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QUINDICIL'INTERVISTA SPORTECONOMIA

ANNO 1 N 7 | 15 MARZO 2018

Chi ha detto che a Bologna non c'è la spiaggia? Beach volley per tutti

Da zero alla Fashion WeekLa storia di Elisabetta Franchi

Pierferdinando Casini si racconta dopo la vittoria elettorale

L’ALTRA VISITA

Supplemento quindicinale di “InCronaca” – giornale del Master in Giornalismo di Bologna

FACEBOOK CI ODIA?

Direttore Responsabile: Giampiero MoscatoEdizione a cura di: Roberto AnselmiDesk: Querciagrossa Riccardo e Chiarelli Stefano

Rivista informativa: Quindici ©Copyright 2017 - Supplemento quindicinale di “InCronaca” Giornale del Master in Giornalismo dell’Università di Bologna Pubblicazione registrata al Tribunale di Bologna in data 15/12/2016 numero 8446via Azzo Gardino, 23 - 40122 BolognaNumero telefonico. 051 2092200E-mail: red.incronaca@gmail.comSito Web: www.incronaca.unibo.it

Giudici onorari, quanta precarietà di Gianluca Mavaro

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Un punto sul processo Aemilia di Andrea Olgiati

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100 anni di Zingarelli di Giorgia Porliod

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Casini racconta la sua Bologna di Valerio Castrignano e Riccardo Querciagrossa

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Discorsi d'odio sui social di Simone Fontana

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S O M M A R I O

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8La scalata di Elisabetta Franchi di Giulia Gotelli

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Il beach volley vola in città di Gianluca Cedolin

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Il cartellone di Quindici

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S O M M A R I O

«L'otto marzo, io lotto!», questo uno degli slogan del corteo che il giorno della festa della donna ha paralizzato il centro storico per manifestare contro la violenza di genere e ogni discriminazione. Per le vie di Bologna non solo donne, ma anche tanti uomini e bambini (FOTO di Giulia Gotelli)

La foto di QUINDICI

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Odio, discriminazione, diffamazione. Razzismo e fascismo. Il social network più popolare al mondo ha delle evidenti falle nel processo di moderazione e la sua policy appare sempre più inadeguata alla legislazione

italiana. Nell’ultimo anno la società di Zuckerberg è uscita ammaccata dalla lotta alle fake news nonostante il suo fondatore abbia accettato il ruolo di media company. Intanto, se in alcuni casi è difficile capire chi c'è dietro a una minaccia anonima, può succedere che l’hate speech venga confuso con la libertà di stampa. E' quello che è capitato a noi di InCronaca dopo un articolo su un candidato di estrema destra. Ecco com’è andata.

di Simone Fontana

IL LATO OSCURO DI FACEBOOK

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Nel 2017 le principali piattaforme hanno rimosso solo il 70% dei contenuti ritenuti offensivi

Un contenuto che hai pubblicato potrebbe non rispettare gli standard della nostra community.

Rimuoviamo i post che attaccano le persone in base a razza, etnia, nazionalità, religione di appartenenza, orientamento sessuale, genere o disabilità». Se almeno una volta nella vita hai letto questa formula di rito, è probabile che tu sia stato dal lato sbagliato dell’hate speech, fomentando su Facebook l’odio o il pregiudizio nei confronti di persone o gruppi di persone sulla base delle caratteristiche sopra elencate. Un’apposita commissione voluta dall’allora presidente della Camera Laura Boldrini, nel luglio del 2017 ha approvato una relazione che sottolinea l’importanza del ruolo giocato dai social network nella formazione di stereotipi collegati a sessismo, omotransfobia, razzismo, intolleranza religiosa, bullismo e antigitanismo, portando alla luce una dinamica che travalica la rete e che finisce per forgiare la realtà in cui viviamo, fino alle estreme conseguenze rappresentate dai crimini d’odio. Secondo le statistiche diffuse da 12 Ong finanziate dalla Commissione europea, le principali piattaforme di social network nel 2017 sono state in grado di rimuovere mediamente il 70% dei contenuti ritenuti offensivi, una percentuale che nel nostro Paese cala al 66,9%. La storia che segue arriva direttamente dal restante 33% .Il 20 febbraio scorso InCronaca, il giornale online del master in gior-nalismo di Bologna, ha raccontato la storia di Luca Baschieri, candida-to per la lista “Italia agli italiani” - il cartello elettorale che raccoglieva Forza Nuova e Fiamma Tricolore- al collegio uninominale di Bologna Mazzini. In particolare l’articolo si soffermava su alcune foto, al tempo disponibili pubblicamente sul profi-lo Facebook di Baschieri, finalizzate inequivocabilmente alla celebra-zione del regime fascista: un fascio littorio, una croce celtica, una foto del candidato nell’atto di eseguire il saluto romano. Le foto erano pub-

bliche ed erano state postate in un intervallo di tempo che va dal 2016 a pochi giorni prima della scoperta. La sera del 20 febbraio, decidiamo di riportare le stesse foto su un nostro profilo privato - ancora una volta con privacy pubblica, come quella utilizzata da Baschieri, -accompa-gnandole con la didascalia: «Mentre discutiamo dell’opportunità di la-sciare le piazze a formazioni di ispi-razione più o meno fascista, questo è il candidato di Forza Nuova al col-legio uninominale di Bologna». Un contenuto giornalistico, veicolato per mezzo del social network più popolare in Italia. Passano appena 24 ore e arriva la mannaia dell’a-zienda di Menlo Park: il contenuto è stato rimosso a causa del linguag-gio d’odio in esso presente. Ma non è finita. Le fotografie che Facebook ha ritenuto offensive nel contesto di un lavoro giornalistico, sono ancora disponibili sul profilo di Luca Ba-schieri, che nel giro di qualche ora si premurerà di rendere visibili tali foto ad un pubblico composto da soli amici, forma nella quale sono tuttora online. Com’è stata possibile una simile decisione?Della policy di Facebook e della sua sostanziale inadeguatezza alla legi-slazione italiana si è detto e scritto tanto. Sappiamo, innanzitutto, che non recepisce il contenuto della legge Scelba e quindi di conseguen-za non sanziona chi “rivolge la sua attività all’esaltazione di esponenti, principi, fatti e metodi propri del partito [fascista] o compie manife-stazioni esteriori di carattere fasci-sta”. Per dimostrarlo abbiamo pro-vato a segnalare pagine appartenenti alla galassia nera di Facebook, una rete di luoghi digitali molto spesso collegati tra loro, che rappresentano il cuore pulsante della propaganda fascista e neofascista, molto spesso organizzati in veri e propri gruppi collegati alla pagina. Il risultato è stato contraddittorio: se in alcuni casi le pagine segnalate sono state prontamente rimosse - come nel caso di “Fascisti Mussoliniani” – la maggior parte delle volte Facebook ci ha consigliato di bloccare la pa-gina o di smettere di seguirla – è ad esempio il caso di “duxstore.it”, pagina dedicata alla celebrazione

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acritica di Benito Mussolini e alla vendita di gadget fascisti.La spiegazione a tale lacuna è stata ribadita appena qualche giorno fa da Laura Bononcini, Head of Public Policy per l’Italia di Facebook, che ha dichiarato a La Stampa: «Non è prevista nella nostra policy, perché si tratta di una legge in vigore solo in Italia. La comunità di Facebook comprende quasi due miliardi di utenti, di culture e Paesi differenti: abbiamo dovuto adottare norme valide a livello globale». Una dichia-razione che mal si concilia con la recente presa di coscienza di Mark Zuckerberg, che negli ultimi mesi ha iniziato a considerare Facebook una media company a tutti gli effetti e che dunque ha deciso di assumersi la responsabilità – seppur indiret-ta – tanto dei contenuti pubblicati, quanto di quelli moderati.La seconda vulnerabilità delle re-gole di cui si è dotata la creatura di Zuckerberg, risiede invece nel-la macchinosità con cui è possibile procedere nei confronti degli odia-tori e dei diffamatori. Il 28 febbraio InCronaca ha raccontato la storia di Insaf Dimassi, l’attivista modene-se per lo Ius Soli vittima di insulti a sfondo razziale veicolati trami-te un commento pubblicato da un profilo falso. In casi come questo, la procedura richiede una denuncia, cui fa seguito la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica

per l’apertura dell’indagine e l’even-tuale richiesta a Facebook di esibi-re i file necessari all’identificazione della personalità nascosta dietro l’account. Ma attenzione, perché Fa-cebook non ha alcun vincolo legale nei confronti dell’autorità giudizia-ria italiana e nell’assoluta maggio-ranza dei casi decide di non tra-smettere il materiale, chiedendo che l’azione prosegua tramite rogatoria internazionale, un procedimento lungo e complesso che scoraggia il querelante dal proseguire oltre. Nel caso specifico di Insaf, la posizione di Facebook potrebbe essere più dif-ficile da giustificare pubblicamente, non tanto a causa degli epiteti razzi-sti o per la velata minaccia di morte – di fronte ai quali la società ame-ricana si è già dimostrata riluttante a procedere - ma per la chiosa del post – “Onore a Traini”, l’autore del-la sparatoria di Macerata - che po-trebbe essere considerata apologia di strage. Abbiamo provato a chiedere conto di queste due situazioni specifiche direttamente a Facebook, prima contattando privatamente Laura Bononcini – constatata l’inesistenza di recapiti istituzionali pubblici rife-riti a Facebook Italia – e poi scriven-do all’indirizzo dedicato alla stampa internazionale che Facebook riporta sul suo sito aziendale. In entrambi i casi non abbiamo ottenuto alcuna risposta.

Un'attivista modenese per lo Ius Soli è stata minacciata e lei ha denunciato il fatto: ora il social collaborerà con la procura?

«La mia Bologna non è più rossa, ma resta solidale»

Parla Pierferdinando Casini. L'ex presidente della Camera torna parlamentare bolognese dopo più di vent'anni. Da Berlusconi al Pd, vita, passione politica, e amarcord. Con la guida della Madonna di San Luca

È il momento di riflettere in silenzio, chi chiacchiera è un fesso». Pier Ferdinando Casini, 62 anni, già presidente della Camera, è stato uno dei simboli dell’appena conclusa campagna elettorale a Bologna. Fu tra i

democristiani che nel ’94 si schierarono con Berlusconi. Quest’anno però ha fatto campagna elettorale in quelle che un tempo erano le sezioni del Partito Comunista e ha vinto all’uninominale da alleato del Pd (di cui ha sostenuto gli ultimi tre governi) contro Vasco Errani. È l’uomo del momento a Bologna, ma del momento e dell’attualità stretta non vuole parlare, né vuol fare previsioni e congetture. Meglio allora ricordare e magari dal passato trarre indicazioni per il futuro.

Quando è nata la sua passione politica?

«Il mio cammino è iniziato a scuola, tra i banchi del liceo Galvani. Avevo la convinzione che anche gli studenti moderati dovessero far sentire la loro voce. C’era una forte presenza di estrema sinistra e di estrema destra, mentre i moderati erano silen-ti. Iniziammo con un gruppo di amici che poi ho ritrovato in futuro. Penso ad Angelo Piazza, che è stato ministro socialista della funzione pubblica. Ricordo anche chi stava dall’altra parte. Da noi c’era un ragazzo di sinistra che si chiamava Bottino, fra-tello dell’ex sovraintendente al Teatro Comunale, che era l’idolo delle ragazze e il protagonista delle assemblee d’istituto. Quando finì lui, iniziai a mo-nopolizzare il dibattito io, ma da un altro fronte».

Oggi Bologna è ancora una città rossa?

di Valerio Castrignano e Riccardo Querciagrossa

Il giocatore preferito? Bulgarelli. E a tavola? Gramigna con piselli e prosciutto

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L'intervista

«Ho sempre rispettato questa città, alle elezioni non poteva respingermi. Per me le persone vengono prima della politica»

«Le categorie sono cambiate per tutto il mondo. Sa-rebbe singolare se in un’epoca in cui non ci sono più le vecchie contrapposizioni ideologiche, il co-munismo, il muro di Berlino, Bologna rimanesse l’ultima città fortilizio di un passato che non c’è più. Bologna è rossa per i mattoni, per i portici e per i suoi colori. E ci piace perché è rossa. Politicamente quel rosso non esiste più. Se invece parliamo delle conquiste sociali, dell’attenzione agli ultimi e del buon senso amministrativo, questo c’è ancora».

Ha mai avuto paura in campagna elettorale di es-sere respinto dall’elettorato dem?«Quello che non hanno capito in questa campagna elettorale è che per me le persone vengono prima della politica. Mi sarebbe dispiaciuto molto essere respinto dalla mia città, perché metto al primo po-sto il rapporto con le persone. Sono stato amico di Maurizio Cevenini -presidente del consiglio pro-vinciale e comunale di Bologna negli anni 2000- e di Imbeni, che prima di morire mi confidò le sue ultime amarezze».

Renzo Imbeni, storico sindaco di Bologna negli anni ‘80. Quali erano queste amarezze?«Essere stato escluso dalla lista europea. Ma non mi va di parlarne, erano conversazioni private…»

E il suo rapporto con il sindaco Giorgio Guazza-loca?«Un mio grande amico, con cui condividevo anche la visione politica. Quello che è stato omesso nel raccontare Guazzaloca, è che lui chiuse i manifesti di Berlusconi in cantina e rispose a chi gli chiede-va di vendicarsi contro la burocrazia del Comune, prendendo come consigliere Fulvio Medini, mitico consigliere generale di Renato Zangheri (sindaco comunista di Bologna negli anni settanta N.d.r.). Guazzaloca ha sempre rispettato questa città, come ho fatto anche io».

La persona che stima di più oggi a Bologna?«Ve ne sono tante, ma per non far torto a nessu-no cito un mio amico, che è un grande professio-nista e, nonostante le apparenze fredde, un grande uomo: Pietro Gnudi».

Lei ha una grande passione per il Bologna, qual è il giocatore rossoblù che ha apprezzato di più?«Bulgarelli, centrocampista e capitano del Bologna con cui vinse lo scudetto del ’64. Giacomino è stato anche un amico».

E tra le figure cattoliche?«Biffi e Zuppi, due persone con una linea e un ca-rattere diverso, dotate entrambe di una grande au-torità morale».

Quale è stato il momento più bello a Bologna?

«Quando fui eletto per la prima volta deputato a 27 anni. Presi il motorino e andai da mio padre a casa. Ricordo la scena come fosse oggi. Era dietro la scri-vania, mi venne incontro, lui si commosse… e an-che io. Poi fu bellissimo quando eletto presidente della Camera dissi: “Come tutti i bolognesi mi affi-do alla Madonna di San Luca”. Ha suscitato ironia, ma solo da parte di chi non conosce Bologna. Tutti, al di là dei colori, amano questa presenza spirituale che veglia sulla città».

Il momento più brutto?«La strage alla stazione. Ero in vacanza con la mia famiglia a Lizzano in Belvedere. Ero appena stato eletto consigliere comunale. Mi precipitai in mac-china, per andare a Bologna, con mia madre che cercò di trattenermi, perché aveva paura che po-tesse succedere qualcosa. Ma era già successo tutto. Quei giorni furono i più brutti».

Qual è il posto che le piace di più a Bologna?«Piazza Maggiore. Poi mia madre vive al Savena, e lì ricordo una città che non c’è più. Quando ero bambino da lì iniziavano i campi. Andavamo a prendere le uova dai contadini. Oggi ci sono altri venti chilometri di case».

Dove vive oggi?«Vicino a villa Paradiso. Era la villa della contessa

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«Il rapporto tra cattolici e politica? C'è meno protagonismo. Mi auguro che questo non coincida con un loro ritiro, perché sarebbe molto dannoso»

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Altobelli, che visitavo da bambino con mia nonna».

Il ristorante in cui va più volentieri in città?«Tradizionalmente il "Diana". In questo perio-do "Adesso Pasta", perché amo Francesco Mafaro (esperto di pasta fresca e tra i proprietari del locale N.d.r.)».

E il piatto che le manca quando è lontano da Bo-logna?«Gramigna prosciutto e piselli».

Lungo la via Emilia c’è stato un forte scossone po-litico: la coalizione di centro destra ha superato quella di centro sinistra, ma Bologna ha resistito. Secondo lei quali sono le ragioni?«A Bologna siamo riusciti a dare agli elettori una proposta convincente nel rapporto fra i ceti pro-duttivi della città. Commercianti, industriali e arti-giani hanno votato in massa e le categorie produtti-ve si sono saldate attorno al nostro progetto. Come si vede dal voto nei quartieri tradizionalmente più di centrodestra abbiamo vinto ovunque. Probabil-mente parte del voto lo abbiamo perso fra i mili-tanti della Cgil e Fiom. D'altronde i segnali nelle fabbriche bolognesi c’erano stati, pensiamo a cosa è successo alla Gd (dove la Fiom non è più il primo sindacato N.d.r.)».

Ora quali scenari si aprono per la sinistra in regio-ne e in Italia?«Adesso non è il momento di analisi affrettate, né di rese di conti».

Gian Luca Galletti in veste di sindaco è la scelta migliore?«Non avanzo candidature. Questo dibattito a tre anni dall’elezione del sindaco è fuorviante e sba-gliato».

Lei è stato prima alleato e poi oppositore di Ber-lusconi, dopo il sorpasso della Lega di Salvini il berlusconismo è tramontato definitivamente?«Il tempo passa per tutti. Berlusconi ha fatto un miracolo a prendere i voti che ha preso senza un

partito, perché i voti li ha presi tutti lui. Ma pur-troppo il tempo passa e anche per Silvio è arrivato un momento un po’ delicato».

Come è cambiato il rapporto fra i cattolici e la po-litica?«C’è meno protagonismo. Mi auguro che questo non coincida con un ritiro dei cattolici dalla politi-ca perché sarebbe molto dannoso».

Nel mondo cattolico è arrivata la rivoluzione di Papa Francesco…«Francesco è figlio dei tempi, come è figlio dei tem-pi il nostro vescovo Zuppi. Probabilmente l’attuale Papa è stato provvidenziale perché se non ci fosse stato lui oggi la Chiesa avrebbe ancora più diffi-coltà a farsi capire dalla gente. Però, naturalmente, un pontificato si giudica non dalla semina ma dai frutti che darà».

Come sta oggi Bologna? Che voto le darebbe?«Rispetto alle altre città europee e d’Italia è all’a-vanguardia. Poi naturalmente su tanti temi bisogna fare di più. Col sindaco tante volte ho parlato del degrado urbano e del tema dell’ordine pubblico in alcune zone, ma Merola ne ha senz’altro una consa-pevolezza maggiore di quanta ne ho io».

E al sindaco che voto darebbe da 1 a 10?«È il mio sindaco, non do i voti».

Donadoni invece? Da 1 a 10?«6,5. Si può fare di più».

«Noi, giudici a cottimo»

In pochi lo sanno ma per mandare avanti i processi ci si affida a figure precarie. A Bologna sono circa un terzo dei magistrati in servizio e seguono anche casi delicati, come omicidi colposi e infortuni sul lavoro

Dovevano essere un tampone e sono diventati uno dei pilastri della magistratura, assorbendo il 60% dei giudizi di primo grado. Giudici assunti in via temporanea alla fine degli anni

‘90 per smaltire il carico di procedimenti di minore rilevanza, sono stati poi prorogati per vent’anni. Reclutati per titoli e non per concorso, lo Stato ha affidato loro migliaia di processi restituendo in cambio briciole in termini di sicurezza economica e previdenziale. Adesso se ne contano oltre 5000 in tutto il paese: quasi la metà della giustizia in Italia è retta da un esercito di precari. Le figure più importanti e diffuse sono quelle di viceprocuratore onorario (vpo) e di giudice onorario di tribunale (got). Il primo è un organo giudicante, il secondo

inquirente e sostituisce il pubblico ministero. Il tribunale di Bologna non fa eccezione, con ben 46 got in servizio. A questi si aggiungono 18 viceprocuratori onorari vpo, attivi in procura. Si occupano non solo di reati minori come furti, ricettazioni, appropriazioni indebite, ma la loro competenza si estende a casi delicati come quelli di stalking, minacce, falsa testimonianza, evasione fiscale, fino all’omicidio colposo e agli infortuni sul lavoro. I loro doveri e le loro responsabilità sono a tutti gli effetti quelli di un magistrato: trangugiare pile di documenti, interpretare norme, scrivere atti e sentenze, sostenere l’accusa. Tutte queste attività però vengono svolte gratis: ad essere retribuita – con 98 euro – è soltanto la presenza in udienza. Si badi bene: ogni udienza può contenere fino a 30/40

di Gianluca Mavaro

Gli Onorari guadagnano 98 euro a udienza, in media 800 euro lordi al mese

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Giustizia

La riforma Orlando dell'estate 2017 ha lasciato tutti scontenti, senza risolvere le disparità con i magistrati ordinari

processi, testi, imputati e avvocati diversi e durare anche tutta la giornata. E infatti se si superano le cinque ore il compenso è doppio. In media un magistrato onorario ne riesce a seguire quattro al mese, guadagnando così non più di 800 euro lordi. Circa venti volte in meno rispetto ai colleghi togati, che secondo l’Inps, guadagnano in media 125mila euro lordi all’anno. La riforma Orlando ha adesso introdotto un’indennità di 16mila euro lordi annui, che però entrerà in vigore fra quattro anni. In cambio le udienze settimanali verranno limitate a un massimo di due, riducendo quindi i gettoni di presenza, e di conseguenza anche la retribuzione. La discriminazione però non si ferma allo stipendio: niente ferie, malattia, maternità. «Siamo lavoratori a cottimo – dice Stefano Gozzi, giudice onorario di tribunale alla I sezione penale – veniamo pagati solo e soltanto quando andiamo in udienza». E i contributi bisogna pagarseli da sé, tant’è che per anni l’attività svolta non era considerata un vero e proprio rapporto di lavoro. La riforma Orlando ha lasciato molti scontenti, non avendo sostanzialmente risolto il problema della discriminazione rispetto ai magistrati ordinari, a fronte del carico di lavoro crescente e del sempre maggior sfruttamento delle loro competenze. Per questo, in gennaio le

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La sede del Tribunale di Bologna. In alto il Guardasigilli Andrea Orlando.

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associazioni di categoria hanno indetto uno sciopero causando il rinvio di centinaia di migliaia di processi. L’Unione nazionale giudici di pace non ha dubbi: «Un magistrato impiegato solo apparentemente part-time, con uno stipendio da bracciante agricolo in nero, senza tutele previdenziali effettive, senza tutele ordinamentali e disciplinari, che garanzie di indipendenza e imparzialità potrà mai offrire?». «La normativa è insufficiente, e lo Stato continua a considerarci lavoratori autonomi, ma io e i miei colleghi andiamo ogni giorno in tribunale. C’è chi ha uffici e computer lì. E’ chiaro che la legge falsa le carte, perché si tratta di lavoro subordinato», spiega Gozzi, che scrive 800 sentenze all’anno. Un lavoro «impegnativo», che non assicura alcun avanzamento di carriera: «Gli incarichi dovevano essere tutti provvisori ma di fatto sono stati prorogati di anno in anno. Rimane comunque il grande arricchimento culturale e professionale». Giacomina Orlando fa il viceprocuratore onorario in procura dal 2000, svolgendo in udienza le funzioni del Pm. Adesso guadagna 300-600 euro al mese. «Siamo lavoratori senza diritti. Quando ero incinta ho dovuto lavorare dalle nove del mattino alle dieci di sera, solo all’ottavo mese ho detto al procuratore che non ce la facevo più». In questi casi nessuna indennità di maternità è prevista. «Non ci viene riconosciuto nulla, nessuna tutela previdenziale, nessuna garanzia. Eppure abbiamo gli stessi poteri dei giudici togati. Una disparità incomprensibile. La riforma Orlando ha fatto solo danni: prima superavo agilmente i 1000 euro, adesso è impossibile, non potendo più lavorare nella circoscrizione del tribunale di Bologna». La legge infatti avrebbe tagliato le gambe a molti magistrati onorari che svolgono parallelamente la professione di avvocato: la riforma ha introdotto delle incompatibilità territoriali tra le due professioni che hanno toccato soprattutto chi è iscritto all’ordine degli avvocati, ma di fatto negli studi legali esercita poco o nulla, e faceva quindi affidamento sui compensi ricevuti per l’attività di magistrato. Sono lontani i tempi in cui la laurea in Giurisprudenza garantiva un impiego pubblico sicuro, remunerato e garantito. Adesso è dura anche per esperti giuristi ricevere l’adeguata ricompensa per il sudore versato sui codici: scrivere sentenze “in nome del popolo italiano” non basta più per ottenere un mutuo.

Una viceprocuratore onorario: «Non abbiamo nessun diritto. Quando ero incinta ho dovuto lavorare dalle 9 alle 22. All'otta-vo mese ho detto al procuratore che non ce la facevo più»

Aemilia e i nuovi fortini della 'ndrangheta

Il processo è in corso ma lo spettro della malavita calabrese continua ad aleggiare sulla regione. L'antimafia non molla la presa: i comuni di dimensioni medie e piccole sono ancora quelli più a rischio

di Andrea Olgiati

Il 13 marzo venticinque imputati hanno scelto il rito abbreviato

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Signore sono pallini piccoli piccoli… da passerottino… innoqui» diceva Don Camillo in “Don Camillo Monsignore…ma non troppo”. In quel caso però, bastò un richiamo del Signore per impedirgli d’impallinare una

donna. Ad anni di distanza, quello stesso paese nel quale la serie è ambientata, Brescello, è un tassello fondamentale del maxi processo Aemilia ancora in corso, diviso tra i tribunali di Bologna e Reggio Emilia. Al momento, nel tribunale di Reggio Emilia, a seguito della modifica dei capi d’imputazione per trentaquat-tro imputati, il 13 marzo, venticinque di loro hanno scelto di essere giudicati secondo il rito abbreviato e le udienze dovrebbero iniziare il 27 marzo, con il de-posito delle trascrizioni previsto per il 10 aprile. Tra questi ci sono figure centrali come il faccendiere Mi-chele Bolognino, il fratello Sergio, Gianluigi Sarcone

(considerato il nuovo reggente della cosca reggiana dopo la carcerazione al 41bis del fratello Nicolino), i due pentiti Antonio Valerio e Salvatore Muto e i fratel-li Vertinelli (considerati la cassaforte al nord della co-sca Grande Aracri). Per gli altri nove che hanno scelto invece il rito ordinario il loro esame sarà il 20 marzo. Il processo Aemilia, insieme all’ Aemilia-bis, l’ope-razione Pesci in Lombardia, che portò nel settembre 2017 alla condanna di Nicolino Grande Aracri, La Kyterion nel calabrese del 2015, che condusse a 37 ar-resti nel calabrese tra Cutro, Isola Capo Rizzuto e Ca-tanzaro di cui molti facevano capo a Nicolino Grande Aracri, mettono sotto gli occhi quanto l’organizzazio-ne facente capo ad Aracri sia radicata nel territorio emiliano. «Da giovane – dice Marco Mescolini, il pm del pro-cesso Aemilia, a lezione con i ragazzi di Libera in Uni-

Mafie al nord

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versità - il problema non era la mafia ma il terrorismo. Per il numero degli imputati (219) abbiamo tenuto l’u-dienza preliminare del 22 ottobre 2015 al padiglione 17 della Fiera di Bologna. A tutti sembrava una cosa nuova, ma ci fu anche chi scrisse che non era la pri-ma volta che succedeva a Bologna: un altro processo con più di 110 malfattori c’era stato nel 1864, fu quello delle balle (in dialetto le consorterie studentesche) bo-lognesi».Nell’ultima relazione della commissione parlamentare antimafia, presentata da Rosy Bindi il mese scorso, si parla riferendosi alla colonizzazione del nord da par-te delle organizzazioni ‘ndranghetiste e mafiose: un fenomeno a macchia di leopardo che va a colpire i comuni di dimensioni medio-piccole, che una volta espugnati divengono dei fortini, capisaldi strategici distribuiti sul territorio. Costituiscono cioè un poten-te strumento di consolidamento degli interessi mafio-si e di radicamento stabile, dello stesso tipo, anche se non della stessa intensità storico-sociale, espresso in Calabria. I centri possono mantenere legami forti con il territorio di provenienza, come mostrato dall’opera-zione Kyterion.«Non è tanto il rapporto della mafia con la politica - continua Mescolini - quanto quello con il potere. In un territorio le organizzazioni cercano contatti con chi, in quella zona, lo concentra intorno a sé, che può essere anche politico o amministrativo».

Nel dicembre del 2017 invece il Consiglio di Stato ha confermato lo scioglimento del Comune di Bre-scello, il paese di Don Camillo, dove vive Francesco Grande Alacri, fratello di Nicolino Grande Aracri, condannato in via definitiva per aver partecipato ad associazioni di carattere mafioso. Tra gli elementi che hanno portato alla sentenza di scioglimento, l’assun-zione nell’amministrazione di personaggi a vario tito-lo legati alle cosche, l’indirizzamento degli appalti e anche il comportamento tenuto dal sindaco durante una video inchiesta realizzata da ragazzi liceali e uni-versitari dell’associazione Reggiana, “Cortocircuito” che sono andati a chiedergli della presenza mafiosa in paese. «Un’altra delle caratteristiche – afferma il Pm - propria del modello mafioso è la condizione di as-soggettamento e di omertà che ne deriva. Cioè un gra-do di subalternità nei confronti di un altro che però è negata».«La mafia non è qualcosa d’immutabile - continua - si possono però inquadrare alcune modalità d’azione che possono aiutarci a capire come opera e rintrac-ciare degli elementi comuni. La paura nei confronti del mafioso non è derivata solo dalla sua persona, ma dalla moltitudine invisibile che si percepisce dietro di lui. Un’altra delle sue caratteristiche è l’esibizione del potere. Il mostrarsi potente come segno di forza, come il travestirsi da carabiniere nel caso dell’omicidio avve-nuto nel 1992 a Brescello. Dei malfattori travestiti da forze dell’ordine - chiude Mescolini - sono entrati in casa di un uomo agli arresti domiciliari per freddarlo davanti alla moglie e al figlio».

Il pm Mescolini: «Ciò che spaventa è il rapporto tra mafia e potere. In un territorio le organizzazioni cercano contatti con chi lo concentra intorno a sé»

Brescello, in provincia di Reggio Emilia, uno dei comuni coinvolti nel processo

Elisabetta Franchi, la regina del lusso accessibile

Partita da zero nel 1996, l'azienda creata dalla stilista bolognese oggi ha negozi in tutto il mondo. Ed è diventata un punto di riferimento per la moda femminile. I prezzi? Alla portata di tutti

di Giulia Gotelli

Made in Italy e rispetto per l'ambiente i punti forti del brand

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Un paradiso rosa antico, dove la cliente può sentir rinascere la propria femminilità. I mobili, dal design minimal, svettano sullo sfondo cipria (anche il par-quet è stato scelto con cura nelle sue nuances più chia-re). Sulle grucce che decorano le pareti fanno mostra di sé gli abiti della nuova collezione primavera/estate 2018. Alcuni outfit già assemblati dall’occhio esperto della responsabile si ergono come tanti alberi color pastello: chi entra nella boutique di Elisabetta Franchi in Galleria Cavour non può far altro che perdersi in questa selva di capi prêt-à-porter, dove il lusso è final-mente accessibile. Il nuovo flagstore shop inaugurato nell’estate del 2017 occupa due piani della sezione Green della Galleria e si estende per 450 metri quadrati. Ma questo è solo uno degli ultimi passi compiuti dalla fondatrice del brand, Elisabetta Franchi, classe 1968, che a Bologna

è nata e che ha deciso di scommettere sulla sua città. L’avventura di Elisabetta parte nel 1996, quando deci-de di aprire un piccolo atelier con solo cinque impie-gati: oggi, i dipendenti sono 240 e il brand Elisabet-ta Franchi vanta più di 80 negozi monomarca e circa 1100 multimarca in 65 paesi. Stilista ed imprenditrice, la Franchi può sostenere di “essersi fatta da sola”: nel 1998, infatti, fonda il brand Celyn B. (B. rimanda a Betta, il soprannome con cui viene chiamata in famiglia) e, forte del proprio gusto e dello studio attento delle tendenze del momento, rie-sce a farsi notare dalla clientela femminile. Punto forte dell’azienda è il Made in Italy, di cui negli anni si sente sempre di più la mancanza, e la maglieria, tipologia di prodotto con cui la Franchi lancia il brand. Ma non si accontenta e, oltre ad abiti dal taglio elegante e raffina-to, la stilista inaugura nel 2009 una nuova collezione

Economia

Economia

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di calzature da abbinare alle sue creazioni tessili. Il successo è dietro l’angolo e finalmente Elisabetta può appropriarsi di un vero e proprio headquarter di produzione: è così infatti che la stilista chiama il mo-numentale complesso immerso nella campagna bolo-gnese, una ex fabbrica farmaceutica che lei acquista e ristruttura completamente. 6000 metri quadri, design moderno ed essenziale, realizzato in legno, metallo e vetro rispettando l’eco-sistema in cui è stato inserito, il quartier generale del brand ne rispecchia anche la

credenza di fondo, ovvero il riguardo per il mondo naturale. Il marchio Elisabetta Franchi sale infatti alla ribalta anche per le sue idee all’avanguardia in materia di eco-logia: per la realizzazione dei suoi capi è assolutamen-te vietato l’impiego di pellicce e piume, perché ottenu-te attraverso un trattamento disumano degli animali. Nel 2014 arriva il salto di qualità: il brand sbarca uffi-cialmente sulle passerelle della Fashion Week milane-se e viene inserito nel calendario ufficiale della Came-ra della moda: Elisabetta non ha più ostacoli. Il fatturato cresce anno dopo anno. Nel 2015 ammon-tava a 100,8 milioni di euro, nel 2016 era già attesta-to attorno ai 102 milioni, con un Ebitda del 20,1%, in crescita del 14% rispetto all’esercizio precedente, e nel 2017 si vocifera abbia raggiunto i 110 milioni circa. Una crescita che sembra non arrestarsi con la pre-visione di +50% entro il 2020, almeno secondo le di-chiarazioni del nuovo amministratore delegato della compagnia Eugenio Manghi, strappato a una lunga carriera nel gruppo Max Mara, che ricorda come il brand tutto italiano stia avendo successo in ogni parte del mondo (Russia, Cina e Medio Oriente fra gli altri). «La crescita nel retail è strategica perché le collezioni di abbigliamento si sono ampliate e da quattro sono

Il fatturato dell'impero 'rosa' è in continua crescita: attesi 110 milioni nel 2017. L'ad Manghi: «Le signore ci preferiscono per il nostro ottimo rapporto qualità prezzo»

diventate sei – dichiara Manghi al Sole 24 Ore - lo stesso per il business degli accessori, già oggi al 13,5% del fatturato. Per mostrare l’intero mondo Elisabetta Franchi i monomarca sono la soluzione migliore».I dati sembrano dargli decisamente ragione: la Betty Blue, l’azienda di abbigliamento che produce e distri-buisce sia collezioni omonime che sotto il marchio Elisabetta Franchi, è apparsa nella TOP 500 delle imprese emiliano-romagnoli occupando nel 2016 la 97esima posizione grazie a un capitale netto di 44.851 milioni di euro e un margine operativo lordo di 20.131 milioni di euro.Ad avvantaggiare il brand, sembra ci sia anche la cer-tezza della fascia di prezzo in cui EF rientra, ovvero quello definito, come già detto, “lusso accessibile”. «Elisabetta Franchi presidia da sempre questa fascia – spiega ancora l’AD Manghi -. La signora Franchi e tutte le persone che lavorano in azienda, per il 70% donne, preferiscono però parlare di ottimo rapporto qualità-prezzo, value for money».

Il fatturato 2015 e 2016. Le attese 2017 e le stime per il 2020

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La moda emiliana, un settore tra luci e ombre. Che fa gola all'esteroIl settore della moda in Emilia-Romagna resta un'importante tessera del puzzle economico: secon-do la più recente analisi Ervet pubblicata dalla Regione nel febbraio 2017, infatti, sono 6.989 le imprese attive, ovvero l’8,3% dell’intero panorama nazionale. Dopo una leggera ripresa nel II trimestre del 2016, tuttavia, questo settore ha registrato una lenta ma persistente contrazione: nel periodo compreso fra gennaio e settembre, la variazione si è arre-stata attorno al -1,8% rispetto alla media del 2015. Si mantiene positivo però il fattore esportazione: le aziende emiliano-romagnole ricoprono il 13,1% a livello nazionale, con un ricavo di 4.807.108.202 milioni di euro soltanto nel 2016. Rispetto all’anno precedente, infatti, le esportazioni sono aumen-tate del 4,1%, soprattutto per quanto riguarda calzature e abbigliamento. Negativa invece la varia-zione dei prodotti in pelle, il -4,6% rispetto al 2015 solo in regione, un indice più grave della media nazionale (scesa del -1,1%). In questo panorama si inseriscono le acquisizioni ad opera di imprese estere di celebri firme della moda bolognese come La Perla e Yoox Net-à-porter (ora riconducibile al gruppo Ynap), che hanno sottratto al capoluogo emiliano-romagnolo due eccellenze del mercato della moda. La Perla, nata dall’idea della stilista bolognese Ada Masotti nel 1954 e sinonimo di lingerie di lusso, è stata acquistata dalla olandese Sapinda Holding di Lars Windhorst dopo il fallimento della trattativa con l’investitore cinese Fosun International. Il marchio, già precedentemente venduto a un com-petitor americano, era stato rilevato dall’italianissimo Silvio Scaglia nel 2013, che aveva investito nell’impresa 69 milioni di euro. Yoox, azienda leader dell’e-commerce di abbigliamento, accessori e calzature, fondata dal bologne-se Federico Marchetti, è posseduta al 75,03% dalla Compagnie Financière Richemont. La stessa Ri-chemont che a gennaio 2018 aveva fatto un’offerta pubblica di acquisto (Opa) per ottenere il 100% delle azioni. Buone notizie nonostante il periodo di stallo: Yoox Net-à-porter, quotata in borsa come gruppo Ynap, ha chiuso il 2017 con un ricavo pari a 2,1 miliardi di euro, in aumento dell'11,8%. No-nostante l’imponente presenza della compagnia svizzera, tuttavia, Ynap continuerà ad essere un business indipendente il cui nucleo operativo resterà nel bolognese.

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Alla scoperta della casa editrice dove nasce il vocabolario per eccellenza

Da autoscatto a selfie, fotografia di un Paese che cambia

Lo Zingarelli ha festeggiato 100 anni: da "Brexit" a "youtuber", l'edizione 2018 ricorda le parole che segnano la nostra epoca e quelle che spopolano sui social. Ma come si scelgono? E chi lo fa? Intanto prepariamoci al verbo "whatsappare"

di Giorgia Porliod

Lo Zingarelli ha compiuto 100 anni. Ognuno di noi ha sfogliato il più celebre vocabolario della lingua italiana almeno una volta nella vita, l'ha consultato durante i compiti a scuola, portato sottobraccio all’esame della maturità e

poi lasciato a prendere polvere su una libreria. Magari senza considerare che quel tomo pesante, tramandato di generazione in generazione, è il più grande custode dei cambiamenti dell’italiano e della nostra società. Uno specchio dei tempi passati e di quelli moderni, un notaio che registra ogni anno parole nuove e si preoccupa di salvaguardare quelle in pericolo. Una storia e una rivoluzione nata nel 1917 grazie agli editori Bietti e Reggiani, proseguita con il lavoro di Nicola Zingarelli e resa possibile ancora oggi dalla casa editrice bolognese Zanichelli. L’edizione del 2018 si è arricchita di termini e definizio-ni presi in prestito dal mondo dei social, da eventi che

hanno cambiato gli ultimi mesi e da neologismi creati dai giovani e da chi parla l’idioma del Belpaese, ma non si lascia spaventare dai forestierismi e li usa facendoli entrare nella quotidianità. L’edificio di via Irnerio è una fabbrica di lemmi e voci che fanno parlare le novità del nostro tempo: per questo, per l’anno in corso, la Zani-chelli ha scelto di stampare proprio il termine “innova-zione” direttamente sulla copertina, sopra la foto della fermata metro “Università”, a Napoli, sui cui gradini di accesso alla banchina sono raffigurati Dante e Beatrice. Un omaggio all’Italia che cambia assieme alla propria lingua.Il mondo che più influenza questa nuova edizione è senza dubbio quello di internet, che velocizza sempre di più il modo di ragionare e di comunicare. «Basti pensare alle ultime elezioni del 4 marzo - osserva Massimo Ar-cangeli, linguista e critico letterario - la campagna elet-torale si è svolta più su internet che sui manifesti nelle

Cultura

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piazze. La rete ha inglobato anche il dibattito politico ed è un laboratorio in cui ogni giorno nascono nuove pa-role». Dai nuovi media e dai social vengono "hater" (di cui parliamo a pagina 4, con Simone Fontana) colui che utilizza il web per insultare, e "influencer", un novello opinion leader che grazie alla sua attività online detta gusti e mode. C’era un volta l’autoscatto che oggi é di-ventato selfie. Ma anche nuove accezioni a termini che già esistono, come amicizia, non più solo reale, ma vir-tuale: la relazione tra due utenti di Facebook che condi-vidono i contenuti del loro profilo. E, ancora, taggatura che, se ieri era solo l’arte dei graffittari che firmavano la loro opera con un tag, oggi è l’azione che si compie sui social quando si inserisce il nome in un commento o in una foto, indicando e segnalandone la presenza. Ma ci sono anche parole che segnano un’epoca, e se nella prima edizione annualizzata dello Zingarelli del 1994 era stata scelta Tangentopoli, quella di quest’anno non poteva che essere Brexit: l’unione di Britain ed exit coniata sui giornali che indica l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea sancita dal referendum di giugno 2016. E poi la post-verità, quel fenomeno per cui nella discus-sione pubblica si affermano e si diffondono falsità am-plificate dalla rete. Ma perché ci sono parole che nasco-no dal nulla, magari diventano virali e poi non entrano a far parte del vocabolario? Il caso più celebre é quello di petaloso, utilizzato da un bambino veronese per qua-lificare una margherita, diventato oggetto di attenzione mediatica e della stessa Crusca. Il termine é stato riu-tilizzato alle elezioni dalla ministra Beatrice Lorenzin per descrivere il simbolo del proprio partito. «Perché le parole si selezionano con tre criteri: durata, frequenza e qualità – spiega Mario Cannella, da anni lessicografo dello Zanichelli – il vocabolario registra solo i termi-

ni che si radicano nella nostra lingua, non i fenomeni passeggeri. Verifichiamo poi la ripetitività della parola, quante volte la troviamo su internet, la sentiamo dire al telegiornale. E poi la parola deve avere un peso cul-turale». Il professor Cannella fa parte di una squadra che ogni ogni anno, sulla base dell’edizione precedente, scrive e aggiorna lo Zingarelli con i nuovi termini. «É

I lessicografi selezionano le parole con tre criteri: durata, frequenza e qualità. Il vocabolario registra solo i termini radicati, con peso culturale, non le meteore

Sono contrassegnate con un fiorellino le parole che rischiano di perdersi e devono esseresalvate: perchè non dire più che un cibo è 'sapido' o che un comportamento è 'ondivago'?

un lavoro che dura 365 giorni, si tocca ogni parte del vocabolario, registriamo 15mila interventi. Le parole nascono spontaneamente: può capitare che prenden-do la metro io ne senta una e la annoti. Ascoltando la radio, altra fonte importante, cerco di capire se viene riutilizzata. Leggendo il giornale, magari la ritrovo. Mi affido anche alla cara vecchia letteratura. Poi si propone e il termine viene votato. Siamo un gruppo dispari, in modo che ci sia sempre un voto in più». E, senza fare spoiler (termine preso in prestito dall’inglese to spoil, rovinare, riferito ad anticipazioni di cose non note ai più) alla Zanichelli si lavora già all’edizione del 2019, che potrebbe contenere whatsappare e Burian, il vento freddo della Siberia che la scorsa settimana ha imbian-cato l’Italia. «Stiamo monitorando downloadare – pro-segue Cannella – perché viene utilizzato, ma gli si pre-ferisce ancora la versione italiana scaricare. Abbiamo invece deciso di inserire l’aggettivo genocidiario. Se ne é tanto di dibattuto in occasione della Shoah ma anche della strage degli Armeni».E poi dialettismi e modi di dire: nel 2018 sono stati in-seriti il pane carasau e la schiscetta, il temine milanese per indicare il contenitore del pranzo consumato in uf-ficio. Un segno della velocità dei nostri tempi ma anche di un bisogno di riscoprire la tradizione. «Lo Zingarelli è un patrimonio di cui disponiamo per comprendere meglio l’evoluzione sociale del nostro pa-ese. Ci sono parole che esistono da sempre, ma che oggi subiscono trasformazioni nella loro definizione – spie-ga Arcangeli - Se prendiamo un vocabolario degli anni Venti ritroviamo il termine viaggio: sono elencati tutti i mezzi di trasporto, ma manca la nave, di uso commer-ciale. Chi ha redatto il dizionario allora non aveva inse-rito il termine, magari per rispetto di chi per mare aveva perso qualcuno. Ecco, oggi la nave è invece un mezzo fondamentale per viaggiare».Senza contare il genere delle parole, questione fonda-mentale del presente: la sindaca, la ministra, la medica sono sempre più utilizzati, anche se per alcuni risultano cacofonici. «Non esistono parole brutte, in 100 anni di Zingarelli notiamo il bisogno di attribuire un femmini-le ai nomi. Alla donna per secoli non sono stati ricono-sciuti ruoli di prestigio: l’avvocato era solo maschile, ad esempio. Oggi proprio perché la lingua si sta liberando ha bisogno di una comunità aperta, non deve rischiare di essere cementificata».Il dizionario pensa anche alle parole che devono esse-re salvate (perché vengono dette di meno e rischiano

di perdersi) e le contrassegna con un fiorellino: perché non dire più che un cibo é sapido o che qualcuno ha un comportamento ondivago?Insieme al professor Cannella abbiamo tracciato la sto-ria della parola turismo: «È una parola turistica: nasce dal latino tornio, va in Francia per dire Tour, passa per l’Inghilterra del ‘700 e nascono tourist e tourism. Loro erano dei gran viaggiatori ed il Regno Unito era un grande impero coloniale. Poi, nel ‘900 l’italia lo prende in prestito dal francese. Oggi anche noi abbiamo il turi-smo e il turista». La lingua é un viaggio senza fine. «All’utilità del pubblico ho tenuto fissa la mente, propo-nendomi non già di ammaestrarlo, ma di servire ai suoi bisogni». Questa è stata la finalità con cui Nicola Zin-garelli compilò il suo vocabolario cento anni fa. Oggi porta ancora il suo nome e tra le mura di via Irnerio il presente va a braccetto con il passato, il presente e il futuro dell’italiano.

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Nicola Zingarelli, autore dell'omonimo dizionario

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Bologna di sabbia, il beach volley lontano dal mare

Uno sport nuovo che sta prendendo sempre più piede in città dopo i successi di Rio: lo praticano quasi settecento persone. E intanto arriva in città una tap-pa del campionato italiano di Lega

La sabbia di Bologna non è la stessa di Rimini o Ce-senatico: è finta, quasi innaturale nella sua lontananza dal mare. Vera è però la passione delle oltre seicento persone che sotto le Due Torri frequentano corsi di beach volley. Un movimento in crescita, che «ha avuto un boom di iscritti dopo l’estate 2016 – spiega Alessan-dro Brizzi, direttore sportivo di Bologna beach volley – quando, con l’argento degli italiani Nicolai-Lupo alle Olimpiadi di Rio de Janeiro, i riflettori si sono accesi su questo sport».Bbv è la seconda società per iscritti, davanti a Bolo-gna beach volley club e Circolo tennis Italia, ma di poco dietro ad Active beach volley team che, oltre ad avere il maggior numero di corsisti, esprime anche i giocatori di livello più alto (Atef Nassif, il presidente, è al 105esimo posto in Italia). Tra questi c’è France-sco Margaritelli, classe 1995, da Perugia a Bologna per studiare ingegneria. Dopo un passato nella pallavolo, fino alla serie B, ha abbandonato l’indoor per dedicar-

si solo alla sabbia, diventando oggi numero 150 della classifica italiana federale: «Preferisco il beach perché giocando in due sei sempre al centro dell’azione, e an-che a livello mentale ti fa prendere grande confidenza in te stesso – racconta il giovane, che dall’anno scor-so è diventato anche allenatore dei gruppi maschili, femminili e misti dell’Active -. Questo sport ti dà l’op-portunità di girare l’Italia, scegliendo le tappe in base alle tue preferenze, oltre a permetterti di condividere serate in compagnia di giocatori che il giorno dopo saranno tuoi avversari in campo».Certo, solo i migliori riescono a renderlo un lavoro: «Il professionismo non esiste – spiega Francesco – non ci sono società che pagano i propri giocatori. I più forti (in Italia solo in 8 sono in classifica a livello interna-zionale) guadagnano principalmente con gli sponsor, oltre che con i premi torneo. Ai vincitori di una tappa del campionato italiano vanno circa 5mila euro».A livello impiantistico, Bologna sta abbastanza bene.

di Gianluca Cedolin

L'Active ha giocatori di livello nazionale, ma i primi sono irraggiungibili

Sport

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Ci sono almeno sette luoghi con sabbia artificiale e reti dove giocare, sotto un pallone d’inverno e all’aperto nelle stagioni calde. Un’occasione anche per chi non gioca a beach di ritrovarsi con gli amici per una partita di gruppo, come quelle che si fanno in estate al mare (un campo costa circa 40-50 euro per un’ora e mezza).Se sono tanti i ragazzi e le ragazze che si stanno ap-passionando al beach volley, a livello giovanile la si-tuazione è meno rosea: «È difficile che uno da piccolo inizi a giocare sulla sabbia, specialmente in una città non di mare come Bologna, dove non cresci in riva con il pallone in mano – analizza la situazione France-sco, incontrato alla Gioka beach Arena poco prima del suo allenamento -. In molti qui si stanno iscrivendo ai corsi, ma la maggior parte ha tra i venti e i trent’anni. Sono ex giocatori di pallavolo o persone che iniziano

Nonostante i tanti appassionati, al beach volley si avvicinano ancora pochi giovani. «Difficilmente un bambino inizia a giocare sulla sabbia. Chi si iscrive ha tra i 20 e 30 anni»

direttamente con il beach, troppo tardi per arrivare ad alti livelli».La scorsa domenica Active ha ospitato una tappa del campionato italiano di Lega, diverso da quello federa-le. Se in quest’ultimo infatti i punti vengono assegnati al singolo giocatore, in quello della Lega si gioca per società. Nell’appuntamento bolognese dello scorso weekend, l’Active ha vinto il Girone D della categoria amatori, che a dispetto del nome ha regalato sprazzi di buon beach volley. Un’altra testimonianza di come questo sport stia conquistando discreto spazio nel pa-norama del campionato emiliano.Ma come detto, sono soprattutto i “principianti” e gli “intermedi” lo zoccolo duro dei beach volleisti a Bolo-gna: ragazzi e ragazze che dopo una giornata di studio o lavoro sfidano la sabbia, gelida d’inverno e appicci-cosa in estate, per un’ora e mezza di adrenalina. Pur essendo uno sport molto tecnico e fisico, il beach si gode infatti a tutti i livelli. E per quanto sia atipico ave-re lo zaino (e la casa) pieno di sabbia in un luogo che dista ottanta chilometri dall’acqua, quel campo 8x8 da dividere con il compagno è un luogo di evasione che va oltre i tramonti in riva al mare.Se ci si abitua all’impossibilità di non rinfrescarsi con un tuffo a fine partita, allora il beach volley a Bologna diventa uno sport normale. Anzi, magnifico.

I promessi sposi alla prova - studioGiovane compagnia si ispira al libro di Manzoni per creare uno spettacolo in cui il protagonista è il teatro stesso.24 marzo ore 21.00Teatri di vitaBiglietti da 9 a 15 euro

MalvagioUna riunione straordinaria in una scuola di provincia, a cui manca solo Malvagio: ma chi è? Cos'ha fatto? 16 marzo ore 20.30, 17 marzo ore 20.00, 18 marzo ore 16.30Teatro delle MolineBiglietti da 7,50 euro

Ornella Vanoni Una delle più grandi cantanti di tutti i tempi torna in tour con un nuovo spettacolo sulla sua carriera, intitolato "La mia storia". 21 marzo ore 21.00Teatri Duse Biglietti da 33 a 55 euro

Rossini Ouvertures Spellbound Contemporary Ballet celebra la figura artistica e umana di Gioachino Rossini12 aprile ore 21.00 Teatro Il CelebrazioniBiglietti da 22 a 29 euro

Summer 1993Un'estate tra il lutto e la brusca perdita dell'innocenza, a soli 6 anni: la regista catalana Simon racconta la sua vita in un film autobiografico. di Carla Simòn (Spa/2017) 90'26 marzo, ore 19.00Cinema Odeon

Ballad from TibetEcco il racconto di un viaggio straor-dinario, con quattro ragazzi non ve-denti che dal Tibet partono alla volta della Cina, per partecipare a X Factor.di Zhang Wei (Cina/2017) 84'20 marzo, ore 19.00Cinema Odeon

TEATRO CINEMAIL

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The Workers CupUn documentario sulle terribili condi-zioni degli immigrati che da anni la-vorano in Qatar, per costruire gli stadi che ospiteranno i Mondiali 2022. di Adam Sobel (UK/2017) 92'8 aprile, ore 21.15Kinodromo @Europa Cinema

Foxtrot - La danza del destinoUna danza che attraverso la storia di un padre e di un figlio studia il concet-to di fato. Vincitore del Leone d'argen-to alla Mostra del Cinema di Venezia. di Samuel Maoz (Isr/2017) 113'Dal 22 marzo Cinema Odeon

Amabili RestiEsposizione dedicata alla fumettista e disegnatrice Gabriella Giandelli che presenta una serie di disegni originali e alcuni serigrafi a tiratura limitata. Inaugurazione 24 marzoSquadro Stamperia Galleria d'ArteIngresso gratuito

Chris Riddell's Portrait GalleryMostra a cielo aperto per le vie del centro storico dedicata a Chris Riddell, uno dei più grandi disegnatori della scena contemporanea. Inaugurazione 23 marzoStrada Maggiore e via Ugo BassiEvento gratuito

Il Nettuno architetto delle acqueEsposizione di opere e documenti in occasione della fine dei restauri del Nettuno che mostrano i sistemi antichi per portare l'acqua in città Inaugurazione 16 marzo Museo di Santa Maria della Vita Biglietti da 4 a 6 euro

MOSTRE

Bologna-RomaAll'Olimpico un eurogol del romanista El Sharaawy aveva condannato i rosso-blù a un immeritato ko. In casa Destro &Co vogliono lo scalpo di una big. 31 marzo alle 12.30Stadio Dall'Ara

Giappone. Storie d'amore e guerraPerché non trascorrere Pasquetta tra geishe e samurai? Più di 200 opere renderanno omaggio ai maestri Hoku-sai, Kunyoshi, Utamaro e molti altri. 2 aprile dalle 10 alle 20Palazzo Albergati

Fortitudo-Treviso In campo 7 scudetti e 9 coppe Italia. Bologna contro Treviso non è una partita come tutte le altre. Atmosfera infuocata in Piazza Azzarita.18 marzo alle 12.00Pala Dozza

EVENTI

Thirty Second To Mars Rock ed emozioni con Jared Leto. L'eccentrico gruppo californiano si prepara a lasciare senza fiato i fan. 17 marzo ore 21Unipol ArenaBiglietti 57,50 euro

Franz FerdinandLa band di Glasgow arriva a Bologna per presentare "Always Ascending", il quinto disco uscito il 9 febbraio che sprizza groove da tutti i pori.15 marzo ore 21.00Unipol ArenaBiglietti da 37,95 a 40,25 euro

MUSICA

The GreenhouseInuit Editions con Studio Fludd e Anne Laval presentano una doppia mostra di illustrazione e stampa Riso-graph sul mondo della botanica. Inaugurazione 27 marzoGalleria B4 Ingresso gratuito

Cosmoprof Worldwide BolognaSi rinnova l'appuntamento con il beau-ty. La fiera di cosmetici più importante del mondo torna in città per il consue-to appuntamento annuale.Dal 15 al 18 marzoBolognaFiereBiglietti da 55 euro

Rejjie SnowGrande occasione per ascoltare il rapper irlandese cresciuto nel nord di Dublino che sta collezionando sold out nel Regno Unito. 4 aprile ore 21.30 Locomotiv ClubBiglietti 20 euro per i soci del circolo

Harry StylesIl leader degli indimenticabili One Direction è cresciuto e si presntata a Bologna con una voce calda e suaden-te per un concerto brtitpop. 4 aprile ore 20.30 Unipol ArenaSold Out

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