il palazzo caffarelli al campidoglio ·...
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Il duca Baldassarre Caffarelli e il suo Palazzo al Campidoglio.
© 2013 Roberto Vergara Caffarelli
1. La Supplica a Pio IX del Duca Baldassarre Caffarelli
Recentemente una libreria antiquaria ha messo in vendita alcuni autografi che erano così descritti:
Insieme di documenti relativi a uno dei corpi militari dello Stato della Chiesa (reggimento di cavalleria costituito da nobili romani legati alla Santa Sede) istituito nel 1801 da Pio VII come scorta per la protezione del Pontefice. Sono presenti due ordini del giorno firmati dal Comandante Barberini, tre lettere autografe firmate del Duca di Caffarelli (tra cui una diretta a Papa Pio IX “Felicemente Regnante”) e un documento ms. relativo ad alcune questioni di natura economica riguardanti la Guardia Nobile (Ruolo degl’Individui Giubilati della Guardia Nobile Pontificia a carico della Cassa della Giubilazioni per il mese di settembre 1846). Alcuni passi: “Il Duca Caffarelli, prestato ai Piedi della S.V. allorché hebbe udienza presentò una supplica ma siccome era un poco lunga, la S.V. credette di rimetterla a Mons. Uditore Ill.mo…”. “Essa supplica conteneva che per un censo fatto per il bene della famiglia con la corte di Prussia al 3 e 1/2 per cento onde levare tutti i debbiti di famiglia lasciati da suo padre, e che i soli frutti si mangiavano il patrimonio, fu da Papa Gregorio XVI gastigato…”. “Di più un ordine del giorno che si annette dalla Guardia Nobbile, messo in ritiro senza averlo domandato con Pensione dopo 38 anni di servizio prestato fedelmente alla S. Sede…”
L’accenno al censo fatto dal Duca Caffarelli con la Corte di Prussia ha destato il mio interesse: l’ho infatti subito collegato alle vicende della vendita del Palazzo al Campidoglio avvenuta nel 1853, le cui circostanze mi erano abbastanza note. Oltre il Palazzo, la proprietà Caffarelli comprendeva fin dalla metà del ‘500 buona parte del Colle Capitolino e si può avere un’idea della sua estensione leggendo l’istanza1 presentata al tribunale civile di Roma il 17 ottobre 1853 a sostegno della sua vendita:
Ad istanza di S[ua] E[ccellenza] il Sig. Duca D. Gaetano Caffarelli dom[iciliat]o in via Banco di S. Spirito No. 12 e dell’Ecc[ellentissi]ma Sig[nor]a Vincenza Pozzonelli Vedova ed Erede Testamentaria sostituta e beneficata della ch[iara] me[moria] Duca Baldassarre Caffarelli Giuniore Domiciliata Via delle Tre Pile No. 58 [...] vendita tra le Parti compromessa li 31 Agosto 1853, poscia sotto i giorni 30 Settembre, e 7 ottobre dello stesso anno compiutamente perfezionata. La qual vendita complessivamente e per modum unius fu fatta dagli istanti alla Regia Corte di Prussia dei seguenti locali, cioè: 1. L’intiero Palazzo Caffarelli posto in Campidoglio tanto libero che primogeniale, giardino, scuderie, rimesse, in una parola con tutti gli annessi e connessi, senza eccettuazione alcuna; 2. Le diecinove Casette sopra il Monte Caprino a contatto col medesimo Palazzo affittate a diversi Inquilini,: 3. L’orto e caseggiato annesso affittato a Bernardo Lichini; 4. Le sedici grotte sotto l’orto affittate a diversi Inquilini; 5. La casetta affittata a Gio. Batt.a Salomba; 6. Il Granaro in via di Monte Caprino affittato al Sig. Braun ed altri; 7. La fontana pubblica sotto la Rupe Tarpea ai N. 7 e 7a affittata a Nicola Romagnoli; 8. La camera superiore all’anzidetta fontana affittata a Nicola Romagnoli e Mastro Donati; 9. La Rimessa al n. 5 affittata a la Santa Bionducci; 10. Il Rimessone affittato a Maestro d’Orazio ai n. 15. 16.
1 -‐ GOLO MAURER, Preussen am Tarpejischen Felsen. Chronik eines absehbaren Sturzes, doc.18, p. 218 e POLITISCHES ARCHIV DES AUSWÄRTIGEN AMTEs, RQ-‐86b. 17 October 1853.
Il prezzo poi dei locali anzidetti fu fissato in sc[udi] 82.729 contanti, e più nell’obbligo di pagare alla Ecc[ellentissi]ma Sig[nora] Vincenza Pozzonelli Ved[ov]a Caffarelli di lei vita natural durante la somma mensile di scudi 40.
La vendita fu subito contestata sia dal regnante Pontefice Pio IX sia dal Consiglio Comunale, che ne chiese la retrovendita per pubblica utilità e ornato della Città di Roma2; ma il Palazzo era da trenta anni sede del ministro del Re di Prussia presso la Santa Sede, e il dover trattare con il Re Federico Guglielmo IV fu un ostacolo insormontabile che bloccò tutti i tentativi di esproprio che pure il Comune di Roma portò avanti per molti anni. L’area fino allora aperta al pubblico, divenne col tempo inaccessibile ai romani; la necessità di spazi che aveva il Comune fu minimamente soddisfatta dalla cessione del Palazzetto Clementino da parte della Germania nella transazione che fu fatta nel 1895 per chiudere il contenzioso, quando il Comune di Roma decise di abbandonare la causa relativa alla vendita del Palazzo Caffarelli. L’acquisto di Palazzo Caffarelli e delle aree circostanti permise alla Germania Imperiale di insediarsi in quello che era stato il centro del mondo antico, trasformando l’edificio rinnovato nella succursale della Reggia di Berlino, con tanto di affreschi celebranti i miti germanici e di sala del trono, realizzata là dov’era la sala da ballo3.
Fig. 2. Palazzo Caffarelli (1880).
La vendita fu stigmatizzata nel quaderno 1074 (marzo 1895) dalla rivista dei Gesuiti La Civiltà Cattolica in un articolo che riproduco alla fine di questo scritto.
2 -‐ In forza della Bolla Pontificia di Gregorio XIII del 1574, che inizia «Quae publice utilia, & decora esse huic Almae Urbi ratio ipsa atque usus docuit, ea privatis cupiditatibus, ac commodis praeferenda censemus.» Si veda la Bolla in: Magnum Bullarium Romanum a Pio IV usque ad Innocentium IX ..., T. II, Lugduni 1673, pp. 387-‐390. 3 -‐ JOHN C.G. RÖHL, Wilhelm II: The Kaiser’s personal Monarchy, 1888-‐1900, Cambridge 2004, p. 910: «The instructions that the Kaiser gave between 1893 and 1899 for the painting of the throne room in the Palazzo Caffarelli. the German Embassy on the Capitol in Rome, showed little consideration for the feelings of Italians. The painter Hermann Prell was ordered to paint a cycle of seasons of the year simultaneously relating the Edda saga with the express intention of impressing the Italians. The project not only testifies anew to Wilhelm II’s dynastic and nationalistic understanding of art and his love of the world of the ancient Germanics sagas».
Fig. 3. Hermann Prell, Sala del Trono, Palazzo Caffarelli. Successivamente, cambiati i rapporti tra Italia e Germaniae quindi lasciate da parte le critiche di cinque anni prima, scriveva la Civiltà Cattolica nel numero del 25 maggio 1899:
Il 6 di maggio, a sera il Re e la Regina d’Italia, in nome dell’imperator Guglielmo, inaugurarono la nuova sala del trono. L’opera è riuscita grandiosa e bella; e sovratutto chi entra per la prima volta colà riceve l’effetto, senza dubbio inteso dall’autore, quello di trovarsi come trasportato in Germania e nel paese settentrionale: il trono imperiale, gli ornamenti, le pitture, i simboli e tutto concorre a quell’effetto, effetto di grandezza e di gravità frammiste alla grazia ingenua espressa nel mito germanico descritto dal Prell. [...] Finalmente nella quarta parete, di fronte al trono, campeggia maestosa la figura della Germania, con la spada vittoriosa rinfoderata, davanti ad un edifizio sopportato da giganti, simbolo delle forze della natura. Sotto la figura della Germania vi è questa iscrizione: Guilelmus II Imperator – Rex – Majorum Gloriae Memor – Aedes Germaniae in Urbe aeterna – Fabulis Patriae Ornari – Jussit – MDCCCLXXXXIX. [...] Il baldacchino del trono, addosso alla grande parete, è un pregevole lavoro di ricamo con stoffe antiche, eseguito a Berlino. In mezzo campeggia l’aquila imperiale e attorno la scritta: Sub umbra alarum tuarum protege nos.
Di sentimenti completamente opposti è invece Amato Bacchini4, che scrive quasi venti anni dopo:
Il Prof. Ermanno Prell pretese rappresentare nella Sala Regia la Germania con la corona in capo del Barbarossa. E sotto ad essa tra le due porte di detta sala in una targa marmorea è detto che: sin dal “1899” Guglielmo II Imperatore e Re, memore della gloria dei suoi maggiori aveva ordinato che la «Casa della Germania» nella Città Eterna venisse adornata delle tradizioni patrie (?). ]...] Nel Salone del Trono furono affrescate perciò le Norme, le Valchirie, ed altre allegorie teutoniche, ed eretto il Trono sull’asse del Tempio di Giove! Cosicché nella primavera del 1903 «il Kaiser, scimmiottando grottescamente gl’Imperatori antichi» (come notò il Prof. Muniz) poté assidersi trai due Leoni della sedia del Trono: ed ivi assiso molti ingenui
4 -‐ AMATO BACCHINI, I Feudatari antichi e moderni della “Rupe Tarpeja”, Macerata 1818, p. 60.
italiani andarono a rendergli omaggio.
Fig. 4. Il Trono Imperiale a Palazzo Caffarelli.
Fig. 5. Hermann Prell, La Primavera germanica, affresco a Palazzo Caffarelli.
Per una migliore valutazione della consistenza dei Beni venduti alla Prussia nel 1854 si può guardare una pianta (fig. 4), ricavata dalla tesi di dottorato di Mischa Steidl5, nella quale ho sostituito le scritte in tedesco con altre in italiano.
5 -‐ È stata discussa nel novembre del 2011 all’Università Justus Liebig di Giessen.
Fig. 6. Il Campidoglio tedesco.
Torniamo alla piccola raccolta di autografi, che ho subito comprato con la speranza di trovarvi qualche notizia rimasta ignota sulle vicende di quella vendita: e così è stato, perché le nuove carte integrano quanto finora si conosceva sugli antefatti che portarono alla alienazione di Palazzo Caffarelli, chiarendo anche qualche punto oscuro. Il dossier, che credevo raccogliesse documenti tra loro disconnessi, si è rivelato del tutto omogeneo, perché tutte le carte riguardano la giubilazione forzata del duca Baldassarre Caffarelli6 dal corpo della Guardia Nobile Pontificia, avvenuta due anni prima che giungesse all’anzianità di 40 anni necessaria per avere la pensione completa. I documenti più antichi sono del 1838: due Ordini del Giorno identici nel contenuto, con le date del 5 e del 15 luglio, firmati da Francesco Barberini7, principe di Palestrina, Tenente-‐generale, Capitano Comandante delle Guardie Nobili. Ne riproduco uno solo, essendo i due uguali nel contenuto:
6 -‐ Secondo PASQUALE ADINOLFI, La via sacra o del Papa ..., Roma 1865, p. 160, Baldassarre Caffarelli era nato ad Albano l’uno giugno 1778, 7 -‐ Francesco Barberini, (5 novembre 1772 – 8 novembre 1853), 8° principe di Palestrina, aveva sposato nel 1812 Vittoria Colonna Gioeni (1791-‐1847).
Guardia Nobbile
Ordine del Giorno 15 luglio 1838
In vista dell’Età avanzata del Tenente Duca Caffarelli non che del lungo Servizio da Lui prestato La S[antità] di Nostro Si Maggiore, ed il Foriere sono incaricati dell’Esecuzione ciascuno in ciò che le Riguardagnore s’è degnata d’accordarLi il ritiro dal Corpo con Pensione. L’Aiutante Maggiore, ed il Foriere sono incaricati dell’Esecuzione ciascuno in ciò che le riguarda.
Il Comandante del Corpo
Barberini
Fig. 7. L’Ordine del Giorno del 15 luglio 1838.
Oltre agli Ordini del Giorno del Principe Barberini, vi sono due lettere, entrambe dell’ottobre 1846, indirizzate a un personaggio di cui non si fa il nome ma che è certamente un cardinale molto vicino a Pio IX. Per comodità di chi legge, ho preferito far precedere gli originali dalla trascrizione del loro contenuto. Nelle lettere vi sono frequenti errori di scrittura, soprattutto doppie consonanti, che non segnalo, visto che si possono controllare sugli autografi. Nelle lettere e nella supplica al Papa il Duca Caffarelli chiede che la sua pensione, arbitrariamente fissata a 45 scudi otto anni prima, sia portata a 60 scudi, quanto era il suo stipendio al momento della giubilazione, e in più chiede che gli sia data la differenza non percepita8. Chiede anche che gli sia restituito il diritto all’uniforme, della quale gli era stato proibito l’uso.
8 -‐ Con un semplice calcolo si vede che quindici scudi al mese di differenza fanno in otto anni la bella somma di 1440 scudi!
Prima lettera
Eminentissimo Principe Riflettendo alla mia situazione disgraziata niuna difficoltà avrei, di presentarmi a S[ua] S[antità] nuovamente, ma ciò lo vedo impossibbile, il domandare un’altra udienza, sono certo che mi sarebbe negata, sapendo il perché io vado, ed avere una ripulsa, mi rincrescerebbe assai, l’esporsi non la vedo in regola. Io non vedo altro che V[ostra] Em[inenz]a Ill[ustrissi]ma ne parlasse con Sua Santità facendoli conoscere le mie raggioni che Lei ben conosce e farli conoscere che io domando Giustizia ed a chi al mio Sovrano. Farli conoscere che sono stato defraudato sul mio denaro di s[cudi] 15: il mese, e ciò porta la ristituzione come hanno fatto dei frutti del Censo; l’uso dell’uniforme non mi si vuol negare come dai Regolamenti della Guardia che dopo 15 anni di servizio si debba concedere io ne ho 38 di servizio fedele, debbo averlo, l’ordine del giorno di Barberini dice che S[ua] S[antità] mi accordava il ritiro dal Corpo con pensione ma non dice il quantitativo onde il darmi s[cudi] 45 il mese è Arbitrio del commandante, levato l’uso dell’uniforme, non ne parla, questo ancora deve essere arbitrio, mentre nel Rollo, dove è il mio Nome vi è scritto senza uniforme se ciò fosse vero non sarebbe un’infamità e possibile da potersi tollerare V[ostra] Em[inenz]a R[everendissi]ma lo decida o S[ua] S[antità] mi rallegra (?) di tutto o altrimenti mi dia la facoltà di vederla in giudizio ed allora si scoprirebbe la porcheria mi pare che subbito che io debba seguitare a comparire Reo, e giusto che io habbia un’evasione,quante volte io habbia d’andare avanti così, che io mi assenti da Roma, mentre il mio onore, lo vole. Tutta Roma mi dice perché non ricorrete al Papa, che rende giustizia a tutti, io taccio e non rispondo, dunque un espediente bisogna prendere. Io confido nel Patrocinio di V[ostra] Em[inenz]a R[everendissi]ma, ne puole pure parlare al S[anto] Padre mentre mi sarà una soddisfazione che il mio sovrano sappia tutto, se l’esito sarà cattivo sarà il mio destino, ed allora mi appiglierò a quanto io ho stabilito, non volendo io compatire che con una conferma, di Pena, la mia Famiglia è conosciuta, ed è una delle più antiche perciò (?) non debbo oscurarla. V[ostra] E[ccellentissi]ma R[everendissi]ma mi compatisca se le ho scritto tanto, ma il mio onore lo vole. V[ostra] E[ccellentissi]ma parli pure senza riserva. L’uomo di onore va sempre colla fronte scoperta e la mia condotta per 38 anni lo puole far conoscere, io delitto non ho, dunque non temo, non volendolo più tediare, passo a bagiarle la Sacra Porpora. Di Lei Eminentissimo Principe Dal Palazzo in Campidoglio lì [spazio per la data] ottobre 1846 P. S. Ripensando bene ho creduto bene accluderle una Supplica al Papa, se V[ostra] E[ccellentissi]ma R[everendissi]ma stimerà bene di dargliela lo farà, così si potrà avere un’evasione se poi stimerà meglio parlare, lo rimetto ad arbitrio di V[ostra] E[ccellentissi]ma R[everendissi]ma.
Suo Dev[oto] Obb[ligato] Ser[itor]e Il Duca Caffarelli
Fig. 8. Il recto della prima lettera diretta al Cardinale.
Fig. 9. Il verso della prima lettera diretta al Cardinale.
A questa lettera era acclusa la supplica al Pio IX, che trascrivo qui di seguito:
Beatissimo Padre
Il Duca Caffarelli prostrato ai Piedi della S[antità] V[ostra] allorché hebbe udienza, presentò una Supplica, ma siccome era un poco lunga la S[antità] V[ostra] credette di rimetterla a Mon[signo]r Uditore9 Ill[ustrissi]mo la quale subbito hebbe in seguito di ciò il Sig[no]r Avv[oca]to Lupi disse d’averla riferita ma nessun Rescritto si hebbe. Essa supplica conteneva, che per un Censo fatto per il bene della Famiglia con la Corte di Prussia al 3 ½ per cento onde levare tutti i debbiti di Famiglia lasciati da suo Padre, e che i soli Frutti si mangiavano il Patrimonio fu da Papa Gregorio XVI gastigato ed hebbe tre gastighi. L’arresto in casa il Censo voltato alla Cammera10 con il frutto al 4 ½ per cento e le fu messo l’Economo, abbenché avesse estinto tutti li debbiti, e tutto ciò per Organo della Segreteria di Stato, conosciutosi in seguito l’aggravio, che ne soffriva la Famiglia, il Censo fu messo al 3 ½ per cento, e li furono ristituiti i Frutti percetti di più e le fu tolto l’Economo. Di più con ordine del giorno che si annette della Guardia Nobbile, messo in ritiro, senza averlo domandato con Pensione dopo 38 anni di servizio prestato fedelmente alla S[anta] Sede e siccome l’ordine del giorno non parlava del quantitativo della Pensione, trovò in seguito che la Pensione era stata messa a s[cudi] 45: mensili, mentre li competevano s[cudi] 60: come era la sua paga, e siccome aveva rilasciato de suoi denari, contratto fatto per conseguirne s[cudi] 60: avendo rilasciato non piccola somma per ottene[re] ciò, e più si vidde segniato nel Ruollo, senza l’uso del uniforme, e che in detto ordine non se ne parla, mentre haveva hauto tre gastighi per Organo della Segreteria di Stato, ne trovò altri 3: sulla Guardia Nobbile, cosa che sorprese non avendo delitti contro la detta Guardia, ma bisogniò ubbidire, ed inghiottire il calice amaro, siccome nell’Ordine del Giorno niente si spiega questi possono essere stati arbitrari di chi comanda il Corpo della Guardia Nobbile. Ora il Ricorrente reclama alla S[antità] V[ostra] sempre intento, di far giustizia a chi lo merita, giustificato, che sia di accordarle la Pensione di s[cudi] 60: invece di s[cudi] 45: e li venghino restituiti li arretrati di s[cudi] 15: il mese che si sono appropriati mentre la Pensione passata di s[cudi] 45: si vede arbitraria non fissata dal Papa, come si rileva dal ordine del giorno, come li sono stati restituiti i Frutti di più pagati del Censo, mentre li competono dopo 38 anni di servizio che se il ricorrente non ha compito li anni 40 di servizio, non è stata sua colpa, mentre non ha domandato la Pensione ma perché così d’è voluto. Di più si trovò segniato nel Rollo, senza uso d’uniforme ancor questo deve essere un atto Arbitrario, mentre niente si parla nell’ordine del Giorno, mentre ne’ Regolamenti del Corpo dice dopo 15: anni di servizio si accorda l’uso dell’uniforme onde reclama da questo, mentre ancor questo deve essere stato un atto arbitrario, mentre per il Censo hebbe tre gastighi per Organo della Segreteria di Stato, com’è mischiarci la Guardia per un affare di Famiglia buono. Esso non ha debiti contro la Guardia. Reclamando da ciò al suo Sovrano che fa giustizia a tutti, giustificati che sono, spera ottenere il ramato intento, e quante volte la S[antità] V[ostra] non credesse farlo, li sia accordato di portare il reclamo in Giudizio avanti qualunque Tribunale, allora si vedrebbe la verità, l’onore lo esigge dopo 38 anni di servizio, sarebbe troppo dura condizione di proseguire in questo modo ed allora sarebbe confermato il Gastigo, se Papa Gregorio XVI: ritornò indietro, e ristituì tutto, molto più la S[antità] V[ostra] deve compire l’opera, acciò il Ricorrente resti giustificato avanti Roma tutta, tanto spera ottenere dalla S[antità] V[ostra] in vista della sua situazione e dell’Antica sua Famiglia, che della grazia ____.
9 -‐ Wikipedia: «L’uditore di Camera, uno dei prelati più importanti era il giudice supremo in materia di amministrazione finanziaria della Curia. Prima del 1870 presiedeva la corte suprema, a cui il Papa feceva riferimento per le decisioni più importanti». 10 -‐ La Reverenda Camera Apostolica era l’organo finanziario del sistema amministrativo pontificio.
Fig. 10. Il recto della supplica a Pio IX.
Fig. 11. Il verso della Supplica a Pio IX. La lettera (figg. 8 e 9) è dell’ottobre 1846, ma pur non avendo l’indicazione del giorno, ho scelto di presentarla prima di un’altra lettera diretta allo stesso cardinale, datata 11 ottobre 1846, che per il suo contenuto ritengo successiva.
Seconda lettera
Eminentissimo Principe
Non ho potuto fare a meno di rimettergli questo foglio abbenché Lei conosca tutto, non per quello che riguarda il caso ma per quella soltanto riguarda la Guardia, acciò parlando con sua S[antità] lo possa mettere al giorno di tutto. Mentre per il Censo fui ben gastigato mentre il tutto sortì dalla Segreteria di Stato. Passando poi alla Guardia le rimetto l’Ordine del Giorno, che allora fece sortire Barberini, dal quale rileverà che niente parla del quantitativo della Pensione e non dice senza uso dell’uniforme, onde deve essere stato un Arbitrio del Barberini s’accordo con il Magiorduomo di quel tempo, perché quando pagarono trovai fissata la Pensione a s[cudi] 45: , e nel Rollo, che le accludo dove vi è il mio Nome dice senz’uso d’uniforme ciò fa vedere un Arbitrio di Barberini, mentre il Papa, essendosi servito della Segreteria di Stato per l’altro, dovea servirsi di questo ancora, o almeno nell’Ordine del Giorno, dove dire è mente di S[ua] S[antità] che la pensione invece di s[cudi] 60 sia s[cudi] 45: e gli si proibisce l’uso dell’uniforme, non dicendolo, deve essere arbitrio e poi cosa c’entra la Guardia con un interesse di Famiglia e che già avevo hauto altri Gastighi il mio onore ed il mio interesse, quante volte il S[anto] Padre non aderisca a fare la grazia completa, non può negarmi di vederla innanzi qualunque Tribunale, onde smascherare qualche Persona. Il S[anto] Padre è giusto ed ama la Giustizia perché lo vediamo dovrò essere io il disgraziato e dovrà confermare che il Gastigo sia eterno come l’Eternità. Devo esser gastigato per aver migliorato la condizione della Famiglia e non altro. Se il Papa passato si è ricreduto per la metà perché il Papa Presente, non mi fa la grazia per l’altra metà dopo 38 anni di Servizio Fedele alla S[anta] Sede che per soli due anni a compire li 40: anni di servizio mi hanno levato s[cudi] 15: mensili, mentre io non ho domandato il ritiro ma sono stato forzato! avendo io rilasciato mensilmente ho fatto un contratto, rilascio questo è mio denaro per avere la Pensione di s[cudi] 60:mensili come hanno fatto del Censo che mi hanno restituito il frutto di più percetto e messo al 3 ½ per cento in seguito, così mi si deve restituire s[cudi] 15: pagati di meno da quel tempo, checomi[n]ciò la Pensione di s[cudi] 45: e mi si debba mettere la Pensione a s[cudi] 60: il mese, e per il mio onore quello della Famiglia l’uso dell’uniforme per far conoscere a Roma che io non ho commesso dilitti contro il Corpo delle Guardie Nobbili che dopo 38 anni di Servizio Fedele,, e che per aver fatto un censo per bene della Famiglia, ho perduto l’onore. La Cosa è un poco dura, e merita risarcimento, mentre restando così sarebbe il gastigo eterno perché fino che io vivo darrebbe la sua Mediazione Patrocinio, spero otterrà tutto dal S[anto] Padre, che ama la giustizia, e non vol vedere nessuno oppresso. La mia ispirazione di venire da V[ostra] E[minentissi]ma R[everendissi]ma spero mi consolerà, e per non più tediarlo, passo a bagiarle la Sacra Porpora. Di Lei E[minentissi]mo Principe Dal Palazzo in Campidoglio li 11: Ottobbre 1846
Suo De[voto e Obb[ligato] Servitore] Il Duca Caffarelli
Dopo l’autografo della lettera, riproduco il Ruolo degli Individui Giubilati della Guardia Nobile Pontificia, che essendo stato citato nel testo era certamente un suo allegato.
Un primo commento: Baldassarre Caffarelli era11 nato nel 1778 e ha quindi 68 anni; secondo gli standard attuali sarebbe ancora un uomo nella sua piena maturità, eppure le sue lettere, per la grafia e per le incertezze del vocabolario, danno l’impressione di una persona logorata, che scrive in maniera poco elegante, confusa, trascurata; una mancanza di forma inspiegabile, soprattutto quando i destinatari sono un Cardinale e un Papa.
11 -‐ PASQUALE ADINOLFI, La Via Sacra o del Papa tra ‘l Cerchio di Alessandro ed il Teatro di Pompeo ..., Roma 1865, p. 160: «Baldassare ... Nato in Albano il 1. Giugno 1778.»
Non è difficile di intuire perché il Duca si fa vivo dopo otto anni dalla giubilazione: semplicemente perché era appena morto Gregorio XVI, che lo aveva gastigato tre volte, come scrive lui. Il 21 giugno del 1846 era stato eletto Pio IX, e questa elezione aveva risvegliato le sue speranze. Il vecchio Duca s’illudeva di trovare comprensione nel nuovo Papa, forse ricordando quello che era successo tanti anni prima tra il conte Mastai Ferretti e il principe Barberini, al quale Baldassarre Caffarelli attribuiva tutti gli arbitri fatti nella sua giubilazione. Ma che cosa era successo tra loro?
Il Mastai era arrivato a Roma nel 1815 con l’intenzione di seguire la carriera militare e, contando con il patrocinio di Pio VII, aveva chiesto di entrare nelle Guardie Nobili di cui fin d’allora Barberini era il comandante supremo. Vi fu ammesso con qualche difficoltà, ma per un episodio di epilessia, di cui allora soffriva, fu costretto a rinunciare.
Il Padre Gioacchino Ventura12 ha lasciato scritto cosa avvenne allora: ... rinvenne il Mastai preso da un insulto di epilessia. [...] La notizia del caso non tardò a diffondersi in Roma [...] Disperati ne furono gli amici della famiglia Mastai, ben comprendendo come questo colpo inatteso distruggesse tutte le speranze concepite sull’avvenire del giovine. Il principe Barberini infatti, che di mal animo avea promesso accettar fra le guardie un giovine di gracile aspetto e di cagionevole salute, recossi da Pio VII, notandogli come il Mastai patisse tal infermità da renderlo inetto al servigio e vedessesi obbligato a cancellarlo dai registri.
Costretto a dare un indirizzo diverso alla sua vita, il Mastai, sempre con la protezione di Pio VII,
aveva abbracciato la carriera ecclesiastica. Quando divenne Papa, il Padre Ventura torna a parlare13 di lui e del Barberini :
Quando l’elezione viene fatta al mattino, evvi l’uso, che subito dopo l’omaggio del sacro collegio, il primo cardinale diacono si porti alla gran loggia, che a tale effetto si apre per annunziare al popolo l’elezione; ma quando le operazioni del conclave non finiscono se non di sera, allora la cerimonia della proclamazione è differita alla mattina del dì vegnente. Per la qual cosa non si aprirono che le porte per lasciar circolare il grande annunzio, e tutti i personaggi di distinzione, che trovavansi nel palazzo od in vicinanza, furono ammessi a baciare la mano del Sommo Pontefice, Fra questi non tardò gran fatto a presentarsi anche il vecchio principe Barberini, comandante delle guardie nobili, quegli stesso a cui Mastai aveva avuto ricorso con istanza trentadue anni prima, e che gli aveva negati gli spallini dopo l’incidente occorsogli nel vicoletto Sant’Anna. Non appena Pio IX poté scoprirlo in distanza, gli fece cenno d’avvicinarsegli, e porgendo graziosamente la mano a baciare: «Ebbene, mio caro Principe, gli disse, io vado proprio debitore a voi di quanto mi è accaduto; se non che voi eravate ben lontano dal pensare, che rifiutandovi allora di fare di me un uffiziale, l’ottimo Iddio ne avrebbe fatto un dì un Papa».
Non sappiamo se le sue richieste furono accolte, sia perché il Duca chiedeva un intervento a
livello personale, senza nessuna ufficialità, sia perché il Cardinale può aver evitato di portare a termine l’incarico come suggerisce il fatto che la supplica non fu consegnata, ma rimase con le lettere, ed è stata venduta insieme ad esse.
12 -‐ Nel suo libro pubblicato anonimo, Pio IX e l’Italia ossia la Storia della sua vita e degli avvenimenti politici del suo Pontificato, seguito da molti documenti ufficiali, Milano 1848, pp. 20-‐21. 13 -‐ Pio IX e l’Italia ossia la Storia della sua vita ..., pp. 95-‐96.
Fig. 11. Il recto della seconda lettera diretta al Cardinale.
Fig. 12. Il verso della seconda lettera diretta al Cardinale.
Fig. 13. Il Ruolo degl’Individui Giubilati della Guardia Nobile Pontificia.
2. Il Ministro del Re di Prussia a Palazzo Caffarelli (1817-‐1853).
Può destare meraviglia il rigore con cui Gregorio XVI intervenne sul Duca Caffarelli, per il Censo contratto con la Reale Corte di Prussia, come si legge nella supplica a Pio IX:
per un Censo fatto per il bene della Famiglia con la Corte di Prussia al 3 ½ per cento onde levare tutti i debbiti di Famiglia lasciati da suo Padre, e che i soli Frutti si mangiavano il Patrimonio fu da Papa Gregorio XVI gastigato ed hebbe tre gastighi. L’arresto in casa, il Censo voltato alla Cammera con il frutto al 4 ½ per cento e le fu messo l’Economo, abbenché avesse estinto tutti li debbiti,
Perché tanto rigore? Per comprendere i motivi che spinsero Papa Gregorio a prendere
provvedimenti così gravi occorre tornare a molti anni prima. La persona che ebbe un ruolo importante nelle vicende di Palazzo Caffarelli è il prussiano Christian Karl Josias Bunsen (1791-‐1860), che arrivò a Roma come segretario d’Ambasciata nel 1817, portatovi da Barthold Georg Niebuhr (1776-‐1831), nuovo Ministro del Re di Prussia presso la Santa Sede.
Bunsen, aveva preso in affitto un appartamento al secondo piano di Palazzo Caffarelli; Niebuhr invece era andato ad abitare a Palazzo Astalli, mentre la sede ufficiale della Legazione era a Palazzo Orsini14.
Quando Niebuhr si dimise nel 1823, Bunsen prese il suo posto, cosicché il Palazzo sul Campidoglio divenne la sede della Legazione di Prussia. Sei anni più tardi ci fu un altro passo importante verso la germanizzazione del colle capitolino: il 21 aprile del 1829, nella ricorrenza del Natale di Roma, l’archeologo Friedrich Wilhelm Eduard Gerhard, insieme ad altri studiosi15, diede vita all’Istituto di Corrispondenza Archeologica, con la protezione del principe ereditario di Prussia, il futuro Re Federico Guglielmo IV. Ne era segretario dirigente lo stesso Gerhard, con Bunsen come presidente, e l’Istituto ebbe sede in alcune sale terrene del Palazzo Caffarelli, dove subito ebbero inizio le riunioni scientifiche.
La visita del principe ereditario di Prussia a Roma nel 1829 ebbe non solo l’effetto di far nascere l’Istituto di Corrispondenza Archeologica, ma anche quello di far concepire l’idea di acquistare l’intero Palazzo. La situazione a tutto settembre 1837 è ben descritta da un lungo documento pubblicato da Golo Mauer16, che riporto perché riassume bene tutti punti della controversia sorta tra il Papa, il Duca Caffarelli e Bunsen:
14 -‐ EDGAR ALLAN POE ne parla a lungo in un suo articolo pubblicato nel Southern Literary Messanger, n.2 del gennaio del 1836, pp. 126-‐127, che mi sembra molto interessante, come si può vedere da questo frammento che coinvolge sia Niebhur sia Bunsen: « The Prussian minister resided at the Palazzo Orsini — he was engaged and could not be seen — but the secretary of the legation received the visiter kindly, and having learned his story, retired to an inner apartment. Soon afterwards he returned with a paper written in Mr. Niebuhr’s own hand. It was the necessary permission to reside in Rome. A sum of money was at the same time presented to Mr. Lieber which the secretary assured him was part of a sum Prince Henry (brother to the reigning king,) had placed at the minister’s disposal for the assistance of gentlemen who might return from Greece. Mr. Lieber was informed also that Niebuhr would see him on the following day.» 15 -‐ AMEDEO BENEDETTI, Le grandi biblioteche tedesche in Italia, Bollettino AIB, vol. 49, n. 4 (dicembre 2009) p. 545: «Ideatore della nuova istituzione era stato però il fondatore della moderna scienza archeologica Eduard Gerhard (Posen, 1795 – ivi, 1867), unitamente al giurista e archeologo August Kestner (Hannover, 1777 – Roma, 1853), allo scultore neoclassico danese Bertel Thorwaldsen (Kopenhagen, 1770 – ivi, 1844), e all’archeologo italiano Carlo Fea (Pigna, 1753 – Roma, 1836), Commissario alle Antichità di Roma.» Questi studiosi, unitamente a von Bunsen, parteciparono alla prima seduta dell’associazione il 2 gennaio 1829, a Palazzo Caffarelli sul Campidoglio, allora sede dell’ambasciata prussiana. Leggo nel frontespizio del Rapporto intorno l’Istituto di Corrispondenza Archeologica del 1834: «Odoardo Gerhard. Professore Regio del Real Museo di Berlino, Socio Corrispondente del Reale Istituto di Francia,della Reale Accademia di Berlino, della Recolanese, della Reale Società Antiquaria di Copenhagen, delle Accademie di Arezzo, Messina, Montelione, Viterbo, Volterra, ed altre.» 16 -‐ GOLO MAURER, Preussen am Tarpejischen Felsen. Chronik eines absehbaren Sturzes, doc.18, pp. 212-‐213 e POLITISCHES ARCHIV DES AUSWÄRTIGEN AMTEs, RQ-‐86b: September 1837.
Quando nell’anno 1829 S.A.R. il Principe Ereditario di Prussia si trovò in Roma concepì il desiderio di possedere in questa Capitale una casa, o almeno un appartamento ove Egli nelle successive scorse che proponevasi fare in Roma potesse al pari del suo Augusto Cognato [?] il re di Prussia trovare un comodo alloggio e ritiro. Prescese a tal uopo l’appartamento occupato dal ministro del Re, e conseguente ebbe l’incombenza il Cavalier Bunsen di trattare col Signor Duca Caffarelli o per la cessione di tutto il Palazzo, o per la parte occupata dalla Regia Legazione. Siffatta trattativa rimase peraltro senza risultato, essendosi il Signor Duca dichiarato contrario alla idea di qualsivoglia alienazione. Poco stante ebbe ordine il Cavalier Bunsen di acquistare come palazzo della Legazione quello del Marchese Cambiaso, che in quell’epoca fu posto in vendita. Il quale acquisto fu effettuato col permesso peraltro del Governo Reale per Ministro di ritenere la sua residenza nel Palazzo Caffarelli. In poi nell’Aprile 1837 che il Signor Duca fece costare (secondo si prova in una lettera originale al Procuratore Morale Signor Borghi avvocato della Regia Legazione in data dei 16 di quel mese) esserli stati offerti 14.000 scudi al saggio del 3 ½ per cento ed anno sulla ipoteca del Palazzo e che gli sarebbe piaciuto invece ricevere somma piuttosto dal Ministro di Prussia, il quale stava in casa, che da altri, ed in consequenza ne faceva la proposizione. La proposta essendo stata accetta a S.A.R. il Principe Ereditario, furono esaminate le carte e i documenti, onde risultò il fatto certo che la metà del palazzo e degli annessi è libera da fidecommesso: riguardo alla metà vincolata il Duca poteva in forza di un chirografo di Leone XII imporre un capitale passivo di scudi 10.800 sopra i beni fedecommissari in genere. Sopra queste basi fu dunque stabilito un compromesso formale per atto di notaro il giorno 14 luglio 1837 portante la condizione che il Signor Duca dovesse riportare un Rescritto dall’uditore di Sua Santità declaratorio di quello di Leone XII. Come fu il Duca il quale offrì il Palazzo, così fu il Cavalier Bunsen che chiese la declaratoria del Chirografo per ovviare, se potesse farsi, ogni difficoltà per l’avvenire, riguardo alla parte vincolata. Si convenne però che fra due mesi si sarebbe proceduto alla stipulazione definitiva: furono depositati i capitali a tale effetto nel banco Valentini da parte e per conto di S:A:R: il Principe Ereditario, e furono fatte le disdette dal Duca ai Creditori, i di cui capitali con maggiori interessi gravavano il patrimonio. Partito il Cavalier Bunsen per Berlino il Signor Duca si diresse il 10 settembre all’Avvocato Borghi incaricato dell’affare, ed io allora in macerata, lagnandosi dello stesso Cavalier Bunsen perché aveva usato la sua influenza per farli negare il rescritto convenuto compiegando copia del ricevuto biglietto negativo. Questo prezioso documento esiste. Prova che il biglietto comunicato dal Duca è portante la data del sette Settembre come responsivo alla domanda presentata, non si riferiva che alla parte vincolata del Palazzo. Confrontato poi coll’istanza fatta dal Duca e che egli stesso comunicò, dové parere sembrare assai naturale e giusto quel risultato, avendo il Duca chiesto ancora la sanzione pontificia per poter gravare i restanti beni fedecommissari di altri due censi di circa scudi 1000 sopra il palazzo. Risultò anche di più dal rescritto che il Duca aveva smesso di estinguere colle rate prescritte vi debiti contratti in passato. Il Duca intanto fece valere, con lettere sempre replicate e sempre più urgenti, che pure si conservano, essere egli esposto alli più gravi danni per le disdette fatte e per richiami dei creditori e per facilitare il definitivo compimento della faccenda propose in fine d’ipotecare per la totalità della somma richiesta la metà libera del Palazzo, e ancora quegli stabili annessi che si trovavano esser liberi affatto dal vincolo del fidecommesso. Riguardo alla parte vincolata fu deciso di non far altro che di estinguerei debiti esistenti secondo il Chirografo di Leone XII, entrando nelle ragioni di medesimi creditori e di aggiungere anche per questa somma l’ipoteca della parte libera cogli annessi. Così infatti non si poneva alcun peso sul fidecommesso, anzi si diminuiva considerevolmente l’annuo gravame degli interessi, per potere agevolare la successiva estinzione dei capitali passivi. Non si crede adunque per nulla maniera agire contra il dispositivo dell’Uditore di Sua Santità comunicato dal Duca, e per escludere anche l’ombra di apparenza fu espressamente stipolato che in caso di qualunque dubbio sulla interpretazione [sic] del chirografo di Leone XII l’intera somma fornita dovesse essere considerata come unicamente ipotecata sulla parte libera. Ora se si fosse voluto o potuto agire contro la mente sovrana, è chiaro che era fuori di proposito, essendo sufficiente l’ipoteca dei bei liberi per se stessa. Il fatto è che si trattava dell’adempimento del compromesso fatto nel Luglio 1837, di cui si ritenevano le forme e clausole in quanto si poteva fare. Se dopo tutto ciò può essere stata mancanza di rispetto al sovrano, non si può immaginare che nella supposizione la quale sembra inammissibile, che i Duca avesse mutilato o falsato il Prescritto dell’Uditore, giacché il dispaccio della Segreteria per gli affari di Stato interni parla d’inibizione fatta al Duca anche di contrattare senza preciso permesso sopra la parte libera, del che nulla è detto nel biglietto comunicato dal Duca. Una siffatta supposizione pare peraltro tanto meno accettevole, in quanto che se S.S. avesse voluto interdire il far contratti di qualunque sorte al Duca, si sarebbero certamente usate le ordinarie e
indispensabili formalità, costituendogli un curatore o amministratore per le sue proprietà, e deducendo il fatto per affini a notizia del pubblico. Ma qualunque sia il motivo legale del procedere che si è voluto tenere nella Segreteria per gli affari di Stato interni, non potrà mai neppure leggermente toccare altri che il Duca, e non già compromettere e violare i diritti quesiti dal terzo, che con buona fede ha contratto sotto la protezione della legge comune, la quale permette all’individuo non interdetto di disporre liberamente delle sue proprietà, e la quale prescrive pacta esse servanda. Chi ha scritto questa relazione ancora non sapeva che il Papa non solo aveva confinato in casa il
Duca, ma lo aveva praticamente interdetto assegnando un economo per gestirne il patrimonio, e aveva iscritto il Censo in questione a carico della Reverenda Camera Apostolica con l’interesse del 4 ½ per cento annuo. Ma non basta: il Duca fu estromesso dalle Guardie Nobili, giubilato con pensione ridotta, privato persino dell’uso dell’uniforme, una vera umiliazione.
Tra coloro che hanno scritto sul Palazzo Caffarelli circola l’idea che l’istituzione di un censo da parte del Re di Prussia nel 1838 sia stato il grimaldello che ha portato alla vendita successiva. Scrive Valentino Leonardi17:
Ma già nel 1838 il Principe ereditario di Prussia stabiliva con istromento 14 marzo (atti Bacchetti) un cenno a suo favore «sopra la porzione a metà fideicommissaria e primogenita del Palazzo Caffarelli, posto in Roma Via delle Tre Pile ecc.». La stipulazione di quest’atto dovette essere in relazione con un desiderio fin da allora manifestato dal Comune di Roma, il quale già in quel tempo si dibatteva in angustia di locali, di entrare in possesso del Palazzo Caffarelli, contiguo, com’è noto a quello dei Conservatori. Tuttavia, poiché il censo stabilito a favore del Principe Ereditario di Prussia non comprometteva in modo irreparabile le sorti del Palazzo, il Comune di Roma non dimetteva il proposito di acquistarlo. Un altro scrittore, Amato Bacchini18, ha scritto Dai protocolli notarili dell’Archivio di Stato di Roma, Atti Bacchetti, 14 Marzo 1838, si apprende che ilDuca Baldasarre Caffarelli contraeva con il Barone Von Bunsen, quale rappresentante del Principe Ereditario di Prussia, un prestito per la somma di scudi 10000 romani; dando in pegno la metà del Palazzo di sua libera proprietà, Giardini ed Orto di Monte Caprino, lo Spiazzo grande, le fontane con acqua perenne ed abbeveratoi. Non solo, ma vincolavasi anche l’altra metà del Palazzo che era fidecommissa !! E ciò stupisce per le disposizioni allora vigenti, vietanti ogni impegno sul fidecommisso! E seppure il Duca non avesse prole, così facendo ledevansi apertamente i diritti dei collaterali. Ma quand’anche ciò non gl’importasse, non poteva impegnarsi in nessun modo riguardo allo Spiazzo grande (quello poi chiuso con cancellate dai tedeschi), perché gravato di servitù pubblica sin dai tempi di Ascanio; ininterrottamente.
Il Bacchini sembra qui dare per valido il censo contratto da Baldassarre Caffarelli, e lo conferma poco più avanti, quando parla del testamento del Duca, redatto per Atti Francesco Dori il 28 settembre 1849, quando
[...] nell’anno repubblicano suddetto, il Palazzo restava ancora proprietà degli eredi Caffarelli, benché gravato del famoso Mutuo. Ma in questo, tra le varie clausole abilmente erasi incuneata questa condizione: «... che il Principe (di Prussia) fosse favorito, in caso di futura vendita a preferenza di ogn’altro anche a concorrenza del solo aumento di uno scudo (!)» Eppure poche righe prima aveva scritto: [...] è bene tener presente che, a margine dell’Atto Bacchetti leggesi la seguente nota: questo Atto è nullo per ordine sovrano come da verbale del Segretario della Rev. Cam. Apost. In data 14 Aprile 1838 a firma di Filippo Apolloni (!!).
17 -‐ VALENTINO LEONARDI, Palazzo Caffarelli, Roma 1916, p.27. 18 -‐ AMATO BACCHINI, I FEUDATARI ANTICHI E MODERNI DELLA «RUPE TARPEJA», MACERATA 1918, PP. 66-‐67.
3. Alle origini del “castigo” del Duca Caffarelli da Parte di Gregorio XVI.
All’origine di tutto ciò non ci fu solo il desiderio di mantenere il controllo del colle capitolino; ci
fu anche il contestato uso di una cappella privata, istituita da Bunsen per il culto dei luterani residenti a Roma. In una recente pubblicazione ho letto questa breve relazione che accenna all’affare:
A Roma i luterani sono presenti sin dall'inizio del XIX secolo, all'epoca ancora stato pontificio. Fu il segretario della Legazione di Prussia presso la Santa Sede ad ottenere il via libera per celebrare i culti che tuttavia si dovevano svolgere in un quadro privato. Il primo culto evangelico si tenne il 9 novembre 1817, in occasione del trecentenario della Riforma, nell'abitazione del Segretario di Legazione, Christian von Bunsen, in piazza dell'Aracoeli alle pendici del Campidoglio. Poco dopo l'imperatore Federico Guglielmo III, re di Prussia, su richiesta della stessa comunità, fece inviare un pastore all'ambasciata romana, Heinrich Schneider, il primo ministro di culto evangelico a Roma, che prese servizio dal giugno 1819. Fu questa la base per il graduale espandersi della piccola comunità internazionale di lingua tedesca a Roma. Nel 1823, nella sede della Legazione prussiana, al pianterreno di palazzo Caffarelli sul Campidoglio, fu istituita una cappella, dove per circa 100 anni furono celebrati i culti della comunità luterana19.
Ma se la cappella c’era fin dal 1823 perché nel gennaio del 1837 il cardinale Lambruschini20,
Segretario di Stato, scrive a Bunsen che il Santo Padre era rimasto gravemente afflitto da una sua lettera pubblicata nel n. 286 della Gazzetta di Carlsruhe, della quale attendeva la smentita, che lo stesso Bunsen aveva promesso sarebbe stata pubblicata dal Giornale di Francoforte. Estraggo alcuni brani della nota ufficiale della segreteria di Stato vaticana21:
[...] Ma se tra le accennate prerogative e massime, vi è quella, che un rappresentante estero possa privatamente nella sua abitazione praticare il culto della religione che professa, Sua Santità non vi sa ravvisare in alcun modo quella che un rappresentante diplomatico faccia dare istruzione a fanciulli o aduna classe qualunque di persone, che siano estranee alla Legazione, e ridurre in questa guisa il Palazzo della Legazione a casa d’istruzione. [...] tra siffatte attribuzioni di un ministro non vi può esser mai quella di occuparsi della istruzione religiosa d’individui, che sono estranei alla Legazione ed appartengono ad un culto, il cui esercizio non è permesso negli Stati del Sovrano presso cui risiede il Ministro medesimo.
Il cardinale Lambruschini torna di nuovo sull’argomento in una nota22 del giugno successivo,
nella quale protesta anche dell’esistenza di un ospedale contiguo alla Legazione, eretto senza le necessarie autorizzazioni, e dell’esistenza di un istituto archeologico:
Qualunque fossero le spiegazioni che in allora il Sig. Cavalier Bunsen dette su questo’oggetto, il S. Padre ha ora avuto delle prove da non più dubitare, che codesta Regia Legazione siasi effettivamente occupata di stabilire in Roma una sedicente Comune Protestante (Evangelische Gemeinde) la quale esercitar dovesse il culto nel Palazzo della Legazione, che avesse nel medesimo delle scuole per i Fanciulli <protestanti, e che infine possedesse un Ospedale contiguo alla Legazione. Riguardo a quest’ultimo V. Illma non ignorerà essere il medesimo stato eretto senza la necessaria autorizzazione del Governo pontificio (come senza da debita annuenza Sovrana si è del pari fatto stabilirvi un istituto archeologico) è per ciò stesso in
19 -‐ Scheda da Internet, Cenni storici sulla comunità luterana di Roma. 20 -‐ Luigi Lambruschini (1776-‐1854) divenne Segretario di Stato di Gregorio XVI nel 1829. 21 -‐ GOLO MAURER, Preussen am T;arpejischen Felsen. Chronik eines absehbaren Sturzes, doc.18, pp. 211 e POLITISCHES ARCHIV DES AUSWÄRTIGEN AMTEs, RQ-‐88c:, A.791 21 Januar 1837.
22 -‐ GOLO MAURER, Preussen am Tarpejischen Felsen. Chronik eines absehbaren Sturzes, doc.18, pp. 211 e POLITISCHES ARCHIV DES AUSWÄRTIGEN AMTEs, RQ-‐88c, A1226; 10 Juni 1837.
contravenzione delle leggi dello Stato. È noto poi alla Santa Sede essere ammessi in detto Spedale oltre ai detti Sudditi del re di Prussia anche degli Individui di altri stati, quali si è tra gli altri certo Cristiano Lambish di Nazione Sassone che fu ricevuto nell’Ospedale di cui si tratta il 17 dello scorso mese. Questo contrasto a Roma tra Lambruschini e Bunsen era però il risultato locale di un più grave
contrasto del Papa con la Prussia di Federico Guglielmo III. Chi ne volesse sapere di più può leggere quello che a riguardo scrive Nicomede Bianchi23, di cui mi limito a riportare solo uno stralcio:
Allorché Federico II aggregò al suo regno alcune Provincie polacche, rimase statuito in quanto ai matrimoni misti, che i figli maschi verrebbero educati nella religione de' loro padri, le femmine in quella delle madri. Giunto però l’anno 1803, Federico Guglielmo III ordinò che tutti indistintamente i nati da coniugi professanti religione diversa dovessero crescere nella religione paterna. Una tal legge fu promulgata nel 1825 eziandio nelle provincie renane unite alla monarchia prussiana pei trattati del 1815. La costante e universale disciplina della Chiesa vuole invece che i Cattolici, contraendo matrimonio co' Protestanti, abbiano a educare nella religione cattolica la prole dell'uno e dell'altro sesso. Di fronte a sì grave discrepanza fra i precetti ecclesiastici e la legge civile, i vescovi di quelle parti ricorsero, assenziente la podestà secolare, alla Santa Sede. Perciò nel 1830 Pio VIII inviò loro un breve accompagnato da alcune istruzioni, per le quali, fin dove lo permettevano le discipline della Chiesa, si veniva ad un compromesso, il quale tuttavia non tornò accetto al Governo di Berlino; onde, poco dopo l'elezione al pontificato di Gregorio XVI, il ministro prussiano in Roma fece istanze perché si modificasse24. Fu risposto in senso negativo, e la pratica rimase in sospeso fin al 1834. Stando allora sul partire da Roma, il cavaliere Bunsen rinnovò la domanda; la quale non essendo riuscita più felice della prima, egli si acquetò, e riprese il breve di Pio VIII colle non modificate istruzioni anzidette. Questi due atti della Santa Sede furono poco dopo resi di pubblica ragione dal Governo prussiano; ma egli erasi posto dapprima nelle condizioni di non riceverne scapito. Raunatisi in segreta conferenza a Coblentz jl cavaliere Bunsen, l'arcivescovo di Colonia e il vescovo di Treves s'erano intesi, assenziente il re, per dare al breve di Pio VIII e alle istruzioni relative quella interpretazione che più premeva al Governo... .
Amato Bacchini racconta:
Mi consta poi da fonte attendibile, che Pio IX esprimeva il rincrescimento che un Oratorio Luterano sorgesse di fronte alla Chiesa di Aracoeli, esclamando persino: essere disposto a vendere tutta l’argenteria sino alle fibbie delle scarpe; se gli si fosse garantito essere sufficiente con ciò, spazzar via dal Campidoglio gl’invadenti Alemanni!
L’irritazione del Papa con il Ministro prussiano spiega, almeno in parte, perché il Duca Caffarelli,
che proprio in quei mesi così conflittuali aveva contrattato con Bunsen un censo di 10.500 scudi sul Palazzo, pagò così duramente il suo gesto imprudente. Forse non riuscì mai a rendersi veramente conto del ginepraio nel quale si era messo con il proposito apparentemente innocuo di diminuire il tasso d’interesse che gravava sui debiti della sua Casa.
23 -‐ NICOMEDE BIANCHI, Storia della diplomazia europea in Italia, vol. III, (ANNI 1830-‐1846), Torino 1867, pp. 230-‐235. 24 -‐ Nota confidenziale del cav. Bunsen, 10 giugno 1831; -‐ nota verbale dello stesso, 1° settembre 1831.
4. Il Palazzo Caffarelli prima della sua vendita nel 1853.
Fig. 14. 1709 Filippo Juvarra: vista prospettica del Campidoglio (proprietà Museo di Roma)
Il Palazzo Caffarelli con i suoi giardini e pertinenze occupava gran parte del colle capitolino. Il disegno di Juvarra è la ricostruzione prospettica dell’area, dove alla destra si vedono disegnati nei particolari i Palazzi Clementino e Caffarelli. La stampa che segue illustra più da vicino il complesso monumentale del Campidoglio, mostrando la posizione privilegiata del Palazzo Caffarelli, contiguo al palazzo dei Conservatori da cui è separato dal palazzetto Clementino, che faceva parte della proprietà.
Fig. 15 Veduta del Campidoglio: 1. La chiesa dell’Aracœli – 2. Palazzo Nuovo – 3. Palazzo Senatorio –
4. Palazzo dei Conservatori – 5. Palazzo Caffarelli
Fig. 16. 1822. Luigi Rossini: veduta degli avanzi della Rupe Tarpea: in alto, il Palazzo Caffarelli, del quale si vede la parte posteriore.
Fig. 17. 1833 Il retro di Palazzo Caffarelli visto dal giardino.
Fig. 1.7. Palazzo Caffarelli, “The residence of the King of Prussia”. (Illustrated Times, february 12, 1859).
5. 1918. Assalto al Palazzo Caffarelli e sua successiva demolizione -‐ 1922 Campagna di scavi per il tempio di Giove.
Alla fine della prima guerra mondiale, dopo una campagna pubblica in cui si chiedeva l’esproprio di tutta l’area posseduta dalla Germania sul Campidoglio, si ebbe l’occupazione del Palazzo, che fu un vero e proprio assalto, di cui ho trovato una descrizione25, vista però dalla parte dei vincitori.
25 -‐ LA GUERRA ITALIANA, seire VIII, n. 18, 23 febbraio 1919, p. 288.
Per il punto di vista dei vinti è sufficiente considerare la didascalia che accompagna il disegno di Max Tilke, riprodotto in una rivista dell’epoca. Ho cercato di trascrivere i caratteri gotici e di tradurre alla meglio il tedesco, per me ostico:
Il testo originale è:
Die Plünderung des Palazzo Caffarelli, des deutschen Botschafterpalastes in Rom, durch den aufgehetzten römischen Pöbel, der nach Sprengung des grossen Gartentores unter den Augen der Polizei in das Gebäude eindrang und in den prunkvollen Gemächern, besonders dem mit bildern von Herman Prell geschmückten Fest [s]aal, grauenvolle Bertvüstungen anrichtete (S. auch S. 22).
Nach einer Originalzeichnung von Max Tilke. E la sua traduzione (rudimentale) è:
Il saccheggio di Palazzo Caffarelli, il palazzo dell’ambasciata tedesca a Roma, da parte della plebaglia romana sobillata, dopo lo sfondamento delle grandi porte del giardino, entrata a forza nell’edificio sotto gli occhi della polizia e poi negli sfarzosi appartamenti, specialmente nella sala da festa decorata con i dipinti di Herman Prell, ha causato uno sporco luogo abbandonato. (vedere anche pagina 22)
Da un disegno originsle di Max Tilke26.
Il venditore descrive l’immagine come una litografia offset pubblicata dalla Union Deutsche Verlagsgesellschaft di Stoccarda verso il 1918.
Poco dopo questi avvenimenti il Palazzo Caffarelli fu quasi interamente demolito nel 1918, con la scusa di studiare le rovine del tempio di Giove, lavori iniziati nel 1921 e descritti da R. Paribeni. Qui sotto riporto il disegno di Max Tilke e alcune fotografie dello stato in cui fu ridotto il Palazzo, poi ricostruito nel 1922.
26 -‐ Max Karl Tilke 6 February 1869 – 2 August 1942) was a well-‐known German artist and ethnographer. Si veda la sua biografia in Wikipedia, da cui estraggo questo passo: «The outbreak of World War I [...] Tilke returned to Germany, taking some of his paintings with him. During the War, Tilke worked for the publishing union, Deutsche Verlag Union, in Stuttgart, painting works about the war.»
Il Palazzo Caffarelli fu quasi interamente demolito nel 1918, con la scusa di studiare le rovine del
tempio di Giove, lavori iniziati nel 1921 e descritti da R. Paribeni. Qui sotto riporto alcune fotografie dello stato in cui fu ridotto il Palazzo, poi ricostruito nel 1922.
Fig. 18. Il Palazzo durante la demolizione.
Fig.19 Il Palazzo durante la demolizione.
Fig. 20 Il Palazzo durate la demolizione.
Le fotografie che seguono sono tratte dalla descrizione degli scavi eseguiti da R. Paribeni27.
Fig. 21. Il tempio di Giove Capitolino sotto il Palazzo Caffarelli.
27 -‐ R. PARIBENI, Saggio di scavo nell’area del tempio di Giove Ottimo Massimo sul Campidoglio, Atti della R. Accademia Nazionale dei Lincei, vol. XVIII, 1921, pp. 38-‐49.
Fig. 22. 1922. Campagna di scavi.
Fig.23. 1922. Campagna di scavi.
Fig. 24. Il Palazzo oggi.
Fig. 25. L’ingresso e sul fondo il Palazzo oggi.
LA
CIVILTÀ CATTOLICA
ANNO QUABANTESIMOSESTO
Beatus populus cuius Dominus Deus eius.
Psalm. CXLIII, 18
VOL. I.
DELLA SERIE DECIMASESTA
ROMA
DIREZIONE E AMMINISTRAZIONE
VI» di Ripetili, 246
1895
CONTEMPORANEA 735
l'Istituto normale di S. Caterina per le ragazze, di cui numeransi 200.
Il Vaticano per molte delle suddette scuole spende centinaia di mi
gliaia di lire.
7. Nel palazzo Caffarelli sul Campidoglio ha dimora l'Ambasciata
prussiana presso il Governo italiano. Or quel palazzo ultimamente è
stato ceduto alla Prussia con un atto poco decoroso pel municipio ro
mano. Il Consigliere comunale, Comm. Pacelli, così ne scrive al Corriere
di Torino. € Lo storico colle capitolino abbraccia nel mezzo i tre celebri
palazzi senatorio, de' Conservatori e de' Musei, tra i quali è la piazza
monumentale stupenda che tutti conoscono. A destra, più in alto, è la
Chiesa di Santa Maria in Aracoeli di patronato del Comune di Poma,
a sinistra è il palazzo già Caffarelli. Fin dal 27 febbraio 1854, per
mezzo del Barone d'Arnim, incaricato d'affari di S. M. Federico Gu
glielmo IV, la Prussia acquistava quel palazzo, per farne la residenza
della sua Ambasciata, dalla Duchessa Vincenza, vedova Caffarelli, in
sieme ad altre annesse proprietà per la somma di scudi romani 82,720,
addossandosi inoltre la real Corte di Prussia l'onere di pagare alla
Duchessa vedova Caffarelli \ina pensione vitalizia di scudi quaranta
mensili. Fu allora che il pontificio Municipio di Roma, il quale aveva
da lungo tempo concepito il desiderio di venire in possesso della pro
prietà capitolina Caffarelli ' per ampliare i suoi uffici, le gallerie, la
pinacoteca e decorare quella parte occidentale del colle capitolino,
agevolandone le vie di accesso e nuove aprendovene di comunicazioni
coi quartieri verso la Bocca della Verità, e per avere, infine, in sua
proprietà tutto il colle capitolino (proposito romanamente degno e
bello) credè opportuno di valersi del diritto di retratto pi-elativo (prezzo
di vendita da preferirsi) a forma della Bolla di Gregorio XIII Quac
publiee utilia. E quindi per adempiere le condizioni da quella Bolla
prescritte depositò nella Cassa del Monte di Pietà la somma corri
spondente al prezzo pagato dall'augusto acquirente ed emise di
chiarazione di assumere tutte le obbligazioni da S. M. istessa assunte
nel contratto; il che fatto, nell'ottobre 1854 istruì giudizio di re
trovendita prelativa... Ma già si maturavano in Italia gli eventi
troppo noti, ai quali dava mano ausiliatrice in Roma (con quella lealtà
diplomatica che tutti sanno) il Barone d'Arnim che ne fu poi così
ben pagato, come il leale uomo si meritava, dal Principe di Bismark.
Avvenne quindi che per manovre, cui qui non occorre ripetere, il giu
dizio tra il Comune di Roma e lo Stato di Prussia restò sospeso. Tut
tavia gli atti di depositi ed intimazioni da parte del Comune furono
sempre continuati. Aperta per le artiglierie del Cadorna quella brec
cia, della quale si va a celebrare il 25* anuiversario e caduto per
violenza il Governo pontificio, la nuova Amministrazione patriottica
del Comune di Roma stimò impossibile contrastare il possesso di una
i
736 CRONACA
parte dello storico colle all'alleato di ieri e del domani. Se ne trattò più
di una volta nel Consiglio, composto in tutto prima, poi in maggio
ranza di liberali patriotti, inclinandosi sempre a definire la lunga ver
tenza con una transazione tutta a beneficio dell'alleato germanico. Si
seguì la solita tattica di procedere a passo a passo e preparare op
portunamente il terreno ad un atto che non voglio io qualificare, ma
del quale il buon senso dei lettori può fare facilmente giusto giudi
zio. Ed ora la Giunta comunale di Roma presieduta dal Sindaco Don
Emanuele Ruspoli Principe di Poggio Suasa ha fatto presentare ai
Consiglieri una proposta di transazione, uno schema di compromesso
che sottopone alla discussione del Consiglio... La maggioranza libe
rale del Consiglio Comunale di Roma approvò il compromesso, pel
quale, mediante illusorii o nulli compensi di terreni e senza nessun
corrispettivo per la rinunzia ad un diritto di prelazione, si è definiti
vamente dato in potere dell' ambasciata germanica accreditata presso
la Corte del Quirinale il palazzo già Caffarelli edificato sui ruderi del
tempio di Giove Statore. La minoranza cattolica del Consiglio si op
pose indarno all'umiliante e dannoso compromesso, prendendo per ci>">
la parola i Consiglieri Pacelli e Marucchi. Quest'ultimo domandò che
almeno il Comune si riservasse il diritto di proprietà per gli oggetti
che si sarebbero trovati negli scavi della preziosissima area ceduta al
tedesco contro la cessione da parte dell'ambasciata di una più che
mediocre casuccia: ma a nulla valsero le eccellenti ragioni messe in
nanzi dal valente archeologo prof. Orazio Marucchi. Il Sindaco pro
testò che il compromesso doveva approvarsi così come egli lo aveva
presentato e che così la lunga vertenza doveva definirsi appellando
sene il sig. Sindaco anche al desiderio dell'Imperatore. E la maggio
ranza liberale del Consiglio comunale di Roma approvò tutto. »
8. Appunto storico. — // Carnevale dei poveri. Del carnevale ro
mano, noto e famoso nella storia, non è più da parlarne, poiché è
finito. L'anno scorso appunto nel quaderno 1049, pag. 612, parlammo
della morte del tradizionale carnevale romano, adducendone le cause :
e d'or innanzi non se ne parlerà più. E degna di nota però un'opera
pietosa d'un Circolo cattolico di Roma. La Ronianina ogni anno du
rante il carnevale raccoglie denari e vesti per le famiglie povere. Or
il 26 febbraio, la benemerita società fe' godere un po' di carnevale ai
poveri, distribuendo le limosino e gli oggetti raccolti. La distribuzione
cominciò alle 7 e terminò alle 12 precise : una folla immensa veniva
a stento rattenuta da guardie di pubblica sicurezza e carabinieri. Ben
137 famiglie con precedente istanza furono accontentate, e altre 168
che mandarono istanze con ritardo; a 65 bambini furono donati bo
netti, calze, ecc., a molti operai disoccupati si distribuì denaro e 3-ri"
boni delle cucine economiche.
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