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Mensile di aggiornamento e approfondimento in materia di sicurezza sul lavoro
Numero 7 – Luglio 2016
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, Luglio 2016, n. 7
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Sommario
APPROFONDIMENTI
Sicurezza e giurisprudenza - 1 EDILIZIA, CONTROLLI A CARICO DEL COMMITTENTE Nei lavori edili concessi in appalto il committente costituisce la figura espressamente contemplata dalla normativa di settore come fonte di obblighi di controllo e di intervento, seppure diversamente articolati in base alle dimensioni e alla tipologia del cantiere. (Luigi Caiazza, Il Sole 24 ORE – Quotidiano del Lavoro, 3 giugno 2016)
4 Sicurezza e giurisprudenza - 2 LA VALUTAZIONE DEI RISCHI INTERFERENZIALI E L'OMISSIONE DEL PIANO DI SICUREZZA La Corte di Cassazione, con sentenza n. 20981 del 19 maggio 2016 – esaminando il caso di una lesione occorsa ad un lavoratore – ha ribadito il principio per cui, in caso di mancata predisposizione del piano per i rischi interferenziali, sussiste la responsabilità datoriale anche nelle ipotesi di condotta abnorme del lavoratore. (Pierpaolo Masciocchi, Il Sole 24 ORE – Sicurezza24, 16 giugno 2016)
5 Sicurezza in agricoltura ASSUNZIONI CONGIUNTE, REFERENTE INCERTO PER FISCO E SICUREZZA Le assunzioni congiunte in agricoltura sono ormai una realtà. Ma, nonostante il quadro normativo di riferimento - dopo l'articolo 9, comma 11, della legge 99/2013 – sia stato integrato con le indicazioni operative fornite dal ministero del Lavoro (Dm 27 marzo 2014; decreto direttoriale 85/2014; nota 1471/2014; circolare 7671/2015) e dall'Inps (circolare 131/2015; messaggi 6605/2015 e 7635/2015), restano alcune zone d'ombra in merito alla modalità di assolvimento degli obblighi in materia fiscale e di sicurezza sul lavoro. (Roberto Caponi, Il Sole 24 ORE – Quotidiano del Lavoro 7 giugno 2016)
10 Sicurezza e antincendio - 1 PREVENZIONE INCENDI, AGGIORNAMENTO OGNI CINQUE ANNI PER L’ISCRIZIONE DEI PROFESSIONISTI NEGLI ELENCHI MINISTERIALI Dal 25 giugno sono scattate le nuove procedure per il mantenimento dell'iscrizione, da parte dei professionisti, negli elenchi tenuti presso il ministero dell'Interno riguardanti i soggetti abilitati a rilasciare dichiarazioni attestanti la conformità delle attività produttive alla normativa in materia di prevenzione incendi. (Luigi Caiazza, Il Sole 24 ORE – Quotidiano del Lavoro, 28 giugno 2016)
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Sicurezza e antincendio - 2 LA PREVENZIONE INCENDI NEGLI UFFICI Sulla Gazzetta Ufficiale n.145 del 23 giugno 2016 è stato pubblicato il decreto del Ministero dell’Interno 8 giugno 2016 recante “Approvazione di norme tecniche di prevenzione incendi per le attività di ufficio”, ai sensi dell’articolo 15 del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139. (Pierpaolo Masciocchi, Il Sole 24 ORE – Tecnici24, 28 giugno 2016)
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Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, Luglio 2016, n. 7
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Sicurezza e privacy I DATI SANITARI E DI RISCHIO DEI LAVORATORI SOTTOPOSTI A SORVEGLIANZA SANITARIA Dal 25 maggio 2016 è disponibile, sul sito internet dell'Inail, il servizio "Comunicazione medico competente", che consente ai medici competenti di gestire la comunicazione dei dati di sorveglianza sanitaria in un'ottica di standardizzazione metodologica e procedurale per la trasmissione delle informazioni alla Asl di riferimento. (Pierpaolo Masciocchi, Il Sole 24 ORE – Sicurezza24, 16 giugno 2016)
16 Sicurezza e attestazioni I CONTROLLI SULLA DOCUMENTAZIONE DI SICUREZZA Come noto, l’attività di controllo e vigilanza sui luoghi di lavoro prevede l’effettuazione di sopralluoghi ispettivi al fine di: individuare ed accertare la presenza di fattori di rischio per la salute dei lavoratori, verificare l’adozione delle cautele necessarie e di promuovere, in caso di carenze in tema di igiene e sicurezza del lavoro, l’attuazione di misure di prevenzione e protezione in modo da eliminare o ridurre il rischio di infortuni e malattie professionali, caso di infortuni e malattie professionali, individuare le cause e determinare eventuali responsabilità Pierpaolo Masciocchi, Il Sole 24 ORE – Sicurezza24, 16 giugno 2016)
21 L’ESPERTO RISPONDE
26 RASSEGNA DI NORMATIVA
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Chiusa in redazione il 30 giugno 2016
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, Luglio 2016, n. 7
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Sicurezza e giurisprudenza - 1
Edilizia, controlli a carico del committente
(Luigi Caiazza, Il Sole 24 ORE – Quotidiano del Lavoro, 3 giugno 2016)
Nei lavori edili concessi in appalto il committente costituisce la figura espressamente contemplata
dalla normativa di settore come fonte di obblighi di controllo e di intervento, seppure diversamente
articolati in base alle dimensioni e alla tipologia del cantiere.
Poiché il committente è un soggetto che normalmente concepisce, programma, progetta e finanzia
l’opera, egli è quindi titolare ex lege di una posizione di garanzia che integra quella di altre figure di
garanti legali (ex articolo 299 del Dlgs n. 81/2008: datore di lavoro, dirigente, preposto), tanto da
poter anche designare formalmente un responsabile dei lavori con compiti di tipo decisionale e
gestionale, e il conseguente esonero, nei limiti dell’incarico conferito, dalle responsabilità.
A tale principio si è ispirata la Corte di cassazione (Sezione IV, sentenza n. 23171 depositata il 1°
giugno scorso) confermando la sentenza di condanna per omicidio colposo di un committente a
seguito della costruzione di un fabbricato durante la quale era morto un operaio per caduta dall’alto,
complice, l’omessa predisposizione delle opere provvisionali nel cantiere.
La decisione della Cassazione è conforme alle novità introdotte nel nostro ordinamento con il
recepimento della Direttiva comunitaria sui cantieri ad opera del Dlgs n. 494/1996, trasfuso poi nel
Dlgs n. 81/2008 (Testo Unico sulla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro), che nei cantieri edili
anticipa gli obblighi della sicurezza sin dalla fase della progettazione, coinvolgendo così anche il
committente mediante l’attribuzione di una sfera di responsabilità che si sostanzia nella previsione
di alcuni specifici obblighi destinati ad interagire e ad integrarsi, come accennato, con quelli di altre
figure di garanti.
Si tratta di obblighi di controllo che non sono certamente di natura formale, ma implicano un’effettiva
e ragionata verifica circa le soluzioni adottate, come è dimostrato dal fatto che, nel caso in cui non
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sia in condizione o non voglia o possa assumere direttamente tale ruolo, il committente può nominare
un responsabile dei lavori.
Tuttavia, ai fini della configurazione della responsabilità del committente, la sentenza in esame entra
più nello specifico, precisando che occorre verificare in concreto quale sia stata l’incidenza della
condotta di questi ai fini della determinazione dell’evento, a fronte delle capacità organizzative della
ditta esecutrice scelta, avuto riguardo alla specificità dei lavori da eseguire, quali siano stati i criteri
seguiti dallo stesso committente per la scelta dell’appaltatore e, non ultimo, la possibile, agevole e
immediata percezione da parte dello stesso committente di situazioni di pericolo.
Lo stesso Dlgs n. 494/1996 prima, e il Testo Unico poi, richiamano il committente ad attenersi ai
principi e alle misure generali di tutela, ad adempiere al citato obbligo di verifica riguardante apposita
documentazione tra cui il documento di valutazione dei rischi, la conformità alla legge di macchine,
attrezzature e opere provvisionali, dispositivi di protezione individuali, ecc..
La verifica dell’idoneità tecnico-professionale dell’appaltatore avrebbe consentito al committente di
accertare anche l’inadeguatezza dimensionale dell’impresa la quale, assieme alle macroscopiche
irregolarità del cantiere, palesemente ed immediatamente evidenti, occupava lavoratori “in nero” ai
quali certamente non venivano garantite le misure minime di sicurezza, come del resto è accaduto
al lavoratore infortunato, il quale era pensionato e occasionalmente prestava attività lavorativa per
la ditta appaltatrice.
Sicurezza e giurisprudenza - 2
La valutazione dei rischi interferenziali e l'omissione del piano
di sicurezza
(Pierpaolo Masciocchi, Il Sole 24 ORE – Sicurezza24, 16 giugno 2016)
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 20981 del 19 maggio 2016 – esaminando il caso di una
lesione occorsa ad un lavoratore – ha ribadito il principio per cui, in caso di mancata predisposizione
del piano per i rischi interferenziali, sussiste la responsabilità datoriale anche nelle ipotesi di condotta
abnorme del lavoratore.
Secondo la Suprema Corte, laddove il datore di lavoro non provveda alla redazione del documento
di valutazione dei rischi interferenziali ed, anzi, acconsenta a che i dipendenti svolgano prestazioni
anche diverse ma del tutto coerenti con le proprie mansioni, il datore-garante della sicurezza
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risponde dei sinistri che si verificano, senza poter invocare l’abnormità del comportamento del
lavoratore.
Il principio affermato dalla sentenza in commento è degno di nota in quanto mira a ridimensionare
parzialmente i tradizionali confini della responsabilità datoriale.
Generalmente, infatti, l’abnormità della condotta del lavoratore era considerata come causa esimente
della responsabilità.
La giurisprudenza ha sempre ritenuto, al riguardo, che la responsabilità dei datori di lavoro, dei
dirigenti e dei preposti possa essere esclusa soltanto se il lavoratore pone in essere una condotta
anormale, inopinabile, esorbitante dal procedimento di lavoro cui è addetto ed incompatibile con il
sistema di lavorazione oppure si concreti nell’inosservanza da parte sua, di precise disposizioni
antinfortunistiche e degli ordini particolari ricevuti ovvero abbia eseguito il lavoro in modo difforme
da quello prescritto.
Tale ultimo principio ribadito nel corso degli anni dalla giurisprudenza è stato in parte ripreso con il
D.Lgs. 81/08, nell’ambito dell’idea di «sicurezza anticipata» che costituisce uno degli obbiettivi
principali della norma.
Gli obblighi dei lavoratori sono enunciati all’art. 20 del D.Lgs. 81/08. La principale novità risiede
nell’aver imposto al lavoratore di prendersi cura della propria sicurezza e della propria salute e di
quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui possono ricadere gli effetti delle sue
azioni ed omissioni, conformemente alla sua formazione ed alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore
di lavoro. Si tratta di un dovere di attivarsi di carattere generale, profondamente diverso dalle
disposizioni precedenti che prevedevano a carico del lavoratore obblighi di natura «esecutiva».
Tuttavia, non è possibile affermare che il lavoratore sia oggi un soggetto pienamente «attivo» nella
gestione della sicurezza. Infatti, il generale dovere di cui al 1° comma dell’art. 20 è rigorosamente
limitato alla formazione e informazione ricevuta. Soltanto nel caso in cui il lavoratore sia stato
adeguatamente posto in condizione di provvedere, l’omissione di un suo comportamento attivo avrà
una rilevanza giuridica ai fini di determinare una responsabilità penale di quest’ultimo per il verificarsi
dell’infortunio di un altro lavoratore.
Il legislatore ha configurato l’obbligo di cui al 1° comma dell’art. 20 quale corrispettivo
dell’incrementato obbligo formativo posto a carico del datore di lavoro. Il primo, infatti, viene in
essere solo una volta adempiuto il secondo.
Quanto alla rilevanza causale della condotta del lavoratore infortunato, la giurisprudenza è
consolidata nel ritenere che, per poter escludere la rilevanza causale della violazione di disposizioni
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antinfortunistiche ad opera di datore di lavoro, dirigente o preposto, tale condotta deve potere essere
definita «imprevedibile ed abnorme» ossia contraria ai piú elementari precetti del buon senso.
Tuttavia, per poter ricondurre l’evento lesivo esclusivamente alla condotta colposa del lavoratore
occorre che i soggetti che rivestono le posizioni di garanzia in materia di prevenzione infortuni (datore
di lavoro in primis) abbiano dato attuazione a tutte le precauzioni richieste dalla legislazione e dalla
peculiarità dell’attività e della situazione, nonché che l’azione considerata rilevante sia stata l’unica
causa dell’evento.
E su questo punto, in particolare, si sofferma la sentenza in commento poiché il lavoratore era
rimasto gravemente lesionato a causa dell’interferenza delle attività dell’impresa a cui non era
preparato poiché il datore aveva omesso di redigere apposito piano di prevenzione.
Per ben comprendere le motivazioni della Suprema Corte è bene ricostruire le vicende che hanno
preceduto il pronunciamento.
Con sentenza resa in data 11 dicembre 2014, la Corte d'appello di Ancona aveva confermato la
decisione con la quale il Tribunale di Macerata aveva condannato un datore di lavoro alla pena di
giustizia in relazione al reato di lesioni personali colpose commesso in violazione delle norme per la
prevenzione degli infortuni sul lavoro.
All'imputato era stata originariamente contestata la violazione dei tradizionali parametri della colpa
generica e delle norme in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, per aver omesso di redigere
un piano di coordinamento per la previsione dei rischi derivanti dall’interferenza tra le attività
dell'impresa dallo stesso diretta e quella di altra impresa affidataria, omettendo altresì di vigilare in
modo che il proprio dipendente non partecipasse attivamente alle attività di lavorazione presenti in
cantiere.
Avverso la sentenza d'appello, l’imputato aveva proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro
motivi di impugnazione.
Con i primi due motivi, il ricorrente, dopo aver invocato il riconoscimento dell'intervenuta prescrizione
del reato allo stesso contestato, censurava la sentenza impugnata per vizio di motivazione, avendo
la corte territoriale motivato in modo illogico e contraddittorio la valutazione delle prove e delle
argomentazioni sostenute a discarico, con particolare riguardo alle deposizioni rese dai testi indotti
dalla difesa, così incorrendo in un travisamento dei fatti e in una carente ricostruzione dell'evento
infortunistico oggetto di giudizio.
Più interessante il terzo motivo di ricorso.
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Il ricorrente si doleva infatti della violazione di legge e del vizio di motivazione in cui sarebbe incorsa
la corte territoriale nella ricostruzione dei limiti della posizione di garanzia dell'imputato, tenuto conto
che l'evento infortunistico si sarebbe verificato nel quadro di lavori eseguiti da una ditta su un'area
di proprietà della committente, e dunque in relazione a un contesto territoriale e a un'attività
imprenditoriale per il quale l'imputato non disponeva di alcuna legittimazione ai fini della
predisposizione di un piano di coordinamento, atteso che l'impresa dell'imputato non era affatto
compartecipe dei lavori commissionati.
Nel caso di specie, peraltro, l'evento lesivo si era verificato in ragione di un comportamento
assolutamente eccezionale e imprevedibile del lavoratore infortunato, la cui abnormità appariva tale
da risolvere ogni possibile legame causale tra le omissioni contestate e l'evento lesivo allo stesso
addebitato.
Con il quarto e ultimo motivo, il ricorrente censurava la sentenza impugnata per vizio di motivazione,
avendo la corte territoriale erroneamente omesso di riconoscere la prevalenza delle circostanze
attenuanti generiche sulle aggravanti contestate, anche con riferimento alla mancata irrogazione
della pena nel minimo edittale.
Tralasciando le argomentazioni della Corte concernenti i temi della presunta estinzione del reato per
intervenuta prescrizione, merita invece un approfondimento l’argomentazione che il Collegio ha
fornito sugli altri motivi di ricorso.
Osserva infatti il Collegio come la Corte territoriale abbia adeguatamente ricostruito le modalità
dell'incidente a seguito del quale il lavoratore infortunato ha subito le lesioni gravissime descritte in
imputazione, elaborando l'insieme degli elementi probatori acquisiti in modo logicamente coerente e
congruamente argomentato.
Al riguardo, nessuna carenza motivazionale può essere ascritta al discorso giustificativo dettato dalla
corte territoriale in relazione alla mancata considerazione delle deposizioni dei testi indotti dalla
difesa, avendo il giudice d’appello ritenuto recessive tali ultime dichiarazioni rispetto al compendio
probatorio diversamente ricostruito sulla base di fonti di prova alternative ritenute più attendibili
sulla base di un'argomentazione ineccepibile sotto il profilo logico-giuridico.
Sul punto, la Suprema Corte richiama il consolidato orientamento della giurisprudenza secondo cui
deve ritenersi incensurabile la valutazione del materiale probatorio operata dal giudice del merito (ivi
compreso il giudizio di attendibilità di talune testimonianze rispetto ad altre) laddove il discorso
giustificativo complessivo sia adeguatamente elaborato sulla base di criteri informati a piena
coerenza logica e linearità argomentativa (Cfr. Sez. 2, Sentenza n. 20806 del 5 maggio 2011).
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Nessuna fondatezza può inoltre riconoscersi, ad avviso della Corte, all'argomentazione relativa alla
denunciata abnormità del comportamento del lavoratore infortunato, avendo la corte territoriale
correttamente sottolineato come la presenza del lavoratore colpito non fosse affatto casuale nel luogo
e nel momento in cui ebbe a verificarsi l'infortunio de quo, essendosi trattato della collaborazione,
da parte del lavoratore, a lavorazioni dallo stesso seguite da lungo tempo senza alcuna interdizione
o dissensi da parte del proprio datore di lavoro e comportanti l'esecuzione di prestazioni del tutto
coerenti alle relative mansioni.
Parimenti irrilevante deve ritenersi l'individuazione dell'effettiva proprietà del terreno su cui insisteva
il cantiere, avendo l'imputato comunque consentito, nella sua qualità di datore di lavoro del
dipendente infortunato, che quest'ultimo partecipasse attivamente alle attività di lavorazione in
essere nel cantiere in assenza di un piano di coordinamento per la previsione di rischi interferenziali
reso necessario dalle distinte lavorazioni contemporaneamente portate avanti con la costruzione
dell'acquedotto e della fognatura indicate in sentenza.
Da ultimo la Corte, con la sentenza in commento, ha ritenuto pienamente adeguata la motivazione
dettata dalla corte territoriale in relazione al giudizio di comparazione tra le circostanze e alla pena
concretamente inflitta, avendo la corte d'appello evidenziato come le gravi conseguenze riportate dal
lavoratore non consentissero alcuno spazio per concedere la prevalenza delle attenuanti rispetto alle
aggravanti contestate o per individuare una misura della pena in corrispondenza dello stretto minimo
edittale. Si tratta di argomentazioni logicamente coerenti e giuridicamente corrette, che le odierne
censure del ricorrente non valgono a scalfire.
Alla luce delle argomentazioni fornite dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 20981 del 19
maggio 2016, si può concludere che la responsabilità datoriale può essere esclusa quando
intervengano i seguenti elementi:
1. Abnormità della condotta del lavoratore
L’azione del lavoratore assume quindi una forza interruttiva del nesso solo quando risulti che esso
abbia dato autonoma efficienza nella produzione del fatto, cioè quando l’imprudenza del dipendente
avrebbe comunque determinato l’accaduto, se anche vi fosse stato rispetto della normativa
infortunistica Infatti, una volta accertato il nesso di causalità tra la violazione di una norma
infortunistica e l’evento lesivo, il comportamento imprudente della vittima non può assurgere a causa
esclusiva della produzione dell’evento. Pur trattandosi infatti di causa sopravvenuta, detto
comportamento non ha però carattere eccezionale, imprevisto e imprevedibile, né può considerarsi
da solo sufficiente a determinare l’evento.
2. Rispetto integrale delle norme antinfortunistiche
Il limite della responsabilità datoriale è dato dalla dimostrazione di aver osservato tutte le misure di
sicurezza previste dalla legge, dalla miglior tecnica, e aver organizzato il lavoro adeguatamente,
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impartendo istruzioni e fornendo procedure idonee. Le norme antinfortunistiche hanno infatti la
funzione primaria di evitare che si verifichino eventi lesivi della incolumità fisica, intrinsecamente
connaturati all’esercizio di talune attività lavorative, anche nell’ipotesi in cui siffatti rischi siano
conseguenti ad eventuale disaccortezza, imprudenza e disattenzione degli operai subordinati, la cui
incolumità deve essere sempre protetta con appropriate cautele. Nell’ipotesi in esame la
responsabilità datoriale è stata riconosciuta proprio a causa del mancato rispetto di questo principio.
Sicurezza in agricoltura
Assunzioni congiunte, referente incerto per fisco e sicurezza
(Roberto Caponi, Il Sole 24 ORE – Quotidiano del Lavoro, 7 giugno 2016)
Le assunzioni congiunte in agricoltura sono ormai una realtà. Ma, nonostante il quadro normativo di
riferimento - dopo l'articolo 9, comma 11, della legge 99/2013 – sia stato integrato con le indicazioni
operative fornite dal ministero del Lavoro (Dm 27 marzo 2014; decreto direttoriale 85/2014; nota
1471/2014; circolare 7671/2015) e dall'Inps (circolare 131/2015; messaggi 6605/2015 e
7635/2015), restano alcune zone d'ombra in merito alla modalità di assolvimento degli obblighi in
materia fiscale e di sicurezza sul lavoro.
Sul punto, infatti, le amministrazioni competenti non si sono ancora espressamente pronunciate.
Logica ed esigenze di semplificazione vorrebbero che, anche con riferimento a queste materie, possa
valere la regola del referente unico valida per gli adempimenti amministrativi. Del resto l'interesse
per le assunzioni congiunte nasce anche dalla necessità di superare le complicazioni burocratiche e
gestionali inerenti a rapporti di lavoro instaurati da una pluralità di aziende che agiscono, di fatto,
come unico operatore economico.
Attraverso questa particolare forma di assunzione due o più imprese agricole, al ricorrere di
determinate condizioni, possono instaurare congiuntamente un rapporto di lavoro con lo stesso
dipendente al fine di utilizzarlo promiscuamente presso le rispettive aziende. Con l'assunzione
congiunta, in sostanza, non si instaurano una pluralità di rapporti di lavoro (tanti quanti sono le
imprese assuntrici), ma uno solo col medesimo prestatore. La particolarità sta nel fatto che una delle
parti, quella datoriale, è composta da una pluralità di soggetti, anziché da uno solo. Resta fermo, per
esplicita previsione della legge, che tutti i datori di lavoro rispondono in solido delle obbligazioni
contrattuali, previdenziali e di legge che scaturiscono dal rapporto.
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L'assunzione congiunta viene incontro a un'esigenza molto sentita nel settore primario, ove le
imprese agricole – laddove i titolari siano legati da vincoli di parentela, da un contratto di rete o
facciano parte di uno stesso gruppo societario – operano di fatto in modo molto simile a un'unica
azienda, pur essendo formalmente distinte dal punto di vista giuridico.
Possono procedere all'assunzione congiunta: le imprese appartenenti allo stesso gruppo societario
che risultino tra loro controllate o collegate ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile; le imprese
riconducibili allo stesso proprietario; le imprese condotte da soggetti legati tra loro da un vincolo di
parentela o affinità entro il terzo grado; le imprese legate da un contratto di rete quando almeno il
50% delle aziende siano agricole.
Trattandosi di un unico rapporto, gli adempimenti amministrativi sono effettuati da un solo soggetto
(referente unico), per conto di tutti i co-datori di lavoro. Ma qual è il soggetto tenuto
all'adempimento? Per i gruppi d'impresa è il capogruppo, mentre per le imprese riconducibili allo
stesso proprietario è quest'ultimo. Più complesse le ipotesi del “gruppo familiare” e del contratto di
rete, giacché in questi casi la legge non individua già, ad altri fini, un soggetto di riferimento.
Occorre dunque rifarsi alla volontà delle parti. Le aziende legate da un contratto di rete possono
individuare l'impresa tenuta a effettuare le comunicazioni relative alle assunzioni congiunte con lo
stesso contratto di rete ovvero con successivo separato accordo da depositarsi presso l'associazione
di categoria con modalità che ne garantiscano la data certa (trasmissione per raccomandata, via Pec,
timbro postale, eccetera). Accordo che, con le stesse modalità, deve essere adottato anche dalle
imprese condotte da soggetti legati da vincolo di parentela o affinità entro il terzo grado.
Il referente unico provvede alla trasmissione della comunicazione di assunzione e all'esecuzione di
tutti gli ulteriori atti formali connessi alla gestione del rapporto di lavoro (tenuta del libro unico del
lavoro, elaborazione del prospetto di paga, trasmissione della denuncia all'Inps, pagamento modello
F 24, eccetera).
Per alcuni adempimenti, come la comunicazione di assunzione e le denunce all'Inps, sono però
previste particolari modalità operative. Infatti la trasmissione della comunicazione di assunzione dei
lavoratori reclutati con questa particolare tipologia contrattuale deve essere effettuata
necessariamente attraverso il portale www.cliclavoro.gov.it (che poi provvederà a girare
l'informazione agli snodi regionali), inserendo nel modello Unilav (sezione “altri datori di lavoro”) gli
ulteriori datori di lavoro che procedono all'assunzione congiunta, e cioè tutti quelli diversi da chi
effettua la comunicazione di assunzione.
Altra particolarità è rappresentata dalle modalità di denuncia all'Inps. Per far fronte agli adempimenti
previdenziali e poter presentare le denunce contributive, le imprese co-datrici, sono tenute a
presentare, per il tramite del referente unico, una denuncia aziendale (D.A.) finalizzata a identificare
i datori di lavoro coinvolti. In sostanza, il referente unico dovrà dotarsi di un Cida (codice identificativo
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denuncia aziendale) diverso e distinto da quello che utilizza normalmente quale datore di lavoro
singolo. Una volta ottenuto l'apposito Cida, il soggetto incaricato potrà presentare la denuncia
trimestrale della manodopera occupata (mod. Dmag) per conto di tutti i co-datori di lavoro
interessati. La dichiarazione trimestrale dovrà riportare il numero di giornate lavorate nei mesi
oggetto della denuncia, ripartite tra le singole aziende co-datrici, secondo l'utilizzo che hanno fatto
del lavoratore nel periodo di riferimento.
Sicurezza in antincendio - 1
Prevenzione incendi, aggiornamento ogni cinque anni per
l’iscrizione dei professionisti negli elenchi ministeriali
(Luigi Caiazza, Il Sole 24 ORE – Quotidiano del Lavoro, 28 giugno 2016)
Dal 25 giugno sono scattate le nuove procedure per il mantenimento dell'iscrizione, da parte dei
professionisti, negli elenchi tenuti presso il ministero dell'Interno riguardanti i soggetti abilitati a
rilasciare dichiarazioni attestanti la conformità delle attività produttive alla normativa in materia di
prevenzione incendi. Le novità sono contenute nel decreto ministeriale dell'Interno dell’8 giugno
2016, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del 24 giugno ed entrato in vigore il 25. Esse modificano, in
parte, l'articolo 7 del precedente Dm del 5 agosto 2011.
Con la nuova disposizione viene stabilito che, per il mantenimento dell'iscrizione negli elenchi del
ministero dell'Interno, i professionisti devono effettuare ogni cinque anni corsi o seminari di
aggiornamento in materia di prevenzione incendi della durata complessiva di almeno quaranta ore,
tenendo presente che il termine di cinque anni decorre:
-dalla data di iscrizione negli appositi elenchi, dei professionisti iscritti in albi professionali, tenuti
presso il ministero;
-dalla data di riattivazione dell'iscrizione, in caso di sospensione determinata dal non aver effettuato
i corsi o i seminari di aggiornamento;
-dal 25 giugno (data di entrata in vigore del decreto), per i professionisti già iscritti alla medesima
data negli elenchi ministeriali citati.
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La novità riguarda la frequenza dei corsi che, a differenza del decreto del 2011 (non ne stabiliva
esattamente i termini), ora vengono fissati «ogni cinque anni». Infatti erano sorti dei dubbi circa la
periodicità dei corsi stessi.
Poiché il decreto ministeriale nulla ha innovato per quanto concerne i programmi dei corsi e dei
seminari di aggiornamento, deve ritenersi che continuino applicarsi le disposizioni stabilite
dall'articolo 7, commi 2 e seguenti. Innanzi tutto è da ricordare, come già in parte anticipato, che in
caso di mancata osservanza degli obblighi di aggiornamento, il professionista è sospeso dagli elenchi
ministeriali, fino a quando non avrà provveduto all'obbligo.
I programmi dei corsi tengono conto delle innovazioni tecnologiche e degli aggiornamenti normativi
e sono organizzati dagli ordini o collegi professionali provinciali o, di intesa con gli stessi, dalle
autorità scolastiche o universitarie. A loro volta, gli ordini o collegi sono quelli dei professionisti che
possono essere iscritti negli elenchi in questione, o che siano già iscritti nei rispettivi albi
professionali: degli ingegneri, degli architetti-pianificatori-paesaggisti e conservatori, dei chimici, dei
dottori agronomi e dottori forestali, dei geometri e dei geometri laureati, dei periti industriali e dei
periti industriali laureati, degli agrotecnici e degli agrotecnici laureati, dei periti agrari e periti agrari
laureati.
Sempre ai fini dell'iscrizione nell'elenco ministeriale, tali professionisti devono essere in possesso
altresì dell'attestazione di frequenza con esito positivo del corso di base di specializzazione di
prevenzione incendi, della durata non inferiore a 120 ore, riguardante varie materie attinenti la
prevenzione contro gli incendi, elencate nell'articolo 4 del Dm 5 agosto 2011, accompagnate da
esercitazioni pratiche e visite formative presso attività soggette ai controlli di prevenzione incendi.
Sicurezza in antincendio - 2
La prevenzione incendi negli uffici
(Pierpaolo Masciocchi, Il Sole 24 ORE – Tecnici24, 28 giugno 2016)
Sulla Gazzetta Ufficiale n.145 del 23 giugno 2016 è stato pubblicato il decreto del Ministero
dell’Interno 8 giugno 2016 recante “Approvazione di norme tecniche di prevenzione incendi per le
attività di ufficio”, ai sensi dell’articolo 15 del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139.
La norma riguarda gli uffici con oltre 300 persone presenti, ovvero gli edifici o locali adibiti all’attività
di ufficio di qualsiasi tipo, all’interno dei quali possono essere comprese anche specifiche attività, non
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strettamente riconducibili all’ufficio stesso, ma in ogni caso funzionali e compatibili con tale
destinazione d’uso (es. pubblici esercizi per la somministrazione di alimenti e bevande, agenzie di
servizi, aree commerciali di modeste superfici con quantitativi di materiali combustibili non
significativi ecc.).
Il decreto, che entrerà in vigore il trentesimo giorno successivo alla data di pubblicazione nella
Gazzetta Ufficiale, potrà essere applicato alle attività esistenti alla data di entrata in vigore del
provvedimento, indicate dal numero 71 all’allegato 1 del D.P.R. 1° agosto 2011, n. 151 (aziende ed
uffici con oltre 300 persone presenti (Categoria A fino a 500 persone; B oltre 500 e fino a 800
persone; C oltre 800 persone). Potrà essere applico in alternativa a quanto previsto dal Decreto
Ministeriale 22 febbraio 2006.
Per effetto della pubblicazione del decreto vengono contestualmente modificati l’allegato 1 del
Decreto del Ministro dell’interno 3 agosto 2015 e gli articoli 1, comma 2, e 2 comma 1 del medesimo
decreto.
Ai fini antincendio, gli uffici sono classificati come segue:
• in relazione al numero degli occupanti n:
OA: 300 < n ≤ 500 occupanti;
OB: 500 < n ≤ 800 occupanti;
OC: n > 800 occupanti.
• in relazione alla massima quota dei piani h:
HA: h ≤ 12 m;
HB: 12 m < h ≤ 24 m;
HC: 24 m < h ≤ 32 m;
HD: 32 m < h ≤ 54 m;
HE: h > 54 m.
Le aree dell'attività sono classificate come segue:
TA: aree dedicate agli uffici e spazi comuni;
TM: depositi o archivi di superficie lorda maggiore di 25 m2 e carico di incendio specifico qf > 600
MJ/m2;
TO: locali con affollamento > 150 persone
TK: locali con carico di incendio specifico qf > 1200 MJ/m2.
TT: locali in cui siano presenti quantità significative di apparecchiature elettriche ed elettroniche,
locali tecnici rilevanti ai fini della sicurezza antincendio;
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TZ: altre aree (ad esempio locali ove si detengano o trattino sostanze o miscele pericolose o si
effettuino lavorazioni pericolose ai fini dell'incendio o dell'esplosione).
Viene indicata una specifica strategia antincendio che prevede che debbano essere applicate tutte le
misure antincendio della regola tecnica orizzontale attribuendo i livelli di prestazione secondo i criteri
in esse definiti e che debbano essere applicate anche le prescrizioni del capitolo V.1. in merito alle
aree a rischio specifico.
Quanto alla reazione al fuoco si specifica che nelle vie d'esodo verticali e nei passaggi di
comunicazione delle vie d'esodo orizzontali (es. corridoi, atri, spazi calmi, filtri, …) devono essere
impiegati materiali appartenenti almeno al gruppo GM2 di reazione al fuoco.
Si dispone poi che negli ambienti di cui sopra sia ammesso l'impiego di materiali appartenenti al
gruppo GM3 di reazione al fuoco con l'incremento di un livello di prestazione delle misure richieste
per il controllo dell'incendio e per la rivelazione ed allarme.
Non è richiesta la verifica dei requisiti di reazione al fuoco dei soli elementi strutturali portanti lineari
(travi e pilastri) in legno.
Quanto alla resistenza al fuoco, si dispone che la classe di resistenza al fuoco dei compartimenti non
possa essere comunque inferiore a quanto previsto in tabella.
Attività
Compartimenti HA HB HC HD HE
Fuori terra 30 30 60 60 60
Interrati 60 60 60 60 60
Riguardo, infine, al controllo dell'incendio si prevede che, in relazione al tipo di aree presenti, l'attività
debba essere dotata di misure di controllo dell'incendio secondo i livelli di prestazione in seguito
riportati.
Attività
Aree
presenti
HA HB HC HD HE
TA, TM, TO,
TT, TK
II III III III IV
TK III (1) III (1) IV IV IV
TZ Secondo risultanze dell’analisi del rischio
(1] = livello IV qualora ubicati a quota inferiore a -10 m o di superficie > 50 mq
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Sicurezza e privacy
I dati sanitari e di rischio dei lavoratori sottoposti a sorveglianza
sanitaria
(Pierpaolo Masciocchi, Il Sole 24 ORE – Sicurezza24, 16 giugno 2016)
Dal 25 maggio 2016 è disponibile, sul sito internet dell'Inail, il servizio "Comunicazione medico
competente", che consente ai medici competenti di gestire la comunicazione dei dati di sorveglianza
sanitaria in un'ottica di standardizzazione metodologica e procedurale per la trasmissione delle
informazioni alla Asl di riferimento.
L'obbligo di comunicare per via telematica ai servizi competenti per territorio le informazioni relative
ai dati aggregati sanitari e di rischio dei lavoratori sottoposti a sorveglianza sanitaria tra origine,
come noto, dall'articolo 40 del D.Lgs 81/08 il quale evidenzia, tra l'altro, che le informazioni devono
essere elaborate evidenziando le differenze di genere e devono comprendere i dati identificativi
dell'azienda, i dati identificativi del medico competente, i rischi cui sono esposti i lavoratori, i
protocolli sanitari adottati, gli infortuni denunciati, le malattie professionali segnalate e la tipologia
dei giudizi di idoneità.
Si ricorda che i contenuti e le modalità di trasmissione delle informazioni sono stati definiti con il
d.m. 9 luglio 2012 (pubblicato in Gazzetta ufficiale il 26 luglio 2012 e modificato dal d.m. 6 agosto
2013 pubblicato in Gazzetta ufficiale n. 212 del 10 settembre 2013).
L'applicativo dell'Inail mira a perseguire i seguenti obiettivi:
- adempimento all'obbligo dell'articolo 40 del Testo Unico sicurezza relativo alla comunicazione dei
dati di sorveglianza sanitaria;
- dotazione di un unico strumento di lavoro su tutto il territorio per la raccolta e la trasmissione dei
dati;
- standardizzazione delle modalità di compilazione dell'allegato 3B;
- gestione del flusso comunicativo tra i soggetti coinvolti: Medico Competente, ASL, Regione, INAIL.
Il medico competente può operare sulle aree reingegnerizzate "Associa unità produttiva" e "Nuova
comunicazione" in maniera più intuitiva grazie alla riorganizzazione delle funzionalità, la presenza di
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un menù a tendina per la selezione delle opzioni e alla nuova veste grafica della pagina. In ogni
momento, il medico competente può identificare nella schermata di compilazione la fase del percorso
in cui si trova. Inoltre, una funzione di "alert" prima del salvataggio segnala eventuali errori e ne
facilita le soluzioni.
Per facilitare l'accesso e l'utilizzo dell'applicativo sono state pubblicate delle guide operative che
illustrano le fasi in cui si articola il processo di compilazione, l'invio della comunicazione e tutte le
altre funzionalità dell'applicativo.
Tre sono le fasi principali per il corretto utilizzo dell'applicativo:
- Registrazione e login all'applicativo;
- Inserimento e associazione all'Unità Produttiva;
- Compilazione dati e invio nuova comunicazione.
Per poter accedere all'applicativo, occorre innanzitutto registrarsi al portale INAIL come Medico
Competente, cliccando su "Accedi ai Servizi Online". Se non si è in possesso di alcuna registrazione
sul portale Inail, occorre selezionare "Registrazione – Login", "Istruzioni per l'accesso" ed, infine,
"Registrazione Medico Competente", come evidenziato in seguito.
Occorrerà, poi, compilare la maschera dei dati anagrafici.
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Una volta entrati nell'applicativo, sarà possibile accedere alle funzioni necessarie per l'invio della
Comunicazione, ovvero "Associa Unità Produttiva" e "Nuova Comunicazione".
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La funzione Associa Unità Produttive consente l'associazione del medico competente alle Unità
Produttive per le quali deve inviare le comunicazioni e presenta le seguenti voci:
- Associa Unità Produttive
- Rinnova Associazioni
- Tutte le associazioni;
- Associazioni Tardive;
La funzione Nuova Comunicazione consente invece l'inserimento e l'invio delle comunicazioni e
presenta le seguenti voci:
- Nuova comunicazione;
- Comunicazioni in Bozza;
- Comunicazioni via File;
- Tutte le Comunicazioni;
- Comunicazioni Tardive.
Completate tutte le sezioni, il sistema propone il riepilogo dei dati inseriti per consentire una verifica
prima della trasmissione della comunicazione. A corredo dei dati inseriti dal medico competente, il
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sistema inserisce automaticamente i dati identificativi dell'azienda e del medico competente che sta
eseguendo l'invio della comunicazione.
Se la comunicazione è completa può essere inviata cliccando sull'apposito pulsante "Invia" o, nel
caso i termini siano scaduti, è possibile metterla in uscita tramite il pulsante "In Uscita".
Al momento dell'invio il sistema verifica la correttezza dei dati inseriti dal medico competente ed
eventualmente segnala i dati mancanti.
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Sicurezza e attestazioni
I controlli sulla documentazione di sicurezza
(Pierpaolo Masciocchi, Il Sole 24 ORE – Sicurezza24, 16 giugno 2016)
Come noto, l’attività di controllo e vigilanza sui luoghi di lavoro prevede l’effettuazione di sopralluoghi
ispettivi al fine di:
-individuare ed accertare la presenza di fattori di rischio per la salute dei lavoratori,
-verificare l’adozione delle cautele necessarie e di promuovere, in caso di carenze in tema di igiene
e sicurezza del lavoro, l’attuazione di misure di prevenzione e protezione in modo da eliminare o
ridurre il rischio di infortuni e malattie professionali,
-in caso di infortuni e malattie professionali, individuare le cause e determinare eventuali
responsabilità
Oltre a tali aspetti di natura “sostanziale”, l’attività di controllo si rivolge anche alla verifica “formale”
circa la presenza e la correttezza della documentazione “obbligatoria”. Questa documentazione, che
deve essere presente sempre nella sede aziendale, serve a dimostrare che nell’impresa sono state
attuate le disposizioni previste nel D.Lgs. 81/08.
Al riguardo, è interessante verificare quali siano i limiti e i confini attribuiti al personale ispettivo in
fase di verifica documentale.
Non infrequenti, ad esempio, sono i casi di controlli di ordine formale riguardanti la "fascicolazione"
del documento di valutazione dei rischi, la "data certa" e – soprattutto - qualora questi e altri
adempimenti risultino soddisfatti - il pregresso dell'azienda in ordine al DVR. Talvolta i controlli si
spingono indietro nel tempo, e sono volti a verificare la presenza della data certa
nell’autocertificazione in imprese con meno di 10 dipendenti.
Si riporta il caso di un’azienda cui viene contestata l’assenza di documentazione atta a dimostrare
che, prima del 2013, erano stati valutati tutti i rischi aziendali. Nel caso di specie l’azienda, con soli
tre lavoratori, disponeva di tutti gli attestati in ordine alla formazione, aveva svolto le visite mediche
per la sorveglianza sanitaria, aveva nominato i vari addetti alla sicurezza, aveva l’autocertificazione
dell’avvenuta valutazione dei rischi, ma tale atto era carente di data certa.
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Al di là del caso specifico - che merita comunque, per la sua significatività, un idoneo
approfondimento – capita sovente che sia richiesto al datore di lavoro di esibire non solo la
documentazione aziendale “attuale”, ma anche quella antecedente.
Vediamo allora di ripercorrere il processo di verifica ispettiva e di porre in evidenza le modalità per
una sua corretta attuazione.
Una volta espletato l’accesso in azienda, il personale ispettivo indica specificamente la tipologia di
documentazione che intende esaminare e, all’occorrenza, può acquisire oltre alla documentazione
strettamente “lavoristica”, eventualmente in possesso del datore di lavoro, anche altra
documentazione che possa costituire un utile elemento indiziario.
I documenti che vengono visionati o richiesti abitualmente sono tra quelli elencati in apposite check
list che riportano quanto obbligatorio per tutte le aziende e in tutti i settori di attività. Un esempio di
tale documentazione è riportata in fine alla presente nota.
È chiaro che la presenza di alcuni documenti dipende dall’effettiva sussistenza di una condizione
particolare di rischio. La documentazione richiesta al momento del sopralluogo è in funzione del tipo
di intervento, che può essere finalizzato al controllo di specifici aspetti di igiene e sicurezza.
Oltre alla documentazione eventualmente conservata in azienda che possa rivelarsi utile per le
indagini, il personale ispettivo può richiedere al datore di lavoro, mediante la compilazione
dell’apposito riquadro del verbale di primo accesso, l’esibizione dei documenti tenuti altrove, tra cui
i documenti conservati presso lo studio del professionista delegato all’adempimento degli obblighi
stabiliti dalla legislazione sociale.
In linea generale, la documentazione può essere esaminata tanto presso il luogo di lavoro, quanto
presso la direzione territoriale del lavoro di appartenenza del personale ispettivo o, se necessario,
presso gli studi dei professionisti delegati all’assistenza del datore di lavoro. In concreto, il luogo di
esame della documentazione va individuato in base alle esigenze del singolo accertamento ed alle
indicazioni fornite in sede di programmazione.
Il personale ispettivo prende visione ed analizza i documenti utili al fine di ricostruire il più completo
ed obiettivo quadro della situazione aziendale e della regolarità degli adempimenti alla normativa
lavoristica in relazione alle finalità dell’accertamento.
Tuttavia, all’atto dell’acquisizione della documentazione al fascicolo dell’ispezione, dovranno essere
selezionati i soli atti necessari a dimostrare le violazioni accertate e contestate ed idonei a supportare
l’eventuale successiva attività di contenzioso amministrativo e/o giudiziario.
A questo punto del processo di verifica – e venendo alle tematiche poste in premessa – due sono le
considerazioni da svolgere.
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1. Possibilità degli ufficiali di polizia giudiziaria di chiedere documentazione anche del passato. Tale
possibilità è, a nostro avviso contemplata dalle prerogative degli ispettori e, quindi, è attività
consentita (per quanto, dal punto di vista della opportunità, del tutto discutibile).
2. Possibilità di irrogare sanzioni per inosservanza delle disposizioni in materia di valutazione dei
rischi prima del 2013. A far data da giugno 2013, come noto, tutte le aziende devono avere un
documento di valutazione dei rischi e, quindi, è a partire dal 2013 che gli ispettori possono contestare
la mancata presenza del DVR e la mancata applicazione delle disposizioni sulla "data certa" o sulla
firma da parte di tutti i soggetti della sicurezza (datore di lavoro, RLS, medico competente, RSPP).
Ne deriva che il datore di lavoro può esibire una "autocertificazione" anteriore al 2013 e che essa
significherà ottemperanza ai precetti normativi (per il principio di irretroattività della normativa di
riferimento, che si riferisce solo al periodo successivo a giugno 2013). In particolare, non potrebbe
l'ufficiale di polizia giudiziaria ritenere l'autocertificazione illegittima per mancanza di "data certa" in
quanto tale requisito è stato inserito nel "testo unico" nel 2008 e poi nel 2009 (con il "correttivo")
relativamente al documento di valutazione dei rischi e non anche rispetto alla "autodichiarazione".
Quindi, nel periodo tra il 2009 e il 2013 chi "autodichiarava" la valutazione dei rischi non doveva
munire la certificazione di data certa.
Giova ricordare, in proposito, che la disposizione che ha imposto la necessità di apporre sul
documento di valutazione dei rischi la data certa è entrata in vigore dal 16 maggio 2009 (in virtù
della proroga contenuta nell’art. 32 del D.L. 30/12/08, n. 207, convertito dalla legge 27/02/09, n.
14).
Nell’anno 2000 il Garante per la protezione dei dati personali con il Provvedimento del 5 dicembre
2000 - Misure minime di sicurezza - fornì alcuni chiarimenti sulla data certa dell'atto previsto dall'art.
1 della L. 325/00. In proposito, per quanto di competenza, il Garante osservava che tale requisito si
collega con la comune disciplina civilistica in materia di prove documentali e, in particolare, con
quanto previsto dagli artt., 2073 e 2704 e 2705 c.c., i quali recano un'elencazione non esaustiva
degli strumenti per attribuire data certa ai documenti, consentendo di provare tale data anche in
riferimento a ogni "fatto che stabilisca in modo egualmente certo l'anteriorità della formazione del
documento". La legge 325/00 presuppone quindi che il documento in questione sia collegabile ad un
fatto oggettivo attribuibile al soggetto che lo invoca, ma sottratto alla sua esclusiva sfera di
disponibilità.
In questa prospettiva, senza pretesa di indicare in modo esauriente tutti i possibili strumenti idonei
ad assegnare al documento una data certa, il Garante richiama l'attenzione dei titolari del
trattamento sulle seguenti possibilità che appaiono utilmente utilizzabili:
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-ricorso alla c.d. "autoprestazione" presso uffici postali prevista dall'art. 8 del D.Lgs. 22 luglio 1999,
n. 261, con apposizione del timbro direttamente sul documento avente corpo unico, anziché
sull'involucro che lo contiene;
-in particolare per le amministrazioni pubbliche, adozione di un atto deliberativo di cui sia certa la
data in base alla disciplina della formazione, numerazione e pubblicazione dell'atto;
-apposizione della c.d. marca temporale sui documenti informatici (art. 15, comma 2, legge 15 marzo
1997, n. 59; D.P.R. 10 novembre 1997, n. 513; artt. 52 ss. d.p.c.m. 8 febbraio 1999). Il sistema
della marca temporale basa la propria modalità di certificazione della marca temporale su un
procedimento informatico regolamentato dalla legge italiana, che permette di datare in modo certo
ed opponibile a terzi un oggetto digitale (file). La Data Certa è un servizio di certificazione temporale
apposto, per es. tramite il servizio INFOCAMERE della Camera di Commercio che permette di datare
in modo certo ed opponibile a terzi qualunque tipo di documento. Tra i profili probatori del documento
informatico assume un'importanza fondamentale l'attribuzione della cosiddetta 'data certa' e cioè la
prova della formazione del documento in un certo arco temporale o, comunque, della sua esistenza
anteriormente ad un dato evento (art. 2704 codice civile). Nel tradizionale sistema di
documentazione cartacea, l'attribuzione della data certa (efficace nei confronti dei terzi e non solo
tra le parti) deriva principalmente dal riscontro di un'attestazione fatta da un soggetto terzo ed
imparziale depositario di pubbliche funzioni (autentica comunale). La marca temporale (digital time
stamp) attesta infatti l'esistenza di un documento informatico (o meglio di un file informatico) ad
una determinata data ed ora (“validazione temporale”). L'apposizione di una marca temporale
produce l'effetto giuridico di attribuire 'ad uno o più documenti informatici una data ed un orario
opponibili ai terzi' (art. 8 comma 1, e art 22, comma 1, lettera g, D.P.R. 445/00) e, dunque, non
solo efficaci tra le parti. La veridicità ed esattezza di una marca temporale, come per i certificati delle
chiavi pubbliche si presume fino a prova contraria;
-ricorso alla posta elettronica certificata. La posta elettronica certificata è il servizio di posta
elettronica che fornisce al mittente la prova legale dell'invio e della consegna di documenti
informatici. La posta elettronica certificata (PEC) è la trasmissione telematica di comunicazioni con
ricevuta di invio e di una ricevuta di consegna e avviene ai sensi del decreto del Presidente della
Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68. La trasmissione del documento informatico per via telematica,
effettuata mediante la posta elettronica certificata, equivale, nei casi consentiti dalla legge, alla
notificazione per mezzo della posta e ha valore legale. La data e l'ora di trasmissione e di ricezione
di un documento informatico trasmesso mediante posta elettronica certificata sono opponibili ai terzi
se conformi alle disposizioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n.
68, e alle relative regole tecniche. Nei casi di invio o ricezione di messaggi verso caselle di posta
elettronica tradizionale, il sistema non può eseguire tutti i passi previsti dal circuito della posta
certificata e non esplica tutti i requisiti previsti dalla normativa vigente. Per tale ragione la
trasmissione dei messaggi non ha gli stessi effetti legali di validità e opponibilità.
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-apposizione di autentica, deposito del documento o vidimazione di un verbale, in conformità alla
legge notarile; formazione di un atto pubblico;
-registrazione o produzione del documento a norma di legge presso un ufficio pubblico.
Si evidenzia da ultimo che, in relazione alle ripetute segnalazioni ricevute in ordine alla complessità
della procedura necessaria ad ottenere la certezza della data, il D.Lgs. 106/09, al duplice fine di non
gravare sulle imprese con un onere amministrativo piuttosto pesante in termini gestionali e di ribadire
che il documento di valutazione del rischio è il frutto di un’azione sinergica e condivisa dei soggetti
delle sicurezza in azienda, ha introdotto il principio per il quale, in alternativa alla data certa, possa
essere sufficiente la sottoscrizione del documento da parte del datore di lavoro (il quale solo,
beninteso, ne assume la giuridica responsabilità), del responsabile del servizio di prevenzione e
protezione, del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza e del medico.
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� Sicurezza
� DAL JOBS ACT LE SANZIONI PER IL LAVORO IN NERO
D. A seguito dell'accesso della Guardia di finanza presso uno studio medico, è stata rilevata la
presenza di una persona addetta alla segreteria, irregolare, che sostituiva un altro dipendente in
malattia. Il medico, due giorni dopo l’accesso ispettivo, ha provveduto a regolarizzare la posizione
con contratto di somministrazione per la durata di una settimana, tempo che sarebbe servito per il
decorso della malattia del dipendente sostituito. La Guardia di finanza ha, comunque, notificato alla
parte il processo verbale di constatazione con irrogazione della maxisanzione e con diffida ad
adempiere. Si chiede quali siano specificatamente le conseguente per il datore di lavoro che, a
seguito di tale notifica, non dovesse adempiere alla diffida, considerato che si sta procedendo ad una
valutazione di convenienza, visto anche il breve periodo di lavoro che la persona irregolare ha svolto.
----
R. Il Jobs act, con il decreto legislativo n.151/15 (decreto semplificazioni), entrato in vigore il 24
settembre 2015, è intervenuto in materia di sanzioni per lavoro nero, modificando altresì le sanzioni
per irregolarità nella gestione delle pratiche del rapporto di lavoro (registrazione dati, stipendio,
busta paga).Un’altra novità è rappresentata dalla reintroduzione dell’istituto della diffida (articolo 13,
decreto legislativo 124/2004), in base al quale il personale ispettivo invita il datore di lavoro alla
regolarizzazione, e può anche applicare uno sconto sulle sanzioni.
In base alla nuova formulazione della norma, la diffida prevede:
- la stipulazione di un contratto di lavoro a tempo indeterminato, anche a tempo parziale, con una
riduzione di orario non superiore al 50 per cento, oppure un contratto a tempo determinato, a tempo
pieno, per un periodo non inferiore a tre anni;
- il divieto di licenziare il lavoratore prima di tre mesi;
- la prova dell’avvenuta regolarizzazione e del pagamento delle sanzioni entro 120 giorni dalla notifica
del verbale.
Quanto alle conseguenze in caso di mancato adempimento alla diffida entro 120 giorni dalla sua
notifica, si precisa che il verbale unico produce gli effetti della contestazione e notificazione degli
addebiti accertati nei confronti del trasgressore e dell’obbligato in solido e, in caso di mancato
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, Luglio 2016, n. 7
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pagamento delle richiamate sanzioni, gli organi di vigilanza sono tenuti a redigere e ad inviare alla
sede dell’Ispettorato nazionale del Lavoro (già direzione territoriale del Lavoro) territorialmente
competente un rapporto circostanziato, contenente anche apposite osservazioni in caso di
presentazione di eventuali scritti difensivi.
A tale rapporto deve essere allegata tutta la documentazione probatoria utile alla prosecuzione del
procedimento sanzionatorio. In tali casi, infatti, l’Ispettorato nazionale del Lavoro è deputato alla
verifica tanto della correttezza procedimentale, quanto della fondatezza degli accertamenti svolti, ai
fini dell'emanazione dei conseguenti provvedimenti di ingiunzione o di archiviazione.
Infine, c’è una rimodulazione anche delle sanzioni previste per evitare la sospensione dell’attività
imprenditoriale, che in base all’articolo 14 del Dlgs 81/2008 scatta se i lavoratori in nero sono
superiori al 20% della forza lavoro o in caso di gravi e reiterate violazioni in materia di tutela e
sicurezza sul lavoro.
(Il Sole 24 ORE – Quotidiano del Diritto, L’Esperto Risponde, 29 giugno 2016)
� REQUISITI DEL COORDINATORE
D. Abilitazione ottenuta con ex 494 prima del T.U ed effettuato il corso di aggiornamento delle 40
ore a maggio 2009, quindi secondo quanto confermato anche dal relativo interpello occorre effettuare
altre 40 ore di aggiornamento entro maggio 2018. Secondo un ispettore siccome il corso è stato
seguito prima dell'entrata in vigore del 106-09, quindi prima di agosto, i 5 anni per l'aggiornamento
decorrono dal 2009 data in cui è stato eseguito l'aggiornamento e non dal maggio 2013. Lo stesso
rimarcava che se l'aggiornamento fosse stato fatto dopo il 106, sempre nel quinquennio fino al 2013,
allora il termine ultimo per l'aggiornamento sarebbe stato maggio 2018, insistendo che la
discriminante fosse il 106.
----
R. In riferimento al quesito posto occorre osservare che l'art. 66, D.Lgs. 106/09, ha introdotto alcune
innovazioni in materia di formazione obbligatoria dei coordinatori nei cantieri (art. 98) che, occorre
ricordare, inizialmente è stata uno dei lati più oscuri del D.Lgs. 81/08, soprattutto per quanto
concerne l'aggiornamento. Per questo motivo, da un lato, è stato consentito ai professionisti di
frequentare i corsi anche presso gli ordini o i collegi professionali diversi da quelli di appartenenza
mentre, dall'altro, sono stati fatti salvi gli attestati rilasciati ai sensi del D.Lgs. 494/96 a conclusione
di corsi avviati prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. 81/08 (15 maggio 2008), fermo restando
l'obbligo di aggiornamento di cui all'Allegato XIV che, proprio su questo punto, ha subito rilevanti
modifiche. Infatti, pur restando immutato il principio dell'aggiornamento a cadenza quinquennale
della durata complessiva di 40 ore, lo stesso dovrà essere effettuato anche per mezzo di diversi
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, Luglio 2016, n. 7
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moduli nell'arco del quinquennio o tramite la partecipazione a convegni o a seminari con un numero
massimo di 100 partecipanti; inoltre, come riportato chiaramente nell'allegato XV Per coloro che
hanno conseguito l'attestato prima dell'entrata in vigore del presente decreto [ossia il D.lgs. 81/2008
n.d.a.], l'obbligo di aggiornamento decorre dalla data di entrata in vigore del medesimo decreto.
Pertanto per coloro che hanno conseguito l'attestato prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. 81/08,
l'obbligo di aggiornamento quinquennale decorre dalla data del 15 maggio 2008.
(Il Sole 24 ORE – Tecnici24 Risponde, 6 giugno 2016)
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, Luglio 2016, n. 7
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(G.U. 29 giugno 2016, n. 150)
� Sicurezza
MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE
DECRETO 8 aprile 2016, n. 99
Regolamento per il recepimento delle direttive 2014/77/UE e 2014/99/UE, che aggiornano i
riferimenti ai metodi di analisi e di prova contenuti nella direttiva 98/70/CE (qualità della benzina e
del combustibile diesel per autotrazione) e nella direttiva 2009/126/CE (recupero di vapori durante
il rifornimento dei veicoli a motore).
(G.U. 11 giugno 2016, n. 135)
MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE
DECRETO 12 maggio 2016, n. 101
Regolamento recante l'individuazione delle modalità di raccolta, di smaltimento e di distruzione dei
prodotti esplodenti, compresi quelli scaduti, e dei rifiuti prodotti dall'accensione di pirotecnici di
qualsiasi specie, ivi compresi quelli per le esigenze di soccorso, ai sensi dell'articolo 34 del decreto
legislativo 29 luglio 2015, n. 123.
(G.U. 14 giugno 2016, n. 137)
DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 26 maggio 2016, n. 109
Regolamento recante approvazione dello Statuto dell'Ispettorato nazionale del lavoro.
(G.U. 21 giugno 2016, n. 143)
MINISTERO DELL'INTERNO
DECRETO 8 giugno 2016
Approvazione di norme tecniche di prevenzione incendi per le attività di ufficio, ai sensi dell'articolo
15 del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139.
(G.U. 23 giugno 2016, n. 145)
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, Luglio 2016, n. 7
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