand‐Kohl‐Delors 

(Presidente, a sua volta f r a n c e s e ,  d e l l a Commisione)  permise di  condurre  l’Europa v e r s o  i l completamento  del Mercato  interno  e  ad 

una significativa riforma  istituzionale. Ma soprattutto  permise  di  affrontare  le conseguenze del crollo muro di Berlino.

2)  1989:  crollo  del  muro  di  Berlino.  La r i u n i f i c a z i o n e  t e d e s c a  d i v e n t ò 

improvvisamente  possibile.  Antiche paure del  pericolo  tedesco  riaffiorarono  nella mente  dei  governanti  europei.  Come  uscì da  questa  difficile  prova  il  rapporto franco­tedesco?

All’inizio  parve  incrinarsi  il  rapporto perché  la riunificazione tedesca era vista, soprattutto  dalla  Gran  Bretagna  della signora Thatcher, come un pericolo per la sicurezza dell’Europa. Helmut Kohl invece agì  da  grande  statista.  Capì  che senza  la riunificazione, a est si sarebbe creato uno Stato  instabile  e  in  crisi  economica; l’emigrazione di milioni di persone  verso ovest  sarebbe  stata  inevitabile  così  da mettere in crisi la compagine sociale della Germania  occidentale.  Inoltre  Kohl comprese  che  la  riunificazione  doveva avven i re  a l l ’ in terno  de l l ’Europa occidentale  e  della  Comunità  europea perché  senza  la  fiducia  degli  altri Stati e senza  il  Mercato  europeo  non  avrebbe potuto avviare la ricostruzione. Quindi  il  Cancelliere,  per  ancorare stabilmente all’Europa, decise di mettere sul  tavolo  la  principale  carta  di  cui disponeva  la  Germania:  il  marco.  La moneta  era  per  i  tedeschi  il  simbolo  del 

l o r o  s u c c e s s o economico  e  della r i t r ova t a  d i g n i t à n a z i o n a l e . Separarsene costituiva un  enorme  sacrificio. Kohl  prometteva  ai t e d e s c h i  c h e ,  i n 

cambio della rinuncia al marco, ci sarebbe stato  un  significativo  rafforzamento dell’integrazione politica europea dove  la Germania avrebbe avuto la responsabilità maggiore  dovuta  a l le  sue  nuove dimensioni. Purtroppo tale promessa non fu mantenuta.La rinuncia al marco avrebbe permesso a Delors  di  dare  avvio  al  progetto  della mone t a  un i c a ,  c i o è  i l  n a t u ra l e completamento  de l l ’ in tegraz ione economica,  e  di  rispondere  anche  a  una precisa esigenza  di Mitterand: il Mercato unico  veniva  scosso  periodicamente  dal disordine  monetario  provocato  dalla liberalizzazione  dei  capitali.  A  farne  le spese era l’economia francese che priva di una  moneta  forte,  veniva  percorsa  da ondate  inflazionistiche:  alla  lunga  la Francia  sarebbe  stata  costretta  a rifugiarsi  dietro  a politiche protezioniste 

La riunificazione tedesca era vista dalla

Gran Bretagna come un pericolo per la sicurezza

dell’Europa

L’unica via di uscita era dotare il Mercato unico di

una moneta unica

Compendio del politico europeoIL MOTORE DELL’UNIFICAZIONE EUROPEA:

LA COPPIA FRANCO-TEDESCA(parte II)

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ponendo  le  basi  della  fine  del  Mercato comune.  L’unica  via  d’uscita era dotare  il Mercato unico di una moneta unica posta sotto  l’autorità  di  una  comune  Banca centrale.  Il  Trattato  di  Maastricht  del 1991  suggellò  questo  nuovo  accordo strategico franco‐tedesco. 

3)  Nel  1995  Mitterand  lasciò  il  potere  al suo  storico  antagonista,  esponente  del partito  gollista  Jacques  Chirac  poi sostituito  da  Nicholas  Sarkozy,  mentre  in Germania  il  socialdemocratico  Gerhard Schröder succedeva a Kohl; costui nel 2005 da  Angela  Merkel.  Però  la  coppia  franco­tedesca  sembra  aver  smarrito  in  questi ultimi quindici anni il suo  ruolo di motore dell’Europa. Perché?

Dopo  Maastricht  per  anni  entrambi  i paesi sono  diventati più un  freno  che un motore.In Francia si è prodotta una frattura fra il paese e la sua classe politica. Da tempo  la classe  dirigente  non  riesce  a  dire  ai francesi  la  verità  su  cosa  sono  e  cosa d o v r e b b e r o  d i v e n t a r e ;  c i ò  h a ripercussioni  anche  sulla  politica europea.In  Germania  non  vi  è  distacco  fra opinione  pubblica  e  classe  politica  ma forte  disaffezione  nei  confronti  di un’Europa  che  non  ha  mantenuto  la promessa  di  rilancio  dell’integrazione politica europea  in cambio della  rinuncia del  marco.  L’involuzione  dell’alleato francese  unita  ai  problemi  interni  della riunificazione  hanno  spinto  anche  la Germania a ripiegare su sé stessa. Però, se la  “macchina”  Europa  è  ferma  perché  il suo  “motore”  si  è  fermato,  il  resto  del mondo  continua  a  fare  passi  avanti.  La global izzazione  del l ’economia  ha permesso  lo  sviluppo  di  giganti  quali 

Cina,  India,  Brasile e Russia,  che  prima  o poi  chiederanno  il  loro  posto  tra  le potenze.  Intanto  la  super‐potenza americana,  cioè  il  garante  della  nostra sicurezza  militare,  comincia  a  mostrare segni evidenti di stanchezza.

4)  Quale  dovrebbe  essere  l’ultimo  passo che  la  coppia  franco­tedesca  non  ha ancora compiuto?

L’ultimo  passo da fare è  l’unità politica. È stato  fin  dall’inizio  l’obiettivo  dei  Padri fondatori per evitare la guerra  in Europa; il  loro  sogno  si  infranse  negli  anni  ‘60 contro  la politica  del generale  De  Gaulle di  restituire  alla  Francia  il  suo  ruolo  di potenza  ormai  perso.  È  impossibile progredire  sul  fronte  dell’unità  politica all’interno  delle  strutture  dell’Unione europea perché  servirebbe  il consenso  di Gran  Bretagna,  paesi  scandinavi  e  paesi dell’Europa  orientale  assolutamente contrari  ad  ogni  progetto  politico europeo. Bisogna pensare ad un’iniziativa fuori dai Trattati ma aperta  a tutti quelli che vi vorranno aderire: il messaggio non dovrà essere “Vi lancio un’idea e vediamo 

cosa  ne  pensate”,  ma  come  fecero Schuman  e  Monnet  nel  1950,  “Noi andiamo avanti, chi ci sta ci sta”. La  Germania  non  potrebbe mettersi  alla testa  di  un  simile  progetto  senza  il sostegno  di  altri  grandi paesi  col  rischio 

d i  essere  accusata  d i  ambiz ioni egemoniche.La  Francia  deve  comprendere  che  la strada  dell ’ integrazione  è  l ’unica percorribile  se  vuole  seguire  la  sua “vocazione  universale”,  abbandonando  i residui  di  nazionalismo  economico, l’antiamericanismo  e  la  concezione intergovernativa dell’integrazione.Il  processo  iniziò  con  la  decisione  di concedere  alla  Germania  sconfitta  pari dignità; è poi proseguito  con la decisione della Germania riunificata di rinunciare al marco, uno dei beni più preziosi. È venuto il momento di un significativo  gesto della Francia: condividere  la  sovranità politica dell’Europa. 

Davide Negri

Scheda personaggio - Altiero Spinelli      Nato  a Roma  il  31  agosto  1907,  aderisce molto  giovane al  Partito  Comunista  Italiano, partecipando  alla  lotta  clandestina  contro  il fascismo.  Arrestato  nel  1927,  sconta  dieci anni di prigione e sei di conBino  a Ventotene durante il quale abbandona  il comunismo  ed elabora,  insieme a  Ernesto Rossi  ed Eugenio Colorni,  il  Manifesto  di  Ventotene  (1941),  il testo  fondativo del  federalismo  europeo. Ca‐duto  il  fascismo,  viene  liberato  nell’agosto 1943 e fonda a Milano, il Movimento  Federa‐lista Europeo. Per quattordici anni è l’anima‐tore  di  tutte  le  più  importanti  battaglie  in favore della  federazione europea,  in partico‐lare quella  della  Comunità  europea di difesa (CED) e della Comunità politica. Dal 1970 al 1976  fu  membro  della  Commissione  Euro‐pea,  poi  del  Parlamento  italiano  (1976)  e quindi del primo Parlamento  europeo  eletto 

a suffragio  universale nel 1979. Fu uno degli attori  politici  principali  sulla  scena  europea anche  attraverso  il  Club  del  Coccodrillo,  da lui fondato e animato nel 1981. Muore in una clinica  romana  il  23 Maggio  1986.  Viene  ri‐conosciuto come uno dei Padri fondatori del‐l’Europa....La  federazione europea non  si proponeva di colorare in questo o quel modo un  potere esi­stente.  Era  la  sobria  proposta  di  creare  un potere democratico europeo. (da Come ho tentato di diventare saggio, Il Mulino,1984 )....Nella battaglia per l'unità europea è stata ed è  tuttora  necessaria  una  «concentrazione  di pensiero  e di volontà  per cogliere le occasioni favorevoli quando si presentano, per affronta­re le disfatte quando arrivano, per decidere di continuare quando è necessario».(da L’Europa non cade dal cielo, Il Mulino, 1960)

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In  Afghanistan  si  sono  recentemente tenute le votazioni per eleggere il gover‐no  e  il  nuovo  Presidente.  Per  dare un’idea  del  valore  di  queste  votazioni basti  ricordare  che  il  Presidente,  pur essendo  teoricamente  il  Capo  dello  Sta‐to, dalla Bine del regime talebano in poi è sempre stato  considerato  come il sinda‐

co  di  Kabul  e  nulla  più.  L’Afghanistan è infatti un paese popolato  da sette  etnie diverse, di cui nessuna è maggioritaria, e ciascuna  parla  una  lingua  diversa  e  fa riferimento  a capi  diversi  tra  loro  e  so‐prattutto  diversi  dal  Presidente  del‐l’Afghanistan. La quasi  totalità della  po‐polazione è analfabeta e non sa cosa sia la democrazia. Il voto viene dato tenden‐zialmente in base all’etnia del candidato, pasthun  (l’etnia  più  popolosa,  che  rag‐giunge il 38%) se il candidato è Karzai e tagiko o  altro se il candidato  è Abdullah Abdullah. La popolazione che si reca alle urne non raggiunge il 40% e le votazioni si  sono potute svolgere solo  in determi‐nate aree geograBiche dove l’Isaf (la For‐za di assistenza internazionale) control‐la la situazione e protegge  i seggi. I tale‐bani infatti hanno pesantemente minac‐ciato di punire chiunque andasse a vota‐re,  dicendo  alla  popolazione  che  avreb‐bero  tagliato  il  pollice  che  viene  usato per votare (dato che, essendo analfabeti, gli  afgani  votano  intingendo  il  pollice nell’inchiostro  e  stampando  la  propria impronta digitale sul nome del candida‐to prescelto). Il voto, dunque, non rispet‐ta  nemmeno  il territorio. Ma, soprattut‐to,  il governo non ha potere  e controllo su uno Stato che si fatica a deBinir tale. 

Una  delle  cause  di  questa  debolezza  è, paradossalmente – dato  che dovrebbero essere  lì per  sostenere  il  rafforzamento delle istituzioni  statali afgane –, proprio 

la presenza dell’Isaf. Questa  è  costituita da  contingenti  forniti  da  Italia,  Usa, Francia,  Germania,  Spagna,  Canada,  Uk, Paesi  Bassi,  che  si  suddividono  il  con‐trollo del paese disponendo basi militari nei  territori in cui è accertata la presen‐za dei  jihadisti: i talebani,  infatti, non si trovano  solo    nella  terra  di  nessuno  al 

conBine tra Pakistan e Afghanistan,  dove l’Enduring Force Of Freedom statuniten‐se  prosegue con la guerra.  Ma  il popolo non si Bida né di Al‐Qaida né dei soldati dell’Isaf,  che,  facilmente,  vengono  visti come “infedeli oppressori”. 

La  ragione  principale  della  debolezza dello  Stato  afgano  è  però  legata  al  fra‐zionamento  della  popolazione,  che  ri‐sponde  ad una  intricata e  dispersa  rete di capi  tribali,  signori della  guerra,  maBiosi e  narcotrafBicanti  e che  non  ha  contatti diretti  con  le  istitu‐zioni  statali.  La  loya jirga,  l ’assemblea tribale  dove  si  riuni‐scono  i  capi delle  tri‐bù  afgane,  è  il  vero organo  esecutivo  ca‐pace  di  agire  e  im‐porre le proprie  scel‐te. 

Ma allora, ci si chiede, perché  gli  Stati  Uniti e  gli  europei  sacriBi‐cano soldati e denaro per  un  governo  fan‐toccio? Oggi  i  costi in termini  umani  e  di spesa  per  la  perma‐nenza  in  Afghanistan raggiungono  livelli 

elevatissimi,  eppure  gli  Stati  ritengono di dover ancora aumentare il numero dei soldati da dispiegare. E come mai si con‐tinua  a  parlare  di  come  Karzai  abbia truccato  le  elezioni  o  di  come  “eroica‐mente” siano morti  alcuni soldati  italia‐ni?  Mentre  si  sposta  l’attenzione  sulle situazioni  contingenti,  pare  che  ci  si di‐mentichi di  spiegare qual è la  reale mo‐tivazione  di  questa  missione.  Non  si menziona  mai  il  fatto  che  l’Afghanistan conBina  con  i  due  paesi  al  centro  delle tensioni nell’area mediorientale,  ovvero il Pakistan e l’Iran. ConBina inoltre con la Cina, grande potenza in Bieri.  La sua col‐locazione  geograBica  spiega  anche  l’ori‐gine  dei  talebani,  inventati  dal Pakistan per  avere  una  forza  terrorista  da usare come  minaccia  e  arma  contro  l’India. Non dimentichiamo  poi che  fu la Russia ad  armare  il  Pakistan,  né  il  ruolo  che hanno avuto  gli USA nel  lanciare  lo  slo‐gan della  Jihad in  funzione antisovietica o nel sostenere i talebani al tempo della loro prima conquista del paese. 

Gli  attori  che  ruotano  attorno  a  questo paese  sono  dunque  molti  e  l’interesse americano  perseguito  anche  tramite l’Isaf  non  è  certo  la  democrazia  in Afghanistan,  bensì  il  dare  una  prova  di forza di fronte ai propri avversari storici. Il generale Mini lo spiega chiaramente in un’intervista pubblicata da Limes, in cui 

Le elezioni in Afghanistan:chi sarà il nuovo sindaco di Kabul ?

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Il continente africano ha un valore strate‐gico  cruciale  nel  quadro  dei  rapporti  in‐ternazionali.  Infatti,  nonostante  i  suoi enormi problemi economici, sociali e poli‐tici,  l’Africa  rappresenta  un’area  sia  ric‐chissima di materie prime ed energetiche sia  in  forte  crescita  demograBica  (si pre‐vede, infatti, che nel giro di pochi decenni, da  760  milioni,  la  popolazione  crescerà Bino  a circa due   miliardi di persone, che non  saranno  distribuite  ugualmente  su tutto il territorio  a causa delle vaste aree desertiche  e  inospitali,  ma  si  concentre‐ranno  nelle  oltre  quaranta  città  che  già ora contano più di un milione di abitanti).Per queste ragioni, l’Europa vorrebbe ten‐tare di rideBinire i propri rapporti politici e  soprattutto  commer‐ciali  con  il  continente africano,  dato  che,  co‐me  si  è  visto  anche durante la riunione dei paesi  africani  e  della UE a Lisbona nel 2007, l’impegno  europeo  in Africa sta,  di  fatto, via via  diminuendo,  so‐prattutto  da quando la Cina  ha  intensiBicato  la propria presenza nell’area.L’ultimo  impegno  preso  dall’Europa  nei confronti dei paesi in via  di  sviluppo per un  commercio  più  equo  erano  stati  gli Accordi di Lomè, stipulati nel 1975 e rin‐novati  nel  2000  con  la  convenzione  di Cotonou, valida Bino al 2020. Si trattava di accordi per  regolare  i  rapporti  commer‐ciali con i paesi ACP (Africa, Carabi, Paci‐Bico),  che,  tuttavia,  sono  diventati  incom‐

patibili  con  le  regole  Bissate  dal  WTO,  e che pertanto si sono completamente are‐nati. A  Lisbona,  nel 2007,  l’Europa ha ef‐fettivamente  cercato  di  rinegoziare  dei nuovi  accordi,  proponendo  l’abolizione dei  dazi  doganali  in  cambio  della  libera‐lizzazione dei mercati dei paesi  aderenti; tuttavia, non ha trovato su questo punto il consenso  dei  paesi  africani,  dato  che  la proposta  di  fatto  favoriva  soprattutto l’Europa  e  non  andava  incontro  alle  esi‐genze dell’Africa, come dichiarato dal pre‐sidente del Senegal Abdoulaye Wade, che ha riportato  l’opinione di molti  altri  lea‐der  del  continente,  soprattutto  a  fronte delle  migliori  opportunità  offerte  dalla Cina.

Quest’ultima,  infatti,  da quando  nove  anni  fa  è stato  creato  il  Forum per  la  Cooperazione Cino‐Africana  (Foac),ha accresciuto  in  modo esponenziale la propria presenza in Africa. L’in‐credibile sviluppo  cine‐se  a  partire  dagli  anni Novanta  e  nel  primo 

decennio del nuovo secolo ha infatti por‐tato  il paese ad incrementare  fortemente la corsa alle fonti energetiche e alle mate‐rie  prime  per  sostenere  la  produzione interna  e  l’esportazione;  inoltre,  il  pro‐blema  di  soddisfare  le crescenti esigenze alimentari di una popolazione di oltre un miliardo e mezzo di persone, con un terri‐torio  già  pesantemente  impoverito  dallo sfruttamento e  dall’erosione dei  suoli,  ha costituito un’ulteriore spinta per la Cina a 

cercare nuove  terre coltivabili  in  Africa  ‐ da prendere in afBitto o da comprare ‐ per produrre grano, riso e altri cereali.A differenza di quello  europeo del passa‐

to,  l’intervento  cinese  fa  però  leva  su  di una  diversa  politica  di  investimenti, usando  parte  dei  propri  ricchi  fondi  so‐vrani per sostenere lo sviluppo africano e conquistare  così  mercati  e  zone  di  in‐Bluenza politica e commerciale. Nell’ambi‐to  del  FOAC  (che  è  sostanzialmente un’emanazione  del  programma  governa‐tivo di Pechino ‐ non a caso  la Cina è rap‐presentata  nel  Forum  dai  suoi  massimi esponenti politici, dal premier cinese Wen Jiabao e dai suoi ministri.), sono stati rag‐

Da quando nove anni fa è stato creato il Forum per la Cooperazione Cino-Africana (Foac), la Cina ha accresciuto in modo esponenziale la propria

presenza in Africa

Nuovi equilibri in Africa tra Europa e Cina

ricorda  anche  che  è  il  Pakistan  l’ele‐mento  centrale  dell’intera  situazione. Qual  è  quindi  il  progetto  Usa?  Obama sosteneva in campagna elettorale che la guerra  in  Afghanistan  era  la  guerra “giusta” da contrapporre a quella  “sba‐gliata”  in  Iraq.  Il  progetto  è  quello  di fare  del  paese  una  base  solida  per  il controllo  dell’area,  e  a  questo  scopo sarebbe  necessario  inviare  altri  dieci‐mila  soldati  che  si  aggiungerebbero  ai sessantamila già presenti: ma  la paura, per  il Presidente americano, è quella di diventare il responsabile di un secondo Vietnam,  viste  le  difBicoltà  obiettive  di stanare  i  talebani  tra  centinaia  di  chi‐lometri di montagne. 

Perché allora l’Unione europea e  i suoi Stati membri  continuano  ad essere to‐talmente  passivi  rispetto  alle  decisioni americane  e  non  prendono  nessuna iniziativa?  La  ragione  è  che  la  politica estera  e  l’esercito  sono  ancora  nelle mani degli  Stati  nazionali, deboli  e  del tutto inadeguati ad assumersi qualsiasi responsabilità.  I  governi europei, quin‐di,  litigano  tra di loro  a proposito delle aree da controllare,  e si comportano  in modo incoerente, parlando di ritiro e al tempo  stesso  inviando  nuovi  soldati. Sono  sempre  gli  americani  che  impri‐mono  l’indirizzo,  e  si può  essere  o  no d’accordo  sulle  loro  scelte,  ma  quello che  è  certo  è  che,  se  gli  europei  non 

daranno  vita ad uno  Stato  federale do‐tato del potere di promuovere una poli‐tica estera  e  di  sicurezza,  riprendendo sotto questo proBilo  l’esperienza che ha portato  alla  nascita  degli  Stati  Uniti d’America, non saranno mai in grado di esprimere  una  volontà  propria  sulla scena  internazionale,  e  la  guerra  in Afghanistan  ne  è  la  dimostrazione  più evidente.

Nelson Belloni

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giunti  accordi  che  hanno  permesso  la riduzione del debito  estero  dei  trentatré paesi  più  poveri,  che  hanno  portato  al raddoppio  degli  aiuti  per  lo  sviluppo  e alla  concessione di prestiti  agevolati per oltre  dieci miliardi  di dollari;  tali  sussidi vengono  forniti  senza  alcuna condizione e garantendo  la non ingerenza nella poli‐tica  interna  dei  paesi  africani,  cosa  che comporta  implicitamente anche  il  soste‐gno ai loro governi corrotti e  antidemocratici .  In cambio  è  stato  creato  un fondo  di  sviluppo  per sovvenzionare  le  imprese cinesi  che  investono  in Africa  e  per  sostenere l’offerta  di  formazione professionale  da  parte cinese  per  i  lavoratori africani. Il  risultato  per  l’Africa  è un tasso  di crescita pari al 5,4%  (che  si  prevede  in  aumento  nei prossimi anni  Bino  a raggiungere il 7%); per la Cina, invece, si tratta di accordi che le permettono  di sostituirsi  gradualmen‐te all’Europa, deBicitaria ormai da decen‐ni  di  una  politica  di  stimolo  e  coopera‐zione  commerciale  verso  il   continente africano,  quale  nuovo  partner  interna‐zionale  più  afBidabile  e,  in  prospettiva, potente. 

La  Cina,  infatti,  offre  ai  paesi  africani  la costruzione di infrastrutture civili – stra‐de,  ferrovie,  centrali elettriche  –  e  indu‐striali.  In  questo  modo  una  pioggia  di denaro  e  investimenti,  pilotati  dai  fondi sovrani  cinesi,  sta  arrivando  soprattutto in  Angola,  Congo,  Ciad,  Guinea,  Sudan, Nigeria,  in  cambio  di  concessioni per  lo sfruttamento di miniere e l’estrazione del petrolio, dell’accesso  a strutture portuali 

ed aeroportuali,  a proprietà terriere  e  minerarie.  Inol‐tre,  la Cina vende in Africa prodotti  di  ogni  sorta  a bassissimo costo, dai gene‐ri  di  prima  necessità,  alle tecnologie  più  moderne, per  non parlare delle armi leggere  o  degli  elicotteri e degli  aerei  militari.  Anche se  a  volte  i  prodotti  com‐merciali sono di basse qua‐lità,  per  la  Cina  il  mercato 

africano,  meno  esigente  di  quello  occi‐dentale,  costituisce  un  po’  il  banco  di prova dei propri prodotti, prima che que‐sti raggiungano Europa e America.Di  fronte  al  grande  dinamismo  cinese l’Unione  europea  appare  dunque  impo‐tente e  incapace di fare una politica uni‐taria di rilancio  della cooperazione verso l’Africa.  Si  tratta,  in  prospettiva,  di  un grave  handicap,  non  solo  in  termini  di 

mancate  opportunità  economiche  e commerciali, ma  anche in termini di sta‐bilità  politica  e sicurezza  di  questa area del  mondo  così  vicina  all’Europa,  i  cui equilibri  si  ripercuotono  fortemente,  in particolare  attraverso  il  fenomeno  del‐l’immigrazione,  sui nostri  paesi.  Se  l’Eu‐ropa  si decidesse  a  compiere  il  salto  fe‐derale  e  a  dotarsi  di  una  vera  politica estera  unica,  anche  se  la  cosa  sarebbe inizialmente  possibile  solo  a  partire  da un’avanguardia  di  Stati,  potrebbe  infatti non  solo  trarne  vantaggi  nell’approvvi‐gionamento  delle materie prime  ma  an‐che dare a  sua volta  un  forte  contributo sia  per  lo  sviluppo  economico  di  questa area,  sia,  soprattutto,  per  sostenere    la democrazia e il progresso sociale e aiuta‐re effettivamente il popolo africano.

Matilde Oppizzi &Giovanna Albonico

Publius - Per un’alternativa europeaNumero 4 - Dicembre 2009

publius-unipv.blogspot.comVia Villa Glori, 8 Pavia - Tel: 3492518646 - E-mail: publius.pv@gmail.com

Direttore responsabile: Laura FilippiRedazione: Giovanna Albonico, Nelson Belloni, Federico Butti, Martina Cattaneo, Laura Filippi, Gianmaria Giannini, Luca Lionello, Gabriele Mascherpa, Laura Massocchi, Davide Negri, Matilde Oppizzi, Carlo Maria Palermo, Giulia Spiaggi.Stampato presso: Tipografia P.I.M.E Editrice S.r.l

Puoi trovare Publius, oltre ai vari angoli dell’Università, anche presso: bar interno facoltà di Ingegneria, bar facoltà di Economia, mensa Cravino, sala studio San Tommaso, bacheca A.C.E.R.S.A.T cortile delle statue.

Periodico trimestrale degli studenti dell’Università di Pavia. Informazioni, riflessioni e commenti sull’Europa di oggi e di domani.Registrazione n. 705 del Registro della Stampa Periodica - Autorizzazione del tribu-nale di Pavia del 19 Maggio 2009

Iniziativa realizzata con il contributo della Commissione A.C.E.R.S.A.T dell’Univer-sità di Pavia nell’ambito del programma per la promozione delle attività culturali e ricreative degli studenti.Distribuito con licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic

Di fronte al gran-de dinamismo cinese

l’Unione europea appare impotente e incapace di fare una politica unitaria di rilancio della coope-razione verso l’Africa

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