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Modulo 2 - Psicologia sociale
LA VITA QUOTIDIANA DEI PREADOLESCENTI
Patrizia Selleri
Indice
1. Introduzione (Scheda 1 - I nuovi adolescenti)
2. La vita quotidiana - Indicatori (Scheda 2 - Gli amici)
3. La vita quotidiana come rappresentazione (Scheda 3 - Gli arrabbiati)
4. Lo sviluppo morale (Scheda 4 - L'impegno morale)
5. La reputazione (Scheda 5 - Gli adulti di riferimento)
Guida per la lettura
Nel testo troverete i seguenti avvertimenti:
Attenzione! Indica un punto importante su cui riflettere
Collegamento Indica un collegamento ipertestuale
Indica un riferimento ad opere letterarie o una citazione
Indica una scheda che contiene esempi sull’argomento trattato
Suggerisce un film da vedere
2
1. Introduzione
Quanti di voi conoscono Pikachu? Quanti conoscono le regole del gioco
Pokèmon?
Chi conosce la differenza fra la versione gialla, blu, rossa e gold del gioco
Pokèmon per Game Boy?
Chi è in grado di giocare alle battaglie di Age of Empire?
(Cercate le soluzioni nei negozi specializzati!).
A partire da queste poche domande si potrebbe costruire una specie di "test per
adulti", tanto per mettere alla prova le vostre conoscenze su giochi, divertimenti,
passatempi dei ragazzini che incontriamo nelle scuole, sugli autobus in casa nostra
ed in quelle dei nostri amici.
Di cosa è fatta la vita quotidiana del preadolescente? Chi incontra? Cosa fa? Di
cosa parla?
L'ingresso nelle scuole medie inferiori è per molti ragazzini un momento di forte
emancipazione, che coincide con la conquista di una maggiore autonomia; il solo
fatto di compiere da soli il tragitto casa-scuola li porta a trascorrere molto più
tempo lontani dall'occhio discreto, ma vigile, dei genitori; consente loro di
condividere con gli amici ed i compagni esperienze ed argomenti lontani dal
mondo degli adulti.
In questo momento delicato l'egocentrismo degli adulti è sotto gli occhi di tutti;
essi ritengono che gli interessi dei ragazzi appartengano ancora all'età dei giochi e
liquidano tutta la questione con frasi del tipo "..Io non ne capisco nulla", "..Tutte
sciocchezze bevute dalla televisione", "..Noi eravamo diversi, figurine dei
calciatori e basta". Poi, per tacitare i figli, comprano loro le costosissime bustine
dei Pokèmon, fanno la fila per aggiudicarsi il video-gioco più ambito, corrono a
vedere l'ultimo film che incassa milioni ai botteghini, a volte senza alcun merito.
Ma anche chi non si riconosce in questo realistico ritratto non ha vita facile;
sempre a dover discutere con i figli invocando ragioni "adulte", come evitare gli
sprechi, difendersi dalla pubblicità, ricordare che ci sono bambini meno fortunati e
via dicendo, per poi scoprire un giorno che i figli collezionano le figurine scartate
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dai compagni "più fortunati", quelli che hanno famiglie "come si deve", che
accontentano i figli senza farla troppo lunga su ogni cosa.
Il preadolescente trova ancora in famiglia i proprio interlocutori privilegiati e
quindi non è possibile parlare della loro vita quotidiana senza riflettere un
momento sulle famiglie dei nostri dodicenni, tredicenni, quattordicenni; si tratta
di famiglie giovani o per ragioni anagrafiche ( genitori quarantenni) o per ragioni
sociali (il primo figlio avuto in età avanzata; figli di unioni che seguono
matrimoni consumati e finiti); spesso sono famiglie con un solo figlio, che
difficilmente possono contare sull'aiuto dei nonni. Ovviamente descrivere le
tipologie familiari è un'impresa ardua, ma soprattutto esiste un margine di
incompletezza difficilmente eliminabile; fortunatamente ci vengono in aiuto i
lavori della sociologia classica, poiché prima di tentare la descrizione di un nucleo
familiare occorre conoscere la classe sociale, il titolo di studio dei genitori,
l'occupazione, la collocazione geografica in cui la famiglia vive ed agisce; ogni
ragazzino che incontriamo ha alle spalle una realtà assolutamente sfaccettata, con
aspetti positivi e negativi spesso non in equilibrio fra loro e questo crea molti
problemi interpretativi all'osservatore.
Attenzione!
Poiché lo scopo di questo modulo è l'osservazione, l'analisi e l'interpretazione
della vita quotidiana del preadolescente, inteso genericamente come "oggetto di
studio", nelle pagine seguenti saranno sistematicamente messi in luce alcuni
indicatori, tratti proprio dalla vita e dalle attività di tutti i giorni, attraverso i quali
sia possibile tentare un approfondimento dell'esperienza familiare ed extra-
familiare dei diversi ragazzini che incontriamo nella nostra attività professionale
di educatori.
Attenzione!
Allo stesso modo, per facilitare la riflessione del lettore, occorre ricordare che
molti sono i temi che interessano da vicino i preadolescenti e che potremmo
definire "macro-indicatori":
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- I RAPPORTI CON LA FAMIGLIA: madre, padre, fratelli, autonomia,
dipendenza, privacy, cioè avere una stanza solo per sé ed altro ancora;
- L'ASPETTO FISICO: subisce profonde trasformazioni legate al fenomeno
della pubertà , nel corso della quale si assiste ad una maggiore crescita di altezza
e di peso ed alla netta differenziazione tra il maschio e la femmina, dovuta al
processo di maturazione sessuale. Lentamente il corpo assume le caratteristiche
biologiche dell'uomo e della donna adulti, consentendo l'attività sessuale e la
procreazione. Il fatto è che questo sviluppo macroscopico non avviene sempre in
maniera armonica. Per esempio nei ragazzi sono le mani ed i piedi ad avere per
primi l'aspetto adulto, così come per le ragazze la crescita del seno può avvenire
molto precocemente rispetto ad altre parti del corpo. Queste novità hanno un
influsso diretto sulla sfera psicologica dei ragazzi in questa età, perchè non sono
direttamente controllabili dai soggetti, per i quali il disagio dovuto alla fase di
transizione viene espresso in varie forme, sollecitato anche dal risveglio
dell'interesse sessuale, in modo da far convergere sul tema dell'aspetto fisico
gran parte delle discussioni quotidiane.
- L'ESPERIENZA DI CONTINUITA'/ DISCONTINUITA': si accentuano in
questo periodo anche gli elementi di contraddittorietà, particolarmente in ambito
familiare e scolastico, dove insegnanti e genitori a loro volta faticano a
considerare coerentemente i cambiamenti in atto nei ragazzi, trattandoli a volte
da adulti, per quanto riguarda lo studio e la responsabilità individuale ed al
contrario da bambini quando sono i giovani a fare richieste di maggiore
autonomia. In fondo i grandi cambiamenti non coinvolgono mai una singola
persona e così il periodo preadolescenziale può essere considerato anche come il
momento in cui reciprocamente si ridefiniscono i compiti ed i ruoli nei rapporti
con adulti e con i coetanei.
- GLI AMICI, I COMPAGNI E GLI ADULTI DI RIFRIMENTO: aumenta
l'interesse per i "pari" (stessa età, stesso ruolo) e per gli adulti che non
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appartengono né al mondo familiare né a quello scolastico; i preadolescenti, in
modo più o meno consapevole, cercano un punto di vista sul mondo e su loro
stessi che sia "alternativo" a quello da loro già conosciuto; non si muovono con
categorie "bene o male" ma con una profonda curiosità sia nei confronti dei
soggetti a loro "più simili" sia nei confronti dei "più dissimili"; cercano conferme
da estranei, mettono alla prova il sistema di riferimento veicolato dalla famigli a e
dalla scuola.
La traccia che guida la realizzazione del modulo consiste proprio in questa ricerca
di "indizi", come in un racconto poliziesco o in un romanzo del genere giallo, solo
che, anticipiamo, non ci saranno vittime e colpevoli, ma solo la costruzione di una
metaforica "tela di ragno" che ci permetta di raccogliere il maggior numero di
informazioni osservando il comportamento quotidiano di un qualsiasi ragazzino;
d'altro canto il buon investigatore non giunge mai a conclusioni affrettate e chi lo
fa…non finisce mai nei racconti di questo tipo!
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SCHEDA N. 1
I nuovi adolescenti
Un volume di recente pubblicazione si intitola "I nuovi adolescenti" e ne è autore
Gustavo Pietropolli Charmet, docente di Psicologia Dinamica con una decennale
esperienza di lavoro con preadolesacenti ed adolescenti (una recensione del
volume, firmata da Luciana Sica, è apparsa nella pagina di Cultura del quotidiano
"La repubblica" in data 20 ottobre 2000). Pur avendo come riferimento i costrutti
della psicologia clinica, il testo pone l'accento anche sui cambiamenti di natura
psico-sociale che caratterizzano la vita quotidiana di giovani e giovanissimi; ne
riportiamo alcuni:
La separazione
"…La separazione adolescenziale è certamente più un vissuto dai genitori
che una realtà psichica dei figli. Non c’è vera separazione, quanto la fatica di
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una continua ricontrattazione del potere che dura nel tempo ed i cui esiti
appaiono incerti al ragazzino; le figure genitoriali vengono “messe da parte”
perché in vari modi intralciano il percorso verso l’emancipazione. Le due
generazioni si fronteggiano anche in modo ostile alla ricerca di una
soluzione che riesca a conciliare le funzioni educative dei genitori con il
bisogno di indipendenza dei figli…". (Pietropolli Charmet G., 2000; pag.86)
Oggetti vecchi
"…Il preadolescente avverte una forte spinta motivazionale a dotarsi di nuovi
strumenti di lavoro mentale che gli consentano di realizzare i nuovi compiti
evolutivi ( strumenti di locomozione veloci, attrezzi sportivi, macchine per
riprodurre la musica, le immagini, i capi di abbigliamento speciali eccetera).
(…) Tutto ciò che piaceva ora deve essere rigettato, rifiutato senza fatica,
senza ribrezzo o odio, con indifferenza, con una solenne alzata di spalle.
A cominciare dal linguaggio della propria infanzia, il dolce dialetto
domestico, la lingua insegnata dalla madre, l'idioma copiato dal padre
devono lasciare posto al nuovo linguaggio generazionale elaborato insieme ai
coetanei in vista di costruire un esperanto da tutti comprensibile…" (ibidem,
pag.87-88)
Speranza
"…Poiché ho conosciuto troppi ragazzi disperati e alcuni che avevano invece
delle "speranze", ne ho ricavatola convinzione che la morte della speranza in
adolescenza sia un evento intollerabile. (… ) gli adulti almeno questo devono
imparare a farlo: aiutare gli adolescenti a tenere in vita la speranza che esista
un tempo futuro in cui si realizzerà la promessa di desiderio. A questa
condizione i ragazzi accettano qualsiasi sacrificio ed anche qualche sopruso,
ma se non si è in grado di presidiare la speranza allora è meglio tirarsi in
disparte, poiché un adulto disperato è un killer di adolescenti." (ibidem, pag.
163)
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NOTA: i brani sono tratti da Pietropolli Charmet G. (2000) I nuovi adolescenti.
Milano, Cortina.
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……….Approfondimenti bibliografici
Può essere utile al lettore procurarsi un dizionario di psicologia, nel quale
rileggere alcuni concetti che per ovvie ragioni di spazio non possono essere
approfonditi nel modulo. A titolo di esempio consigliamo:
Bonino S. (1994) Dizionario di psicologia dello sviluppo, Torino, Einaudi.
In questo dizionario la voce Preadolescenza si trova a pag. 545.
Manuali di impostazione generale
Emiliani F., Zani B. (1998) Elementi di Psicologia sociale, Bologna, Il Mulino
Camaioni L. (1993) Manuale di psicologia dello sviluppo. Bologna, Il Mulino.
Da rivedere:
Stand By me - Ricordo di un'estate
di Rob Reiner, USA, 1986.
Ascoltate i dialoghi con attenzione e riflettete: "…Se Pluto è un cane e
Topolino è un topo, allora Pippo?.."
Da leggere o rileggere
Doyle R. (1993) Paddy Clarke ah! Ah! Ah!. London, Secker and Warburg.
Tradotto in Italia nel 1994, è la storia di un ragazzino irlandese, negli anni dalle scuole
elementari alle medie.
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2. La vita quotidiana - Indicatori
Come si svolge la giornata di un ragazzino di 11 anni?
Sveglia alle ore 7,00, colazione e poi attorno alle 7,30 si esce per raggiungere la
scuola. Campanella alle ore 8,10 poi cinque ore di lezione ed alle 13,10
finalmente si esce e si torna a casa, dove si arriva circa alle 13,40. Pranzo
abbondante (i ragazzini sono sempre affamati come lupi!), un po' di gioco ed alle
ore 15,00 si comincia con i compiti e si continua almeno fino alle 17,oo, ora di
merenda e di televisione. Poi, attorno alle 18,00 un supplemento di studio per
smettere definitivamente alle 19,00; un po' di svago, la cena in famiglia, un
programma di prima serata in televisione ed alle 22,30 al massimo si va a dormire.
Giornata "tipo" di un ragazzino "tipo". Ma quante ne conoscete di questo "tipo"?
Pochini, e vediamo perché.
Cominciamo ad individuare delle differenziazioni solo utilizzando i quattro macro
indicatori del capitolo 1.macro-indicatori
- RAPPORTI CON LA FAMIGLIA
Una giornata come quella descritta presuppone in primo luogo che, nei momenti
trascorsi a casa, il ragazzino non sia mai da solo; qualcuno che solleciti la
colazione, che faccia un po' fretta nei preparativi che precedono l'uscita di casa;
qualcuno che abbia preparato un pasto caldo, che scandisca i ritmi pomeridiani e
serali. Un genitore, un nonno, una dada, un fratello maggiore, comunque qualcuno
che sia una costante presenza in casa. Partendo solo da questo punto di vista i
ragazzini hanno esperienze diverse; molti non trovano nessuno in casa al rientro
da scuola e quindi la gestione del tempo pomeridiano è lasciata alla loro "buona
volontà", altri si devono alzare molto prima, perché i genitori li accompagnano a
scuola mentre vanno al lavoro e quindi devono poi aspettare da soli, sonnecchiosi
ed annoiati.
Stessa questione sul programma di prima serata in televisione; mandare a letto i
ragazzi non è mai facile, così come non lo è decidere con loro cosa guardare;
prendete un gruppo di ragazzini di prima media, chiedete cosa guardano in
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televisione e rimarrete meravigliati, perché si coglie come siano effettivamente
poche le famiglie che riescono ad operare un filtro che stabilisca una relazione
positiva fra gli spettacoli televisivi e l'età dei figli, senza pensare alla pessima
abitudine di mettere un televisore in camera dei ragazzi.
- ASPETTO FISICO
Spesso, più che un vestirsi, si tratta di una "vestizione" e non ci sono poi tante
differenze fra maschi e femmine. La felpa "giusta", i pantaloni come quelli del
cantante del momento, le scarpe di un unico tipo, estate e inverno, i capelli
scolpiti col gel; a vederli, al mattino, sembrano usciti dai fumetti piuttosto che dai
loro letti su cui vegliano pupazzi e manifesti di attori e calciatori. Ci sono
ragazzine che vanno a scuola vestite, o meglio svestite "da discoteca" ed altre che
non lo fanno; di nuovo, per negoziare sull'abbigliamento e trovare un giusto
compromesso fra un vestito alla moda ed il rispetto per i luoghi in cui ci si reca, è
necessario che un adulto (non necessariamente la madre, per carità!) abbia il
tempo, la voglia e le risorse per affrontare estenuanti discussioni fin dalle prime
ore del mattino.
- CONTINUITA' / DISCONTINUITA'
Riesaminiamo il pomeriggio dei ragazzini che si trovano da soli a dover fare i
compiti; quando i genitori ritornano e si accorgono che non tutto è stato fatto con
attenzione e precisione, possono fare due cose: lasciar perdere oppure richiamare i
figli al senso del dovere e di responsabilità, dicendo che ormai "sono grandi",
devono sapersi organizzare e via di questo passo. Al ragazzino giunge però un
messaggio contraddittorio: è grande perché può stare in casa da solo e si deve
organizzare, ma è piccolo perché non può decidere completamente del suo
pomeriggio e guai se si sognasse di andarsene ai giardini a giocare!
- AMICI, COMPAGNI E ADULTI DI RIFERIMENTO
Chiedete:- Perché ti piace andare a scuola?- e vi sentirete rispondere più spesso di
quanto non vi aspettiate - Perché ci sono i compagni!-
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Naturalmente il discorso da fare coinvolge ancora una volta gli adulti; invitare a
casa gli amici dei figli è anche un modo indiretto per conoscerli e per evitare che
se ne vadano tutti in giro senza meta per la città. Solo che.. bisogna esserci! Molti
dei ragazzini che trascorrono da soli il pomeriggio a casa hanno la proibizione di
invitare qualcuno, proprio perché non ci sono adulti nelle immediate vicinanze;
anche questo è un messaggio contraddittorio: mi fido di te solo se sei solo, ma non
mi fido se sei in compagnia. E il ragazzino, come deve intendere tutto questo?
I casi sono due: o non ci si può fidare dei suoi amici, implicitamente mettendo in
discussione le sue scelte, oppure è lui ad essere ritenuto un "debole", che si fa
trascinare dagli altri, e quindi ad essere implicitamente messo in discussione.
Poi il divieto dei genitori è fatto in buona fede, per prevenire i guai, ma sarebbe
bene pensare ogni tanto mettendosi… nei panni "del più giovane!"
E fin qui abbiamo descritto situazioni che comunque hanno in comune una certa
dose di "controllo" da parte degli adulti sulla vita quotidiana dei figli.
Naturalmente le cose possono andare anche peggio.
Attenzione!
Il problema del disagio ha origine proprio in queste differenze; trattandosi di
ragazzini ancora molto giovani riteniamo utile, coerentemente con la nostra
prospettiva, definire il termine "disagio" in termini di "difficoltà nel fare le cose" e
nel "tenere il comportamento adeguato alle situazioni". A undici, dodici tredici
anni il "comportamento antisociale" o il "disadattamento" sono fortunatamente dei
fantasmi ancora all'orizzonte ed almeno per due ragioni: la prima è che i margini
di intervento per ridurre il disagio sono ancora molto ampi; la seconda è che il
medesimo comportamento (per esempio danneggiare l'edificio scolastico con
graffiti ed altro) messo in atto da un ragazzo più grande è una sfida aperta e
radicata nei confronti di un mondo che lui rifiuta o che lo ha rifiutato, mentre
messo in atto da un preadolescente può essere molte più cose, dall'imitazione di
comportamenti adulti, al mettere alla prova le proprie capacità di "farla franca".
Se non teniamo sempre presente che in questo caso "l'età fa la differenza"
possiamo correre il rischio di utilizzare definizioni e spiegazioni del
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comportamento molto pregiudizievoli, che falsamente ci facilitano il compito di
trovare un rapporto di causa-effetto, poiché in realtà riducono le nostre capacità di
esprimere giudizi obiettivi dopo aver fatto un'analisi accurata dell'accaduto.1
========
Dopo questa necessaria precisazione, riprendiamo l'analisi delle macro differenze
che rendono molto dissimile l'esperienza quotidiana dei preadolescenti.
Prendiamo la giornata dei ragazzini che non abitano vicino alla scuola e quindi
sono costretti a viaggiare per molto tempo sui mezzi pubblici; se in città si tratta al
massimo di quaranta minuti d'autobus, nelle località più periferiche si devono
aspettare le "corriere", che hanno orari più distanziati.
Certamente il fenomeno del pendolarismo interessa di più i ragazzi della scuola
superiore, però anche per i più piccolo non è tanto facile. Significa alzarsi prima al
mattino, tornare a casa dopo le 14,30, avere meno facilità di movimento e quindi
ridurre le occasioni per tornare in città, anche solo per andare a giocare a casa di
un amico. E dove vanno i ragazzini nei tempi morti? Gironzolano, entrano dei
fast-food e nelle sale-gioco (che stranamente abbondano attorno alle scuole ed
attorno alle stazioni delle corriere), non possono essere sicuri dell'ora in cui
rientreranno a casa ( uno sciopero, un incidente, lavori stradali); in altre parole si
allenta quel minimo di controllo che i genitori possono fare.
Chi incontrano? Chi vedono ? E poi aumenta la stanchezza, si riduce il tempo per
studiare. Intendiamoci bene: non vogliamo dire che questi ragazzini siano "più a
rischio" di altri, ma solo che i loro ritmi quotidiani sono diversi; chissà se in
famiglia ed a scuola si tiene conto di questo, se qualcuno ha mai cercato di
quantificare lo sforzo superiore a cui sono sottoposti!
1 Sarebbe utile approfondire qui il tema dell'attribuzione causale; si veda a questo proposito il cap. 4 del Modulo 1 "I preadolescenti come oggetto di studio della psicologia sociale" di Patrizia Selleri. Una trattazione esauriente del tema si trova in: Amerio P. (1995) Fondamenti teorici di psicologia sociale. Bologna, Il Mulino, cap.VI.
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Attenzione!
Un indicatore dell'esperienza quotidiana potrebbe derivare proprio dalla
ricostruzione di questi spazi "grigi" nelle giornate dei ragazzini; cioè soffermare
l'attenzione su tempi morti, per cercare se c'è coerenza nei comportamenti, se c'è
autocontrollo, esercizio della responsabilità e rispetto delle regole.
========
Passate le ore della scuola, vediamo cosa accade poi nel pomeriggio.
Per esempio, il vecchio " vicinato" non esiste più; soprattutto nei grandi centri
"suonare dai vicini" è diventato quasi una maleducazione, un'invasione nella sfera
privata altrui e questo significa che i ragazzini sono sempre più soli, nel senso che
viene loro chiesto di essere il più possibile autosufficienti; sanno che se succede
qualcosa devono chiamare i genitori, magari sul cellulare, ma è raro che pensino a
chi abita sul pianerottolo o al piano di sotto.
Attenzione!
Un indicatore del contesto familiare può essere dato anche dalle relazioni che la
famiglia intrattiene con vicini, conoscenti ed amici; mantenere una ricca rete di
relazioni sociali richiede infatti interesse e disponibilità nei confronti degli altri e
quindi può essere utile analizzare con molta delicatezza anche questo aspetto
molto importante per capite le caratteristiche di un nucleo familiare.
Non si può studiare l'individuo senza studiare anche il contesto in cui vive!
========
Un'alternativa alla solitudine pomeridiana è offerta dai Centri giovanili.
Si tratta di iniziative molto diverse fra loro, nate per offrire un contesto di crescita
protetto a giovani e giovanissimi; in alcuni centri è possibile essere seguiti nei
compiti ed inoltre vengono offerte varie attività espressive o sportive, sempre in
un contesto che privilegia la sicurezza nelle relazioni fra i compagni e nel quale,
se richiesto, i giovani utenti possono avere consigli informali su come comportarsi
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nel mondo adulto. La storia dei centri giovanili varia ovviamente da città e città; i
centri si devono a gruppi di volontariato, a cooperative teatrali, ad associazioni
sportive, ad enti di beneficenza ed alle stesse amministrazioni locali, che hanno
visto in questi servizi un'opportunità per un'azione di prevenzione, sostegno e
recupero nell'ambito del disagio giovanile.
Le ricerche condotte negli Stati Uniti su questo genere di servizi per i giovani
hanno mostrato come, nei centri che hanno avuto successo negli anni e che sono
stati effettivamente un'alternativa alla solitudine per molti ragazzi, la finalità del
servizio fosse improntata al "prendersi cura degli utenti", garantendo la loro
"sopravvivenza fisica e sociale" e nel contesto statunitense questo significa
concretamente difenderli dai pericoli delle strade (che non sono certo le
automobili!) e più spesso dai mille pericoli che questi ragazzi possono incontrare
in famiglia; i centri che sono riusciti a realizzare il loro progetto educativo sono
quelli che offrono un luogo sicuro in cui rifugiarsi, dove poter lasciare fuori i
problemi mentre si cerca di dare ai ragazzi un'identità sociale come membri di un
gruppo organizzato che si occupa dei propri membri.2 Gli operatori di questi
servizi offrono protezione, si fanno carico delle diverse storie personali , sono uno
scoglio a cui aggrapparsi per non affogare e quindi realizzano i loro obiettivi.
Certamente il contesto in cui operano i centri giovanili delle nostre città è molto
diverso da quello statunitense, ma nuovamente sono possibili due considerazioni:
la prima è che l'impostazione vincente non è legata ad una teoria sullo sviluppo,
sulla prevenzione o sulla devianza, oppure all'applicazione di metodi particolari,
quanto piuttosto alla capacità degli operatori di costruire un contesto accogliente
ed empatico, centrato sui bisogni degli altri e non sugli scopi dell'istituzione; in
2 Damon W. ( 1996) Nature, seconde nature, and development. In: Jessor R., Colby A., Shweder R Ethnography and human development. Context and Meaning in Social Inquiry. Chicago, The University of Chicago Press. Inoltre sarebbe utile approfondire il tema dei gruppi; si veda a questo proposito il cap. 7 del Modulo 1 "I preadolescenti come oggetto di studio della psicologia sociale" di Patrizia Selleri. Più nello specifico: Palmonari A., Speltini G. (1998) Psicologia dei gruppi. Bologna, Il Mulino.
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secondo luogo il progetto che porta ad avere un identità di gruppo viene portato
avanti individuando attività che possono mettere "in buona luce" tutto il gruppo
(teatro, musica, basket) e questo richiama l'idea di "meta sovraordinata" da
raggiungere, di scopo comune, sempre comunque di un'attività in cui "vale la
pena" di contribuire attivamente.
Attenzione!
Rispetto ai ragazzini di cui ci occuperemo professionalmente, un indicatore di
natura extra-familiare potrebbe essere dato dal modo in cui gli operatori del
centro giovanile eventualmente frequentato raccontano gli scopi e le motivazioni
del loro lavoro, da come mostrino un atteggiamento empatico e diponibile nei
confronti dei ragazzi. Nessuna paura, non occorre conoscere particolari tecniche di
intervista, basta saper ascoltare con attenzione le parole usate, la descrizione dei
ragazzi, i fatti quotidiani e quelli imprevisti, il racconto delle relazioni fra
operatori, la storia del servizio.
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E poi, quando sono con gli amici, per la strada, sull'autobus i ragazzi parlano,
parlano, parlano…..
E' di fondamentale importanza ascoltare i discorsi dei ragazzi, poiché essi, in
quanto attori sociali, mantengono, cambiano e reinterpretano la società in cui
vivono attraverso il linguaggio, inteso come una pratica sociale abituale e
culturalmente organizzata. In questo senso il linguaggio diventa lo strumento più
importante per dare senso a ciò che accade, poiché esso è una forma di azione
sociale, non un sistema rappresentazionale (oggetto-segno-simbolo) ma un
insieme di pratiche che sono organizzate attraverso la costruzione delle frasi e la
loro codifica, processo che non può avere luogo senza interlocutori adeguati.
Talmente adeguati che da sempre il passaggio da una generazione alla successiva
è stato sottolineato da forme linguistiche nuove, sconosciute e per questo molto
criticate dagli anziani. Non dobbiamo dimenticare che il linguaggio, o meglio la
comunicazione verbale (e non verbale), non è lo specchio del pensiero, ma ne
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rappresenta una caratteristica fondamentale, nel senso che attraverso l'uso
intenzionale della comunicazione con gli altri si trova la ragione non solo per
pensare all'oggetto del discorso, ma anche per trovare il modo di renderlo
accessibile e condivisibile. 3
Per molti autori lo sviluppo del linguaggio e le forme comunicative sono parte
integrante di un modello di socializzazione che offre molti vantaggi a chi fosse
interessato ad approfondirlo, poiché si tratta di un processo sociale ricostruibile
anche partendo dall'analisi delle forme di discorso quotidiano, di cui i ragazzini
sono parte attiva.
Attenzione!
Inoltre il linguaggio in uso, "messo in pratica", è un indicatore importante per
cogliere molti elementi utili alla comprensione del contesto in cui vive un
ragazzino: la resistenza, l'accettazione e la ricostruzione delle norme sociali, gli
interessi del momento, i legami di amicizia, la definizione di sé e il ruolo assunto.
=======
Il contesto sociale in cui viviamo è quindi una sorta di "eredità" a cui non
possiamo rinunciare: cerchiamo di ricordarlo quando ci troviamo di fronte ad un
ragazzino un po' in difficoltà e chiediamoci quale sia la sua eredità e soprattutto
fino a che punto ne sia consapevole.
3 Rogoff, B. (1990) Apprenticeship in Thinking. New york; Oxford University Press
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SCHEDA N. 2
Gli amici
Che per i giovani preadolescenti gli amici siano importanti è sicuramente un fatto
innegabile; ma come operatori sociali dobbiamo imparare a non considerare "la
norma" ciò che accade "più frequentemente", appunto per non correre il rischio di
vedere nei comportamenti inconsueti solo indicatori di difficoltà e disagio.
Si è diversi anche nel modo in cui ognuno di noi realizza la propria rete sociale:
"…Il gruppo degli amici in adolescenza viene perciò spesso definito il "gruppo
dei pari età" poiché in effetti desume le proprie funzioni e individua i propri
obiettivi e la percezione del proprio mandato, e conseguentemente del proprio
valore, proprio dall'avere esattamente quell'età. Il gruppo rende quell'età un
evento straordinario poiché la impreziosisce delimitando i confini nei confronti
dei più grandi, individuando per tutti i membri del gruppo i consumi ai quali si
ha il diritto e, per certi versi, il dovere di avere accesso, indirizzando verso la
fruizione di musiche e abitudini alimentari pertinenti a quella specifica età,
consentendo di definire come trasgressive precipitose fughe in consumi che
appartengono alle età più avanzate e di guardare con disprezzo alla foga con
cui i più piccoli si avventano sulle consuetudini che appartengono invece all'età
media del gruppo, che è l'età giusta per avere l'acceso a quei comportamenti.
(…) Genitori e insegnati spesso si chiedono se la carenza di relazioni con i
coetanei e l'assenza di una appartenenza ad una e vera compagnia di pari età
possa rappresentare un sintomo di disagio o, alla lunga, favorire l'insorgenza di
un disagio specifico a causa della mancanza di esperienze emotive e sociali
quali quelle messe a disposizione dall'appartenenza di gruppo. L'ipotesi è che la
carenza di apprendimenti emotivi derivanti dalla pratica di socialità di gruppo
possa impedire lo sviluppo di competenze sociali e rallentare il perseguimento
degli obiettivi evolutivi. Nel corso degli anni ho maturato l'impressione che la
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funzione del gruppo nel contesto attuale di socializzazione sia cruciale per
realizzare il percorso evolutivo, ma che l'importanza acquisita dal gruppo nel
corso degli ultimi decenni sia esagerata e in tutti i casi e in tutti i casi comporti
notevoli rischi. (…) Se l'obiettivo è di arrivare sani e salvi ad una delle varie
uscite del labirinto della crescita, allora diviene difficile confrontare i rischi di
un viaggio solitario con quelli che promuove ed innesca una forte dipendenza
da un gruppo coeso e che fa delle devozioni ai propri valori una regola alla
quale debbano sottomettersi tutti i suoi membri. (…) Una delle novità forse più
interessanti rispetto alle caratteristiche della socializzazione delle generazioni
precedenti, è quanto durante l'infanzia sia estesa la rete delle relazioni sociali
dei bambini. Ciò fa si che il gruppo adolescenziale sia generalmente costituito
da ex compagni di gioco, ex compagni di scuola, ex compagni di squadra
sportiva già frequentati e intercettati nel corso delle esperienze infantili.
Costoro vengono nominati, a seguito dello slancio prorompente verso la
sottoscrizione di vincoli che caratterizza la prima fase dell'adolescenza, amici.
NOTA: brano tratto da Pietropolli Charmet G., op. cit, pag. 234
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Da leggere o rileggere
Enrico Brizzi Jack Frusciante è uscito dal gruppo
Da cui è stato tratto il film omonimo di Enza Negroni, 1996
(da vedere: la vita quotidiana di un ragazzino negli anni '90)
Da rivedere:
I quattrocento colpi ( Les 400 coups)
di François Truffaut, Francia, 1959
La vita quotidiana di un ragazzino che oggi avrebbe 50 anni!
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3. La vita quotidiana come rappresentazione
Cosa intendiamo quando parliamo di disagio nei preadolescenti?
Dal nostro punto di vista di psicologi ci interroghiamo sulle possibili cause di
problemi sociali, come i fallimenti educativi o i comportamenti antisociali.;
problemi di questo tipo sono così difficili da comprendere perché sono
profondamente radicati nei molteplici starti delle esperienze personali e sociali.
D'altro canto le discipline scientifiche non riescono a spiegare tutto; ognuna di
esse ha i propri "angoli ciechi". Per esempio LeVine (1990)4, dalla sua prospettiva
antropologica, evidenzia tre limiti della psicologia dello sviluppo:
- avere il contesto della classe media come parametro di riferimento, nel senso
di ritenere implicitamente che genitori, scuole e sistema socio-culturale della
middle-class offrano le condizioni migliori per lo sviluppo; il limite di questo
orientamento è una riduzione delle possibilità di comprendere le diverse le
diverse popolazioni giovanili, perché si è portati a fare confronti prima di
conoscere;
- presupporre aspetti endogeni dello sviluppo, cioè l'idea che ci siano tremi
universali in ogni cultura, con la medesima importanza e questo porta a
considerare con meno attenzione i percorsi individuali;
- credere nel rigore metodologico, perché garantisce l'oggettività ed offre
strumenti per misure ripetute, come i test, ma in questo modo non si cattura il
"senso della vita della vita" delle diverse comunità, poiché l'esperienza
culturale è difficilmente ripetibile nel tempo e quindi non può essere oggetto
di uno studio sperimentale.
A questi assunti se ne potrebbe aggiungere uno ulteriore: le variazioni nei contesti
sociali dovrebbero essere intese come fattori di sviluppo, poichè hanno
un'influenza diretta sulla formazione della mente, sul comportamento e sulle
emozioni, piuttosto che come un'intrinseca parte di ogni processo psicologico, sia
4 Le Vine R.A. (1990) Enculturation: a Biosocial Perspective on the Development of Self. In D. Cicchetti, M. Beegly (Eds.) The Self in Transition.Infancy to Childhood. Chicago: University of Chicago Press.
19
esso individuale o di gruppo, una sorta di variabile assegnata e non misurabile,
poiché in questo secondo caso si rinuncia a capire la vera natura del pensiero, del
linguaggio, della comunicazione, dell'interazione sociale e dei cambiamenti
evolutivi. Come il pensiero e l'azione, la comunicazione sociale e l'interazione
sono prodotte nei contesti sociali; l'influenza del sociale è parte della mente e del
comportamento fin dall'inizio; non può essere trattato come fattore ed isolato.
Occorre quindi integrare l'approccio della psicologia sperimentale con i risultati
degli studi etnografici, che ci offrono vividi ritratti di singoli casi o di situazioni
concrete da cui si coglie l'autenticità ed il significato che l'esperienza ha avuto per
gli individui.
Attenzione!
In altre parole cosa e come la gente impara nel contesto sociale che li circonda?
E' impossibile capirlo senza entrare nel merito di cambiamenti prodotti da
apprendimento e sviluppo, che comprendono anche la comprensione degli
indicatori cruciali per studiare come la cultura viene trasmessa o trasformata da
una generazione all'altra; e quindi ritorna l'importanza di studiare anche il contesto
familiare e quello delle istituzioni in cui , anno dopo anno, i ragazzini entrano a
far parte, prima fra tutti la scuola.
========
I recenti lavori sulla psicologia dello sviluppo concordano sul fatto che i bambini
vengono al mondo dotati di molte predisposizioni naturali, soprattutto verso gli
altri, di cui un esempio è l'empatia, che insieme alla simpatia rappresentano
esperienze sociali alla base della formazione degli obiettivi altruistici nel
bambino, esattamente ciò che Wilson (1993)5 chiama "il senso morale endemico
nella nostra specie".
Gli eventi della vita, anche i peggiori, possono spingere i soggetti a riflettere ed a
cambiare, ma non indicano da soli la direzione del cambiamento. Il
comportamento di ogni individuo è legato alla sua storia; l'assenza di prospettive
per il futuro spinge alla noia e all'annullamento di se stessi.
5 Wilson J.Q. (1993) The moral sense. New York: Free Press (Tr. it. J.Q. Wilson Il senso morale, Milano Edizioni di Comunità )
20
L'assunto di una scarsa intelligenza e di una spinta patologica come origine delle
cause che spingono verso la criminalità è limitato e liquida il problema in modo
semplicistico; più difficile è affrontare il problema del disagio come risultato di
scarse capacità di adattamento dei giovani, ricostruendo nella loro storia la
direzione che hanno preso nei momenti cruciali, le ragioni delle loro scelte, il
modo in cui hanno fatto fronte ai turning-point del loro sviluppo.
In altri termini per affrontare il tema del disagio occorre ricostruire i significati
che gli individui attribuiscono agli eventi quotidiani.
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SCHEDA N. 3
Gli arrabbiati
(…) Questi ragazzi si aggirano nelle istituzioni, e nelle relazioni della loro vita
quotidiana, decisi a dimostrare la fondatezza del loro teorema che consiste
nell’ipotesi che non ci sia da fidarsi dei compagni di classe, degli insegnanti,
degli adulti, della famiglia, delle istituzioni nel loro insieme. La loro missione è
di smascherare l’imbroglio e la truffa perpetrati ai loro danni, (…)
L’adolescente arrabbiato guarda l’adulto che s’avvicina con le proposte di rito
in attesa del momento trionfale in cui apparirà documentata la sua
incompetenza a svolgere il ruolo educativo o di potere che ricopre. Ogni
tentativo relazionale è visto come seduzione intesa a placarlo, a pacificarlo e
pertanto deve essere smascherata. Poiché la misura è già colma di motivi di
rabbia e di risentimento, è ovvio che si scatenino crisi di colera violenta anche
a seguito di microtraumi che, assunti isolatamente, non appaiono in grado di
legittimare reazioni tanto violente; ma il ragazzo arrabbiato è un collezionista
di torti, di inadempienze, di ingiustizie, di incompetenze istituzionali
quotidiane che hanno, ai suoi occhi, passato il segno della decenza e che perciò
21
sono più che sufficienti a giustificare una grande crisi di rabbia violenta che ha
come obiettivo il presentare il conto complessivo dei torti già subiti.(…)
I ragazzi arrabbiati hanno però a loro disposizione molte energie e la
straordinaria capacità di intrattenere forti relazioni con il mondo, con il corpo e
con il Sé: sono intraprendenti, coraggiosi, attivi, alla continua ricerca dello
scontro e quindi cercano frammenti di supporto della veridicità
del loro teorema in relazioni che manomettono in direzione masochista. Sono
perciò inevitabilmente esposti alle rappresaglie del mondo adulto perché
attaccano da tutte le parte e da tutti i luoghi le regole, con un’attitudine eroica e
masochista e non con un’attitudine delinquenziale orientata a farla franca. Non
vogliono trasgredire le regole ma hanno l’obbligo di dimostrare che le regole
sono un imbroglio, ce nessuno realmente le rispetta e che dietro ad ognuna di
esse è sottesa l’ipotesi che vi sia un patto, ma in realtà non esiste alcun patto
poiché l’adulto attraverso il controllo delle regole ha un’unica mira: mantenere
il potere e tenere i bambini in condizione di schiavitù.
NOTA: brano tratto da Pietropolli Charmet G., op. cit, pag. 164
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Uno spunto di riflessione ci viene dalla corrente di studio denominata
"interazionismo simbolico", il cui nucleo centrale è appunto la definizione della
situazione fatta dai soggetti, in quanto essi agiscono sulla base dei significati che
gli oggetti, le persone, gli eventi hanno per loro. Questi significati hanno a loro
volta una natura sociale, nascono dall'interazione con altre persone e vengono
usati dai soggetti dopo aver subito un processo di interpretazione che li rende
parte del proprio modo di vedere il mondo.
Il comportamento degli individui sarebbe quindi determinato dalla situazione, non
sarebbe una scelta a priori, ma un processo nel corso del quale il soggetto si
orienta verso un obiettivo e sceglie in quale modo realizzarlo; analogo percorso
può essere immaginato anche quando gli obiettivi da raggiungere non sono
socialmente apprezzati ed anzi sono oggetto di critiche e riprovazione.
22
Viene così richiamata la dimensione individuale dell'esperienza sociale, ma senza
considerarla esclusivamente come intra-individuale, quanto piuttosto come
qualcosa che nasce dall'interazione e dal rapporto con gli altri, quindi nel mondo
sociale. In questo senso l'individuo non è "mai solo", poiché il suo agire è
strettamente legato alla presenza, ai discorsi, ai comportamenti di altri, agli aspetti
relazionali dell'esperienza umana.
Come esemplifica Amerio (1995) a proposito della devianza, la prospettiva
interazionista sposta l'interesse dall'analisi dell'origine individuale del
comportamento allo studio del contesto sociale e dei suoi fenomeni:
"..quindi mostrando come varie <patologie> di ordine tradizionalmente
caratteriale , psicologico, siano in realtà socialmente costruite dall'agire
che gli altri manifestano nei confronti delle persone portatrici di certi
comportamenti. Ad esempio: un ragazzino sorpreso a rubare qualcosa ad
un compagno di scuola viene pubblicamente tacciato di ladro
dall'insegnante; egli è già così etichettato come un deviante. Se ancora una
volta sarà colto in flagrante l'etichetta si rinforzerà, in caso di qualche
furto il primo ad essere sospettato sarà lui, e così via. La label theory si
presenta naturalmente anche a critiche, ma in generale ha veramente
contribuito a far riflettere sulla devianza, e anche sulla malattia
mentale…." (pag.80).
Seguendo le suggestioni derivate dai lavori di Erving Goffman 6 la vita
quotidiana è il luogo in cui gli individui hanno il compito di "presentarsi" agli
altri, di dare certe immagini di loro stessi in relazione alle situazioni, di entrare
"sulla lunghezza d'onda" adatta; ci sono persone che compiono questo lavoro
quotidiano per mostrare agli altri "la parte migliore di sé", altre che invece non
hanno questo interesse ed altre ancora che scelgono di presentarsi in modi difficili,
aggressivi, ipercritici, mettendo in discussione la realtà così come viene definita
6 Ricordiamo un testo fra i tanti: Goffman E. (1959) The presentation of self in everyday life, New York: Doubleday; trad. it. La vita quotidiana come rappresentazione, Bologna: Il Mulino, 1969.
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dal gruppo di maggioranza. Goffman utilizza la metafora del teatro per raccontare
la vita quotidiana, poiché esiste un palcoscenico in cui gli attori recitano la propria
parte, che non esisterebbe se… non esistessero le parti degli altri attori sulla scena.
Per intenderci, quando stabiliamo una relazione sociale entriamo in scena per
mettere in atto la "parte" che ci siamo scelti ma, come non potrebbe esistere
Romeo senza Giulietta, la "parte" scelta non potrebbe essere rappresentata senza
un interlocutore.
Attenzione!
Pensiamo ora nuovamente ai nostri preadolescenti ed immaginiamo di incontrarne
uno solo; egli si presenterà a noi in un certo modo e ciò che noi non dobbiamo
fare è pensare che lui sia così come si mostra. Prima dobbiamo essere consapevoli
della situazione in cui avviene l'incontro (potremmo dire del "contesto", del
"setting", del luogo), poi dobbiamo immaginare in che modo sia stata definita la
ragione dell'incontro (Cosa rappresentiamo per lui? Siamo amici o nemici? Si può
fidare?) ed ancora dobbiamo chiederci quanto l'interazione avrebbe avuto un
andamento diverso se fossero stati presenti i genitori, gli insegnanti, gli amici
(cioè quell'Altro significativo presente nell'elaborazione di G.H. Mead riguardo al
Sé).
Immaginiamo ora di incontrarne un piccolo gruppo, per esempio all'interno di un
centro ricreativo; il ragionamento fatto fino ad ora si moltiplica e l'intreccio della
trama di relazioni che costruisce l'interazione si farà sempre più fitto e difficile da
districare; compito dell'operatore sociale è in primo luogo quello di conoscere
l'esistenza di questi processi di natura psico-sociale e di farne uno "strumento del
mestiere".
========
Attenzione!
E' utile rivedere la posizione di G.H. Mead nel Modulo 1 di Psicologia sociale "I
preadolescenti come oggetto di studio della psicologia sociale" di Patrizia Selleri.
24
Jona Oberski Anni d’infanzia. Un bambino nei lager.
Firenze, la Giuntina, 1996.
Il libro, da cui è stato tratto un film di successo, racconta la vita quotidiana in
situazioni estreme raccontata dalla "parte del bambino" e si conclude con
un’immagine molto dura, se immaginata in rapporto alla storia di Jona, orfano di
entrambi i genitori dopo tanti patimenti.
Zia Lisa, la signora che lo accoglie come un figlio, cerca di farlo mangiare, lo
imbocca ed in un momento di tenerezza gli prende il viso fra le mani e lo bacia.
"…Cominciai a dibattermi. Con entrambe le mani afferrai il piatto e lo
scaraventai per terra. Ci andai sopra con i piedi, piansi e gridai “Mi hai
baciato sulla bocca. Adesso dovrò morire. Me lo ha detto la mamma”. Un
fiotto di vomito mi riempì la bocca. Mi pareva quasi di soffocare. Poi il
vomito sprizzò fuori e schizzò sul pavimento. Anche sulle gambe. Lei
disse: “Adesso guarda cosa hai fatto. Ripulisci tutto. Non sei più un
bambino piccolo”. Mi diede uno straccio. Io cominciai a pulire. (pag.118-
119).
Ma le cose devono poi essere migliorate se il libro è dedicato proprio ai genitori
adottivi, che con lui devono “aver patito non poco”. Però da questo brano si
intuisce che i nuovi genitori, pur conoscendo tutta la storia di Jona, agiscono
definendo l'episodio in termini di "vita quotidiana" ed applicano regole che ogni
adulto adotterebbe di fronte ad un comportamento di questo tipo; e forse per
questo lo hanno salvato una seconda volta.
Da questo lavoro è stato tratto il film di Roberto Faenza
Jona che visse nella balena , 1991.
25
4. Lo sviluppo morale
Una caratteristica riscontrabile in molti preadolescenti e adolescenti consiste nel
gusto di analizzare criticamente le situazioni, ponendosi dialetticamente nei
confronti di genitori, insegnanti e coetanei. Il raggiungimento di una maggiore
competenza linguistica, unitamente alla tendenza verso una indipendenza almeno
nelle idee, poichè nei fatti la effettiva indipendenza può essere ostacolata da
motivi diversi, si unisce a dei mutamenti in campo cognitivo, legati al modo di
vedere le cose, di pensare e di risolvere i problemi.
Facendo riferimento alla teoria di Piaget, è circa attorno gli 11-12 anni che appare
nei ragazzi la capacità di utilizzare il pensiero formale, attraverso il quale il reale
cessa di essere l'unico dato utilizzabile e fanno il loro ingresso tutte le
considerazioni effettuate a partire dal piano del probabile e del possibile, da cui
deriva una strategia di pensiero di tipo ipotetico-deduttivo.
Nei fatti esistono però molti impedimenti al raggiungimento di questo livello di
pensiero, attribuibili a variabili che agiscono sugli individui con risultati dissimili.
Il contesto familiare può essere stato avaro di sollecitazioni culturali e di stimoli
educativi, oppure può aver sistematicamente svalutato gli sforzi compiuti dai
ragazzi per agire coerentemente con le proprie idee, così come una storia
personale di insuccessi può indurre una persona a non utilizzare al meglio le
capacità cognitive, convincendosi di non essere sufficientemente intelligente. Non
dimentichiamo che la scuola agisce molto pesantemente su questi aspetti
individuali, proponendo spesso dei contenuti da apprendere non adeguati alle
effettive capacità degli alunni, procurando così insoddisfazione e noia in alcuni e
sentimenti di inadeguatezza in altri.
Il mondo delle idee del preadolescente è ricco di teorie che rappresentano il modo
in cui funziona la realtà ed ognuna di esse è strettamente legata a ciò che il
ragazzo potrà fare nella vita che lo aspetta; si assiste così ad una ulteriore forma
di egocentrismo, che potremmo definire intellettuale, centrato sulle proprie idee
26
ed è nel corso delle discussioni con gli altri che i giovani scoprono i punti deboli
delle loro teorie, giungendo ad accettare le contraddizioni che nascono dalla
messa in comune delle opinioni.
Nella rappresentazione idealizzata della realtà trova largo spazio anche
l'attribuzione ai fatti quotidiani di alcuni giudizi di natura morale, connessi al
concetto di norma sociale, di giustizia e di punizione.
Infatti nel corso dello sviluppo i ragazzi imparano a districarsi tra regole
convenzionali e regole morali, le prime caratterizzate da convenzioni sociali
(essere educati a tavola, rispettare le persone anziane, indossare l'abito adatto in
una particolare situazione...), le seconde derivate da principi di natura universale e
religiosa ( non uccidere, non rubare, non tradire un amico...).
Lo studio del processo evolutivo che porta i bambini a formulare dei giudizi
morali è stato approfondito con molta attenzione da Piaget7, il quale sottoponeva
a bambini di età diverse alcune coppie di brevi racconti, costruiti sul contrasto tra
il danno causato e le intenzioni che lo avevano prodotto. Una coppia di questi
brevi racconti comprendeva, per esempio, la storia di una bambina che si apre un
largo taglio nel vestito mentre usa le forbici per "fare un favore alla mamma",
mentre l'altra storia riguardava una bambina che produce un piccolo buco nel suo
vestito, ma questa volta mentre usa le forbici per giocare. Le risposte date dai
bambini mostrano che fino agli 8/9 anni viene considerato "più cattivo" chi ha
procurato il danno concretamente più grosso, mentre solo in seguito le intenzioni
assumono un peso nel determinare il giudizio.
Il problema dell'intenzionalità di chi compie un'azione sposta il modo di pensare
dei bambini da una morale eteronoma, modellata cioè sulle regole date dagli
adulti, verso una morale autonoma, che nasce dall'esigenza di comprendere i fatti
in un'ottica più ampia, sulla base di un vero e proprio ideale di giustizia. I
ragazzini, infatti, professano e chiedono dagli altri comportamenti leali e corretti,
nei quali sia messa in atto una reale equità di giudizio, argomentata anche da
prove tangibili di quanto viene detto a parole.
7 Piaget J. Il giudizio morale nel fanciullo. Firenze:Giunti-Barbera,1972.
27
Sul tema dello sviluppo morale sono state condotte numerosissime ricerche, tra
cui riferiamo il lavoro di Kolberg8 , uno psicologo statunitense che, riprendendo le
tesi piagetiane, ha studiato le concezioni morali partendo dai primi anni di vita
fino all'età adulta. Anche in questo caso ai soggetti venivano raccontate delle
storie, nelle quali i personaggi, per uscire da un profondo dilemma, dovevano
compiere in ogni caso una scelta difficile e piena di conseguenze. Una delle
storie, forse la più nota, riguarda un certo signor Heinz, con una moglie
gravemente ammalata, ma la medicina per curarla si trova da un unico farmacista,
che però la vende ad un prezzo assolutamente troppo alto per il signor Heinz. Il
farmacista non cede alle suppliche dell'uomo, che è così costretto a rubare la
medicina. Il conflitto è evidente: rubare per salvare la moglie, e quindi salvare una
vita, o non infrangere la regole, condannando la donna?
Analizzando le argomentazioni fornite dai vari soggetti per spiegare se il signor
Heinz si fosse comportato bene o male scegliendo una delle due alternative, per
quanto riguarda lo sviluppo morale l'Autore individua tre livelli:
- PRECONVENZIONALE, caratteristico dei bambini sotto i 9 anni, per i quali le
regole esistenti sono imposte da un'autorità superiore e non devono essere
disattese per non ricevere una punizione, oppure semplicemente perchè anche
l'altro può avere dei validi motivi per comportarsi in un certo modo e quindi, in
questa prospettiva utilitaristica, le regole non si infrangono, perchè non esistono
torti o ragioni.
- CONVENZIONALE, riguarda la maggior parte degli adolescenti e degli adulti e
comprende una sorta di spinta " ad essere buoni" per mantenere delle relazioni
sociali soddisfacenti ed un richiamo al senso "di responsabilità" nei confronti
dell'organizzazione sociale, che finirebbe con l'essere travolta da comportamenti
troppo individualistici.
- POST-CONVENZIONALE, tipico di una minoranza di adulti per i quali il
valore delle scelte è strettamente legato alla consapevolezza della singola persona
8 Kolberg L. (1976) Moral Stages in Moralisation: The Cognitive-Developmental Approach, in T.Lickona ( a cura di ) Moral Development in Behaviour, New York ,Holt, Rinehart e Winston,1976.
28
ed anche all'esistenza di valori universali ai quali le regole sociali devono in
qualche modo uniformarsi.
Nella definizione della morale chiamata "convenzionale" ritroviamo proprio le
caratteristiche dell'adolescente, nel quale se lo sviluppo cognitivo fornisce
ulteriori strumenti per interpretare e conoscere la realtà, lo sviluppo delle
concezioni morali permette di compiere un'assimilazione del nuovo attraverso una
diversa attribuzione di valore, che deriva dal possedere una morale autonoma.
Attenzione!
A questo punto diventa però necessario aprire una breve parentesi sul ruolo che in
questo contesto assume l'essere maschi o femmine.
Carol Gilligan 9, una collaboratrice di Kolberg, ha riproposto la procedura
sperimentale utilizzando un campione di sole donne ed ha riscontrato come ad un
livello convenzionale l'idea del "comportarsi bene" consista più specificatamente
nel "sacrificarsi" per essere accettate dagli altri, mentre al livello post-
convenzionale emerge l'ideale della "non-violenza" come imperativo morale verso
la società.
Ciò che si coglie è la tendenza a salvaguardare la natura affettiva delle relazioni,
adottando un'etica della responsabilità in luogo di un'etica volta a trovare una
giustificazione all'esistenza delle regole implicate nel contratto sociale. Non è
certamente cosa da poco affrontare le tematiche adolescenziali adottando il punto
di vista femminile, perchè, come mette in evidenza la stessa Autrice, la storia
della psicologia è stata fatta ponendo spesso una maggiore attenzione ai modelli
maschili, trascurando l'ipotesi della presenza di modi di pensare e di agire diversi
tra i due sessi.
Attenzione!
Le differenze di genere ( maschile e femminile) possono essere considerate come
un ulteriore indicatore nell'affrontare il problema del disagio preadolescenziale,
soprattutto poiché le tematiche legate al corpo che cambia aspetto evocano modelli
29
di riferimento con i quali non facile fare i conti, ormai sia per i maschi sia per le
femmine. Cantanti, modelle, attori, atleti esibiscono un fisico visto come un
"traguardo da raggiungere" ed anche l'abbigliamento proposto per questa età non
scherza affatto! Taglie minuscole per le ragazze, muscoli in evidenza per i
ragazzi; un modo di imporre un'immagine del giovanissimo rappresentata proprio
anche attraverso questi aspetti esteriori, che facendoli apparire "tanto più grandi
della loro età" anticipano nella loro vita quotidiana tematiche difficili, legate a
dilemmi etici e morali per i quali forse i ragazzini non possiedono ancora una
maturità adeguata.
Per esempio in molti film che raccontano la vicende dei giovani americani, la
classe sociale, il genere e la razza vengono utilizzate per mostrare le condizioni
disperate, di povertà culturale e morale, in cui vivono queste categorie, quasi per
giustificare la loro ribellione. In questi film si ascolta la musica dei rapper, si
vedono i ragazzi afro-americani che si muovono benissimo nei play-ground e
l'atleta "di colore" è quasi sempre descritto come "un artista dello sport";
lentamente la cultura dei "bianchi" ha raccolto, per appropriazione, questi aspetti e
oggi adolescenti, senza distinzione di etnia, si vestono come i rapper o come i
cestisti famosi, poichè, c'è sempre un campo da basket nei film dove si intrecciano
black-music, morale, politica e sport. C'è l'anticipazione di una vita distruttiva,
con droga, violenza, abuso d'alcool, crimine; c'è tutta la ribellione di una cultura
che resiste al mondo degli adulti, attraverso un simbolismo esibito, teatrale,
estremo.
Poi questi film sono importati in culture abbastanza diverse e poiché molti
messaggi non possono essere colti, dato che non sono condivisi dallo spettatore in
quanto hanno una matrice culturale diversa, se manca il filtro di un adulto
"competente", che sappia far emergere queste differenze profonde, i ragazzini
possono anche pensare che sì, in fondo "ogni mondo è paese" ed a loro rimane
solo l'immagine di un'America piena di violente contraddizioni e la rabbia degli
altri può essere assimilata alla propria.
9 Gilligan C. Con voce di donna. Milano: Feltrinelli,1987.
30
Si creano miti, idoli e modelli di riferimento ancora più difficili da scalfire, in
quanto non hanno radici nella nostra cultura e sono amati dai ragazzini in modo
totale; si forma una sorta di "ortodossia" attorno al personaggio scelto come
riferimento, appunto perché non sono ammesse critiche di nessun tipo, pena
l'irrigidimento sulle posizioni iniziali. Ecco perché il lavoro da svolgere con i
preadolescenti dovrebbe essere visto come un costante "accompagnamento" nei
meandri dell'esperienza quotidiana, per offrire loro quella criticità, quella capacità
di giudizio che dovrebbero avere per affrontare nel modo migliore la vita, ma che
invece è ancora un processo in costante evoluzione.
========
Sul tema dello sviluppo morale, Albert Bandura (1991)10 ha proposto una lettura
diversa del problema, che evita l'utilizzo di "fasi evolutive" per riprendere il tema
della morale da un punto di vista intra-personale ( le caratteristiche dell'individuo)
e socio-ambientale (famiglia, istituzioni, amici, mass-media). L'interesse per la
formulazione di Bandura, detta del "disimpegno morale", è dovuta soprattutto
all'attenzione posta ai maggiori o minori controlli interni posseduti da ogni
soggetto; appartengono a questa categoria le auto-sanzioni, cioè l'anticipazione
delle possibili punizioni, così pure l'immaginare gli effetti che un'azione potrebbe
avere sulla stima di sé e sulla stima che gli altri ripongono in noi. Sarebbero questi
controlli interni, più o meno attivati e numerosi, a determinare nel corso dello
sviluppo il comportamento immorale di singoli individui o gruppi che, se
interrogati in termini di "dilemmi morali", riescono a compiere correttamente un
ragionamento morale. Per esempio, uno di questi meccanismi che funziona da
mediatore fra il comportamento ed il ragionamento morale è detto giustificazione
morale e viene attivato quando di un comportamento riprovevole viene analizzato
in termini di cause od eventi indipendenti dalla volontà del soggetto; un altro
10 Si tratta del più noto esponente dell'approccio denominato Social learning (apprendimento sociale) Bandura A. (1991) Social cognitive theory of moral thought and action, in W.M Kurtines, J.L. Gewirtz ( a cura di) Handbook of moral behavior and development;. New York: Hillsdale Erlbaum.
31
meccanismo è la dislocazione della responsabilità, quando si dice che un evento è
accaduto perché "ordinato da altri"; oppure la distorsione delle conseguenze,
quando si tendono a minimizzare gli effetti di un comportamento, del tipo "tanto
lo fanno tutti".
Si parla appunto di disimpegno morale quando i controlli interni sono
frequentemente disattivati da questi meccanismi.
Attenzione!
Immaginando che, al posto delle contraddizioni accademiche, esista un intreccio
fra dinamiche evolutive e psico-sociali (i comportamenti sono comunque il frutto
di sviluppo ed apprendimento, anche se non è sempre facile stabilire le percentuali
relative delle due componenti!) ripensiamo prima al nostro comportamento di
fronte alle "infrazioni", anche quelle più banali: sono passato col rosso perché…
ero in ritardo sul lavoro; eravamo in due sul ciclomotore perché… lo fanno tutti;
chiamo dall'ufficio anche i cellulari perché…tanto lo fa anche il mio capo.
Come la mettiamo con il nostro "disimpegno morale"?
========
Certo che se un ragazzino vive in un contesto socio-familiare in cui il
comportamento morale è soggetto a molte forma di "relativismo", se non trova in
altri contesti amici od adulti che invece riaffermino i principi etici della vita
comune…. il disimpegno morale sarà stato appreso e rinforzato fin dai primi anni
di vita.
E quindi sempre più arduo sarà il lavoro dell'operatore sociale…ma non vogliamo
spaventare il lettore, quanto spingerlo a questa sfida così importante come è nei
fatti l'incontro con un preadolescente.
Il fatto è che per i viaggi lunghi bisogna partire ben attrezzati e scopo di queste
pagine è offrire il maggior numero di attrezzature idonee per giungere alla meta.
Ancora una volta: riflettiamo prima su noi stessi, troviamo in noi le risorse per
poter essere "adulti significativi" e per offrirci nel ruolo di "guida".
32
SCHEDA N° 4
L'impegno morale
In un lavoro di Anne Colby e William Demon venti illustri personaggi anziani,
distintisi per l'impegno morale dimostrato nella loro vita, sono stati intervistati per
ricostruire lo sviluppo del loro impegno sociale e civile; dalle interviste emerge
come nella loro vita il cambiamento verso un impegno più sentito e profondo sia
dovuto a processi di influenza sociale.
Vediamo cosa accadde a Virginia Foster Durr, originaria di Montgomery, in
Alabama ed appartenente ad una famiglia importante della città. Aveva 84 anni al
momento dell'intervista. Da bambina, come la maggior parte dei bambini di ceto
elevato nel sud degli Stati Uniti nei primi decenni del secolo, viveva a stretto
contatto con le famiglie dei domestici, tutti di colore, e dei loro figli; fu separata
da loro man mano che cresceva, ma ebbe una chiara visione della segregazione
solo attorno ai trent'anni. Dopo il matrimonio, che le permise di trasferirsi a
Washington, la sua prospettiva sui temi razziali iniziò a cambiare; si impegnò
attivamente nel movimento del New Deal e fu un'attivista del Partito Nazionale
delle Donne Democratiche, si impegnò per il voto alle donne e per la diminuzione
delle tasse ai poveri; frequentò gli ambienti politici socialisti e durante il periodo
del senatore McCarty abbandonò Washington per opposizione alla politica di
allora. Quando finalmente fece ritorno in Alabama, Virginia lottò contro la
segregazione ed aprì uno studio legale per difendere i poveri e le persone di
colore. Se non si fosse mai mossa dalla sua città, cosa che avrebbe potuto
accadere molto facilmente, non avrebbe mai potuto avere una visione del
problema razziale esente da processi di influenza sociale radicati nella cultura del
luogo.
( Colby A., Damon W. (1992) Some do care: Contemporary lives of moral
commitment. New York, Free Press.)
33
……….Approfondimenti bibliografici
Nel contesto italiano i lavori di Bandura sono stati ripresi da Gian Vittorio
Caprara, che con un gruppo di collaboratori ha standardizzato uno strumento per
rilevare il disimpegno morale nella fascia della scuola dell'obbligo. Si tratta delle
Scala del Disimpegno Morale, il cui utilizzo può essere approfondito in:
Caprara G.V., Pastorelli C., Bandura A. (1995) La misura del disimpegno morale
in età evolutiva, in Età evolutiva, 51, 18-30.
L'approfondimento è offerto non tanto per suggerire l'utilizzo della Scala, ma per
porre attenzione ai temi trattati ed ai commenti fatti dagli autori.
Due testi molto interessanti sul tema:
Damon W. (1995) Greater Expectations. (Tr. it. Più grandi speranze. Milano, Longanesi, 1997)
Uno dei rari lavori tradotti in italiano di questo interessante autore.
Wilson J.Q. (1993) The moral sense, USA, The Free Press (tr. It.
J.Q. Wilson Il senso morale, Milano, Edizioni di Comunità, 1995)
Per riflettere ulteriormente.
Uno splendido dilemma morale:
Decalogo 8, di Krzysztof Kieslowski, Polonia, 1989,
"Non dire falsa testimonianza"
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5. La reputazione
E' facile che le persone, quando attraversano dei momenti di incertezza, siano
assalite da dubbi di ogni genere e che per uscire dalla confusione si rivolgano
anche ad altri, cercando in loro conforto e sostegno. Ora, se la spinta verso
l'autonomia dalla famiglia può rendere a volte difficile ricercare nei genitori
queste funzioni, in un sistema sociale e scolastico come il nostro, in cui i rapporti
tra i ragazzi sono favoriti e ritenuti estremamente positivi per lo sviluppo,
preadolescenti ed adolescenti scoprono facilmente che i loro problemi sono
largamente condivisi dai coetanei e questo rivolgersi a quelli della propria
generazione produce un vero e proprio spostamento di interesse verso tutte le
attività che non sono regolate dagli adulti. I gruppi di adolescenti sono quasi
sempre composti da ragazzi e ragazze che condividono scopi ed interessi comuni,
non solo di evasione, ma anche sociali, politici e religiosi. Non dimentichiamo
infatti il folto gruppo di giovani che ha una profonda spinta verso l'impegno
sociale e fa parte delle associazioni di volontariato, si occupa di anziani e di
giovanissimi in quartieri disagiati.
Il processo di aggregazione segue vari percorsi, tutti però legati ad un criterio di
profonda selettività, dapprima dovuto per esempio alla scuola frequentata od al
quartiere di provenienza, ed in seguito molto più soggetto a scelte personali. Far
parte di un gruppo può significare per i ragazzi acquisire, almeno
simbolicamente, un ambito di autonomia che, indipendentemente dalla precarietà
della situazione, li conferma nella loro esigenza di partecipazione "alla pari con
altri" nelle scelte per la vita del gruppo stesso. Per questa ragione le relazioni
esistenti tra i membri del gruppo costituiscono una vera e propria entità sociale,
riconosciuta da se stessi e dagli altri, alla quale tutti fanno riferimento usando il
pronome "noi".
Attenzione!
A questo punto sarebbe utile rivedere il capitolo 7 "I gruppi" nel Modulo 1 di
Psicologia sociale, "I preadolescenti come oggetto di studio della psicologia
sociale" di Patrizia Selleri. ========
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Questi gruppi funzionano in primo luogo sulla base di una suddivisione dei ruoli,
tale per cui ad alcuni membri viene attribuita una credibilità maggiore ed uno
spazio decisionale più ampio ed in secondo luogo sul rispetto di una serie di
regole e di valori sociali condivisi da tutti, che si manifestano nell'uso di un
particolare gergo o di soprannomi ed anche nella definizione di comportamenti
messi in atto per ribadire la coesione interna tra i ragazzi e la distanza da singole
persone od altri gruppi sociali. Esiste comunque il riconoscimento delle differenze
individuali, legato alla maggiore o minore importanza che l'attività od il
comportamento hanno per il gruppo stesso, perchè se conformarsi
volontariamente alle norme importanti può favorire la conquista di un potere
maggiore nel gruppo, la non obbligatorietà può diventare un modo per mettere alla
prova il singolo su elementi come la fedeltà o la difesa del gruppo di fronte alle
ingerenze degli adulti.
Presentarsi presentarsi ai coetanei nel modo migliore per essere da loro accettati
assorbe molte delle energie a disposizione dei ragazzini, perchè ciò che conta è
quel particolare giudizio, espresso sulla base di criteri relativi alla "normalità", al
"sapersela cavare" ed al "successo" a scuola od in altre situazioni. L'isolamento,
dovuto al sentirsi trascurati e svalutati, diventa una situazione ancora più dolorosa
se sono i compagni o gli amici a produrla.
Inoltre l'interazione tra maschi e femmine porta ad una maggiore conoscenza
reciproca delle caratteristiche biologiche, sociali e culturali legate al sesso,
accompagnate dalle aspirazioni sul futuro di ognuno, cioè a quel progetto di vita
che integra almeno idealmente lavoro ed affetti. La sfera affettiva del
preadolescente è ricca di sentimenti sconosciuti e mai provati prima, che si
presentano spesso in modo tumultuoso, tale da renderne confusa l'esatta natura.
Un importante elemento di questo quadro è costituito dalla sempre maggiore
importanza assegnata al valore dell'amicizia. Non a caso esiste una precisa
distinzione tra l'essere amici, compagni o semplici conoscenti, perchè la prima di
queste condizioni è quella che implica in qualche modo una scelta reciproca ed
una confidenza molto profonda. Questo sentimento attraversa fasi diverse, che
vanno dalla richiesta di un rapporto esclusivo, incentrato sulla lealtà e sull'aiuto
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reciproco fino alla comprensione delle idee e delle esigenze dell'altro, anche se
momentaneamente in contraddizione con le proprie.
Attenzione!
A questo punto sarebbe utile rivedere il cap. 6 "L'amicizia" del Modulo 1 di
psicologia sociale "I preadolescenti come oggetto di studio della psicologia
sociale" di Patrizia Selleri
=======
In questo complesso processo di cambiamento psico-sociale appare ancora con
maggiore evidenza l'importanza del contesto sociale e degli Altri come punto di
riferimento per definire se stesso, come singolo e come membro di un gruppo,
come amico, come studente, come figlio e come "giovane adulto".
Il termine che può riassumere e spiegare quest'insieme di presentazioni e
rappresentazioni di noi stessi derivate da altri è "reputazione": si tratta di un
giudizio formulato da una comunità su di un individuo in particolare, che
generalmente appartiene alla comunità stessa; nella comunità la conoscenza
dettagliata dei singoli individui è a disposizione di tutti, nelle piccole comunità le
informazioni sul passato e sul presente sono moltissime, dettagliate ed attendibili,
mentre nelle grandi comunità le informazioni sono meno puntuali, più "per sentito
dire".
In entrambi i casi ogni individuo della comunità, anche a sua insaputa, si porta
dietro una "certa reputazione", positiva o negativa, ma che comunque è il risultato
di un processo di costruzione sociale. Il soggetto può cercare di confermare o
modificare questo giudizio attraverso il proprio comportamento, utilizzando gli
scambi quotidiani, i discorsi, la presentazione di sé. presentarsi
In ogni caso, se teniamo alla nostra reputazione, dobbiamo darci da fare nel
mondo sociale per mantenerla tale e farla crescere; dobbiamo "farci notare" e
questa spinta potrebbe spiegare quei circoli viziosi che indirizzano molti ragazzini
verso il rischio di devianza, appunto perché nello sforzo di alimentare la loro
reputazione di "duri" si spingono sempre più oltre.
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D'altro canto in ogni contesto sociale non è possibile vivere senza possedere una
"reputazione", perché è inevitabile essere almeno una volta l'oggetto del discorso
di altri.
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SCHEDA N° 5
Gli adulti di riferimento adulti
La reputazione si costruisce anche nel confronto con gli adulti, quelli "scelti" dai
ragazzini perché…., ma chissà perché!
"…Le ultime generazioni di adolescenti appaiono, più di quelle che le hanno
precedute, interessate a tessere una trama di relazioni con adulti competenti. Ciò
fa sì che oltre alle esigenze strutturali e specifiche della fase di sviluppo
adolescenziale, emergano anche delle esigenze generazionali di incontro con la
cultura degli adulti che riguardano specificatamente questa generazione di
adolescenti che crescono nell'attuale contesto socioculturale e ne traggono gli
spunti per le domande da porre ai loro adulti di riferimento(…). Le funzioni che
l'adolescente chiede di svolgere all'adulto che egli nomina come riferimento e che
ritiene competente consistono sostanzialmente in un rilevante sostegno alla
crescita. A ben guardare si tratta di funzioni che solo un adulto può assolvere e
che pertanto non possono essere delegate ai coetanei e alla coppia: ciò fa si che un
adolescente privo degli adulti di riferimento rimanga deprivato di un nutrimento
funzionale alla crescita che non gli può essere dato da nessun altro che non sia un
adulto e non possegga i requisiti che l'adolescente gli delega. Il bisogno di
ammirazione da parte dell'adulto di riferimento è un evento relazionale
difficilmente riconoscibile da parte dei diretti interessati(…). Il bisogno di
ammirazione da parte di un adulto ritenuto competente in un determinato settore
della crescita decolla in concomitanza dell'affermarsi, nella mente profonda
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dell'adolescente, dei valori dell'identità di genere e dei misteri correlati al processo
di nascita sociale e di assunzione di responsabilità. (..). Sia l'adolescente maschio
che la femmina nominano i loro adulti di riferimento ai quali chiedono di stare a
guardare e, se possibile, quando le meritino, ammirare le insolite prestazioni. Ma
la loro richiesta non sottintende la dipendenza; al di fuori della prestazione che è
richiesta all'adulto arruolato per erogare ammirazione non ci sono altri sentimenti
né altri vincolo né altre aspettative".
Charmet Pietropolli G. (2000) I nuovi adolescenti. Padri e madri di fronte a una
sfida. Milano, Raffaello Cortina., pag. 45 - 46
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Un recente volume di Nicholas Emler e Stephen Reicher 11 affronta il tema della
devianza in adolescenza; un capitolo è dedicato alla discussione dei rapporti fra
devianza, comportamento morale e reputazione, seguendo la tesi che il
comportamento sia in gran parte influenzato da considerazioni riguardanti la
propria reputazione.
Secondo gli autori la devianza non sarebbe il tentativo fallito di mantenere una
reputazione positiva, quanto piuttosto un vero e proprio progetto di vita
alternativo al precedente, una scelta probabilmente anche forzata da cause ed
eventi esterni, ma comunque con un certo grado di consapevolezza individuale,
rispetto alle conseguenze delle proprie azioni.
D'altro canto "i peccati" non vengono sempre commessi di nascosto ed in
completo anonimato ed in molte situazioni i "peccatori" non si adoperano per
passare inosservati; un esempio è dato dall'infrangere le regole sociali che
governano il rapporto con gli altri, come per esempio allo stadio, quando gruppi di
individui dalle offese verbali passano ai fatti ed è sotto gli occhi di tutti come ciò
avvenga in spregio di telecamere e forze dell'ordine.
11 Emler N., Reicher S. (2000) Adolescenti e devianza, Bologna, Il Mulino
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In questo senso la devianza può essere intesa come una forma di
autopresentazione agli altri; ritorna però il punto da cui siamo partiti: chi sono
questi Altri?
Attenzione!
Adottare una prospettiva di osservazione di ciò che accade nella vita quotidiana
dei preadolescenti potendo disporre della lente interpretativa della "psicologia
della reputazione" ci sembra essere un suggerimento molto utile.
In primo luogo dovrebbe portarci ad essere molto più "dubitativi" nei nostri
giudizi, a non fidarci delle prime impressioni e neppure di quanto ci raccontano
gli altri; dovrebbe aiutarci a non cadere nella trappola realazionale della
definizione rigida dei ruoli, perché le reputazioni si possono modificare anche e
soprattutto dall'esterno, attraverso la rete dei rapporti sociali che circonda un
individuo.
In secondo luogo se parliamo di reputazione implicitamente dobbiamo porre
attenzione anche alle caratteristiche del contesto sociale in cui l'individuo vive,
perché lì sono le radici dei giudizi di valore su di lui ed i valori sono condivisi
socialmente; nei contesti mafiosi, per esempio, parlare con le forze dell'ordine
intacca la reputazione di "uomo d'onore" e per non avere la reputazione di
"infami" occorre conformarsi a queste regole.
In terzo ed ultimo luogo possiamo dire che la reputazione è una sorta di identità
manifesta, o meglio è la rappresentazione quotidiana dell'identità sociale che
crediamo gli altri abbiano di noi.
Infatti anche noi ci giochiamo la nostra reputazione, presente e futura,
quando ci prendiamo cura di un ragazzino in difficoltà….a volte prevale la
paura di "perdere la faccia", ma questo è un gioco di specchi…..
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Riferimenti bibliografici ed altri utili approfondimenti……
Il tema della reputazione sociale può essere approfondito in:
Emler N. (1997) La reputazione sociale, in. S. Moscovici (a cura di) La relazione
con l'altro, Milano, Cortina.
L'intero volume, poi, meriterebbe una buona lettura!
Ammaniti M., Ammaniti N.(1995) Nel nome del figlio.
L'adolescenza raccontata da un padre e da un figlio. Milano, Mondadori.
Pitropolli Charmet G. (1999) Segnali d'allarme. Disagio durante la
crescita. Milano, Mondadori
Il desiderio di affermare se stessi non finisce mai…
Come due coccodrilli, di Giacomo Campiotti, 1994.
Karate Kid - Per vincere domani, di J.G. Avildsen, 1984
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