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ISTITUTO DI ISTRUZIONE SUPERIORE
NEWTON-PERTINI
Esame di stato
Tesina finale
L’immunità contro il cancro
Studente: Gianluca Maria Occari
Classe: VC L.S.T.
Anno scolastico: 2016-2017
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Indice
1. Introduzione………………………………………………………………………………………………………………3
2. Neoplasie e caratteristiche delle cellule tumorali……………………………………………………….4
2.1. Cancerogenesi……………………………………………………………………………………………………..5
2.2. Caratteristiche essenziali per la malignità…………………………………………………………….7
3. Risposta immunitaria innata e acquisita…………………………………………………………...………..9
3.1. Immunità innata…………………………………………………………………………………………………..9
3.2. Immunità acquisita…………………………………………………………………………………………….10
4. Risposta immunitaria scatenata dai tumori e meccanismi di elusione……………………….13
4.1. Antigeni tumorali……………………………………………………………………………………………….13
4.2. Risposta immunitaria da parte dei CTL……………………………………………………………….14
4.3. Elusione delle risposte immunitarie……………………………………………………………………15
5. Immunoterapia…………………………………………………………………………………………………………18
5.1. Storia……………………………………………………………………………………...…………………………18
5.2. Somministrazione di anticorpi monoclonali……………………………………………………….20
5.3. Vaccinazione con cellule dendritiche………………………………………………………………….21
5.4. Cellule CAR-T……………………………………………………………………………………………………..22
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1.Introduzione
Questa tesina si ripropone di dare uno sguardo generale a una delle nuove frontiere della
lotta contro il cancro. I ricercatori si stanno concentrando su una tipologia innovativa di
cura che si basa su principi totalmente differenti dalle terapie convenzionali dotate di grossi
limiti, tra le quali radioterapia e chemioterapia. Le approfondite conoscenze riguardo al
sistema immunitario hanno permesso di dimostrare che l’organismo mette in atto
naturalmente meccanismi di difesa contro il cancro. Così, nella comunità scientifica, si è
diffusa l’idea di potenziare l’immunità per ottenere un’efficace strategia antitumorale. Il
risultato di tale idea è lo sviluppo della cosiddetta immunoterapia.
Le motivazioni che mi hanno spinto a trattare questo argomento sono principalmente due.
Innanzitutto ritengo che il tema trattato sia molto importante in quanto la diffusione del
cancro è molto elevata, tanto che difficilmente le nostre storie non lo hanno incontrato. Le
malattie neoplastiche, infatti, costituiscono la seconda causa di morte nel mondo,
precedute solo dalle malattie cardiovascolari. Tuttavia ho deciso di non incentrarmi sui
tumori visti come malattie, bensì di indagare una delle possibilità di risposta ad essi, resa
possibile grazie alle moderne biotecnologie. In secondo luogo, infatti, ritengo che possa
essere molto interessante addentrarsi in argomenti di recente scoperta o ancora oggetti di
ricerca.
Diversi sono, poi, gli argomenti del programma di scienze di quest’anno che mi hanno
indirizzato. Tra questi vi sono la regolazione dell’espressione genica; i geni regolatori; la
genetica dei virus; il rapporto tra virus, geni oncosoppressori e retinoblastoma; la tecnologia
del DNA ricombinante e le biotecnologie; il trasferimento di geni in organismi eucarioti.
La tesina è strutturata in tre parti principali. Nella prima parte verrà presentato in maniera
molto generale il cancro e in seguito saranno definite le principali caratteristiche delle
cellule tumorali. In una seconda parte si forniranno delle conoscenze di base sul sistema
immunitario e altre più specifiche sulla risposta immunitaria naturale contro i tumori. Infine
come questa risposta possa essere potenziata è descritto nella terza parte, in particolare
verranno riportati tre possibili approcci di immunoterapia.
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2.NEOPLASIE E CARATTERISTICHE DELLE CELLULE TUMORALI
Terminologia e distinzione tra tumore benigno e maligno
Il termine neoplasia significa “nuova crescita” e indica una massa di tessuto, la cui crescita
supera in maniera scoordinata quella dei tessuti normali e progredisce anche dopo la
cessazione degli stimoli che ne hanno causato l’insorgenza. Il termine tumore, invece, si
applicava in origine al gonfiore causato da un’infiammazione, ma questo uso è quasi del
tutto scomparso e così tumore oggi è sinonimo di neoplasia. Oncologia, infine, deriva dal
greco oncòs che significa “rigonfiamento” e consiste nello studio dei tumori o neoplasie.
È noto che tutte le masse neoplastiche si originano da un’unica cellula che ha subìto
un’alterazione genetica la quale viene trasmessa alla progenie delle cellule tumorali, per
questo le neoplasie sono considerate lesioni clonali. Questa alterazione genetica permette
un’eccessiva e sregolata proliferazione che diventa autonoma e indipendente dagli stimoli
fisiologici di crescita, nonostante i tumori rimangano dipendenti dall’ospite per la
nutrizione e l’apporto ematico.
Un tumore si dice benigno quando le sue caratteristiche macroscopiche o microscopiche
sono considerate relativamente innocue, per cui è localizzato, non può diffondersi e si
presta all’asportazione chirurgica. I
tumori maligni sono comunemente
chiamati cancro, dalla parola latina
per “granchio”, in quanto
aderiscono alle superfici con cui
entra in contatto in maniera
tenace, così come il crostaceo. Con
malignità, dunque, si intende la
capacità di una neoplasia di
invadere e distruggere le strutture
ad essa adiacenti e diffondere a sedi
distanti (metastatizzare). Tutti i tumori hanno due componenti di base: un parenchima
tumorale costituito dalle cellule neoplastiche clonali e uno stroma di sostegno formato da
tessuto connettivo, vasi sanguigni e macrofagi e linfociti.
Figura 1: esempio di cellula tumorale.
5
Metastasi
Le metastasi sono impianti di tumore lontani dal tumore primitivo e indicano la malignità
di questo. L’invasività delle neoplasie maligne consente loro di penetrare nei vasi linfatici
ed ematici e nelle cavità del corpo, con la possibilità di diffondere in altre sedi. Quasi tutti i
tumori maligni possono metastatizzare.
Solitamente più un tumore è aggressivo, a
rapido accrescimento e di grandi dimensioni,
maggiore è la probabilità di metastatizzare.
Nel 30% dei casi di nuove diagnosi di tumori
solidi sono già presenti metastasi e la
diffusione metastatica riduce fortemente la
possibilità di guarigione.
2.1Cancerogenesi
Presentiamo, ora, i principi fondamentali della nascita e dello sviluppo del cancro.
Alla base della cancerogenesi vi è un danno genetico. La mutazione può essere
causata da agenti ambientali quali sostanze chimiche, radiazioni o virus, oppure può
essere ereditata dalla linea germinale. Si tratta, quindi, di agenti esogeni o di
prodotti endogeni del metabolismo cellulare. Talvolta, però, le mutazioni possono
non derivare da fattori ambientali e possono essere casuali. Nella tabella seguente
Figura 2: Metastasi al fegato. Si noti che le masse grigio scure indicate dalle frecce sono di origine metastatica, il tumore originario è l'intera massa grigio scuro sulla destra.
Figura 3: per ogni tipo di tumore sono riportate in percentuale le diverse cause. Si noti che in alcuni casi, come nel tumore ai polmoni, le cause sono quasi sempre note, in altri sono nella maggior parte sconosciute.
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è riportata l’influenza che i principali fattori ambientali hanno su diversi tipi di
tumore.
Come si è accennato in precedenza, un tumore è il risultato dell’espansione clonale
di un singolo precursore cellulare che ha subìto lesioni genetiche, cioè i tumori sono
monoclonali.
I principali bersagli dei danni genetici sono quattro classi di geni regolatori: i proto-
oncogèni che promuovono la crescita, i geni oncosoppressori (o antioncogèni) che
inibiscono la crescita, i geni che regolano la morte cellulare programmata (apoptosi)
e i geni coinvolti nella riparazione del DNA. Gli alleli mutanti dei proto-oncogèni
(detti oncogèni) trasformano la cellula anche in presenza dell’allele normale,
pertanto sono considerati dominanti. D’altra parte gli alleli mutanti degli
oncosoppressori sono considerati recessivi in quanto entrambi devono essere
danneggiati perché si possa verificare la trasformazione. Tuttavia vi sono anche
eccezioni: in alcuni casi la perdita di un singolo allele riduce i livelli della
corrispondente proteina a tal punto da permettere la proliferazione incontrollata.
Nei soggetti affetti dalla forma familiare del retinoblastoma, il gene
oncosoppressore RB presenta un allele mutante di origine ereditaria e un allele che
subisce una mutazione durante la vita del soggetto.
Fa parte degli oncosoppressori anche il p53 che codifica per l’omonima proteina.
Esso nella normalità contrasta la formazione neoplastica inducendo quiescenza,
senescenza e apoptosi, ma è il bersaglio più comune delle alterazioni geniche nei
tumori umani, tanto che più del 50% di questi contiene sue mutazioni.
I geni che regolano l’apoptosi possono comportarsi come proto-oncogèni o come
oncosoppressori.
Infine le mutazioni a carico di geni che controllano la riparazione del DNA non
trasformano direttamente le cellule agendo sulla proliferazione o sull’apoptosi, ma
una loro inattivazione può portare alla mutazione di altri geni e quindi alla
trasformazione neoplastica della cellula.
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La cancerogenesi è un processo in diverse fasi che deriva dall’accumulo di successive
mutazioni. Evidenze scientifiche hanno dimostrato che i tumori diventano
progressivamente più aggressivi con il passare del tempo e che la malignità è
acquisita in maniera esponenziale. Questo processo è detto progressione tumorale
e deriva dall’accumulo di mutazioni genetiche indipendenti nelle diverse cellule, che
generano sottocloni con capacità diverse di accrescersi, invadere, metastatizzare e
resistere al sistema
immunitario o alla terapia.
Quindi, se inizialmente le
neoplasie sono monoclonali,
presentano in seguito
un’estrema eterogeneità.
Durante lo sviluppo, le cellule
tumorali sono sottoposte a
pressioni selettive di varia
natura. Quelle fortemente
antigeniche, ad esempio,
possono essere distrutte dalle
difese immunitarie, mentre
quelle con ridotto bisogno di
fattori di crescita sono
selezionate positivamente. Un
tumore in accrescimento,
pertanto, tende ad essere ricco di sottocloni dotati di diverse potenzialità in termini
di sopravvivenza, crescita e metastatizzazione.
2.2.Caratteristiche essenziali per la malignità
Riassumendo quanto detto in precedenza, le alterazioni fondamentali nella fisiologia
cellulare che determinano il fenotipo maligno sono sette:
Figura 4: Schematizzazione della progressione tumorale.
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Autosufficienza dei segnali di crescita: i tumori hanno la capacità di proliferare senza
stimoli esterni, solitamente dovuta all’attivazione degli oncogèni.
Insensibilità ai segnali di inibizione alla crescita: le neoplasie possono non essere
sensibili alle molecole che inibiscono la proliferazione delle cellule normali come il
fattore di crescita trasformante β.
Evasione dall’apoptosi: i tumori possono essere resistenti alla morte cellulare
programmata, in conseguenza dell’inattivazione di p53 o dell’attivazioni di geni
antiapoptotici.
Potenziale replicativo illimitato: le cellule cancerose presentano una capacità
proliferativa illimitata in quanto evitano l’invecchiamento cellulare e l’inibizione
della mitosi.
Angiogenesi: per la loro sopravvivenza i tumori devono essere in grado di indurre
l’angiogenesi, ovvero la formazione di vasi sanguigni al loro interno, per avere
nutrimento e apporto di ossigeno.
Capacità di invasione e di formare metastasi.
Difetti nella riparazione del DNA: le cellule tumorali possono non riuscire a riparare
i danni del DNA causati da agenti cancerogeni o verificatesi durante la proliferazione
cellulare incontrollata.
La comparsa di mutazioni nei geni che regolano queste alterazioni cellulari è osservata in
ogni tumore, tuttavia le vie genetiche che danno origine a tali alterazioni dipende da
neoplasia a neoplasia, anche quando l’organo interessato è lo stesso.
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3.RISPOSTA IMMUNITARIA INNATA E ACQUISITA
Per comprendere l’impiego delle tecniche di immunoterapia è necessario richiamare alcuni
meccanismi di base della risposta immunitaria, ovvero la risposta da parte del complesso
di cellule ed organi che si occupano di difendere l’organismo da tutti i fattori endogeni o
esogeni che potrebbero danneggiare i suoi tessuti.
Le principali cellule coinvolte in questi meccanismi di difesa sono diversi tipologie di globuli
bianchi o leucociti che si originano nel midollo osseo a partire da cellule staminali
ematopoietiche.
Fra i leucociti coinvolti nell’immunità innata ricordiamo i macrofagi, le cellule dendritiche e
le cellule Natural Killer (NK); mentre dell’immunità acquisita fanno parte i linfociti B, i
linfociti T helper, T soppressori e T citotossici (CTL).
3.1.Immunità innata
Con tale termine si intende la prima risposta immunitaria che viene messa in atto, essa è
caratterizzata da una bassa specificità che però permette un tempo d’azione molto breve.
La prima barriera dell’immunità innata è costituita dalla pelle, dalle mucose di naso e bocca,
e dai succhi gastrici nello stomaco. Se dei microrganismi riescono ad oltrepassarla, entrano
in azione le cellule dendritiche e i macrofagi.
Queste cellule sono dette Antigen Presenting
Cells (APC) in quanto si occupano di fagocitare le
particelle estranee, di demolirle e di presentare
sulla superficie cellulare frammenti di proteine
derivanti dalla loro digestione. Questi frammenti
costituiscono dunque gli antigeni, ovvero le
particelle che il sistema immunitario riesce a
riconoscere come estranei.
Le cellule Natural Killer, invece, sono in grado di distruggere tutte le cellule che presentano
delle anomalie, come la mancanza di determinate proteine di membrana.
Infine fanno parte dell’immunità innata anche la risposta infiammatoria e diverse proteine
con funzione di difesa. Fra queste vi sono le proteine del complemento e le citochine che
Figura 5 Macrofago in procinto di fagocitare agenti estranei.
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sono potenti messaggeri chimici. Solitamente si tratta di fattori di crescita e di
differenziamento e la loro funzione è di mettere in comunicazione le varie cellule coinvolte
nella risposta immunitaria e per questo si occupano di regolare anche molti processi
dell’immunità acquisita. Sono citochine anche le interleuchine e gli interferoni.
3.2.Immunità acquisita
L’immunità acquisita, detta anche adattativa, consta di una serie di processi ben più
specifici di quelli analizzati in precedenza. Essa, infatti, si basa sul riconoscimento
dell’antigene o dell’agente patogeno e sulla conseguente risposta mirata verso questo. Tale
specificità è garantita da due gruppi di linfociti: i linfociti B e i linfociti T. Ogni linfocita,
durante il suo sviluppo, sintetizza un tipo di recettore di membrana, caratterizzato da una
regione variabile detta idiotipo, il quale può legarsi ad un solo determinante antigenico (o
epitopo). Questo permette ad ognuno di essi di essere specifico verso quel particolare tipo
di antigene. Tuttavia linfociti B e T sono coinvolti in tipologie di difesa diversi.
Linfociti B e risposta umorale
I protagonisti della risposta umorale sono i linfociti B. Essi presentano nella loro superficie
particolari immunoglobuline dette IgD (famiglia di cui fanno parte anche gli anticorpi
solubili), che fungono da recettori e permettono il riconoscimento dell’antigene. Queste
sono fissate alla membrana cellulare tramite una
regione chiamata dominio transmembrana. Nel
momento in cui un linfocita B incontra un antigene
che si lega al suo recettore con complementarietà
chiave-serratura, il linfocita si attiva, aumenta di
volume e prolifera. Dalla divisione si originano cloni
di plasmacellule, ovvero cellule effettrici, e cellule
della memoria. Le plasmacellule, sono cellule
completamente differenziate che si occupano di
produrre anticorpi con lo stesso idiotipo delle IgD
presenti sulla membrana della cellula B progenitrice
e pertanto tutti gli anticorpi prodotti da plasmacellule sorelle sono identici e sono detti
monoclonali. Una plasmacellula matura può produrre da 3.000 a 30.000 anticorpi al
Figura 6: Riconoscimento dell'antigene da parte di una IgD presente sulla superficie cellulare di un linfocita B.
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secondo e questi vengono liberati nel plasma o nelle secrezioni. Le cellule della memoria,
sono invece uno stadio non del tutto differenziato ma sono molto più longeve: nel caso di
una seconda invasione da parte dello stesso antigene, esse sono pronte a produrre
l’anticorpo specifico e la risposta è pertanto molto più veloce.
Le molecole degli anticorpi sono formate da due catene polipeptidiche pesanti e due
leggere che formano una struttura ad Y. Presentano, poi, una regione costante e una
variabile (idiotipo) che funge da sito di attacco per l’antigene; è dunque dotata di alta
specificità.
Una volta liberati, gli anticorpi possono:
• ricoprire gli antigeni estranei e provocarne l’agglutinazione, così da favorire la
fagocitosi da parte dei macrofagi;
• combinarsi con l’agente estraneo in modo da interferire con le sue funzioni vitali;
• provocare la lisi cellulare in combinazione con le proteine del complemento o le NK.
Linfociti T e risposta mediata da cellule
A differenza della risposta umorale, nella quale gli anticorpi sono attivi in particolare contro
virus e batteri, nella risposta mediata da cellule sono coinvolti i linfociti T, i quali sono in
grado di interagire anche con una componente cellulare, siano esse cellule self infettate da
virus o trasformate. Vi sono due classi di linfociti T: i linfociti T helper hanno una principale
Figura 7: Raffigurazione di un modello di anticorpo.
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funzione di coordinamento delle difese immunitarie, mentre i linfociti T citotossici (CTL)
attaccano e determinano la lisi delle cellule infette o cancerose.
Per il riconoscimento degli antigeni i linfociti T necessitano anch’essi di glicoproteine di
membrana. Presentano, dunque, il TCR (recettore delle cellule T) costituito a sua volta da
un idiotipo e una parte costante. Come nel caso dei linfociti B, ad ogni TCR corrisponde un
solo determinante antigenico. Perché avvenga il
riconoscimento, però, è necessaria un’altra
glicoproteina detta corecettore che nel caso dei
CTL è CD8, nel caso degli helper è CD4. Per il nome
dei loro corecettori i linfociti T possono prendere
il nome rispettivamente di CD8+ e CD4+.
Le molecole CD8 e CD4 sono essenziali poiché si
legano al maggiore complesso di
istocompatibilità (MHC) e permettono ai linfociti
di distinguere le cellule self, ovvero
dell’organismo, da quelle estranee o non-self. Le
proteine MHC sono diverse da individuo a
individuo e si dividono in MHC di classe I, esposte da tutte le cellule del corpo ad eccezione
degli eritrociti e riconosciute dalle CD8 dei CTL e MHC di classe II, esposte dalle sole cellule
dei leucociti e riconosciute dalle CD4 dei linfociti T helper. Inoltre le MHC sono le
glicoproteine sulle quali viene montato l’antigene che si lega poi al TCR.
Una volta attivati, i CD8+ danno origine a cloni di CTL effettori e cellule della memoria. I CTL
effettori possono liberare le linfochine che attirano i macrofagi e favoriscono la fagocitosi
oppure, attraverso diverse tossine molto forti quali la perforina e la granulisina, causano la
distruzione della cellula bersaglio.
Figura 8: Sito di legame tra TCR e antigene presentato da MHC I. Si noti la presenza del corecettore CD8.
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4.RISPOSTA IMMUNITARIA SCATENATA DAI TUMORI E MECCANISMI DI
ELUSIONE
Tra le funzioni del sistema immunitario vi è quella di riconoscere le cellule maligne
dell’individuo, bloccarne l’espansione ed eliminarle in modo tale da impedire
l’accrescimento di tumori pericolosi. Si noti che in questo caso, dunque, il sistema
immunitario non risponde a patogeni ma a cellule self che vengono percepite come non-
self, poiché cominciano ad esprimere sulla loro superficie antigeni estranei.
Tuttavia l’evidenza che i tumori si verificano anche in soggetti immunocompetenti rivela
che le risposte immunitarie contro i tumori sono spesso deboli e possono essere facilmente
soverchiate da neoplasie in rapida espansione.
4.1.Antigeni tumorali
I tumori maligni esprimono diversi tipi di molecole che il sistema immunitario può
riconoscere come estranei, si tratta di una condizione necessaria perché l’organismo possa
Figura 9: Principali tipologie di antigeni tumorali.
14
reagire contro un tumore. Solitamente in tumori sperimentali originati da radiazioni, gli
antigeni tumorali sono costituiti da proteine normali mutate. Ciò è invece molto più raro
nei tumori spontanei, nei quali gli antigeni tumorali possono essere di varia natura:
Prodotti di oncogèni o oncosoppressori mutati o traslocati, quindi antigeni che
possono essere direttamente coinvolti nel processo di trasformazione maligna.
Proteine normali espresse in maniera eccessiva oppure proteine la cui espressione,
di norma limitata a particolari tessuti o stadi di sviluppo, viene sregolata. Questi
antigeni essendo self non dovrebbero di per sé stimolare le risposte immunitarie;
ciononostante, il semplice fatto che siano espressi in maniera aberrante può essere
sufficiente per attivare l’immunità.
Nei tumori causati da virus oncogeni, gli antigeni tumorali possono essere proteine
virali.
4.2.Risposta immunitaria da parte dei CTL
Il principale meccanismo di eradicazione tumorale è l’uccisione delle cellule trasformate da
parte dei CTL. La maggior parte degli antigeni tumorali è costituita da proteine endogene,
presentate da molecole del complesso maggiore di istocompatibilità di classe I. Questi
antigeni vengono riconosciuti da CTL CD8+, la cui funzione è uccidere le cellule che
manifestano questi antigeni anomali. Le risposte antitumorali da parte dei CTL sono spesso
attivate anche dal riconoscimento di antigeni tumorali sulle APC (antigen presenting cells),
le quali hanno fagocitato cellule tumorali o i loro antigeni e ne hanno poi esposto gli epitopi
sulla superficie della membrana. Qualunque cellula nucleata può andare incontro a
trasformazione tumorale e, sebbene tutte le cellule nucleate esprimano molecole MHC I e
possano presentare peptidi a esse associati, l’attivazione e il differenziamento dei linfociti
T CD8+ in CTL effettori richiede anche la costimolazione e\o il contributo di linfociti CD4+
per MHC II. Le cellule tumorali, infatti, vengono ingerite dalle cellule dendritiche, le quali
ne processano gli antigeni e li montano sulle molecole MHC I e II. In questo modo, gli
antigeni tumorali possono essere riconosciuti sia dai linfociti T CD8+ e CD4+, in presenza di
molecole costimolatorie necessarie per la loro attivazione. Questo processo viene
chiamato di presentazione crociata o cross-priming, poiché un tipo cellulare (ovvero la
cellula dendritica) presenta antigeni di un’altra cellula (ossia la cellula tumorale), attivando
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linfociti T specifici per quest’ultima. Una volta che i linfociti CD8+ si sono differenziati in CTL
effettori, possono uccidere le cellule tumorali anche in assenza di costimolazione o del
contributo dei linfociti T helper. In altre parole il differenziamento in CTL viene indotto dalle
APC mediante cross-priming, ma i CTL agiscono direttamente contro le cellule del tumore.
Vi sono altri meccanismi potenzialmente antitumorali, ad esempio sono state evidenziate
risposte antitumorali da parte di linfociti T helper; manca ancora la prova, però, che queste
risposte siano efficaci contro la crescita tumorale. Inoltre, in esperimenti in vitro, anche
macrofagi attivati e cellule Natural Killer hanno mostrato la capacità di uccidere le cellule
tumorali, ma il loro ruolo in vivo rimane da chiarire.
4.3.Elusione delle risposte immunitarie
Come detto in precedenza, il sistema immunitario non è in grado di controllare la crescita
tumorale perché non dà luogo ad una risposta efficace oppure perché le cellule tumorali
subiscono trasformazioni che permettono di sfuggire al suo attacco. I tumori sono molto
difficili da combattere per il sistema immunitario in quanto essi crescono molto
rapidamente e per il loro debellamento è necessario che tutte le cellule cancerose siano
eliminate. Diversi sono i meccanismi che consentono al cancro di evadere i sistemi di
controllo:
Crescita selettiva di varianti tumorali non antigeniche o poco immunogene: alcuni
tumori possono smettere di esprimere gli antigeni che hanno attivato l’immunità e
Figura 10: schematizzazione del processo di cross-priming.
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vengono perciò chiamati “varianti con la perdita dell’antigene”. Altri possono
presentare forme antigeniche poco immunogene. In sostanza la capacità di elusione
delle difese dipende da quanto forte o “estraneo” risulta il determinante antigenico
espresso dalle cellule tumorali: quanto più questi antigeni sono debolmente
immunogeni, tanto più può accadere che il tumore possa svilupparsi. Viceversa
cellule trasformate che esprimono antigeni fortemente immunogeni vengono
immediatamente distrutte dai linfociti T citotossici prima che il tumore possa
attecchire.
Perdita o ridotta espressione di molecole di MHC: delle cellule tumorali smettono
di esprimere MHC I e pertanto gli antigeni non mostrano più gli antigeni ai linfociti
CD8+. Tali cellule, tuttavia, possono essere eliminate dalle NK: esse, infatti,
attaccano le cellule che non
presentano MHC I
riconoscendole come non-self.
Immunosoppressione: altri
tumori secernono sostanze,
quali alcune citochine, che
sopprimono la risposta
immunitaria, oppure presenta-
no molecole di membrana che
inibiscono o inducono
all’apoptosi i linfociti CTL.
Soggetti immunocompromessi
sono quindi molto più
predisposti allo sviluppo di
forme tumorali, soprattutto
quelle non comuni nella
popolazione, proprio per
l’incapacità del loro sistema
immunitario di distruggere
cellule con antigeni che Figura 11: Principali meccanismi di elusione delle risposte immunitarie.
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normalmente sarebbero fortemente immunogeni: un esempio è il Sarcoma di
Kaposi, un tumore causato da Herpesvirus umano 8. Esso è molto raro nella
popolazione ma la sua incidenza aumenta notevolmente negli individui affetti da
AIDS.
Numerose ricerche, inoltre, hanno evidenziato che talvolta il sistema immunitario non solo
non riesce a contrastare le neoplasie ma ne può favorire la crescita. Ad esempio è possibile
che linfociti e macrofagi attivati producano fattori di crescita per le cellule tumorali e che
le cellule T regolatrici e determinati sottotipi di macrofagi sopprimano le risposte
dell’ospite al tumore.
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5.IMMUNOTERAPIA
Considerata le grandi potenzialità del sistema immunitario nella lotta contro il cancro, negli
ultimi anni le ricerche in ambito di immunoterapia hanno subito uno slancio enorme e
hanno ottenuto grandi risultati. Tutto ciò è reso possibile dall’altrettanto enorme sviluppo
che hanno avuto le biotecnologie negli ultimi decenni; in particolare l’impiego di anticorpi
e di anticorpi monoclonali coniugati con fluorocromi o con altri sistemi di rilevamento,
trovano oggi largo impiego nelle tecniche immunometriche, usate ormai di routine nel
dosaggio dei parametri clinici più comuni, soprattutto di quei metaboliti, come gli ormoni,
presenti in circolo a basse concentrazioni; così come le tecniche di immunofluorescenza e
di immunoistochimica che sono ormai pratiche consolidate nella messa in evidenza di
antigeni cellulari, proprio grazie alla altissima specificità esistente tra gli anticorpi ed i
ligandi con cui sono in grado di interagire. I ricercatori oggi stanno quindi tentando di
mettere a punto un approccio simile, da impiegarsi in vivo, in modo da andare a distruggere
in maniera altamente specifica e mirata solo le cellule tumorali, riducendo al minimo gli
effetti collaterali sull’organismo, cosa che la tradizionale chemioterapia non può garantire.
Nessuna delle tecniche che saranno presentate, quindi, sarebbe possibile senza lo sviluppo
di queste biotecnologie.
Sebbene risultati significativi sull’immunoterapia siano stati ottenuti solo in epoca molto
recente, il sogno di dispiegare le forze del sistema immunitario contro i tumori risalgono a
più di un secolo fa.
5.1.Storia
I primi studi su immunità e cancro risalgono alla fine del XIX secolo, periodo in cui i vaccini
avevano già cambiato radicalmente la vita e si utilizzavano anticorpi per la cura della
difterite, attraverso la sieroterapia. Un medico tedesco Paul Ehrlich, per primo provò ad
usare l’immunità contro il cancro, ma le conoscenze a riguardo erano troppo poche. Solo
negli anni cinquanta diversi ricercatori, tra i quali Richmond Prehn, furono in grado di
dimostrare che vi erano delle risposte specifiche da parte del sistema immunitario nei
confronti delle neoplasie, inoltre si osservarono anche dei casi in cui tumori regredivano
spontaneamente in presenza di linfociti T all’interno del tessuto. Si delineò, dunque, il
concetto di immunosorveglianza.
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In seguito ci furono tentativi di immunizzazione attraverso composti microbiologici, che
fallirono, così come fallirono diversi tentativi di vaccinazione con preparazioni di cellule
tumorali. Tali sconfitte provocarono un momento di stasi che finì solo in seguito ad un
lavoro di Robert Schreiber riguardante importanti scoperte sul rapporto tra sistema
immunitario e cancro. Tale rapporto è basato sul “paradigma delle tre E”: i linfociti T CD8+
eliminano le cellule tumorali quando si trovano ancora nella fase iniziale (elimination); in
seguito si formano varianti delle cellule tumorali che permettono un equilibrio tra le difese
e la crescita tumorale (equilibrium); infine i meccanismi di selezione fanno sì che emergano
varianti in grado di eludere le difese dell’organismo (escape). Queste scoperte hanno reso
possibile lo slancio che si vede oggi in questo campo.
Figura 12: Paradigma delle tre E.
Al giorno d’oggi alcune tecniche di immunoterapia (come la terapia con anticorpi
monoclonali) sono già comunemente usate per la cura di diversi tumori in combinazione
con le cure tradizionali. Altre, invece, sono in fase di sperimentazione clinica (come la
vaccinazione con cellule dendritiche e l’utilizzo di linfociti CAR-T).
Nonostante le strategie adottate per l’immunoterapia siano numerose e di ciascuna vi
siano diverse varianti, tutte sfruttano i meccanismi della risposta immunitaria come armi
contro le cellule cancerose. I meccanismi di difesa naturali vengono quindi potenziati
attraverso la bioingegneria oppure vengono semplicemente stimolati. Ci occuperemo di
presentare tre principali strategie immunologiche che utilizzano tre diversi strumenti: gli
anticorpi monoclonali, le cellule dendritiche o le cellule CAR-T.
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5.2.Somministrazione di anticorpi monoclonali
Le prime strategie messe a punto si basano su forme di immunizzazione passiva, che
consistono nella somministrazione di anticorpi monoclonali. È necessario che questi siano
monoclonali affinché siano specifici verso il bersaglio e non si leghino ad altre molecole.
Gli anticorpi possono esplicare l’azione antitumorale scatenando i meccanismi effettori
propri dell’ospite, quali la fagocitosi o l’attivazione del sistema del complemento.
Anticorpi monoclonali specifici per il CD20 vengono usati per trattare i tumori dei linfociti
B che esprimono questa proteina, come la leucemia linfoblastica acuta (LAL). Il CD20 è una
molecola in grado di legarsi a specifici recettori dei linfociti T, detti checkpoint. Questi sono
chiamati così perché la loro funzione è di controllo negativo dell’attività linfocitica. Quindi,
se alcune neoplasie sfruttano il CD20 per inibire le risposte immunitarie, nel momento in
cui un anticorpo monoclonale specifico si lega al CD20 di una cellula tumorale non può
avvenire la connessione checkpoint-CD20 e il linfocita è libero di combattere tale cellula.
Trastuzumab e cancro alla mammella
Altri anticorpi monoclonali possono bloccare l’attività di fattori di crescita, per esempio
Her2. Circa il 25% dei tumori alla mammella presenta over-espressione del recettore Her2.
Le cellule cancerose positive all’Her2 presentano un maggiore capacità di proliferazione e
soprattutto vanno facilmente incontro a metastasi cerebrale, motivo per cui le tecniche di
immunoterapia risultano di fondamentale importanza.
L’anticorpo monoclonale utilizzato in tale caso è il trastuzumab (nome commerciale:
herceptin), dove la desinenza “mab” sta per “monoclonal antibody”. La tecnologia standard
utilizzata per produrlo a livello industriale è quella dell’ibridoma murino. Essa consiste nel
fondere i linfociti B monoclonali specifici per Her2 con una linea cellulare di mieloma che
conferisce immortalità al linfocita, solitamente di origine murina.
In seguito gli anticorpi prodotti dall’ibridoma subiscono un processo di umanizzazione: di
questi viene mantenuto solo l’idiotipo e vengono formati anticorpi ibridi con la parte
costante di origine umana, si ottiene così il trastuzumab.
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I meccanismi di azione del trastuzumab sono tre:
Il legame con l’anticorpo rende possibile il riconoscimento dell’Her2 da parte di
fagociti che distruggono la cellula tumorale.
Her2 è un recettore che non riconosce un ligando ma le molecole della sua famiglia:
Her1, Her3, Her4 o Her2 stesso, e con una di esse forma un dimero. Il trastuzumab
può inserirsi nel sito di legame tra i due recettori, impedendo l’attivazione di Her2.
Figura 13: Nella parte sinistra si può vedere che il trastuzumab permette il riconoscimento da parte di una cellula effettrice. Nella parte sinistra l'anticorpo impedisce la formazione del dimero HER2-HER2.
L’anticorpo, una volta legato ad Her2 può provocarne l’endocitosi da parte della
cellula.
Terapie combinate di chemioterapia e trastuzumab riducono il pericolo di progressione
tumorale dell’80% nelle neoplasie Her2 positive.
5.3.Vaccinazione con cellule dendritiche
Mentre nel caso appena visto vengono iniettate nel corpo delle molecole estranee, ovvero
anticorpi artificiali, utilizzando le cellule dendritiche è possibile immunizzare attivamente
l’organismo contro cellule self trasformate. Questa tecnica prevede diverse fasi:
I ricercatori estraggono cellule sane e cellule malate e le confrontano cercando di
trovare i determinanti antigenici presenti solo nelle tumorali.
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Attraverso leucoaferesi si procede all’estrazione di cellule dendritiche che vengono
coltivate in vitro
Gli antigeni tumore-specifici identificati vengono aggiunti alle cellule dendritiche
che li assorbono.
Le cellule dendritiche vengono reiniettate nell’organismo e presentano l’antigene
ai linfociti CD4+ e CD8+. I primi liberano poi citochine che stimolano l’immunità, i
secondi si attivano e in seguito possono riconoscere autonomamente le cellule
cancerose.
Figura 14: Schematizzazione dei passaggi per la vaccinazione con cellule dendritiche.
Tale terapia è ancora in fase sperimentale, tuttavia alcuni studi effettuati su pazienti colpiti
da melanoma avanzato hanno rilevato la massima tollerabilità della cura e talvolta la
persistenza della risposta immune anche dopo molto tempo.
5.4.Cellule CAR-T
Un’ultima strategia immunitaria sfrutta un particolare tipo cellulare detto CAR-T, dove
“CAR” sta per “recettore chimerico per l’antigene”. L’aggettivo “chimerico” è dovuto alla
natura della cellula: essa presenta caratteristiche comuni sia ai linfociti B che ai linfociti T.
La proteina CAR permette al linfocita T bioingegnerizzato di attaccare e distruggere tutte le
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cellule che presentano l’antigene per il quale è specifico, senza passare per fasi intermedie
a carico di linfociti B, T o T helper.
Procedura:
Si estraggono linfociti T dal paziente attraverso leucoaferesi.
I linfociti T vengono bioingegnerizzati grazie ad una applicazione della tecnologia
del DNA ricombinante. In particolare i linfociti sono infettati da un virus benigno a
RNA che trasporta l’informazione genetica per il recettore chimerico.
I linfociti T che ora presentano la proteina CAR vengono reiniettati nel paziente e
possono distruggere tutte le cellule che mostrano l’antigene bersaglio.
Studi clinici di grande rilevanza sono stati compiuti anche in questo caso su pazienti malati
di LAL. In particolare sono stati prodotti CAR-T con recettore chimerico per la proteina
CD19, che come la CD20 ha una presenza massiccia nelle cellule della neoplasia in
questione. I risultati ottenuti sono decisamente promettenti e in alcuni casi si è registrata
la remissione completa del tumore, anche in pazienti altamente resistenti alle terapie
convenzionali. D’altra parte, però, bisogna tenere in considerazione che tutti gli studi
riportano un’elevata incidenza di effetti collaterali dovuti all’accumulo di citochine
nell’organismo.
Figura 15: Schematizzazione dei passaggi per la terapia con CAR-T.
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